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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Fiesole - Vescovati della Toscana (Fiesole) - Cave di Marmi

 

(Fiesole)

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    FIESOLE ( Fesulae ). Città antichissima, di cui sussistono da tre lati i resti delle ciclopiche sue mura, ridotta quasi al niente per scarsezza di abitazioni, mentre le sue pendici di chiese, di monasteri, di ville e di storici palazzi sono ripiene. È capoluogo di Comunità, residenza di un potestà minore sotto la cancelleria criminale di Firenze, sede di un antico vescovato, nel Compartimento fiorentino.
    Risiede nel grado 28° 57’ di longitudine, 43° 48’ 7” di latitudine, a 575 braccia sopra il livello del Mediterraneo, calcolato dal prato davanti il convento de’Frati Francescani, dov’era l’antica rocca, sopra un continuato poggio di duro macigno, alle cui falde scorre dalla parte di maestro e ponente il torrente Mugnone , mentre poco lungi dalla sua base meridionale passa il fiume Arno di mezzo a Firenze, che appena è tre miglia discosta dalla sua madre patria.
    La sua origine è cotanto remota che si è perduta fra la caligine dei secoli, ad onta che molti abbiano tentato d’indagarla nell’etimologia del suo nome, appoggiandosi benespesso a favolose novelle, talvolta ad archeologiche congetture e quasi sempre ad intuizioni poetiche e immaginarie, per darle una nascita remotissima, sublime; in guisa tale che per avventura non le mancò che un Virgilio per far di Fiesole l’Alba di un’altra Roma.
    Per verità le vicende storiche di Fiesole e del suo contado collegansi, e sotto alcuni rapporti s’immedesimano in guisa con quelle più vetuste di Firenze, che non si può ragionevolmente far di manco di riepilogare le più essenziali, onde farle servire di esordio e di appoggio alla storia sull’origine ed incremento della sua bella figlia Firenze.
    Fiesole da molti secoli smantellata e disertata, non già per asprezza di clima, o incomodità del sito, che di questo più salubre né più temperato o più ameno si potrebbe da ogni altra città desiderare, ma per la prossimanza grandissima a Firenze che insieme con le ricchezze le più influenti famiglie a sé
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    richiamò, Fiesole, come dissi, non presenta altre vestigie della sua antica importanza se non che la celebrità del nome accompagnata dai momentosi ruderi delle sue muraglie, mentre ogni altro avanzo di vecchi edifizj, che si additano come i più vetusti, appartengono ai tempi del romano impero, senza dire di quel più che ivi si conta di un’età posteriore.
    Di Fiesole etrusca non ne sappiamo niente più che di Luni e di Tiferno, tutte tre città, al pari di Lucca, sul confine o sulle porte dell’Etruria; siccome fu distinta più specialmente questa di Fiesole dal romano oratore. A tale dichiarazione accrescono fede Polibio e Strabone, il primo dei quali accertò, che i Liguri, ai tempi di Annibale, occupavano la catena dell’Appennino dall’uno all’altro fianco, a partire dalla sua origine sino ai confini del territorio di Arezzo, segnando l’Arno per linea di demarcazione fra il loro paese e quello degli Etruschi.
    Né molto diversamente da Polibio si espresse il greco geografo, tostochè pose la Liguria nelli stessi Appennini fra la Gallia Cispadana e l’Etruria, e tostochè ciroscrisse quest’ultima regione fra le radici meridionali dell’Appennino, il corso del Tevere e il mare inferiore, detto perciò Tirreno , o Toscano . (STRABON. Geogr. lib. V).
    Non è da dire per altro che il corso preciso dell’Arno fosse da un lato la linea costante di demarcazione dell’Etruria con quella de’Liguri, siccome non può dirsi, che in tutti i luoghi il Tevere dividesse la regione degli Etruschi dall’Umbria, dalla Sabina e dal Lazio.
    Essendoché i popoli dell’Etruria propriamente detta, parlando dei tempi preaccennati, tennero dal lato occidentale l’una e l’altra riva dell’Arno con il paese intorno; e dal lato orientale sembra che in qualche luogo oltrepassassero le sponde de Tevere. Rapporto alla prima parte, ne abbiamo la prova in Pisa e nel territorio di Luni, che sino al Golfo della Spezia con l’Etrusca regione negli ultimi tempi della Romana Repubblica si estendeva; lo dichiara la città
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    di Fiesole che fu sempre degli Etruschi, sebbene situata con una gran parte del suo contado fra l’Appennino e l’Arno, mentre dalla parte del Tevere può citarsi Tiferno (Città di Castello) che fu una volta degli Umbri, e quindi a’tempi di Plinio riguardavasi per città Etrusca.
    Lasciando però di Fiesole le cose antichissime e più favolose che simili al vero, come dette abbastanza da altri; che ella fosse una delle prime città edificate in Italia, se non una delle 12 capitali della Toscana; che si governasse come le altre con leggi proprie e a modo delle repubbliche; che soggiacesse al pari di Arezzo, di Chiusi, di Volterra, e forse all’età medesima (circa l’anno U. C. 474) al dominio dei Romani, non vi ha cagione da dubitarne, ne motivo da riandarvi sopra.
    Altronde sarebbe inutile il retrocedere verso quell’età che trascorse dall’Etrusco dominio a quello della Romana repubblica, giacché la prima volta che sentesi rammentare Fiesole, ma appena per incidenza dai greci o romani scrittori, è nelle Antichità Romane di Dionisio di Alicarnasso, all’anno 309 innanzi G. C., ossia 444 dopo la fondazione di Roma. – Quasi un secolo più tardi si trova di Fiesole un cenno remoto in Polibio, all’anno 225 prima di G. C. e 528 di Roma, allorché, sotto il consolato di L. Emilio Papo e di C. Attilio Regolo, egli discorre della battaglia data dai Galli presso Chiusi. Vicino a quest’ultimo tempo (anno 217 prima di G. C.) ne fa menzione T. Livio ( Histor. Rom. lib. XXII) quando racconta il passaggio di Annibale dalla Gallia Togata nella Toscana, attraversando l’Appennino de’Liguri, e quindi la fertile regione dei campi Etruschi tra Fiesole e Arezzo; e un anno dopo, al dire di Silio Italico ( De Bello Punico . lib. III) una coorte di Fiesolani, paese che aveva sommo credito nella scienza aruspicina, si trovò tra le file romane alla battaglia di Canne:
    Adfuit et sacris
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    interpres fulminis alis
    Faesula.
    Finalmente Cicerone più a lungo si trattiene a discorrere di quel Manlio amico e capo della congiura di Catilina, che apparteneva a una potente famiglia della colonia Fiesolana stabilita da Silla sul territorio tolto agli antichi abitatori di quel municipio.
    Quali, quanti e dove fossero i predi Fiesolani pubblicati e consegnati ai fautori e ai legionarj di Silla, mancano documenti per asserirlo, siccome egualmente muta è rimasta la storia rapporto alla quantità e ubicazione dei terreni della novella colonia Fiorentina dedotta appena 40 anni dopo la Fiesolana, che tanti a un circa ne corsero dalla dittatura di Silla alla vittoria di Perugia, quando Cesare Ottaviano vincitore dei suoi colleghi risolse di saziare l’ingordigia di 170.000 soldati a danno degli erarj comunitativi, del tesoro sacro, delle proprietà private che togliere si vedevano agli antichi coloni, ai cittadini dei municipj, ai più ricchi ed ubertosi territorj della città d’Italia, senza dare e senza promettere la minima retribuzione a chi ne restava spogliato ed afflitto.
    Le violenze dei Sillani, rapporto alla nostra Toscana, contro i possessori indigeni degli antichi contadi di Fiesole, di Volterra e di Arezzo, furono senza dubbio di gran lunga minori di quelle che vennero esercitate dai veterani di Augusto. I quali si erano resi già padroni delle nostre Maremme col pretesto di custodire il littorale dalle scorrerie de’corsari sotto il comando di Sesto Pompeo.
    Pacofica cittadini d’ogni classe e di ogni età si videro in quelli anni andare raminghi e tapini per le vie, spogliati di sostanze, di abitazione e di poderi. La desolazione e le lacrime delle madri, de’fanciulli e dei vecchi che da ogni parte accorrevano a Roma per chiedere giustizia da un impotente e servile senato, furono con tali e sì forti colori dipinte nelle loro istorie da Dione Cassio e da Appiano Alessandrino, che fanno inorridire chiunque ha sentito di equità.
    Un’egual sorte dové toccare ai Fiesolani, fossero stati essi
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    seguaci del compresso partito di Pompeo, o di qualche estinto rivale di Ottaviano. Avvegnaché simili occupazioni delle sostanze altrui si operassero, dirò, quasi senza legge e senza regola, per quanto una in apparenza dai condottieri della colonia fiorentina se ne invocasse (la legge Giulia ): così non sarebbe, fuori di ogni ragione, chi ricercasse in sì fatta divisione del territorio fiesolano a favore della colonia fiorentina la prima origine e istituzione di quest’ultimo contado.
    Infatti se si dà un occhiata alla situazione e vicinanza di Firenze alla sua madre patria, alla reciproca promiscuità dei due territorj posti in una istessa romana tribù ( ERRATA : la Sapinia ) (la Scapzia ), promiscuità che si mantenne nei secoli posteriori, non vi è ragione che vaglia a contradire chi dicesse: che da tale divisione fosse costituito il contado fiorentino in mezzo al fiesolano, sanzionato in seguito dal governo politico imperiale, e con solenne suggello confermato, allorché furono stabiliti i confini e le giurisdizioni respettive delle due diocesi ecclesiastiche. – Vedere DIOCESI di FIESOLE.
    Sul quale proposito, diceva opportunamente il Borghini nei suoi Discorsi sull’Origine di Firenze «si viene a scoprire a poco a poco esser con ragione quel che a molti pare sconvenevole, di trovare cioè collocate queste due terre (Fiesole e Firenze) così vicine, e che ebber diversi tempi e cagione.»
    Ma lasciando per ora questo a parte, ciò che reca maggior fastidio si è l’incertezza in cui ci troviamo tuttora, non essendovi istoria o altro documento che ci dica a un dipresso: in che grado restasse Fiesole dopo questi ultimi travagli recati dai soldati di Ottaviano, se colonia anch’ella come era prima, oppure mutasse allora di condizione, e ritornasse allo stato di municipio.
    Pertanto che a Fiesole fossero rimasti i diritti della cittadinanza romana non ne lasciano dubbio le autorità di pietre scritte e le parole espresse da antichi autori. Delle prime fece tesoro il proposto Gori
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    nelle sue descrizioni delle città di Etruria, alcune delle quali riferiscono ai soldati fiesolani appartenuti alle coorti pretoriane, o alle romane legioni. – In quanto ai secondi, racconta Plinio il vecchio di un Cajo Crispino Ilario cittadino di Fiesole della classe ingenua del popolo, che, nell’anno trentesimo dell’impero di Augusto, fu veduto con grande maraviglia de’Romani, agli 11 di aprile salire in Campidoglio per offrire vittime, preceeduto da una processione di 74 tra figliuoli, nipoti e bisnipoti; fenomeno singolare che meritò di essere negli atti pubblici registrato.
    Un segno poi materiale e solenne che, dopo la deduzione della colonia fiorentina, Fiesole rimanesse in qualcuno dei due gradi, voglio dire, di colonia o di municipio, ce lo dà a conoscere il suo teatro di costruzione posteriore alla deduzione della colonia Cesariana a Firenze.
    Dal qual genere di pubblici edifizj si può arguire, non tanto della esistenza politica di Fiesole sotto il romano impero, quanto della popolazione, grandezza, nobiltà e lustro in cui la stessa città a quell’epoca si manteneva. – Ma soprattutto la più eloquente riprova per la parte politica si è questa, di avere Fiesole conservato sempre il nome di città, la giurisdizione sua propria, e di essere la sede di uno dei più antichi vescovati della Toscana, istituito in un tempo, in cui il circondario civile di una città soleva servire di norma e di limite a quello della giurisdizione ecclesiastica.
    Se peraltro l’istoria di Fiesole a’tempi Etruschi e Romani sterile di fatti si presenta anzi che nò, essa anche più incerta e languida diviene nell’età posteriore; per modo che in mezzo a questo bujo, dove non si può camminare per la pesta, conviene andare a tastoni il meglio che si può, e sempre a gran rischio di incontrare dei precipizj.
    Ognuno sa, che nella prima invasione dei Goti e dei Sciti in Italia, quasi appena incominciato il quinto secolo dell’era volgare, allorché Radagasio con numerosa orda di barbari penetrò nella Toscana, già
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    occupava Fiesole e i suoi contorni, quando gli si fece incontro il gran Stilicone per costernarlo. Imperocchè nei monti fiesolani Radagasio con tutte le sue genti venne assediato, vinto e preso. Tanto e sì copioso fu il numero dei prigioni fatti in tale strategica, che dai vincitori si venderono ai paesani per pochissimi denari a guisa di pecore. Sennonché una fierissima epidemia, sopraggiunta ai patimenti sofferti, ritolse ai compratori quel nuovo acquisto di servi opportuno a ripopolare le già deserte campagne; e l’ora estrema della vita politica di Fiesole era già per battere, siccome andava con essa ad avvicinarsi quella della caduta dell’impero d’occidente.
    Imperocché la malaventura di Radagasio non bastò a tenere in freno, o neghittose, fiere tribù della nordica regione, le quali, avendo radunato nuove e copiosissime milizie, tornarono a combattere l’armata dei Greci in Italia.
    Stavasi il re Vigite coi suoi Goti, l’anno 539 dell’E. V., studiando la maniera di mantenersi in possesso delle provincia italiane, mentre l’imperatore Giustiniano faceva ogni possa per riconquistarle con rinfrescati eserciti che affidò al comando del gran Belisario.
    Era in quel tempo la città di Fiesole talmente forte e sì ben difesa, che il greco generale d’armata dovette distaccare dal suo esercito due valenti ufficiali, Cipriano e Giustino, per eseguirne un formale assedio, nel tempo che egli investiva la città di Osimo. Infatti dopo molto tempo e fatiche, venne fatto ai due capitani sunnominati di costringere il presidio di Fiesole per penuria di vettovaglia a capitolare la resa.
    Qual sorte toccasse a questa città dopo la sua caduta (dall’anno 539 in poi) la storia non lo dice, né più la rammenta come luogo atto alla difesa. Parla bensì all’anno 542 della vittoria riportata da Tolita sopra i Greci, e di ciò che avvenne in conseguenza di quella, quando il re dei Goti spedì un esercito in Toscana per assediare Firenze, alla cui difesa era quello stesso capitano Giustino che poco prima aveva conquistata la città
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    di Fiesole. E fu per soccorrere precisamente Firenze che il generale in capo Belisario distaccò tre divisioni, le quali investirono e vinsero l’armata de’Goti nella contrada del Mugello.
    Pare da ciò, che, ad onta della capitolazione onorevole del 539, indicata da Procopio, di conservare la vinta Fiesole, questa venisse dal comandante Giustino smantellata, e più che altrove dal lato che guarda Firenze, (siccome da questa parte tuttora appariscono minori le vestigie delle sue muraglie) per fare probabilmente d’allora in poi di Firenze un nuovo punto militare.
    Ad onta però degli sforzi ch’ebbero a fare le armate dell’imp. di Costantinopoli, a fine di ritogliere ai barbari i paesi d’Italia, non giovarono essi contro il valore di Totila, al quale arrise la vittoria tanto, che occupò quasi tutta la penisola. Per riconquistare la quale Giustiniano dopo il richiamo di Belisario a Costantinopoli, inviò l’eunuco Narsete, come colui che si presumeva assai pratico e più abile dell’altro duce negli affari d’Italia.
    E ben corrisposero i fatti all’aspettativa; imperocchè vinto e disfatto l’esercito di Totila con la morte del re, e poco appreso anche Teja che gli era succeduto al trono, arrivò l’anno 553 quando Narsete aveva già riconquistate tutte le città della Toscana, ad eccezione di Lucca, che sola per tre mesi osò far fronte al favorito di Giustiniano. Nel numero delle città già state in mano ai Goti, e che si sottoposero senza resistenza a Narsete, furono Volterra, Pisa e Firenze, senza rammentare più Fiesole, che per la situazione montuosa e isolata, per la fortezza delle sue mura e della sua rocca, nel 539 valutavasi da Vitige come un baluardo da poter far fronte all’armata di Belisario.
    Dal semplice cenno di tali cose di fatto ognun può da per sé stesso conoscere, quando sia da prestar fede e quei che le carte empion di sogni , come sembra che fossero gli autori di certe leggende circa il modo con cui dai Fiorentini,
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    nell’anno 1010, fu sorpresa e abbattuta la città di Fiesole all’occasione della festa di S. Romolo, e come da quell’epoca solamente fosse fatto del fiorentino e del fiesolano un solo contado.
    Avvegnachè, senza aver duopo di rammentare che la cattedrale di Fiesole, dove si conserva il corpo di S. Romolo, esisteva quasi un miglio fuori delle etrusche mura fiesolane, altri documenti ne avvisano, essere stato assai prima del mille il contado fiesolano aggregato, se non immedesimato, a quello di Firenze, quando

    Già era il Caponsacco nel mercato
        Disceso giù da Fiesole.

    Lascerò ai più diligenti e più esperti di me il considerare, se tale aggregazione de’due territorj preaccennati possa rimontare all’epoca della distruzione del regno de’Goti, nel tempo in cui l’imperatore Giustiniano, che al dire del gran vate Alighieri

    Dentro alle leggi trasse il troppo e il vano,

    nel tempo, dissi, che ordinava nuova ripartizione territoriale delle provincia d’Italia, e che probabilmente erigeva con provvisione parziale i subalterni distretti di alcune città.
    Né io saprei qual divisione giurisdizionale sotto quell’imperatore fosse stata messa in campo e quindi adottata, comecchè di un regolamento politico introdotto nell’interregno corso fra l’espulsione dei Goti e l’entrata dei Longobardi in Italia (dal 553 al 568) si trovi un cenno in Paolo Diacono e nel Pontificale Ravennate.
    Dalla guerra gotica in poi la storia può dirsi taciturna intorno a Fiesole; e quel poco, che ad essa riferisce, sembra limitarsi alle vicende della sua chiesa episcopale. Avvegnachè Fiesole, dopo l’anno 539, si rammenta appena, e quasi sempre per incidenza, ora sotto nome di città fiesolana , ora di un semplice castello e talvolta di corte .
    Infatti negli atti della vita di S. Alessandro vescovo di Fiesole si viene a scoprire, che sino alla prima invasione dei Longobardi furono tolti molti beni alla mensa vescovile fiesolana, per cui il sant’uomo ricorse personalmente al sovrano.
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    Esaudite le istanze del re Autari, ritornava Alessandro alla sua sede con il real privilegio, quando per malvagità degli usurpatori delle sue rendite, fu gettato da essi nel Regno bolognese, ove colse la palma del martirio.
    In che lacrimevole stato sul declinare del secolo medesimo fosse ridotta la mensa vescovile di Fiesole, lo disse il pontefice S. Gregorio Magno in un’epistola a Venanzio vescovo di Luni, (lib. VIII, epistola 44) cui raccomandava di soccorrere quella chiesa caduta in povera fortuna; comecchè a tante bisogne non potesse riparare il meschino soccorso di pochi soldi che con quella lettera si domandavano.
    La storia cronologica dei vescovi di Fiesole è interrotta al pari di quella del suo regime civile e amministrativo, a partire dal principio del secolo VIII sino quasi la metà del secolo IX; giacché più non si trova alcun prelato che sedesse in quella cattedra, fuori del vescovo Teodaldo. Il quale preside comparve nel 715 a Siena come testimone nella causa fra il vescovo di quella città e il gerarca aretino. Dopo Teodaldo non si affaccia altri che Geusolfo vescovo Fiesolano sottoscritto al concilio Romano preseduto al pontefice Eugenio II, nell’anno 826.
    Nell’anno 844 il santo vescovo Donato di Scozia recossi dalla sua sede di Fiesole a Roma trovandolo presente all’incoronazione di Lodovico II figlio di Lotario I: e colà lo stesso Donato due altre volte ritornò per assistere cioè, nell’853, al concilio Lateranense celebrato ott’anni dopo (861) sotto il pontificato di Niccolò I.
    E qui cade il destro di rammentare il più antico arcidiacono, fra quelli conosciuti, della cattedrale di Fiesole, in quel S. Andrea di nazione scozzese, il quale insieme col suo pastore S. Donato pure di Scozia, edificò il monastero di S. Martino a Mensola, e nella di cui chiesa gli fu poi dedicata una cappella per venerare le sue reliquie. – Vedere MENSOLA (S. MARTINO a).
    In questo frattempo, per il lasso di circa 130 anni,
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    non riuscì tanpoco all’eruditissimo Borghini di trovare memoria che in sì lungo intervallo mostrasse alcun vescovo di Firenze, meno fortunato in ciò dell’Ughelli e del Cerracchini, i quali infra cotesto spazio di anni scuoprirono due altri vescovi della chiesa fiorentina.
    Ma della decadenza e miseria della cattedrale fiesolana ne fornisce nuovo argomento, sebbene meno antico di quello poco sopra rammentato, un diploma dell’imperatore Guido, spedito in Pavia li 26 marzo dell’anno 890, col quale si concedono a Zanobi vescovo di Fiesole per la sua cattedrale varie corti e terreni, compresa la villa di Sala (attualmente Saletta) posta di là da Fiesole, e che dichiara situata in comitatu Fesulano et Florentino.
    Delle quali espressioni sembra apparire, che i due contadi fiorentino e fiesolano, già da quel tempo, e forse da molti secoli innanzi, erano riuniti ad una medesima giurisdizione civile, sotto il capo del governo della provincia, ch’era il conte di Firenze.
    Né questo è il solo fra i molti esempj che avrei da poter mettere in campo, se fosse questo altro libro che un dizionario istorico, onde persuadere il lettore, che tale riunione dei due distretti (fiorentino e fiesolano) non avvenne la prima volta nell’anno, o poco dopo l’anno 1010, siccome fu immaginato nella leggenda copiata da Ricordano Malespini e ripetuta da Giovanni Villani. Sceglierò peraltro fra i documenti più opportuni a provarlo tre carte della badia di Passignano, le quali ci offrono altrettanti esempj solenni per farci conoscere il contrario di quel che finora intorno a ciò fu supposto.
    La più antica pergamena riguarda un istrumento del 27 marzo 903, rogato nel monastero predetto; la seconda è scritta nel mese di maggio 986 a Castiglione nel territorio fiorentino, e la terza nel marzo del 994, dettata in Ricavo in Val di Pesa, le quali tutte dichiarano di esser fatte nel contado , o giudicaria fiorentina e fiesolana.
    Come andassero la
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    bisogne, e in quale stato si trovasse la città di Fiesole prima del ( ERRATA : 6 agosto) 6 luglio 1010, lo diranno quei pochi canonici della cattedrale e di S. Alessandro, allorché, nel 967, interrogati dal loro vescovo Zanobi II di tal nome, per qual ragione essi fossero cotanto scarsi di numero, risposero: per la distruzione e dissipazione dei beni della chiesa fiesolana, che a quel tempo trovavasi affatto smunta, desolata e in rovina.
    Commosso da tanta miseria il pio prelato con pubblico istrumento assegnò al predetto clero diversi terreni a Montefanna , la metà delle entrate spettanti alla chiesa di S. Maria Intemerata (poi S. Maria Primerana) posta in mezzo alla città di Fiesole, e oltre a ciò un podere denominato il Campo Marzo , ch’era situato presso il fiume Mugnone con altro campo posto in luogo detto ad Putes (forse le Puzzelle ) presso la chiesa cattedrale di S. Romolo. La quale donazione fece il prelato a condizione, che i preti inservienti le due chiese maggiori (il Duomo e S. Alessandro) vivessero in comune nella canonica sotto la direzione di Pietro preposto e nel tempo stesso arciprete di quel capitolo. Era forse quello stesso Pietro che succedé a Zanobi II nella sede fiesolana, e che nel 984 ottenne due privilegi dall’imperatore Ottone III. Col primo diploma, dato li 27 luglio nella città di Cassano in Calabria, l’imperatore confermò la donazione fatta dal vescovo Zanobi al suo capitolo, aggiungendovi inoltre altri quattro poderi, due dei quali posti in S. Gaudenzio, il terzo a Trespiano e il quarto nella villa di Terenzano. Con l’altro privilegio, firmato nella città di Rossano, pure in Calabria nel dì 31 luglio dello stesso anno, fu assegnato alla cattedrale fiesolana il giuspadronato del monastero di S. Salvatore in Agna presso Pistoja con tutti i suoi beni. Il qual privilegio venne poi confermato nel 1027 dall’imperatore Corrado II a
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    favore di Jacopo Bavaro, di quel vescovo che con bolla del 25 febbrajo 1028 trasportò dentro Fiesole, col titolo, le reliquie dell’apostolo S. Romolo dall’antico duomo, ch’era situato alle falde del poggio, trasformando quel locale in una badia. – Vedere ABAZIA FIESOLANA.
    Allo stesso vescovo Jacopo Fiesole deve l’attuale cattedrale, monumento insigne che terrà in pregio e viva, finché sarà per durare, la storia del medio evo relativa a cotesta città. La quale poco mancò che 120 anni dopo non restasse anche priva della sede vescovile, e in conseguenza del nome che solo le resta di città; se la Repubblica fiorentina non si opponeva alle mire del vescovo Rodolfo II, quando egli voleva fare di Figline una nuova città episcopale, col trasportare in quella chiesa parrocchiale la cattedra di Fiesole. – Vedere FIGLINE nel Val d’Arno superiore.
    Non corsero però grandi anni che la Repubblica fiorentina ad istanza del pontefice Gregorio IX, nel 1228, cedé ad Ildebrando vescovo di Fiesole per sé e per i suoi successori il libero possesso e la piena giurisdizione della chiesa di S. Maria in Campo dentro Firenze, obbligandosi a fabbricarvi un palazzo annesso per residenza libera dei vescovi fiesolani; e così offriva alla storia ecclesiastica l’anomalia di trovare dentro la stessa città due vescovi e due cattedre, come nei tempi anteriori si trovarono due municipj e quindi due contadi riuniti in uno solo. – Vedere FIRENZE.
    A ravvivare il lustro e le glorie di Fiesole, apparve verso la metà del secolo XIV il santo vescovo Andrea Corsini, che ridusse (13 ottobre 1350) a monastero di donne sotto la regola di S. Agostino quello delle romite di S. Maria del Fiore a Fontechiara , posto nel pinnacolo del poggio dove fu la rocca fiesolana, nelle case fabbricate a tal uopo dal fiorentino Lapo di Guglielmo loro benefattore.
    Tale istituzione e conversione di case sparse in un monastero con
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    clausura, fu preceduta da una sentenza data in Firenze li 3 aprile del 1348 nella cappella del palazzo del Comune, presenti il gonfaloniere di Firenze Francesco di Lapo di Giovanni e Manno Pagni degli Albizzi priore delle arti, nel tempo che era potestà mess. Quirico di mess. Cardolo da Narni. La qual sentenza fu proferita dal magistrato degli otto uffiziali della Torre, ivi nominati, dopo un’inquisizione e procedura promossa sino dal 20 gennajo ultimo passato (anno 1347 stile fiorentino), ad oggetto di ricuperare tutti i beni in qualsiasi modo appartenenti o appartenuti al Comune di Firenze; et maxime quoddam terrenum, sive summitatem podii super quo consuevit esse rocca de Fesolis, quod terrenum vulgariter appellatur la rocca di Fiesole, et positum est in populo canonicae Fesolanae loco dicto di sopra a Sancto Allesandro, cui a primo est eccl. S. Allesandri, a secundo, tertio et quarto ECCLESIAE CANONICAE FESOLANAE, ET IN PARTEM EPISCOPATUS FESOLANI… habitoque super illis colloquio cum dominis Prioribus Artium et Vexilli fero Justitiae, vigore autoritatis et baliae nobis in hac parte concessarum etc. , dichiarano e sentenziano, che il terreno dove fu la rocca predetta con tutte le sue dipendenze doveva appartenere al comune di Firenze, ammeno che i canonici di Fiesole non mostrassero che fosse stato da essi a nome della loro chiesa legittimamente comprato dagli uffiziali del Comune stesso, aventi balia di ciò, salvo il diritto di Lapo di Guglielmo per gli edifizi ivi fabbricati. (ARCH. DIPL. Mon. di Lapo. ).
    A mostrare però i diritti di quel capitolo sopra il terreno dove fu la rocca fiesolana, pare che non bastasse il contratto del 12 dicembre 1335, col quale il canonico fiesolano Jacopo Frescobaldi, priore di S. Jacopo oltr’Arno di Firenze, alienò al capitolo della cattedrale di Fiesole e per esso a Filigno proposto della chiesa fiesolana (poi vescovo nel 1337) un pezzo di terreno di sua proprietà posto nella sommità del monte di
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    Fiesole, in loco ubi antiquitus esse consuevit, et situata fuit rocca Fesolanae civitatis, confinatum a prima parte via, a secunda tertia et quarta canonicae, sive dictae ecclesiae Fesolanae, et jus dominii et proprietatis domorum et quorumlibet edificiorum super dicto petio terrae constructorum, salvo jure omnium Heremitarum inhabitantium in eis, etc. ; il quale possesso fu alienato per il prezzo di fiorini 200 d’oro (l. c.).
    Aveva però la chiesa fiesolana e il suo capitolo altro più antico e non meno solenne documento da mettere in campo nella bolla del pontefice Pasquale II, spedita gli 11 marzo del 1103 a Giovanni vescovo di Fiesole, mercé la quale gli fu confermato il dominio episcopale e dominicale della rocca, e della città Fiesolana. Che il capitolo ottenesse la vittoria in tal conflitto, si può arguire dal continuo possesso, o dal diretto dominio in cui, dopo il corso di tanti secoli, tuttora si trova la canonica fiesolana del suolo e del poggio dove fu la rocca, del foro di Fiesole, delle vetuste muraglie e del pomerio della città. Ma le espressioni di tutte quelle bolle pontificie, nelle quali si tratta di confermare il diritto possessorio di beni già altre volte donati, appellano naturalmente a un precedente privilegio perduto, e che dové necessariamente accordarsi alla chiesa fiesolana da qualche imperatore o re d’Italia. – Accadde costà per modo d’esempio lo stesso di quello che si praticò dall’imperatore Federigo I, verso il vescovo di Luni allorché, nel 1164, donava qual sacco d’ossa le spoglie di quel corpo estinto, compresovi il circuito delle sue mura, il diruto anfiteatro, e la spiaggia di Luni. Cosicchè ciò che dalle leggi civili era stabilito come proprietà pubblica diventò allora una proprietà privata di un corpo morale.
    Ma la più favorevole riprova, in appoggio al nostro assunto storico, si è quella di farci vedere, mediante la bolla di Pasquale II, che, nell’anno
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    1103, la rocca fiesolana era dirotta al niente; cioè, quella rocca medesima da Giovanni Villani raffigurata 22 anni dopo (nel 1125) difesa da gentiluomini, e in tale e sì valido stato, che solamente dopo un lungo assedio fu presa dai Fiorentini per diffalta di vittuaglia degli assediati: che per forza mai, egli soggiunge, non l’avrebbero avuta, e fecionla tutta abbattere e disfare infino alle fondamenta, con decreto che mai in sù Fiesole non s’osasse rifare niuna fortezza. ( Cronic. fior. lib. IV, c. 32)
    Se tali documenti sincroni sono sufficienti a rettificare e presentare nel suo vero aspetto la storia, non starò a rispondere a tutti quelli che hanno servilmente adottato gli aneddoti storici anteriori all’età di Giovanni Villani, scrittore altrettanto semplice e di buona fede, da ammettere per vere leggende antiche, quanto egli era preciso e veridico nel descrivere gli avvenimenti accaduti alla sua età.
    Monumenti Etruschi e Romani tuttora esistenti in Fiesole. – Di questi, e di altri molto meno vetusti edifizj di Fiesole e dei suoi contorni fece raccolta, e dipinse le vedute nel 1814, l’autore dell’Itinerario di una giornata d’istruzione a Fiesole, che in aggiunta alle Lettere fiesolane del canonico Angelo Maria Bandini, e del Viaggio pittorico dell’abate Francesco Fontani, mostra al curioso, anche lungi dalla città di Fiesole, di qual forma, di quanta mole, e quali siano gli avanzi delle etrusche sue mure; di qual forma e a quanti ordini di muraglie fosse la distrutta rocca fiesolana. – Da questi disegni, assai meglio che sulla faccia del luogo, potrà il curioso riscontrare i ricoperti ruderi e sostruzioni del teatro fiesolano, poco al di sotto della cattedrale, mentre più lungi di là gli si additano gli avanzi di romani acquedotti e la fonte-sotterra .
    Il monumento però, se non più antico di tutti, il meglio conservato e più di ogni altro venerato e pregevole, è la basilica che i Fiesolani dedicarono al loro
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    santo vescovo Alessandro.
    In questo tempio si veggono in posto e quasi che intatte 15 delle 18 colonne facienti ala al corpo di mezzo, le quali dividono la fabbrica in tre corpi o nevate.
    Quantunque a noi manchino documenti coetanei per potere affermare che sia stato questo in origine un tempio pagano, ridotto in seguito per l’uso della religione cristiana; pure, allorché si riflette alla conservazione, al numero e uniformità delle sue colonne di uno stesso marmo Caristio , le quali si sarebbero senza dubbio rotte, se fossero cadute e poi state rialzate da qualche abbattuto edifizio; qualora si consideri che il pavimento interno dell’attuale basilica fu riscontrato assai più depresso del piano esteriore; e che davanti alla sua platea in tempi remotissimi erano state artatamente scavate nel macigno tre grandi buche a cilindro rovesciato, reputate favisse , e per tali ammesse dall’architetto Giuseppe del Rosso, e dal prof. Sebastiano Ciampi illustrate; tali e forse altre ragioni ch’io non produco, possono far credere, che la basilica di S. Alessandro, innanzi che si convertisse in chiesa del Cristianesimo, e in sotto-matrice della cattedrale dedicata la prima volta a S. Pietro in Jerusalem , che essa chiesa, io diceva, fosse stata una basilica o loggiato anticamente esistito presso un tempio pagano.
    Fra gli avanzi delle opere romane, trovati, ed esistenti ancora in Fiesole, si potrebbe indicare all’archeologo un’ara, o piuttosto una base di marmo bianco lunese servita a qualche statua tuttora fuori dalla basilica di S. Alessandro, nella quale fu scolpito in carattere dei buoni templi il titolo in più linee rimaste mozze per un’incassatura rettangolare statavi aperta a un’epoca posteriore, onde riporvi qualche reliquia.
    Dovevano eziandio appartenere ad antichi edifizj i bassorilievi di pietra del paese, nel medio evo adoprati per servire di parapetto a un pozzo nel chiostro della canonica, dove possono vedersi attualmente nel muro sotto il portico. Non starò a dire di tanti altri cimelii in quei contorni
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    stati dissepolti, distrutti o impiegati in altri edifizj più moderni, ovvero trasportati nelle subiacenti ville, e molti di essi a Firenze, ove poterli contemplare quasi altrettanti monumenti gloriosi dell’antica patria. Conciossiaché del fasto e opulenza dei Fiesolani diede una solenne riprova il console Tullio Cicerone, per far conoscere al senato di Roma, quanto quei Fiesolani derivati dai coloni Sillani si dilettarono consumando le loro ricchezze in deliziosi poderi, in numerosi domestici, nell’imbandire sontuosi conviti, mentre per mania di fabbricare chiamavansi beati. (CICER. Catilin . II) – Vedere FIRENZE.
    Arroge a ciò la scoperta di circa 70 libre di denari d’argento trovati nel 1829, scassando uno dei poderi della villa Mozzi, entro l’antico recinto di Fiesole, accanto a un muro di pietre rettangolari, e a una sottostante cisterna di macigno del paese scorniciata a fiorami e teste infantili. Poco lungi di là furono pure dissotterrati alcuni loculi con monete di rame di Massimino imperatore (anno 235 dell’era nostra), mentre niuno dei denari d’argento scoperti nel primo nascondiglio era di conio posteriore all’epoca della congiura di Catilina. Tali giusti riflessi diedero a pensare al ch. antiquario R. cav. Zannoni, che un tal deposito fosse fatto da qualche pauroso o fuggitivo dopo la vittoria di Campo Piceno (anno di Roma 691).
    Monumenti scarsi del Medio evo. – Dopo la basilica di S. Alessandro, nella quale fu collocato il primo battistero di Fiesole sotto l’invocazione di S. Pietro in Gerusalemme (titolo equivalente a S. Pietro nel Giordano ossia nel Battistero ) succede per ordine di antichità la rimodernata chiesa di S. Maria Primerana , già S. Maria Intemerata , la di cui miracolosa immagine si venerava costà sino dal novecento, e forse anche prima.
    La quale chiesa è rammentata in un breve del vescovo Zanobi II, all’anno 967, allorquando egli donava al capitolo di Fiesole la metà dei beni spettanti
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    alla chiesa della Beata Vergine Intemerata , compresa una mansione posta ivi presso, e da esso lui acquistata per farvi l’abitazione col refettorio per il clero delle due chiese maggiori, cioè, la cattedrale di S. Romolo, e la basilica di S. Alessandro.
    La quale casa o canonica, dopo la costruzione dell’altra contigua all’attuale cattedrale, fu convertita nella sala municipale. (BANDINI. Lett. fiesol. ).
    La tavola dell’antichissima immagine della Beata Vergine Maria che si venera nella chiesa prenominata, porta il Gesù Bambino davanti al ventre; la qual maniera ci richiama alla persecuzione degli Iconoclasti sotto l’imperatore Leone Isaurico (anno 725-741). La chiesa medesima possedeva un quadro pregevole del Lippi, alienato da qualche anno. Vi si ammira tuttora nella cappella a cornu epistolae un bel basso rilievo di terra invetriata della Robbia.
    Ma il tempio più vasto è quello dell’attuale cattedrale, dove il vescovo Jacopo Bavaro nel 1028 trasportò con il titolo le reliquie di S. Romolo e di altri santi dal duomo vecchio appié del monte riunendovi il titolare della pieve di S. Pietro in Gerusalemme poco sopra accennata.
    Sebbene la forma di questa cattedrale assomigli in gran parte a quella della magnifica basilica di S. Miniato al Monte del re presso Firenze, tanto rapporto allo spartito della fabbrica in tre navate, quanto al coro collocato nel piano superiore alla confessione, ciò nondimeno non è da credere che tutto questo edifizio fosse compito durante la sede del vescovo Bavaro, mentre esso indica di essere stato accresciuto in tempi posteriori, e sino alla metà del secolo XIII.
    Infatti se si fa attenzione all’impiantito della chiesa posto a un livello di due braccia inferiore a quello del suolo esteriore che la circonda; se si esamina il materiale impiegato nei muri esterni, i quali muri, sebbene tutti dell’istessa pietra del paese, si veggono fatti di pezzi assai diversi per forma, per mole e per età; allorché si contempla
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    l’intera struttura della tribuna sopra la confessione, e quella della navata di mezzo fiancheggiata da 16 colonne di macigno (8 per parte) e sostenenti archi a sesto intero diseguali fra loro massimamente i più prossimi all’ingresso maggiore; se finalmente si posa l’occhio sui capitelli collocati in origine, o riportati posteriormente sopra quei fusti, alcuni dei quali sono di marmo bianco, ma sproporzionati al fusto che li sorregge, di ordine architettonico e di lavoro diverso, meno rozzo, e che mostrano di essere appartenuti a edifizj più antichi; tali ed altri riflessi danno adito a congetture, che la fabbrica della cattedrale eretta dal vescovo Bavaro continuasse per un lungo giro di anni. Infatti che sia stata essa rialzata e prolungata do mole dall’anno 1028 sino almeno al 1256, ce lo indica una memoria inserita in una colonna dello stesso tempio, mentre altra iscrizione nel pavimento superiore accenna l’anno 1213, in cui fu terminata la torre del campanile, innalzata sino a 70 braccia dal piano terreno per conto dell’Opera.
    Non parlo della facciata ch’è lavoro del secolo XIV compita in tempo del vescovo S. Andrea Corsini, la di cui cattedra ivi si conserva qual monumento di venerazione.
    Fra gli oggetti di arte più meritevoli da considerarsi costà sono le diligenti opere di Mino da Fiesole, che scolpì alla metà del secolo XV l’altare della cappella dirimpetto al deposito del vescovo Leonardo Salutati, il cui busto è pure lavoro dello stesso Mino.
    Nulla dirò del quadro creduto del Ghirlandajo, né degli affreschi di Nicodemo Ferrucci, perché sono pitture guaste e quasi perdute.
    Nel tempo che si edificava il duomo di Fiesole fu posta mano alla contigua casa della canonica, essendoché il vescovo Bavaro con bolla del 1032, dopo la dichiarazione di aver innalzato dai fondamenti la nuova cattedrale di Fiesole, voleva anco costruire contigua alla chiesa principale la canonica, affinché quel capitolo assiduamente vi dimorasse sotto la presidenza del proposto, professando vita regolare. (UGHELLI, In Episcop. Fesul. ).
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    /> La stessa canonica, dopo quattro secoli minacciando rovina, fu restaurata mediante una deliberazione presa nell’anno 1439. Del quale restauro e riparazione abbiano conferma in una pergamena appartenuta al convento di S. Francesco di Fiesole, ora nell’Archivio Diplomatico Fiorentino. È un istrumento rogato li 27 luglio 1439 nel popolo di S. Maria in Campo col quale mess. Salutato di mess. Coluccio Salutati proposto del capitolo di Fiesole, ad oggetto di provvedere alla riedificazione della canonica, comecché lo impedissero le gravezze imposte dal Comune di Firenze e dalla Sede apostolica, col consenso del capitolo fiesolano adunato in S. Maria in Campo, e con l’approvazione del vescovo Benozzo, vendé per il prezzo di fiorini 30 d’oro a Giovanni di Antonio Parigi per conto dei Frati di S. Francesco di Fiesole quattro pezzi di terra nella misura di staja 10 a corda, e staja 3 e un terzo a seme; le quali terre si dichiarano situate presso il preaccennato convento dei Francescani. (ARCH. DIPL. FIOR. l. c. ).
    Tale documento giova pertanto non solo a fissare l’epoca della ricostruzione della canonica prenominata, ma serve eziando a confermare la continuazione del possesso, a favore della chiesa di Fiesole, di quel poggio dove fu la rocca, non ostante la sentenza pronunciata li 13 aprile 1348 dagli ufficiali del magistrato della Torre per vendicare la cosa pubblica dello Stato.
    Eransi ritirate sino dal secolo XIII sul poggio dove fu la rocca fiesolana alcune romite, dette poi di Lapo dal benefattore che acquistò e donò loro il locale.
    Questo convento è situato sulla sommità del poggio più prominente di Fiesole verso occidente, da dove si vagheggia tutta la valle di Firenze, e i deliziosi colli che gli fanno fiorita corona. La fabbrica riposa sui fondamenti dell’ Acropoli , ossia della rocca di Fiesole. La quale rocca, secondo i riscontri istituiti sul posto parve all’architetto Giuseppe del Rosso, che avesse un triplice recinto di muraglie, l’ultimo dei quali abbracciava anche il tempio
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    già descritto di S. Alessandro.
    Sulla fine del secolo XIV, dopo che le monache di Lapo erano scese a piè del monte lungo il torrente Mugnone, in luogo chiamato Pietrafitta , dove abitano ancora, fu consegnato l’antico loro monastero ai frati Francescani della Riforma, che vi si stabilirono, al dire del Wadingo, sino dal 1399, o come vogliono i più, nell’aprile del 1407. Fu questo il primo convento dell’Osservanza di tutta la provincia Toscana di quei Religiosi, famigerato per gli uomini distinti di questa famiglia; fra i quali egli conta (in qualità forse di Terziario) un Niccolò da Uzzano illustre fiorentino, che destinò una parte del suo patrimonio a sollievo de’poveri e alla fondazione dell’ospedale del Ceppo in Fiesole, non che all’edificazione del palazzo della Sapienza presso la piazza di S. Marco, ridotto poi ad uso del serraglio per le Fiere, e ora a Regie scuderie.
    Non starò qui a riepilogare le più antiche memorie relative a questo convento di Fiesole, se non per dire, che costà si conservava la bolla originale del concilio Ecumenico di Firenze, data li 6 luglio 1439, e sottoscritta dal pontefice Eugenio IV, dall’imperatore Giovanni Paleologo e da otto cardinali; bolla che fu consegnata a Fr. Alberto da Santeano compagno di S. Bernardino per portarla nelle parti di Oriente, accompagnato da un breve pontificio dato in Firenze li 22 agosto 1439, che lo nominava commissario dell’India, Etiopia, Egitto e Gerusalemme per la conversione degl’Infedeli. Si trovavano pure in cotesto convento due altri brevi, con la data di Firenze del dì 28 agosto 1439, per raccomandare Fr. Alberto e i di lui compagni a Giovanni imperatore dell’Etiopia e a Tommaso imperatore dell’India, entrambi dal papa tenuti cristiani per fama .
    Altre otto bolle dello stesso Eugenio IV, date fra il luglio 1442 e il maggio 1443, esistevano costassù innanzi che fossero trasportate tutte insieme nel Regio Archivio Diplomatico di Firenze dove si conservano. Cinque della quali sono
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    dirette al medesimo Fr. Alberto che si trovava ancora in Italia, ora ministro della Provincia della Riforma, detta di S. Antonio di Padova; ora Vicario generale dell’Ordine Francescano; mentre l’ultima bolla del 28 maggio 1443 fu spedita da Siena a Fr. Alberto da Sartiano ed a Jacopo da Montebiondono nunzj alla chiesa patriarcale di Aquileja, con autorità di poter assolvere dalle censure quelli i quali sovvenissero con denari l’armata che si preparava allora dai Veneziani e in Ungheria contro il Turco.
    Innanzi di scendere dalla sommità del poggio di Fiesole, e di lasciare il convento di S. Francesco, fa d’uopo entrare in chiesa per contemplare, nel coro una tavola rappresentante la Madonna incoronata, che è fra le poche opere di Piero di Cosimo, sebbene abbia ceduto il posto ad un più ampio quadro dell’altar maggiore rappresentante le Stimate di S. Francesco con S. Antonio e S. Bernardino. Fu esso dipinto dal Pignoni, quando non sia piuttosto del Furini suo maestro, ma che passa comunemente per un Cigoli.
    Un altro bellissimo quadro della Beata Vergine, che ha tutti i caratteri per dichiararlo di Filippino Lippi, stà coperto all’altare a cornu evangelii presso il presbitero.
    Sebbene rimodernato nel secolo XVIII, appartiene però agli edifizj del medio evo il palazzo vescovile di Fiesole, situato di rimpetto alla facciata della cattedrale, la quale secondo l’uso più comune delle chiese antiche è volta a occidente. – Costà è da vedersi nella parete dietro l’altare della intera cappella, dedicata a S. Jacopo, un affresco creduto di Simone Memmi, comecché nella fascia intorno alle figure sia dipinta l’arme del vescovo Jacopo Altoviti che eresse o restaurò la cappella, quando il Memmi non era più vivo.
    Non dirò di tanti altri oratorj e chiese laicali esistenti dentro l’antico cerchio della città, né di quelle suburbane poste nelle pendici intorno al cerchio meridionale delle mura fiesolane, giacché, se tutte dovettero noverarsi, si crederebbe fossero costà quasi più chiese che
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    case; e ripetere potrei con l’Ughelli, che nel colle di Fiesole, cinto ed ornato da tempj e da monasteri, anche i sassi inspirano venerazione, rammentando pietose, memorabili e care rimembranze.
    Fra i monasteri suburbani, oltre quelli già descritti ai suoi luoghi, come sono la Badia fiesolana, i conventi di S. Michele alla Doccia e di S. Domenico di Fiesole, non è da passare in silenzio il più antico convento dei Gerolamiti, fondato nel secolo XV dal B. Carlo de’conti Guidi di Monte Granelli di Bagno in Romagna nei predi del suo amico Cosimo Medici il Vecchio. È fama che il disegno della chiesa fosse dell’abile architetto Michelozzo di Bartolommeo, detto dal Vasari Michelozzo di Michelozzo, di cui è opera la villa Medici (ora Mozzi). Quest’ultima posta ivi presso è segnalata nella storia non tanto per essere stata designata come il luogo dove doveva scoppiare la congiura dei Pazzi, ma per tanti letterati che vi abitarono, e che ne fecero la resistenza dell’accademia platonica sotto Lorenzo il Magnifico.
    Molto tempo dopo la soppressione del convento dei Gerolamini, fu istituita con le sue rendite una commenda abbaziale estinta con l’ultimo commentadario, il Conte Pietro Bardi. I di lui eredi avendo alienato cotesto luogo, fu restaurato dall’attual possessore cav. Leopoldo Ricasoli, insieme con la chiesa, e devesi pure a lui il quadro di S. Girolamo del cel. Prof. Sabatelli. – Fra le varie opere d’arti che adornano cotesta chiesa merita distinzione una tavola di fr. Angelico da Fiesole posta nel primo altare a destra. Né doveva essere di minor valore quella dirimpetto, all’altare dei Rucellai, divisa in tre spartiti, se non fosse cotanto malmenata. Della stessa mano è il grado della predella, il quale sembra miniato non che dipinto con tale amore, che assomiglia al fare del monaco Camaldolense Bartolommeo della Gatta.
    Il secondo altare a destra di chi entra ha un’ancora lavorata in marmo bianco da Andrea Ferrucci, autore pur anco di un ciborio a basso
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    rilievo murato nella sagrestia; mentre all’ingresso del tempio si presenta il deposito di Francesco di Giovanni di Taddeo Ferrucci con il busto da esso stesso lavorato in porfido sopra un’iscrizione nella quale si legge: che, essendo stato egli il primo a colpire in quella dura pietra orientale, lo rammentava ad excitanda suorum Municipum ingenia , allorché vivente si andava preparando nel 1576 quel deposito.
    Lo imitò nella stess’arte Romolo, uno dei quattro figli di Francesco Ferrucci, cui lasciò il segreto di scolpire in porfido.
    Nella contigua parete vedesi un’antichissima tavola rappresentante N. Donna col santo Bambino, dove leggesi il nome del pittore greco Andrea Rico da Candia .
    In vicinanza della chiesa dei Gerolamini sono due oratorj, che uno è del Crocefisso, detto di Fonte Lucente, situato verso maestro e appié del poggio dei Frati di Fiesole. L’altro oratorio dedicato a S. Ansano trovasi sulla strada poco al di sotto della villa Mozzi, già Medici. Esso fu acquistato dal ch. Angelo Maria Bandini che lo ridusse con la casa annessa a un piccolo museo di pitture e di altri oggetti d’arte, e poi lo assegnò con alti fondi in prebenda a un nuovo canonico della cattedrale di Fiesole sua patria, con obbligo al prebendato di risedere costà e di istruire nei primi rudimenti i fanciulli della contrada. Ma coteste sono opere che appellano alla moderna età.
    Stabilimenti più moderni di Fiesole. – Il seminario vescovile è tal edifizio, che esso solo (qualora si accetui la cattedrale) supera tutti gli altri riuniti insieme della piazza di Fiesole. La sua mole, quella del duomo con la torre e il convento di S. Francesco, è tutto ciò che può vedersi da lungi circa il materiale della superstite città fiesolana. La fabbrica posa sopra un rialto alla base occidentale del poggio della rocca con la facciata volta a levante. Ha un alzato di 4 piani, e una lunghezza di circa 300
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    braccia.
    Ebbe tenue principio nel 1637 dal vescovo Lorenzo della Robbia; l’aumentarono i vescovi successori; nel 1697, Neri Altoviti; nel 1726, Luigi Strozzi; nel 1737, il vescovo Francesco Maria Ginori, e nel 1782 vi aggiunse utili annessi mons. Ranieri Mancini. Ma niuno di quei prelati pervenne a fare quanto a prò del seminario di Fiesole fu operato per le ardenti cure dell’attuale benemerito vescovo Giovanni Battista Perretti, che non solamente dal lato meridionale tutto il corpo della fabbrica prolungò, ma di una bella scala e di nuove officine lo fornì rialzandolo di due piani; in guisa che vi potranno stanziare comodamente più che 100 convittori.
    Esiste all’altare della cappella del seminario un quadro con predella di terra della Robbia, in cui si legge, che fu eseguito per ordine del vescovo Guglielmo Folchi, nell’anno 1520.
    La biblioteca di questo seminario, copiosa di libri ecclesiastici e di classici greci e latini, fu per la maggior parte donata dal ch. letterato fiesolano canonico Angelo Maria Bandini.
    La diocesi ha un altro seminario, eretto di nuovo a Strada del Casentino per 24 alunni, corredato di cattedre meno quelle per le scienze teologali.
    Fiesole ha forniti molti uomini celebri, i più dei quali si distinsero nelle arti del disegno, e nell’amena letteratura. Figurò nella pittura fr. Giovanni Angelico dell’Ordine de’Predicatori, pittore veramente angelico del secolo XV; nella poesia ebbe fama fra i poeti del 300 Dante da Majano che a Fiesole accordiamo al pari che Giuliano e Benedetto scultori e architetti, perché nati tutti nel suburbio fiesolano. Quasi contemporaneo di fra Angelico fu il diligentissimo scultore Mino da Fiesole, che lasciò nel duomo il suo capo d’opera. A lui vien dietro Francesco di Giovanni Ferrucci il seniore, nato da una famiglia fiesolana che fu per due secoli un vivajo di artisti e di uomini di grande ingenio. Essendoché ad essa appartiene il pittore Nicodemo, lo scultore e ornatista Andrea di Piero, dalla cui scuola escirono il Montorsoli, il franco
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    ornatista e scultore Silvio Cosini da Fiesole, e quel Francesco Ferrucci giuniore, che sotto il Granducato di Cosimo I ritrovò la maniera di scolpire nel porfido. Finalmente devesi rammentare il più famoso di tutta la famiglia del capitano Francesco Ferrucci, il quale comandò gli ultimi eserciti della Repubblica fiorentina a Empoli, a Volterra e nella montagna da Pistoja sino alla battaglia di Cavinana, dove perì da forte. – Vedere CAVINANA, e EMOLI.
    In genere di scienze matematiche fece impressione allo stesso Neuwton un Filippo Mangani da Fiesole, di arte contadino; ma nel secolo trapassato portò sopra ogn’altro la palma delle lettere greche, latine e italiane l’autore del catalogo ragionato dalla Laurenziana, il canonico Anton Maria Bandini, insigne benefattore della sua patria, per l’istituzione di alcune doti alle povere fanciulle, pel dono di libri d’istruzione agli educandi del Seminario, di un maestro di rudimenti, di un medico e chirurgo pensionati per assistere i poveri della comunità di Fiesole, e di un canonicato alla cattedrale della sua patria.
    DIOCESI di FIESOLE e suoi confini .– Che i vescovi delle diocesi, com’è senza fallo questa di Fiesole, estendessero la loro giurisdizione a tenore del distretto civile della città dove fissarono la loro sede, sembra una verità dimostrata sino da quando il pontefice Sisto II, o come altri vogliono, Felice I, (fra il 257 e il 270 dell’E. V.) decretò, che si potesse accusare un chierico fuori della sua provincia. (GRATIANI. Decreta Sixti II).
    L’ostacolo maggiore si è quello di ignorare quante fossero le diocesi della Toscana sottoposte al suo metrapolitano, e quali a un dipresso i confini dei contadi e delle giurisdizioni civili delle singole città della Toscana medesima all’epoca dell’editto dell’imperatore Graziano, pubblicato in Treviri li 22 aprile dell’anno 376.
    In vigore del quale editto vennero proibite nell’impero d’Occidente le assemblee degli eretici con la confisca dei loro beni, mentre nell’anno susseguente (377) l’imperatore Valente con altro editto
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    concedeva al clero cattolico privilegj e immunità; due decreti sovrani che segnano per avventura l’epoca meno controversa dei tribunali ecclesiastici, e la vera esistenza politica della nostra santa religione, dopo aver essa trionfato di dieci lunghe acerrime persecuzioni sanguinarie.
    Non dovendo io entrare in cotante spinose ricerche, che il lettore non aspetta da me, dirò con la dovuta riserva, essere probabile che sul declinare del quarto secolo, trovandosi tuttora in buono stato la città di Fiesole con un contado e magistrati suoi proprj, essa sino da quel tempo godesse l’onore di sede vescovile, e fosse residenza di un pastore, da cui coseguentemente dipendevano le sotto-matrici e i popoli dei vici e castelli compresi dentro i limiti del distretto civile fiesolano. Per modo che, se si potessero conoscere con documenti coevi quali furono gli antichi limiti giurisdizionali delle città d’Italia sotto l’impero di Graziano, noi sapremmo per fortuna sino dove si estendevano le giurisdizioni, ossia i contadi di Fiesole e di Firenze a quell’età, e quindi avremmo il più giusto e il più vero perimetro delle loro diocesi.
    Certo è che entrambe queste città, per quanto vicinissime tra loro, dovevano avere un’esistenza politica e un territorio loro proprio sino dai primi tempi dell’era cristiana per le cose già avvertite al principio di questo articolo, e più specialmente rapporto a Firenze per la circostanza indicataci da Tacito, allorché nei primi anni dell’impero di Tiberio il popolo fiorentino reclamava al sento di Roma, acciocché si distornasse il progetto di voltare le Chiane nel fiume Arno, per timore che tale aumento di acque fosse per allagare le campagne del loro Val d’Arno.
    Per ciò che spetta all’esistenza del contado e diocesi di Fiesole sotto l’impero di Giustiniano, ne abbiamo indizj non dubbi negli atti del concilio Costantinopolitano contro gli Euchitiani, (anno 536 E. V.) al quale assisté e si sottoscrisse Rustico vescovo della chiesa fiesolana; vale a dire tre anni innanzi che Fiesole fosse assediata, presa e disfatta
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    dall’esercito di Belisario.
    Già dissi, che oscura e confusa riesce la storia del contado fiesolano, per non stare qui a soggiungere lo stesso del distretto della sua diocesi e del fenomeno di trovarla spartita in due territorj l’uno dall’altro isolati.
    Appellasi a tale effetto Isola di Fiesole la contrada circoscritta da quel pezzo di diocesi che gira intorno alle dirute mura e alle pendici del colle fiesolano, comprendendo il suburbio della stessa città. Esso abbraccia 22 parrocchie, fra le quali si contano, la canonica della cattedrale e le quattro chiese plebane di Monte Reggi , di Lobaco , di Macciuoli e di Monte Loro .
    Quest’ultima pieve, la più orientale di tutte quelle dell’ isola di Fiesole, confina a levante con il Monte Fiesole, comecché esso appartenga alla diocesi fiorentina, che gira intorno all’ isola da tutti i lati, sebbene a una certa distanza ritorni a confine dal lato opposto la diocesi fiesolana. Cosicché il corpo distaccato della testa è serrato fra la diocesi di Firenze che lo costeggia dal lato di ponente e quella di Arezzo che gli resta a contatto dalla parte opposta di levante, mentre per più corto tragitto la fiesolana confina dal lato di settentrione con le diocesi transappennine di Faenza e di Forlinpopoli dell’antico Esarcato di Ravenna, e dal lato di ostro arriva sull’Arbia quasi al suburbio di Siena, dove è a contatto con la diocesi di quest’ultima città. – Innanzi che venissero scorporati nel 1592 i popoli della Castellina del Chianti, di S. Fedele a Paterno, di S. Leolino in Conio, di S. Miniato a Fonte Rutoli e di S. Michele a Rencine per unirli alla nuova diocesi di Colle, cotesta di Fiesole penetrava nella valle superiore dell’Elsa e si congiungeva da quel lato con l’antico territorio della diocesi di Volterra. – Vedere COLLE di VAL d’ELSA.
    Il perimetro attuale della
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    diocesi fiesolana staccato dall’isola suburbana, mi sembra che potrebbe designarsi come appreso.
    Partendo dalla ripa destra del fiume Arno alla confluenza della Sieve confina con la diocesi fiorentina mediante quest’ultima fiumana, che rimonta sino alla sbocco del torrente Dicomano . Costà piegando da ponente a maestro percorre lungo la sponda sinistra del torrente predetto sino a che lo attraversa fra Tizzano e S. Bavello per salire lungo il contrafforte che staccasi dall’Appennino fra il torrente Corella e quello di S. Bavello . A questa cima il territorio della diocesi fiesolana oltrepassa la giogana di S. Maria dell’Eremo, procede sulla sinistra costa d’Appennino quasi di conserva col territorio comunitativo di San Godenzo di fronte alla diocesi trasappennina di Faenza; e insieme con essa scende verso il fosso de’ Romiti sino alla caduta di Acquacheta celebrata dall’esule poeta, volgarmente detta la Caduta di Dante . Costà lasciando a grecale l’ Acquacheta sale il monte di Londo , quindi per le prata dell’ Adriasso si dirige sul monte della Penna , e di là per il rio di Faggio si avanza verso la strada Regia che attraversa un poco al di sotto dell’ Osteria nuova . Dirimpetto alla quale trova la foce del torrente Troncalossa nel fosso di S. Benedetto , perdendo il nome del fiume Montone. Qua lascia la diocesi di Faenza e trova quella di Bertinoro, ossia di Forlinpopoli, con la quale prosegue il cammino verso levante andando incontro la corrente del Troncalossa per risalire sulla criniera dell’Appennino che ritrova sulla schiena dell’Alpe di San Godenzo. Lungo essa giogana s’innoltra nella direzione da maestro a scirocco sulla schiena della Falterona, subentrando costà a confine l’antica diocesi transappennina di Sarsina, poi ( ERRATA : Nullius di Galeata) Nullius di Bagno, e ora di Sansepolcro.
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    Accompagnandosi con quest’ultima si dirige sul Prato al Soglio , estremo confine fra Romagna e l’antica Toscana, fra la Comunità di Bagno e quella di Stia, fra le diocesi di Fiesole e di Arezzo; l’ultima della quali diocesi sottentra lungo lo sprone, che sta fra Capo d’Arno e l’Eremo di Camaldoli. Di costassù procedono entrambe di conserva per il tragitto non più corto di 45 miglia, quante a un circa si possono calcolare dal Prato al Soglio sino di là del poggio di S. Polo nel fiume Arbia.
    Imperocché la diocesi di Fiesole dal giogo dell’Appennino presso l’Eremo di Camaldoli entra nella valle Casentinese per il contrafforte che separa la vallecola del Fiumicello da quello del torrente Sorra ; indi proseguendo lungo la sinistra dell’Arno lo attraversa quasi di fronte alla confluenza del Solano , la cui vallecola rimonta, mediante lo sprone destro della medesima, per arrivare sul giogo di Prato Magno che trova sopra la diruta badia delle Pratola . Di costà entra nel Val d’Arno superiore passando dall’antica mansione delle Case Cesariane , altrimenti detta Ad Fines , nel popolo di Certignano, sino a che mediante il torrente Spina ritrova l’Arno davanti alla Terra di San Giovanni. A questo punto volta faccia da scirocco a grecale per rimontare contro la corrente del fiume sino al confluente del torrente Dogana sopra la Terra di Montevarchi.
    Costà, piegando nuovamente verso scirocco, per il torrente predetto si dirige verso i poggi che chiudono a libeccio la Val d’Ambra, e per Moncioni e Vertine sale sui monti che separano il Val d’Arno superiore dalla contrada del Chianti. Da quella sommità con la fronte a ostro s’innoltra fra Barbistio e Gajole, fra Lecchi e S. Polo sino al fiume Arbia. Qua lascia la diocesi di
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    Arezzo, e subentra per breve tragitto quella di Siena nella riva destra dell’Arbia sotto il poggio di Vagliagli, donde volgesi da ostro a libeccio per rimontare il corso dell’Arbia fra Vagliagli e Paterno, dove trova la diocesi di Colle. Con cotesta rimonta il torrente Tregoli per salire sull’altipiano occidentale del Chianti verso Fonte Rutoli . Di costà la diocesi di Fiesole anticamente scendeva nella Val d’Elsa, dove confinava con la diocesi di Volterra, mediante la pieve di S. Leolino in Conio. Attualmente il poggio di Fonte Rutoli , può riguardarsi dal lato di ostro come l’angolo più prominente e il punto estremo della diocesi di Fiesole, nella stessa guisa che si è visto esserlo dalla parte di levante il Prato al Soglio sull’Appennino casentinese.
    Dalla sommità di Fonte Rutoli la diocesi di Fiesole voltando a ponente retrocede verso le sorgenti dell’ Arbiola per passare fra la Castellina e Colle Petroso; quindi scendendo pel fosso Cerchiajo in Val di Pesa, torna di nuovo a confine con la diocesi fiorentina, con le quale fronteggia più per termini artificiali che naturali, da prima sul fianco dei poggi occidentali del Chianti che stendonsi dalla Castellina verso S. Donato in Poggio, quindi tra Sicelle e Piazza, dove entra in Pesa e ne seguita il corso sino presso alla Sambuca. Costà lasciando a libeccio la Pesa si dirige per il Poggioavento fra la Sambuca e Passignano, girando da libeccio a maestro per traversare tra Sillano e Macerata i colli che corrono tra la Pesa e la Greve, il di cui ultimo fiume cavalca passato Vicchio Maggio, per entrare nella strada che guida in Val d’Ema. La qual ultima vallecola attaversa là dove prende il nome di Val di Rubiana, sino a che per S. Donato in Collina ritorna nel Val d’Arno sopra Firenze passando per Torre a Poni, poggio dell’Incontro, poggio a Luco, e di
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    là per il fosso di Rosano nell’Arno. Il qual fiume rimonta per ritornare alla confluenza del fiume Sieve sino al punto dove si partì.
    La diocesi fiesolana nel declinare del secolo XIII contava 337 parrocchie, oltre la cattedrale. Vi erano allora 17 monasteri, (12 di uomini e 5 di donne) cioè, il sacro Eremo di Vallombrosa, le badie di Passignano, di Coltibuono, di Monte Scalari, di Tagliafuni e di Soffena, tutte abitate da monaci Vallombrosani; la Badia fiesolana, quella di S. Gaudenzio in Alpe e l’eremo di Gastra, che furono dei monaci Cassinesi; la badia di Montemuro e i priorati di Tosina e di Pietrafitta, dei monaci Camaldolensi. – Appartenevano alla regola Benedettina le monache di Majano, di Rosano e di S. Ellero sotto la Vallombrosa; erano Camaldolensi le monache vecchie a Pratovecchio e quelle di Poppiena sopra Stia nel Casentino.
    I conventi soppressi dei Domenicani e dei Gerolamini sotto Fiesole, dei Francescani Minori Osservanti della Doccia, dei Cappuccini della Lastra, dei monaci Vallombrosani al Ponte Rosso e dei Minori Conventuali a Figline, al pari che le recluse di S. Bartolommeo al Pino, di Casignano e di Montevarchi, furono monasteri fondati tutti in un’epoca posteriore a quella del secolo XIII sopraindicata.
    Nello stato attuale la stessa diocesi conta 251 parrocchie, non compresa la cattedrale e la pieve di S. Maria in Campo presso la residenza del vescovo dentro Firenze, più due collegiate (a Figline e a Montevarchi), un oratorio ufiziato da una congregazione di cappellani (a S. Giovanni in Val d’Arno), e 37 pievi. Quattro di coteste chiese battesimali sono dentro il circondario dell’Isola di Fiesole; 8 in Val di Sieve; 5 nel Casentino; 12 nel Val d’Arno, non contando le due collegiate di Figline e di Montevarchi pure plebane; 6 pievi appartengono al Chianti alto e basso; e 2 altre alla Valle superiore dell’Ema.
    Fra i 10 monasteri di uomini esistenti ora nella diocesi fiesolana si noverano, le insigni
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    badie di Vallombrosa e di Passignano, sebbene quest’ultima sia ridotta a ospizio con parrocchia annessa, tre conventi dei Francescani della Riforma, a Fiesole, a S. Detole in Val di Sieve e a Monte Carlo nel Val d’Arno superiore; due conventi di Cappuccini, che uno di essi a Figline e l’altro a Montevarchi; altrettanti dei Minori Osservanti, al Ponteassieve e al Vivajo presso l’Incisa; e quello dei PP. delle Scuole Pie a Figline, subentrati ai Francescani Conventuali. Sei monasteri di monache sussistono tuttora; cioè quello di Lapo sul Mugnone, già delle Agostiniane ora Benedettine; le monache vecchie Camaldolensi a Prato Vecchio contigue ad altro asceterio di Domenicane (S. Maria della Neve); le Agostiniane di S. Croce e le Oblate della Carità a Figline; le monache della stessa regola di S. Agostino a San Giovanni, dov’è pure un monastero di Francescane, e a Montevarchi quello delle monache Agostiniane, attualmente ridotto a conservatorio per l’educazione e l’istruzione delle fanciulle.
    Il vescovo di Fiesole nel 1420 fu dichiarato suffraganeo del Metropolitano di Firenze, epoca dell’erezione di quest’ultima chiesa episcopale in arcivescovile.
    Il capitolo della cattedrale di Fiesole è composto di 9 canonici, con più due altri ab extra . Il preposto è la prima ed unica dignità di quel clero.
    Fra i vescovi più rinomati che sederono in quella cattedra, è celebre per santità S. Andrea Corsini. – Precedé questo santo prelato il vescovo fr. Corrado, che il Tiraboschi sull’asserzione del padre Ximenes ( Prefazione al Gnomone fior. ) citò nella sua storia letteraria, come astronomo e autore di una regola del Calendario, scritta in un codice della biblioteca Magliabechiana, sul declinare del secolo XIV; ma l’autore di quell’opera si dichiara G…Episcopus Insulanus , cioè d’ Isola piccola città vescovile della Calabria citeriore.
    Nel secolo XVI si distinsero sopra gli altri vescovi fiesolani Braccio Martelli, che nel 1546 al Conilio di Trento figurò perorando a lungo contro le commissioni speciali. Fu di lui successore
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    Francesco de’Cattani da Diacceto, autore di varie opere sacre, e uno dei deputati all’edizione del Decamerone, fatta dal Giunti nel 1573.
    COMUNITA’ di FIESOLE – La Comunità di Fiesole ha una superficie di quadrati 16034, dei quali 1191 quadrati sono occupati da corsi d’acqua e da strade, con 7888 abitanti equivalenti a 427 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
    La sua figura rappresenta un triangolo irregolare, uno dei di cui angoli di Fiesole è a settentrione-grecale sul giogo detto alle Croci , nella pendice australe di Montesenario, l’altro che guarda scirocco posa sulla riva destra dell’Arno alla confluenza del torrente Falle , mentre il terzo angolo voltato a libeccio tocca il pomerio di Firenze sulla piazza dell’Arco trionfale alla porta S. Gallo.
    Confina con 6 Comunità. A levante ha costantemente di fronte la Comunità del Pontassieve, da primo mediante il torrente Falle dalla sua confluenza in Arno sino a Cas’alta , poscia per termini artificiali sino alla strada delle Salajole nel varco alle Croci presso la sorgente del Mugnone sopra l’osteria dell’Olmo. Costà ripiegando a maestro-ponente subentra la Comunità di Vaglia, con la quale percorre i poggi posti alla destra del Mugnone lungo le pendici australi della Regia tenuta di Pratolino per arrivare sulla strada Regia bolognese, che trova a Montorsoli e Trespiano. Costà incontra la Comunità del Pellegrino, cui serve di confine il corso della strada Regia preindicata sino al Ponte Rosso sul Mugnone , dove si tocca con la Comunità di Firenze, e insieme con essa dirigesi alla chiesa della Madonna della Tossa, e di là per la strada maestra rasente il Parterre fuori di Porta S. Gallo. Di costà prosegue per la strada Regia fuori delle mura di Firenze fra la Porta suddetta e Porta Pinti. A questo punto, piegando alquanto verso ostro, subentra la Comunità di Rovezzano prendendo
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    la strada del Crocifisso, quindi per il Riposo de’Vecchi si dirige verso il torrente Affrico , che attraversa per arrivare alla Capannuccia. Costà forma un angolo rientrante per dirigersi alla villa, già monastero di S. Bartolommeo a Gignolo, e di là per lo stradino che guida sul torrente Mensola , il quale rimonta e poscia trapassa al ponte sotto S. Martino a Mensola, innoltrandosi sulla costa delle circostanti colline nella direzione di grecale sino alla strada che và a Castel di Poggio. A questo punto forma un angolo ripiegando da grecale nella direzione di scirocco e quindi di ostro per scendere per Monte Beni alla destra del torrente Zambra per Torre, Terenzano e Girone sino alla ripa destra dell’Arno. Costà lungo il corso del fiume ha di fronte la Comunità del Bagno a Ripoli sino alla confluenza del torrente Falle , di faccia a Remoluccio, dove abbandona col fiume la Comunità suddetta per tornare a confine con quella del Pontassieve.
    Fra i corsi d’acqua più copiosi che rasentano o che nascono o muojono nel territorio della Comunità in esame si contano tra i primi: a ponente il torrente Mugnone , e a ostro il fiume Arno. Spettano ai secondi i torrenti Zambra e Falle che scendono verso scirocco dai poggi fiesolani, mentre verso ostro si vuotano parimente nell’Arno i rivi Mensola e Affrico , che Boccaccio favoleggiando personificò nel Ninfale fiesolano.
    Quattro strade comunitative, le quali sino a un certo punto sono carrozzabili, conducono da Firenze a Fiesole; la prima è quella lungo la ripa destra del Mugnone che staccasi dalla Regia bolognese fuori di Porta S. Gallo al Ponte rosso e i borghi di S. Marco vecchio e di Lapo giunge al Ponte la badia, dove sale l’erta sino a S. Domenico. Costà si unisce ad altre due strade rotabili che partono
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    da Firenze, una dalla Porta S. Gallo rimontando la ripa sinistra del Mugnone per la villa de’Tre Visi, o di Schifanoja ; l’altra che esce dalla porta a Pinti e s’innoltra per la Regia Villa della Quercia sulla deliziosa collina di Camerata . Tutte e tre coteste strade si riuniscono nella piazza di S. Domenico, al di qua del quale punto un’unica strada sale la costa per la fonte di Baccio Bandinelli presso la villa e osteria delle tre Puzzelle , e di là innoltrasi lasciando a destra la villa Vitelli, e accostandosi poi all’altra più famosa de’Mozzi, state entrambe della famiglia de’Medici.
    La quarta via più lunga, ma di più agevole cammino, è quella che dalla Porta a Pinti per S. Gervasio, S. Martino a Mensola e Majano è stata resa carrozzabile sino al soppresso convento della Doccia; talché non manca che un mezzo miglio di salita per arrivare sulla piazza di Fiesole situata nel collo del poggio bipartito su cui sedeva l’antica città. Dalla stessa piazza partono altre vie comunitative, una delle quali prosegue la piccola giogana verso grecale per entrare nella valle della Sieve, probabilmente sulle tracce della strada vicinale che staccavasi dall’antica Cassia .
    Non meno antica dev’essere la strada provinciale denominata Salajola , che rimonta il torrente Mugnone dal Ponte alla badia per l’Olmo e di là passa in Mugello.
    Qual sia la natura del terreno dei poggi di Fiesole lo dissero di buon’ora l’Alighieri e il Boccaccio, e ce lo dimostra più solennemente Firenze coi suoi edifizj. Imperocché se in origine la capitale della Toscana si popolò di quella gente che sente del macigno , è altresì vero, che quasi tutto il suo materiale fu scavato dal monte bicipite fiesolano.
    Già fu avvisato, che il poggio più prominente è tutto formato di grossi strati di pietra serena (arenaria) al pari dell’altra prominenza denominata
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    Monte Ceceri .
    Questa pietra fiesolana è composta di tre sostanze principali, cioè: mica, quarzo, argilla-calcarea, sebbene varino, tanto nella proporzione, quanto nel colore, sia per resistenza allo scalpello, e per alterabilità all’azione delle meteore. Ad onta di tuttociò essa non esce dalla classe dei grés antichi, ossia dal grauwak de’Tedeschi.
    Mentre nel fianco dei monti a maestro di Fiesole, come sono quelli dell’ Uccellatojo e del Monte Morello , abbondano gli strati di calcarea appenninica ( alberese ), in questi fiesolani non appariscono visibilmente, o almeno sono rarissimi gli strati della pietra da calcina alternanti con la pietra fiesolana; comecché le vene, o filoni che attraversano quest’ultima in varie direzioni consistono quasi tutti di calcarea carbonata spatiforme. Simili filoni in special modo aumentano di mole insieme con lo schisto argilloso nella vallecola percorsa dal torrente Zambra , posta a sciroco-levante di Fiesole. È altresì vero che essendo essi penetrati negli spacchi trasversali della roccia arenaria in un’epoca assai più recente della formazione del macigno, ne consegue che un simile fenomeno dové operarsi mercé di una soluzione narale di rocce calcaree più antiche e più nascoste.
    Quindi non fa meraviglia, se in alcune pendici dei colli fiesolani, s’incontri una specie di pudinga o pietra serena a grossi elementi, impropriamente chiamata granitello, siccome è quella della vasca del fonte battesimale esistente nel duomo di Fiesole. La quale pudinga effetivamente altro non è che un ammasso di piccoli frammenti di macigno e di altre rocce stratiformi del nostro Appennino, impastate e impietrite mediante un cemento silico-calcareo che ne formò un nuovo aggregato, una pietra più moderna e meno compatta.
    Della qualità del terreno costituente il poggio della roccia ne abbiamo un’antica testimonianza delle profonde buche, o vogliansi dire favisse , scavate nel vivo macigno, e una recente conferma dei sepolcri che si vanno attualmente tagliando entro la pietra serena sul fianco meridionale della basilica di S.
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    Alessandro; mentre per l’epoca intermedia lo dimostra il bellissimo macigno di Fonte Lucente , che supera ogn’altra pietra arenaria per finezza di grana, per colore plumbeo-ceruleo, e per uniformità di impasto, come quello ch’è suscettibile di più fino lavoro e di qualche pulimento, noto nell’arte col nome di filone bandito , al pari dell’altro che scavasi a Majano.
    Dei diversi strati di pietra serena, bigia e leonata che costituiscono il monte Ceceri, e tutti i poggi che di là si diramano verso Settignano e Monte Loro, ne abbiamo una dimostrazione permanente nel numero delle cave aperte costà sino da quando ne furono estratte quelli grandi moli adoprate nella costruzione delle ciclopediche mura fiesolane, le quali per tanti secoli hanno resistito alla lima del tempo e alla violenza degli uomini.
    Dirò solamente, che i monti di Fiesole forniscono all’arte architettonica la pietra arenaria per eccellenza, il tipo di tutti i macigni della litologia Europea, non che di quelli che si estraggono da tante altre diramazioni dell’Appennino toscano.
    La lenta decomposizione dell’arenaria,e l’altra più sollecita del bisciajo, ossia del Tramezzuolo che alterna con i suoi strati, costituisce quel sottilissimo strato di terra vegetale argilloso-silicea di cui si rivestono le piagge deliziose di Majano e di Camerata, ove sembra che l’arte edificatoria, l’agraria e il giardinaggio facessero a gara, onde abbellirle di palazzi e di vaghe abitazioni, ornandole di delicati squisitissimi prodotti di Flora e di Pomona, a cominciare dal dolce fico al fragrante ananasso, dall’indigeno tulipano alla settemplice camelia, per poter dire con ragione che Firenze possiede al pari di Roma il suo delizioso Tusculo.
    Prendeva il nome da Fiesole una delle 76 leghe militari del distretto fiorentino erette sino dalla metà del secolo XIII. Essa continuò anche sotto il governo Mediceo a comprendere nel suo perimetro non solamente l’attuale Comunità unita a quella del Pellegrino, ma ancora i sobborghi di Firenze, alla destra dell’Arno e quasi tutto i distretto della
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    giurisdizione civile.
    L’insegna della Lega di Fiesole era come quella della città una meza luna; il quale emblema ebbe comune con la distrutta Luni, quasi per avvisare la posterità che a loro toccò una consimil sorte.
    In Fiesole a luogo una sola fiera per anno di vettovaglie e di articoli da vestiario, la quale suol cadere nel 4 di ottobre. – Vi risiede uno dei sette potestà minori suburbani di Firenze; un medico-chirurgo e un maestro di scuola. È capoluogo di un ingegnere di Circondario e di una cancelleria comunicativa. La sua esazione del Registro, la conservazione delle Ipoteche, la Giurisdizione criminale e la Ruota si trovano in Firenze.

    QUADRO della popolazione della Comunità di FIESOLE a tre epoche diverse

    -nome del luogo: *Basciano, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Cura), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. 163, abitanti 1745 n. 118, abitanti 1833 n. 96
    -nome del luogo: Coverciano, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 261, abitanti 1745 n. 268, abitanti 1833 n. 299
    -nome del luogo: **FIESOLE, titolo della chiesa: S. Romolo (Cattedrale), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. -, abitanti 1745 n. 1621, abitanti 1833 n. 2086
    -nome del luogo: FIESOLE, titolo della chiesa: S. Domenico (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. 740, abitanti 1745 n. 946, abitanti 1833 n. 437
    -nome del luogo: S. Gervasio nel Suburbio, titolo della chiesa: SS. Gervasio e Protasio (Cura), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 434, abitanti 1745 n. 477, abitanti 1833 n. 676
    -nome del luogo: Majano, titolo della chiesa: S. Martino (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. 202,
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    abitanti 1745 n. 130, abitanti 1833 n. 232
    -nome del luogo: S. Marco Vecchio, titolo della chiesa: S. Marco (Prioria), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 328, abitanti 1745 n. 739, abitanti 1833 n. 1206
    -nome del luogo: Mensola, titolo della chiesa: S. Martino (Cura), diocesi cui appartiene: Fiesole (già di Firenze), abitanti 1551 n. 194, abitanti 1745 n. 280, abitanti 1833 n. 288
    -nome del luogo: Montereggi e Bujano, titolo della chiesa: S. Ilario (Pieve), diocesi cui appartiene: Fiesole (già di Firenze), abitanti 1551 n. 421, abitanti 1745 n. 263, abitanti 1833 n. 363
    -nome del luogo: Muscoli, titolo della chiesa: S. Michele (Cura), diocesi cui appartiene: Fiesole (già di Firenze), abitanti 1551 n. 42, abitanti 1745 n. 55, abitanti 1833 n. 70
    -nome del luogo: Ontignano, titolo della chiesa: S. Maria (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole (già di Firenze), abitanti 1551 n. 167, abitanti 1745 n. 188, abitanti 1833 n. 207
    -nome del luogo: Pontanico, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 76, abitanti 1745 n. 87, abitanti 1833 n. 97
    -nome del luogo: Poggio sopra Fiesole, titolo della chiesa: S. Clemente (Cura), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. -, abitanti 1745 n. 82, abitanti 1833 n. 89
    -nome del luogo: Quintole e Girone, titolo della chiesa: SS. Pietro e Jacopo (Prioria), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 239, abitanti 1745 n. 344, abitanti 1833 n. 701
    -nome del luogo: Saletta, titolo della chiesa: S. Margherita (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti
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    1551 n. 146, abitanti 1745 n. 114, abitanti 1833 n. 122
    -nome del luogo: Sveglia, titolo della chiesa: S. Andrea (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. 165, abitanti 1745 n. 194, abitanti 1833 n. 303
    -nome del luogo: Terenzano, titolo della chiesa: S. Martino (Prioria), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 180, abitanti 1745 n. 126, abitanti 1833 n. 137
    -nome del luogo: Torri alle Falle, titolo della chiesa: S. Donato (Prioria), diocesi cui appartiene: Firenze, abitanti 1551 n. 206, abitanti 1745 n. 260, abitanti 1833 n. 420
    -nome del luogo: Vincigliata, titolo della chiesa: S. Maria e S. Lorenzo (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole, abitanti 1551 n. 50, abitanti 1745 n. 52, abitanti 1833 n. 59
    - totale abitanti anno 1551 n. 4014
    - totale abitanti anno 1745 n. 6344
    - totale abitanti anno 1833 n. 7888

    * La parrocchia di Basciano, che sino al 1833 fu compresa nella Comunità del Pellegrino, manda nella Comunità di Vaglia una frazione di 74 abitanti.
    ** Manca la cifra della popolazione di Fiesole all'anno 1551.

    FIESOLE, CITTA’. Rispetto al contado fiesolano esso è rammentato fino dal regno de’Carolingi; tostochè una membrana lucchese del 13 novembre 887 pubblicata nel Volume V. P. II. delle Memor. Lucch. Fa menzione del contado e territorio fiorentino, del contado e territorio pistojese, e del contado e territorio fiesolano .
    Rispetto al famoso capitano Francesco Ferrucci non deve esso attribuirsi ad alcuna famiglia fiesolana, sibbene ad altra in Firenze, ben diverse da quelle che da Fiesole vennero a stabilirsi nella capitale dopo la caduta della Repubblica, da molte delle
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    quali peraltro uscirono valenti artisti.
    Oltre risiedere in Fiesole un potestà essa conta pure un ingegnere di Circondario, però la sua cancelleria Comunitativa è situata al Pellegrino, ed in Firenze ha chiesa ed episcopo il suo vescovo.
    Inoltre porta la data di Fiesole una bolla del Pontefice Pasquale II diretta li 18 settembre del 1107 a Rangerio vescovo di Lucca.
    Nel 1833 la Comunità di Fiesole contava 7888 Abitanti e nel 1845 ne aveva con i suoi annessi 9670, cioè:

    Basciano ( porzione ), Abitanti N.°  91
    Coverciano, Abitanti N.° 330
    FIESOLE, Cattedrale , Abitanti N.° 2442
    FIESOLE ( S. Domenico ), Abitanti N.° ( ERRATA : 583) 585
    S. Gervasio, Abitanti N.° 759
    Majano, Abitanti N.° 230
    S. Marco Vecchio ( porzione ), Abitanti N.° 1276
    Mensola ( porzione ), Abitanti N.° 215
    Montereggi, Abitanti N.° 410
    Muscoli, Abitanti N.°  74
    Ontignano, Abitanti N.° ( ERRATA : 235) 233
    Poggio, Abitanti N.° 91
    Pontanico, Abitanti N.° 97
    Quintole e Girone , Abitanti N.° 776
    Saletta, Abitanti N.° 127
    Sveglia, Abitanti N.° 365
    Terenzano, Abitanti N.° 106
    Torri alle Falle, Abitanti N.°  430
    Vincigliata, Abitanti N.° 46

    Annessi

    Convento di Lapo; dal Pellegrino , Abitanti N.° ( ERRATA : 58) 55
    Monteloro; dal Pontassieve , Abitanti N.° 37
    Montughi; dal Pellegrino , Abitanti N.° 22
    Pino; dal Pellegrino , Abitanti N.° 507
    S.
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    Salvi; da Rovezzano , Abitanti N.° 111
    Settignano; da Rovezzano , Abitanti N.° 17
    Trespiano; dal Pellegrino , Abitanti N.° 134
    Valle; dal Pontassieve , Abitanti N.°  96
    Varlungo; da Rovezzano , Abitanti N.° 8
    TOTALE Abitanti N.° 9670


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di
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    Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l'amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.
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Localizzazione
ID: 1922
N. scheda: 21550
Volume: 2; 5; 6S
Pagina: 107 - 124; 705; 93
Riferimenti: 53410
Toponimo IGM: Fiesole
Comune: FIESOLE
Provincia: FI
Quadrante IGM: 106-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1684573, 4852990
WGS 1984: 11.29555, 43.8085
UTM (32N): 684636, 4853164
Denominazione: Fiesole - Vescovati della Toscana (Fiesole) - Cave di Marmi
Popolo: S. Romolo a Fiesole
Piviere: S. Romolo a Fiesole
Comunità: Fiesole
Giurisdizione: Fiesole
Diocesi: Fiesole
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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