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Dizionario Geografico Fisico
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Chiusi - Gavina, Gavinea - Vescovati della Toscana (Chiusi) - Via Cassia Vecchia e Nuova

 

(Chiusi)

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    CHIUSI in Val di Chiana ( CLUSIUM , già CAMARS degli Etruschi). Città altamente celebrata fra le più antiche di tutta Italia, una delle dodici Metropoli dell’Etruria, stata sede del più potente e splendido Lucumone, XII secoli più tardi residenza di un duca Longobardo, quindi di un conte, dopo che era già capoluogo di estesa diocesi ecclesiastica, siccome lo è attualmente di ristretta Comunità e di un Vicariato Regio, nella Ruota di Siena, Compartimento di Arezzo.
    Siede sopra agevole aperta collina non più che 675 braccia superiore al livello del Mediterraneo; 254 braccia sopra il letto attuale della Chiana, fra il torrente Astrone che gli passa a ponente, e il fiume Chiana che ne lambisce la base dal lato di levante-grecale, là dove spandesi in piccolo lago che da Chiusi riceve il nome, presso la gran diga, o Argine di separazione fra le acque delle due Chiane, nel grado 29° 36’ 5” di longitudine e 43° 1’ 2” di latitudine, 40 miglia a ostro d’Arezzo; 22 pure a ostro di Cortona; ( ERRATA : 12 a scirocco di Montepulciano) 18 a scirocco di Montepulciano; 20 da Pienza; che trovasi al suo ponente-maestrale come lo è Siena, da cui è 48 miglia toscane lontana.
    Si apre davanti a Chiusi una spaziosa e fertilissima campagna, che in forma di anfiteatro si presenta dal lato di Città della Pieve, cui fanno ala a settentrione-grecale l’Alta di S. Egidio e il monte di Cortona, a libeccio quello più propinquo di Cetona, mentre a settentrione-maestrale l’occhio si spazia sino allo sbocco della pianura di Arezzo.
    Tale è la situazione sorprendente di questa rediviva città, che per otto e più secoli appellare si potè piuttosto che de’viventi la città dei sepolcri .
    Volendo in poco ristringere i fatti precipui allusivi alla storia di Chiusi conviene percorrerne le vicende sommarie sotto le quattro seguenti epoche; 1°
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    Chiusi Etrusca ; 2° Chiusi Romana ; 3° Chiusi del Medio Evo ; 4° Chiusi Moderna .
    CHIUSI ETRUSCA – Si perde nel bujo di remotissima età l’origine di Chiusi, del cui primo splendore e civiltà danno per altro evidenti riprove i copiosi monumenti d’arte ivi trovati, e le parole non compre di solenni scrittori.
    Dalle quali cose si può conchiudere, quasi senza tema di errare, che quando Roma nasceva, Chiusi era nel suo fiore, mentre essa sopra ogn’altra fra le 12 Lucumonie della Toscana figurava.
    Camars (altramente Camers ) e Clusium sono i due nomi che Polibio e Livio diedero alla città di Chiusi.– Inutile sarebbe perdersi in nuove indagini per aggiungere alcunché alle congetture da tanti eruditi state emesse sull’etimologia di Camars o Camers , nome che con poca varietà di desinenza si trova intorno a quella età ripetuto nei Camerj Umbri (Camerino) e nei Camerj di Sabina.
    La quale appellazione, rapporto alla città in discorso, fu cangiata in Clusium per fare onore (credè Mauro Servio) a Clusio figlio di Tarconte re de’Tirreni; comecchè la stessa città potesse ritenere a un tempo medesimo l’uno e l’altro nome, nella guisa che a quei tempi con doppio vocabolo si distinsero varie isole e altre città dell’Etruria.
    Per eguale ragione non gioverebbe al nostro scopo rimettere in campo l’esagerata descrizione Pliniana del mausoleo di Porsena entro il labirinto di Chiusi (poichè niun altro prima o poi quell’opera portentosa né vide né più rammentò) per arguire da un sì stravagante fabbricato della magnificenza dei Chiusini, della ricchezza e potenza di un loro re.
    Documenti più positivi, e opere superstiti più eloquenti nei loro nascondigli seppero resistere al tempo quasi per provare che poche altre città somministrar seppero cotanta copia di sarcofagi, tante figuline, tanti scarabei, tante
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    urne e tegoli scritti, quanti se ne scuoprirono, e tuttora si vanno discuoprendo a Chiusi e nei paesi a quella città finitimi.
    Era in una parola lo stato dei Chiusini cinque secoli prima dell’era nostra prosperoso e potente in modo, sì fattamente grande il nome di Porsena loro re, che quando questi con numerosa oste da Chiusi si mosse per rimettere in Roma l’espulso Tarquinio, tremò il Campidoglio, né il Senato ebbe mai (lo confessa Tito Livio) spavento simile a quello. Cosicché, se non era il valore di Orazio Coclite e il caldo amore patrio di Muzio Scevola, la Repubblica Romana si sarebbe estinta neonata.
    Bensì dopo 118 anni la città di Quirino tremar di nuovo fu vista, quando, liberata Chiusi dall’aggressione dei Galli Senoni, tutto il peso della guerra si rivolse da quei barbari contro Roma.
    Anche la risposta data da Brenno agli ambasciatori Romani, recatisi a Chiusi per chiedergli ragione del suo ostile procedere verso popoli alla sua nazione innocui, infestandone i possessi, disertandone i campi, e assediando intorno la città, anche quella fiera risposta diede chiara testimonianza della prosperità dello stato di Chiusi, quando il Gallo duce disse, aver i Chiusini un’estensione di territorio vastissima e assai maggiore di quello che potevano essi coltivare, nel tempo che ricusavano orgogliosamente di concederne parte ai Galli per lavorarlo. (PLUTAR. Vit. Camill. )
    Finalmente sembra riferire all’etrusca Chiusi il tipo di alcune medaglie con l’impronta di un cinghiale e un cacciatore, quasi per indicare lo stato agreste di quel territorio e la dovizia di animali, caratteristica della contrada anche nei tempi posteriori, quando una cerva fuggendo un lupo fu uccisa da’Galli accampati nel territorio di Chiusi, mentre l’altra fiera senza offesa si fece strada in mezzo all’oste Romana. (T. LIV. Decad. I lib. X)
    CHIUSI ROMANA – Non saria cosa facile il precisare l’anno in cui Chiusi col suo territorio fu incorporata alla Repubblica Romana, per quanto da
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    T. Livio si sappia, che, all’anno 296 avanti G. C., il console Fabio Massimo lasciò una legione in Chiusi alla cura di L. Scipione vicepretore dell’Etruria, la quale fu sorpresa, circondata e distrutta dai Galli Senoni che tennero piè fermo per pochi istanti nella città di Chiusi, rimasti pienamente vinti dalla bravura del console Fabio, e dall’azione magnanima del suo collega P. Decio, che in mezzo alla pugna si sacrificò alla patria.
    Non ostante che gli abitanti di Chiusi facessero in quest’ultimo conflitto causa comune coi nemici di Roma, non è inverosimile che essi rientrassero ben presto in grazia dei vincitori, giacchè la conservazione della lingua nazionale nei loro vasi, nelle loro urne e in altri monumenti di quella età mostra che il popolo Chiusino conservò per lungo tempo le sue patrie leggi, le antiche abitudini e la lingua propria, alla quale in seguito essi accoppiarono fecero un misto di etrusco-latino, siccome lo dimostrano le scritture, i sepolcreti e le lapidi della seconda epoca spettanti alla città e territorio di Chiusi.
    Del lustro di Chiusi sotto il governo di Roma ne fanno fede i frammenti superstiti, fra i quali un’iscrizione posta dai Chiusini alla statua di L. Silla Felice, 80 anni prima dell’era volgare, due anni dopo accaduta la battaglia data dai Sillani presso Chiusi a un esercito di 30000 romani comandati dal console Papirio Carbone. È una prova dell’importanza di questa città all’epoca romana quel Q. Gavio Chiusino della Tribù Arniense da Augusto impiegato in ufizio giuridico in Chiusi, dove risiedere doveva pur anche un tribunale collegiale di seconda istanza, siccome apparisce da un frammento di lapida esistito nell’antichissima chiesa di S. Mustiola, in cui erano nominati i Triumviri Iterum J. D. Clusii. Anche l’andamento della via Cassia che sino dai tempi della Repubblica attraversava la Toscana passando per Chiusi, restaurata dall’imperatore Adriano dai confini del contado Chiusino sino a Firenze; la celebrità in cui erano a tempi di Augusto le Terme
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    Chiusine; i cognomi di alcune famiglie romane più volte ripetuti nei marmi e nelle figuline di Chiusi; i ricchi ornamenti di preziosi metalli trovati negl’ipogei di quella età, sono altrettante prove della prosperità di Chiusi all’epoca romana.
    Arroge a tutto ciò la militare colonia, che sotto la dittatura di Silla ci sembra essere stata dedotta nel territorio di Chiusi per partecipare ai Chiusini nuovi una porzione dei vasti campi appartenuti ai Chiusini vecchi , rammentati dal vecchio Plinio.
    Sul quale ultimo proposito io temo che con le parole Clusini veteres e Clusini novi lo storico volesse indicare due caste distinte della stessa contrada, piuttosto che due diversi paesi e città; e molto più difficile mi sembra il sostenere l’opinione di coloro, i quali, dopo aver lasciato ai Chiusini vecchi l’antica città di Camars , fanno attraversare ai Chiusini nuovi tutto il contado Aretino per trapiantarli a Chiusi del Casentino, al varco immaginario di Annibale in Toscana. – Vedere CHIUSI del CASENTINO.
    Che se non riescì facile altrove d’interpretare Plinio con ammettere l’esistenza contemporanea di tre diversi Arezzi per lasciare agli Arretini veteres l’antica città, e fabbricarne una seconda per gli Arretini Fidentes , e poi una terza agli Arretini Julienses, forza sarà convenire che l’autore medesimo, rapporto a Chiusi, intendesse parlare di due classi di Chiusini, cioè de’ vecchi o nazionali indigeni del municipio di Chiusi, e de’Chiusini nuovi , ossia di quelli dedotti in qualità di coloni per essere messi a parte del vasto territorio di quel municipio.
    L’iscrizione posta per ordine dei Decurioni di Chiusi nell’anno 194 dell’era nostra davanti all’ara di Diana per la salute dell’imperatore Settimio Severo; il nome di Pomponio Duumviro Quinquennale trovato nel rovescio di un’iscrizione sepolcrale nelle antiche catacombe di S. Mustiola, provano abbastanza, che i Chiusini
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    sotto il dominio di Roma governavansi con le proprie leggi nella guisa dei romani municipj, mentre i coloni della stessa città di Chiusi tenevano in Roma i loro patroni, siccome lo danno a divedere altri frammenti riportati dal Gori nella sua Raccolta d’iscrizioni antiche della Toscana.
    Anche il Monte di Venere , rammentato nel privilegio da Celestino III concesso nel 1191 dal vescovo di Chiusi, Monte che tuttora conserva lo stesso vocabolo nella più elevata prominenza fuori della porta Lavinia di Chiusi, giova a ricordare il culto degli antichi Chiusini alla Dea di Gnido.
    Finalmente gli avanzi di colonne, di capitelli e di altri lavori architettonici eseguiti in brecce e in marmi orientali preziosissimi, alcuni del quali rimessi in opera in edifizj del medio evo, indicano anch’essi essere stati condotti in Chiusi durante la potenza romana, e di aver servito in altri tempi per edifizj cospicui e opere pubbliche da lunga mano abbattute; delle quali opere restano tuttora sparse sostruzioni nei sotterranei dell’attuale città. Fu nei sotterranei medesimi dove in seguito si rinvennero le Catacombe di S. Mustiola, cimitero dei primi cristiani di Chiusi, le di cui iscrizioni sono state pubblicate e illustrate nel 1833 dal ch. Gio. Battista Pasquini can. Vicario di quella diocesi. Come nei sepolcreti dei dintorni di Chiusi si trovarono nascoste le ultime spoglie etrusche, così nelle catacombe si ravvisarono le prime vittorie di fede di Cristo riportate dai Chiusini a partire dal secolo III di nostra salute. Fra tanti altri formava costà il più glorioso trofeo l’urna contenente le ceneri della regal vergine S. Mustiola, martirizzata nella persecuzione dell’imperatore Aureliano. Ed è nel sovrapposto suolo di quel cimitero, dove videsi innalzare la prima chiesa matrice di Chiusi.
    CHIUSI del MEDIO EVO – Fu Procopio il primo che rammentò Chiusi in potere delle gotiche orde all’anno 536, allora quando il re Vitige facendo ogni sforzo per resistere al vittorioso Belisario, prima da abbandonare
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    i contorni di Roma, ordinò che mille soldati s’inviassero alla custodia di Chiusi sotto il duce Gibimere , e un eguale presidio destinò a difesa della forte posizione di Orvieto. (PROCOP. De Bello Goth . lib. II, c. 11.)
    Il quale fatto basta per sè solo a provare, che anche a quell’epoca Chiusi considerare dovevasi qual città suscettibile alla difesa, e una delle piazze militari di qualche importanza. Fu probabilmente in grazia della favorevole posizione, e della munita difesa di Chiusi, che il re della distruzione (Totila) lasciò in piedi le fortificazioni di Chiusi, mentre atterrava quelle di Spoleto e di Assisi. (MARCELLIN. Chron. ad ann . 543)
    Nè la caduta delle mura Chiusine attribuire si potrebbe alla violenza dei sopraggiunti Longobardi piuttosto che alla lima del tempo che tutto rode. Avvegnachè in un contratto fatto in Chiusi nel dì 25 maggio anno IX del regno di Desiderio, VI di Adelchi suo figlio (anno 765 era volgare) non solamente si rammenta una porta della città di Chiusi, ma ancora la vicina chiesa matrice di S. Mustiola.
    Dell’antichità di questo tempio cristiano ci fa luminosa fede una lunga iscrizione incisa in tre tavole marmoree, traslocate nell’attuale cattedrale. Le quali tavole furono tolte dall’altare della confessione in S. Mustiola, dopo quello più vetusto di legno, riedificato di marmo da Gregorio duca di Chiusi, verso l’anno 724 dell’Era Volgare.
    Ed è in questa chiesa, da poco in quà barbaramente abbattuta, dove per lunga pezza si conservarono le più antiche memorie del governo longobardo, nella stessa guisa che nei sotterranei di S. Mustiola si scuoprirono le reliquie delle prime vittime del Cristianesimo.
    Alla potestà ducale di Chiusi, dopo che fu innalzato Gregorio al ducato maggiore di Benevento, subentrò il di lui fratello Agiprando. Al quale duca Chiusino è diretto un ordine del re Liutprando, dell’anno 742, perché dentro il mese di giugno del 745, fossero restituite al pontefice Zaccaria quattro città state tolte
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    all’Esarcato di Ravenna da Trasimondo duca di Spoleto.
    Se alla morte del re Liutprando (anno 744) il di lui nipote Agiprando fosse deposto, o se continuasse a governare Chiusi e la sua Marca, è cosa tuttora ignota. È noto bensì che un duca suo proprio seguitò ad avere Chiusi, mentre in Lucca e in Pisa sotto gli ultimi due re Longobardi, Desiderio e Adelchi, e anco durante i primi anni di Carlo Magno, esercitava la stessa magistratura il duca Allone.
    L’ultimo duca di Chiusi comparisce in quel Regimbaldo , di cui parlano poco bene tre epistole del pontefice Adriano I a Carlo Magno; in una delle quali lettere Regimbaldo viene appellato perfido seminatore di zizzanie, qui nunc in Clusina civitate Dux esse videtur . Stante che, innalzato che fu al grado di duca, esso andò con un esercito a depredare il territorio e togliere al papa il Castello della Felicità (Città di Castello), paese che Carlo Magno, poco innanzi, aveva allo stesso pontefice donato. (MURAT. Ant. M. Aevi )
    Dopo l’anno 776 non si trovano più duchi in Chiusi; invece dei quali governò per qualche tempo la città e distretto un subalterno ufiziale militare col nome di Esercitale , sino a che pel politico e pel militare fu eletta una nuova dignità col titolo di Conte , assistito dai Scabini , mentre il Gastaldo prima d’allora sopravvedeva al Regio Fisco , come anche all’economica e civile amministrazione della città.
    Oltre tutte queste dignità i Chiusini ebbero i loro Scultais e i Centenari , equivalenti gli uni ai giudici ordinarj e gli altri ai sindaci dei villaggi, dipendenti questi e quelli dal Gastaldo e dal Conte, e in ultimo appello dal re o suo rappresentante straordinario. Fra i primi Gastaldi, ossia governatori di Chiusi e suo contado, molto dopo il
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    turbolento duca Regimbaldo, incontrasi, all’anno 803, un Ischimbardo, nominato in un decreto di mondualdo che abilitava una donna a poter fare un’alienazione di beni nel piviere di S. Vittorino ad Acquaviva, situato nel contado e diocesi di Chiusi. – Anche nel diploma concesso da Ludovico Pio, al monastero di S. Antimo in Val d'Orcia, si fa menzione di un Petrone Castaldo di Chiusi, i di cui allodiali confinavano con altri beni della suddetta badia tra i fiumi Orcia ed Asso; e forse era lo stesso personaggio di quel Pietro Gastaldo di Chiusi che il Pizzetti trovò nominato in un contratto dell’anno 817. Finalmente a un pubblico rogito, per conto della badia Amiatina stipulato in Chiusi, nel mese di maggio anno 828, assisteva Orso Gastaldo di quella città. (PIZZETTI, Antich. Toscane – BRUNETTI, Cod. Diplom .)
    Sul declinare del secolo IX, al governo della città di Chiusi sottentrare dovettero i Conti, siccome con lo stesso titolo governava a quell’età un Griffone a Sovana, un Winigiso o Giunigi a Siena. L’ultimo di essi verosimilmente fu autore di varie generazioni di conti Chiusini e Senesi, i quali signoreggiarono per lunga età nell’Ardenga, nella Scialenga, nella Berardenga ed anche nella Chiusina contrada. Allo stesso Winigisio e ai primi conti di Chiusi ne richiama una pergamena Amiatina scritta in Roselle nell’anno 868. Ivi si tratta di una permuta di casali e poderi fra Winigisi conte della città di Siena, che cede, fra le altre cose, il casale di Strabugliano nel territorio di Sovana ai fratelli Nordmanno, Prando (o Ildebrando) Bernardo e Bosone figli del fu Petrone della città di Chiusi , dai quali fratelli Winigisi riceve in cambio il casale di Titinnano (forse la Rocca Tentennano, detta poi Rocca d’Orcia).
    Il nome di Petrone o Pepone frequenti volte ripetuto fra i conti di Chiusi ci dà motivo di congetturare, che alcuni
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    di quei dinasti dai quattro figli di quel Petrone, che fu visto Gastaldo di Chiusi sotto Lodovico Pio, si propagassero.
    Fra i più antichi conti Chiusini, di cui s’incontra qualche memoria coeva, giova rammentare un Pietro qui Pepo est clamatus , figlio del conte Winigildo e di Teodora, il quale con istrumento rogato in Orvieto nell’anno 1055, li 25 di febbrajo insieme con altri due fratelli, i conti Ranieri e Farolfo, donava beni al monastero di S. Pietro in Campo in Val d'Orcia. (ANNAL. CAMALD.)
    A un giudicato del 16 maggio 1058 proclamato da Gottifredo marchese di Toscana nella villa di S. Pellegrino, piviere di Fighine della diocesi di Chiusi, erano presenti fra gli altri magnati i conti Tegrimo, Bulgarello e Ugo del fu conte Uguccione e il conte Ranieri del fu conte Ardingo. Che molti di essi, se non tutti, appartenessero al contado di Chiusi lo attesta una lettera del pontefice Gregorio VII diretta li 13 gennajo 1075 ai conti Ranieri figlio del conte Uguccione, a Ranieri del conte Bulgarello, a donna Guilla figlia del conte Ardingo e moglie del conte Pepone, tutti dimoranti nel contado Chiusino. – Fra i nobili che assistettero a un placito pronunziato dalla duchessa Beatrice con la di lei figlia Matilde, li 7 giugno 1072, nel territorio Chiusino si trovavano presenti Ranieri e Bernardo Conti di Chiusi.
    Finalmente riferisce a un conte Bernardo figlio di Ranieri e padre di Ardingo un istrumento del 1084, col quale essi rinunziarono a favore della badia d’Argiano un terreno selvoso situato nel piviere di S. Vittorino d’Acquaviva nel contado di Chiusi.– Vedere ARGIANO (VILLA di) in Val di Chiana.
    Da tutte queste prosapie di magnati Chiusini sortirono i conti di Marsciano, i Visconti di Campiglia e di S. Cascian de’Bagni, i Manenti di Castiglion del Trinoro e di Sarteano, ec. A quest’ultima stirpe apparteneva quel Pepone che nel 1112, previo
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    il consenso di Pietro vescovo di Chiusi, consegnò all’abate Vallombrosano di Coltibuono la badia di S. Trinita a Spineta in Val d'Orcia, fondata dal conte Pepone e dalla contessa Guilla suoi genitori; da quei conjugi medesimi, cui fu diretta al pontefice Gregorio VII la lettera testè accennata. Figlio di Pepone giuniore fu quel Conte Manente, che nel 1117 donò la metà di Castiglione del Trinoro ai Camaldolensi di S. Pietro in Campo, quel Manente che assegnò per legato testamentario ai vescovi di Chiusi la quarta parte del castello di Asciano, il castello di Montollo che fu verso la Querce al Pino, due miglia vicino a Chiusi, e la metà di tutti i beni che aveva dal giogo delle Foci sul monte di Sarteano sino al fiume Chiana. – Vedere SARTEANO.
    Se a tante diramazioni di schiatte e suddivisione di patrimonj, che infirmavano sempre più il potere dei nobili Chiusini, si aggiungano le infinite possessioni da questi pro remedio animae donate alle doviziose badie dei Cassinensi in S. Antimo, dei Cistercensi in S. Salvatore sul Monte Amiata, dei Camaldolensi dell’Eremo del Vivo e di S. Pietro in Campo, di quelli di S. Benedetto di Mojano e di Argiano in Val di Chiana, dei Vallombrosani di S. Trinita a Spineta; se si aggiunga, che queste potenze religiose tutte o prima o poi vennero esonerate dai tributi, dalle contribuzioni pubbliche e dalle decime ecclesiastiche, non fia più bisogno domandare: come mai questa cotanto splendida città, già sede di re e di duchi, cadesse in tanta povertà, e si facesse malsana e deserta?
    Chiusi dal secolo XI in poi fu soggetta ad essere preda, non tanto del primo che vi fosse capitato con piccola masnada, ma vittima ancora di più terribili sciagure; e ciò a cagione di un suolo che rendevasi ognor più funesto all’umana economia.
    La natura abbandonata a sé stessa fece della campagna di Chiusi
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    una pestilente laguna, che per più secoli coi suoi malefici influssi infettava l’aere, e innanzi tempo mieteva le vite di quegli abitanti.
    Per fissare la vera decadenza di Chiusi non vi ha d’uopo di altro testimone dopo quelle solenni parole dell’Alighieri, che vide Luni ed Urbisaglia già ite e distrutte, mentre due antiche metropoli, una dei Chiusini, l’altra dei Galli Senoni, andavano, vivente lui, a gran passi in rovina.
    Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia
        Come son ite, e come se ne vanno
        Dirieto ad esse Chiusi e Sinigaglia.
                      
    (PARADISO, Canto XVI)
    Gli ultimi sforzi della cadente città appariscono nella grandiosa cattedrale di S. Secondiano, nella quale si riadoprarono marmi, colonne e capitelli di già caduti edifizj. È ignoto l’autore al pari dell’epoca in cui fu eretto questo secondo duomo Chiusino, dedicato al martire di Toscanella S. Secondiano. Ma se dall’ordine architettonico e dalle sue arcate si dovesse trarre un qualche giudizio, si direbbe, che quella fabbrica fosse anteriore al secolo XII. Quando però a dimostrare un tal vero manchino iscrizioni sue proprie (giacchè quelle antichissime che ivi si mostrano furono tolte da chiese perdute) sussistono altri indizi per dedurre che la prima cattedrale di Chiusi dovette essere la distrutta chiesa di S. Mustiola poco lungi dalla città, siccome avevano Fiesole e Arezzo a quella stessa epoca il loro Duomo fuori delle antiche mura. Giova a provarlo lo stesso pontefice Gregorio VII nelle lettere ai conti e a tutti i fedeli del contado Chiusino dirette, perché essi allontanassero dalla comunione e dal clero della Madre Chiesa di Chiusi (S. Mustiola) il sacrilego Guidone preposto di quel capitolo, onde, eo expulso (cito le parole dello stesso pontefice) Ecclesiam Dei, Matremque utique vestram ( S. Mustiolam ) ad pristinum statum revocare. (UGHELLI Istor. Marsciana, pag. 93 e 94).
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    /> A conforto di ciò arroge un placito proclamato nel 1058 dai marchesi Gottifredo nella villa di S. Pellegrino presso Fighine nel Chiusino distretto; al quale diede motivo una controversia fra l’abate di Capolona e Pietro vescovo di Chiusi che voleva rivendicare alla sua chiesa di S. Mustiola alcuni possessi goduti dai monaci di Capolona. (UGHELLI Ital. Sacr. In Episc. Clusin. )
    La prima volta che trovasi designata col titolo di S. Secondiano la cattedrale di Chiusi è nella bolla del pontefice Celestino III, spedita nel 27 dicembre 1191 al vescovo Teobaldo, comecchè ivi siano quasi congiuntivamente nominate Cathedralem Ecclesiam S. Secundiani et Ecclesiam S. Mustiolae. (MURAT. Ant. M. Aevi )
    Definire sino a quel tempo la chiesa di S. Mustiola continuasse ad avere un capitolo di canonici, sarebbe impresa troppo malagevole a tentarsi; né a me tampoco si presentano prove sufficienti a decidere, se quel canonico di S. Mustiola che assistè con Pietro vescovo di Chiusi a un lodo proferito presso Montepulciano nel 6 settembre 1292 a favore dei Camaldolesi di S. Pietro in Campo, se quel canonico, io diceva, appartenesse al clero maggiore di Chiusi, piuttosto che alla Congregazione di canonici regolari di S. Agostino subentrati più tardi in S. Mustiola.
    Il Cistercense abate Fatteschi, che lasciò MSS. le sue Memorie istorico-diplomatiche della badia Amiatina, indica come esistenti al secolo XIII i canonici Agostiniani di S. Mustiola a Chiusi. – Certo è che a questi ultimi riferisce un istrumento del 12 gennajo 1443 scritto nel monastero di quella Regola in S. Donato a Scoperto presso la città di Firenze. È un mandato di procura in testa di Pietro vescovo di Massa Marittima, col quale D. Francesco da Perugina proposto del monastero di S. Mustiola fuori le mura di Chiusi dell’ordine dei canonici regolari di S. Agostino rinunzia, a favore del monastero di S. Maria degli Angeli di Siena della congregazione medesima, due parti dell’entrate della sua propositura.
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    Quindi il delegato pontificio con atto pubblico dato in Siena li 14 giugno 1443 condonò al preaccennato monastero degli Angeli 150 fiorini d’oro dovuti alla Camera Apostolica per l’incorporazione ed unione a quello del monastero di S. Mustiola di Chiusi. (ARCH. DIPL. FIOR. Mon. degli Angeli di Siena ).
    Alli Scopetini del 1663 subentrarono in S. Mustiola i frati Riformati di S. Francesco, soppressi 120 anni dopo, e dall’aquirente di quel locale distrutto chiostro, tempio e la grandiosa torre di S. Mustiola.
    La storia politica di Chiusi, si accomunò per molto tempo a quella di Orvieto, al cui territorio restò incorporato presso che tutto il contado di Chiusi. Quindi si trova all’anno 1197, la presa e distruzione di Castiglione di Chiusi (ora detto del Lago) per opera degli Aretini; dai quali fu 50 anni dopo restaurato. (ANNAL. ARET. in Script. R. Ital. T. XXIV.)
    Che se credere si dovesse a chi scriveva molti secoli dopo la storia di Chiusi ( Jacopo Gori da Sinalunga ) i Perugini sino dal 1214 avrebbero ottenuto dal pontefice Innocenzo III la giurisdizione su quella parte di territorio di Chiusi che era al di là delle Chiane, e che fu appellato in seguito il Chiusi di Perugia . Ma ad appoggiare un tal detto mancano le prove. Restano bensì quelle che accennano all’anno 1231 le prime vittorie dei Senesi nel contado Orvietano; e nel febbrajo susseguente il primo trattato di accomandigia fra gli uomini di Chiusi e la Repubblica di Siena, i di cui capitoli si conservano nel Kaleffo vecchio dell’Archivio Senese. Esiste pure costà una convenzione fra i Senesi e le truppe del re Manfredi contro gli Orvietani per ricuperare Chiusi, Cetona e altri paesi limitrofi ( Vedere CETONA). In quanto all’occupazione di Chiusi fatta nel 1288 dalle masnade ghibelline di Arezzo capitanate da Lapo Farinata degli Uberti, cacciate di là dopo la sconfitta di
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    Campaldino dai Guelfi che poco innanzi si erano refugiati nelle torri di S. Mustiola e alla testa del ponte in sulle Chiane, ne fanno prova Giovanni Villani nella sua cronaca al lib. VII, c. 136 e gli Annali Aretini. Lo stesso Villani riporta sotto l’anno 1307 l’arrivo del cardinale Napoleone Orsini Legato pontificio in Chiusi e al Castello, ora Città della Pieve, dove si diressero gli ambasciadori di Firenze e di altre città per tentare di conciliare fra loro i Guelfi coi Ghibellini della Toscana.
    Nel 1332 Chiusi fu assalita dai Perugini, ritolta loro poco dopo dagli Orvietani, sotto la cui potestà la città e distretto Chiusino si resse sino al 1337, quando il popolo di Chiusi, avendo potuto cacciare dalla rocca il capitano che vi stava per gli Orvietani, cominciò a reggersi a comune con le proprie leggi.
    Durò in questo regime sino a che Carlo IV, nell’anno 1355, vi lasciò al governo passando da Chiusi un suo vicario; e nel 1374 investì del mero e misto impero di questa città e del suo territorio un visconte Lorenese ( Villata ) nipote del pontefice Gregorio IX. Il quale visconte, sei anni dopo, rivendè alla nobiltà e popolo di Chiusi la sua signoria mediante lo sborso di 20000 fiorini d’oro. (GORI, Istor. di Chiusi ).
    Era ritornato il popolo di Chiusi sotto l’accomandigia dei Senesi, e i loro soldati presidiavano la città, quando nel 1389 venne sorpresa dai Montepulcianesi e dai Fiorentini, che costrinsero la guarnigione a rinchiudersi nella rocca, dove accorsero ben tosto a liberarla nuove milizie Senesi. (MALAVOLTI, Istor. di Siena .)
    Nel 1414, mentre l’esercito di Ladislao re di Napoli occupava per la seconda volta la Val di Chiana, rimase al comando militare di quei paesi il conte Sforza Attendolo da Cutignola. Il quale dopo la morte del re Ladislao, nel maggio del 1416 stipulò con i Senesi la vendita di varj luoghi del
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    contado Chiusino, fra i quali la stessa città di Chiusi per il prezzo di 18000 fiorini d’oro. In tempo di quelle trattative il castellano del conte Sforza vendè ai Senesi la fortezza di Chiusi, e gli abitanti ritornarono raccomandati di Siena con larga capitolazione da doversi rinnovare ogni 30 anni fra i sindaci delle due città; siccome infatti avvenne nel 1465, nel 1495 e l’ultima volta nel 1525.
    Quanto i cittadini di Chiusi, e al pari di esso i Perugini confinanti mediante le Chiane, tenessero in pregio di possedere quel padule, chiaramente apparisce dalle deliberazioni prese da questi e da quelli fra il 1417 e il 1486. Imperocché apparteneva ai primi il fortilizio esistente nel 1416 sopra le Chiane, nella di cui opposta ripa tenevano i Perugini un’altro torrione chiamato allora Beccati quello . L’origine pertanto delle due torri che sotto i nomignoli ingiuriosi di Beccati questo, e Beccati quello o quest’altro , sussistono tuttora, deve riportarsi a un’epoca più remota di quella del 1418, cui trovasi assegnata dall’autore della storia di Chiusi. (MURAT., Rer. Ital. Scrip. Supplem. T. I.)
    Tanto era l’impegno per conservare il diritto sulle acque palustri della Chiana, quando esse appunto erano micidialissime; si gran conto facevasi di questa prerogativa, che il civico magistrato di Chiusi, imitando in miniatura l’antica festa del Bucintoro di Venezia, costumò per molti anni nel giorno della domenica in Albis di recarsi nel lago sopra una scafa con banditori e trombette per correrlo fino al confine di Montepulciano, e, dopo alcune cerimonie di atto possessorio, desponsare Clanas ut consuetum est . ec. I processi verbali, che restano di questa curiosa funzione, sono dell’anno 1444, (19 aprile) 1453, (4 aprile) 1470, 1472 (5 aprile) e 1474.
    Durante l’ultima guerra della Repubblica Senese, Chiusi fu occupata alla sprovvista, nel 1552, da Ascanio della Cornia capitano al servizio di Carlo V, che la riconsegnò alla Repubblica prima
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    dello spirare di quell’anno. Vi ritornò Ascanio stesso, nel 1554, sperando di aver la città per tradimento, ma vi fu distrutta la sua masnada, e vi rimase esso medesimo prigione di Santaccio da Cutigliano castellano al servizio dei Senesi.
    Per altro dovette Chiusi aprire le porte, nel 1556, alla cavalleria di Mario Sforza conte di Santa Fiora che la ritenne per il primo Granduca di Toscana, al cui governo i Chiusini stettero costantemente fedeli.
    CHIUSI MODERNA – Parlo di Chiusi dopo cessate le convulsioni repubblicane, dopo estinta l’idra a cento teste dei personali più che politici partiti, dopo che terminarono le guerre municipali; parlo di Chiusi risorta fra le ceneri e i cocci dei suoi etruschi e romani sepolcreti; parlo di quella città che comincia a respirare aura più salubre fra colmate campagne, e che rinasce dopo 26 secoli a nuova vita nella Chiusi Moderna .
    La distruzione dei suburbj e di alcune case presso Chiusi, ad oggetto di facilitare la difesa della rocca e rendere meno accessibile la città ai nemici, devesi ai preparativi guerreschi fatti nel 1553 e 1554 dalla Repubblica senese. Furono, direi quasi, gli ultimi monumenti di distruzione contemporanei alle prime riparazioni idrauliche da Cosimo I ordinate, e con tanto impegno dall’Augusta Dinastia felicemente dominante in Toscana proseguite a vantaggio dei popoli tutti della Val di Chiana.
    Il Comune di Chiusi continuò sotto i granduchi Medicei a governarsi coi suoi propri statuti scritti in pergamena sino dall’anno 1530.
    Tre porte introducono nella città, quella a ponente denominata Porta S. Pietro ; una a settentrione appellata Porta Gavinea , o Lavinia , e a levante la terza che appellossi di S. Mustiola ora di Pacciano ossia Porta del Duomo . Due porticciole senza nome nel recinto della rocca erano destinate alle sortite della guarnigione in casi di guerra.
    La fortezza di Chiusi si
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    nomina sino dal secolo XII, sebbene più volte restaurata e rifatta.
    Le strade sono quasi tutte spaziose, abbellite da due secoli in poi di nuovi e ben costruiti palazzetti. La città sotterranea è quasi tutta vuota, lo che agevola ai proprietarj la costruzione di vaste cantine in quel suolo ghiajoso tufaceo.
    Fra gli edifizj sacri primeggia la cattedrale a tre navate con otto arcate per parte a Sesto intero, sorrette da 18 colonne di varia grandezza e qualità di marmi, sostenenti capitelli di ordini diversi, e che appartennero a più antiche fabbriche. Anche l’urna, dove attualmente riposano le reliquie di S. Mustiola nell’altar maggiore, fu cavata da un’antica colonna di marmo numidico, che trascurata giaceva presso la chiesa dei soppressi monaci Silvestrini, oggi detta la chiesa della Morte. Il capitolo di questo duomo ha 9 canonici con due dignità, l’arciprete che è il primo curato, e il proposto, con un numero corrispondente di cappellani e benefiziati.
    Delle mura etrusche Chiusine non resta altro che un frammento a grandi poligoni dietro al coro della cattedrale.
    La chiesa di S. Francesco, apparteneva ai frati Conventuali sino dal secolo XV. Essa è stata recentemente restaurata dalla pietà dei Chiusini, e nella sua canonica risiede un parroco da cui dipende la cura di Dolciano.
    La chiesa di S. Apollinare cadente, e profanata sul declinare del secolo XVII; fu posteriormente restaurata e ridotta a oratorio privato. Da lungo tempo innanzi era mancata quella del primo ospedale di Chiusi, dedicata a S. Ireneo compagno nel martirio di S. Mustiola.
    La chiesa di S. Stefano Protomartire, alla quale era unito un asceterio di monache dell’ordine di S. Agostino, possiede una tavola del santo titolare, lavoro squisito di Ulisse Gnocchi da Monte S. Savino. Il monastero attualmente è ridotto a conservatorio Regio per l’educazione delle fanciulle che vi si accettano a convitto.
    La chiesa di S. Maria, un dì appartenutaai monaci Silvestrini, attualmente ufiziata da una compagnia laicale, detta di Carità,
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    somministrò al vescovo Piccolomini i fondi per stabilire un seminario e mantenere i rispettivi maestri, cui furono aggiunte le rendite della soppressa parrocchia di S. Faustino e di quella della Madonna della Querce al Pino ripristinata sul declinare del secolo XVIII. Che se il seminario non si mantenne gran tempo in piedi, non mancano però in Chiusi cattedre per l’istruzione elementare, letteraria ed ecclesiastica, dove i chierici che le frequentano godono del privilegio dei seminarj, mentre quelle scuole sono dipendenti immediatamente dal vescovo.
    Fra gli edifizj pubblici moderni si contano l’episcopio, il pretorio, il palazzo della Comunità e il teatro.
    Nel 1832 fu ampliato il gioco del pallone vicino alla rocca. Presenta esso la figura di un vasto circo, nel di cui centro fu innalzata nel 1834 una colonna che rammenta un faustissimo avvenimento per la Toscana nella seguente iscrizione: CONNUBIO AUG. RES. ETRURIAE. FIRMETUR. – Altra simile colonna fu contemporaneamente eretta nella così detta piazza grande destinata a celebrare il compito precedente augurio nella nascita del G. PRINCIPE EREDITARIO della Toscana.
    Il circo è contornato di sedili di pietra, e d’alberi alternanti con basi che sostengono diversi monumenti etruschi e romani trovati nelle grotte Chiusine.
    Ma ciò che richiama sopra ogn’altra cosa la curiosità dell’erudito viaggiatore sono i privati musei raccolti da nobili e zelanti Chiusini, fra i quali si distinguono quelli delle case Paolozzi, Sozzi e Casuccini. L’ultimo nominato merita per sè solo una visita degli archeologi a Chiusi.
    Della dovizia di antichi monumenti d’arte ivi custoditi diedero solenni prove i proprietarj medesimi, per cura dei quali furono incisi in rame, e in 216 tavole rappresentati i più interessanti; illustrati ciascuno di essi dall’eruditissimo cavalier Francesco Inghirami, e di varj ragionamenti (in numero di XVIII) dalla penna del professor Domenico Valeriani adornati: formando del tutto due grandi volumi in 4° papale, pubblicati nel 1833 e 1834 sotto il titolo di Museo Etrusco Chiusino ; opera che, mentre onora gli
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    editori, accresce lustro e splendore alla loro patria.
    Chiusi si gloria di essere la patria di Graziano monaco Benedettino che fiorì nella prima metà del secolo XII, e fu autore del famoso decreto conosciuto sotto il di lui nome.
    Da Chiusi trassero pure origine le casate patrizie senesi Della Ciaja e Dei , e in Chiusi nacque Bartolommeo Macchioni autore di un’operetta sulla Famiglia Cilena che pubblicò nel 1699. Ottennero il patriziato di Chiusi, nel secolo XVIII, l’abile giureconsulto Cristoforo Cosci, autore di due opere legali, una sotto il titolo: De separatione tori conjugalis , e l’altra De sponsalibus filiorum familias. Fu pure patrizio chiusino Jacopo Gori che scrisse nel secolo XVII l’istoria di Chiusi, da noi più volte citata.
    Finalmente in Chiusi si trapiantò un ramo della famiglia del Petrarca dall’Ancisa, di cui resta un’arme gentilizia sopra la porta di una casa, nel 1559 fabbricata da Nicolao Petrarca Ancisano, al quale pure appartiene una tomba gentilizia esistente nella cattedrale.
    DIOCESI di CHIUSI. – Se all’epoca, in cui fu istituita la diocesi di Chiusi, il distretto civile della stessa città si fosse mantenuto qual fu ai tempi del dominio Romano, converrebbe gli si accordasse un estesissimo territorio, i di cui limiti dovevano toccare quelli di altre 6 città etrusche; cioè, a levante il distretto di Perugia; a scirocco quello di Bolsena; a ostro il contado di Sovana; a libeccio quello di Roselle; a ponente e a settentrione i contadi di Arezzo e di Cortona. Vero è che ad appoggio di tal congettura ora non restano che prove negative. Tale per esempio sarebbe quella di non trovare vescovi a Orvieto, a Toscanella e a Castro se non verso la fine del secolo VI, mentre Chiusi comincia a contare i suoi da Fiorenzo che intervenne al Concilio Romano nell’anno 465.
    Forse fu quello stesso vescovo che sotto nome
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    di Fiorentino leggesi in un capitello rimesso in opera nel secolo XII sopra una colonna dell’attuale chiesa cattedrale di Chiusi.
    A un vescovo di Chiusi per nome Eulogio o Eulagio furono dirette varie epistole che Gregorio Magno; in una delle quali quel santo pontefice si mostra penetrato della malattia sofferta dal detto prelato, cui spedisce da Roma unum caballum qualem invenire potuimus, ut habeatis post infirmitatem cum quo vectari possitis . Valido argomento sarebbe questo a dimostrare, se non la povertà in cui era ridotta la chiesa Chiusina, al certo la sobrietà del vivere di quei tempi, e quanto poco a proposito si mostrasse generoso quel Cristiano vescovo di Chiusi, che nel 911 condonava ai monaci del Monte Amiata e a quelli di S. Antimo i diritti diocesani e le decime dovute alla mensa episcopale dalle chiese di loro giuspadronato.
    Il più antico documento superstite, che giovare potrebbe a segnalare il perimetro della diocesi Chiusina, se i nomi dei luoghi e i titoli delle parrocchiali non fossero periti o variati, è una bolla del pontefice Celestino III spedita li 27 dicembre dell’anno 1191 a Teobaldo vescovo di Chiusi. Dal qual privilegio apparisce, che quella cattedrale, allora immediatamente soggetta alla Santa Sede, contava 28 chiesa sotto-matrici, o pievi, oltre un numero assai maggiore di oratorj e cappelle filiali.
    La diocesi di Chiusi dopo quel privilegio subì cinque smembramenti diversi. Il primo, all’occasione che il pontefice Giovanni XXII eresse, nel 1325, la diocesi di Cortona; il secondo, nel 1462, quando Pio II innalzò all’onore di cattedrali le pievi di Pienza e Montalcino; il terzo, nel 1561, per quella eretta in Montepulciano da Pio IV; il quarto sotto Clemente VIII che eresse, nel 1601, in sede vescovile Città della Pieve; il quinto, nel 1772, quando Clemente XIV staccò dalla diocesi di Chiusi alcune pievi che le restavano nella montagna Amiatina per darle alla diocesi di Montalcino.
    Del primo
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    smembramento fa fede non solamente l’autore degli annali Aretini, ma la bolla del 1191 di Celestino III sopra accennata e un diploma di Arrigo II del 1014 alla Badia di S. Maria a Farneta. I quali ultimi due documenti ci danno a conoscere che il piviere di Cignano e la Chiesa di S. Maria a Farneta appartenevano allora alla diocesi e contado di Chiusi. – Vedere CORTONA e CIGNANO in Val di Chiana.
    I paesi e chiese staccate dalla diocesi Chiusina per l’erezione delle cattedrali di Pienza e Montalcino sono descritti nella bolla di Pio II del 13 agosto 1462; cioè: 1. Rocca Tentennana coi Bagni a Vignone ; 2. Castiglione d’Orcia ; 3. Campiglia coi Bagni di S. Filippo ; 4. S. Pietro in Campo ; 5. Contignano ; 6. Perignano ; 7. Castelvecchio ; 8. Monte Nero ; 9. S . Angelo in Colle ; 10. Castelnuovo dell’Abate con la subiacente Badia di S. Antimo; 11. Seggiano ; 12. Ripe ; 13. Vignone ; 14. Monticchiello ; 15. Fabbrica , oggi Castelluccio .
    Al terzo distacco, ordinato da Pio IV con bolla del 10 novembre 1561, la cattedrale di Chiusi dovette cedere a quella di Montepulciano tutte le chiese che aveva nel distretto comunicativo di Montepulciano, fra le quali la distrutta pieve di S. Silvestro e quella esistente tuttora di S. Vittorino d’Acquaviva, la villa di Argiano col monastero di S. Pietro, la pieve di Pargia e quella di Valiano al di là della Chiana.
    Il più vistoso sacrificio fu allora quando a tutte spese della diocesi di Chiusi si eresse in cattedrale da Clemente VIII con bolla del 9 novembre 1601 la pieve di San Gervasio, e il castello della Pieve in città.
    Per
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    la quale cosa fu tolta alla chiesa di Chiusi la giurisdizione sopra 18 terre, castelli e villaggi. Dei quali luoghi dodici parrocchie sono nel contado Perugino già Chiusino, tre nel territorio Orvietano, anticamente di Chiusi, e ( ERRATA : tre) tredici nella Toscana Granducale.
    Trovavansi nel Perugino: 1. Castel della Pieve ; 2. Piegaro ; 3. Panicale ; 4. Pacciano ; 5. Mongiovino ; 6. Tavarnelle ; 7. Colle Sempolo ; 8. Montalera ; 9. Panicarello ; 10. Giojella ; 11. Pozzuolo ; 12. Laviano con tutti gli altri luoghi del marchesato Chiusino, o di Castiglione del Lago, detto una volta il Chiusi di Perugia ; 13. Trevignano ; 14. Monte Leone ; 15. e Salci erano compresi nell’Orvietano; 16. Santa Fiora sul Montamiata; 17. Camporsevoli ; 18. e Le Piazze sono le tre chiese e luoghi della Toscana Granducale.
    Finalmente con bolla del 1 giugno 1772, allorché il pontefice Clemente XIV riunì la diocesi di Pienza e quella di Chiusi conservando i privilegj ad entrambe le cattedrali con respettive curie vescovili, furono cedute alla diocesi di Montalcino 4 pievi che Chiusi conservava sempre nei territorj di Arcidosso, di Montichiello, di Montelaterone e di Castel del Piano alla base occidentale del Monte Amiata.
    In conseguenza dei 5 smembramenti accennati l’attuale diocesi Chiusina trovasi limitata a sette Comunità, con una città e sei terre ad essa finitime, in tutto ( ERRATA : 23) 21 parrocchie; 5 delle quali appartengono alla Comunità di Chiusi, compresa la Cattedrale che abbraccia tutta la città e i subborghi; 5 alla Comunità di Sarteano; una a quella di Cianciano; 3 alla Comunità di Cetona; 5 alla Comunità di San Cascian de’Bagni; ( ERRATA : 3) 1 a quella di Radicofani, e una alla
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    Abbadia di S. Salvadore. Fra queste ( ERRATA : 23) 21 parrocchie si contano 11 pievi, cinque di esse decorate di una collegiata. Le badie del Montamiata, di S. Antimo, di S. Pietro in Campo e di Spineta furono in vari tempi soppresse.
    Il vescovo di Chiusi fu dichiarato suffraganeo dall’arcivescovo di Siena all’epoca dell’erezione di quella Metropolitana (anno 1459).
    COMUNITA’ di CHIUSI. – Il territorio di questa Comunità abbraccia una superficie di 17000 quadrati dai quali sono da detrarre 421 per strade e corsi di acque, mentre 1395 quadrati a un circa sono occupati dal lago Chiusino e dalle sue gronde. Cosicché attualmente questa Comunità possiede intorno a 15200 quadrati di superficie terrestre con una popolazione di 3418 abitanti, a ragione cioè di 163 individui per miglio quadrato di suolo terracqueo, e di 175 abitanti per ogni miglio quadrato di terreno asciutto.
    Confina con quattro comunità del Granducato, e con due dello Stato Pontificio. La sua figura iconografica si accosta a quella di un triangolo equilatero, di cui l’angolo rivolto a ostro tocca dal lato sinistro lungo la Chiana la Comunità di Città della Pieve nello Stato Pontificio, e dal lato destro destro per il Piano delle Cardete la Comunità Granducale di Cetona, con la quale piegando a libeccio cammina di conserva sino alla base meridionale del Poggio Montollo , sotto al così detto Castellare .
    Costà, presso alla confluenza del fosso Oriato nel torrente Astrone , trova la Comunità di Sarteano, e con essa, proseguendo nella direzione dell’ Astrone , giunge sino al trivio nella strada provinciale fra Cianciano, Sarteano e Chiusi, dove piegando da libeccio a maestrale subentra a confine la Comunità di Chianciano. Con quest’ultima pel fosso Monaco , e quindi per quello detto Morato , entra nella via comunicativa che da Chianciano passa per Francavilla sino al torrente Parcia o Parce
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    . Mediante il quale fiancheggia dal lato di settentrione con la Comunità di Montepulciano e con essa scende verso il Passo alla Querce nell’alveo della Chiana che attraversa al Poggio alla Tomba . Sulla riva opposta della Chiana lungo la gronda del lago di Chiusi, girando da maestrale a levante, costeggia con la Comuinità Pontificia di Castiglione del Lago sino all’ argine di separazione verso il Pian della Biffa , dove è confine mediante la Chiana col territorio comunicativo di Città della Pieve dello Stato Pontificio, finchè quello di Chiusi, rasentando la ripa occidentale della Chiana, ritorna a confine con la Comunità di Cetona al Piano delle Cardete .
    Tre grandi strade regie guidano a Chiusi: 1a la Regia longitudinale della Chiana tracciata presso a poco sull’andamento della via Cassia, che poi fu appellata costà via Selice . La medesima strada Regia prosegue per Roma passando per Città della Pieve; 2a la strada provinciale Senese che da Chiusi guida a Chianciano e oltrepassa nella Valle dell’Orcia appressandosi a Montepulciano; 3a la strada provinciale che da Chiusi per Cetona si dirige a San Casciano de’Bagni, e di là s’innoltra sino all’osteria della Novella , dove si unisce alla grande strada Romana o antica Francesca .
    Rintracciare nella pianura di Chiusi l’antico selciato della Via Cassia che, a partire dai confini di Chiusi sino a Firenze, restaurò l’imperatore Adriano, sarebbe inutile impresa, dopo che sono stati seppelliti a molte braccia sotto la superficie attuale del terreno i piloni del ponte a piè di Chiusi, e il primo giro della vicina torre ; dopo che è sorta la Regia tenuta di Dolciano là dove non erano che paludine e paglieti ; dopo che al punto culminante dell’argine attuale di separazione, il livello delle acque delle due Chiane trovasi rialzato di circa venti braccia più di quello che lo era tre
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    secoli indietro. – Vedere CHIANA fiume.
    Opera altrettanto se non più difficile riuscirebbe di scoprire in cotesta contrada la prima crosta naturale del suolo intorno a Chiusi, quanto sarebbe cosa malagevole per chi volesse riandare dopo un lungo giro di secoli sull’origine e vicende storiche di quella prima città.
    Contentandoci noi di accennare ciò che presenta lo stato fisico attuale del territorio comunicativo di Chiusi, ci limiteremo ad avvertire: che tanto le sue colline, quanto le campagne vicino alla Chiana, si trovano coperte da un terreno mobile sparso di varie specie di conchiglie marine, precipuamente del genere ostriche, disposte in banchi racchiusi fra strati di tufo cretoso, misti e talvolta alternanti con letti di ghiaje formati di calcarea appenninica, ghiaje trascinate a varie riprese da più remota contrada.
    Io già dissi altrove ( Art . ARNO) che non si potrebbe concepire in qual modo interrimenti sì profondi come quelli che, tanto a destra quanto a sinistra del Canal Maestro della Chiana, coprono le colline sino al livello di Chiusi, e l’altopiano fra Castiglion del Lago, Giojella e Pozzuolo, potevano depositarsi a cotanta altezza, senza ammettere la preesistenza di altrettante dighe naturali, che, facendo pescaja alle acque fluenti della valle, obbligassero a depositare a diverse riprese terra, rena, corpi organici, ghiaja e ciottoli di varia mole sulla rialzata pianura proporzionatamente alla violenza delle alluvioni. La quale pianura, dopo abbassate e corrose le dighe naturali fra Chiusi e i colli della Tresa , fu nuovamente corrosa e parzialmente scavata dai torrenti e canali che diedero origine e alimento alla Chiana, allorché questo fiume per l’emissario di Carnajola dirigevasi nella Valle della Paglia per entrare nel Tevere.
    Quindi a proporzione che si rimonta verso la prisca età, il lago di Chiusi trovare si doveva più profondo, più vasto e tale da formare un corpo con quello contiguo di Montepulciano. Infatti ai tempi di Strabone il pescoso
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    lago Chiusino, ricco pur anche di uccelli acquatici, era navigabile in guisa che le sue barche entrando nel Tevere recavano a Roma gran copia di Tife , di Loti e di Scirpi palustri. – Alluvioni più moderne ne riempirono, siccome vanno tuttora rialzando il bacino intorno ai due Chiari di Chiusi e di Montepulciano, in guisa che i loro lembi si videro convertiti in palustri e malsani marazzi.
    Quantunque grandi siano gli intervalli fra i fisici fenomeni testè accennati, pure da ciò che avvenne in cotesta contrada dalla metà del secolo del secolo XVI sino al 1833, si può concludere, che il lago di Chiusi (antico patrimonio di quella Comunità) era largamente circondato da una variabile gronda palustre, coperta da paglieti e di bozze : nomi che conservano tuttora le campagne bonificate intorno al lago Chiusino.
    Tale era la palustre tenuta del Paglieto , della quale a forza di colmate si creò la Regia tenuta di Dolciano, luogo già sterile e malsano, che la Comunità di Chiusi, nel 1573, cedè al Gran Duca Cosimo I per l’annuo canone di 50 scudi.
    Tale è quel lembo palustre a ostro del lago, designato col nome di Bozze , attualmente quasi tutto colmato dalle alluvioni del torrente Tresa , e che per lunga stagione riescì agli abitanti di Chiusi fatale, e causa maggiore della malaria che nella estiva stagione costà si respirava.
    Grazie però ai provvedimenti idraulici e ai lavori continui delle colmate, oggi non resta del padule delle Bozze che una ristrettissima superficie da rialzare dal fondo di quelle malnate lagune; ne l’epoca è lontana, in cui Chiusi potrà dirsi dall’avello a nuova vita risorta.
    È arra a tale augurio la popolazione aumentata in proporzione della salubrità dell’aria, giacchè, a partire dall’epoca avventurosa in cui l’Augusta dinastia regnante salì sul trono della Toscana, gli
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    abitanti della Comunità di Chiusi progressivamente si accrebbero. Imperocché questa nel 1737 non contava che 1223 abitanti aumentati a 1521 nell’anno 1745; a 1632 abitanti nell’anno 1764; a 2661 nel 1815, accresciuti sino a 3418 nell’anno 1833. La statistica agraria cammina di pari passo coll’aumentata popolazione.
    Alle selve sparse quasi per ogni dove nei poggi e nelle piagge si sostituirono vigne, uliveti e altri alberi da frutto, fra i quali sono assai copiosi quelli dei gelsi; ai palustri canneti della bassa pianura subentrarono pascoli artificiali, campi seminativi a grano, a canape, a mais, ec.
    Non vi sono industrie manifatturiere, né commercio parziale, eccetto quello dei cenci e delle pelli agnelline che s’introducono in gran copia per la via di Chiusi dallo Stato Pontificio.
    Si tengono da recente epoca in Chiusi due mercati mensuali, che riescono di gran concorso nel primo e terzo martedì di ciascun mese. Vi si praticano pure due buone fiere, una delle quali antichissima cade nel secondo giorno della Pentecoste, e l’altra nel 28 di ottobre.
    La Comunità mantiene un medico e un chirurgo. Risiedono nella città il Vescovo delle diocesi di Chiusi e di Pienza e un Vicario Regio dipendente per gli atti di polizia dal Governatore di Siena.
    Esso ha la giurisdizione civile sopra la sola Comunità di Chiusi, ma per la criminale, oltre la Comunità di Chiusi, abbraccia quelle di Cetona, di Chianciano e di Sarteano. In quest’ultima Terra trovansi la cancelleria Comunitativa e l’ufizio di esazione del Registro. L’ingegnere di Circondario, e la conservazione delle Ipoteche è in Montepulciano; la Ruota è in Siena.

    QUADRO della popolazione della Comunità di CHIUSI Città a tre epoche diverse

    nome luogo: CHIUSI Città, titolo chiesa: S. Secondiano (Cattedrale), Abit. 1745: 1133, Abit. 1833: 2226
    nome luogo: Dolciano, titolo chiesa: S. Leopoldo (Cura), Abit. 1745:  -, Abit. 1833: 300
    nome luogo: Macciano, titolo
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    chiesa: S. Pietro (Rettoria), Abit. 1745: 226, Abit. 1833: 298
    nome luogo: Montallese, titolo chiesa: Natività di Maria (Rettoria), Abit. 1745: 162, Abit. 1833: 338
    nome luogo: Querce al Pino, titolo chiesa: S. Pietro e Nome di Maria (Rettoria), Abit. 1745: -, Abit. 1833: 256

    tot. Abit. 1640: 2086
    tot. Abit. 1745: 1521
    tot.  Abit. 1833: 3418

    CHIUSI, COMUNITÀ. Infine si corregga – Il vicario regio di Chiusi per la giurisdizione criminale abbraccia le potesterie di Cetona e di Sarteano.
    La cancelleria Comunitativa è in Chianciano ed il tribunale di Prima istanza in Montepulciano.
    Nel 1833 la Comunità della città di Chiusi contava 3418 Abitanti e nel 1845 ne aveva 3732, cioè:

    CHIUSI città, Cattedrale, Abit. 2427
    CHIUSI S. Francesco Abit. 348
    Macerano Abit. 309
    Montallese Abit. 396
    Querce al Pino Abit. 252
    TOT. Abit. 3732


    GAVINA , o GAVINEA in Val di Chiana. – Nome dato anticamente a una delle porte della città di Chiusi, detta ora porta Lavinia . – Anche una delle porte della città di Montepulciano portava lo stesso vocabolo e lo dava ad un ospedale contiguo, appellato di S. Maria alla porta Gavina . – Vedere MONTE PULCIANO.


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di
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    Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L'arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all'Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro
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    diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l'amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.


    CHIUSI, DIOCESI. – Si aggiunga – Antecessore immediato del vescovo Teobaldo fu Leone stato canonico della cattedrale di Lucca, innanzi che nel 1179 sedesse nella cattedra vescovile di Chiusi. (MEMOR. LUCCH. Vol. IV P. II).

    VIA CASSIA VECCHIA E NUOVA. – È questa dopo l'Aurelia la seconda via militare stata aperta dai Romani in mezzo alla Toscana attuale, mediante la quale sino dal tempo di Cicerone si poteva andare a Modena, egualmente che per l’ Aurelia lungo le nostre Maremme, senza dire della Via Flaminia costruita verso il mare Adriatico.
    Anche cotesta Via Cassia nel suo principio, era assai corta, se è vero che essa terminava al Foro Cassio presso Sutri, e ciò innanzi che la strada medesima venisse prolungata fino al confine settentrionale di Chiusi, e finalmente che dall'Imperatore Adriano fosse condotta a Firenze per il cammino di 81 miglia romane.
    Chiamo Cassia vecchia tutto il tronco della stessa Via da Roma ai confini di Chiusi, e distinguo per Cassia nuova la continuazione della strada medesima sino a Firenze. – Vi era per altro un tronco importantissimo di strada che da Chiusi doveva dirigersi verso Arezzo anche innanzi che la Via Cassia dall'Imperatore Adriano fosse stala restaurata e portata dai confini di Chiusi sino a Firenze; e quella diversa dalla Via Cassia rammentata da Cicerone in una sua Filippica quando disse: Tres Viae ducunt Mutinam, ab infero Aurelia, a supero Flaminia, media Cassia.
    Non starò a ripetere ciò che è noto a molti, col dire, che una più antica via militare era
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    stata costruita da Arezzo a Bologna dal console C. Flaminio Nepote l'anno 566, o 567 di Roma, cioè 33 anni innanzi che C. Cassio Longino esercitasse la censura con M. Valerio Messala, nel qual tempo si vuole che fosse aperta la Via Cassia da Roma fino al Foro Cassio, ch'era di là da Bolsena.
    Forse qualcuno mi obietterà, che se già dissi all'Art. VIA AURELIA, che l'aprire ed il mantenere le strade consolari al tempo della la repubblica romana dentro l'Italia d'allora era uffizio riservato ai censori, come poteva un console, o proconsole arrogarsi il diritto di fare una strada militare dentro, i confini dell'Italia stessa, siccome dentro la medesima, anzi nella Toscana, era compresa la città di Arezzo?
    Ma cotale opposizione perderebbe molla forza quando si pensasse, che all'età di G. Flaminio Nepote la città di Arezzo era posta sul confine settentrionale dell'Etruria, essendo la medesima situata presso la ripa sinistra dell'Arno, limite allora dell'Italia romana, mentre sino alla ripa destra dello stesso fiume estendere si poteva la giurisdizione del console C. Flaminio, cui erano state assegnate le provincie della Liguria e de'Galli Boi.
    In una dotta ed erudita memoria del fu Prof. bolognese Gaetano Lorenzo Monti, pubblicata sulla fine dei 1827 e sul principio del 1828 nei Giornale Ligustico di Scienze, Lettere ed Arti, trattandovisi delle Vie pubbliche e militari che al tempo de' Romani passavano pel territorio di Bologna, vi si rammenta anche quella così detta Cassia, la quale fu aperta fra Arezzo e Bologna da C. Flaminio Nepote 33 anni innanzi della vera Via Cassia tracciata da Roma fino al Foro Cassio. Lo che accadeva nel tempo medesimo in cui l'altro console M. Emilio Lepido, prolungava da Rimini fino a Piacenza la Via Flaminia, per cui M. Emilio lasciò il suo nome non solo a quella Via consolate, ma ancora all'intiera
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    provincia denominata tuttora l'Emilia.
    Donde conseguiterebbe, che la Cassia fra Roma e Chiusi non avrebbe che fare con la Via aperta da C. Flaminio fra Bologna ed Arezzo, sebbene anche a questa fosse dato il titolo di Via Cassia . – E quantunque io ammetta come cosa assai probabile, che l'antica Via Cassia prolungata dal Foro Cassio a Chiusi si estendesse fino ad Arezzo, dubito peraltro che il suo andamento successivo non sia da confondersi con quello della Via Cassia di Chiusi restaurata dell'Imperatore Adriano e fatta da esso prolungare sino a Firenze.
    A conferma di un tal vero conservossi fino ai tempi nostri una testimonianza solenne in una colonna di travertino trovata nel 1584 nelle vicinanze di S. Albino in Val di Chiana, (ad Statuas ?) fra il con fine del territorio Chiusino e quello di Montepulciano, la qual colonna più tardi (1758) fu trasportata in Firenze nel cortile dell'Opera del Duomo, nella quale furono scolpite e possano leggersi le parole seguenti:
    IMP. CAESAR
    DIVI TRAJANI
    PARTHICI FIL. DIVI NERVAE NEPOS
    TRAJANUS HADRIANUS
    AUG. PONT. MAX
    TRIB POTEST VII COS III
    VIAM CASSIAM
    VETUSTATE COLLPSAM
    A CLUSINORUM FINIBUS
    FLORENTIAM PERDUXIT
    MILLA PASSUM
    .... XXCI

    Lascia frattanto una qualche dubbiezza la frase Vetustate Collapsam non sapendo se essa voglia riferire al tronco della Via Cassia antica o a quello della più moderna. Con tutto ciò io propenderei ad applicare quell'espressione alla Via Cassia vecchia piuttosto che alla nuova, tanto più che pochi anni innanzi la città di Firenze, dove fu innoltrata la Via suddetta, ossia la nuova, dall’ Imperatore Adriano, essere non poteva una gran città per condurvi una via consolare.
    Infatti all'Articolo relativo alla capitale della
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    Toscana, inserito nella presente Opera, discorrendo dello stato di Firenze dal secondo al decimo secolo dì G. C. rammentai le premurose cure di Adriano, il quale dopo aver governata la Toscana a nome dell' Imperatore Trajano, divenuto egli stesso imperatore nell' anno secondo del suo regno (119, o 120 di G. C.) restaurò la Via Cassia guasta dal tempo e la prolungò sino a Firenze dai confini di Chiusi.
    Quantunque il ch. abate Lami e innanzi Mons. Vincenzio Borghini opinassero, che la Via Cassia molto tempo prima dell'età di Adriano oltrepassasse da Firenze per continuare verso l'Appennino del Mugello per Bologna; con tuttociò mi sembra preferibile il parere del più volte lodato Gio. Targioni Tozzetti, il quale recò in campo tali ragioni da far dubitare che la Via Cassia non solo non oltrepassasse Firenze, ma che mollo innanzi quella età, non esistendo la stessa città, non vi fosse stato aperto nella sua direzione alcun gran cammino, o vogliasi dire, alcuna Via militare.
    Ho detto che, molto innanzi quella età, non esistendo ancora la città, non dovesse passarvi nella direzione di Firenze alcuna via militare, senza escludere però altre strade municipali che fino d'allora esistere dovevano lungo il corso dell' Arno. – Infatti di una strada militare tracciata sulla ripa sinistra dell'Arno ce lo fa supporre T. Livio in più d'un luogo delle sue Decadi, e fra gli altri quando il Cons. Q. Minucio Thermo all' anno 569 di Roma, condusse le sue legioni da Arezzo a Pisa in ordine di battaglia. – Vedere APPENNINO TOSCANO
    Ma quale fosse l'andamento respettivo di quelle due Vie a partire da Chiusi e da Arezzo, e per quali stazioni tanto la via Cassia nuova, come la via detta pur essa Cassia fra Arezzo e Bologna, passassero, io l'ignoro tuttora.
    Di qual peso
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    poi sieno le autorità dell'Itinerario di Antonino, e della Tavola Teodosiana o di Peutinger l'ho già detto all’ Art. VIA AURELIA. Qui solamente aggiungerò, che le loro mansioni lungo la strada militare fra Chiusi, Arezzo e Firenze sono promiscue e confuse di maniera da non lasciar conoscere quale di esse fosse aperta alla destra, e quale alla sinistra dell'Arno.
    All' Art. CERTIGNANO rammentai una di quelle mansioni citate dall'Itinerario di Antonino, supponendola alla destra del Val d'Arno superiore fra Terranuova e Castelfranco, mansione designala sotto nome Ad Fines, o Ad Casas Caesarianas ; e dissi, che in Certignano esisteva tuttora una località col nomignolo di Casa Cesare posta appunto presso il confine (Ad Fines) dell' antico territorio, poscia diocesi fiesolana con il contado, ora diocesi aretina.
    In quanto alle mansioni designate dalla Tavola Peutingeriana nello stesso Vald'Arno superiore, rammenterò quella ad Aquiliam, considerandola una stroppiata di Apuana, il qual vocabolo anco nei secoli bassi fa conservato alla località di S. Ellero (S. Ilario in Aquario). Ciò è chiarito da un istrumento inedito del 27 febbrajo 1077 esistente nell' Arch. Dipl. Fior. fra le carte del Monastero di S. Pier Maggiore di Firenze, nel quale trovasi nominata la corte col Castello e chiesa di S. Ilario in Aquaria compresa (allora) nel piviere di Rignano.
    Anche il nome di Cassia restato alla contrada, dove trovasi l'antica pieve detta a Cascia, potrebbe servire di appoggio a coloro che hanno opinalo chiamarsi Via Cassia non solo la strada da Chiusi a Firenze, aperta sul Iato sinistro del Val d'Arno superiore, ma ancora quella che fece tracciare il Cons. C. Flaminio alla destra dell'Arno. Passalo il qual bacino la Via suddetta entrare doveva in Val di Sieve, per valicar l'Appennino del Mugello, e
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    arrivare a Bologna senza toccare il Vald'Arno fiorentino, e senza passare da Firenze. – Altronde che la Via Cassia aperta dall' Imperatore Adriano dai confini di Chiusi a Firenze fosse tracciata alla sinistra dell'Arno, non ne lascia dubbio la notizia, che essa entrava in Firenze per il borgo S. Niccolo e Via de'Bardi, dove fu una delle porte del secondo cerchio denominata Porta Romana, e di là attraversando l'Arno sull' unico ponte, che prese il titolo di Vecchio, entrava nel primo recinto della città, passando per Por S. Maria, Calimala e Porta del Duomo.
    In conclusione, che una Via Cassia fino dall'età di Cicerone passasse in mezzo alia Toscana antica, circoscritta fra il Tevere, l'Appennino, l'Arno ed il Mare, non ne lascia dubbio lo stesso oratore romano, ma tengo opinione altresì che quella Via fosse diversa affatto dall'altra portata da Chiusi a Firenze dall'Imperatore Adriano dopo il suo terzo consolato, corrispondente all'anno 120 di G.C. (di Roma 873) come lo dichiara la colonna di travertino esistente in Firenze nel cortile dell'Opera del Duomo, ma che all'età del Borghini si trovava in Monte pulciano. – (MANNI, Dissert. sull'antichità del Ponte vecchio.)
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Localizzazione
ID: 1290
N. scheda: 16410
Volume: 1; 2; 5; 6S
Pagina: 713 - 725; 415; 705, 709, 713 - 715; 74
Riferimenti:
Toponimo IGM: Chiusi
Comune: CHIUSI
Provincia: SI
Quadrante IGM: 121-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1740212, 4766970
WGS 1984: 11.94869, 43.019
UTM (32N): 740276, 4767144
Denominazione: Chiusi - Gavina, Gavinea - Vescovati della Toscana (Chiusi) - Via Cassia Vecchia e Nuova
Popolo: S. Secondiano a Chiusi
Piviere: S. Secondiano a Chiusi
Comunità: Chiusi
Giurisdizione: Chiusi
Diocesi: Chiusi
Compartimento: Arezzo
Stato: Granducato di Toscana
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