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Firenze, Fiorenza - Arcivescovati della Toscana (Arcivescovato di Firenze) - Granducato di Toscana - Toscana Granducale - Zecche Diverse (Firenze) - Via Regia intorno alle Mura Esterne della Città di Firenze

 

(Firenze)

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    FIRENZE, FIORENZA. FLORENTIA . – Città metropoli della Toscana, bella, fortunata, felice; residenza dei suoi Granduchi, e sede arcivescovile.
    La sua posizione geografica, calcolata dall'osservatorio delle Scuole Pie sopra la piazza di S. Lorenzo, (che può dirsi quasi il centro della città alla destra dell’Arno) trovasi fra il grado 28° 55' di longitudine e 43° 46' 41" di latitudine, in un suolo 69 braccia fiorentine sopra il livello del mare Mediterraneo. – Esiste Firenze nel cuore della Toscana, ed ha la città di Livorno 60 miglia toscane al suo libeccio, Pisa 49 miglia toscane a ponente, Lucca 44 a ponente maestro, Pistoja 20 miglia toscane a maestro, Volterra  44 a ostro libeccio, Siena 40 a ostro, Arezzo 44 miglia toscane a scirocco e appena 3 miglia toscane al suo settentrione-grecale gli avanzi di Fiesole.
    Tanti e di tale importanza sono i fatti memorandi relativi alle cose pubbliche di Firenze che un intiero libro, non che un solo articolo, non potrebbe bastare a racchiuderli, ancorchè allo scrivente fosse per fortuna a tal uopo concessa la forza e concisione di Tacito.
    Scarso d'ingegno com'io sono, ma costante e geloso di adempire, comunque io possa all'obbligo spaventevole che mi sono imposto, procurerò nel discorrere la storia e gli ordini del governo di Firenze, di attenermi alle parti più prominenti, sul riflesso che in una materia da tanti valenti uomini scritta e conosciuta, è meglio dir poco che diffondersi in molte parole.
    Mi è duopo inoltre prevenire il lettore, che all'articolo COMUNITA' di FIRENZE, dove non è molto da dire dello stato fisico del suo territorio, come quello che è quasi tutto rinchiuso fra le civiche mura, mi si offre opportuna occasione per accennare il giro e posizione dei cerchi più angusti e più antichi della città, e i suoi stabilimenti pubblici con i principali tempj e palazzi.
    La città di Firenze, spartita dal fiume Arno che quattro grandiosi ponti di pietra in un
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    sol corpo riuniscono e accomunano, presenta la figura di un pentagono che ha circa cinque miglia di giro, tre lati del quale alla destra e due alla sinistra dell’Arno. Ha otto porte e una postierla, dalle quali si sviluppano ampie strade in mezzo a popolatissimi subborghi, superbe case di delizia, amene colline, una fiorente ubertosa e salubre campagna, in guisa che vista dall'alto una immensa città tutt'insieme con Firenze raffigura.
    L'aveva bene contemplata il divino Ariosto, quando nel capitolo XVI delle sue rime scriveva:

    Se dentro un mur sotto un medesmo nome,
       Fosser raccolti i tuoi palazzi sparsi,
       Non ti sarian da pareggiar due Rome.

    Richiamando alla memoria quanto dissi all'articolo Fiesole, senza favoleggiare sull'origine di Firenze, o sull'etimologia del suo nome, che ora dal culto del dio della guerra, ora dal fiore che porta per emblema, dissesi figuratamente città di Marte , e città del Fiore , solamente mi farò lecito di ripetere quì un antico prognostico, che a Firenze meglio forse che ad altra città si potrebbe applicare, quando la Sibilla Eritrea, o chiunque fosse, andava vaticinando di un paese di Europa il seguente augurio: " In Europae partibus ex rore nobili descendentium Romuli Romulenes flos quidem floridus candore mirabili liliatus sub Marte nascetur. Sed citra florum morem cum difficultate ac dierum longitudine deducetur in formam. Ante tamen quam areseat sibi multarum gentium subiicet nationes. Et erit fortitudo ejus in rota, et rota dabit partes ejus infimas quasi pares." (BALUZII Miscellan . T. IV)
    Con frasi poco dissimili si esprimeva la Sibilla Tiburtina, che dicesi coetanea di Ottaviano Augusto, quando cioè Roma stava per scendere dall'apogèo della sua gloria, mentre la città del Fiore era appena sull'apparire di quella nobile rugiada che dava la vita e doveva far sbocciare e fiorire sotto l'influsso del nume tutelare ( Marte ) quel candido giglio che
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    fu costante emblema di Firenze.
    Firenze infatti dai fiesolani ( Romulesi ) ebbe piccolo e lento principio; dalla colonia cesariana di Augusto acquistò territorio e magistrati; dall'industria mercantile più che dall'agitata indipendenza del medio evo ereditò potenza, fortuna e regno senza che il barbaro Totila abbia avuto il demerito di distruggerla, nè Carlo Magno la gloria di rifabbricarla.
    Chi non desìa dar corpo alle ombre è inutile che vada cercando Firenze o la sua storia fra quelle delle città Etrusche, nè di Roma repubblicana; mentre se non possiamo accertare nè negare, che a quelle remote epoche esistessero presso le sponde dell'Arno, quà dove Firenze siede regina, delle sparse borgate o casali sotto i nomignoli di Villa Arnina , di Camarzo , o di qualsiasi altra maniera si appellassero, altronde non ne consegue, nè alcun documento coevo ci assicura, che sotto nome di Fiorenza   una di esse ville sino d'allora venisse intitolata.
    Parve bensì ad alcuni che Firenze fosse già sorta in grandezza molto innanzi che cadesse la Romana repubblica; e che della medesima città volesse dire Lucio Floro nel libro III delle sue Epitome, là dove accenna, che quattro splendidissimi  municipj d'ltalia (Spoleto, Preneste, Interamna e Florentia ) furono da Silla venduti all'incanto, quasi nel tempo stesso che il vincitore di Mario faceva spianare la città di Sulmona, compagna e seguace del Mariano partito potentemente sostenuto dai Sanniti, che in quella contrada dominavano.
    Per altro una sola autorità, di fronte al silenzio di tanti classici scrittori, ne in vita di per sè stessa a stare in guardia e mettere in dubbio, non già l'asserto di Floro, ma la svista di chi i suoi libri copiava, potendo aver letto per avventura Florentia invece di Florentinum ; paese che corrisponderebbe alla tuttora esistente città di Ferentino, descritta da Strabone sulla via Latina poco lungi dall' Interamna del Liri, preso l'odierno castello
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    d'Isola sul Garigliano. (STRABONE Geogr. lib. V.)
    È la stessa città della Campania rammentata come illustre municipio, da A. Gellio, e da T. Livio all'anno 569 di Roma; (lib. XXXV.) quando nel suo vasto territorio fu dedotta una colonia Latina.
    Avvegnachè non solo è ignoto, che al tempo divisato esistesse, non che, fiorisse la città nostra di Firenze, ma tutti i fatti storici concorrono a far credere, che il Ferentino dei Volsci (detto anche Ferentio nelle Antichità Romane di Dionisi), e non già Firenze dell'Etruria, fosse venduto col suo territorio all'asta pubblica da Silla, dopo aver egli disfatto (anno 82 avanti G. C.) l'esercito dei Sanniti fuori della porta Collina presso Roma, e quello comandato da Mario fra Segni e Ferentino.
    Tale fu l'opinione di Coluccio Salutati, abbracciata con molto senno da Vincenzio Borghini nelle sue elaboratissime indagini sull'Origine di Firenze.
    Cosicchè senza accettare tutto quello che su di ciò da molti fu dato sicuramente per vero ancorchè alcune cose manifestamente non convengano con la verità dei tempi e delle cose, e senza rifiutare assolutamente per false tutte le opinioni emesse e tutti i racconti dati per genuini, si può dire non ostante, che Firenze sotto l'impero di Cesare Ottaviano avesse un territorio suo proprio tolto (siccome fu già indicato all'articolo FIESOLE) agli antichi coloni  fiesolani, per assegnarlo a un numero ignoto di legionarj, a ragione di 200 jugeri per ciascheduno . –  Che la colonia militare di Firenze sorgesse ben presto in un qualche splendore, lo fece conoscere Tacito nei suoi Annali, allorchè, nell'anno 16 dell'Era Cristiana, il Tevere fatto gonfio per lunghe piogge portò tanto guasto alle campagne di Roma, che in Senato si discusse: se, a moderare in seguito le inondazioni di cotesto fiume, si dovessero deviare alcuni dei maggiori influenti suoi, fra i quali la Nera e la Chiana .
    Furono perciò ascoltate le ambascerie dei municipj e colonie interessate in tale affare,
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    fra le quali si distinse quella de'fiorentini perorando la loro causa; affinch è torta dal corso antico non  isboccasse la Chiana in Arno, e i fondi loro inondasse. (TACIT. Annal. lib. I. Cap. 79.)
    Donde chiaro apparisce che i fiorentini coloni (come i fiesolani ascritti alla tribù Scapzia ) ottennero sino dai primordj del romano impero col territorio magistrati e legislazione propria: che è quanto dire contado e amministrazione diversa da quella della città e contado fiesolano . –  Vedere FIESOLE.
    Sebbene la storia per un lungo periodo di secoli non faccia di Firenze menzione che sia da dirsi di qualche rilievo, pure da altri argomenti si può ragionevolmente dedurre, che essa durante il romano impero crescesse in nobiltà di edifizj pubblici; di cui in qualche modo darebbe un'idea la grandezza del suo anfiteatro, che può concepirsi tuttora dalla superstite porzione dell'ambito esteriore, passeggiando fra le piazzette di S. Simone e de'Peruzzi prossime all'ingresso di quella di S. Croce, che trovasi a levante fuori del primo cerchio della città; mentre al suo ponente porta sempre il nome di Terma una strada, dove furono i bagni pubblici fra le case de’Scali, poi Buondelmonti e la loggia de’Ciompi.

    Non parlerò del tempio più insigne
     della città che nel Battista
     Cangiò il primo padrone,


    come quello che può dirsi, rapporto all'età, un monumento perpetuo di controversia archeologica, nella stessa guisa che, rapporto al materiale è oggetto di ammirazione per gli artisti, pei curiosi e pei devoti sorpresi e indecisi, se la materia vinca o sia vinta dal lavoro, o se l'edifizio primitivo resti eclissato (come sembra ai più) dai suoi portentosi accessorj.

    STATO DI FIRENZE DAL SECONDO
    AL DECIMO SECOLO

    A dimostrare che Firenze (principiando dal secolo secondo dell'era volgare) già fosse giunta a un certo splendore, lo provano le premure dell'imp. Adriano, il quale dopo avere governata a
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    nome di Trajano l'Etruria in qualità di pretore, divenuto esso stesso regnante, nell'anno secondo del suo impero (119 dell'E. V.) restaurò la via Cassia guasta dal tempo, prolungandola (a tenore delle espressioni di una superstite colonna miliare) sino a Firenze dai confini di Chiusi. A Clusinorum finibus Florentiam perduxit. –   Vedere VIA CASSIA.
    Varie lapidi scritte, e qualche torso di statua con pochi altri cimelj trovati in Firenze rammentano il tempo degli Antonini; e forse ci richiama pure all'epoca stessa il testè citato anfiteatro, che sotto nome di Parlagio a'tempi posteriori soleva appellarsi.
    Era quello stesso Parlagio , nel quale fu esposto alle fiere coi suoi compagni il fiorentino martire S. Miniato sotto l'impero di Decio persecutore acerrimo dei novelli cristiani. Dei quali Firenze contare doveva un buon numero, tosto che 60 anni dopo  quel martirio (313 dell'E. V.) per testimonianza non dubbia sappiamo che al sinodo adunato in Roma dal pontefice Melchiade intervenne Felice vescovo di Firenze. Lo che avvenne 80 anni prima che S. Ambrogio vescovo di Milano consacrasse la basilica fiorentina di S. Lorenzo fabbricata col denaro di pia donna; e ciò un buon secolo innanzi che accadesse la liberazione della stessa città e di tutta la Toscane dalla spaventosa e repentina irruzione dell'oste sterminata di barbari scesa nel 405 con il loro re Radagasio a devastare l'Italia.
    Al quale avvenimento ci richiama la storia di Firenze, stantechè Paolino diacono di S. Ambrogio che scrisse di quel santo la vita, rammenta la seguente particolarità:
    " che nel tempo in cui Radagasio assediava la città di Firenze, il S. vescovo Ambrogio (passato all'altra vita sino dall'anno 397) apparì in sogno ad uno dei suoi cari fiorentini, cui promise nel dì seguente la liberazione della patria; la qual visione da lui riferita ai suoi concittadini li riempì di coraggio. Infatti nel giorno appresso, arrivato che fu Stilicone generale dell'imperatore Onorio, si riportò vittoria dei
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    nemici. "
    Tale particolarità supplisce a ciò che non fu avvertito da Paolo Orosio, da S. Agostino e dal cronista Prospero; l'ultimo dei quali scrisse: che l'esercito sterminato di Radagasio, non già sopra Firenze solamente erasi diretto, ma che era diviso in tre parti, per cui fu più facile di superarlo in quella maniera, che secondo tutte le apparenze ebbe del miracoloso.
    Avvenne perciò, che i fiorentini poco tempo dopo tale liberazione, per consiglio del loro santo vescovo Zanobi, innalzarono quel tempio che poi divenne cattedrale, sotto l'invocazione di S. Reparata, in memoria del giorno ad essa festivo (8 ottobre) in cui la città nostra fu liberata dall’caterminio minacciato dal feroce conduttore degli Unni e dei Sciti.
    Ad eternare la quale ricordanza il popolo fiorentino, dopo che era divenuto libero di sè stesso, provvide affinchè nello stesso giorno si corresse ogn'anno un palio, il quale prendeva le mosse alla porta S. Pier Gattolino sino al Vescovado.
    Un consimile esempio pare che fosse praticato in Lucca, e in altre città o terre della Toscana, non che della Romagna contigua al Mugello; essendochè alcune di quelle antiche chiese matrici furono dedicate alla stessa vergine e martire Reparata.
    Che Firenze infatti sino d'allora fosse circondata da fossi e da un cerchio di muraglie ne abbiamo una conferma in Procopio. Il quale nella storia della guerra gotica, all'anno 542, racconta, che tre capitani di Totila assediarono Firenze, castris circum moenia positis , mentre vi era a custodirla uno dei più valenti capitani di Belisario; cioè, quello stesso duca Giustino, che tre anni innanzi con la sua divisione aveva assediata, presa e forse anche smantellata Fiesole. Vedere FIESOLE.
    Molti scrittori, riportandosi al racconto di alcune croniche, o piuttosto di leggende favolose, diedero come accaduta la distruzione di Firenze per mano di Totila, (che taluni confusero con Attila): comecchè le sue falangi altro danno non sembra che le recassero fuori di quello che potè derivarle
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    da un passeggiero accampamento. Che se la stessa città in seguito dovè aprire le porte e sottomettersi docile al volere dei tre capitani inviati costà da Totila, niun documento ci assicura che da essi, o da chi loro successe, venisse abbattuta e rovinata.
    Se ciò realmente fosse accadduto, nè gli autori di quell’età lo avrebbero taciuto, nè la città di Firenze avrebbe avuta occasione dieci anni dopo (nel 553) d'inviare incontro a Narsete, i suoi rapprentanti, per avere dall'esterminatore dei barbari la promessa di salvare la città, gli abitanti e i loro beni.
    Non verificandosi la distruzione di Firenze ai tempi di Totila, nè trovandosi alcun'altra ragione per attribuire lo stesso supposto ai Longobardi, che in Firenze arrivarono in un tempo in cui il loro furore erasi alquanto contro le cose e le genti romane affievolito, non ebbe per conseguenza motivo Carlo Magno di rifare Firenze più bella che non era; siccome allo stesso fortunato conquistatore mancò l'occasione d'innalzare la Chiesa de'SS. Apostoli nel borgo occidentale di questa stessa città, che si disse consacrata da Turpino arcivescovo di Rems, presente il capitano Orlando; e tuttociò in tempo che Carlo Magno era le centinaja di miglia lontano dall'Italia, mentre tanto Turpino quanto Orlando non si trovavano più nel numero dei vivi.
    Deve bensì Firenze a Carlo Magno la ripristinazione del primo magistrato politico e militare, sotto il titolo di duca, cui venne in seguito sostituito quello di conte con altre subalterne dignità di Giudici, Scabini, Vicarj, Vicedomini, Avvocati e Centenarj . I quali ufiziali minori, a forma del Capitolare Carolingio dell'anno 809 (§. XXI.) dovevansi eleggere e stabilire, non dal re, ma dal conte e dal popolo.
    In conseguenza di ciò non si dovrebbe durare gran fatica a credere, che sino da quei tempi fosse stata in Firenze al pari che nelle altre città del regno Longobardo una tal quale forma di civico regime, e di pubblica amministrazione, senza dubbio ultimo residuo di quella
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    istituzione municipale lasciata dai Romani, e che può dirsi il principio più remoto di quella civica libertà che sorse sotto il patrocinio degl'imperatori Sassoni, e che  ingigantì durante il dominio degl'imperatori Svevi in Italia.

    STATO DI FIRENZE NEI PRIMI TRE SECOLI DOPO IL MILLE

    Il partito preso nel secolo XI dalla contessa Beatrice a favore della chiesa e dei papi, e caldamente sostenuto dalla sua figlia Matilde, aprì un largo campo a Firenze e a tutti i popoli della Toscana, per emanciparsi dal supremo dominio degl'imperatori e dei loro vicarj. Cosicchè in tali politiche agitazioni si eresse, e quindi sopra larga e solida base fu stabilito un governo municipale retto, da primo dai consoli e anziani, quindi dai priori (i signori) delle varie corporazioni d'arti e mestieri, preseduti da un Gonfaloniere, e serviti a breve tempo da tre grandi ufiziali forestieri, Potestà, Capitano del popolo, ed Esecutore degli ordinamenti della giustizia. Il quale regime politico finalmente pervenne a supplire in ogni genere alla sovrana autorità.
    Fu verso il 1062, dopo la morte dello zelante pontefice Niccolò II, vescovo di Firenze sotto nome di Gherardo, quando gli subentrò il papa Alessandro II che sedeva sulla cattedra di Lucca; fu allora, io diceva, che si diede il primo esempio di un imperatore fulminato da quella scomunica che seminò il germe delle cittadine discordie sotto nome di Papisti e Imperialisti, di Guelfi e Ghibellini, di Bianchi e di Neri, e sotto altre consimili divise, che tutte le città in genere, ma in special modo questa di Firenze, lungamente agitarono.
    Frattanto in simili trambusti politici, in coteste guerre fra il sacerdozio e l'impero prosperando le operazioni mercantili e bancarie dei fiorentini, sparsi nelle principali piazze dell'Affrica, dell'Asia e dell'Europa, si estendevano le corrispondenze, si aprivano nuovi sbocchi all'industria manifatturiera, nel tempo stesso che il territorio della madre patria si ampliava, e che il reggimento del Comune spingeva sempre più lungi il suo
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    potere.
    Infatti i nostri primi cronisti pongono all'anno 1078 l'allargamento del secondo cerchio della città, che precedè di 200 anni a un circa la deliberazione e le fondamenta gettate per il terzo e attuale recinto della medesima, sebbene esso non restasse compito che molto tempo dopo . –   Vedere COMUNITA' DI FIRENZE.
    Dalla doviziosa suppellettile di tanti compilatori di vicende patrie raccogliendo alcun chè di quanto occorre a ristringere in poche pagine le massime vicende storiche, politiche e amministrative di questa città, a partire dalla minorità del re d’Italia Arrigo III, si può dire, che la Toscana, e precipuamente Firenze, nel periodo sopra divisato si reggesse in apparenza in nome del re d'Italia, ma in realtà ad arbitrio di un di lui vicario o della sua donna sotto il titolo di marchese . –  Vi signoreggiava la gran contessa Matilde figlia del marchese Bonifazio, allorquando un altro delegato regio venuto in Toscana con le masnade raccolte dai cattani e conti rurali, nel 1113, moveva contro Firenze. In guisa tale che i cittadini per rintuzzare cotanta baldanza fecero una delle loro prime imprese militari accorrendo ad assalirlo in una bicocca de'conti Cadolingi, qual era quella del castello di Monte Cascioli , o Casiolli , posto 5 in 6 miglia toscane a ponente di Firenze, e poco lungi dall'odierna villa di Castel Pulci, dove restò ucciso Roberto vicario del re . –   Vedere CASCIOLI (MONTE) e CASTEL PULCI.
    Da un sì tenue principio cominciò la grandezza di cotanta città, in un tempo in cui il di lei contado non oltrepassava, al dire del divino Alighieri, Trespiano ed il Galluzzo.
    Ma se da un lato la divisione fra il trono e l'altare, da noi poco sopra accennata, fu il segnale di una quasi indipendenza fra i governanti e i governati, fra il principe e i suoi ministri, dall'altra parte si preparava da troppi punti
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    la mina che doveva demolire il mal composto edifizio dello stato; poichè la pravità de'costumi, la poca fede nei giuramenti, la rapina, un’abborrita schiavitù, e uomini prepotenti opprimevano la povera umanità. Per tal modo si vide nei primi anni del secolo XII radunarsi in Firenze il secondo concilio generale (anno 1105) precipuamente motivato dal vescovo Ranieri uomo dotto, quanto giusto. Il quale prelato presedè per 42 anni la chiesa fiorentina, siccome apparisce dall'epitaffio che la città riconoscente pose al suo sepolcro nel tempio che servì al primo duomo di Firenze.
    Ebbe questo buon prelato (e in ciò non fu solo in quella età) un po' troppa fissa opinione, che fosse vicina la fine del mondo, e l'Anticristo arrivato: mosso a crederlo dalla malvagità dei tempi, e dalle prave ingorde voglie degli uomini, non meno che dai terremoti, dalle inondazioni, dalle apparizioni di comete, da mostruosi avvenimenti e da tanti altri fenomeni della natura che allora in sulla terra abbondarono.
    In mezzo a tale stato di cose si trovava Firenze, quando il popolo minuto e grasso cominciò a mettersi in arme per reprimere le oltracotanti schiatte de'Cadolingi, degli Ubaldini, degli Uberti, degli Ubertini di Gaville e di altre famiglie magnatizie. Avvegnachè sino d'allora i reggitori della nascente repubblica presero tale partito da far conoscere alla posterità ch'essi avevano una fondata cognizione intorno l'arti del governo. Quindi a coloro che aderivano volentieri, e che si manteneveno fedeli alla città, usavano molti segni di umanità e di distinzione; al contrario quelli che ricusavano di ubbidire erano puniti con l'esclusione dalla borsa dei signori priori e dalle società delle arti, coll'ammonire ed esiliare i troppo faziosi, coll'espugnare le loro torri, mentre le possessioni di essi s'incorporavano al contado e patrimonio della Repubblica.
    Estimavano quei megistrati, che se la sola forza del potente talora basta a vincere e soggiogare il debole, non evvi che la ragione, e un modo più umano di governare che possa affezionare e legare costantemente il
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    vinto al vincitore. Così la Signoria di Firenze crebbe in riputazione e grandezza dopo che fece intendere ai contadini: che per liberarli dalle brutali estorsioni di sanguinarj sgherri, e di orgogliosi feudatarj, aveva determinato di riceverli sotto la sua tutela e protezione, ricomprando dagli antichi padroni le loro vite e le loro cose, e spesse volte rindennizzando il signore della perdita dei diritti e ragioni feudali, non che del costo dei loro castelli, torri e resedj pagandoli più di quello che non valevano.
    Ognuno che volesse darsi la pena di calcolare le sole provvisioni della Repubblica registrate dagli storiografi fiorentini, relativamente alle somme pagate dalla Signoria di Firenze, (senza dire di quelle che non si conoscono, o di cui manca il valore) facilmente resterebbe convinto che, forse niun contado fu a così caro prezzo acquistato, quanto quello che nel giro di tre secoli andò formando la Repubblica fiorentina.
    Mentre i popoli della campagna accorrevano da ogni parte sotto l'egida della legge, la Signoria di Firenze fabbricava loro nuove terre regolari e munite di mura torrite, perchè servissero di asilo ai refugiati. I quali con la mercè dei privilegi ed esenzioni potentemente alla sua causa affiliava, e ciò nel tempo stesso che di nuovi subborghi e di numerosi edifizj si accresceva dentro e fuori la città capitale.
    Altronde questo agitatissimo stato di rivolte, facendo senno dell'uomo plebeo, preparava e promoveva in tanta energia di vita un coraggio animoso, e un'industria sempre crescente in una nazione sommamente perspicace, cui tutt'altro epiteto dare si doveva fuori di quello che di cieca le fu attribuito della malignità di chi disse dei fiorentini, che
    Vecchia fama nel mondo li chiama orbi .
    Già da gran tempo le generazioni meno antiche e meno partigiane hanno deciso, se fu generosità grandissima piuttosto che cecità quella usata dai fiorentini allora quando essi offersero ai Pisani di guardare la loro città dalle interne e anche dalle esterne agitazioni, mentre i cittadini
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    atti alle armi accorrevano all'impresa delle isole Baleari (anno 1114 circa). Se fu cecità, allorchè, in ricompensa della custodia fedelmente prestata, i difensori scelsero fra le spoglie offerte, i due fusti di colonne di porfido, che tuttora davanti alla porta di mezzo del tempio del Battista veggonsi collocate.
    Tanto maggiormente lodevole risultare deve cotesto generoso procedere di fronte a coloro che ripensano, come l'abbandono delle proprie case per difendere quelle degli altri, fruttasse ai fiorentini l'incendio materiale della loro patria, e quello più terribile che derivò da alcune opinioni religiose.
    Fu in quell'anno stesso del ritorno trionfale da Majorca, o poco dopo, allorchè cessò di vivere la contessa Matilde, la quale chiamando erede della sua casa e del suo podere la Sede Apostolica, lasciò alle generazioni successive un fomite inestinguibile di rivolte, di dispiaceri, di pretensioni e di guerre acerbissime . –  Quindi non passò molto tempo che l'imperatore Arrigo V con poderosa oste rientrò in Italia per contrastare al pontefice i possessi della sua corona, gran parte dei quali erano stati sino allora presi e goduti dai marchesi di Toscana, per il governo della quale l'imperatore condusse il marchese Corrado di lui nipote.
    Nè lungo tempo passò in mezzo a tali turbolenze che videsi succedere al trono della Germania e dell'ltalia quel Federigo Barbarossa, il quale mise a soqquadro non solo i popoli della Lombardia, ma che promosse in Firenze una delle più feroci commozioni popolari, che fu il funesto segnale di tante altre civiche calamità. Fra le quali disgraziatamente celebre per le conseguenze si rese quella del 1215, promossa dagli Uberti per una donzella nobile fidanzata poi ripudiata da un Buondelmonte.
    Ma le prime risse, che cangiaronsi in battaglie di partito, ebbero un tristo preludio fino dall'anno 1177, epoca della caduta di una pila del primo ponte, situato allora fuori della città, voglio dire, del ponte vecchio . Furono quelli della schiatta degli Uberti, i più possenti e
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    maggiori cittadini di Firenze, che coi loro seguaci nobili e popolani, cominciarono a sopraffare i consoli, nei quali consisteva la prima magistratura eleggibile con certi ordini a corto intervallo; e fu si smoderata guerra, che quasi ogni dì si combattevano i cittadini insieme in più parti della città, da contrada a contrada, da torre a torre; le quali torri fino d'allora crebbero per la città in buon numero all'altezza di 100 e di 120 braccia. (MALESPINI. Cronica fior. cap. 80.)
    Pertanto non è da dire che, nei tempi posteriori alle due epoche e avvenimenti testè citati, si vivesse in Firenze senza spargimento di sangue cittadino, avvegnachè le sue piazze spesse volte servirono di orribile spettacolo a crudeli esecuzioni.
    Io non debbo nè posso quì enumerare le molte traversie pubbliche e private della metropoli della Toscana, tosto che da una numerosa schiera di valentissimi storici dell'uno e dell'altro partito furono fatte lunghe e replicate descrizioni più o meno fedeli, più o meno tetre o luminose secondo la loro maniera di vedere e di pensare.
    Fu infatti da molti osservato che il Malespini e G. Villani, mostraronsi preoccupati da assurde e insulse leggende tenute da essi in luogo di fatti veri; e non senza ragione fu tracciato il Villani di sentire troppo in favore della parte Guelfa, siccome scriveva con pungente rabbia Ghibellina Dante, il quale sempre indispettito contro i giudici e reggitori che concorsero a sentenziare la sua condanna di esilio, livido nelle sue opere si avventa alla fama di coloro che ai suoi disegni in qualche guisa avversi si dimostrarono.
    Alcuni di quegli storici supposero, che i consoli di Firenze fossero una conseguenza o piuttosto reliquia del governo romano, sebbene non siavi più dubbio che cotesta magistratura venisse introdotta nelle città del medio evo dai collegj delle diverse arti, i membri delle quali convenendo insieme decisero per comune interesse di stare all’obbedienza dei loro maestri, che consoli appellarono.
    Così senza l'appoggio di documenti del
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    tempo, e scevri di prove legittime, i primi cronisti ebbero anche a credere, che molte illustri e primarie famiglie, nel passaggio di Carlo Magno, altre all'arrivo di Ottone il Grande, venissero d'oltremonti a stabilirsi in Firenze, a Pisa, a Pistoja o nei loro contadi, nei quali ottennero ville e castelli, badie e altre chiese doviziose di beni di suolo.
    Fu detto essere di queste ultime arrivate con Ottone I la schiatta dei conti Guidi, mentre essa feudi ed estese possessioni aveva già nella Romagna, nell'Appennino e nelle Valli dell'Arno superiore e inferiore, in quelle dell'Ombrone pistojese, dell'Elsa e della Sieve sino dai tempi dei re Ugo e Lotario, vale a dire molti anni innanzi la venuta di Ottone il Grande in Toscana . –   Vedere FAGNO, FARO (VICO), PISTOJA, ec.
    Contro questi potenti feudatari la Signoria di Firenze ebbe a rivolgere molte volte e per lunga stagione le sue armi, ora per togliere loro e disfare il castello di Monte di Croce, fra l'Arno e la Sieve, ora per acquistare dai medesimi a caro prezzo Montemurlo, fra Prato e Pistoja. Cerreto, Vinci, Empoli, Monterappoli e altri molti castelli, nel Val d'Arno inferiore; e finalmente moltissimi altri paesi più tardi in Val d'Ambra, in Mugello, nel Casentino e in Romagna. Operavasi di simile maniera verso i Cadolingi di Capraja, gli Alberti di Mangona, di Certaldo, di Pogna e di Semifonte; nel tempo che eserciti più numerosi si dirigevano verso i contadi di Pisa, di Siena, di Volterra, di Arezzo e di Pistoja, devoti quasi sempre all'impero, quando Firenze era il braccio destro della chiesa e dell'indipendenza Toscana.
    Imperocchè poco dopo mancato Federigo II (anno 1250) i fiorentini cavalcarono in Mugello per punire l'audacia degli Ubaldini; corsero a Pistoja per abbattere i Ghibellini, spedirono gente nel Val d'Arno superiore contro gli usciti della città, marciarono a Pontadera, dove restò sconfitto l'esercito Pisano, quando da un'altra parte facevano fronte a'senesi per sostenere l'indipendenza
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    di Montalcino, e tutto ciò si operava nel giro di uno stesso anno.
    A buon diritto pertanto i fiorentini celebrarono, come fausto l'anno 1252, il quale chiamarono l'anno delle vittorie.
    In questo tempo la città essendo tranquilla e felice, quasi per trofeo dell'acquistata fortuna e per la riconciliazione dei partiti che, vivente Federigo II, l'avevano tenuta divisa, fu coniato il fiorino d'oro della somma purezza di 24 carati e del peso di un ottavo d'oncia, con l'impronta del santo Precursore e del giglio, moneta che per la bontà e bella forma fu imitata da quasi tutte le nazioni di Europa, e conservata con poca variazione di peso e niuna affatto di lega anco ai di nostri, sotto nome di zecchino gigliato. Del quale fiorino è tre volte maggiore l'altro più consueto gigliato, conosciuto in commercio col nome di ruspone.
    Due anni prima che tali cose si operassero, Firenze aveva riformato il governo civile e militare affidando quello al consiglio di 12 anziani, questo a due giudici forestieri, potestà e capitan del popolo, sotto dei quali militavano i cittadini distribuiti in ischiere con gonfaloni, 20 per la città e 96 nel contado, quanti erano allora i pivieri.
    Che la fortuna non accecasse il popolo fiorentino in mezzo alle sue contentezze, e che l'onore e la probità pubblica e privata non si lasciassero sempre vincere dalla bramosìa del guadagno o dallo spirito di partito, lo provano due fatti storici che occorsero a quel tempo e nell'anno medesimo.
    Riporterò col Villani le parole del Malespini, autore contemporaneo, quando i fiorentini, nel 1256, mandarono in ajuto degli Orvietani 500 cavalieri, dei quali feciono capitano il conte Guido Guerra de'conti Guidi.
    Giunto questi in Arezzo, senza volontà o mandato del Comune di Firenze, cacciò dal governo e dalla città i Ghibellini che ne tenevano la signorìa, mentre erano in pace coi fiorentini. Per cui questi ultimi corsero ad oste a Arezzo,
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    e tanto vi stettono, ch'ebbono la terra al loro comandamento e rimisonvi i Ghibellini.
    Tale racconto prestasi eziandio a corroborare l'opinione già da me esternata all'articolo CORTONA, rapporto alla sorpresa e assalto dato a questa città nel febbrajo del 1258 dai Ghibellini allora dominanti in Arezzo piuttosto che dai Guelfi fuorusciti di entrambi i paesi.
    L'altro avvenimento che avrebbe immortalato un cittadino dell'antica Grecia o di Roma, se a queste nazioni fosse appartenuto, seguì dopo la vittoria riportata nel 1256 al ponte al Serchio dai fiorentini sopra i pisani: per la quale i vinti dovettero comprare la pace a condizioni assai gravose, come era quella, di consegnare la rocca di Motrone presso Pietrasanta. Non potendo con la forza, tentarono i pisani di corrompere segretamente alcuni degli anziani di Firenze, perchè il castello di Motrone fosse piuttosto atterrato.
    Era uno di essi Aldobrandino Ottobuoni; il quale nelle precedenti discussioni del senato fiorentino aveva di buona fede consigliato i suoi colleghi, che quel fortilizio si disfacesse piuttosto che mantenervi un dispendioso presidio per conto della Repubblica.
    Ma dalla secreta offerta che gli venne esibita di 4000 fiorini d'oro, se a lui riesciva di far prevalere nel giorno della deliberazione la già emessa opinione, senza esitanza si avvide che egli s'ingannava. Tornato pertanto in consiglio con tanta eloquenza perorò, che giunse a far prendere il provvedimento contrario.
    Era salita Firenze in breve giro di anni a tanta prosperità e fortezza, che non solamente capo di Toscana divenne, ma tra le prime città d'ltalia fu annoverata.
    I Ghibellini pertanto veggendosi mancare di ogni pubblica autorità, e avendo alla testa Farinata degli Uberti, si raccolsero tutti a Siena, una delle città ch'era tornata di nuovo in guerra coi fiorentini mercè l'ajuto di Manfredi figlio di Federigo II re di Puglia. Il quale regnante nel mese di luglio del 1260 mandò in Toscana a sostegno degl'imperiali 800 cavalieri tedeschi sotto il comando del conte Giordano; capitano in quei tempi assai reputato.
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    /> Fu allora che i Ghibellini di Siena assistiti dai pisani e dai fuorusciti di molti altri paesi bandirono oste a Montalcino. Nè sembrando cosa convenevole ai reggitori di Firenze di abbandonare alle proprie forze i Montalcinesi, senza porre indugio in mezzo, raccolsero e inviarono colà un poderoso esercito. II quale per malizia dei nemici fatto deviare di strada, colla lusinga di consegnargli una delle porte di Siena, diede occasione alla famosa battaglia di Montaperto, che appellare si potrebbe il Waterloo del medio evo.
    La strage, per la quale fu vista l'Arbia correre sangue, dopo il segnale del traditore Bocca degli Abati, divenne si orribile che parve agli scrittori fiorentini di poterla paragonare (proporzionando le cose alle nazioni) alla disfatta di Canne; seppure non la superasse nelle conseguenze pubbliche e private.
    Sarebbe opera lunga e laboriosa il registrare tanti esilj, tante crudeltà e tante vendette operate in Firenze e nel suo contado contro le persone e le proprietà, senza dire tutto il male che risentì la Toscana e gran parte dell'ltalia superiore dai vincitori di Montaperto. Dirò bensì essere giunta la irascibilità di questi a tale vituperio, che conculcando ogni legge naturale e civile, inveì perfino contro lo sfacellato cadavere del benemerito concittadino Aldobrandino Ottoboni (cui la patria riconoscente aveva eretto un monumento in S. Reparata) scavandolo dalla tomba dove trovavasi già da tre anni sepolto, per gettarlo in una vile cloaca, dopo averlo per tutta la città orribilmente trascinato.
    Ville, mobili, poderi e tutte le sostanze de'Guelfi vennero poste a sacco, disperse e messe a comune, i loro resedj, le torri, i palazzi pazzamente atterrati; e per colmo di vendetta al parlamento dei capi della Lega Ghibellina in Empoli fu messo a partito il progetto di disfare da capo a fondo la stessa città di Firenze: lo che sarebbe indubitatamente accaduto senza l'opposizione decisa del capitano Farinata degli Uberti.
    Reggevasi il paese a nome del re Manfredi dal conte Giordano, ma in realtà sotto l'influsso
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    di rabbiosi amministratori, che mutarono la faccia alle cose pubbliche e private di tutta la Toscana, ad eccezione di Lucca, l'unica fra tutte le città che in quei momenti conservasse l'antico regime, e che a molti cittadini esuli offrisse un refugio in tanta calamità.
    Poco appresso, dovendo il conte Giordano partire, fu costituito vicario del re in Toscana il Conte Guido Novello di Modigliana, in mano del quale fu riposto anche il governo della giustizia di Firenze.
    Una delle prime operazioni del potestà Ghibellino fu di cacciare i Guelfi da Lucca e dal suo distretto conducendo l'esercito della Lega, prima nel Val d'Arno inferiore, per occupare le quattro terre dei lucchesi (Fucecchio, S. Croce, Castel Franco e S. Maria a Monte), poscia nei subborghi di Lucca. Fu allora che i reggitori di essa città si trovarono costretti a promettere al capitano dei Ghibellini dentro il termine di tre giorni di cacciare i profughi sotto pena della vita; molti dei quali in tale funesta congiuntura furono costretti a prendere il partito di andare oltremonti e oltremare a procurarsi miglior ventura.
    Fra questi ed altri posteriori frangenti, ad istanza dei pontefici, entrò in Italia Carlo d'Angiò per cacciare da Napoli Manfredi. Allora i Guelfi usciti di Firenze si esibirono al papa Clemente IV di concorrere all'impresa con i loro cavalieri. Avendo il pontefice accettata l'offerta milizia, consegnò alla medesima una bandiera avente la sua arme, quella stessa che d'allora in poi ritenne sempre il magistrato della Parte Guelfa di Firenze, cioè, un'aquila vermiglia in campo bianco con sotto un serpente verde.
    Appena giunse la novella in Firenze della battaglia guadagnata a Benevento con la morte del re Manfredi, l'ultimo giorno di febbrajo 1266, i Guelfi che erano ai confini, ovvero sparsi e nascosti per il contado, appressaronsi alla città, dove il popolo era di animo più guelfo che ghibellino, e misero tale paura nel conte Guido Novello potestà e governatore dei Ghibellini, che egli, nel
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    dì 11 novembre 1266, coi caporali e suoi militi fuggì alla volta di Prato. Il popolo rimise in Firenze i Guelfi che riformarono il governo, offrendo per dieci anni la signoria al re Carlo d'Angiò; il quale, nel marzo del 1267, vi inviò per suo vicario il conte Guido di Monforte accompagnato da 800 francesi a cavallo. Il suo ingresso in Firenze accadde nella stessa solennità di Pasqua di Resurrezione, nella quale i Ghibellini, 52 anni innanzi, con la morte di Buondelmonte attirarono sopra la loro patria cotante disavventure, talchè parve a G. Villani, che queste fosse giudizio di Dio, poichè i Ghibellini in Firenze non tornarono mai più d'allora in poi in pieno stato. (G. VILLANI Cronica. lib. VII. c. 15.)
    Da questo reingresso dei Guelfi, dopo un esilio di sei anni,ebbe origine la seconda riforma politica del governo fiorentino, se si valuta per prima quella del 1250, stata poco sopra accennata. Nel nuovo riordinamento fu deciso di richiamare tutti i cittadini esuli di qualunque partito, e di perdonare ai Ghibellini le passate ingiurie.
    Fu allora istituito il magistrato dei capitani di Parte Guelfa, incaricato d'incamerare i beni dei ribelli. Si ordinarono diversi consigli, quello di 12 buonomini, senza dei quali niun progetto, nè alcuna spesa si ammetteva: e perchè le sue deliberazioni avessero effetto, vi era necessario il voto dei gonfalonieri o capitani delle arti maggiori, e dei consiglieri di credenza ch'erano 80, e da questi consigli doveva passare al consiglio generale, ossia dei 300 dove assisteva il podestà.
    Ma quanto fu l'anno 1267 avventuroso ai Guelfi di Firenze, altrettanto riescì sciagurato il 1269 mediante le alluvioni dell'Arno, che nell'ottobre, traboccando dal suo letto, molta gente, molti alberi, molte case, e perfino i ponti di S. Trinità e della Carraja, trascinò nei torbidi suoi gorghi.
    Tacerò del passaggio del re Corradino, che alla parte Guelfa per breve istante tolse il governo di Toscana per favorire i Ghibellini, i quali mediante un tal favore
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    in Firenze occuparono quasi tutti gli ufizj dello stato. Avvegnachè la sconfitta di Tagliacozzo del 23 agosto 1268 (la quale costò il trono e la vita a Corradino ultimo rampollo degli imperatori Svevi, e a Carlo d'Angiò assicurò il regno) portò anche la costernazione nei Ghibellini di Firenze, costretti a fuggire dalla loro patria, o a umili condizioni accordarsi con la parte contraria che tornava in seggio.
    L'anno 1273 fu memorabile per la città di Firenze a motivo della venuta del pontefice Gregorio X con Baldovino imperatore di Costantinopoli e Carlo d'Angiò re di Napoli; e bramando quel papa di rimettervi costà la pace tra il partito dominante e i Ghibellini di fuori, nel dì 2 di luglio, tutta quella papale, imperiale e regia comitiva in presenza del popolo si presentò nel greto d'Arno a piè del ponte Rubaconte, dove il pontefice volle che si facesse pace fra le parti avverse; comecchè essa fosse di breve durata. Nè più lunga fu quella che nel 1277 tornò a farsi per opera del cardinale Latino Orsini, delegato a ciò dal pontefice Niccolò III, che tentò di riformare il governo di Firenze, instituendo un magistrato di 14 cittadini, dei quali 8 Guelfi e 6 Ghibellini.
    Dopo tutti questi casi, nel 1282, sorse in Firenze una nuova magistratura progettata dai mercanti di Calimala, che rimpiazzò quella dei 14 creati dal cardinale Latino; quella cioè, dei Priori delle Arti, detti più tardi (anno 1458) Priori di Libertà . –  Erano eletti a breve tempo fra le arti maggiori, (uno per ogni sesto della città). I quali in compagnia del capitano del popolo costituivano il potere esecutivo, e tutte le grandi e gravi cose della Repubblica dovevano da essi loro governarsi.
    Niuno che fosse stato nobile o grande poteva ottare a tale uffizio, se pure non era ascritto a una delle arti maggiori, a condizione di sostituire all'antico magnatizio un popolare casato.
    La storia ha conservato
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    il nome di quei sei priori che, nel 1285, camminando prosperamente gli affari interni ed esterni, deliberarono di ampliare la città con un terzo cerchio di mura, che è quello che tuttora si vede, nel tempo che si dava ordine a lastricare di mattoni le interne vie, cominciando dalla loggia d'Orto S. Michele, dove allora si teneva il mercato del grano.
    Le cose dei fiorentini dopo creato il magistrato de'Priori, procedettero cotanto bene, che gli aretini presero il partito d'imitarne l'esempio coll'affidare a uno solo l'autorità concorde di più. Avvenne però, che il priore da essi eletto perseguitando oltremodo i grandi, questi, nel 1287, prestamente lo finirono, cacciando i Guelfi dalla città per affidare le redini del governo al vescovo Guglielmo degli Ubertini, uomo stimato valoroso e grandissimo partigiano dei Ghibellini. Il quale mitrato con l'assalto di Cortona, del 1258, aprì la sua carriera politico militare, e nel 1289, la chiuse vittima di ambizione o di coraggio con la battaglla di Campaldino.
    Battaglia che fu per lunghi anni celebrata con palio dai fiorentini nel giorno di S. Barnaba, santo che Firenze prese per secondo protettore della città.
    Battaglia famosa non tanto per le conseguenze, quanto per gli uomini celebri che figurarono fra i prodi nelle file dei fiorentini, tra i quali Vieri de'Cerchi e Corso Donati, due personaggi che si fecero in seguito capi di due potenti fazioni; e per avervi militato Dante Alighieri allora Guelfo, mentre 22 anni dopo fu allontanato dalla patria per Ghibellino, nel tempo che sedeva nel magistrato de'Priori Dino Compagni, cronista che succedè immediatamenie a Ricordano Malespini, quando appunto nasceva lo storico più celebre Giovanni Villani.
    Era appena corso un anno dalla vittoria di Campaldino, che si credè bene di fare una correzione alli statuti, ristringendo a sei mesi invece di un anno l'ufizio dei potestà di Firenze e di dar effetto a una provvisione che vietava di rieleggere prima di tre anni ogni priore stato di magistrato.
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    /> Non ostante che i popolani si fossero ingegnati più volte di porger rimedio con provvedimenti e leggi nuove alle civili discordie, onde tenere in frèno la potenza dei grandi, questi però trovandosi del favore de'parentadi, della reputazione di un'invecchiata nobiltà e della fresca gloria da essi acquistata nelle ultime battaglie, toglievano l'ardire agli offesi di accusarli; nè gli stessi giudici si arrischiavano di castigarli ogni qual volta l'accusa fosse accaduta. Ma quando anche si discorreva nelle società popolari della maniera di provvedere alla salute e libertà comune, veruno mostravasi disposto, e a niuno bastava l'animo di farsene capo.
    Il valore e l'industria di un cittadino spedì tostamente l'inviluppo di tale negozio. Questi fu Giano della Bella, uomo di condizione popolare, nato però di nobile famiglia, per ricchezze, aderenze e condotta dall'universale apprezzato. Il quale essendo nuovamente eletto de'Priori delle arti, ed entrato in carica li 15 febbrajo del l293, a nativitate , persuase i suoi compagni, che per dare maggior forza al popolo era d'uopo aggiungere all'ufizio dei Priori uno di maggiore autorità degli altri. Questo si chiamò il Gonfaloniere, di giustizia, perchè alla sua custodia fu affidato il gonfalone con l'insegna del popolo, che era la croce rossa nel campo bianco, e una guardia di mille soldati d'infanteria, il cui numero poscia per due volte si raddoppiò.
    Quindi si fecero leggi municipali sotto nome di Ordini della giustizia , per punire i potenti che avessero oltraggiati i popolani, e fu deliberato, che qualunque famiglia avesse avuti cavalieri, (erano in tutto 33 casate di messeri) s'intendesse che fossero de'grandi, e che niuno di loro potesse entrare in seggio de'signori, nè diventare gonfaloniere di giustizia, o alcuno de'suoi colleghi.
    E a questo ordine di cose legarono tutte le compagnie delle arti o Capitudini , dando ai loro consoli qualche autorità nei consigli generali.
    Tali mutazioni di stato promovendo accuse continue e severe punizioni, dovevano sempre più inacerbire per paura e per
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    sdegno i potenti cittadini, i quali non tutti dalla nobiltà del sangue, ma per industrie onorevoli, e talvolta per illeciti guadagni eransi fatti grandi, a danno quasi sempre del popolo minuto che volevano più umile; in guisa che essi trovarono finalmente il mezzo di abbattere questo, costringendo Giano della Bella ad allontanarsi dalla città (anno 1295), cui tenne dietro il guasto che si diede alle sue abitazioni, e la condanna di tutto il suo lignaggio a un perpetuo esilio.
    Il breve periodo del governo fiorentino riformato da Giano della Bella porta tale suggello perenne e glorioso nei monumenti della patria, che ognuno resta ammirato a considerare, che per magnanimo concepimento di quella Signoria fu decretata nell'anno stesso 1294 la costruzione, e gettati i fondamenti di due più grandi chiese di Firenze, cioè, S. Croce, che è il Panteon dei fiorentini, e S. Reparata, che divenne quella maestosa cattedrale, la quale si vede sempre da tutti con maraviglia: nel mentre che l'arte dei mercanti di Calimala faceva sgomberare d'intorno al battistero di S. Giovanni le arche romane di vecchi sepolcri per rivestire con migliore disegno l'esterne mura di nobili marmi bianchi e neri, invece dei guasti e cadenti macigni.
    Nè questi soli furono i monumenti pubblici, ai quali allora si dava opera; imperocchè si ajutavano di denari e di tutti i mezzi i frati Predicatori per l'edificazione della chiesa di S. Maria Novella, e i frati Agostiniani per quella di S. Spirito, frattanto che s'ingrandiva la piazza contigua dopo comprate le case dei particolari, e nel tempo stesso che si dava compimento all'acquedotto che dall'Arno entrando per la porta Ghibellina conduceva per uso delle arti copiosa fonte ai lavatoj di S. Simone, e quando infine si apriva una nuova porta del secondo cerchio in Oltrarno al canto della Cuculia, porta che fu chiamata di Giano della Bella .
    Chiudevasi questo periodo di magistratura con la morte del primo dotto fiorentino Brunetto Latini, e
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    con la esaltazione al papato di Bonifazio VIII, pontefice di alto ingegno e di grande ardire, quello stesso cui avvenne lo straordinario accidente di trovarsi complimentato da dodici diversi ambasciatori inviati a Roma in nome di altrettanti governi di Europa, i quali tutti interrogati: qual fosse la loro patria? risposero tutti esser nati cittadini di Firenze; per cui Bonifazio ebbe a proferire tale sentenza, che definì i fiorentini per un quinto elemento .
    Innanzi che il secolo XIII spirasse, la Repubblica ordinò l'edificazione di due castelli regolari nel Val d'Arno di sopra, sotto i nomi di S. Giovanni e di Castel Franco; diede principio al maestoso palazzo di residenza della Signoria, (ora il Palazzo vecchio ) nel tempo medesimo che fece metter mano ad alzare i fondamenti e le mura del terzo cerchio della città . –  Vedere COMUNITA' DI FIRENZE.

    STATO di FIRENZE dal 1300 sino alla
    CACCIATA del DUCA d’ATENE

    Allora quando uno si fa a considerare la storia di Firenze, fra il declinare del secolo XIII e l'apparire e crescere del susseguente, resta sopraffatto e indeciso se vi sia stata una generazione meno irrequieta di quella, o se vi avesse altra città, che per copia di virtù, per chiari uomini e per private ricchezze di questa maggiormente fiorisse.
    Sennonchè cotante doti de'fiorentini, anzichè patrimonio pubblico, essendo parziale corredo d'individui e di famiglie, queste e quelli, sia che fosse troppo vigore, o piuttosto antico livore, ad ogni piccola scintilla si vedevano accendere di sdegno, e convertire le personali discordie in pubbliche micidiali ostilità.
    Infatti per cause meramente private da due nobili famiglie consanguinee sorsero in Pistoja col secolo XIV due nuove fazioni, sotto il distintivo di Bianca e di Nera . Ciascuna delle quali fa accolta e presa a proteggere in Firenze, da Donato Corsi la Nera , da Vieri de'Cerchi la Bianca
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    ; due schiatte potenti, una più nobile, l'altra più ricca, e sempre fra loro mal d'accordo. Per modo tale che per esse primieramente tornò a mettersi in Firenze tanto scompiglio, che non solo la città, ma tutto il contado si divise e molte volte battagliando o in altra guisa si sacrificò chi per l'una e chi per l'altra parte.
    Tutti i Ghibellini tennero co'Cerchi, perchè speravano aver da loro meno offesa; vi si accostarono quelli ch'erano dell'animo di Giano della Bella, dolenti della sua cacciata. A questi si aggiunsero i parenti e amici de'Cerchi e le persone nemiche di Corso Donati, tra le quali il poeta Guido Cavalcanti, il nipote di Ricordano Malespini, Baschiera Tosinghi, Corso Adimari e Naldo Gherardini.
    Colla parte di Corso Donati tennero i grandi, amici e parenti suoi, fra i quali Pino de'Rossi, Geri Spini e loro consorti, Pazzino de'Pazzi, la maggior parte dei Bardi, quelli della Tosa, e molti altri messeri, o cavalieri.
    Credendo, o per lo meno figurandosi di provvedere alle discordie interne con l’intervento esterno, la Signoria di Firenze pregò il papa Bonifazio VIII, affinchè mandasse un personaggio di sangue reale, per riformare la discorde città, che ben presto arrivò, li 4 novembre 1301, e fu molto onorato.
    Ognuno sa che Carlo di Valois giunse a disporre del governo fiorentino a seconda dell'arbitrio suo; ognun sa che poco dopo il suo arrivo furono confinati ed espulsi dalla patria Dante Alighieri, il padre del Petrarca e moltissimi altri di parte Bianca, ai quali per giunta vennero confiscati e tolti i loro beni e le loro case disfatte.
    Ecco le parole di Dino Compagni, testimone oculare: "L'uno nemico offendeva l'altro; si facevano ruberie; i potenti domandavano denari ai deboli; maritavansi le fanciulle a forza; uccidevansi uomini, e quando una casa ardea forte messer Carlo domandava: che fuoco è quello? gli era risposto ch'era una capanna, quando era un ricco palazzo. "
    Partito da Firenze
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    Carlo di Valois, e dal mondo Bonifazio VIII, nuove divisioni fra i grandi e i popolani di parte Nera causarono nuove risse, tumulti e battaglie cittadine, tantochè la Signoria ricorse a Benedetto XI appena fatto pontefice, rimettendosi alla sua elezione per avere un buon potestà . –  Questo aneddoto storico forma l'argomento di una lettera di quel papa, spedita li 10 aprile 1304 da Monte Rosi alla Signoria, nella quale, nomina tre o quattro candidati per cuoprire l'ufizio richiesto, esortando il popolo fiorentino alla concordia e alla pace. Al quale scopo, egli soggiunge aveva inviato a Firenze il cardinale fr. Niccolò vescovo d'Ostia, descrivendone l'ottimo carattere nel modo simile a quello che ci viene dipinto dallo storico Giovanni Villani, (MANNI Sigilli antichi. Tom. XXV.)
    Frattanto nè il legato pontificio ottenne l'intento voluto, nè il potestà ricercato potè più comparire a Firenze, involta più che mai fra tumulti, perturbazioni, assalti e rovine.
    A simili mali politici se ne aggiunsero due materiali, la caduta del ponte alla Carraja (il dì 1 maggio 1304) allora di legname, per troppa calca di popolo accorso a vedere una rappresentazione che si faceva nell'Arno dell'anime dannate nell'Inferno. A tal rovina tenne dietro (10 giugno) un artifiziale incendio che arse e consumò 1700 case, a cominciare dalla piazza del Duomo, Or S. Michele, via di Calimala, Mercato Nuovo e Vacchereccia sino al Ponte vecchio; incendio che portò la miseria in molte famiglie, e che per eccellenza di scelleratezza rese celebre al pari del nome di Erostrato quello di Neri Abati, che di tal maligno artifizio fu addebitato.
    Non trascurarono i fuorisciti di trarre profitto da tanta desolazione e spavento, cogliendo il destro, per rientrare con armata mano in Firenze; e già erano in buon numero penetrati nella città, e dato principio al combattimento, se un primo svantaggio non li sbigottiva a segno da ritirarsi dall'azione. In guisa che il loro colpo per poco senno e per viltà andò
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    fallito. Invece di vittoria essi abbandonarono molte vittime al furore della parte irritata; la quale rivolse le armi contro le castella dei magnati di contado che a tali imprese avevano contribuito.
    Fu allora dai Neri dopo qualche resistenza preso e disfatto ai nobili de'Cavalcanti
    canti il castello delle Stinche fra la Pesa e la Greve, e gli abitanti chiusi nelle nuove carceri fabbricate in Firenze sul terreno degli Uberti, (anno 1305) attualmente convertite in belle ed ariose abitazioni. Nè a questo solo castigo si limitò la Signoria retta dalla parte Guelfa, ma unitasi al governo di Lucca, mosse guerra a Pistoja, i cui cittadini dopo ostinata difesa, per rabbia di fame, dovettero aprire le porte agli assalitori (li 10 d'aprile 1306) e vedere, ad onta della capitolazione, atterrare le mura della città e le case dei grandi mettere a sacco.
    La terza impresa fu diretta nel Mugello contro gli Ubaldini, i quali con buon numero di Ghibellini usciti di Firenze, si fecero forti nel castello di Montaccianico; presso il quale la Repubblica fiorentina fece edificare (anno 1306) la regolare terra murata di S. Barnaba, ossia di Scarperia.
    Prima che l'anno stesso terminasse il suo giro, sembrando ai popolani di Firenze che i loro grandi avessero presa troppa baldanza, vollero rafforzare il governo coll'istituire l'ufizio dell'Esecutore degli ordinamenti, della giustizia, perchè egli dovesse sorvegliare e procedere contro i grandi che offendessero i popolani e contro i rivoltosi– ll primo eletto In tale carica fu Matteo de' Ternibili di Amelia, sotto di cui si abbellì alcuna parte di Firenze, e si rifece la via de'Cavalcanti, oggi detta di Baccano , di che resta ivi tuttora la lapida con lo stemma. Al Ternibili , nel 1309, successe nel medesimo impiego di Esecutore degli ordinamenti della giustizia Albertino Musatto da Padova, il quale tre anni dopo figurò sotto le bandiere dell'imperatore Arrigo VII con la penna e con la spada.
    In realtà la comparsa
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    di Arrigo VII in Italia fu per i fiorentini simile a quella di un astro apportatore di nuove procelle, comecchè Firenze dopo Brescia sia stata la città che mostrò maggior cuore, e tale da resistere e render vana ogni sorta di minaccia, anche nel tempo che essa fu da numerosa oste (anno 1313) assediata e le sue belle e popolose campagne dagli assedianti dilapidate.
    La morte dell'imperatore rincuorò il governo di Firenze che per un tempo determinato si era messo sotto la protezione di Roberto re di Napoli. Imperocchè da questo coronato s'inviava costà il potestà sotto nome di vicario R., accompagnato da più centinaja di cavalieri e da baroni del regno. Esso sopravvedeva alla giustizia tanto nel civile che nel criminale, e comandava la guerra previo giuramento, di attenersi fedelmente agli statuti della Repubblica.
    Frattanto nuovi casi trassero nuova procella dalla parte di Val di Nievole, quando Uguccione della Faggiuola, giunto a Pisa, rianimò i Ghibellini, mesti e avviliti per l'inattesa morte di Arrigo VII, a speranza di vittoria. Questa infatti l'ottenne ben presto solenne e completa (20 agosto 1315) contro l'oste riunita dei Fiorentini, Senesi, Volterrani, Pistojesi, e di tutte le Terre di parte Guelfa della Toscana, raccolta fra la Pescia maggiore e la Nievole, in guisa che la battaglia di Montecatini fu quasi un altra disfatta di Montaperto.
    Dissi, quasi di Montaperto, avvegnachè non giunsero questa volta i vincitori Ghibellini di mettere a soqquadro come allora fecero la Toscana tutta; e se ad alcuni di essi in Firenze riescì di riporre il piede, mancò, loro la forza di prendere stato. Al contrario i vincitori inasprirono i vinti, talchè agli usciti prolungarono la pena di esilio, pubblicando i loro beni, e sentenziavano altri, all'ultimo supplizio, fra i quali Dante Alighieri, nel tempo stesso che s'innalzavano le nuove mura, dalla porta al Prato a quella di San Gallo, per mettersi in difesa da quelli di fuori.
    Vi fu anche un momento in
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    cui Firenze si rallegrò, quando sentì avvenuta in un giorno medesimo (10 aprile 1316) l’espulsione di Uguccione dalla Signoria di Pisa e da quella di Lucca, per soverchia tirannìa usata in verso le due città; dalle quali i fiorentini con tutti i loro alleati ben presto ottennero i prigioni fatti alla sconfitta di Montecatini.
    Sennonchè in luogo di Uguccione sorse in Castruccio un più intraprendente capitano, e di più alta mente di qualsiasi altro di quel secolo; avvegnachè egli diede assai che fare e bene spesso triste lezioni ai fiorentini finchè visse.
    Egli adunque senza alcuna provocazione rompendo con Firenze la pace, alla testa dei lucchesi e dei pisani, nella primavera del 1320, e nuovamente nel 1321 e 1323, corse nella Val di Nievole, e di là nel Val d'Arno inferiore recando ogni sorta di danno e saccheggio ai paesi aperti, o difesi da muri e da rocche del contado fiorentino, e ardì perfino con l'oste di avvicinarsi a Prato. Lo stesso duce nell'anno 1325 pervenne inaspettatamente a impadronirsi di Pistoja. Quest'ultimo colpo di mano di un destro politico e di un valoroso militare provocò tale ira e vergogna nel governo e popolo fiorentino, che si raccolse in città un esercito più numeroso di quanti altri ne avesse avuti Firenze in proprio, senza contare l'aumento che ricevè dalle milizie a piedi e a cavallo delle città collegate.
    Ma una sì numerosa oste, che credeva di potere conquistare Lucca non che i paesi tolti da Castruccio, restò vinta con grande strage (li 23 settembre 1325), e in gran parte esangue o prigioniera di più accorto capitano fra le paludi di Bientina e di Fucecchio. La rotta dell'Altopascio, che contasi fra le memorabili sconfitte degli eserciti fiorentini, mosse il vincitore verso Firenze con l'idea di profittare della paura e dello scompiglio del popolo, onde con manovra di mano maestra vedere d'impadronirsi della stessa città. Fu allora che a insulto e scherno dei vinti fece battere moneta
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    a Signa e correre tre palj da Peretola sino al ponte alle Mosse , che è un miglio presso a Firenze, mentre i fiorentini stavansi rinchiusi dentro le nuove mura che procurarono in massima fretta di circondare di fossi e fortificare. Se in quell'occasione non fosse comparsa a salvare la patria un'altra Vetturia nella matrona de'Frescobaldi, la quale per la carità della patria distogliesse il figlio Guido Tarlati vescovo di Arezzo dall'unire il suo esercito a quello di Castruccio, Firenze avrebbe dovuto soccombere a tanta sciagura.
    Giunse poco dopo in sussidio Gualtieri duca d'Atene, in qualità di vicario interino di Carlo duca di Calabria con 400 cavalli. Il quale Gualtieri seppe tenere il suo posto saviamente, finchè non arrivò lo stesso duca di Calabria figlio del re Roberto accompagnato da una splendida corte. Ma le pompose feste date dai fiorentini per riconoscere quel principe in quasi assoluto signore della Repubblica, piuttosto che occuparsi di raccogliere gente per tentare di respingere il temuto Castruccio, fecero perdere tanto tempo, che quest'accorto capitano potè porsi in grado da riparare a tutti gli assalti, che dopo gli furono mossi contro da più lati con la croce, con la spada e con le congiure.
    Ad aggravare la somma di tante sciagure il commercio di Firenze risentì contemporaneamente alla disfatta dell'Altopascio un danno immenso pel fallimento di 400,000 fiorini d'oro della società mercantile de'Petri e degli Scali.
    Che più! a sostegno di Castruccio stava per muoversi dalla Germania con numeroso seguito Lodovico duca di Baviera, per venire a incoronarsi re a Milano, a Roma imperatore. Ma il capitano lucchese, volendo fare pomposa corte all'intruso coronato, costretto di allontanarsi dai suoi dominj perdè Pistoja per sorpresa dei fiorentini. Comecchè un tale acquisto costasse ben presto lagrime di sangue ai pistojesi obbligati di arrendersi per fame a discrizione del reduce e indispettito Castruccio, che seppe rendere immobile un numeroso esercito fiorentino (3 agosto 1328) inviatogli contro. Dopo tale emergente
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    il re Bavaro si andava avvicinando minaccioso verso Firenze; e già il governo preparavasi a fargli fronte quanto poteva fortificando le mura della città e quelle dei vicini castelli, e provvedendo l'una e gli altri di armi e di vettovaglie, sul timore di dovere sostenere un secondo assedio più formidabile di quello del settimo Arrigo: quando la morte di Castruccio liberò Firenze e il suo contado da tante angoscie.
    Assai maggiore fu la paura e il danno che le avvenne nell'autunno del 1333, allorchè seguì una delle più strabocchevoli inondazioni dell'Arno, la quale allagò tutta Firenze, colla distruzione di muri, di pescaje e di tre ponti dentro la città, cioè, del ponte Vecchio, del ponte di S. Trinita, e di quello della Carraja.
    Immensa fu la rovina e guastamento della campagna, sicchè Giovanni Villani non trovando numero di moneta che potesse adeguarla, solamente aggiunge che a rifabbricare i ponti, le mura e le vie del Comune di Firenze si spesero più di 150,000 fiorini d'oro.
    Sorprenderà il sentire come pochi mesi dopo accaduto tanto flagello, si tornasse a ricostruire, non solamente i ponti, muri e altri edifizi abbattuti, ma si spendessero grandi somme per l'annona, per il magnifico palazzo alzato sopra le logge di Or S. Michele, dopo la provvisione dalla Signoria decretata, nel dì 25 settembre dell'anno 1336, mentre si gettavano i fondamenti della torre maravigliosa di Giotto; e tutto ciò nel tempo stesso che si attendeva alla dispendiosa guerra e alla malaugurata compra di Lucca, per la quale i reggitori di Firenze spesero invano una disordinata somma di moneta, non calcolando quella che consumossi nelle guerre di Lombardia contro Mastino della Scala.
    Del dominio e della entrata che aveva il Comune di Firenze tra il 1336 e il 1338 ne ragionò lo storico G. Villani cittadino guelfo, e uno de'mercanti fiorentini, quando la sua patria signoreggiava in Pistoja, in Colle di Val d'Elsa e nei respettivi contadi, quando teneva 18 castella murate del
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    territorio di Lucca, e 46 castella forti del distretto e contado di Firenze, senza le tante rocche e castelletti di proprietà dei cittadini oltre una grandissima quantità di terre, borghi e ville non murate.
    La somma dell'entrate di Firenze stava si più che altrove nel commercio, che formava la maggior ricchezza dei cittadini; i quali però ebbero poco dopo una fatale scossa nel fallimento delle compagnie de’Peruzzi e dei Bardi, creditori di 1,365,000 fiorini d'oro per somministrazioni fatte a Eduardo III re d'Inghilterra, che non trovossi in grado di soddisfare.
    Pareva alla Signoria di Firenze di non potere fra tante avventure sostenere meglio il governo che affidandone l'esecutivo a una specie di dittatore, cui diedero il titolo di Capitano della guardia, o Conservatore del popolo. Quest'ufiziale creato tre anni dopo la grand'alluvione, senz'obbligo di ubbidire agli ordini della giustizia, nè di render conto ad alcuno fuori che ai Priori delle arti, tenne sì aspro e crudele governo che alcune potenti famiglie cercarono di cospirare nella città per abbattere il capitano e abolire quell'ufizio.
    Coi Bardi si unirono alcuni de'Frescobaldi, de'Rossi, de'conti Guidi, i Pazzi di Val d'Arno, i Tarlati di Arezzo, gli Ubertini, gli Ubaldini, i Guazzalotti di Prato, i Belforti di Volterra e più altri: i quali doveano levare la città a rumore per uccidere il capitano della guardia, e rifare in Firenze nuovo stato. E sarebbe loro certamente venuto fatto, se non vi fosse stato chi rivelasse la cogiura, che scoppiò con tristo effetto dei congiurati nel settimo compleanno della disastrosa piena dell’Arno, cioè il dì d'Ognissanti 1340. Era nel numero dei congiurati mess. Jacopo de'Frescobaldi priore di S. Jacopo Oltrarno, quello stesso che nel 1335 alienò al capitolo fiesolano i terreni posti sul poggio dove fu la rocca di Fiesole, e che a cagion di simil congiura fu condannato come ribelle del governo con la confisca de'suoi averi . –   Vedere FIESOLE pagina 113. col I.
    Da tale
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    macchinazione nacque una riforma nel regime di Firenze, la quale fruttò, invece di uno, due Conservatori, abusivamente detti, della pace.  A questi fu accordata maggiore autorità di prima, ad uno per sorvegliare la città e all'altro il contado; sicchè dal cattivo governo di costoro si venne presto a cadere nelle pessime mani di Gualtieri duca d'Atene, chiamato a coprire lo stesso ufizio di Conservatore della pace, quale altra volta esercitò con plauso e giustizia. Cosicchè poco dopo il popolo si diede di buona voglia in braccio a lui acclamandolo, invece di Conservatore per un anno, Signore di Firenze e Principe a vita con illimitata autorità.
    Che però se al duca riescì facile di acquistare la città e dietro a essa tutto lo stato di una Repubblica che in libertà non sapeva mantenersi, e la servitù patire non poteva, per egual modo Gualtieri vide prestamente strapparsi lo scettro, sbalzandolo dal trono quei grandi e quei popolani medesimi, dai quali era stato onorato, acclamato e posto in palagio.
    Le accuse secrete, i tormenti, le condanne in denari, le punizioni a un duro carcere, al taglio della testa, della lingua o della mano, ed altre turpitudini e dissolutezze, furono i flagelli che subentrarono alle esultanti feste di gioja fatte nel dì 8 settembre 1342 a onore del duca d'Atene. A rendere le quali più solenni vi concorse perfino la persona più rispettabile della città, quale fu il vescovo fr. Angelo Acciajuoli, che a coronare la festa della Signoria del duca Gualtieri, disse un panegirico per magnificare le credute virtù del mascherato principe appresso il popolo.
    Ma l'atroce maniera di operare del duca d'Atene e dei suoi satelliti, gli preparò contro in un tempo medesimo tre cospirazioni diverse, di grandi e di popolani, senza che una sapesse nulla dell'altra.
    Lo stesso vescovo di Firenze Acciajuoli, pentito di avere ingiustamente lodato il tiranno, si era fatto capo della prima e più forte congiura. Alla testa della seconda si
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    posero i Donati e i Pazzi, mentre della terza era il primo Antonio Adimari. La scoperta di tante e sì numerose macchinazioni spaventò, ma non avvilì il duca, il quale si preparava a farne vendetta da suo pari, quando tutti i cittadini corsero armati in piazza per assediarlo in palazzo, trucidare i suoi agenti e cacciare via il tiranno dalla residenza dei Signori con perpetuo esilio dallo stato.
    I 21 gonfaloni delle arti maggiori e minori, che ogn'anno nel giorno di S. Anna sventolano intorno ai pilastri della chiesa di Or S. Michele, rammentano la festa anniversaria della cacciata del duca d'Atene (26 luglio 1343); il di cui governo non lasciò altra memoria lodevole fuori di quella che per tristezza sua derivò in bene alla città, mercè la riunione di molte famiglie cospicue per odio inveterato fra esse d'animo alienate, e la magnifica strada che al tempo suo fu ampliata da Or S. Michele sino allo sbocco della piazza della Signoria.

    STATO DI FIRENZE DAL 1343 alla
    CAPITOLAZIONE di PISA

    Posata alquanto la città dal furore dopo la cacciata del duca d'Atene, 14 cittadini nominati dal popolo sotto la presidenza del vescovo Acciajuoli si occuparono di riformare il governo e le magistrature; e vinse il partito che i magnati fossero a parte degli ufizi per maggior unione dell'universale, in guisa che i grandi entrarono nel magistrato della Signoria per una terza parte, e negli altri ufizi per la metà.
    Era stata fino allora la città di Firenze divisa per Sesti, cinque alla destra e uno alla sinistra dell'Arno, questo era nominato di Oltrarno , gli altri si appellavano S. Piero Scheraggio, Borgo (SS. Apostoli), S. Pancrazio, Porta del Duomo e Porta S. Piero ; cosicchè, sei Priori (Signori),uno per Sesto, si erano fatti. Eccetto che per alcune mutazioni già da noi avvertite, talvolta 12 e 13
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    col gonfaloniere si vennero a creare, ma poco di poi erano tornati a sei . –  Parve bene di riformare la città da Sestieri in Quartieri, sì per essere i Sesti di Oltrarno e di S. Pier Scheraggio i più imposti degli altri, sì perchè dei grandi uno per Quartiere elegger si voleva.
    Non ostante simili misure governative nè i grandi si acquetarono, nè il popolo si trovò contento di averli per colleghi negl'impieghi maggiori, nè la mediazione del vescovo Acciajoli bastò a contentare gli uni e gli altri.
    Contro tali e così frequenti mutazioni sull'ordine del governo, che soggettavano Firenze a continue agitazioni e a sempre nuove riforme, scagliossi non senza ragione la penna dell'esule poeta, quando rivolgendosi verso la patria esclamava:

    Verso di te che fai tanto sottili
    Provvederementi, che a mezzo novembre
    Non giunge quel che tu d'ottobre fili.
     (DANTE. Purg. C. VI)

    Ciascuno infatti avrebbe creduto, cacciato che fu da Firenze il duca d'Atene, che potessero i cittadini vivervi quieti, onorati e felici. Nondimeno tante erano le leggi, tanti gli ordinamenti di giustizia, disponenti per loro natura, piuttosto che a impedire, a promuovere divisione, che Firenze poco tempo ebbe a godere in pace il frutto della riacquistata libertà.
    Erano corse infatti poche settimane, quando avvennero quei mali, dei quali erasi dubitato, e che mossero la città a nuovi rumori, battagliando il popolo contro i nobili barricati nelle loro torri, sulle testate dei ponti e nei capi strade: e fu tanto ostinata la zuffa contro i grandi, che questi si trovarono da ogni lato costretti a cedere all'impeto di tutta una popolazione armata, e quindi a lasciare l'ufizio dei Signori totalmente in mano degli artigiani.
    Fu allora che dal partito vincitore si ripristinò il Gonfaloniere di giustizia, come al tempo di Giano della Bella, che si ammisero nel consiglio intimo della Signoria 16 gonfalonieri di
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    arti e mestieri: per modochè tutto il regime governativo nell'arbitrio del popolo grasso e minuto si era ridotto.
    Il solo benefizio che potesse servire in qualche modo ad acquetare i grandi fu quello d'inscrivere 500 magnati, fra la città e il contado, nella classe dei popolani, e conseguentemente di abilitare i medesimi agl'impieghi dello Stato.
    A quest'epoca (anno 1344) risale l'istituzione delle compagnie de' Vigili , oggi appellati Pompieri , promossa dai molti incendj che ognora per la città accadevano; e fu destinata la campana cha si recò da Vernio, quando s'appigliava il fuoco di notte, a darne il cenno dai merli del palazzo del popolo.
    Provvidesi eziandio all'indennità di coloro, i quali avevano prestato al Comune, con iscrivere i loro crediti nei libri del debito pubblico, mercè d'un provvedimento deliberato nel febbrajo 1345. Il qual debito si trovò che ammontava a 570,000 fìorini d'oro; cui vi erano da aggiugnere quasi altri 100,000 fiorini per ragione della compra di Lucca, pretesi da Mastino della Scala. Pel quale debito la Repubblica accordò ai creditori dello stato il 5 per 100 d'usufrutto; ciò che diede origine al Monte dei 5 intieri ( Mons quinqe integrorum ), espressione talvolta specificata negli atti posteriori a quell'età.
    A rinfrancare i creditori del Monte comune la Signoria di Firenze destinata aveva una parte delle rendite sopra le gabelle comunitative. Quali esse fossero, e a qual somma, all'anno 1338, ascendessero simili proventi e le maggiori risorse della Repubblica Fiorentina, lo lasciò scritto a memoria dei posteri Giovanni Villani nel libro XI della sua Cronica; al capitolo 92 della quale apparisce, che: il Comune di Firenze di sue rendite fisse aveva assai piccola entrata, ma reggevasi in quei tempi per gabelle, e nei casi di bisogno, per prestanze o imposte ( balzello ) sopra le ricchezze dei suoi cittadini. Le quali gabelle vendevansi annualmente all'incanto e rendevano al governo un anno per l'altro circa 300,000 fiorini d'oro,allorquando questa moneta
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    si spendeva a ragione di lire 3 e soldi 2 a un circa; lo che corrispondeva a 930,000 lire. Allo stesso proposito nota pure il Villani, che nè il re di Napoli nè quello di Sicilia nè quello di Aragona avevano allora tanto d'entrata.

    Rendite fisse di Firenze innanzi la peste del 1348

    - Rendevano le gabelle delle porte pei generi che entravano, e che uscivano dalla città, fiorini   90,200
    - Quella della vendita del vino a minuto, fiorini 58,300
    - L’estimo del contado; fiorini 30,100
    - La rendita del sale; fiorini 14,450
    - Totale fiorini 193,050

    N. B. Le anzidette 4 maggiori gabelle erano destinate, nel 1338, a far fronte alle spese della guerra diLombardia, che in mesi trentuno e mezzo costò al Comune di Firenze piu di 600,000 fiorini d'oro.

    - La gabella sopra i prestatori;  fiorini  3,000
    - La gabella dei contratti;        fiorini 20,000
    - La gabella delle bestie e dei macelli della città; fiorini 15,000
    - La gabella dei macelli del contado; fiorini 4,400
    - La gabella delle farine e macinature; fiorini 4,250
    - La gabella delle pigioni della città; fiorini 4,150
    - La gabella delle pigioni del contado; fiorini  550
    - La gabella dei cittadini che andavano di fuori in impiego; fiorini  3,500
    - La gabella delle accuse e scuse; fiorini 1,400
    - La gabella dei mercati della città per le bestie vive; fiorini   2,000
    - La gabella dei mercati del contado; fiorini 2,000
    - La gabella del segno dei pesi e misure; fiorini  600
    - La gabella della spazzatura delle biade sulla piazza d'Orsanmichele, e nolo delle bigoncie; fiorini 750
    - La gabella degli sporti delle case; fiorini  7,000
    - La gabella delle Trecche, e Trecconi; fiorini 450
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    /> - La gabella della tassa a mallevadorìa di portare d'arme, a soldi 20 per ciascuno; fiorini  1,300
    - La gabella dei Messi; fiorini  100
    - La gabella de foderi del legname che venivano per Arno; fiorini 50
    - La gabella dei  rischiami dei Cons. dell'Arti per ciò che toccava al Comune; fiorini 300
    - La gabella degli approvatori di mallevadorìe; fiorini 250
    - I beni dei beni dei ribelli banditi rendevano, almeno; fiorini 7,000
    - Il guadagno della zecca sulla moneta dell'oro valutasi; fiorini  2,300
    - Quello sulla moneta dei quattrini e piccioli; fiorini 1,500
    - I passaggi dei beni;  fiorini 1,600
    - Le condannagioni rendevano; fiorini 20,000
    - I nobili del contado pagavano  fiorini 2000
    - L'entrata de'difetti de'soldati a cavallo e de'fanti; fiorini 7,000
    - Quella delle prigioni; fiorini  1,000
    -  Totale fiorini 306,400

    Si avverta che varie rendite, come quelle delle gabelle sulle mulina e pescaje, delle possessioni del contado, e altre minori entrate del Comune di Firenze, sono indicate senza darne la somma dallo stesso autore. Il quale dopo aver noverate nel capitolo susseguente (93) le spese dei diversi impiegati civili e militari della città di Firenze, discorre nel capitolo 94 del numero e classe dei suoi abitanti, delle quantità delle parrocchie, conventi, badie, ec. In guisa che stimavasi che fossero allora in Firenze da 25,000 uomini atti a portare arme, dai 15 in fino ai 70 anni, tutti cittadini, tra i quali 1500 nobili della classe dei grandi con 75 cavalieri di corredo.
    Si battezzavano in questi tempi in San Giovanni per anno dai 5500 ai 6000 bambini; nel qual numero per altro è da avvertire esservi comprese le parrocchie suburbane dipendenti dalla pieve maggiore di S. Reparata. Calcolavasi la popolazione totale della città a circa 90,000 bocche dal consumo del pane che bisognava di continuo, sebbene un tal calcolo fosse per riuscire assai fallace, sia perchè la maggior parte de'ricchi nobili e
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    agiati cittadini stavano con le loro famiglie 4 mesi dell'anno, e taluni più, nelle loro ville di contado, sia perchè molti di loro panizzavano per conto proprio.
    Entravano in Firenze nel giro di un anno, da 55000 cogni di vino, e in tempi di abbondanza sino a 65000.
    Si macellavano per anno i seguenti capi di bestie:
    Manzi e vitelle,  circa N° 4,000
    Agnelli, castrati e pecore, circa N° 60,000
    Capre e becchi, circa N° 20,000
    Majali, circa N° 30,000   
    Ogni giorno abbisognavano per gli abit. di Firenze grano,   moggia N ° 140
    Entravano nel mese di luglio dalla porta S. Frediano some di poponi 4000, e tutte si distribuivano nella città.
    I fanciulli e fanciulle che frequentavano le scuole di leggere erano circa N. 10,000
    Quelli che imparavano l'abbaco in sei grandi scuole pubbliche, N. 1,200.
    I giovanetti che studiavano grammatica e logica in 4 grandi scuole, N. 600
    Le chiese, fra quelle della città e dei subborghi, N°   110
    cioè Parrocchie,          N° 57
    Badie con 80 monaci, N° 5
    Priorati,  N°  2
    Conventi di frati, N°  22
    Monasteri con 500 donne, N°  24
    Totale  N° 110

    Preti cappellani, N° 300 
    Spedali per 1000 poveri e infermi, N° 30
    Botteghe dell'arte della Lana, N°200
    Queste impannavano da 70 in 80 mila pezze di panni lani, che valevano 1,200,000 fiorini d'oro a un circa, e davano lavoro da vivere a più di 30,000 persone.
    I fondachi dell'arte di Calimala, ossia de'mercanti e acconciatori de'panni forestieri, erano intorno a venti. Essi acconciavano ogn'anno più di 10,000 pezze di panni che facevano venire di Francia e da altre parti oltramontane, per la valuta di 300,000 fiorini d'oro, e tutti questi panni eran venduti in Firenze, senza contare quelli che si rinviavano all'estero.
    I banchi dei cambisti erano circa 80.
    Le botteghe di setajoli, 83
    Si coniavano ogn'anno
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    di moneta d'oro fiorini 350,000, e talvolta sino a 400,000. Di moneta d'argento da quattro piccioli l'una se ne batteva circa lire 20,000.
    Il collegio de'giudici era di circa N.°   80
    Quello dei notari N.° 600
    I medici e cerusici circa N.° 60
    Le botteghe de'speziali intorno a N.° 100
    I forni della città N.° 146

    I mercatanti e merciaj erano in gran numero, e da non potersi contare le botteghe delle arti e mestieri minori.
    Oltre a ciò non vi era cittadino, popolano o grande, che non avesse già edificato, o che non fosse per costruire in contado una qualche possessione con belli edifizj e molto meglio che in città. "E sì magnifica cosa era a vedere, (cito le espressioni dello storico) che i forestieri non usati a Firenze venendo di fuori, i più credevano per le ricche abitazioni e belli palagj che erano d'intorno a tre miglia a Firenze, che tutti fossono della stessa città, senza dire delle case, torri, cortili e giardini murati più da lungi, talchè si stimava che intorno a sei miglia aveva tanti ricchi e nobili abituri che due Firenze non avrebbono tanti.»
    Tale si manteneva lo stato di questa capitale dopo la cacciata del duca d'Atene, quando due più micidiali e invisibil nemici, uno dopo l'altro, vennero ad assalirla, e giunsero quasi a distruggerla; voglio dire la desolatrice carestia del 1346, e 1347, e la memorabile pestilenza del 1348 da Giovanni Boccaccio con tanta eloquenza descritta.
    Per i quali due flagelli mancarono in questa città quasi 100,000 persone: se pure non fu esagerato di troppo il novero dato dal Boccaccio; avvegnachè 10 anni innanzi, per asserzione di Giovanni Villani, rimasto vittima di quella pestilenza, la popolazione di Firenze, non compresi gli abit. delle parrocchie suburbane, stimavasi che fosse di circa 90,000 abitanti.
    Gli assegnamenti che il Comune aveva accordati per proseguire la grandiosa fabbrica di S.
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    Maria del Fiore in questi anni di traversie furono sospesi, siccome lo manifesta un'istanza degli Operaj di quel tempio presentata al magistrato della Signoria li 12 marzo 1350 stile comune; nella quale fu esposto: come fino dall'anno 1332 era stato ordinato dai Signori Priori, che quelli i quali compravano le gabelle del Comune pagassero agli Operaj della nuova cattedrale due denari per lira dell'incasso che ritraevano per servire alla detta costruzione; e siccome un tal ordine non era stato osservato, e per mancanza di mezzi gli Operai erano sul punto di dover sospendere la fabbrica con disonore del Comune, per ciò domandavano la conferma di tale provvisione. Infatti la Signoria rescrisse per l'esatto adempimento di ciò che fu deliberato nell'anno 1332. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Bigallo .)
    Ad accrescere nuova costernazione alla desolata città si aggiunse, tre anni dopo, la menifesta ostilità d'un potente principe in mess. Giovanni Visconti arcivescovo di Milano. Il quale, impadronitosi di Bologna, inviava per la valle del Reno un numeroso esercito, che, oltrepassato l'Appennino di Pistoja, scorrendo disertò le campagne delle valli dell'Ombrone e del Bisenzio sino quasi alle porte di Firenze. E ciò nel tempo stesso che si scoprivano fautori del Visconti gl'Ubaldini del Mugello, i Pazzi del Val d'Arno, gli Ubertini di Val d'Ambra e i Tarlati di Arezzo.
    Finita che fu cotesta dispendiosa guerra con il trattato di Sarzana (anno 1353), Firenze ebbe che fare con le compagnie di avventurieri rimaste senza offerente che le assoldasse. E quasi che ciò non bastasse a tormentare i fiorentini, sopraggiunse altra cagione di scandalo per odio intestino di due potenti famiglie, gli Albizzi e i Ricci; le quali rinnovarono con la ripristinazione dei capitani di Parte Guelfa le tragiche scene dei partiti, e le persecuzioni verso i cittadini tenuti, o accusati per Ghibellini. In apparenza contro questi partitanti, ma in realtà per soddisfare le private vendette, fu data a quel magistrato di terroristi maggiore e più dispotica autorità di
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    prima, essendo in suo arbitrio di ammonire chiunque cittadino reputasse non perfetto Guelfo, privandolo per tal gastigo del diritto di poter concorrere ad esercitare alcun ufizio, o impiego civile nella Repubblica.
    È avvegnachè un tal modo di procedere dispiacesse a molti, e inclusive a Uguccione dei Ricci che ne fu l'autore, questi essendo entrato uno dei priori (anno 1358), con altra legge provvide, che ai sei capitani di Parte Guelfa tre se ne aggiungessero, dei quali due fossero dei minori artefici, e che non si potesse ammonire un cittadino, se prima una deputazione di 24 Guelfi non confermasse la sentenza dei capitani di Parte, che aveva chiarito, o dichiarato uno come Ghibellino. Nè è da passare sotto silenzio, che in mezzo a simili vicende civili, politiche e naturali, la Signoria di Firenze riparava a forti spese straordinarie, come quella di pagare nel passaggio dell’imp. Carlo IV 100,000 fiorini (anno 1355) per la conferma degli antichi privilegj; di spenderne 35,000 per la costruzione delle mura castellane di S. Casciano in Val di Pesa; e ciò nel tempo istesso che accerchiavasi la terra di Figline, e che abbellivasi la città col proseguire la sospesa fabbrica della cattedrale, col terminare il cerchio delle mura di Firenze fra porta S. Gallo e porta la Croce, coll'ampliare la piazza del popolo, e col dar principio alla magnifica loggia dell’Orgagna, appena che questo insigne artista ebbe compito il sontuoso tabernacolo della Madonna d'Orsanmichele, il quale costò la forte somma di 80,000 fiorini d'oro.
    A tanta prosperità interna corrispondevano le cose di fuori, sia per l'espulsione della compagnia del conte Lando dal territorio fiorentino, per la quale Firenze accolse con pompa straordinaria e quasi in trionfo il capitano Pandolfo Malatesta condottiere dei suoi eserciti; sia per l'acquisto che si fece poco dopo (anno 1360) de'paesi tolti ai Tarlati agli Ubaldini e ai Belforti, famiglie nemiche della repubblica.
    Se non che amareggiava l'animo di molti
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    nobili cittadini la tirannia dei capitani di Parte Guelfa, i quali ad onta della legge del 1359, che doveva tenergli in freno, avevano ricominciato ad ammonire senza riguardo, o pietà.
    Nè guari andò che alcuni nobili fiorentini, stati esclusi dagli impieghi come ammoniti pensando col danno pubblico vendicarsi delle offese private, trattavano niente meno che di dare Firenze in mano al Visconti di Milano. Figurava nel numero dei congiurati Bartolommeo de'Medici, uomo ardito e di grande animo, il quale, o per rimorso di carità di patria, o per conoscersi in pericolo, svelò (anno 1360) il segreto a Silvestro, fratello più virtuoso e di natura amantissimo della sua patria, pregandolo di provvedere allo scampo suo ed a quello della repubblica. Infatti i capi della congiura furono arrestati e decapitati, e tutti gli altri condannati all'esilio.
    Con l'anno 1361, dopo molte reciproche violazioni di trattati, si venne ad un'aperta rottura tra i fiorentini ed i pisani; i quali erano da cinque anni inaspriti, per aver quelli abbandonato il Porto pisano e stabilito il loro commercio marittimo nella Maremma senese al porto di Talamone.
    Nel mentre si viveva nella città con simili travagli, il Comune di Firenze non trascurava le cose politiche all'esterno; fra le quali una delle maggiori che accadessero nel 1361 fu di spedir gente a liberare Volterra dalla tirannia di Bocchino Belforti, mentre a lui porgevano aiuto i pisani. Ciò bastò a inasprire la ferita riaperta nel 1357 a cagione delle antiche franchigie tolte dalla repubblica di Pisa alle mercanzie dei fiorentine che venivano per la via di Porto pisano, e che costrinse il Comune di Firenze a rivolgersi verso Siena per giovarsi di uno dei suoi porti, benchè questo fosse più remoto e assai meno comodo scalo.
    Le piccole e indifferenti scaramuccie accadute, dal 1357 al 1361, fra i due popoli non presero l'aria d'un'aperta ostilità se non dopo l'occupazione d'un castelletto sopra Pescia (Pietrabuona); pel quale
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    si accese tale incendio, che diede occasione ad una guerra disastrosissima, tanto per Firenze, quanto per Pisa.
    Avvegnachè, se la prima campagna fu quasi sempre nell'esito delle battaglie favorevole ai fiorentini, nella seconda e terza si rivoltò la fortuna dal lato dei pisani; sia per la morte del prode capitano Piero Farnese; sia per la peste che tornò a fare strage in Firenze, dove tolse ai viventi un altro storico in Matteo Villani; sia per l'ajuto di una numerosa compagnia d'avventurieri inglesi che, militando per la repubblica pisana, si diedero a percorrere a man salva e da ogni lato ardere e mettere a sacco il contado fiorentino sino alle mura della capitale.
    Ma ogni scorno, se non bastò, a riparare tutti i danni accaduti, fu cancellato dalla sola giornata ( ERRATA : del 29 luglio) del 28 luglio 1364, giornata che Firenze tuttora festeggia con la corsa del palio di S. Vittorio, in memoria della segnalata vittoria riportata in quel dì fra il paese di Cascina e la badia di S. Savino, dall'esercito fiorentino sopra l'oste pisana. Dopo sì decisiva battaglia, per stanchezza di spese, ma non di gare, fu conclusa la pace di Pescia, che tornò le cose allo stato di prima.
    Fu allora che la Signoria di Firenze decretò nuovi assegnamenti di denari per compiere il terzo cerchio delle mura, per proseguire la gran torre di Giotto e la fabbrica della chiesa principale ridotta già al chiudersi delle sue volte; e fu nell’anno 1366 che in questo sacro grandioso edifizio ebbe luogo la prima funzione pubblica, allorchè il cav. bresciano Guglielmo de'Pedezzocchi, come potestà di Firenze, prestò solenne giuramento nelle mani del Gonfaloniere di giustizia Michele Castellani assistito dai Priori delle arti, da'Collegj e da un immenso popolo.
    Non lasciava per altro vivere in pace i fiorentini il sospetto che essi avevano di due grandi potentati, al momento che s'incamminavano verso l'Italia, il papa Urbano V da Avignone per la via di
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    mare, e l'imperatore Carlo IV dall'Alemagna per l'Alpi della Chiarentana (Carniola).
    Ma l'oro e la destrezza dei fiorentini bastarono a riparare tutto; talchè ad essi fu affidato il difficile incarico d'intromettersi paciarj tra la nobiltà e il popolo di Siena dopo la sollevazione del 1368, ch'ebbe a costar la vita a Carlo IV in mezzo a una numerosa cavalleria costretta a prendere la fuga; e fu pure opera dei fiorentini quella d'indurre (anno 1369) l'imperatore stesso a rimettere alla testa del governo di Pisa Piero Gambacorti, ch'egli medesimo pochi anni innanzi aveva fatto esiliare dalla sua patria.
    Il quale ultimo avvenimento fu di preludio a ristabilire con profitto reciproco fra i pisani e i fiorentini le antiche franchigie delle mercanzie, tornando questi ad approdare con i loro legni al Porto pisano, e abbandonando quello più remoto e meno sicuro della Maremma senese.
    In una parola la politica fiorentina pervenne quasi nel tempo stesso a sventare i disegni di Bernabò Visconti sopra la Toscana coll'impedire che si rimettesse in Pisa l'ex doge Agnello suo partitante, col recuperare la Terra di Sanminiato ad onta di un esercito milanese che difendeva i sollevati, col prestarsi generosamente a favore dei lucchesi perchè prendessero cura contro i maneggi della biscia di Milano, coadiuvandoli col denaro, per ridurre il vicario dell'imp. Carlo IV a lasciare Lucca in libertà. Nè in questo mentre la Signoria di Firenze si stava dal richiamare le forze e il pensiero del nemico verso i suoi stati, portando la guerra in Lombardia, sebbene questa riescì di corta durata.
    Ma per fatalità delle cose umane, se il più delle volte le guerre esterne solevano attemprare e assopire le discordie interne, la pace con le potenze limitrofe era quasi costantemente per Firenze il preludio di sollevazioni domestiche e di battaglie civili.
    Per i suoi meriti nella guerra pisana di grande era stato fatto popolano il valoroso difensore di Barga, Benchi de'Buondelmonti, mercè cui egli
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    diveniva abile a poter sedere nel magistrato de'Signori.
    Nel tempo che il Benchi aspettava di entrare dei Priori si fece una legge: che niuno de'grandi fatto del popolo potesse esercitare quella magistratura se non dopo un intervallo di anni venti, a meno che la persona graziata non mutasse arme e casato, rifiutando la consorteria e parentela antica.
    Il quale maligno divieto mosse a sdegno la persona che più di ciascun'altra era stata presa di mira, sicchè il Benchi, accozzatosi con Piero degli Albizzi dittatore della setta de'Guelfi, indusse il tirannico magistrato della Parte a tornare ad ammonire con più ferocia di prima . –  Per le quali sciagure molti probi cittadini mossi dall'amore della patria, dopo varii consigli si recarono nel palazzo del popolo per indurre la Signoria a porre un rimedio a cotanto arbitrario e oppressivo procedere contro il vivere libero in un paese che aveva nome e stemma di libertà.
    Il provvedimento preso (anno 1372) dai Signori fu di creare i Dieci di Libertà , e di affidare a 56 cittadini il difficile incarico di liberare con mezzi opportuni la Repubblica da tali ingiustizie. Tale provvedimento appunto servì per dimostrare quanto fosse vero l'assioma politico del Machiavelli, quando disse: che gli assai uomini, sono più atti a conservare un ordine buono, che a saperlo per loro medesimi ritrovare. –  Infatti i 56 deputati a tanto negozio pensarono più a spegnere le esistenti sette di quello che a tor via le cagioni delle future, nè l'una cosa nè l'altra conseguirono. Imperciocchè essi esclusero per un triennio da tutte le magistrature tre principali individui delle famiglie Albizzi e Ricci, e fra questi Piero degli Albizzi e Uguccione de'Ricci; eccetto che dal potere essere ammessi fra i capitani di Parte, cagione primaria di ogni scandalo. La quale deliberazione, se tolse per eguale misura ai due capi di setta il seggio della Signoria, quello del magistrato de'Guelfi
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    restò aperto a Piero degli Albizzi, dove teneva grandissima autorità; e se prima egli e i suoi fautori erano all' ammonire caldi, diventarono dopo questa ingiuria ardentissimi. Alla quale mala volontà nuovo ardire si aggiunse, dopochè nel 1373, per timore di quel tremendo tribunale, non solo fu rigettato dal senato fiorentino il progetto di una legge il cui scopo era: che nessuna ammonizione avesse effetto per l'avvenire, se prima non fosse approvata dal magistrato de'Signori e dai Collegj, ma appena che escì di signoria il Petrobuoni, da cui tal riforma venne proposta, fu egli arrestato e, quasi per grazia, condannato all'esilio dai Robespierre della Repubblica fiorentina.
    A coteste vendette cittadine si aggiunsero pubbliche afflizioni colla carestia del 1374, e con l'ostile contegno del cardinal di S. Agnolo Legato di Bologna; il quale, anzichè sovvenire i fiorentini di viveri, mentre di questi tutta Romagna abbondava, come apparì la primavera del 1375, con grande esercito valicò l'Appennino di Firenzuola nell'animo di affamare e così di poter impadronirsi di Firenze. La qual impresa sarebbe succeduta secondo i suoi voti, se le truppe mercenarie fossero stale più fedeli al Legato, e se ai fiorentini fosse mancato il rimedio potentissimo, cui sapevano ricorrere nei mali più perigliosi, per corrompere la compagnia inglese, mercè il regalo di 130,000 fiorini d'oro, obbligandola ad abbandonare il cardinale ed a rispettare per 5 anni il dominio fiorentino.
    Nè questo bastò alla Signoria intenta a punire l'ambizioso porporato nemico. Imperocchè quella guerra, che non si voleva in casa propria, fu portata nello stato donde era partita. Si creò tosto un magistrato di otto cittadini, chiamati dal popolo gli Otto Santi della guerra, con autorità di poter operare senza appello, e spendere senza darne conto. Si fece lega con Bernabò Visconti, si posero delle tasse sul clero, e si giunse in pochi mesi a far ribellare al pontefice molte città, fra le quali Forlì, Gubbio, Città di Castello,
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    Perugia, Todi, Viterbo e Bologna, da dove al legato convenne ritirarsi quasi in fuga. Cosicchè nei tre anni che durò la guerra i fiorentini dimostrarono coi fatti alla Corte romana, come prima suoi amici l'avessero costantemente e validamente difesa, così suoi nemici la potevano senza timore affliggere e mettere a soqquadro.
    Essendo morto il papa Gregorio XI (anno 1378) e rimasta Firenze senza guerra di fuori, tornò a viversi in gran confusione dentro la città, dove i capitani di Parte erano giunti a tanta audacia che, nè ai Signori nè agli Otto di guerra portavano alcuna riverenza, per modo che coll' ammonire divennero gli arbitri del potere e i padroni di escludere dagli ufizj più importanti della repubblica chiunque da loro fosse stato preso di mira.
    La prima coraggiosa resistenza a questa tirannia venne da una famiglia di ricchi popolani, che acquistando sempre più credito e fortuna si pose più tardi al timone della repubblica, e finalmente se ne appropriò tutto il carico. Quel messer Silvestro de'Medici, che pochi anni innanzi aveva svelato alla Signoria la congiura, in cui era implicato il di lui fratello, quello stesso fu il promotore di una legge che l'oligarchia dei capitani di Parte doveva raffrenare, e agli esuli, al pari che agli ammoniti , dare speranza di poter essere alla patria e alle dignità richiamati.
    La legge stessa arringata, combattuta e finalmente approvata, richiamò alla piazza dei Signori un immenso popolo che mise a scompiglio tutta la città, e che partorì la popolare sedizione, meglio conosciuta sotto nome di tumulto de'Ciompi , e provocata dall'infima plebe, la quale invitò mess. Silvestro de'Medici a farsene capo.
    Scoppiò la rivoluzione nel 20 luglio del 1378, e il giorno appresso sedeva in palazzo il gonfaloniere de' Ciompi Michele di Lando. Questo plebeo, di arte scardassiere, deliberò quietare la città e fermare i tumulti con tali ordini di giustizia, che lo dimostrarono cotanto sagace e
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    prudente, da dovere piuttosto alla natura che alla fortuna tenersi obbligato. E per dar principio alla riforma della città egli rinnovò i sindachi delle arti, privò del magistrato i Signori e i Collegj, arse le borse degli ufizj, licenziò gli Otto della guerra, e fece dai nuovi sindachi delle arti creare la Signoria, quattro della plebe minuta, due delle arti maggiori e due delle minori. Dette a Silvestro de'Medici l'entrate delle botteghe del Ponte Vecchio, e a se stesso riservò la potesteria d'Empoli. Ma non trovando la plebe buona la riforma fatta dal suo partigiano, si sollevò contro di lui, che seppe coraggiosamente affrontarla e tenerla a dovere con fermezza, prudenza e valore; sicchè terminato il tempo della magistratura di cui fu onorato, lo accompagnò una grandissima moltitudine dal palazzo alla sua casa privata, preceduto dai donzelli della Signoria con l'arme del popolo, una targa, una lancia e un palafreno ornato magnificamente, in testimonianza delle virtù da esso dimostrate.
    Spenta la sedizione, rimase un occulto fermento in varie classi di cittadini; il pubblico ben presto si nauseò del puzzo degli uomini di vile mestiere, che in grazia della riforma de'Ciompi erano pervenuti a sedere in palazzo accanto ai nobili popolani. I malcontenti di dentro, dando maggior ansa ai cittadini esuli, tenevano con essi loro strette pratiche per richiamarli in città a costo anche di dare la patria in mano a una qualche potenza nemica.
    Il che era cagione che in Firenze con grandissimo sospetto si vivesse, e che si prestasse facilmente fede alle segrete delazioni; cosicchè accusati molti de'grandi, come traditori della patria furono giudicati. Nè a Piero degli Albizzi giovò la grandezza della casa, nè l'antica riputazione sua, per campare la vita.
    Ai quali pericoli, oltre l'aggiungere altre leggi e nuove armi soldare in fortificazione e difesa del Comune, con una somma di danari si provvide che il re Carlo di Durazzo, su cui i fuorusciti appoggiavano ogni speranza, nel passaggio dalla Toscana non
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    recasse molestia alcuna alla Repubblica fiorentina.
    In mezzo a tanti avvenimenti la tranquillità interna non fu sconvolta, se non quando (anno  1381) la violenza di due popolani tolse ad armata mano dalle carceri del capitano del popolo un falso e vilissimo accusatore d'innocenti e ragguardevoli cittadini, meritamente condannato al supplizio.
    Tale violenza scandalizzò la città; e Giorgio Scali, uno dei suoi promotori, venne arrestato, giudicato e con alcuni dei suoi più stretti amici in mezzo al popolo armato in pubblica piazza decapitato. E perchè Firenze era piena di diversi umori e desiderii, ognuno, innanzi che l'armi si posassero, di conseguirli a seconda della propria passione agognava; tanto che per lo spazio d'un anno si andò per la città tumultuando, ora dal partito dei grandi, ora dai nobili popolani, ed ora dagli artigiani minori e dal popolo minuto. In conclusione, prima che terminasse l'anno 1381, si formò un governo, per il quale alla patria tutti i confinati dal giugno 1378 in poi si restituirono, nel tempo stesso che ripristinossi il magistrato della Parte, e che alle arti infime e alla plebe fu tolto l'onore dai Ciompi accordato di essere ammessa agli ufizj e alle magistrature della Repubblica, riducendo al terzo i Priori delle arti minori, ed escludendo questi dalla dignità di gonfaloniere di giustizia. Fra le molte provvisioni e riforme fu pure ristretto l'abuso di far grandi i popolani, e arcigrandi i grandi o magnati.
    Cadde sotto la giustizia del capitano del popolo un seguace del decapitato Giorgio Scali, Ciardo vinattiere plebeo, la di cui taberna nei Camaldoli di S. Lorenzo porta tuttora il nome di Cella di Ciardo . Costui dovè subire la stessa sorte del suo protettore, quando un nuovo tumulto popolare si levò, nel febbrajo del 1382, che produsse l'esilio di un numero grande di cittadini; fra i quali parve sopramodo cosa detestabile che fosse compreso Michele di Lando, dimenticando le singolari sue virtù di avere salvato, nel 1378,
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    Firenze dal furore e dalle rapine di un'ebria canaglia.
    Fermata finalmente la sommossa con severi castighi, visse Firenze infino al 1393 bastantemente quieta, ma non esente dal vedere i cittadini esiliati e ammoniti ; nel tempo che la repubblica al di fuori estendeva il suo territorio con la compra della città e contado d'Arezzo (anno 1384). Tale acquisto, che assai rallegrò i fiorentini, fu bentosto amareggiato dagli avvenimenti che accadevano nell'Italia superiore, dopochè Giovanni Galeazzo conte di Virtù, impossessatosi della persona di Bernabò suo zio, si era reso di tutta Lombardia principe. Imperocchè Vicenza, Verona e Padova con tutte le terre dei Signori della Scala e dei Carraresi erano cadute in potere del Visconti, quando egli rivolse le armi e gli artifizj verso la Toscana per staccare Pisa, Siena ed Arezzo dall'amicizia de'fiorentini.
    Ma i reggitori di Firenze in mezzo a tanti pericoli, a tanti segreti maneggi, a sì numerose armate, che sotto le insegne della biscia milanese militavano, non si lasciarono punto nè poco spaventare; e se era più cauto uno dei suoi condottieri di eserciti, il conte Giovanni d'Armagnac, davanti Alessandria della Paglia, (anno 1391) il duca di Milano andava a rischio di perdere il proprio invece d'impossessarsi degli stati altrui.
    La reciproca stanchezza, benchè gli odj non fossero scemati, fece prestare orecchia alle proposizioni di pace, la quale si concluse in Genova nel gennajo del 1392; mercè cui ritornarono entrambe le parti nello stato in cui erano prima della guerra, dopo avere sofferto danni scambievoli, immense spese e fatiche. E perchè dagli agenti del nemico si domandava idonea mallevadoria per osservare il convenuto trattato, Guido del Palagio, uno degli ambasciatori fiorentini, a quel congresso con grandezza d'animo rispose: La spada sia quella che sodi, poich è Giovanni Galeazzo ha fatto esperienza delle nostre forze e noi delle sue. (AMMIR. Istor. Fior. lib. XV.)
    Attendeva la Repubblica fiorentina a respirare dalle passate molestie, e a provvedere con
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    nuove leggi a riempire la città di abitazioni, obbligando chiunque veniva fatto cittadino a fabbricare una casa in Firenze, almeno di cento fiorini d'oro, e condannando al doppio coloro che non avessero soddisfatto a tale obbligo imposto con precedente riformagione del 1378. Così provvidesi ad accrescere il numero de'cappellani nella nuova cattedrale fiorentina, affinchè si celebrassero i divini ufizj con maestà proporzionata al tempio e al carattere di un popolo devoto e dovizioso, e quindi pubblicossi una legge, che per ciascun testamento legato, o codicillo si dovessero pagare soldi venti all’Opera di S. Reparata
    Nel principio dell'anno 1393, seguitando le cose ad essere quiete, si ridussero le scritture pubbliche nei libri che sino ai nostri giorni portano il nome delle Riformagioni ; e questi, conservati nella sala de'grandi del palazzo del popolo, vennero affidati alla diligenza e fede di due probi cittadini.
    Vedendo poi, che la moneta del fiorino d'oro per la sua bontà era trasportata fuori, dove cambiavasi con guadagno, fu proibito di estrarre dal territorio della Repubblica più di 50 fiorini d'oro per volta, nel tempo stesso che si accrebbe del cinque per cento la valuta del fiorino nuovo in confronto di quello del suggello vecchio.
    Cessò la quiete interna della città tostochè prese possesso del gonfalonierato di giustizia (settembre 1393) Maso di Luca degli Albizzi, nipote di Piero a cui nel 1379 fu mozzo il capo. Serbava egli nell'animo fresca la memoria dell'offesa con ferma deliberazione di vendicarsi (quando ne avesse il destro) de'suoi nemici, e in particolare degli Alberti: a uno dei quali (Benedetto) la morte di Piero degli Albizzi fu imputata. Maso colse l'occasione di uno, che sopra certe pratiche tenute coi ribelli fu esaminato, il quale diversi individui degli Alberti fra i complici di quella congiura nominò. Per la qual cosa molti di costoro venendo arrestati, fu deliberato che tutti della stirpe Alberti, salvo Antonio e i fratelli suoi, figli di Niccolao,
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    fossero fatti de'grandi e confinati, nel tempo che molti popolani furono ammoniti o morti. Tante ingiurie e condanne mossero le arti e il popolo minuto a sollevarsi, parendogli che fosse tolto loro l'onore e la vita. Una parte di costoro corse a casa di Vieri de'Medici, il quale dopo la morte di Silvestro suo cugino, era rimasto capo di quella potente famiglia popolana rammentandogli, che come Silvestro aveva salvata la patria dalla tirannia di Piero degli Albizzi, così da lui il popolo fiorentino sperava che dagli artigli del nuovo gonfaloniere e dei suoi fautori lo liberasse.
    Non mancò che la voglia a Vieri di farsi principe della città, nè mancò chi al medesimo suggerisse quello che poteva fare. Ma pensando all'instabilità del favore della plebe, che vede freddamente salire sulla forca chi il giorno innanzi avrebbe posto sul trono, Vieri diede buone parole, andò al palazzo de'Signori per confortargli alla moderazione, e indusse il popolo a posare le armi, promettendogli giustizia. Non per questo il discorso del Medici moderò il contegno del gonfaloniere, nè le condannagioni e gli esilj si videro diminuire, e molto meno revocare.
    Fra cotesti ed altri simili tentativi degli esuli e dei malcontenti che avevano in mira di riformare a loro piacere il governo della città, il duca di Milano non perdeva mai l'occasione di tenere in scatto, ora con artifiziose proteste di pace, ora mediante un'apparente tregua, e ora con guerra aperta, i reggitori del dominio fiorentino.
    Infatti non era appena firmato a Genova il trattato del 1392 che il conte di Virtù, indispettito di non aver potuto staccare dall'amicizia dei Fiorentini Piero Gambacorti signore di Pisa, si rivolse a corrompere l'ingrato segretario di lui, Jacopo di Appiano, al punto da farne il sicario del proprio padrone, adescato di sottentrare al medesimo nel governo della città; la quale mercè di tal perfidia serva divenne del potente protettore. A sostenere il nuovo tiranno di Pisa, furono dal duca
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    inviate in Toscana alcune compagnie di avventurieri per allettare Jacopo d'Appiano a cose maggiori non senza lusinga di soggiogare anche Lucca; siccome il Visconti adopravasi nel tempo stesso a togliere ai Fiorentini la Terra di Sanminiato, dando speranza a Benedetto Mangiadori d'essere l'arbitro della sua patria. Se non che un simile attentato per fedeltà dei Sanminiatesi e delle popolazioni limitrofe verso la repubblica fiorentina non sortì l'effetto desiderato. Imperocchè i Sanminiatesi armati in massa assediarono il Mangiadori nel pretorio medesimo, dove egli barbaramente poco innanzi aveva assassinato (20 febbrajo 1397) un inerme senatore fiorentino, Davanzato Davanzati, mentre costà esercitava l'ufizio di vicario.
    Se a cotali cose si aggiungano i forti armamenti del duca di Milano, le scorrerie e i danni che si facevano per la Toscana dalle masnade assoldate dallo stesso Visconti, nel tempo che egli tirava nel suo partito i reggitori di Siena ed era già principe di Perugia, non vi è da domandare qual risoluzione dovesse prendere un popolo accorto e potente, che vedeva da ogni intorno inceppate le sue comunicazioni commerciali e torglisi una dopo l’altra le principali risorse tendenti a conquiderlo, impoverirlo ed abbatterlo.
    Fu risoluta la guerra con pieno arbitrio ai Dieci della balìa onde la spingessero con vigore non solo in Toscana, ma la portassero anche in Lombardia, cercando da ogni parte e a qualunque prezzo armi e collegati contro il prepotente tiranno dell'alta Italia.
    Questa seconda guerra col duca di Milano ebbe fine, o piuttosto fu sospesa, con la tregua pubblicata nel maggio 1398, poco innanzi che accadesse in Pisa la morte d'Jacopo d'Appiano; al quale succedè nel governo il figlio Gherardo. Ma, non avendo nè il coraggio nè l'accortezza del padre per sostenere la potenza ereditata di fronte a un'apparente protettore che voleva con l'inganno, o con la forza soggiogare e impadronirsi di tutte le repubbliche della Toscana, Gherardo diede ben presto ascolto alle proposizioni di Giovanni Galeazzo, al quale consegnò per il prezzo di 200,000 fiorini
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    d'oro la città e territorio di Pisa, riservando per sè l'assoluto dominio dell'isola d'Elba, del lerritorio di Piombino, e di pochi altri minori castelli fra la Cornia e il padulo di Castiglione.
    Fu questo un colpo di fulmine che afflisse i Fiorentini più che se avessero perduta una battaglia campale. Tentò il duca eziandio, per mezzo d'un altro iniquo attentato, d'impossessarsi di Lucca; e ciò col persuadere un fratello ad uccidere l'altro fratello, Lazzaro Guinigi, che aveva la maggioranza nella sua patria. Fu anche per opera dello stesso Visconti, che ebbero ardire di ribellarsi dai Fiorentini molti degli Ubertini ed alcuni dei conti Guidi; nel tempo che i Senesi incantati dal sibilo di quella serpe si lasciavano accerchiare dai suoi avvolgimenti, cedendo alle truppe milanesi la stessa capitale con le principali fortezze della loro repubblica.
    A tanto sbigottimento e precipizio delle cose politiche in Toscana si aggiunse nuova sciagura nella pestilenza, la quale percorrendo l'Italia fece una strage orribile in Firenze per rendere ad essa sempre più tristo l'ultimo anno del secolo XIV.
    Lo sdegno dei Fiorentini verso il duca milanese andava tanto maggiormente inasprendosi, quanto più si moltiplicavano le offese, e quanto meno queste erano dirette e scoperte onde poterle rintuzzare.
    Alle quali cose si aggiunse (anno 1401) il timore che Bologna, caduta sotto la signoria di Giovanni Bentivoglio, non fosse in grado neppure essa di resistere alle astuzie del Visconti; mentre egli non ebbe ribrezzo di maneggiarsi in questo tempo, perchè morisse di veleno l'eletto imp. Roberto di Baviera, col promettere al venale suo medico 40,000 fiorini d'oro. Tale iniquità determinò l'offeso Augusto a scendere sollecitamente in Italia con un'armata di 15,000 uomini a cavallo, ed un buon numero di fanti, nell'intenzione di sbalzare di seggio e di punire il Visconti; alla quale impresa veniva non meno caldamente stimolato dai Fiorentini con la promessa di grandi somme di denaro. Ma per fortuna del duca diMilano, dopo il primo scontro d'armi accaduto verso Brescia con
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    la peggio dei Tedeschi, l'imperatore trovossi abbandonato dalla maggior parte de'principi alemanni che lo avevano accompagnato con le loro milizie in Italia; cosicchè ai Fiorentini aumentarono i pericoli, dopo aver pagati senza alcun vantaggio 200,000 fiorini a Roberto prima che egli ritornasse in Germania.
    Intanto lo sforzo della guerra dalle vicinanze di Milano si ridusse intorno a Bologna (anno 1402), alla cui difesa erano accorsi con l'oste fiorentina molti collegati; ma questi, invece di tenersi dentro le mura, vollero azzardare la battaglia tre miglia lungi dalla città, al ponte di Casalecchio, dove restò, sconfitta dai milanesi l'armata della lega, che poco dopo perdè Bologna, ultimo propugnacolo della repubblica fiorentina.
    Ma allora quando Giovanni Galeazzo non aveva quasi più ostacoli da superare per impadronirsi di Firenze, cinta per ogni parte dalle sue forze; quando faceva preparare un diadema d'oro per incoronarsi sulle sponde dell'Arno in re d'Italia; mentre fuggiva la peste di Pavia, egli fu colpito improvvisamente dalla morte sulle rive del Lambro (3 settembre 1402); cosicchè per inaspettata fortuna la repubblica fiorentina si trovò fuori di un pericolo che minacciava la sua esistenza politica; e così ebbe fine una delle guerre più lunghe e più disastrose che contino gli annali di Firenze.
    Le grandi turbolenze insorte nello stato milanese e in tutti i paesi dove Galeazzo teneva guardia e signoria, ricondussero ben presto Bologna e Perugia sotto il dominio del Papa, e fecero risolvere poco dopo anche i Senesi a escire di mano ai Visconti di Milano e a rappacificarsi coi fiorentini. Era intanto Pisa toccata a un figlio naturale del conte di Virtù (Gabriello Maria), che governava il paese con poca soddisfazione dei suoi abitanti. Dondechè la Signoria di Firenze, sperando di potere occupare Pisa per sorpresa, fece marciare segretamente verso quella città un esercito, che fu non solamente dai Pisani respinto, ma che mosse gelosia nei reggitori della repubblica di Genova, per timore che Firenze dopo la conquista di Pisa, fosse per
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    divenire potenza marittima.
    Si maneggiarono quindi i Genovesi con Gabbriello Maria, e col re di Francia, per chè volessero prendere il novello Signor di Pisa sotto la loro accomandigia. Accertata una tale protezione, fu intimato al governo di Firenze di desistere da ogni ostilità contro il protetto pupillo milanese; ma vedendo che i Fiorentini non prestavano orecchie a simili minacce, furono sequestrate le molte merci che essi possedevano in Genova, nel mentre che Buccicaldo maresciallo di Francia e governatore de'Genovesi presidiava di gente e di navigli Livorno e altre fortezze del littorale pisano. Convenne alla Signoria di Firenze cedere all'urgenza e adattarsi a una tregua col Visconti (anno 1404) promossa e intavolata dal Buccicaldo, da quello stesso che un anno dopo offerse segretamente la compra di Pisa ai Fiorentini, cercando di persuadere Gabbriello Maria ad aderirvi stante la difficoltà di poter conservare quella città.
    I Pisani avendo potuto trapelare un tale negoziato si sollevarono e dopo fiera zuffa (21 luglio 1405) costrinsero Gabbriello a ricoverarsi colla madre e coi suoi soldati nella cittadella, e di la fuggire a Sarzana. Ciò determinò il Visconti a conchiudere il trattato della vendita di Pisa e del suo territorio con Gino Capponi a tal uopo incaricato dal Comune di Firenze, per modo che la guarnigione lasciata quivi dal Visconti dovette consegnare la cittadella di Pisa con le fortezze di Ripafratta e di S. Maria in Castello ai Fiorentini, obbligandosi questi a pagare al venditore 200,000 fiorini d'oro.
    Ma benchè la cittadella di Pisa al pari delle altre due fortezze dalle milizie milanesi venisse consegnata alle truppe fiorentine, non per questo i pisani si lasciarono così facilmente porre il giogo per ubbidire a de'padroni che da gran tempo odiavano. In guisa che mentre la guarnigione fiorentina prendeva le disposizioni opportune per soggiogare la città di Pisa, avvenne che, per negligenza o vigliaccheria delle sentinelle, il presidio della cittadella fu sorpreso e fatto prigione dai Pisani armati in massa alla
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    presenza di tutto un esercito fiorentino accampato fuori della città.
    La novella di questa perdita rattristò Firenze, e quindi mosse a sdegno la Signoria un'ambasciata orgogliosa inviata dai Pisani a richiedere con espressioni quasichè derisorie le fortezze di Ripafratta e di S. Maria in Castello. Cosicchè la guerra fu di comune consentimento deliberata gagliarda per terra e per mare contro i Pisani, i quali dal canto loro si prepararono a sostenerla con il maggior loro sforzo e la più ostinata risoluzione.
    Gino Capponi e Maso degli Albizzi furono destinati commissarj dell'esercito in tale impresa ma il Capponi sopra ogni altro si distinse per le provvide disposizioni da esso date nell'esercito, affinchè Pisa restasse per ogni lato circondata da formale assedio, per impedirle di ricevere qualsiasi  specie di soccorso.
    Quantunque la grande strettezza delle vettovaglie facesse sperare che la città assediata non potesse lungamente resistere, non ostante la Signoria di Firenze caldamente desiderava di averla sollecitamente per mezzo della forza.
    Si credè perciò di far rimpiazzare Gino Capponi e Maso degli Albizzi da due nuovi commissarj, Vieri Guadagni e Jacopo Gianfigliazzi, i quali giunti al campo promisero grandi ricompense ai soldati, se riescivano a penetrare di assalto dentro Pisa. L'esercito fiorentino tentò infatti di notte tempo la scalata dalla parte sinistra dell'Arno, ma i Pisani animosamente vi accorsero armati, ributtando con grave perdita gli assalitori dalle mura della città.
    Compresa la difficoltà di guadagnare Pisa per scalata si accerchiò di più stretto assedio,si cambiò il generale e si rinviò al campo Gino Capponi; il quale in un sol giorno (21 giugno 1406) seppe rappacificare con incredibile destrezza gli umori inaspriti dei due coraggiosi capitani dell'esercito fiorentino, rendendoli entrambi nel tempo stesso più utili all'opera. Frattanto gli assediati scarseggiando ognor più di viveri d'ogni specie, si risolsero a cacciar fuori di Pisa le bocche inutili; la qual cosa sembrando che fosse per portare più in lungo la guerra, determinò i commissarj fiorentini a bandire nel campo,
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    che qualunque uomo uscendo dalla città venisse fatto prigione, sarebbe impiccato, le donne bollate in viso e scorciati i loro panni infino sopra il ventre. Tali ed altre non meno aspre misure, come quella di far gettare in Arno un messo del duca di Borgogna, inviato al campo dei Fiorentini per intimare al loro esercito in nome del suo padrone di astenersi dal molestare Pisa, tolsero viepiù speranza di salvezza agli assediati. Perlochè Giovanni Gambacorti, che allora reggeva la suddetta città, pensò di fare intendere segretamente alla Signoria di Firenze: che dove egli fosse certo di ottenere alcune oneste condizioni, tratterebbe la resa di Pisa e del suo dominio.
    Si diede facoltà ai commissarj fiorentini di stipulare la capitolazione, le condizioni della quale furono infatti più vantaggiose al Gambacorti che ai Pisani. – Vedere PISA. Allora Gino Capponi, la mattina de’9 ottobre 1406, marciando alla testa dell’esercito, entrò placidamente in Pisa, dopo aver minacciato con bando e con le forche alzate, che sarebbe impiccato chiunque  avesse avuto ardire di saccheggiare la troppo afflitta e sparuta città.
    Così cessò la pisana Repubblica; e quella città che per quattro secoli figurò tra le prime potenze marittime dell'Europa, e che fu un tempo si grande magnifica e popolosa, da quel momento in poi vide strapparsi ogni sua ragione di stato, sparire dal novero dei governi della Toscana, per vivere spossata e solinga nell'ozio del suo servaggio.

    STATO DI FIRENZE DAL 1406 SINO
    ALLA CONGIURA DEI PAZZI

    Comecchè il mantenimento della guerra di Pisa avesse costretto la Signoria di Firenze a creare con nuove imprestanze un nuovo Monte comune, non lasciava in questo mentre di abbellire sempre più la città. Avvegnachè si provvide a decorare l'esterne pareti della fabbrica d'Orsanmichele con assegnare a ciascuna corporazione delle arti una nicchia o pilastro per collocarvi le statue di marmo o di bronzo dei santi protettori, lavorate dai migliori maestri;
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    e ciò nel tempo che uno di questi, Lorenzo Ghiberti, per commissione dell'arte di Calimala, fondeva le maravigliose porte del Battistero. Fu eziandio dopo finita la guerra pisana che gli operaj di S. Maria del Fiore insieme ai consoli dell'arte della lana decretarono di fare innalzare quella maestosa cupola che mostra il genio del sommo artefice Filippo Brunelleschi.
    Non mancarono ciò non ostante ai Fiorentini occupazioni di maggior momento per l'ostinatezza di due papi (Benedetto XIII e Gregorio XII), i quali nel mentre che contrastavansi le chiavi di S. Pietro, tenevano agitata e divisa la cristianità. Le premurose istanze dei reggitori di Firenze, unite a quelle di altri governi italiani, indussero finalmente i padri della chiesa a tenere un concilio in Pisa, dove fu eletto in legittimo pontefice (26 giugno 1409) il cardinale Pietro di Candia, che prese il nome d'AlessandroV, senza peraltro che i due rivali v'intervenissero per deporre, come promettevano, la tiara. Uno di essi, Gregorio XII, era protetto da Ladislao re di Napoli, il quale dopo essersi impadronito di Roma, inoltravasi con poderosa oste in Toscana, disertando il contado senese, e minacciando cose peggiori ai Fiorentini.
    L'arrivo dell'oste napoletana alle porte di Siena, e le mosse che di là prendeva per invadere il territorio della Repubblica fiorentina, guastando e mettendo a ruba quanto incontrava, determinarono la Signoria ad opporvisi con quante maggiori forze poteva. Per tale effetto strinse lega con i Senesi, col cardinal Coscia legato pontificio e con Luigi II d'Angiò rivale a Ladislao nella successione del regno di Napoli, e come tale del pontefice Alessandro V proclamato in Pisa.
    L'unica impresa che in quel frattempo riescisse all'esercito napoletano fu d'impadronirsi (30 giugno 1409) per mezzo di pratiche tenute con quei di dentro, della città di Cortona; la quale poscia Ladislao, per rappacificarsi cedè al Comune di Firenze, (gennajo del 1411) mediante il prezzo di 60,000 fiorini d'oro; dopo che la repubblica ne aveva consumati in quelle ostilità più di 600,000.
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    /> Trovandosi i Fiorentini stanchi da tante vessazioni e smunti da straordinarie spese, rivolsero l'animo a porre un freno ai suoi governanti, affinchè in avvenire non potessero muover guerra, far leghe, o confederazioni, ne inviare eserciti fuori del dominio, o dove la Repubblica fiorentina non aveva giurisdizione, se prima il progetto non venisse approvato da quattro diversi consigli; cioè 1.° da quello de'200: 2.° dal consiglio de'131; 3.° da quello del Capitano ossia del Popolo: 4.° finalmente dal consiglio del Potestà, ovvero del Comune.
    Una delle più importanti deliberazioni di queste quattro Camere fu di convertire in legge dello Stato (anno 1415) la compilazione degli Statuti fiorentini, stata affidata a una commissione composta di cinque esperti cittadini, assistiti da Paolo di Castro e da Bartolommeo Volpi da Soncino, due sommi giureconsulti che allora leggevano nello Studio di Firenze.
    In questo medesimo tempo vennero istituiti i vicariati di Mogello e di Val d'Elsa, destinando la residenza loro a Scarperia e a Certaldo, quando già il vicario del Val d'Arno di sopra aveva il pretorio in San. Giovanni; e ciò nel tempo che dichiaravasi Fiesole e l'Impruneta (ora al Galluzzo) residenza di due minori potestà.
    Mancando allora nella circolazione la piccola moneta dei piccioli, fu decretato di coniarne una quantità col determinare, che la lega per fabbricarli fosse composta di undici once di rame e di un'oncia di argento  purissimo per ogni libbra, della quale la zecca ne dovesse formare mille piccioli, corrispondenti fra tutti al valore di lire 4, 3, 4; quando il fiorino nuovo o di suggello computavasi lire 3, 13, 4.
    Per buona fortuna la città di Firenze dopo la pace con Ladislao visse per qualche anno tranquilla dentro e fuori, sicchè nel 1421 si fece dai Genovesi per 100,000 fiorini d'oro l'importante acquisto del porto di Livorno, di quel porto che doveva divenire uno dei più grandi emporii del Mediterraneo, e il centro del commercio marittimo della Toscana.
    Una perdita
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    però assai lacrimevole fu fatta in questo anno medesimo (1421) in Gino Capponi cittadino benemerito della sua patria, in servigio della quale egli consacrò tutta la sua vita, scevro di mire indirette, e alieno dalle passioni dei partiti allora dominanti. Questo nuovo Aristide dell'Atene d'Italia, che contribuì sopra ogn'altro nella conquista di Pisa, innanzi di morire ebbe la contentezza di sapere, che i Fiorentini con la compra di Livorno avevano assicurato stabilmente l'importante possesso della città e territorio di Pisa, ai di cui diritti eventuali aveva testè rinunziato, con la pace del  1420, Filippo Maria uno dei figli del conte di Virtù che riacquistò la maggior parte della Lombardia.
    Quest'ultimo duca, per quanto non contasse l'ingegno del padre, ne aveva ereditata tutta la crudeltà e finzione, sicchè non seppe lungamente persistere nella promessa di non impacciarsi delle cose di Toscana e di Romagna. Quindi non erano decorsi ancora quattro anni, quando Filippo con poderosa oste penetrato nell'Emilia, fraudolentemente assalì e si rese padrone d'Imola, di Lugo, di Forlì e di Forninpopoli. Un tal disleale procedere del Visconti determinò la Signoria di Firenze a una nuova guerra, nella quale i di lei eserciti furono tre volte sconfitti, innanzi che le riescisse di associare all'impresa i Veneziani con altri alleati, e così di poter richiamare le principali forze del duca milanese dentro i suoi dominii.
    In questo tempo Firenze trovavasi in grande molestia per conto delle gravezze state imposte sopra i grandi, cosicchè uno di loro, Rinaldo di Maso degli Albizzi, davanti a molti de'suoi colleghi adunati nella chiesa di S. Stefano al ponte, propose fra i provvedimenti da prendersi quello di scemare della metà il numero delle arti minori, e così di quattordici ridurle a sette; affinchè la plebe nei consigli della Repubblica avesse meno voti e autorità, mentre si veniva ad accrescere nei parlamenti l’influenza dei grandi. Alla proposta dell’Albizzi, comecchè soddisfacesse il genio di quegli adunati, rispose Niccolò da Uzzano, uno dei cittadini di più
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    invecchiata esperienza, dicendo: che il voler raffrenare la plebe senza opporsi a coloro, i quali ogni volta che vogliono la possono far sollevare, non era altro che il nutrire uno che potesse impadronirsi di tutti; cosicchè egli concludeva, di non doversi cosa alcuna in diminuzione dei diritti della plebe tentar di operare, senza guadagnare prima quei ricchi e potenti popolani, i quali sotto zelo di pietà, aiutando i poveri, sollevando i miseri, pagando i debiti altrui, impiegando in diversi mestieri ed esercizi gli artigiani, e facendo il volgo quasi ministro delle loro ricchezze, venivano per tali mezzi a impadronirsi della moltitudine.
    Conobbe manifestamente ciascuno che l’Uzzano intendeva discorrere di Giovanni di Bicci dei Medici, il quale essendo diventato ricchissimo e di natura benigno e generoso, poteva dirsi anche il primo della sua famiglia che riacquistò grandissima popolarità nella sua patria. Fu dunque di consenso comune incaricato Rinaldo degli Albizzi, che fosse con Giovanni, e il confortasse a entrare con essi loro nella progettata impresa. Ma questi giudicando pericoloso il rimedio proposto, come quello che portare doveva manifesta divisione nella città a rischio della rovina della repubblica e di chi ne fosse stato autore, il Medici disapprovò il consiglio di Rinaldo e dei nobili suoi colleghi. Conosciuta dal pubblico una tal pratica, non fece essa che accrescere popolarità e reputazione a Giovanni e alla sua casa a scapito del partito contrario.
    Ma continuando ciascuno a dolersi di essere oltre misura gravati nelle tasse imposte durante la guerra, fu deliberata la legge del catasto (anno 1427) in modo che ogni possidente dovesse pagare un mezzo fiorino per cento di capitale.
    Non volevano i grandi sopportare un simile censimento; ma non trovando strada da disfare la legge che l’ordinava, pensarono al modo di farle contro, col procurarle de'malcontenti per avere così più compagni a urtarla.
    Mostrarono dunque agli ufiziali deputati a imporre il catasto, come la legge gli obbligava ad accatastare eziandio i beni dei
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    comuni distrettuali, fra i quali Volterra col suo territorio, per vedere se tra quelli vi fossero altri possessi de'Fiorentini.
    Il tentativo fu fatto; ma la bisogna andò in una maniera poco favorevole alla quiete della repubblica; giacchè dopo molte doglianze e dispute non volendo i Volterrani ubbidire, seguì ribellione per opera di un ardito plebeo (Giusto Landini), che fattosi capo del tumulto trasse la città dalle mani dei Fiorentini, ed egli stesso signore della sua patria si dichiarò, e per sole due settimane vi si mantenne.
    Perduta adunque e ritornata quasicchè in un tratto Volterra sotto il dominio fiorentino successe a questa sommossa la guerra di Lucca; la quale città, dopo la ricuperata indipendenza dell'anno 1370, era stata agitata dalle interne fazioni niente meno delle altre repubbliche toscane. La famiglia Guinigi, una delle più potenti e più cospicue prosapie lucchesi, da quell'epoca in poi si acquistò tale ascendente sopra i suoi concittadini, che Francesco, poi Lazzaro suo figlio quindi Paolo Guinigi fratello di quest'ultimo, quasi senza interruzione per mezzo secolo vi governarono come principi.
    Somministrò Paolo Guinigi nell'ultima guerra cagione di dolersi alla Repubblica fiorentina per aver mandato il figlio con una mano di armati nell'esercito del duca di Milano; talchè uno dei capitani di compagnie stato al soldo de'Fiorentini, Niccolò Fortebraccio, muovendosi da Fucecchio, ostilmente s'innoltrò nel territorio di Lucca. Lo che diede a dubitare che avesse operato non senza tacita annuenza di qualcuno de'reggitori di Firenze, cui riescì poi facile impresa di persuadere i loro colleghi per impegnarli in una guerra, che facevasi credere di breve durata, di sicuro successo e utile quanto giusta. L'esito peraltro dimostrò tutto il contrario; mentre il cimento fu lungo, difficile, dispendiosissimo e totalmente sfavorevole ai Fiorentini; cosicchè, invece di acquistare il territorio di Lucca, la Repubblica fiorentina vide invadersi e disertare una gran parte del proprio. Mentre che questa guerra travagliava Firenze, ribollivano sempre più i maligni umori dei partiti dentro la città, e Cosimo de'Medici, dopo la
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    morte di Giovanni suo padre, con maggior animo nelle cose pubbliche, con maggior studio e solerzia con gli amici che non fece il di lui genitore si governava, nel tempo stesso che intendeva a beneficare e con dimostrazioni frequenti di liberalità a farsi molti partigiani. Dimodochè l'esempio suo aumentando il carico a quelli che governavano, pareva loro che, il lasciar crescere in cotal guisa la potenza di Cosimo, fosse per divenire sempre più opera pericolosa. Ma più pericoloso era il progetto proposto dal contrario partito, di esiliare Cosimo dalla patria, siccome lo fece conoscere Niccolò da Uzzano. Imperocchè interpellato su di ciò, quest'uomo venerando rispose: che coloro, i quali pensavano di cacciare Cosimo di Firenze, dovevano prima che ogni cosa misurare le loro forze e quelle di colui che volevano sbalzare. E dato anche riuscisse fatto di esiliarlo, soggiungeva, essere quasi impossibile, tra tanti suoi amici che vi rimarrebbero, ovviare che presto non rimpatriasse. Non solo adunque l'Uzzano non volle consigliare, ma altamente disapprovò di pigliare un partito, che per ogni lato egli vedeva dannoso alla città.
    Queste ragioni discorse da un uomo di somma riputazione nella repubblica, raffrenarono alquanto l'animo di coloro che bramavano la rovina di Cosimo il vecchio; ma seguita la pace di Ferrara (26 aprile 1433) mercè la quale Lucca col suo territorio restò libera, e non molto dopo mancato di vita Niccolò da Uzzano, la città di Firenze rimase senza guerra,e la fazione dei grandi senza alcun freno; onde Rinaldo degli Albizzi, che di tal partito era principe, impaziente dell'autorità e stima sempre crescente di Cosimo de'Medici, e vedendo che uno dei due di loro doveva ormai soccombere, tenne tal modo con i Signori che gl'indusse a chiamar Cosimo in palazzo, rinchiuderlo in una prigione, e quindi dalla patria esiliarlo.
    Rimasta Firenze vedova di un tanto cittadino, erano tutti sorpresi e sbigottiti, vinti e vincitori. Dondechè Rinaldo degli Albizzi dubitando della sua apparecchiata rovina, rampognava quelli del suo partito di essersi
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    lasciati vincere dai preghi e dai denari dei loro nemici, col l'aver lasciato Cosimo in vita e gli amici suoi nella città; essendochè gli uomini grandi, o non si hanno a toccare, o tocchi che sono debbonsi spegnere affatto.
    Ma il consiglio di mess. Rinaldo essendo restato senza l'effetto da esso lui desiderato, avvenne che prima di un anno dacchè Cosimo era stato confinato a Padova, appena entrati di governo otto Priori e il gonfaloniere, tutti partigiani dell'esule, si verificò il pronostico fatto da Niccolò da Uzzano; Cosimo de'Medici fu richiamato, accolto e acclamato in Firenze quasi come un cittadino che tornasse trionfante da una vittoria, con tanto concorso di gente e dimostrazione di benevolenza, che da ciascuno volontariamente venne salutato benefattore del popolo, e Padre della patria .
    Appena rimessi in Firenze dall'esilio tanti ingiuriati cittadini aderenti e seguaci di Cosimo, pensarono questi senz'alcun rispetto di assicurarsi dello Stato e delle prime magistrature, spogliando la città di nemici e di sospetti, e volgendosi a beneficare nuove genti per fare più gagliarda la parte loro. La famiglia degli Alberti, e qualunque altro esule o ribelle venne restituito coi suoi beni alla patria; tutti i grandi, eccetto pochissimi, nell'ordine popolare furono ascritti; le possessioni dei nemici di Cosimo per piccolo prezzo fra i partigiani di lui si divisero; e se questa proscrizione dal sangue (ancorchè in qualche parte nel sangue restasse tinta) fosse stata accompagnata, avrebbe a quella di Silla e di Ottaviano potuto quasi equipararsi. Oltre di ciò il partito di Cosimo con opportuni provvedimenti, appropriandosi le redini della repubblica e traendo dalle borse degli elettori i nomi de’nemici per riempirle di amici, sempre più si fortificava. Fu dato ai sig. Otto di guardia autorità sopra la vita, si proibì a chicchessia di potere scrivere o ricevere lettere dai ribelli confinati, ed ogni parola, ogni cenno, ogni usanza che a quelli che governavano fosse in alcuna parte dispiaciuta, veniva con pene gravissime gastigata. E perchè
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    alcuni amici dolcemente avvertirono Cosimo, non potersi patire che per tante famiglie ornatissime, per sì grandi cittadini sbalzati dalla patria, la città si guastasse, ebbero da lui cotale risposta: esser meglio città guasta che perduta. Non si affannasero però, giacchè con poche braccia di scarlatto molti cittadini ogni dì poteva vestire, conoscendo bene egli che a mantenere uno stato nuovo gli abbisognavano uomini nuovi. Per tutta la vita di Cosimo la città di Firenze restò compressa nella quiete della servitù, senza che avesse mai luogo uno di quei movimenti, coi quali una popolazione suol tentare di riacquistare la perduta libertà .. –  Realmente a partire dall'anno 1434 cominciò la decadenza della Repubblica fiorentina, la quale sino d'allora restò sotto il dominio diretto o indiretto della casa de’Medici. E benchè Firenze avesse in seguito alcuni brevi intervalli di libertà essa ricadde ben presto nel primo laccio, sino a che, abolite coi nomi le forme antiche, si convertì la repubblica in principato.
    Poco innanzi che tali mutazioni politiche e proscrizioni cittadine fossero incominciate, si serrò l'occhio della maestosa cupola di S. Maria del Fiore, nel giorno stesso che sbarcò a Livorno il pontefice Eugenio IV, quello medesimo che nel dì 25 marzo del 1436 nel giorno della Pasqua di Resurrezione con magnificenza confacente a una grande e ricca città consacrò la mentropolitana fiorentina; nella quale, dopo la sacra funzione, fu creato cavaliere dal pontefice Giuliano di Niccolao di Roberto Davanzati allora gonfaloniere di giustizia e riputatissimo cittadino, cui Eugenio di sua propria mano cinse il fermaglio nel petto.
    Nell'anno stesso 1436 il governo di Cosimo diede motivo di alterare la pace col duca di Milano; poichè sentita la sollevazione di Genova, i reggitori di Firenze fecero lega coi Genovesi e coi Veneziani contro quel duca, lo che bastò al Visconti per ricominciare le ostilità senza altra dichiarazione di guerra. A fomentare la finale contribuirono i maneggi dei fuorusciti fiorentini, fra i quali precipuamente si
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    distinse Rinaldo degli Albizzi, che da Trapani rompendo i confini si era recato a Milano. Accadde la prima battaglia fra i due eserciti sotto Barga con esito favorevole a'Fiorentini, capitanati dal conte Francesco Sforza. Questa prima vittoria persuase e indusse la Signoria a tentare un'altra volta l'impresa di Lucca, difesa virilmente dai suoi abitanti, e quindi liberata per  poca costanza del C. Sforza; il quale lusingato dal matrimonio di Bianca figlia del duca di Milano, abbandonò il servigio  de'Fiorentini per passare a quello del loro  nemico, lo che obbligò a lasciare in pace i Lucchesi e aprire con essi un trattato (28 aprile 1438) che accordò al conte Sforza una parte del territorio conquistato. – Vedere COREGLIA.
    Ebbe poco dopo Firenze il maestoso spettacolo del greco imperatore Giovanni Paleologo, del pontefice Eugenio IV, di cardinali, patriarchi, metropolitani, e di un buon numero di prelati greci e latini venuti per riunire nel Concilio ecumenico la chiesa greca con la latina.
    Frattanto gli esuli fiorentini non cessavano di sollecitare il duca di Milano a rimetterli in Firenze, dove contavano facilmente di poter entrare con l'ajuto dei fautori che avevano in città. Le loro istanze furono esaudite dal Visconti, il quale affidò la spedizione militare al miglior suo capitano Niccolò Piccinino. Questi inoltratosi con numeroso esercito in Romagna, penetrò nella Toscana per la valle del Lamone, ed estese le sue scorrerie nel Mugello e nel Casentino, di dove trapassò nella valle superiore del Tevere. Costà accorse l'armata fiorentina: e a'29 giugno 1440 conseguì sotto Anghiari la vittoria, per la quale Firenze si rallegrò a segno che ogni anno la rammenta con la corsa del palio di S. Pietro. Accrebbe letizia alla città l'acquisto che si fece poco dopo (marzo 1441) della nobil Terra del Borgo S. Sepolcro venduta col suo distretto alla Repubblica fiorentina dal pontefice Eugenio IV per il prezzo di 25,000 ducati d'oro.
    Uno dei commissarj dell'esercito fiorentino fu Neri di Gino Capponi, che
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    in questa stessa guerra si era maravigliosamente distinto non tanto per i felici successi mercè sua ottenuti nel Casentino e nella Val Tiberina contro il conte di Poppi e il Piccinino, quanto anche per molti altri importanti servigi che in qualità di legato aveva resi alla sua patria; sicchè egli era riguardato dopo Cosimo de'Medici il principale cittadino di Firenze. Sì nobili prerogative dovettero dare tale ombra al capo del governo, che fornì a molti cagione di sospettare che fosse stato effetto della coperta politica di Cosimo per abbassare la fama e autorità del Capponi, quello di consigliare il Gonfaloniere Orlandini a far trucidare e quindi gettare dalle finestre del palazzo del popolo il capitano Baldaccio di Anghiari, militare sopra ogn'altro eccelentissimo e grandemente al Capponi affezionato.
    La morte del duca di Milano (12 agosto 1448) fece restar in tronco le trattative di pace intavolate con le Repubblica di Firenze e di Venezia, quando un nuovo nemico si affacciò nel re Alfonso di Napoli. Il quale, chiamato da Filippo Maria all'eredità dello Stato milanese, veniva avvicinandosi con numerosa oste di cavalli e di fanti nella Toscana. Considerando egli, che per la via del Val d'Arno superiore non poteva far cosa alcuna di gran momento, rivolse il suo esercito verso il territorio di Volterra, di dove penetrò nelle pisane maremme. I Fiorentini veggendo un re potente in casa loro, il quale non soleva così di leggieri dalle sue imprese desistere, nè potendo conoscere essi dove un simil contegno ostile avesse andare a riuscire, tentarono di aprire con Alfonso una qualche trattativa di amicizia; per aderire alla quale chiedeva quel re, che la Repubblica gli pagasse 50,000 scudi, e non s'impacciasse dei fatti di Piombino. Concorreva la maggior parte de'cittadini in simile accordo, meno che Neri Capponi, il quale affacciò in consiglio così valide e persuadenti ragioni, che fu concluso, non doversi il governo di Firenze in alcun modo piegare a far pace col re, se il signore
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    di Piombino, che era de’Fiorentini raccomandato, non si lasciava dall'Aragonese quieto nel principato.
    Intanto il re di Napoli con ogni sforzo per mare e per terra infestava continuamente la Terra di Piombino, sino a che, nel dì 8 settembre 1448, fu ordinato di prenderla per assalto. Ma il coraggio dei Piombinesi, la fermezza di Rinaldo Orsini loro principe e gli ajuti dei Fiorentini, resero vano ogni sforzo, in guisa che gli assalitori  furono costretti di ritirarsi dalla battsglia, e quindi dopo gravi perdite di abbandonare la Maremma o tutta la Toscana.
    Nel mentre che l'esercito d'Alfonso ritornava mezzo ed infermo a Napoli, il conte Franc. Sforza, come genero del morto Visconti, adoprava ogni possa da riconquistare per conto proprio il ducato di Milano, contro voglia di quelle popolazioni che si erano sollevate e rimesse in libertà; e ad onta dei Veneziani, le cui armate in ogn'incontro egli sconfisse per terra e per acqua. Fu lo Sforza sovvenuto palesemente dalla Repubblica fiorentina, e privatamente da Cosimo de'Medici, sperando questi di procacciarsi in quello un presidio ai figli e ai nipoti, e agli aderenti della sua casa un valido protettore ed amico.
    Quanto fu sentito con giubilo dai reggitori del Comune di Firenze l'ingresso del C. Sforza in Milano acclamato da quei cittadini in loro principe (anno 1450), altrettanto i Veneziani e il re di Napoli si erano adontati con il governo fiorentino, quasichè i suoi soccorsi pecuniarii avessero posto in grado il fortunato figlio del Cutignola di vincere e farsi signore della Lombardia.
    Incominciaronsi le ostilità dai due potentati con l'espulsione dei nazionali Fiorentini dai veneti e dai napoletani dominii, tentando eziandio di farli esiliare dagli scali del Levante, a fine di escluderli dal commercio di Candia, di Costantinopoli e di Ragusi. E per nuocere in tutte le maniere alla Signoria di Firenze, i Veneziani fecero lega con la Repubblica di Siena, e procurarono di mutare lo stato di Bologna per distaccarla dall'amicizia de'Fiorentini. Intanto che
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    questi stringevano alleanza col nuovo duca di Milano e preparavansi, alla guerra il re di Napoli, che sentiva ancora la vergogna di essere stato costretto a retrocedere con numerosa oste dalla Toscana, inviava costà il suo figlio Ferdinando con 8000 cavalli, e 4000 fanti. Il qual esercito entrato per la Val di Chiana, si fermò davanti il castello di Fojano, che dopo un pertinace assedio di 43 giorni dovette rendersi a patti (2 settembre 1452). Avuto ch'ebbero i nemici Fojano, vennero nei confini del Chianti, verso Brolio e Cacchiano, combattendoli inutilmente, prima di accamparsi davanti il debole castello di Rencine che l'ebbono in pochi giorni. Non accadde però lo stesso della Castellina, paese propinquo 10 miglia a Siena; giacchè per quanto il luogo, per arte e per sito, non presentasse grandi ostacoli, pure resistè a quell'esercito, che vi stette inutilmente un mese e mezzo a combatterlo, intanto che una numerosa flottiglia del re, scorrendo lungo la marina pisana, per poca diligenza del castellano occupava la rocca di Vada.
    I Fiorentini, non essendo ancora in forze da misursasi con quelle dell'Aragonese, stavano sulle difese, schivando di venire a battaglia, fino a che i nemici si ridussero ai quartieri d'inverno. Nel qual tempo la Repubblica in varie guise preparavasi a respingere l'oste napoletana, sia con l'indurre Renato d'Angiò a venire dalla Provenza in Italia per contrastare ad Alfonso la successione al regno di Sicilia, sia con l'accomodare al nuovo duca di Milano 80,000 fiorini d'oro, per ricevere da esso una squadra di 2000 soldati di cavalleria, sia con l'assoldare Manuello d'Appiano Signore di Piombino condottiero di 1500 cavalli, con tali ajuti la Repubblica fiorentina riacquistò facilmente (nell'estate del 1453) i paesi tolti dai Napoletani; e ciò nel tempo medesimo che scoprivasi in Romagna un suo ribelle in quel Gherardo di Giovanni Gambacorti, al di cui padre la signoria di Firenze, mercè la capitolazione di Pisa, aveva concesso il dominio del Vicariato di Bagno.
    Le ostitità del re
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    Alfonso dovettero obbligatamente cessare dopo il trattato conchiuso, nel 9 aprile 1454, fra i Veneziani e il duca di Milano; alla quale pace aderirono volentieri i Fiorentini, più tardi e di male in cuore l'Aragonese, costretto a richiamare dalla Toscana le sue truppe e il di lui figlio Ferdinando, nel mentre questi aspirava a impadronirsi di Siena.
    Poco dopo questo tempo sentì Firenze come un ristoro ai sofferti mali la notizia della morte di un suo fiero nemico in Alfonso di Aragona, amareggiata però dalla perdita che poco prima la repubblica aveva fatta in un sommo cittadino, Neri di Gino Capponi, mancato in Firenze, li 22 novembre dell'anno 1457, fra i compianti di tutta la città; la quale riguardò sempre in cotesto integerrimo uomo di stato il fedele seguace delle civili virtù ereditate dal padre, seppure non lo sorpassava per maturità nei consigli, per valentia nei mezzi della guerra, e per destrezza nelle ambascerie che sostenne.
    Memore dei Ricordi , che per lui distese il genitore, fece egli conoscere all'universale, che il servire la patria è un sacro dovere di cittadino sino al punto, che neppure l'ingratitudine o gli intrighi delle fazioni poterono affievolire in esso tale dovere, e molto meno indurlo in sentimenti contrarii all'interesse e all'onore del suo paese.
    In una parola Neri Capponi fu dopo Cosimo il cittadino più rispettato di Firenze, con questa differenza, che Neri si acquistò credito e riputazione somma per vie pubbliche e notorie, in modo che egli aveva assai amici e nessuni, o pochi partigiani; mentre Cosimo, essendosi fatto strada per vie pubbliche e private, aveva più partigiani che amici. . –  Fintantochè il Capponi visse, gli aderenti di Cosimo per paura si mantennero uniti e forti; perduto Neri, la cui stima universale serviva ai settarj d'un qualche freno, cominciarono i medesimi a trovarsi meno concordi fra loro, e a desiderare una più assoluta autorità.
    Infatti morto che fu appena il Copponi,
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    ebbe luogo in Firenze qualche movimento più di segreti maneggi, che di forza aperta, per tentare di riformare la costituzione del 1434. Avvegnachè dopo il ritorno di Cosimo il governo erasi ristretto nelle mani di pochi individui, i quali non solamente non lasciavano campo alla sorte nell'elezione della Signoria, ma avevano fatto nascere tale provvisione, che toglieva perfino uno dei più preziosi diritti ai cittadini, cioè la libertà di chiamare in giudizio quelli che gli governavano. I partigiani stessi di Cosimo, o fossero fra loro discordi, o si trovassero annojati di questo perpetuo dittatore, o troppo grave cosa gli sembrasse servilmente dipendere dall'arbitrio di coloro che facevano e disfacevano a loro senno leggi e magistrati, raccolti insieme ragionavano, e pubblicamente consigliavano; I.° ch'egli era bene che la dittatoria potestà della Balia, della quale era per terminare il suo tempo, più non si rinnovasse; 2.° che si serrassero le borse dei Priori; 3.° e che quei magistrati, non più a mano, ma a sorte secondo i favori dei passati squittinj si estraessero.
    Cosimo che sapeva in ogni modo di non correre alcun rischio nella sua dittatura, condiscese alle preci della malcontenta fazione; conoscendo bene che nelle borse, dalle quali doveva sortire ogni bimestre la prima magistratura, erano stati chiusi i nomi di cittadini di tutti i ceti, la maggior parte nuovi e al Padre della patria per avidità d'impieghi, per interessi di denari, o per ragione di mercatura ligj o ben affetti. Ottenuta tale riforma, parve all'universale di avere acquistata la propria libertà, sebbene l'esito mostrò ben presto tutto il contrario. Imperciocchè fatti gli squittinj, ed entrati di Signoria gli eletti, questi non operarono mica secondo la voglia di coloro che tal riforma avevano promossa; ma secondo il proprio arbitrio, o quello del loro padrone, la repubblica governavano. Si accorsero ben presto gl'innovatori della loro follia, giacchè non al Medici, ma ad essi stessi avevano preclusa la strada alle cariche e si erano lasciata fuggire
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    di mano la cosa che ambivano di carpire.
    Quello però che fece più spaventare i malcontenti, ed a Cosimo dette maggiore occasione a fargli ravvedere, fu allorchè risuscitò il modo di rifare il catasto come nel 1427. Questa legge vinta, e di già creato il magistrato che la doveva eseguire, fece risolvere i grandi a stringersi insieme per scongiurare Cosimo, affinchè volesse ristabilire l'ordine oligarchico da esso stato introdotto fino dall'anno 1434. Il dittatore peraltro non volle così per fretta dare ascolto a simili lamenti, acciocchè i faziosi sentissero più vivamente il loro errore, e ne portassero più lunga pena. Tentossi nei consigli la legge di far nuova Balìa, ma non si ottenne; e perchè un gonfaloniere volle senza consentimento adunare il popolo a parlamento, lo fece Cosimo dai Priori di lui colleghi sbeffare in modo, che egli impazzò, e come stupido dal palazzo della Signoria alla casa sua fu rimandato.
    Nondimeno perchè un tal contegno aveva fatto crescere l'orgoglio nei nuovi governanti, e nella plebe gli insulti verso i grandi, non parve a Cosimo il lasciare più oltre trascorrere le cose, che le non si potessero poi ritirare a sua posta, dondechè essendo pervenuto al gonfalone della giustizia Luca Pitti, uomo animoso ed audace, si credè costui un istrumento opportuno per governare l'impresa; riservandosi il Medici a favorire il tentativo dietro la scena, acciò, se la riforma non sortiva l'esito desiderato, ogni biasimo a Luca e non a Cosimo fosse imputato. Volle il Pitti sul principio tentare la mutazione col persuadere i suoi colleghi, che cotesta introdotta libertà di elezione era una licenza sfrenata; al quale erroneo consiglio si opposero i magistrati con tali forti espressioni, che uno di essi come sedizioso venne arrestato e posto alla tortura. Fu allora che Pitti ricorse all'arbitrio; e avendo ripieno di armati il palazzo, chiamò il popolo in piazza, cui per forza fece consentire quello che volontariamente non aveva potuto ottenere, riducendo il governo al regime del
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    1434, e coronando la sua opera col fare esiliare quattordici cittadini che si erano dichiarati caldamente attaccati alla pubblica libertà. Innanzi che Pitti terminasse la sua magistratura si propose una riformagione, in vigore della quale la magistratura suprema della repubblica, stata fino allora appellata dei Priori delle Arti, dovette prendere il titolo dei Priori di Libertà , quando appunto in Firenze era cessata ogni libera ragione.
    Fu Luca Pitti in premio dell'opera sua dalla Signoria fatto cavaliere, e da Cosimo riccamente presentato, nel mentre quasi tutta la città concorreva a offerirgli doni. Cosicchè egli venne in tanta fidanza e superbia da por mano a innalzare due grandiosi edifizj, che uno in Firenze, cangiato poscia nella maestosa reggia, (sebbene di palazzo Pitti conservi tuttora il nome) l'altro a Rusciano sopra a Ricorboli luogo propinquo un miglio alla città. Per condurre a fine i quali edifizj Luca non perdonava ad alcuno straordinario modo; per cui non solo i cittadini lo presentavano, e delle cose necessarie all'edificatoria lo sovvenivano, ma le comunità e le popolazioni del fiorentino distretto gli somministravano ajuti, nel tempo che agli uomini di ogni delitto macchiati Luca offriva asilo, purchè nelle sue case lavorassero.
    Gli altri grandi della città, se non edificavano al pari, non erano meno violenti nè meno rapaci del Pitti; in modo che, se allora Firenze non aveva guerre di fuori che la distruggessero, dai suoi cittadini era distrutta.
    Seguì durante questo tempo la morte di Cosimo (il dì 1 di agosto 1464); di quell'uomo ch'ebbe la forza di tenere per 30 anni nelle sue mani il governo della repubblica, e che ne assicurò il dominio nella sua casa. Lasciò di sè grandissimo desiderio nella città e all'estero, in quanto che non solamente egli superò ogni altro, dei tempi suoi, d'autorità, di prudenza e di ricchezze, ma anco di magnificenza e di liberalità. La quale ultima prerogativa si fece conoscere assai visibilmente dopo la morte sua, giacchè non
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    vi era cittadino di alcuna qualità cui Cosimo grossa somma di denari non avesse prestata. E tanto era il credito ch'egli teneva all'estero, che quando i Veneziani, e Alfonso d'Aragona contro la repubblica fiorentina si collegarono, Cosimo col ritirare il suo avere dalle piazze di Napoli e di Venezia, si crede vi lasciasse un vuoto tale di numerario, che i due sopraddetti potentati fossero costretti ad accedere alle proposte condizioni di pace.
    Apparve la magnificenza di Cosimo in varj edifizj sacri che in Firenze, nel poggio di Fiesole, e nel contado dai fondamenti fece costruire. Il suo grandioso palazzo in via Larga (poscia de'march. Riccardi) e quattro sontuose ville, a Careggi, a Fiesole, a Cafaggiolo ed a Trebbio non solo edificò, ma di vasi preziosi e di tavole da egregi artisti dipinte adornò, senza dire di altre minori fabbriche, cappelle, altari e ospizj da esso fondati e arricchiti.
    Difficilmente si potrebbe indicare nella storia del medio evo un cittadino che al pari di Cosimo sia stato colmato di elogj; talchè a lui, un anno dopo morto, la Signoria di Firenze per decreto pubblico confermò il titolo di Padre della patria . Nondimeno negli ultimi tempi della vita angustiava l'animo del vecchio Medici non aver potuto, nel lungo periodo che egli tenne le redini dello Stato, di un acquisto onorevole accrescere il dominio fiorentino; e tanto più se ne doleva, quanto che gli parve essere stato da Francesco Sforza ingannato; il quale mentre era conte promisegli, appena si fosse insignorito di Milano, di fare per i Fiorentini l'impresa di Lucca, che poi non mantenne.
    Lasciò Cosimo erede delle sue ricchezze e del suo potere il figlio Piero, debole e infermiccio, cui commise morendo, che delle sostanze e dello stato secondo il consiglio d'un suo intimo confidente e cittadino riputatissimo (messer Diotisalvi Neroni) si lasciasse governare. Ma la fiducia nell'amico e consigliere non corrisposero nè alle promesse del Neroni, nè alle speranze del Medici. Imperocchè
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    sotto pretesto di rimediare ai disordini del patrimonio, Diotisalvi indusse Piero de'Medici a ritirare dai suoi debitori somme rilevanti di denari, imprestate loro dal padre per acquistarsi nella città e fuori partigiani ed amici; la quale operazione posta ad effetto cagionò in Firenze grandi fallimenti, per cui  molti mormorando, si alienarono dal suo partito . –  Visto da messer Neroni, che i suoi consigli ottenevano l'effetto desiderato, si strinse con Luca Pitti, con Agnolo Acciajoli e con Niccolò Soderini, bramosi ognuno per diverso fine, di torre a Piero la reputazione, e lo stato . –  Luca Pitti, il più potente cittadino dopo Cosimo, morto lui non voleva essere il secondo. Agnolo Acciajoli, per private cause, nutriva odio con i Medici; mentre Niccolò Soderini, mosso da mire meno ambiziose, bramava che la sua patria più liberamente vivesse, e dai magistrati estratti a sorte si governasse.
    Pareva a questi capi di avere la vittoria in mano, perchè la maggior parte del popolo, con cui essi adonestavano la loro impresa, gli seguiva. Si tentò inutilmente da alcuni più pacifici cittadini di acquetare tali dissapori, mentre le inimicizie cominciarono a manifestarsi aperte dopo la morte di Francesco Sforza duca di Milano (8 marzo 1466). Ma non giovando l'eloquenza del Soderini, nè l'orgoglio del Pitti, nè le segrete arti del Neroni a screditare Piero de'Medici, fuvvi chi fra i congiurati propose che si dovesse uccidere quest'altr'idolo della plebe; ricordando quello che a Rinaldo degli Albizzi, a Palla Strozzi, a Ridolfo Peruzzi e a tanti altri grandi della città era intervenuto a cagione di aver lasciato Cosimo in vita prima dell'esilio.
    A volere con sicurezza eseguire il meditato disegno, stimarono i faziosi necessario un esterno soccorso d'armati. S'impegnò di coadiuvarli nell'impresa Ercole d'Este fratello di Borso marchese, poi duca di Ferrara; il quale inviò una compagnia di sopra mille cavalli verso l'Appennino di Fiumalbo, intanto che i congiurati designavano il tempo e il luogo di assalire Piero de'Medici nell'andare o
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    nel tornare ch'egli faceva alla città dalla sua villa di Careggi. La destrezza però fino d'allora manifestata dal giovinetto Lorenzo suo figlio, e quindi gli appoggi de'fautori e amici della sua casa, sconcertarono talmente gli avversarj che tenendo questi titubanti e irresoluti, molti di essi crederono bene di venire con Piero a una riconciliazione.
    Ma Niccolò Soderini, stimando vano un tal rimedio e troppo grave l'attentato, sebbene non condotto a fine, perchè il Medici volesse dimenticarlo, con energiche parole stimolò Luca Pitti a ritornare con più calore e più fermezza all'esecuzione dell'impresa.
    Si raccolsero armi e amici tanto in città che in contado, e si sollecitò il march. Ercole d'Este, affinchè con le sue genti si facesse innanzi da Fiumalbo per la montagna di Pistoja. Questa novella, saputa da Piero, egli ordinò al figlio Lorenzo di essere con Luca Pitti, affinchè con ogni suo ingegno lo persuadesse a desistere da quei movimenti; lo che a meraviglia riescì a lui di renderselo mansueto in guisa che tenuti inoperosi i congiurati, venne a terminare il tempo di quella Signoria, nella quale i contrarj al partito Mediceo avevano troppi fautori. Ma entrati di seggio i nuovi priori e gonfaloniere di giustizia, quasi tutti amici della casa Medici, la parte di Piero non istette più sospesa un istante; giacchè non più tardi che nel secondo giorno (2 settembre 1466) chiamato il popolo a parlamento, si crearono quattro giorni appresso gli Otto di balìa insieme col capitano del popolo; e la prima legge della nuova Signoria fu, che le borse dei priori per dieci anni si tenessero a mano, affinchè non si eleggessero più a sorte. Poco appresso si pubblicarono i nomi degli esiliati, fra i quali l'Acciajoli coi figli, il Neroni e due fratelli, il Soderini con Geri suo figliuolo, e Gualtieri Panciatichi di Pistoja. Non fu nel numero dei confinati Luca Pitti, il che gli accrebbe biasimo, come se avesse pattuito la salvezza sua col danno degli
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    amici e compagni. Ma ben presto egli conobbe essergli stata predetta la verità da Niccolò Soderini, perciocchè la sua casa non fu più frequentata, ed egli non più veniva salutato da  persona che lo incontrasse per via, mentre  altri lo sfuggivano,e altri gli mormoravano dietro chiamandolo rapace e crudele, e molti le cose da loro a Luca donate, come imprestate richiedevano; talchè non solo dal suo superbo edificare si rimase, ma il resto della vita che gli sopravanzò finì oscuramente.
    Alcuni dei principali esuli, fra i quali Neroni e Soderini, si recarono a Venezia, sapendo che l'odio di quei senatori verso la casa dei Medici, che aveva assistito lo Sforza loro nemico, non era ancora spento. Il desiderio pertanto di vendicarsi mosse i reggitori della Repubblica veneziana a dare ascolto ai fuorusciti fiorentini, e sebbene apertamente contro Firenze non si dichiarassero, somministrarono però gente, armi e denari con il migliore condottiere d'eserciti (Bartolommeo Collione), cui in seguito unironsi le forze di altri regoli dell'Emilia e della Romagna.
    Intanto dal canto suo il governo di Firenze preparavasi alla difesa raccogliendo denari dai cittadini mediante un balzello di 100,000 fiorini d'oro, sollecitando ajuti all'estero, e collegandosi per 25 anni col duca di Milano e col re di Napoli. Nell'estate del 1467 i due eserciti nemici trovavansi di fronte nel territorio d'Imola, dove successe (25 luglio) la battaglia della Molinella, la quale sortì un evento indeciso, sebbene da ambe le parti infino a notte si combattesse con gran fermezza e valore.
    Però dopo quella giornata non accadde più fra le parti belligeranti cosa alcuna di notabile, sia perchè il generale veneziano con le sue forze si ritirasse alquanto verso la Lombardia, sia per una tregua che, agli 8 di agosto, si fece per intavolare condizioni di pace; intanto che, sopraggiunto l'inverno, ciascuna delle due armate si ridusse alle stanze. Peraltro a Firenze, dove non si contava molto sulla conclusione del trattato, si fecero nuove provvisioni di denari per tre anni
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    successivi mediante imprestanze, le quali produssero al pubblico erario la vistosa somma di 1,200,000 fiorini d'oro.
    Infatti, appena entrato il mese di febbrajo del 1468, si seppe a Firenze con poca soddisfazione, come il pontefice Paolo II di nazione veneziano, a guisa di arbitro aveva pubblicata in Roma la pace, a condizione che le parti belligeranti, collegandosi insieme, dovessero pagare un'annua pensione di 100,000 scudi a Bartolommeo Collione per la guerra che si aveva a fare contro i Turchi in Albania, e intanto ordinava che ai Fiorentini il borgo di Dovadola, e al signore d'Imola Mordano e Bagnara si restituissero.
    Non piacque alla Signoria di Firenze, nè al duca di Milano, di avere a pascere con i loro denari un capitano di ventura, e fecero sentire al pontefice che si sarebbero appellati di tale arbitrio al futuro Concilio; ma Paolo II volendo persistere nella pronunziata sentenza, procedette all'atto di scomunica contro coloro che da quella dissentivano.
    Dopo che la repubblica fiorentina ebbe creato il magistrato dei Dieci della guerra, o che il duca di Milano e i Veneziani ebbero inviato gli eserciti verso la Romagna per ricominciare le ostilità, il pontefice, mitigando la prima sentenza, nel dì 25 aprile del 1468 pronunziò migliori condizioni di pace, senza fare più menzione del veneto condottiero.
    Nel tempo che tali affari di fuori si maneggiavano, la Signoria di Firenze dava il bando di ribelli al Neroni, al Soderini e all'Acciajoli per avere rotti i confini, e per essere stati la cagione di una guerra dispendiosissima, alle spese della quale dovettero in parte supplire le sostanze dei fuorusciti.   Vedere DONORATICHINO.
    Nell'anno medesimo 1468 la repubblica fiorentina acquistò in compra da Lodovico Fregoso per 30,000 fiorini d'oro Sarzana, Sarzanello, Castelnuovo e alcuni altri minori castelli della Lunigiana.
    Terminata la guerra e sopite le civili tempeste, Lorenzo dei Medici, uno dei principali attori in tali politiche faccende, volle rallegrare la città con torneamenti
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    ed altre feste spettacolose atte ad affezionare sempre più il popolo alla sua causa. Se non che l'infermità del di lui padre, aggravandosi ognora più, dava campo agli ambiziosi del dominante partito di regolare a loro arbitrio la cosa pubblica. Si vuole da alcuni istorici fiorentini, che un giorno Piero chiamasse a sè i principali cittadini, e parlasse loro in guisa da farli vergognare, rampognandoli d'avere troppo abusato della fiducia che in essi aveva riposta, sia perchè eransi fra loro i beni degli esiliati divisi, sia perchè vendendo a capriccio la giustizia, gl'insolenti esaltavano e gli uomini pacifici con ogni sorta d'ingiuria opprimevano. Ma vedendo che tali rimostranze non giovavano, Piero fece venire celatamente nella villa di Cafaggiolo Agnolo Acciajoli; nè si dubitò punto dal Machiavelli, che se il figlio del Padre della patria non fosse stato dalla morte sopraggiunto, volesse richiamare i fuorusciti per frenare le rapine di coloro, i quali, sotto il manto dell'amicizia e di un falso amore patriottico, si erano impadroniti delle prime magistrature della città.
    In tanta angustia di animo, aggravandosi il male della podagra Piero de'Medici, li 2 dicembre 1469, cessò di vivere, senza che Firenze potesse intieramente conoscere le sue virtù. Ma tanto era saldamente stabilito il potere della sua casa, che dopo la morte di lui non seguì movimento alcuno; così che i suoi due figliuoli furono, benchè giovanetti, come capi della repubblica generalmente onorati. Alla quale tranquillità interna contribuì più di tutti Tommaso Soderini, cittadino di gran prudenza, di somma avvedutezza nelle cose politiche, e sinceramente ai Medici affezionato. Imperocchè lungi egli dall'imitare il fratello Niccolò Soderini, mostrò coll’effetto quanto la sua fede fosse diversa da quella del Neroni, allora quando ragunò uno scelto numero di fiorentini nel convento di S. Antonio presso porta Faenza, dove intervennero Lorenzo e Giuliano de’Medici: e a quell'assemblea con grave eloquenza delle condizioni della città, di quelle dell'ltalia, e degli umori dei varj principi di essa avendo a lungo
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    discorso, concluse, che se desideravano essi in Firenze si vivesse uniti, e dalle divisioni di dentro come dalle guerre di fuori sicuri, era necessario osservare quei due giovanetti, e loro la buona riputazione ereditata dal padre e dall'avo mantenere. Parlò dopo il Soderini Lorenzo con tanta saviezza e modestia, che a ciascuno egli dette grandi speranze di sè; sicchè prima che di là partissero gli adunati, giurarono tutti di prendere i due pupilli come in figliuoli, e questi viceversa di tenere quei cittadini per altrettanti padri.
    Continuava la quiete in Firenze, allorchè nel 1470 occorse in Prato un improvviso tumulto eccitato da un fuoruscito (Bernardo Nardi), il quale, introducendosi di notte tempo con pochi armati nella Terra, volle tentare un colpo da disperato. Ma la debolezza de'mezzi, la scarsità dei fautori e la fedeltà dei Pratesi, non che del cavaliere Giorgio Ginori che arrestò il capo di quella sommossa, fecero pagare caro ai ribelli un simile attentato.
    Sul declinare dell'anno 1470 Lorenzo de’Medici ebbe il primo onore pubblico, quando fu eletto sindaco del Comune, affinchè a nome del popolo nella metropolitana fiorentina il gonfaloniere Gianfigliazzi per le sue mani fosse vestito cavaliere.
    Nell'anno appresso (1471) con straordinaria pompa i Fiorentini accolsero nelle loro mura il duca e la duchessa di Milano accompagnati da un magnifico corteggio. In tale circostanza si fecero sacre rappresentanze spettacolose, una delle quali cagionò l'incendio dell'antica chiesa di S. Spirito.
    Prima che l'anno medesimo terminasse, il sistema governativo di questa città subì un'altra riforma a scapito della pubblica libertà, stantechè per ristringere il governo nelle mani di pochi, fu vinto il partito di eleggere una commissione di 40 cittadini, all'arbitrio dei quali fu affidata la nomina del consiglio de'200. A costoro medesimi fu data potestà di fare tutto quello che il popolo fiorentino insieme, (eccetto di levare il catasto) soleva per mezzo delle 4 Camere ordinare, annullando per conseguenza i Consigli del Comune e del Popolo, all'anno 1382 poco sopra rammentati.
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    Fra le varie riformagioni in tale occasione decretate, fu approvata anche quella che ridusse al numero di 12 le 21 corporazioni delle arti e mestieri.
    Nel mentre che tali riforme in Firenze preparavansi, cessava di vivere in Roma il pontefice Paolo II, cui poco dopo succedè il cardinale Francesco della Rovere, che prese il nome di Sisto IV; quello stesso Sisto che doveva essere il più animoso persecutore della casa de'Medici, sebbene da principio dasse segni di gran favore a Lorenzo, allorchè fu destinato dalla repubblica fiorentina tra i sei ambasciatori andati a Roma per complimentarlo. È fama che Lorenzo de'Medici avesse avuto animo di fare il fratello Giuliano cardinale, forse per rimanere egli più libero nelle cose del governo della città, ma che al pontefice non sembrasse bene di aggiungere cotanta riputazione a quella potente famiglia.
    In quell'anno stesso 1471, si suscitarono dei dissapori fra i Volterrani e i Fiorentini, a cagione di alcune divergenze insorte per conto delle allumiere di Castelnuovo, state concesse in affitto dal Comune di Volterra a una società composta di negozianti tanto fiorentini che senesi. I Volterraui affidarono la decisione della lite all'arbitrio di Lorenzo de'Medici, sperando di avere in lui un patrono, o almeno un giudice spassionato, ma trovarono invece un loro avversario e tiranno. Avvegnachè per un fatto meramente privato fu dichiarata la guerra, assediata e presa Volterra, e tosto riunita insieme con il suo distretto, al contado della Repubblica fiorentina . –   Vedere VOLTERRA.
    Per consolare l'afflitta città abbandonata (1472) a un orribile saccheggio, che fu causa della sua desolazione, vi si recò l'arbitro Lorenzo, il quale, nel tempo che spargeva denari per calmare lo sdegno dei vinti, faceva costruire nel punto più prominente della città una fortezza, in mezzo alla quale vide erigersi la bastiglia del Maschio .
    Il conte Federigo d'Urbino capitano generale di quell'impresa, fu dalla Signoria di Firenze con grandi onori ricevuto, di preziosi oggetti regalato,
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    e con decreto pubblico dichiarato cittadino. Affinchè poi la cittadinanza non paresse vana, il Comune comprò da Luca Pitti, per donare al conte di Urbino, la possessione magnifica della villa di Rusciano fuori di porta S. Niccolò.
    Ma questo generale, con poco decoro suo e punta gratitudine a tante dimostrazioni, abbandonò ben tosto gli stipendj della repubblica fiorentina, per passare al servizio del re di Napoli e del pontefice Sisto IV; il primo de'quali conoscevasi antico e scoperto, l'altro novello e più pericoloso nemico della città di Firenze e de'Medici che la dominavano.
    Nè tampoco quei due sovrani della bassa Italia tralasciarono di tentare gli animi de'varj signori di Romagna e dei Senesi per offendere sempre più d'appresso i Fiorentini, nel tempo che papa Sisto lusingava altamente l'ambizione del conte Federigo dichiarandolo duca d'Urbino. Del quale ostile procedere accorgendosi i reggitori della Repubblica, non mancarono essi di prepararsi alla difesa; sicchè essi col duca di Milano, con la Repubblica di Venezia, con i Perugini e con il signore di Faenza si collegarono. In questi sospetti e avversità di umori, fra i principi e le repubbliche dell'Italia, si visse qualche anno innanzi che alcun serio tumulto nascesse. Si mosse questo in Milano, nella chiesa e nel giorno di S. Stefano (anno 1476) da pochi congiurati, i quali trucidarono il duca Galeazzo; lo che fu un tristo preludio di altro non meno sacrilego assassinio, col quale poco dopo si tento in Firenze di spegnere con le persone il già colossale potere della famiglia che vi signoreggiava.
    Dopo la vittoria riportata nel 1466 da Piero de'Medici sopra i di lui nemici, si era riformato e ristretto in modo il reggimento della Repubblica fiorentina da ridurre le prime magistrature nelle mani di Lorenzo o dei suoi ministri e seguaci; sicchè a coloro che n'erano malcontenti, o conveniva con pazienza quel modo di vivere comportare, o se pure avessero bramato di liberarsene, era duopo il tentarlo segretamente, e per via
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    di congiure.
    Non ignorava però Sisto IV, che Lorenzo de'Medici, in grazia di tanta influenza, formava un obice potentissimo alla sua ambizione, di che esso pontefice già contava più di una prova, sia allorchè voleva comprare per il nipote Girolamo Riario la città d'Imola, sia quando il Medici segretamente ajutava Niccolò Vitelli, signore della Città di Castello, perchè si era opposto alle armi e alle minacce di Sisto, intento a rimettere in quella città i fuorusciti. Adontato da queste, e forse da altre cause meno palesi, Sisto IV, appena vacata la sede arcivescovile di Pisa, la conferì nel (1474) al cardinale Francesco Salviati, che sapeva dei Medici acerrimo nemico; tolse a questi la tesoreria pontificia di Roma per conferirla a Francesco de'Pazzi, stirpe per ricchezze e nobiltà in Firenze delle più cospicue, e ai Medici rivale . –  Aveva Cosimo de'Medici già da un pezzo la Biauca figlia di Piero con Guglielmo nipote di mess. Jacopo della famiglia de'Pazzi aveva in matrimonio congiunta, sperando che quel parentado levasse via l'inimicizie fra le due case rivali; nondimeno la cosa procedette altrimenti; perchè Lorenzo, volendo esser solo a dominare, vedeva contrario alla sua autorità riunirsi nei cittadini ricchezze e stato. Questo fece che a mess. Jacopo, primo della famiglia Pazzi, ed ai molti nipoti di lui non solamente non furono conceduti quei gradi di onore, che a loro più degli altri cittadini pareva meritare, ma il dispetto e l'inimicizia contro i Medici ognora più in quelli si accrebbe dopo che il magistrato degli Otto di balìa, per una leggera cagione, Francesco de'Pazzi da Roma a Firenze costrinse a ritornare.
    Una maggiore onta e danno negl'interessi, per l'influenza di Lorenzo, risentì Giovanni de'Pazzi altro fratello di Francesco, allorchè vide carpire alla sua famiglia una ricchissima eredità lasciata da Giovanni Borromeo, e ciò in vigore di una legge retroattiva, che spogliò la moglie sua, unica figlia del Borromeo, per far passare il patrimonio del suocero in Carlo
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    Borromeo di lui nipote.
    Non potendo adunque con tanta nobiltà e illustri parentele sopportare sì grandi ingiurie, i Pazzi cominciarono a pensare al modo di vendicarsene, e decisero: che solo col sangue di Lorenzo e di Giuliano onte si fatte potevano ripararsi e spegnere odj cotanto intestini e feroci. Dopo varie conferenze intavolate a Roma da Francesco de'Pazzi, il più ardito di sua famiglia, si associò al criminoso progetto il conte Girolamo Riario nipote del Papa, e quindi il cardinale Salviati arcivescovo di Pisa, di poco tempo avanti stato offeso dai Medici; e finalmente si tirò, sebbene non senza fatica, nella volontà dei congiurati il vecchio Jacopo. Furono eziandio concertati i mezzi per ricevere di fuori un pronto ajuto all'impresa che si meditava, tenendo i congiurati a loro disposizione un corpo di cavalleria nei confini della; Romagna, comandato dal generale pontificio Gio. Battista da Montesecco, uno dei pincipali attori in quella orribile scena. Della quale scena si fece teatro la chiesa metropolitana di Firenze piena di popolo, in presenza di un cardinale, in giorno festivo (26 aprile 1478), quando si celebrava la principale messa, e nel punto stesso in cui

    Tratto dal ciel misteriosamente
    Dai sussurrati carmi il figliuol Dio
    Fra le sacerdotali dita scende.

    Fatta una simile deliberazione, i congiurati se n'andarono a S. Maria del Fiore, dove, nell'ora e al momento segnalato, quelli apparecchiati ad uccidere Giuliano con tanto studio lo ferirono, che dopo pochi passi cadde estinto; ma gli altri destinati a trucidare il fratello Lorenzo,con sì poca fermezza all'assunto impegno adempirono, che egli fu in tempo, con l'armi sue di porsi sulle difese, e con l'aiuto degl'amici, che tosto lo attorniarono, di ricovrarsi e mettersi in salvo nella vicina sagrestia. In questo mentre l'arcivescovo Salviati si era mosso con un drappello di congiurati verso il palazzo del popolo per assalire il magistrato della Signoria, ma invece l'arcivescovo stesso e i suoi seguaci, per ordine del
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    gonfaloniere, cui pervenne in tempo la notizia di tanto eccesso, vennero presto disarmati, e quindi, parte alle finestre del palazzo con un laccio alla gola sospesi, e parte gettati nella piazza e dall'accorso popolo fatti a pezzi e trascinati per la città; in una parola quanti nelle congiura si scoprirono complici, furono presi e trucidati.

    STATO DI FIRENZE DAL 1478
    ALL'ULTIMO SUO ASSEDIO

    Fu in ogni tempo e fra tutte le nazioni costantemente provato essere pur troppo vero il politico assioma dal più scaltro istorico fiorentino tre secoli indietro pronunziato <<che le congiure generalmente sogliono partorire chi le muove rovina, ed a colui, contro il quale sono mosse, grandezza. Dondechè quasi sempre un principe d'una città da simili macchinazioni assalito, se non è ammazzato (il che raramente interviene) sale in maggior potenza, e molte volte, essendo buono, diventa cattivo.>>
    L'importante periodo istorico che abbiamo qui sopra percorso, trovandosi quasi tramezzo a quelli dell'antica e della moderna istoria, ha da poter mostrare alla posterità, sia che rivolga l'occhio verso i remoti avvenimenti della prima, sia alle rivoluzioni della seconda, molti clamorosi esempi confacenti a confermare sempre più l'assioma del Machiavelli.
    Infatti l'esilio di Cosimo, seguito ben presto dal suo richiamo, portò nella sua persona autorità e riputazione tale da divenire il regolatore della repubblica fiorentina; la cospirazione del 1466 confermò a Piero di lui figlio le redini dello stato; finalmente la cungiura de'Pazzi fruttò a Lorenzo, detto poi il Magnifico, onoranza maggiore e immenso potere, ai suoi discendenti corone e triregni, a Firenze stragi senza esempio, oppressioni senza freno, e guerre senza frutto.
    Dopo che il piano della discorsa congiura andò fallito, senza che nella città seguisse mutazione del reggimento dai nemici interni e dai potentati di fuora desiderato, il pontefice Sisto IV e Ferdinando re di Napoli risolvettero di eseguire a forza aperta quello che non avevano potuto ottenere di nascosto. Dondechè con grandissima celerità messi i
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    loro eserciti insieme, verso Firenze gli fecero incamminare, preceduti dalla dichiarazione di non volere altro dalla repubblica fiorentina, se non che l’esilio di Lorenzo de’Medici, unico loro nemico.
    Intanto incominciarono a far sentire gli effetti della loro ostilità col sequestrare le mercanzie o altre sostanze che i Fiorentini avevano nei dominii di Roma e di Napoli; e perchè, oltre le temporali anche le spirituali ferite Firenze sentisse, si fulminarono maledizioni d’interdetto dal Vaticano. Fu risposto al Breve di scomunica di papa Sisto con la forza e dignità confacenti a un popolo stato sempre della Cattolica religione e dell’Apostolica sede valido sostegno. Si cercò dalla Repubblica fiorentina di raffrenare le forze spirituali fra le mani di cotal pontefice col dare ordini perentorj, affinchè nella metropolitana stessa, dove era seguito il sacrilego attentato, si tenesse un sinodo da tutti i prelati della Toscana soggetti al dominio di Firenze; e costà infatti, nel dì 23 luglio 1478 quei padri della Chiesa discussero e pronunziarono un appello delle ingiurie e dei torti di Sisto IV al futuro Concilio.
    Si prepararono quindi con ogni sollecitudine le armi temporali, mettendo insieme truppe e denari in quella somma che i Fiorentini poterono maggiore; mandarono per ajuti al duca di Milano e ai Veneziani, e in faccia a Italia tutta, dando prove non equivoche dell’ira, della persecuzione e dell’ingiustizia del pontefice, la loro causa con valide ragioni giustificarono.
    Non passò molto tempo che l’esercito regio-papalino, penetrando per la Val di Chiana, arrivò sul territorio fiorentino in Chianti, dove si trattenne 40 giorni ad assediare la Castellina; e ciò innansi che la Repubblica avesse messo in ordine forze sufficienti da fargli fronte . –  Frattanto essendo sopraggiunto il verno senza che il nemico facesse altro acquisto d’importanza, se si eccettui il castello di Monte Sansavino, si ridusse agli alloggiamenti nel contado di Siena, il cui governo mostrossi di lui amico.
    Al ritorno della primavera i Fiorentini avevano presi tali vigorosi provvedimenti che furono in grado
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    di respingere dalle campagne di Pisa alcune bande di fuorusciti capitanate da valenti condottieri, e poco dopo con una divisione del loro esercito comandata da Roberto Malatesta riportarono una luminosa vittoria sull’armata papalina al lago Trasimeno; nel tempo stesso che un’altra divisione, campeggiando fra Colle e Poggibonsi, teneva in scacco l’oste napoletana. Ma i disordini che sopravvennero nel campo de’Fiorentini presso Poggibonsi (fosse per avidità di preda fra i soldati, o per discordia fra i loro comandanti) produssero tale sconcerto che essi con ogni qualità di offesa fra loro assalironsi, e quindi uno di quei capi (Ercole duca di Ferrara) ritornossene con le sue genti in Lombardia.
    Allora il duce napoletano, profittando delle accadute dissensioni che l’avversario avevano indebolito, mosse coi suoi rapidamente da Siena verso Poggibonsi per assalire il campo de’Fiorentini; i quali senza vedere la faccia del nemico si fuggirono abbandonando bagagli, viveri e artiglieria. Convenne perciò in tanta sventura richiamare frettolosamente il Malatesta dall’assedio di Perugina, affinchè cuoprisse Firenze da un colpo di mano, e difendesse il suo contado messo a ruba dall’oste Aragonese che aveva sparso da per tutto spavento e desolazione . –  Che se il duca di Calabria avesse profittato della fortuna a lui offerta dalla viltà di un esercito prezzolato, la causa di Lorenzo de’Medici, e forse la stessa Firenze era perduta. Ma la dilazione, che fu sempre favorevole agli oppressi, salvò anche questa volta la città insieme col felice protagonista di quella guerra. Al che si aggiunse l’avvicinamento della fredda stagione, che sospese le ostilità per rinchiudere le truppe, secondo l’uso di quell’età, nei quartieri d’inverno.
    Era quasi per finire il suo corso l’anno 1479, quando il papa e il re di Napoli, dopo due campagne, mandarono a offrire per tre mesi una tregua che fu volentieri accettata dai Fiorentini; ai quali un tale riposo servì per distintamente conoscere i sostenuti affanni, gli ultimi errori nella guerra commessi, le perdite fatte, le spese invano sostenute, le
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    gravezze e i molti disgusti che la repubblica per l’ambizione di una sola famiglia ingiustamente sopportava . –  Le quali avvertenze,non solo tra i privati, ma nei consigli pubblici animosamente discorse,  mossero Lorenzo dei Medici ad una di quelle azioni, che sogliono giudicarsi dal successo, temerarie, se infausto, grandi, se l'evento riesce felice. Risolse Lorenzo di recarsi egli stesso a Napoli, per mettere all'estremo cimento la insinuante eloquenza sua e il carattere del re Ferdinando, comecchè questo per molti esempi lo avesse dato a conoscere atrocissimo.
    Imbarcatosi egli a Livorno nel cuor dell'inverno (5 dicembre 1479) con lettere credenziali della Repubblica, giunse a Napoli preceduto da sì gran fama e riputazione, che non solamente dal re, ma da tutta la città venne onoratamente e con grande espettazione accolto e corteggiato.
    Il trionfo però di Lorenzo fu dopo essersi presentato al trono di Ferdinando, davanti al quale egli con tali persuasive maniere e con sì grande intelligenza parlò degli affari politici della sua patria, delle condizioni e diversi umori dei principi e popoli d'Italia, di quello che si poteva sperare nella pace e temere nella guerra, che Ferdinando, dopo l'ebbe udito, si maravigliò più della grandezza d'animo di Lorenzo, della finezza d'ingegno e gravità del suo giudizio, di quello che non si era prima maravigliato dell'avere egli solo potuto tante traversie sopportare. Entrò il re di Napoli in tutte le viste dell'ospite già suo nemico, tanto che non solo si fece la pace (6 marzo 1480), ma fra loro nacquero accordi perpetui a conservazione de'comuni Stati. Tornò pertanto Lorenzo in Firenze grandissimo, s'egli se n'era partito grande, e fu dalla città ricevuto con quella allegrezza, che le sublimi sue qualità e i recenti servigj meritavano . –  Quello che arrecò noja a tanto tripudio fu la perdita che la repubblica fiorentina in questo tempo intese della città di Sarzana, stata inaspettatamente occupata  da Agostino Fregoso di Genova contro la fede dei trattati; mentre
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    dalla parte di Siena i Fiorentini miravano non senza inquietudine il duca di Calabria fermo col suo esercito, e dimostrando di esservi ritenuto dalle discordie di quei cittadini, talchè era fatto l'arbitro delle differenze loro al segno, che molti in denari, alcuni con le carceri, altri coll'esilio ed anche alla morte avendo condannati, diede all'universale ragioni da sospettare che di quella città non fosse per divenire tiranno.
    Per buona sorte però de'Senesi e de'Fiorentini nacque un'accidente inaspettato, il quale diede al re di Napoli e al papa maggiori pensieri che quelli della Toscana, allorchè (28 luglio 1480) lo sbarco repentino di 6000 Turchi sulle coste di Taranto, l'assalto e l'uccisione che fecero (4 agosto) di quanta gente essi trovarono in Otranto, costrinsero il re Ferdinando a richiamare  con grande premura il figlio e le sue genti dalla Toscana.
    Questo medesimo caso obbligò Sisto IV a mutar consiglio; e dove prima non aveva mai voluto ascoltare proposizioni dai Fiorentini, fece loro sentire, che quando si piegassero eglino a domandargli perdono, sarebbe venuto a un accordo . –  Non parve alla città interdetta di lasciar passare una sì favorevole occasione. Furono inviati a Roma 12 ambasciatori, i quali, dopo alcune pratiche, ricevuti nel portico di S. Pietro, doverono gettarsi ai piedi del papa assiso in trono, circondato da'suoi cardinali e prelati, per iscusarsi dell'accaduto con espressioni servili e con i più grandi segni di umiliazione. Alle quali scuse Sisto rispose con parole piene di superbia e d'ira, rimproverando ai Fiorentini i pretesi delitti e le cattive opere che avevano data cagione s'accendesse una guerra, che fu spenta per la benignità di altri e non per i meriti loro. Lessesi poscia la formula della benedizione e dell'accordo; al quale Sisto IV, oltre le convenute, altre condizioni onerose aggiunse per obbligare i Fiorentini a tenere armata una flottiglia contro il Turco.
    Pareva che gli affari politici di Firenze fossero assai bene assestati, ancorachè molti si lamentassero, che
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    il Magnifico coi denari del Comune alle cose sue private piuttosto che a quelle della Repubblica avesse rimediato. Solo restava da riconquistare Sarzana, che Agostino Fregoso aveva venduta alla società politico-mercantile del banco di S. Giorgio di Genova, la quale a quell'epoca possedeva anche Pietrasanta. Ciò diede impulso a riaccendere contro i Genovesi nuova guerra; e la prima operazione fu diretta ad assalire e conquistare Pietrasanta, nell'anno medesimo in cui morì Sisto IV, (1484) e che s'innalzò sulla cattedra di S. Pietro il cardinale Gio. Battista Cybo col nome di Innocenzo VIII. Mostrò questi un animo più pacifico e un'inclinazione più favorevole ai Fiorentini; lo chè conosciuto ben presto da Lorenzo de'Medici, fu con ogni industria da esso coltivato, cosicchè desiderando il nuovo papa d'invertire di qualche stato, e onorare di amici un figliuolo che teneva, chiamato Franceschetto, non conobbe in Italia con chi lo potesse meglio congiungere che con Maddalena figlia del Magnifico , onde formare un utile  non meno che decoroso parentado. Questo infatti si concluse nell'anno medesimo (1487) che i Fiorentini ruppero l'esercito de'Genovesi davanti Sarzana, e riebbero questa città.
    Riposò la Repubblica tranquilla nella potenza  e nei talenti di Lorenzo de'Medici, il quale essendo rimasto libero dalle interne ed esterne molestie, si volse tutto ai comodi della vita e agli ornamenti della pace, attendendo a fare acquisto di libri rari, di mss. antichi, di oggetti di belle arti, e onorando di ogni maniera scienziati, artisti, filologi e poeti con affetto e generosità tanto maggiore, in quanto che egli conoscevasi nelle lettere assai versato. I più celebri ingegni della sua età erano piuttosto gli amici e i compagni chi i protetti di Lorenzo; sicchè il palazzo veramente regio da esso innalzato nel poggio a Cajano, il pittoresco ritiro di Agnano alle falde del Monte pisano, e le magnifiche ville di Careggi e di Fiesole, ascoltavano spesse volte insieme il linguaggio  del filosofo e le rime del poeta fra
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    le geniali opere dell'artista e le generose grazie del mecenate.
    Pare che ajutassero a rendere più glorioso il reggimento di Lorenzo alcuni cittadini intente a far più bella la città coll'edificazione di superbi palazzi; dei quali senza dubbio quello di Filippo di Matteo Strozzi contasi pur oggi per uno dei più nobili e più maestosi d'Italia.
    Lorenzo trovavasi al colmo della sua grandezza, quando fu recato a Giovanni suo figliuolo il cappello cardinalizio nella età di 13 anni, per modo che giovane si trovò fatto papa col nome che da esso prese il secolo dei prodigj di Raffaello e di Michelagnolo.
    All'alta rinomanza di Lorenzo cooperava non tanto il suo merito letterario, il giudizio finissimo che aveva nelle arti, e l'impulso generoso ch'egli dava agli studj, pei quali Firenze divenne la sede della letteratura e dei sommi artisti di Europa, quanto anche vi concorreva la stima e riputazione in cui egli era tenuto dai monarchi. A lui infatti dovettero gli Estensi la pace che salvò loro lo Stato nel 1484; gli Aragonesi di Napoli il ritorno della tranquillità turbata nel 1486 dalla guerra de'suoi baroni, il pontefice Innocenzo VIII la sommissione di Osimo ribellata da un suo tiranno; infine l'Italia tutta di non avere Lorenzo in veruna maniera acconsentito alla discesa dei Francesi, quando volevano soccorrerlo contro Sisto IV.
    In una parola Lorenzo, comecchè  guidasse i Fiorentini alle arti e ai piaceri per distoglierli  dalle cure politiche dei loro avi, comecchè egli giungesse fino a manomettere il Monte comune per resistere ai di lui nemici, fu altronde tale uomo che seppe compensare con moltissimo bene il male che faceva alla libertà, parola divenuta ormai vuota di senso tra un popolo che da più di mezzo secolo la pubblica libertà aveva perduta, e in un tempo in cui la gente che cresceva aveva succhiato altro latte e si andava nutrendo di principj diversi da quelli delle già estinte generazioni.
    Laonde non si avrebbe più
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    a ricercare, dirò col Pignotti, se il Magnifico sia stato l’oppressore della repubblica; ma piuttosto, se il governo repubblicano fosse pei Fiorentini a quell’epoca il più adatto.
    Morì Lorenzo nella villa di Careggi, li 8 aprile del ( ERRATA : 1490) 1492, della dolorosa malattia ereditata dal padre, con soli 44 anni di età. In punto di morte volle vedere il padre Savonarola, di cui aveva mendicata l’amicizia per l’ambizione di avere un letterato di più e un oratore meno nemico; ma egli voltò le spalle a quel frate Gavotto , quando fu da lui richiesto di restituire a Firenze il libero regime.
    Piero primogenito di Lorenzo, non ostante il difetto dell’età, per partito della Signoria (il cui gonfaloniere, come se fosse morto il sovrano di Firenze, aveva preso l’abito di corruccio), e grazie all’intervento dei principi italiani che avevano inviati costà i loro ambasciatori per condolersi della morte del Magnifico , Piero, io diceva, qual successore del padre anche nelle cose di stato, fu dichiarato abile a tutti gli onori, magistrature, dignità e privilegj della repubblica. Quanto però a Lorenzo fosse inferiore il figlio, d’ingegno e di carattere, lo provò ben presto Firenze e l’Italia tutta.
    Mancato con Lorenzo de’Medici il moderatore dei governi di quasi tutta la penisola, e succeduta alla sua perdita quella del pacifico Innocenzo VIII, salì nel suo posto lo scaltrissimo Rodrigo Borgia, che cambiò il nome in Alessandro VI.
    Turbossi ben presto la pace d’Italia con lo svilupparsi fra i due più potenti principi della medesima quei cattivi semi e tenebrosi motivi che la prudenza di Lorenzo e il suo credito avevano saputi tenere in freno e comprimere, se non del tutto estirpare.
    Avvegnachè la troppa ambizione di Lodovico Sforza arbitro del duca di Milano, mosse il re di Napoli a richiederlo di liberare dalla tutela il nipote, giunto ormai ai suoi 20 anni. Dissimulò Lodovico; ma
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    poco dopo si ruppe ogni pace. Allora Piero de’Medici che avrebbe potuto tenere la bilancia eguale tra quei due rivali, lasciò travedere qualche propensione verso Ferdinando, al sospettoso Lodovico, il quale per cupidigia di regno meditò di abbattere la casa Aragonese di Napoli col chiamare i Francesi in Italia e col far ritornare in scena il testamento, vero o apocrifo, della regina Giovanna II; la quale, dopo aver diseredato Alfonso re d’Aragona, lasciò i suoi diritti a Renato duca d’Angiò.
    Intanto Lodovico Sforza, più noto col soprannome di Moro , simulando sempre, per segreti emissarj faceva credere ai principi Italiani, ch’egli adopravasi con ogn’impegno per stornare il re di Francia dal pensiero che aveva di scendere con numeroso esercito dalle Alpi.
    A quest’oggetto Lodovico aveva inviato un ambasciatore a Piero de’Medici, il quale credè di aver in mano l’occasione propizia per convincere Carlo VIII della malafede del suo preteso alleato, onde distorlo dalla meditata impresa. Ma la bisogna andò tutta al contrario: stantechè tale rivelazione non solamente non distornò il re di  Francia dall’imminente guerra, ma la condotta di Piero de’Medici, fatta palese al Moro , chiuse tra i due governi ogni strada a qualsiasi riconciliazione.
    Arroge a ciò, che l’esito disgraziato di un tale maneggio fu la conseguenza di un altro fatto, il quale portò l’ultimo colpo al credito e all’autorità del figlio del Magnifico nella sua patria.
    Carlo VIII con forbito esercito era di già nel 1494 penetrato nella Toscana per la Lombardia, valicando l’Appennino della Cisa o di Pontremoli, quando s’intese a Firenze, che i Francesi avevano disertati molti paesi della Lunigiana soggetti o raccomandati della Repubblica, e che già quell’oste era intorno ad assediare Sarzana.
    L’avvicinamento di una formidabile armata,  e le atrocità che aveva commesse nella sua marcia, destarono tale indegnazione e spavento nei Fiorentini, che esternando il loro mal umore contro Piero de’Medici, liberamente incolpavano la sua inconsideratezza di non avere nulla preveduto e
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    nulla apparecchiato, onde fare argine a tanta piena, che minacciava l’imminente rovina della città e della repubblica.
    Parve che Piero allora si scuotesse da tanta ignavia; e ricordandosi forse per la prima volta, ma poco a proposito, degli esempj di suo padre, volle copiare quello che fu senza dubbio il più difficile, e che bastò a segnalare le eminenti qualità del Magnifico .
    Piero si decise di partire per la Lunigiana alla testa di un’ambasceria di ragguardevoli cittadini, che lasciò indietro a Pietrasanta, per recarsi solo a Sarzana davanti a Carlo VIII, nel tempo che i Francesi investivano la fortezza di Sarzanello; ma egli, che non aveva nè il genio nè la destrezza Lorenzo, ritornò carico di accuse a Firenze, ove gli fù inibito l’ingresso nel palazzo della Signoria, per avere arbitrariamente offerte e cedute ai Francesi le fortezze di Sarzana, di Sarzanello, di Pietrasanta e di Motrone, e perfino quelle di Pisa e di Livorno, membri importantissimi dello stato. Per la qual cosa il popolo fiorentino essendosi contro un tale arbitrio acerbamente irritato, Piero dagli amici suoi sbigottiti lasciato senza consiglio, temendo della vita, con viltà pari alla fretta, fuggì coi fratelli lungi dalla patria.
    Per tale sconsigliata partenza più che le arbitrarie concessioni fatte al re di Francia, Pietro, Giuliano e il card. Giovanni Medici, tre figli del Magnifico , furono dichiarati ribelli, e alcuni dei loro palazzi del popolo saccheggiati.
    Proseguivano intanto i Francesi la loro marcia per la Toscana, sicchè appena giunti in Pisa vi furono accolti con tanta letizia del popolo, che prese a gridare libertà . Non poteva Carlo aderirvi senza ledere la sua dignità rompendo le convenzioni stabilite con Piero in Sarzana. Una deputazione di pisani recossi al palazzo dove Carlo alloggiava, e seppe con sì flebili espressioni dipingere l’intollerabile giogo de’Fiorentini, che quel coronato, alzando la mano, disse: di voler fare ciò che fosse giusto; la quale risposta fu interpretata
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    quanto una concessione di ciò che i Pisani domandavano. Esciti dall’udienza i deputati gridarono al popolo affollato, che gli attendeva, essere stata dal re accordata la grazia. Ciò bastò alla plebe per abbattere tutti gli stemmi della Repubblica fiorentina, e gettare in Arno l’insegna del Marzocco , (il leone) nella di cui vece fu innalzata la statua del liberatore Carlo VIII.
    Questi, non sapendo bene le cose che aveva concesse, volle che restassero in Pisa gli ufiziali de’Fiorentini per esercitarvi la solita giurisdizione, non ostante che avesse ceduta la cittadella vecchia ai Pisani, ritenendo le sue genti la nuova. Quindi Carlo con il grosso dell’armata si diresse a Firenze, dove entrò pomposamente, ai 17 novembre 1494, colla lancia alla coscia; lo che secondo l’uso francese indicava signoria della città. Andò ad alloggiare nel palazzo de’Medici in Via Larga, e a tutti i suoi militari furono assegnati quartieri dentro la città. La quale illuminata di notte e addobbata con tappeti di giorno, presentava l’idea di una festa in mezzo ai maggiori pericoli, sperando i Fiorentini di aver in qualche modo a placare il grandissimo sdegno contro di essi concepito da quel re. Nondimeno, per essere provveduti a ogni caso, aveva il governo ordinato ai maggiori cittadini, che empiessero le loro case occultamente di uomini del contado, che vi facessero entrare i condottieri con i loro camerati militari stipendiati dalla repubblica, e che ciascuno, tanto dentro quanto fuori della città, stasse attento per correre all’armi al suono della campana maggiore del pubblico palagio.Terminate le prime cerimonie festevoli verso cotanto gravosi ospiti, incominciossi a trattare di accordo. Le prime proposte del re furono esorbitanti, scordatosi, o messa in non cale la convenzione fatta con Piero de’Medici; avvegnachè egli, oltre le domande intollerabili in denari, pretendeva di essere riconosciuto signore di Firenze e del suo dominio; dalla quale richiesta, benchè finalmente si discostasse, voleva nonostante lasciarvi uomini di toga con una qualche regia giurisdizione.
    Erano da ogni parte esacerbati
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    gli animi, non volendo Carlo dalle ultime sue pretensioni declinare, nè i Fiorentini a somme troppo gravose di moneta in alcuna guisa obbligarsi, nè giurisdizione e preminenza d’impero nel loro stato consentirgli, quando in mezzo a tante difficoltà quasi insuperabili sviluppossi la virtù di Piero Capponi, uno dei quattro cittadini deputati a trattare col re. Era il Capponi uomo d’ingegno, come d’animo grande, e in Firenze stimato per queste qualità, che rendevansi in lui più splendide dall’esser nato di famiglia onorata, e dall’aver egli per avo un Neri e per bisavolo un Gino Capponi, due uomini che bastano a controbilanciare i tristi di un intiero secolo.
    Avvenne intanto che Piero Capponi trovandosi un dì coi suoi colleghi alla presenza di Carlo VIII, e leggendosi da un segretario regio i capitoli immoderati, i quali come ultimatum dal re si proponevano, Piero con gesti impetuosi, tolta di mano del segretario quella scrittura, la stracciò innanzi agli occhi di Carlo VIII, soggiungendo con voce concitata: poich è si domandano cose sì disoneste, voi sonerete le vostre trombe, e noi soneremo le nostre campane ; volendo espressamente inferire, che le differenze si sarebbero decise con l’armi; e con il medesimo impeto, andandogli dietro i compagni si partì subito dalla presenza e dalle camere del re de’Francesi.
    Quest’azione risoluta ed attiva, che poteva porre in estremo pericolo ogn’altra città, fu la salvezza di Firenze. L’energia di Pier Capponi davanti a un potente monarca, in mezzo a un esercito tanto più orgoglioso, quanto che non aveva visto ancora in Italia altro che scene di tradimenti, di bassezze e di viltà, fece tale e tanta impressione nell’animo di Carlo e dei suoi cortigiani, che richiamati indietro i deputati della Repubblica fiorentina, e lasciate le domande, alle quali ricusavano di consentire, si convenne insieme in questa sentenza; 1.° Che la città di Firenze fosse amica, confederata e sotto la protezione perpetua della corona di Francia; 2.° Che le
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    fortezze di Sarzana, Sarzanello, Pietrasanta, Motrone, Pisa e Livorno, cedute da Piero de'Medici, rimenessero in mano de’Francesi fino a che il re non avesse fatta l’impresa del regno di Napoli; 3.° Che in questo frattempo la giurisdizione, il governo e l'entrate di quelle terre e città fossero secondo il solito dei Fiorentini; 4.° Che si restituissero subito tutti gli altri paesi tolti e ribellati alla Repubblica, o li potesse ricuperare con l'arme, in caso che i rivoltosi ricusassero di aderirvi; 5.° Che i Fiorentini pagassero al re per sussidio della sua impresa 120,000 ducati a tutto giugno dell’anno 1495; 6.° Che si perdonasse ai Pisani il delitto di ribellione; 7.° Che fossero liberati dal bando di ribelli Piero de'Medici, il cardinal Giovanni e Giuliano di lui fratelli; ma non potesse il primo accostarsi per cento miglia ai confini del dominio fiorentino, gli altri due a cento miglia dalla città di Firenze.
    Questi furono gli articoli e le condizioni più importanti del trattato fra Carlo Vlll e la repubblica fiorentina, pubblicato e giurato solennemente durante la celebrazione della messa (26 novembre 1494) nella chiesa metropolitana, assistendo alla funzione lo stesso monarca con tutta la corte, la sua truppa in parata e un affollato popolo.
    Due giorni dopo il re abbandonò Firenze, dov'era dimorato dieci dì, partendo verso Siena accompagnato da due ambasciatori, cioè, da Francesco Soderini vescovo di Volterra, che fu poi cardinale, e da Neri Capponi cugino di Piero.
    Contuttociò nè l’esilio della famiglia Medici, nè la partenza dell'esercito francese giovarono a ristabilire in Firenze la tranquillità, oppure a portare un più libero regime, dove già da 60 anni era rimasto poco più che l'apparenza ed il nome di Repubblica.
    In tale stato di cose pensò invece la Signoria di accrescer forza al potere esecutivo. Fu convocato il popolo in piazza (2 dicembre 1494) per carpirgli una tumultuaria approvazione onde eleggere una Balìa, o giunta straordinaria con pieno potere di riformare il governo. Furono
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    quindi dalla creata Balìa nominati i Venti Accoppiatori , ossia coloro che avevano il diritto di scrutinare e porre nelle borse i nomi di cittadini aventi diritto di potere esercitare l’ufizio dei Priori e le primarie magistrature dello Stato. Si elessero i Dieci della guerra che variando titolo furono chiamati i Dieci di libertà e pace. Perchè poi non nascesse più il caso di sopraffare l'un l'altro per la via dell'arbitrio fu eletta una deputazione di altri 10 cittadini destinati a sgravare chi fosse stato troppo imposto a far grazia ai debitori vecchi, e a porre sopra i beni stabili unicamente una gravezza, la quale, dal retribuire la decima parte del prodotto sulla rendita totale, fu chiamata l’imposizione della Decima .
    Cotali riforme, che ristringevano in mano di pochi il governo, incontrarono una grande opposizione dalla parte di coloro, cui piaceva un più largo e comune regime; sicchè sorsero subito due nuove fazioni. Il fomite delle civili discordie acquistò maggior sviluppo da un religioso entusiasmo, tostochè osò prendervi parte un troppo zelante missionario, (fra Girolamo Savonarola) che salito in gran fama di uomo di Dio, nelle sue predicazioni mescolava alle massime del vangelo le discussioni politiche, declamate in tuono profetico . –  La sua voce tuonando dal pergamo fra il partito aristocratico e quello popolare, diè il tratto alla bilancia a favore del secondo, onde questo de' Piagnoni o Frateschi , l’altro degli Arrabbiati era chiamato. Il primo trionfo de’Piagnoni fu la destituzione dei 20 Accoppiatori i quali uno dopo l'altro volontariamente o costretti si dimessero dal loro ufizio.
    Si formò in seguito un Consiglio generale composto di 830 cittadini dell’età di 30 anni compiti, purchè fossero netti di specchio , cioè non inscritti come morosi al libro delle pubbliche gravezze. Da quel Consiglio si eleggevano i diversi magistrati tanto della città, quanto del contado e dominio fiorentino. Per l'elezione dei priori di cadaun
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    quartiere, traevansi a sorte dalle borse 24 candidati, quindi si eleggevano tra quelli a pluralità di voti i due destinati a entrare di signoria, e quando toccava a quel quartiere la nomina del gonfaloniere di giustizia,vinceva il nome di quello che avesse riunito più voti dei 20 dalle borse levati a sorte.
    Per accogliere sì grande assemblea di cittadini, che in seguito fu accresciuta circa del doppio, fabbricossi per suggerimento del Savonarola il vasto salone nel palazzo della Signoria, terminato con troppa fretta da Simone del Pollajolo. Che però essendo la sala riuscita bassa e poco luminosa, fu più tardi da Cosimo I fatta rialzare e dipingere da Giorgio Vasari.
    Nell'occasione di tale riforma governativa, in segno di giustizia e d'aver oppresso il tiranno, rizzossi sulla ringhiera del palazzo della Signoria, ora sotto un arco della loggia dell’Orgagna, il gruppo di bronzo della Giuditta, opera egregia di Donatello.
    Ma nel mentre gli animi dei Fiorentini si agitavano per dare più larga forma al reggimento della Città, i loro negozj esterni non andavano migliorando, sia per la manifesta ribellione dei Pisani, risoluti di non ritornare più sotto il dominio fiorentino, sia perchè il re Carlo, quantunque avesse già compita la conquista di Napoli, non solo avea mancato alla promessa di restituire le fortezze che gli erano state consegnate, ma le sue genti medesime favorivano e aizzavano i Pisani, divenuti aggressori, a impadronirsi di varie castella tolte ai Fiorentini . – Si trattò per mezzo di ambasciatori della restituzione di Pisa davanti al re che l'aveva promessa, e a tal uopo riscossa una somma di denaro. Ai lamenti dei Pisani, e alle accuse di crudeltà di leggi, e di eccessive gravezze imposte loro dai Fiorentini (cui faceva eco in Roma Burgundio Leoli celebre giureconsulto pisano), fu risposto in nome della Repubblica dal vesc. Soderini: che i Pisani furono governati colle stesse leggi e condizioni degli altri paesi del dominio di Firenze. La
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    decisione sulla sorte di Pisa veniva altresì ritardata dai ministri del re, avidi di raccogliere grandi somme di moneta da ambe le parti. Tutto fu dai Fiorentini inutilmente tentato; invano lo zelante fra Girolamo, andato a Poggibonsi incontro a Carlo VIII, che ritornava da Napoli, a nome di Dio gl'intimò l’adempimento delle promesse, riportandone solo parola di restituire le piazze richieste tostochè il re fosse giunto in Asti.
    Arrivato costà con le sue genti il monarca,dopo essersi col ferro aperta la strada a Fornovo in mezzo a un grand’esercito della lega nemica, ritornò a Firenze inaspettatamente Niccolò Alamanni con l’ordine del re, affinchè Livorno e Pisa fossero restituite in grazia delle convenzioni tra esso e i delegati della repubblica stabilite in Torino ai primi di settembre dello stesso anno 1495.
    Infatti Livorno si riebbe subito con le sue torri (15 settembre) senza altra difficoltà, che quella dell'ajuto di nuova moneta. Non seguì lo stesso delle altre fortezze, e molto meno di Pisa, il di cui generale francese Entragues trovava sempre pretesti di dilazione, benchè replicati ordini ricevesse dal suo sovrano. La passione dell'oro e l'amore per una giovinetta pisana a tal segno prevalse in lui sopra l'obbedienza e fedeltà dovuta al suo principe, che per 12,000 ducati per sè, e 8,000 per distribuire ai soldati, l'Entragues consegnó, nel primo dì del 1496, la cittadella ai Pisani, dai quali per suo consiglio fu subito disfatta. Si aggiunse quindi l'altro tradimento per di lui mezzo operato, vendendo Sarzana e Sarzanello per 24,000 scudi ai Genovesi, e poco dopo alienando Pietrasanta e Motrone per 17,000 scudi ai Lucchesi, senza curare gli ordini più pressanti del re di Francia. Ma questi infedeli ministri non erano i soli che facessero contro i Fiorentini, tostochè il duca di Milano, il senato di Venezia e l'imperatore Massimiliano inviavano a Pisa soccorsi d'ogni specie, mossi ognuno di essi da diversi fini.
    Stavano le truppe fiorentine campeggiando in Val d’Era, quando per ricuperare il
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    castelletto di Sojana il commissario della Repubblica, nel 21 settembre 1496, animando i suoi all'assalto, rimase colpito a morte; e Firenze ebbe a piangere in quel prode l'intrepido Piero Capponi, quello stesso che strappando i capitoli alla presenza di Carlo VIII con coraggiosa risposta due anni innanzi aveva salvato l'onore e la libertà della sua patria.
    Crebbero i timori e l'allarme in Firenze per l'avvicinamento dell'imperatore, quando s'intese che a Genova s'imbarcava con animo di fare l'impresa di Livorno. Fu perciò presidiata validamente questa piazza, talchè si trovò in grado di far fronte alle forze che la strinsero di assedio per terra e per mare: e potè anche sostenere la penuria di vettovaglie fino alla comparsa di una flotta dalla Provenza, la quale, passando in mezzo a quella de'nemici, entrò nel porto con soccorso di viveri, di armi e di militari.
    La qual cosa ravvivò il coraggio e le forze negli assediati tanto che, rinnovando di frequente le sortite con esito sempre sfavorevole ai nemici, venne costretto l’imperatore a ritirarsi con le sue genti dall'assedio, dopo avere con poca gloria e verun profitto rischiata la vita.
    D'allora in poi i Fiorentini ripresero (novembre del 1496) la maggior parte delle terre e castella delle colline pisane, intanto che l'oste imperiale ripiegavasi verso Sarzana, e che l'esercito della lega, per discordia dei capi, gelosia dei gabinetti, mancanza di paghe e di vettovaglie, stavasi nei quartieri inoperoso, e disgustato.
    A quest'epoca risale il pio istituto in Firenze del Monte di pietà, proposto nelle sue prediche dal Savonarola, e per accatto di elemosine fondato a benefizio dei bisognosi, con la lodevole mira di frenare le strabocchevoli usure.
    Si tentò poco dopo una trattativa tra le parti belligeranti, ma i Veneziani capi della lega non solo non vi concorsero, ma apertamente sostenevano Piero dei Medici, il quale cercava per forza di rimpatriare. Favorito in seguito dal duca di Milano e dai Senesi, aveva Piero concertato con i fautori
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    di dentro di levare a rumore Firenze; alle cui porte con ogni diligenza alla testa di 800 cavalli e di 3000 fanti la mattina del 28 aprile 1497 videsi accostare, contando fra i complici suoi aderenti nella città Bernardo del Nero allora gonfaloniere di giustizia. Ma sconcertati i congiurati appena videro scoperta l'impresa di Piero poco innanzi del suo arrivo alla Porta romana, e avviliti dalle misure di difesa che il governo bentosto ebbe ordinate, quei di dentro stettero inoperosi, e Piero de'Medici con i suoi armati credè bene di ritirarsi frettolosamente per timore che gli venisse tagliata la strada da qualche divisione dell’esercito fiorentino che poteva richiamarsi in Val d’EIsa dal territorio pisano. I capi della congiura furono condannati a morte senza accordar loro il benefizio dell'appello, lo che inasprì altamente il partito degli Arrabbiati contro i Frateschi , in guisa che riescì loro di vendicarsene con altre armi e con tali mezzi, che portarono sul patibolo il frate campione della fior. libertà (4 maggio 1498).
    La quale luttuosa catastrofe fu preceduta di pochi giorni dalla morte di Carlo VIII; così che se con la perdita del frate predicatore fu tolto al partito Mediceo un pericoloso nemico nella città, mancò altresì ad esso una parte di appoggio nelle forze esterne e specialmente in quelle del duca di Milano per rivolgerle a guardare la casa propria, minacciata da Luigi XII pronto a incamminarsi dalla Francia nella Lombardia alla conquista di quel ducato. Per questi accidenti la Repubblica fiorentina avendo creato di nuovo i Dieci di libertà , e condotti al suo servizio uomini d'ogni arme e valenti capitani, spingeva con vigore l'impresa dalla parte di Pisa, nel tempo che da un altro lato faceva fronte a nuovi eserciti de'Veneziani che dalla Romagna rimontavano le valli transappennine per scendere con Piero de’Medici nel Casentino e in Val Tiberina.
    Riesci quindi ai Fiorentini di stringere amicizia con Luigi XII nella seconda sua
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    discesa in Lombardia (anno 1500) e di ottenere al loro soldo 5000 Svizzeri e 500 lance, onde riavere ad ogni costo Pisa. La quale città era loro scappata di mano pochi mesi innanzi, all'occasione che fu atterrata (10 agosto 1499) una parte delle sue mura, assalita ed espugnata la rocca di Stampace . –  Vedere PISA.
    Ma per avventura anche la posteriore impresa militare de’Francesi contro Pisa non riuscì meglio delle altre e fu anzi la più disgraziata delle precedenti pei Fiorentini. Avvegnachè appena arrivato quell'esercito in Lunigiana, tolse Massa e Carrara al marchese Alberigo Malaspina amico della repubblica; occupò quindi Pietrasanta, e fece accordo coi Lucchesi di non restituir questa Terra ai Fiorentini innanzi che essi riacquistassero Pisa. Giunto finalmente quel corpo di truppe davanti alla preaccennata città, fu incominciato con gran fervore l'assedio, ed era già aperta la breccia in una estensione di 40 braccia, quando per imperizia del capitano, e per disordine nella milizia, o per segrete intelligenze con gli assediati, fu sospeso il colpo tanto che quest'ultimi rianimati da soccorsi quasi inaspettati, tolsero affatto ogni speranza agli assalitori di guadagnare la loro città.
    Non ostante che  Firenze sentisse la gravezza di tanti mali, erano però questi di gran lunga superati dal timore fortissimo che vi si aggiunse di perdere, non tanto Pisa con le terre e castella del suo antico contado, ma l'indipendenza propria, tosto che si scoprirono le prave voglie del fraudolento duca Valentino. Il quale ajutato di denari, di consigli e di forze dal padre, con l’onorato titolo di voler reintegrare le membra sparse dello Stato pontificio, sotto la protezione del re di Francia, aveva rivolte le mire all'occupazione dell'Emilia, costringendo a fuggire da Imola la contessa Caterina Riario coi figli, togliendo la signoria di Rimini a Pandolfo Malatesta, Pesaro a Giovanni Sforza, e Faenza ad Astorre Manfredi; l'ultimo de'quali contro la fede della capitolazione fatto prigione, a Roma per ordine del duca fu barbaramente strangolato. Questo stesso fior
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    di virtù, onde mantenersi l'acquisto di tante belle opere in Romagna, stava apparecchiandosi a dare esecuzione a de'concetti anco più smisurati, impegnando Alessandro VI a collegarsi per interesse proprio coi Veneziani, nell'intenzione di potere rimettere in Firenze l'esule famiglia de'Medici, onde avere per suoi vicini principi nuovi, riconoscenti ed amici.
    In questo stato di agitazioni politiche principiò il secolo XVI, quel secolo in cui dovevano spirare una dopo l’altra le repubbliche di Pisa, di Firenze e di Siena. Per quanto i reggitori dello Stato fiorentino non trascurassero di vegliare e di provvedere alla pubblica salvezza con ogni sorta di mezzi, pure tanta diligenza sembrava insufficiente alla grandezza dei mali che gli si  minacciavano. Cominciò il duca Valentino a mandare a chiedere passo e vettovaglie per i luoghi della Repubblica; le quali cose ottenne a condizione, che le sue genti non dovessero entrare in terra alcuna murata, nè condur seco ribelli o nemici dello Stato . – Appena peraltro il Valentino videsi arrivato con 800 uomini d'arme, e 7000 fanti a Barberino di Mugello, fece intendere alla Signoria di Firenze, che a volerlo tenere amico, conveniva organizzare un’altra forma di governo; oltre di che domandava che gli venisse accordata una pensione a titolo di capitano di eserciti, e che fosse data qualche soddisfazione ai Vitelli e agli Orsini, e qualora volesse egli intraprendere la conquista di Piombino, non dovesse essere impedito dalla Repubblica, seppure non lo voleva ajutare . –  Fuori che in mutare Stato, fu risposto al duca, che si compiacerebbe. Ma accostandosi egli con le sue masnade sempre più vicino a Firenze, riempì la città di spavento, non tanto pel numero de'nemici di fuori, quanto per l'intelligenza che dubitavasi esistesse con quelli di dentro.
    Intanto, a prevenire ogni tumulto, si presero i necessarj provvedimenti col guarnire i poggi dei contorni e la città di gente fedele. Essendo già il duca Valentino arrivato a Campi, sei miglia vicino a Firenze, e veggendo egli
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    i cittadini quieti e il governo fermo nel suo proponimento, sopraggiuntigli in questo mentre ordini dal re di Francia che gl'inibivano di molestare la repubblica fiorentina, risolvè accordarsi seco mediante una provvisione di 36,000 ducati per 3 anni, con il solo obbligo di mandare 300 uomini d'arme ad ogni bisogno di guerra: purchè nessuna delle due parti fosse per ajutare i nemici o ribelli dell'’altra, e che la Repubblica non desse noja al duca nell’impresa che era per fare di Piombino. Firmate le convenzioni, il Valentino ai 17 maggio 1501 partì con le sue genti per Empoli e di là per la Val d’Elsa, rubando i paesi che attraversava, come se vi passasse un nemico; il quale, innoltratosi in Val di Cecina, non prima del 25 maggio uscì dal distretto della Repubblica, e per Val di Cornia entrò nel Piombinese.
    Frattanto i Fiorentini ripresero con più calore le ostilità contro Pisa, dove le cose sue sarebbero procedute con felice successo, se nuovi tumulti insorti in Val Tiberina e in Val di Chiana, non avessero richiamate al rove le armi della Repubblica. E perchè d'ogni parte le crescessero i pericoli, intorno a questo tempo (giugno 1502) il feroce Valentino tolse lo stato a Guidobaldo duca d'Urbino, e poco dopo, entrato nel dominio di Camerino, con bestiale ferità strangolò con i teneri suoi figli Giulio Varano di quel paese Signore, nel tempo quasi medesimo che Arezzo, Cortona, Sansepolcro, Anghiari, Pieve S. Stefano, ed altri castelli limitrofi ribellavansi ai Fiorentini, ed accoglievano fra le loro mura Piero de'Medici, il Cardinale di lui fratello, e Vitellozzo Vitelli. Sennonchè quest'ultimo spaventato dalla crudeltà del Valentino; e temendo di esserne preda come il Varano (siccome in realtà avvenne), si accordò con le truppe Francesi accorse nel Val d’Arno superiore, consegnando ai loro ufiziali la città di Arezzo, la quale bentosto con gli altri paesi del contado aretino, per ordine di Luigi XII, venne nell’agosto del 1502 ai Fiorentini riconsegnata.
    Per quanto quest'ultimo
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    successo recasse un qualche conforto a Firenze, tuttavia continuava nei cittadini ragionevole motivo di temere dell'insidie del fraudolento duca, essendo ormai conosciuto per uomo, che nè ad amici, nè a nemici serbando alcuna fede, procurava di sottomettere ogni cosa alla sua crudelissima libidine. Laonde in Firenze, per meglio vegghiare sui maneggi di lui, che qual nuovo conte di Virtù, mirava niente meno che a insignorirsi di Siena, di Lucca e di Pisa, affinchè poi, circondata dalle sue armi, la repubblica fiorentina venisse a cadergli in seno per forza, fu convocato dalla Signoria il consiglio generale; nel quale fu deciso di creare il primo magistrato della Repubblica, non più ogni due mesi, come fino allora erasi usato, ma un primo console a vita con l'antico titolo di gonfaloniere; così che per evitare un estremo si andò a rischio di incorrere in un altro più pericoloso del primo. Fortunatamente cadde l'elezione in Piero Soderini, uomo di somma probità, accetto generalmente al popolo quanto un Publicola, e privo di figli da non poter dare ombra di aver a destinare ai suoi discendenti lo stato. Insieme col gonfaloniere a vita (che incominciò col mese di novembre 1502) fu dato principio al tribunale collegiale della Ruota fiorentina nel palazzo del potestà, levato via, non solo l'appello al capitano del popolo, ma questo magistrato medesimo dichiarato soppresso.
    Fu cagione di maggior soddisfazione alla città, ed accrebbe onore alla famiglia Soderini, oltre l'elezione di Piero, la promozione del cardinal Francesco di lui fratello, fatta li 31 maggio 1503, appena tornato dall'ambasceria di Francia. Il novello porporato fu accolto in patria con solenne entratura e con onore grandissimo dai magistrati e da tutti gli ordini dei cittadini, poche settimane innansi che con letizia di tutta Italia giungessero avvisi della morte di papa Alessandro (18 agosto 1503) stimata per molti conti utile ai Fiorentini. Salì per pochi giorni sulla sedia di S. Pietro il pont. Pio III di casa Piccolomini, nipote di Pio II, per
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    modo che dovette riaprirsi presto il Conclave. Dal quale nel dì primo di novembre fu proclamato in pontefice il cardinale Giuliano della Rovere, nipote di Sisto IV, che prese il nome di Giulio II, uomo di maravigliosa altezza d'animo, che aveva vigorosamente sostenuta l'inimicizia di Alessandro VI per la ecclesiastica libertà, ed erasi familiarizzato nell'arte della politica alla corte di Francia, da esso sino allora costantemente frequentata . –  La Signoria di Firenze inviò a Roma ambasciatori, affinchè dopo le consuete cerimonie di obbedienza, mostrassero a Giulio II il sommo pericolo che derivare poteva ad esso lui e ai Fiorentini, nel caso che la Romagna fosse pervenuta in potere dei Veneziani: le cui armate in tempo di sede vacante avevano occupata la città di Faenza e molti altri paesi dei Malatesta in Val di Lamone, nè erano giovati a nulla i soccorsi mandati da Firenze in favore e a sostegno di quei piccoli principi.
    Ricominciarono in quest'anno le ostilità tra i Francesi e gli Spagnoli nel regno di Napoli quando rinforzati quest'ultimi sotto la condotta del famoso Consalvo di Cordova, nelle vicinanze del Garigliano (dicembre 1503) riportarono una completa vittoria sopra i Francesi, fra le cui file trovavasi Piero de'Medici. Questi fuggendo allora sopra una barca alla foce di quel fiume terminò annegato una vita errante dopo 9 anni di esilio dalla patria.
    Chi volesse salire al Monte Cassino vedrebbe il bel cenotafio che nel 1550 fece colà erigere Cosimo I con la seguente iscrizione: Petro Medici Magni Laurentii filio, Leonis X Pont. Max. fratri, Clementis Vll patrueli; Qui cum Gallorum castra sequeretur, ex adverso praelio ad Livis ostium periit, Anno aetat. XXXIII.
    Dopo una vittoria cotanto segnalata, cominciarono gli Spagnoli a rendersi formidabili a tutta Italia; onde il Comune di Firenze, benchè fosse in lega e sotto la protezione del re di Francia, inviò al Gran capitano Consalvo un ambasciatore, acciocchè con ogni studio procacciasse di farlo benevolo
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    ai Fiorentini, nè rivolgesse una parte delle sue genti in soccorso di Pisa; contro la quale città all’apparire della primavera del 1504 si volevano riprendere con più calore le ostilità. Ma i Pisani disposti a vincere o morire, quasi sempre sventarono tutti i mezzi e tutti gli sforzi del popolo fiorentino, non di rado resi vani dalle potenze oltramontane, per mantenere nella loro dependenza l'una e l'altra città; e ciò sino a che, sul declinare dell’anno 1508, il re Cristianissimo, quindi il re Cattolico, mettendo i Pisani a mercato; indussero i Fiorentini, quando volessero senza opposizione dei due coronati, battagliando farsi padroni di Pisa, a pagar loro grosse somme di denaro (100,000 ducati al re di Francia e 50,000 a quello di Spagna); e dopo tutto ciò chiese ed ottenne anche la sua quota (40,000 ducati) Massimiliano imperatore.
    È altresì vero che quest’ultima paga sopra ogni altra fruttò alla Repubblica fiorentina, avendola effettuata dopo le capitolazioni che confermarono al Comune di Firenze tutti i privilegj concessigli dai precedenti imperatori, compresa la cessione a tutte le ragioni, che sopra la città e distretto fiorentino, compresa Pisa con l'antico contado, potesse mai aver avuto l'Impero (AMMIR. St. Fior. l.LXXVIII.)
    Frattanto a volere che i Pisani, stretti da maggiori difficoltà, si riducessero più presto alla resa, fu dai Fiorentini assoldata nel 1509 una flottiglia, perchè guardasse la costa sulla foce di Arno, e alla città per via di mare impedisse ogni soccorso di gente e di vettovaglie; mentre dalla parte di terra Pisa era assediata dall'esercito diviso in tre parti; una delle quali accampossi alla sinistra e le altre due alla destra dell’Arno. Tutti gli altri passi essendo chiusi, venne perciò a mancare agli assediati ogni speranza di soccorso, per modo che facendosi sentire la fame con le più lacrimevoli miserie, cominciò il minuto popolo a tumultuare. Simulò il governo pisano di venire ad una trattativa per tener tranquilla la plebe, e nel tempo stesso tentare un colpo di
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    mano sopra l'esercito fiorentino; ma la prima essendo stata scoperta, e il secondo andato fallito, bisognò che i Pisani si piegassero alla resa.
    Era sulla fine del maggio 1509, quando si diressero a Firenze otto ambasciatori pisani accompagnati da Alamanno Salviati, uno dei tre commissarj dell'esercito fiorentino, per presentarsi alla Signoria, dalla quale ottennero una onorevolissima capitolazione, con ampio perdono della ribellione e di tante ingiurie e danni fatti alle cose pubbliche e private de'Fiorentini.
    Nell'ottavo giorno di giugno i tre commissarj della Repubblica presero il possesso di Pisa, tornata dopo una ribellione di 15 anni sotto il dominio Fiorentino, e per la seconda volta, passato di poco il periodo di un secolo, vinta dalla fame e dall'oro, più che dalle armi soggiogata.
    Vi furono rimessi secondo l'antico costume i consueti magistrati, nominati però dalla Signoria di Firenze con l'approvazione de'consigli: e a tempo brevissimo vennero eletti per primi, Alamanno Salviati in Capitano del popolo, ossia Conservatore della pace, e Francesco Taddei in Potestà di Pisa.
    Acconce in cotal modo le più importanti cose dello Stato, restava però alla città di Firenze il dispiacere delle recenti nozze senza consentimento della Repubblica contratte da Filippo Strozzi figlio di quell'altro Filippo che edificò il grandioso palazzo, per aver egli, contro una legge che proibiva le parentele coi ribelli, tolta in moglie Clarice figlia di Piero de'Medici; onde Filippo fu condannato a una multa, e per cinque anni ammonito . –  Nè potevasi mai prevedere che la sorella di Leone X col suo marito Filippo Strozzi, come anche i figli che erano per nascere da quel connubio, dovessero essere fieri nemici non meno al duca Alessandro figlio di Lorenzo de'Medici, loro respettivo nipote e cugino, quanto anche al di lui successore duca Cosimo I.
    Dopo l'acquisto di Pisa, il governo fiorentino, avendo rivolte le cure alla parte economica, bandì la moneta d’argento tosata, e fissò un giusto peso per le altre. Fu allora che si aumentarono
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    sino a tre, dove prima erano due, gli ufiziali della zecca, al pari dei Triumviri monetales di Roma; che si coniò, oltre diverse altre monete di minor valore, quella d'argento, di cui ne entravano venti per ogni fiorino d’oro, la quale dal papa allora regnante fu chiamata col nome di Giulio .
    Dopo tali provvedimenti il gonfaloniere perpetuo, veggendo essere già finiti 8 anni del suo reggimento, volle dar conto di tutte le pubbliche spese fatte in tempo della sua amministrazione. Ordinò a tal uopo lo spoglio dei libri della Camera, ossia della depositeria dello Stato, e raccolto tutto quello che dai sindachi del Comune era stato saldato, fu trovato essersi spesi in quel periodo di anni per conto della Repubblica 908,300 fiorini d'oro.
    Ciò fu notificato ai 22 di dicembre 1510, il giorno innanzi che si scuoprisse una congiura contro il Soderini, ordita in Bologna da un Prinzivalle di Luigi Stufa giovine fiorentino, il quale, immaginando di aver per compagni alcuni suoi concittadini, recossi a Firenze per tentare Filippo Strozzi, che come parente de’Medici e per tale effetto ammonito, credè, pronto a entrare nella cospirazione; ma accortosi della risposta dello Strozzi, che non solo non avrebbe aderito, ma che probabilmente potrebbe svelare al governo il suo reo disegno, si ricovrò prontamente in Siena. Il Soderini che veder doveva in questo attentato con quali nemici aveva a fare, invece di cercare ogni mezzo di riconciliarsi con il pontefice, conscio dell'attentato, lo sdegnò maggiormente coll'accordare ad alcuni cardinali la città di Pisa per tenervi un concilio. Da ciò ne avvenne che Giulio II richiamò da Firenze il suo Legato, e fulminò sulla città l'interdetto, che provvisoriamente sospese all'avvicinarsi dell’esercito francese. Ciò accadde poco prima della famosa giornata di Ravenna, (11 aprile 1512) in cui si colmò di gloria il valoroso duca Alfonso d'Este, e nella quale restò prigioniero il cardinale Giovanni de'Medici Legato pontificio. Ma la morte del prode generale
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    di Foix, rimasto nel campo di battaglia, bastò a distruggere tutti i frutti della vittoria dagli alleati de'Fiorentini riportata.
    Appena Giulio II vide l'esercito francese ritirarsi dall'Italia, riprese il suo tuono imperioso, stimolato dall'odio contro il gonfaloniere Soderini, non meno che dal desiderio di avere autorità più che spirituale sopra tutta l'Italia. Dondechè Giulio, nel luglio del 1512, intimò ai Fiorentini di rimuovere dal governo il Soderini, premurosamente insistendo, affinchè si rimettessero in patria i fuorusciti, e nella pristina grandezza la famiglia de'Medici. Indi spedì a Firenze Lorenzo Pucci suo datario, per tentare con l’oratore che vi teneva Don Raimondo di Cardona vicerè di Napoli, allora generale dell’esercito alleato, i Fiorentini a staccarsi dall’amicizia del re di Francia, affinchè si unissero alla lega, cui fu dato il titolo di Sacra .
    Frattanto che si perdeva in progetti e in trattative il gonfaloniere della Repubblica fiorentina, tenevasi in Mantova un congresso segreto fra gli ambasciatori della Sacra alleanza , nel quale si determinò, che il ducato di Milano fosse reso a Massimiliano Sforza, che si assalisse repentinamente il territorio fiorentino. Con questa deliberazione il Vicerè alla testa di un esercito spagnolo si mosse da Bologna per l'Appennino di Pietramala, dove lo raggiunse il cardinale Giovanni de Medici con la qualità di Legato pontificio in Toscana, di corto. fuggito verso Milano dalle mani de'Francesi, dei quali era rimasto sino allora prigioniero.
    A Firenze, inteso l’avvicinamento degli Spagnoli, sul timore eziandio che da un’altra parte si avanzassero le truppe pontificie, erano gli abitanti in grandissimo spavento, tanto più che poche erano le genti d'arme, ne alcun capitano di vaglia, cui si potesse il comando affidare. Nondimeno si cercò di provvedere al riparo sollecitamente, quanto la brevità del tempo lo comportava; nè si mancò eziandio di tentare, benchè tardi, la via dell'accordo, mandando ambasciatori al Papa e al Vicerè. Ma se da un lato il primo mostrossi inflessibile alle offerte e alle preghiere, rispondendo non essere questa impresa
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    sua, e farsi senza soldati pontificii; dall'altro lato il Vicerè, che già era disceso col suo esercito dall’Appennino della Futa a Barberino di Mugello, presso 18 miglia a Firenze, rispondeva per un suo messo alla Signoria, non essere intenzione della Sacra lega di alterare il dominio, nè la libertà dello Stato, solo che si rimovesse il gonfaloniere Soderini, e che i Medici potessero ritornare a godere la patria. A tali domande esposte nel consiglio generale, il gonfaloniere si mostrò pronto ad aderire per ciò che riguardava la sua persona, col rinunziare la suprema magistratura, nella quale per consentimento pubblico era tanti anni seduto: dichiarando nel tempo stesso, che si attribuirebbe a singolare felicità, se questa domandata rinunzia e il richiamo de'Medici in patria come privati cittadini, e non arbitri delle leggi e dei magistrati, fosse il vero mezzo della salute della patria. Non era dubbio quello che il consiglio generale avesse a deliberare, per l'inclinazione che aveva quasi tutto il popolo di mantenere il governo libero. Perciò con maraviglioso accordo fu risoluto, che si consentisse al ritorno de'Medici come uomini privati, ma che si rifiutasse la domanda di rimuovere il gonfaloniere Soderini, e con la vita si attendesse a difendere la comune libertà . –  Però volti tutti i pensieri alla guerra, e fatta provvista di denari, si spedirono 2000 fanti con pochi uomini di cavalleria nella Terra di Prato; la quale si temeva avesse a essere la prima assaltata, siccome infatti lo fu pochi giorni appresso dal Vicerè. Il quale, poichè a Barberino ebbe raccolto l'esercito e le artiglierie, si accostò con 5000 uomini di quella terribile fanteria, che aveva saputo sola far argine a tanto impeto nella giornata di Ravenna; indi a poco cominciò a battere con due cannoni le mura di Prato verso la porta, che ha tuttora il nome del Serraglio; e appena aperta la breccia, s'ordinò l'assalto, non trovando più ostacoli mediante la fuga dei difensori. In
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    guisa che gli Spagnoli, entrati dentro, corsero liberamente la Terra (il dì 29 agosto dell’anno 1512) dove non era più resistenza ma grida, fuga, violenza, sacco, e uccisioni.
    Nè sarebbe stata salvata cosa alcuna dall’avarizia, libidine e crudeltà dei vincitori, se il cardinal de’Medici, messe le guardie alla chiesa maggiore, (dove era uno dei tanti suoi benefizj ecclesiastici) non avesse cercato di conservare l'onestà delle donne, che quasi tutte vi si erano rifugiate.
    I cittadini più facoltosi, salvati alla strage, furono costretti per via di minacce, o dai tormenti straziati, di redimersi a carissimo prezzo dalla prigionia de'Spagnoli.
    Il miserabile evento di Prato spaventò tutta Firenze, e più d'ogn'altro il gonfaloniere, il quale retto piuttosto che rettore, irresoluto lasciavasi guidare dalla volontà degli altri; cosicchè furonvi molti giovani nobili, e avidi di cose nuove che divennero più audaci. Contavasi fra questi Anton Francesco degli Albizzi e Paolo Vettori, i quali già eransi con Giulio de'Medici, figlio di Giuliano, occultamente abboccati in una villa del territorio fiorentino dalla parte di Siena. Ora avendo essi comunicato il progetto loro a Bartolommeo Valori, giovine splendido e al pari del Vettori indebitato, decisero insieme di cavar per forza il gonfaloniere dalla residenza della Signoria. Infatti, due giorni dopo la perdita di Prato, entrati essi con pochi compagni in palazzo, e introdottisi nella camera del Soderini, lo minacciarono di torgli la vita, se non si partiva di là, dandogli in tal caso fede di salvarlo. Alla qual cosa per soverchio timore cedendo il gonfaloniere, fu tratto di palazzo e accompagnato alla casa del Valori, donde la notte appresso si condusse fuori di Stato.
    Risentì particolarmente i tristi effetti di cotale avventura il celebre Niccolò Machiavelli, il quale avendo in questo tempo perduta la carica di segretario della Repubblica, si ridusse a vivere ritirato e meschino nella sua villetta a S. Andrea in Percussina, maledicendo la dappocaggine di Pier Soderini, resa ormai volgare da quei suoi piccantissimi versi:

        La
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    notte che morì Pier Soderini
    L’alma n’andò dell’inferno alla bocca;
    E Pluto le gridò: anima sciocca,
    Che inferno? Va’ nel Limbo de’bambini.

    Ma lo scritto che dà maggiormente a conoscere il carattere del Segretario fiorentino, a me sembra il tenebroso opuscolo da esso lui in detta villa dopo il ritorno de'Medici a Firenze sul subietto del Principato compilato, per indirizzarlo alla magnificenza di Giuliano, sperando, siccome l'autore faceva presentire all’amico Vettori, che quel suo lavoro fosse per essere accetto a un principe, e massime a un principe come lui nuovo; e desideroso che questi Signori Medici cominciassero ad adoprarlo (Niccolò); perchè se poi (cito le sue parole) non me li guadagnassi, io mi dorrei di mè. (LETTERA DEL MACHIAVELLI A FRANCESCO VETTORI.)
    La fraudolenta cacciata del gonfaloniere perpetuo accaduta nel giorno stesso che dovevano escire di carica i vecchi priori, fu non senza minaccia dei congiurati formalmente acconsentita dalla Signoria che esciva di seggio, e dalle altre magistrature.
    Non era appena il Soderini dalla città partito, che i nuovi Signori inviarono al Vicerè legati per trattare di un accordo, il quale per opera del cardinale de'Medici facilmente si compose; obbligandosi il governo di Firenze di restituire alla patria, come privati cittadini tutti gl'individui della famiglia Medici, con facoltà di ricomprare fra certo tempo i loro beni dal fisco alienati; mentre dovè la Signoria aderire, in quanto alle cose politiche di fuori, ad entrare nella Sacra lega , e inoltre ad adempire agli obblighi verso di quella contratti dal cardinale, pagando, cioè, per mercede del ritorno de'Medici 40,000 ducati all'Imperatore; 80,000 al Vicerè per le spese della guerra e per interesse suo proprio altri 20,000 ducati.
    Rimossi per tal guisa i pericoli della guerra, i Fiorentini determinarono con nuove leggi, che il gonfaloniere si eleggesse per un anno, sebbene dopo il primo eletto (Gio. Battista Ridolfi) si ritornasse all'antico sistema bimestrale. Quindi fu
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    risoluto che, senza alterare il senato, o sia il consiglio degli 80 (con l'autorità del quale si deliberavano le cose più gravi), per dargli maggior vigore gli si aggregassero in perpetuo tutti coloro che nei tempi trascorsi avessero amministrate le prime dignità; vale a dire, dentro la città, quegli che fossero stati o gonfalonieri di giustizia, o dei dieci della balìa di guerra; e fuori di Firenze, coloro che, essendo stati nel consiglio degli 80, avessero anche eseguite ambascerie presso qualche potenza, o fossero stati commissarj generali nella guerra. In quanto al resto rimasero fermi per allora gli ordinamenti antichi.
    Ma troppo erano trascorse le cose, e troppo potenti nemici aveva la pubblica libertà. Nel centro del dominio un esercito prepotente e sospetto; dentro la città audacissimi giovani cupidi di opprimerla; dello stesso animo, benchè con le parole dimostrasse il contrario, era il cardinale de'Medici; il quale non reputava premio degno di tante fatiche il ritorno suo e de'suoi come privati cittadini.
    La Signoria avendo ratificato il trattato dagli ambasciatori conchiuso col Vicerè, questi nel 14 di settembre entrò in Firenze, accompagnato da molti soldati ufiziali del suo esercito, dal cardinale Giovanni, dal fratello Giuliano e dal loro nipote Lorenzo.
    Quindi nel giorno seguente, mentre era congregato nel palazzo del popolo per le cose occorrenti il generale consiglio, comparve costà il Vicerè con un numeroso seguito sotto titolo di avere a trattare di un qualche pubblico negozio; quando in poco d’ora, sopraggiunta altra gente d'armi, all’improvviso fu assalita la porta, e occupati tutti i posti della residenza, depredando gli argenti, e ciò che v'era per uso della Signoria. Costretti i Priori dalla forza, dovettero cedere alla proposizione fatta da Giuliano de'Medici, presente a quella scena, di far chiamare subito al suono della campana maggiore il popolo in piazza. Coloro pertanto che vi concorsero, circondati dagli Spagnoli armati, consentirono che fosse data ampia Balìa a 50 cittadini, investendoli per un anno della medesima autorità che aveva presso
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    i Romani la somma dittatura, con autorità di potersi da sè medesimi per un altro anno raffermare. Furono quindi cotesti arbitri scelti tutti fra i dipendenti o amici del cardinale, in guisa che la nuova Balìa, a forza di riformagioni, ridusse il governo alla forma medesima ch’era innanzi all'anno 1494, col ridonare ai Medici non solo il perduto dominio e grandezza, ma col porli in grado di governare la città più imperiosamente e con arbitrio più assoluto di quello che soleva fare lo stesso Magnifico . In tal modo fu oppressa quella libertà civile che dal probo gonfaloniere Soderini era stata in Firenze rispettata, e per opera di armate straniere questa volta carpita dalla famiglia medesima, cui nei tempi trascorsi era riescito di assorbirla a forza di buone grazie, di munificenze e di oro.
    Era da pochi mesi restituito alla patria e agli onori l'espulso ramo Mediceo, quando s'intese la morte di Giulio II, accaduta in Roma la mattina del dì 21 febbrajo 1513, mentre egli proponevasi di spogliare il prode duca Alfonso del dominio di Ferrara. Nonostante i suoi smisurati concetti, Giulio II lasciò di sè altissima ricordanza per il gigantesco progetto di liberare l’Italia dal domino dei forestieri, che egli a imitazione degli antichi Romani qualificava col titolo di barbari, per l’ambizione inesauribile di esaltare col mezzo della guerra e col sangue dei Cristiani l'impero temporale della Chiesa, per l'ardore generosissimo con cui favorì le arti belle, e i sommi maestri, che allora fiorivano; cosicchè mercè di quel pontefice divenne ammirabile il tempio maggiore dell'orbe Cattolico, e l’immenso palazzo Vaticano.
    Il settimo giorno del conclave (11 marzo), senza discrepanza di alcuno, fu eletto in pontefice il cardinale Giovanni de'Medici, di soli 37 anni, il quale assunse il nome di Leone X . –  Sentì di questa elezione quasi tutta la Cristianità, e Firenze precipuamente, gioja e piacere grandissimo, per la chiara memoria del valore paterno e per la fama
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    che risuonava per tutto della liberalità, dolcezza e amore di lui verso le arti e i letterati . –  La cavalcata solenne del possesso di Leone X, nella quale si vuole che egli prodigasse la somma di 100,000 ducati, riescì una festa delle più magnifiche, e di tanta pompa, che Roma da molti secoli non aveva visto nè la più decorata nè la più bella; e fece quel giorno più memorabile e di maggiore ammirazione il considerare, che colui che formava l'oggetto di tanto splendore era stato l’anno innanzi, in quel dì medesimo (11 di aprile) fatto da’Francesi miserabilmente prigione alla sanguinosa battaglia di Ravenna.
    Per tale avvenimento i Fiorentini divennero entusiasti, e tutte le altre città della Toscana fecero pubbliche feste e allegoriche rappresentazioni, fra le quali si racconta quella eseguita a Siena col cavallo Trojano condotto in città, con cui pare che simbolicamente si volesse avvertire il popolo del pericolo che minacciava alla sua libertà quella stessa famiglia, per un individuo della quale allora si festeggiava.
    Fra i dieci ambasciatori fiorentini destinati a recarsi in tal circostanza a Roma fu compreso l'arcivescovo Cosimo de’Pazzi, ma sopraggiunto da grave infermità, cessò di vivere nel giorno stesso della gran cavalcata di Leone, il quale poco dopo nominò alla stessa cattedra arcivescovile di Firenze il cavalier gerosolimitano Giulio de’Medici nato da Giuliano suo zio, quello stesso Giulio, che nella festa predetta, armato sopra un grosso corsiere videsi in Roma portare il gonfalone della religione di Rodi, e alla prima promozione nominato cardinale di Santa Chiesa.
    Pochi mesi dopo, il pontefice Leone X, fatto arbitro fra i Fiorentini e i Lucchesi a cagione di alcune pretensioni di Stato, pronunziò sentenza che i secondi dovessero restituire ai primi la Terra di Pietrasanta con il suo distretto . –  Governavasi pertanto la città di Firenze a piacere e secondo gli ordini del Papa, il quale indusse il magistrato della Balìa a creare in capitano de'Fiorentini con
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    suprema assoluta potestà Lorenzo suo nipote, figliuolo di quel Piero che cedè le fortezze della Repubblica a Carlo VIII; nel tempo che il fratello Giuliano imbarcava a Livorno con la novella sposa figlia di Filippo duca di Savoja, invitato dal Papa a Roma non senza conforto di farlo salire sopra uno dei troni d'Italia, per quanto il carattere di Giuliano da tali ambizioni si mostrasse alieno anzi che nò.
    Appena arrivato in Roma, Giuliano fu nominato capitan generale della Chiesa, e il cardinale Giulio inviato a Bologna Legato apostolico. Giuliano però non tenne che di nome quella carica; avvegnachè essendosi ammalato, fu incaricato del comando delle truppe pontificie il nipote Lorenzo, con ordine di passare in Lombardia per unirsi alle genti dei Collegati destinati a far fronte a’Francesi che col loro re Francesco I tornavano in Italia.
    La vittoriosa giornata da questi ottenuta (13 settembre 1515) a S. Donato presso Marignano decise Leone X a stringere accordo, e quindi a collegarsi col vincitore. Ai 21 di ottobre i plenipotenziarj convennero nei preliminari del trattato di pace, mercè cui il re prese sotto la sua protezione il Pontefice, il fratello e il nipote, a condizione però che la Chiesa restituisse Parma e Piacenza tolta da Giulio II, come membri del ducato di Milano.
    Quindi Leone X, avendo fatto invitare Francesco I a un abboccamento in Bologna, si partì da Roma li 6 novembre 1515, accompagnato da 18 cardinali e da un corrispondente corteggio di prelati, di ambasciatori esteri e di altri illustri personaggi; ed entrando in Toscana per la Val di Chiana, prese la strada di Arezzo, di Montevarchi e dell'Incisa, di dove per S. Donato in Collina si condusse, ai 16 dello stesso mese, all'Impruneta, e nel giorno appresso alla villa Gianfigliazzi a Marignolle.  Costà si trattenne tre giorni per dar tempo ai Fiorentini di compire i grandiosi preparativi, che si facevano ad oggetto di ricevere il pontefice con pompa non più veduta. Egli
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    vi entrò li 30 novembre passando come un conquistatore per sette archi trionfali tutti ornati di figure allegoriche, oltre quella di Lorenzo padre del pontefice, posta sopra un arco a S. Felice in Piazza con sotto queste parole: Hic est Filius meus dilectus . Altre pompose feste si rinnovarono al ritorno del pontefice da Bologna . –  Per altro nè cotanta gioja della città, nè la presenza di sì acclamato pontefice bastarono a sollevare il di lui fratello Giuliano dalla infermità che lo affliggeva, e contro la quale riescirono vani tutti i rimedj dell’arte; sicchè poco dopo la partenza del Papa, nella Badia Fiesolana, dove ultimamente era stato condotto, li 17 marzo del 1516 morì nella fresca età di 37 anni, non lasciando che un figlio naturale, Ippolito, che fu poi cardinale, natogli mentre era esule in Urbino.
    Giuliano per le sue lodevoli qualità, per il gusto che nelle lettere e nelle belle arti aveva ereditato, a preferenza di ogni altro della sua casa, portò l'onorevole paterno titolo di Magnifico , trasmesso anche al figlio Ippolito. Egli fu dai Fiorentini sinceramente compianto, tanto più che la sua autorità servì di freno all'orgoglio del nipote Lorenzo e alle brame smoderate di Leone X di lui fratello, trattenendolo, finchè visse, dal perseguitare il generoso ospite del suo esilio, Francesco Maria della Rovere duca di Urbino. Ma appena mancato ai viventi Giuliano, tormentato ( ERRATA : dalla sorella Clarice) dalla cognata Alfonsina Orsini il Papa occupò il ducato d’Urbino con una guerra che costò (dal  1517 al 1518) non meno di 800,000 ducati, la maggior parte cavati dai Fiorentini; guerra poco onorata al primo e poco utile ai secondi, che dovettero contentarsi due anni dopo (luglio 1520) di ricevere in ricompensa di tanta moneta il Vicariato di Sestino con la fortezza di S. Leo, e la regione di Montefeltro. – Vedere   SESTINO.
    Questa stessa guerra diede chiaramente a conoscere
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    quanto l’affetto del nipotismo fosse di pregiudizio ai papi, con tutto che dopo il trattato di cessione di quel ducato, Lorenzo de’Medici, riconosciuto in nuovo duca di Urbino, avesse fissato il matrimonio (aprile 1518) con Maddalena di Boulogne, da cui naque la celebre Caterina di Francia, che costò la vita alla madre (28 aprile 1519.) Rimase anche orfana sette giorni dopo del padre (il 5 maggio), nell'anno stesso in cui venne al mondo (11 giugno 1519) il primo Granduca di Toscana.
    Non fu la perdita di Lorenzo pianta dai Fiorentini, come quella di Giuliano; che anzi per un rumore divulgatosi, sino da quando tornò di Francia sposo, essere  intenzione di lui farsi Signore di Firenze, molti cittadini sentirono contente della sua morte. Infatti tostochè la sorte arrise al duca Lorenzo, questi manifestò un carattere orgoglioso e prepotente a segno che tutti gli affari pubblici si facevano dalle sue creature; di modo che egli considerava lo Stato fiorentino come un patrimonio avito, di cui potesse liberamente disporre; e lo faceva con tale arbitrio, che trascurava perfino quelle formalità e quella decenza che usarono i suoi maggiori, se non altro per far credere al popolo che esso viveva sempre sotto un libero regime. Lo stesso cardinal Giulio di lui zio, recatosi da Roma a visitarlo, ne ripartì ben presto mal soddisfatto. – Tornò il cardinale a Firenze negli estremi giorni del di lui nipote; estinto il quale, e compite le esequie con le consuete condoglianze, andò il porporato a visitare la Signoria, e con quella moderazione e politica che Lorenzo non conosceva, si trattenne con essa a riordinare le cose del governo, mostrando dispiacere, che la scelta dei magistrati, soliti per antico uso a trarsi dalle borse a sorte, fosse stata fatta ad elezione del duca. E allorchè Leone X destinò quel cardinale arcivescovo di Firenze in preside e governatore della Repubblica, questi seppe con tali prudenti consigli provvedere al reggimento di essa, che si fece ammirare e ben
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    volere dal maggior numero de'Fiorentini, non accortisi ancora dei suoi ambiziosi desiderj, tenuti per tanti anni con incredibile artifizio mascherati e compressi.
    Vide Leone X nella morte di Lorenzo mancare il fondamento principale su cui voleva basare un trono per la sua famiglia; e vi fu anche alcuno che in tal'occasione non mancò davanti lo stesso Papa di perorare la causa de’Fiorentini; avvegnachè nella persona di lui si andava a spegnere il sangue legittimo dei discendenti del vecchio Cosimo, da cui cotanta grandezza era stata fondata, pregandolo a voler fare opera gloriosa e ben meritata col rimettere la patria in quella libertà che aveva prima.
    Non era ancora terminato l'anno 1519 quando a Leone fu recapitato l'avviso della morte in Firenze accaduta di Maddalena di lui sorella, madre di Lorenzo Cybo, primo di quella famiglia fra i marchesi di Massa e Carrara, e madre parimente di quel cardinale Innocenzo Cybo che ebbe cotanta parte negli affari politici di Firenze ai tempi del duca Alessandro, e di Cosimo I.
    Alla morte della sorella del Papa tenne dietro (7 febbrajo 1520) l'altra della cognata Alfonsina Orsini vedova di Piero de’Medici, quella che sopra tutti con fervorose istanze aveva indotto lo stesso Leone a fare l'impresa d'Urbino, ed alla quale fu dato ad enfiteusi dalla Repubblica fiorentina senza sborso di denari, il padule di Fucecchio.
    Con questa rapidità le grandi speranze e le grandi fortune nate e svanite quasi ad un tempo stesso, mostravano in mezzo alle glorie de'Medici la caducità dell'umane grandezze; dondechè Leone da tante morti ammonito, pensò a far costruire la famosa sagrestia nuova di S. Lorenzo a Firenze per collocarvi le sepolture del fratello Giuliano, e del nipote Lorenzo: per eseguire le quali il Buonarroti, senza saputa dei suoi biografi, nell'aprile del 1521, lo troviamo a Carrara, dove stette qualche tempo a contrattare i marmi delle cave, che appellansi del Polvaccio , per quelle sepolture . –   Vedere
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      SERAVEZZA.
    Aveva pur cessato di vivere nell'anno 1519 l’imperatore Massimiliano I d'Austria, che lasciò il trono al nipote Carlo V;  sulla di cui testa per una mirabile combinazione di circostanze e di ereditate successioni, oltre gli Stati aviti della Germania, si riunirono le corone del Romano impero, dei regni di Spagna, e dell'Indie, dei Paesi Bassi, della Borgogna e della Franca Contea. Ottenne la corona imperiale per elezione, gli altri Stati per diritti paterni, e materni.
    Quando perciò si considera quanti furono i colpi della fortuna, che riunirono sotto il comando di quell'Augusto giovinetto sì vasta porzione dell’Europa e dell’America, non si può fare a meno di non riconoscere ciò che è stato dagli storici chiamato la propizia stella della Casa d'Austria.
    Questa nuova e straordinaria potenza diede motivo a Leone X di cambiare sistema alla sua politica, cosicchè staccossi egli dalla lega col re di Francia per stringere alleanza col nuovo imperatore, sotto la di cui protezione pose nel tempo stesso i suoi parenti, la repubblica fiorentina e la S. Sede. All’incontro i Veneziani e il duca Alfonso di Ferrara si collegarono coi Francesi, i quali ben presto perdettero Milano, e la maggior parte delle città della Lombardia, occupata dalle truppe Spagnole; e ciò nel tempo che gli Svizzeri al servizio del Papa ricuperavano i ducati di Parma e Piacenza. Poco dopo l'annunzio di questa fortunosa impresa, un'immatura ed improvvisa morte colse Leone X nel 1 dicembre dell'anno 1521, non senza sospetto di propinato veleno, trapassato con il cordoglio di non aver egli riparato a tempo all'esplosione di un'eresia che col pretesto degli abusi di una corte corrotta staccò dal grembo di S. Chiesa una gran parte dell'Alemagna, cosicchè fu pagata da quel pontefice assai cara la gloria di dare il nome al suo secolo.
    Alla morte di Leone il cardinale Giulio de’Medici partì da Firenze per recarsi a Roma al conclave; nel quale dopo 38 giorni di
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    Sede vacante trovossi proclamato in pontefice il cardinale di Utrecht del titolo de’SS. Giovanni e Paolo, che prese il nome di Adriano VI. Terminato il conclave ritornò in patria il cardinale Giulio, sotto i di cui auspicj continuava a governarsi la repubblica fiorentina, tanto nello spirituale quanto nel temporale; più sicuro di prima per aver egli sventati i tentativi del cardinal Soderini suo rivale che avrebbe voluto togliere di mano al Medici le redini dello Stato. Conosceva però Giulio l'amore de'suoi concittadini per la perduta libertà, stata sua mercè quasi che spenta dalla forza esterna; quindi lasciava ad essi travedere una qualche speranza di restituirli nel pristino regime. La quale finzione seppe sì bene rivestire, che già tenevasi in Firenze come un evento talmente sicuro, che disputavasi perfino sulla forma del governo più acconcio alla città. Vi erano in via della Scala i celebri Orti Oricellarj, così detti da Bernardo Rucellaj letterato distinto, il quale, dopo la morte del suo cognato Lorenzo il Magnifico , ivi accolse la celebre Accademia Platonica. Ora continuandosi tale riunione, si raccoglievano costà molti giovani amanti delle lettere per disputare di subietto politico, e leggervi discorsi liberi e confacenti alla riforma del governo. Quest’opinione giunse tant'oltre, che Alessandro de'Pazzi compose un'orazione a nome del popolo fiorentino per ringraziare il cardinal de'Medici di tanto benefizio nel giorno della riforma. Fu l’orazione portata all'arcivescovo porporato, il quale, dopo essere stato più volte interrogato a dirne il suo parere, rispose che, l'orazione gli piaceva, ma non il soggetto .
    Probabilmente il trovarsi delusi in tali lusinghe piuttosto che mossi da frivole cagioni private, indusse alcuni di quei letterati a cospirare contro la vita del cardinale; dondechè due di loro furono presi, processati, ed ebbero la testa mozza, mentre altri furono esiliati come cospiratori. Non andò senza macchia di qualche intelligenza con i processati Niccolò Machiavelli che i suoi discorsi sulle Decadi di T. Livio soleva leggere negli
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    Orti Oricellarj ; i di cui concorrenti furono in tal circostanza banditi, e dispersi, oppure dal governo sorvegliati.
    Frattanto il pontefice Adriano VI arrivava dalla Spagna a Livorno (23 agosto 1522) accompagnato da Paolo Vettori che, in rimunerazione di avere cacciato di seggio il Soderini per rimettervi i Medici, fu fatto da Leone X generale delle galee pontificie. Di là il Papa si recò a Roma, seguitato poco dopo dal cardinale de'Medici, che divenne il consigliere di Adriano, al quale poco dopo la di lui morte successe nel trono del Vaticano (19 novembre 1523) sotto nome di Clemente VII . –  Uno dei primi atti di clemenza del nuovo eletto fu la restituzione della patria, dei beni e degli onori alla famiglia Soderini, azione assai lodevole, seppure non fu, come dissero alcuni storici, quella bolla pontificia alla Signoria di Firenze spedita per condizione da esso ricevuta in conclave: o almeno lo fece per mostrare di fuori e col nome quella clemenza e pietà, la quale egli, a dir vero, dentro e co'fatti non ebbe . –  Il nuovo Papa, dietro l'esempio di Leone X, disegnò subito che la grandezza della casa de'Medici venisse non ne'discendenti legittimi di Lorenzo fratello di Cosimo padre della patria , ma nella persona d'Ippolito figliuolo naturale del magnifico Giuliano, ed in quella di Alessandro figliuolo medesimamente spurio di Lorenzo duca d'Urbino . –  I quali due individui, sebbene di tenera età, Clemente VII avrebbe voluto, se non fargli signori assoluti di Firenze, almeno investirli di autorità straordinaria, senza però dimostrare di essere a ciò mosso dal suo arbitrio o volontà, ma richiesto e quasi pregato dai Fiorentini tutti per il pubblico bene e salute universale della città. La cagione perchè egli andava così ritenuto e guardingo era, oltre alla natura sua, il sospetto che aveva di Giovannino de’Medici; così allora appellavasi a distinzione dell'altro Giovanni, poi Papa Leone, quel valoroso capitano
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    delle bande nere , che fu padre di Cosimo I.
    Tanto Clemente VII si adoperò affinchè la Signoria di Firenze decretasse l’abilitazione di Ippolito figlio di Giuliano a tutti gli ufizj e dignità della repubblica, non ostante l’età sua di 15 anni, che alla fine d’agosto del 1524 il Magnifico (che con questo titolo volle rinnovarsi in lui la memoria del padre e dell’avo) fu accolto in Firenze senz’altra cerimonia, affidando Clemente la spedizione del gli affari politici, e la direzione del giovanetto al Legato Silvio Passerini di Cortona. Questo ministro metteva ogni studio nel contentare il Papa in tutte le cose quanto sapeva e poteva il più, non curandosi nè di spogliare troppo il pubblico, nè di aggravare fuori d’ogni modo e misura i privati; in guisa che al suo tempo, quantunque fosse di breve durata, oltre due accatti, che si posero ai secolari,e non comprese l’imposizioni che si misero agli ecclesiastici, bisognò ancora che si vendessero dei beni delle corporazioni d’arti e mestieri. Ippolito per tanto era contemplato in quel momento come signore e rappresentante di tutta la casa Medici: nè si poteva alcun affare di Stato dai magistrati della repubblica fiorentina discutere senza consultare questo fanciullo, o il cardinale suo direttore.
    Scorrevano per l’Italia in questo tempo due eserciti, l’uno della lega di Carlo V, l’altro di quella di Francesco I. Clemente VII, ingannandosi ne’suoi calcoli politici, abbandonò la lega dell’Imperatore per tenersi a quella del re de’Francesi; quindi avvenne che le milizie di Carlo V, dopo la vittoria di Pavia, piombarono per vendetta sullo Stato pontificio e in Toscana, mentre che per un’altra via varcava l’Appennino del Mugello un corpo di truppe della lega contraria, condotto dal duca d’Urbino, cui il governo fiorentino in grazia di quest’alleanza riconsegnò le fortezze di S. Leo e di Majolo avute da Leone X, insieme col distretto di Montefeltro, a riserva di Sestino.
    Erasi intorno alla stessa epoca, secondo il
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    disegno del celebre architetto Antonio da SanGallo, posto mano a innalzare alcuni bastioni fuori della porta a San Miniato; i quali infino al poggio di Giramonte arrivavano; mentre per consiglio dei capitani Federigo da Bozzole, e del conte Piero Navarra con infinito dispiacere di chiunque ciò vide, quasi tutte le torri, le quali a guisa di ghirlanda a ogni 200 braccia le mura di Firenze coronavano, vennero gettate a terra o sino al pari delle mura rasate.
    Stavano per tanto gli animi dei Fiorentini sollevati, mentre avevano due potentissimi eserciti nel loro territorio, uno come nemico, l’altro sotto nome d’amico, ma entrambi per manometterlo e saccheggiarlo. Infatti le truppe appena arrivate nei contorni di Arezzo, si dettero a predare la Val di Chiana e il Casentino, avanzandosi sino nel Val d’Arno di sopra a Firenze. Quando ai 30 di aprile 1527 alcuni nobili e arditissimi giovani, de’quali si era fatto capo Piero di Alamanno Salviati, profittando dell’imbarazzo dei governanti, e di un pontefice loro nemico, chiesero armi alla Signoria sotto pretesto di difendere la città contro le soldatesche di Carlo V. Spaventato il cardinale Passerini da tale domanda, si ritirò dalla città col pegno a lui affidato per passare al campo del duca d’Urbino, il quale era ormai giunto presso Firenze . –  Ma rinfrancato il Passerini dalle esortazioni di Baccio Valori, che al vivo dipinse in quei primi momenti d’inopinata mutazione la titubanza e confusione del governo fiorentino, animato anche dai capitani dell’esercito dei collegati e dal coraggioso Piero Noferi conte di Montedoglio, determinò di lasciarsi ricondurre in Firenze, dove i soldati con le moschetterie forzarono quelli del palazzo a sottomettersi, e dopo una convenzione dallo storico Francesco Guicciardini dettata sopra un banco d’una bottega in via del Garbo, quindi dal cardinale Silvio e da Ippolito de’Medici sottoscritta, restarono per essa tutti gli atti del magistrato della sollevazione annullati, e a tutti i capi della sommossa accordato il perdono.
    In questo mentre Carlo di
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    Borbone alla testa di un esercito sfrenato di Tedeschi, Spagnoli e Italiani, sloggiando da Arezzo attraversò in fretta il territorio senese per arrivare a grandi giornate a Roma. La quale città trovandosi sprovvista e sorpresa fu messa barbaramente a sacco e sangue da quelle masnade, sebbene al Borbone costasse la vita (6 maggio 1527).
    Tale orrenda sventura che obbligò Clemente VII a rinchiudersi nel Castel S. Angelo, ridestò coraggio nei Fiorentini, sperando di poter compire con maggior fondamento e più prudenza, che non erasi fatto nel mese innanzi, il disegno di ricuperare l’antica libertà.
    Ad accrescere il pubblico fermento era giunta in Firenze con Filippo Strozzi Clarice de’Medici sua moglie, entrambi sdegnati contro il Papa; il primo per essere stato dato in ostaggio agli Spagnoli, e quindi lasciato esposto all’indiscretezza dei nemici, l’altra (ch’era figlia di Piero de’Medici di cui ereditò tutta l’alterigia) perchè mirava con disdegno due Medici bastardi preferiti alla sua famiglia nel principato di Firenze, e per non averle Clemente VII mantenuta la promessa di fargli cardinale Pietro suo figlio maggiore. All’arrivo di quei due conjugi a Firenze si tennero segreti consigli, dove intervennero i principali cittadini, i quali indussero la Signoria a far un decreto che riapriva il gran consiglio del popolo, salvo che il numero dei votanti limitossi a 800 invece di mille; e di più obbligarono quei Signori a creare una nuova balìa di 20 buon’uomini, 5 per quartiere, l’autorità della quale per tutto il luglio vegnente durar dovesse. Deliberossi ancora, che si avessero ad eleggere 120 uomini, (30 per quartiere) di 29 anni compiti, i quali insieme coi Signori, colleghi e balìa, avessero autorità di rinnovare, infino ai 20 di giugno susseguente quegli ufizi che costumavano prima di essere nominati dal consiglio de’sessanta. Allora Filippo Strozzi partecipò al cardinale Passerini e al Medici siffatta provvisione, e nel tempo stesso annunziò al conte Noferi, che la Repubblica non avesse più bisogno di lui, nè delle sue guardie al palazzo.
    Vista
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    e letta dal cardinale tal provvisione, prima di firmarla vi fece aggiungere gli articoli seguenti (in data del 17 maggio 1527); cioè, che Ippolito, Alessandro e la duchessina Caterina de'Medici fossero come gli altri cittadini rispettati; che non si potesse procedere contro loro, nè contro il cardinale di Cortona e suoi parenti per cagione di cose seguite dopo il 1512; che fosse loro permesso di stare o di allontanarsi dalla città a loro piacimento ed arbitrio; e che a tutti di Casa Medici fosse conceduta esenzione per cinque anni dalle pubbliche gravezze.
    Non credette per altro il cardinale di Cortona che si potesse con sicurezza riprender la vita privata in una città, nella quale si era dominato da principe; dondechè determinò di partirsi con i due giovani, consentendolo il governo, per ordine del quale furono accomiatati, e verso i confini scortati dai fanti del conte Piero Noferi di Montedoglio.
    Fu questa la terza ed ultima cacciata de’Medici, i quali stati fuora tre anni a viva forza, nel modo che qui appresso si dirà, ricuperarono la patria, della quale si fecero assolutamente signori e padroni, compreso tutto il suo distretto e dominio.
    Una qualche riforma si portò in quest'occasione sul sistema civile dal governo, col nominare un Senato di 80 individui, e col portare a un anno la durata della prima magistratura. Concorse la maggior parte de’voti a eleggere gonfaloniere di giustizia, sino al luglio del 1528, Niccolò Capponi figliuolo di quel Piero, che fu cotanto benemerito della patria, e cognato per via di moglie di Filippo Strozzi testè nominato. Egli erasi acquistata qualche riputazione appresso i suoi cittadini sino da quando fu dei tre commissarj di guerra all’ultima impresa di Pisa, dove si era fatto un gran nome Gino suo arcavolo nella prima capitolazione della stessa città.
    Avendo in tal guisa i Fiorentini ricuperata la tanto ambita libertà, molte cose nondimeno venivano a turbare questo quasi universale contento. Imperocchè la peste che in quest’anno
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    ricomparve con leggieri principj, venne a tale che dal mese di maggio infino al novembre si trovarono esser morte dentro la città circa 40,000 persone, oltre le molte famiglie fuggite per ripararsi a Prato e nei luoghi meno afflitti; in modo che, non potendosi per le deliberazioni pubbliche riunire nel generale consiglio 800 cittadini, si decretò che per allora servisse la metà. Dopo la peste nacque sì gran carestia che per molti anni non si ricordava in Firenze nè in contado essere stata la maggiore. Ma quello che non meno di coteste sciagure affliggeva i buoni, era il non trovarsi tra i cittadini quell’unione che in tal caso sarebbe stata necessaria; in guisa tale che, appena s’erano i Medici di Firenze partiti, il popolo corse alle lor case per rubarle, e con gran fatica potè il Capponi, con altri buon’uomini difendere le une, e raffrenare l'altro.
    Aggiungasi che a molti parve di vedere grandissima parte di coloro, pei quali i Medici restarono cacciati, non cercare punto il vivere libero e lo stato popolare, ma sivvero un governo di pochi; una vera aristocrazia: cui ad altro non voleva riferirsi quel consiglio di ottimati da loro medesimi con sì grande autorità nominati.
    Laonde in mezzo a tanti mali cagionati dalla peste, dalla fame, dalle spese sofferte per guerre esterne, o per interne sollevazioni, la Signoria volse l'animo a opere di devozione, e a ordinare leggi santissime con la mira di poter riformare i guasti, disonesti e viziosi costumi nella città.
    Avvicinandosi il tempo in cui Niccolò Capponi doveva lasciare la prima magistratura, da lui medesimo fu promossa nel consiglio generale una proposizione sopra tutte singolarissima, quella cioè di eleggere Gesù Cristo per re de’Fiorentini. Il progetto fu accolto a prima giunta quasi a pieni suffragi, se si eccettuino 26, che tal decreto non approvarono . –  Fu il titolo di questa legge scritto sopra la porta del Palazzo della Signoria in lettere d’oro, attorno al
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    nome di Gesù che tuttora ivi scolpito si vide; nella quale cosa fu eseguito il pensiero del Savonarola, che, in una predica, aveva proclamato fra la numerosa sua udienza Gesù Cristo per Re del popolo fiorentino.
    Per questo fatto Niccolò Capponi essendosi acquistato maggior favore fra i cittadini avvenne, che nell’elezione imminente del nuovo gonfaloniere egli fu raffermato, avendo avuto ne’secondi favori per emulo in quell’onore mess. Baldassarre Carducci.
    Era la città di Firenze nell'età che queste cose seguivano, aggravata da molti debiti, stante le esorbitanti spese che s’erano fatte per servire più che altro ai politici disegni dei Medici, le quali somme di denaro furono cavate dalle borse dei cittadini, o per via di balzelli a tutta perdita, o per via di accatti che mai o di rado si rendevano. Ed era necessario che in tal modo seguisse, tostochè le usuali entrate del governo fiorentino non oltrepassavano allora i 270,000 scudi in circa, dei quali se ne assorbivano 80,000 nel rendere i frutti e le paghe del Monte comune; e infino a 100,000 scudi si spendevano annualmente nel palazzo dei Signori, nelle paghe degl’impiegati, nelle guardie ordinarie dello Stato e delle fortezze, nelle muraglie pubbliche di fortificazioni, e in simili altre cose. Quindi non restando che assai poco di avanzo dell'entrate consuete per le altre spese, faceva duopo bene spesso ricorrere a degli accatti. Infatti in questo stesso anno 1528 due imprestanze furono poste; una delle quali di 20,000 fiorini da pagarsi fra 25 giorni da 20 cittadini, a mille fiorini per ciascuno; e l’altra di fiorini 70,000 da accattarsi fra tutto il popolo dentro il mese di luglio del medesimo anno. Ma tutte queste provvisioni non erano sufficienti a riparare alle urgenze della Repubblica, sicchè poco dopo furono tassati 40 cittadini per ricavare da essi altri 20,000 fiorini.
    Fra le colpe apposte al passato governo, la più ragionevole era l’inutile dissipazione del denaro; poichè calcolossi essersi speso nell’acquisto, e poi nella difesa del ducato
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    d’Urbino, per fare un appannaggio al duca Lorenzo, almeno mezzo milione di ducati d'oro; un’egual somma nelle guerre di Leone X contro i Francesi; 300,000 ducati ai capitani imperiali prima dell’elezione di Clemente VII, e nella guerra che incominciò allora ad accendersi, e che terminò quando fu consumata la Repubblica, si distrussero non meno di 600,000 ducati d’oro.
    La trista rimembranza di queste e di altre non meno odiose cose spingeva spesse volte una folla di giovani a trascorrere agli insulti verso gli antichi reggitori della città, e contro tutti quelli che mantenevansi ancora, o che furono amici dei Medici.
    Il gonfaloniere Capponi era l’uomo del giusto mezzo di quella età, più Piagnone che Arrabbiato . La sua moderazione sembra che venisse in lui consigliata dai riguardi dovuti a un concittadino Pontefice, col quale i Fiorentini venivano indirettamente ad essere in lega mediante quella che essi avevano col re di Francia . –  Peraltro i fanatici della nuova libertà, i nemici più arditi de'Medici si diedero a calunniare pubblicamente Niccolò Capponi; dei quali fecesi capo un uomo feroce, Baldassarre Carducci, già professore di diritto nell’università di Padova. Era costui nella mutazione del governo tornato alla patria con gran favore, sicchè tanto alla prima quanto alla seconda elezione del gonfaloniere annuale, era sempre appresso al Capponi, rivale il più prossimo per numero di voti. Dopo la conferma del Capponi nella carica di gonfaloniere, il Carducci fu allontanato dalla città con l’onorevole veste di ambasciatore della Repubblioa al re di Francia, acciocchè impegnasse quella maestà a non intrigarsi con Papa Clemente, e per dimostrarle che Firenze era paratissima ad ogni spesa onde sostenere la sua parte in Italia . –  Una mano di giovani nobili, al gonfaloniere avversi, col pretesto di voler formare una compagnia armata per la custodia della città, sotto la quale si sarebbero poi riuniti tutti i loro fautori, chiesero perciò ai Signori una bandiera col motto
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    Libertas .
    Conobbe quel magistrato l’importanza della domanda e il disegno de’faziosi, onde in vece di mettere a partito il provvedimento richiesto, la Signoria ricorse all’espediente di armare tutta la cittadinanza indistintamente, dai 18 infino in 36 anni, divisa in 16 compagnie di circa 300 soldati per ciascuna (quattro per Quartiere) militante sotto i soliti antichi 16 stendardi o gonfaloni dei Quartieri della città. Ragunavansi ogni mese per le rassegne, e per eseguire gli esercizj militari, armati tutti di picche, di corsaletti e di archibusi con sì belle armi che la rivista di quelle bande recava diletto, fiducia e meraviglia anche ai forestieri.
    Tali furono le pubbliche sciagure, tali le molte gare private che a quell'epoca affliggevano la Repubblica fiorentina; mentre in quanto alle cose di fuori non erano per anche in Firenze messe le barbe del nuovo regime popolare, che cominciarono a svellersi da ambizioni segrete, da inimicizie palesi, da opinioni opposte e contraddittorie intorno al reggimento politico della stessa città.
    Una delle quali opposizioni, sostenuta con troppo partito nel generale consiglio, fu d'importantissima conseguenza a Firenze, come quella che segnalò la perdita irrefragabile della sua libertà. Essendochè le truppe imperiali, dopo il saccheggio di Roma, mentre stavano assediando in castello il pont. Clemente VII, mandarono agenti a Firenze perchè facessero intendere ai suoi reggitori, che se volevano collegarsi con loro, promettevano la ratifica di Cesare ad ogni convenzione che fosse per trattarsi a favore e in difesa della repubblica fiorentina e della sua libertà.
    Sopra di che fattesi più pratiche, non vi fu modo che i cittadini più influenti e i primi capi del popolo volessero mai dare orecchi a trattativa alcuna, preferendo piuttosto che la città fosse de’Francesi alleata. In siffatta opinione concordavano altresì molti buoni ed onesti cittadini, che tenevano in riverenza le profezie di fra Girolamo Savonarola, il quale allorchè predicava la felicità di Firenze, usava dire Gigli con Gigli dover fiorire . Questa opinione, che fu la
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    più conforme all’umore del popolo, persuase talmente i reggitori della città, che essi fecero subito una specie di coalizione col re Francesco I contro l’imperatore Carlo V, coalizione che portò seco ben presto con un doloroso e lungo assedio la perdita irreparabile della Repubblica. I Fiorentini rinnovando l’antico trattato di alleanza con la Francia, si trovarono per conseguenza ad essere per singolare contraddizione momentaneamente alleati eziandio con Clemente VII loro peculiare nemico.
    Non mai o radissime volte avvenne, che magistrato alcuno deliberasse cosa nessuna la quale interamente soddisfacesse a tutti ed anche non fosse da molti biasimata. Nè è dubbio che a mantenere quel governo, bisognava (a parere dello storico Varchi) lasciata la via di mezzo, o accomunare lo stato anco al minuto popolo, come nella congiura de’Ciompi, o seguitando il volere degli Arrabbiati e tirannicamente procedendo, assicurarsi affatto dei capi del popolo; ma gli uomini molte volte o non fanno o non possono nè risolvere nè eseguire ciò che conoscono e quanto vorrebbero. Oltre che in una repubblica non bene ordinata, anzi corrotta, com'era allora questa di Firenze, è del tutto impossibile, o che vi surgano mai uomini buoni e valenti, o che pure insurgendovi, non siano invidiati tanto e perseguitati, che eglino o sdegnati si mutino, o cacciati si partano, o afflitti si muojano.
    Scabroso e difficilissimo pertanto era il ben dirigere il timone della Repubblica fiorentina a cui presedeva allora il Capponi, uomo, cui piaceva da un lato la libertà, mentre dall'altro lato avrebbe voluto conciliare con la maestà del pontificato la fortuna della casa Medici e l'indipendenza della sua patria.
    Mentre i nemici del gonfaloniere Capponi erano intenti a spiarne le pratiche e le azioni per ruinarlo nella pubblica opinione, accadde un accidente il più opportuno ai loro disegni . –  Siccome egli odiava i modi violenti, dopo l'ultima espulsione de’Medici, aveva posta ogni sua cura in frenare quanto poteva la rabbia dei loro nemici riammettendo agl’impieghi
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    gli antichi aderenti di quella odiata famiglia, e cercando di non inasprire con misure troppo caustiche Clemente VII. Teneva pure una privata corrispondenza in Roma con Jacopo Salviati familiare e parente del Pontefice. Aveva appunto il Capponi ricevuta una lettera nella quale, benchè si dicesse che il Papa amava la libertà di Firenze, nondimeno vi si leggevano alcune espressioni ambigue atte a generare sospetto.
    Questa lettera, caduta per negligenza di tasca al gonfaloniere, fu recata a uno dei Signori (Jacopo Gherardi) nemico acerrimo del Capponi; il quale Gherardi trovando in quel foglio un corpo di delitto, chiamò tosto in palazzo i suoi amici armati, fece adunare il consiglio coi suoi colleghi, dai quali sollecitò un precipitoso giudizio, promovendo la sentenza di morte sopra il gonfaloniere. Ma se non restò vinta la proposizione del Gherardi, si vinse però il partito di deporre il Capponi dalla prima magistratura, eleggendo in sua vece per otto mesi (18 aprile 1528) Francesco Carducci di professione mercante . –  Credette Niccolò ritornarsene la sera a casa, quando i Signori, di cui era proposto l’accusatore Jacopo Gherardi, ragunatisi col nuovo gonfaloniere obbligarono il vecchio a restare in palazzo per essere esaminato intorno alla sua condotta da un giurì di 80 cittadini. Comparve il Capponi in presenza dei suoi giudici per ben due volte, l’ultima delle quali con tanta gravità, moderazione e sicurezza discorse di sè medesimo e del suo operato da sventare in ogni parte l’accusa e tutti i sospetti cavati da quella lettera; in guisa che quel giuridico consesso, maravigliato della bontà, della prudenza, e delle sue virtù cittadine, decise che dalla fatta querela fosse assoluto. Dopo di ciò il Capponi fu onorevolmente da alcuni magistrati e da molto popolo alla sua casa accompagnato.
    Era di due mesi a un circa entrata la Signoria nuova in palazzo col gonfaloniere Carducci, quando sentissi il primo accordo tra il Papa e l’Imperatore, pubblicato in Barcellona a’29 giugno. Nel quale trattato,
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    perciò che a Firenze apparteneva, era stato convenuto che l’Imperatore avrebbe data per moglie Margherita sua figliuola naturale ad Alessandro de’Medici, nipote di Clemente, obbligandosi Cesare di rimettere in Firenze il prefato Alessandro, il magnifico Ippolito, già creato cardinale, e di restituirli entrambi in quella grandezza, in cui erano innanzi la loro cacciata . –  Al quale accordo andò dietro quello conchiuso in Cambray li 5 agosto col re di Francia; dal quale, sebbene si comprendessero dal re i suoi collegati d'Italia, l’esperienza nondimeno mostrò che essi soli non raccolsero frutto alcuno con quelle grandi paci dei due più grandi monarchi dell’Europa. Tali notizie intese dai Fiorentini, ormai accertati che la guerra doveva venire loro addosso fecero tosto diverse pratiche per riconciliarsi coll’Imperatore e anche col Papa; ma troncata ogni speranza di accomodamento, risolvettero correre la sorte terribile della guerra, disponendo i cittadini e la città alla più vigorosa resistenza e difesa.

    STATO DI FIRENZE DURANTE
    IL SUO ULTIMO ASSEDIO

    Per quanto alla storia antica, e alla moderna ancora non manchino esempj di grandissima maraviglia per l’ardire, fermezza, ed eroico valore degli abitanti di alcune castella o città dimostrato nel sostenere orribili assedj; pure questo di Firenze si rese al pari di qualsiasi altro meritevole di trapassare alla memoria degli uomini; non tanto, per i sacrifizj di ogni genere, cui in quel lungo periodo i Fiorentini soggiacquero, ma per ravvisare in quella guerra le cagioni che per le mutazioni dei tempi, per la malafede degli uomini, per la debolezza dei mezzi, per i falsi o irresoluti consigli dei suoi stessi ufiziali e magistrati, nelle maggiori bisogne tutte concorsero a lasciare ad ogni modo, e contro voglia dei più, cadere Firenze vinta ed afflitta ai piedi di un suo ostinatissimo nemico.
    Prima che si scoprisse la corrispondenza del Capponi, per diversi altri riscontri eransi i Fiorentini accorti che Papa Clemente, sebbene colle parole dicesse il contrario, non cercava coi fatti altro
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    intento, che o per amore o per forza il dominio di Firenze ricuperare.
    Per la qual cosa, sino dal bel principio della espulsione della sua Casa, i reggitori del governo fiorentino pensarono a organizzare le 30 ordinanze, ossia battaglioni delle Leghe del contado, affidandone la condotta per due anni a due valenti uomini di guerra (Babbone da Brisighella, e Francesco de’marchesi del Monte) con amplissima autorità di poterle comandare, senza però rimuovere gli ufiziali nominati dal magistrato dei Nove della milizia, e di dovere essi stessi stare agli ordini de’commissarj e governatori generali. Le ordinanze del distretto fiorentino affidate al comando del Brisighella erano queste 16: 1. Pescia ; 2. Barga ; 3. Fivizzano e Castiglion del Terziere ; 4. Pietra Santa ; 5. Vico Pisano ; 6. Scarperia e Barberin di Mugello ; 7. Borgo S. Lorenzo, Vicchio e Dicomano ; 8. Pontassieve e Cassia ; 9. Firenzuola e Piancaldoli ; 10. Marradi e Palazzuolo ; 11. Castrocaro e Portico ; 12. Modigliana; 13. Galeata ; 14. Val di Bagno ; 15. Poppi, Castel S. Niccolò e Pratovecchio ; 16. Bibbiena, Castel Focognano e Subbiano. –  Le altre 14 ordinanze consegnate a Francesco del Monte furono: 1. San Miniato al Tedesco ; 2. Campiglia ; 3. Pomarance ; 4. Radda, Greve e Colle ; 5. San Gimignano e Poggibonsi ; 6. Terra nuova, Castel Franco, Laterina, Montevarchi e il Bucine ; 7. Monte San Savino, Fojano e Civitella; 8. Montepulciano ; 9.
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    Cortona ; 10. Castiglion Aretino ; 11. Arezzo ; 12. Anghiari, Montedoglio e Monterchi ; 13. Borgo a San Sepolcro ; 14. Pieve San Stefano, Chiusi e Caprese.
    Un’altra provvisione di somma importanza per la pubblica sicurezza era stata vinta nei consigli prima che entrasse l’anno 1529; la quale fu mossa dalla determinazione l’anno innanzi presa, di fortificare la città di Firenze; e perchè ciò senza grave danno di molti particolari non si poteva eseguire, fu deciso che stesse ai Nove ufiziali della milizia a dichiarare la valuta di tutte le case, monasteri e altri edifizj che per tale cagione bisognasse disfare e gettare a terra; e similmente stimassero essi il valore de’campi o altre terre, che in fortificando occorresse guastare. Le quali stime e valute dovessero finalmente esser valide quando la Signoria con tutti i collegj dentro il termine di dieci giorni le avessero approvate. Il che fatto, si dovevano i padroni di detti effetti scrivere creditori in un libro particolare del Monte comune, per riceverne gl’interessi a ragione del 5 per cento, infintanto che il Comune non avesse soddisfatto loro il valore del capitale.
    Quindi per fornire i confini di gente armata, i Dieci di Libertà inviarono commissario di tutte le genti fiorentine ad Arezzo e Cortona Raffaello Girolami; il quale menò seco otto capitani appartenuti alle bande nere così dette, perchè alla morte del valoroso loro duce, Giovanni de’Medici, si monturarono tutte a lutto.
    Fu autorizzato il Girolami ad assoldare 5000 fanti e quanti potesse il più di quelli appartenuti alle accennate bande nere.
    Lo stesso magistrato dei Dieci elesse per un anno con titolo di governatore sopra le fortificazioni e ripari della città di Firenze il sommo Michelagnolo Buonarroti, che entrò pur anche dei Nove della milizia.
    Perchè poi non mancassero denari da pagare
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    le compagnie e i capitani assoldati, furono in uno stesso giorno (6 agosto 1529) proposte e vinte tre provvisioni; la prima di esse relativa a un imprestito di 80,000 fiorini; la seconda fu per tassare un accatto a quelli che non l’avessero avuto nel 1528; e la terza per incamerare tutti i residui dei balzelli e prestanze, o qualsiasi altra imposizione passata e non saldata.
    Prima che fosse eletto in ajutante del commissario di guerra ad Arezzo, aveva militato fra le bande nere il capitano Francesco di Niccolò Ferrucci, quell’uomo che da privatissimo cittadino, mentre era potestà di Radda (anno 1527) diede prove di valore col ritogliere armata mano la preda ai nemici e respingere i Senesi di là dal Chianti; quindi, passato alla guardia di Empoli, salì a tanta virtù durante la guerra e assedio di Firenze, che a lui, sebbene troppo tardi, fu dal suo governo tanta autorità militare accordata, quanta forse nessun altro cittadino dalle repubbliche italiane del medio evo ottenne giammai.
    Così il Ferrucci, se in vece di essere inviato a Perugia presso Malatesta Baglioni, fosse restato con le soldatesche in Arezzo, non avrebbe al certo tanto vilmente e senza preciso comando, lasciato questo posto in balia dei nemici; come fece appunto chi in appresso venne al presidio di quella stessa città.
     Avvegnachè l’esercito fiorentino sotto gli ordini del commissario Anton Francesco degli Albizzi, anzichè aspettare quello del nemico comandato dal principe Filiberto d’Oranges, ritirossi da Arezzo a Montevarchi e costà, unitosi al Malatesta che aveva abbandonato con le sue genti Perugia, si accostò a Firenze con maravigliosa sorpresa dei cittadini e dei magistrati, meno il gonfaloniere Carducci, che senza consultare la Signoria nè i Dieci della guerra aveva scritto all’Albizzi che si ritirasse con le truppe verso Firenze per maggior difesa della città. Se poi una tal misura non mostrò nell’Albizzi troppo timore, diede almeno a travedere una tale quale propensione verso il partito dei Medici, come alcuni non senza ragione dubitarono,
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    rammentandosi che era quel medesimo Albizzi che aveva cavato di palazzo il gonfaloniere Soderini. Comunque sia quella strategica fu sì mal concepita e di sì gran danno nei resultamenti, che potè, se non accagionare, almeno sollecitare la rovina e caduta della città.
    In tanta confusione di cose quei medesimi Tedeschi, Spagnoli e Italiani, che con tanta rapacità, libidine e barbarie avevano due anni innanzi stuprata e saccheggiata Roma, arrivarono alla vista di Firenze, prima che eglino sel pensassero.
    – Nondimeno i governanti della Repubblica furono solleciti a mettere in armi tutta la gioventù di Firenze, la quale memore delle glorie passate mostrossi ardente nel difendere la patria, e ognor pronta a obbedire ai comandamenti e ai capitani che fossero per esserle assegnati.
    Fu deposto, e poco meno che vicino a perdere la testa, il commissario Albizzi, rimpiazzato da Raffaello Girolami e da Zanobi Bartolini, nominati entrambi con ampia balìa commissarj di guerra di tutto l’esercito fiorentino.
    Era questo formato da circa 8000 soldati forestieri e di 3000 urbani distribuiti come appresso. Col titolo di governatore generale ebbe il primo grado nel comando della guarnigione Malatesta Baglioni,quello stesso che con poco buon preludio aveva aperta la campagna ritirandosi da Perugia. Ebbe il secondo grado Stefano Colonna eletto in capitano sopra tutte le ordinanze civili dei Quartieri della città e del bastione di San Miniato. Le truppe sparse nel territorio per guardare le terre e città murate, come Prato, Pistoja, Empoli, Volterra, Pisa, Colle e Montepulciano, ascendevano a circa 7000 fanti con 600 cavalli. La spesa poi di quest’esercito montava intorno 70,000 ducati il mese. Cosa maravigliosa a dirsi, se si ha riguardo alla durata di quell’assedio; se si considera, che in quel periodo furono a Firenze serrati tutti gli esercizj, sospeso ogni commercio e lavorio, fuorchè di vivere tutti armati, e intenti giorno e notte in militari ronde e scaramucce.
    Nel dì 24 ottobre del 1529 il generale de’nemici postò le sue genti sulle colline
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    di Montici e di Arcetri, nel pian di Giullari, alla torre del Gallo e a Giramonte. Da cotest’ultimo punto più prossimo alle mura della città fece battere inutilmente con 150 colpi di cannone il campanile di San Miniato al Monte, fasciato per consiglio del Buonarroti di coltroni, e sopra il quale era stato collocato un pezzo di artiglieria che danneggiava, senza ricever danno, il campo nemico. Si facevano ogni tanto, ora di notte e ora di giorno, delle sortite dalle bande guidate da Prospero Colonna loro generale, ad onta che molte volte fossero impedite dal troppo cauto comandante supremo Baglioni. Da un altro lato tosto che l’esercito imperiale si avvicinò a Firenze, i Senesi cominciarono a correre e rubare nel territorio fiorentino al loro limitrofo, cacciando armata mano i Ricasoli di Brolio, dove misero fuoco, e mandando gente ad assalire Montepulciano, con tutto che non riescisse per allora  d’averlo . – Aggiungasi che i popoli delle città e principali terre del distretto fiorentino, come Arezzo, Pistoja, Volterra e San Miniato, non potendo tollerare di vedersi soggetti a guisa di schiavi ad un governo di nome libero, appena potè porgersi loro il destro, sollevaronsi contro i Fiorentini, tenuti da essi anche più nemici dell’esercito invasore. E quasi che ciò non bastasse a congiurare ai danni di Firenze, vi furono molti dei suoi più influenti e ricchi cittadini, i quali appena che videro arrivata sulle colline alla sinistra dell’Arno un’armata imperiale per stringere d’assedio Firenze, nel loro animo gioirono. Avvegnachè, se in apparenza mostravano di amare la patria,in realtà essi altro non ambivano che di assicurarsi uno stato, per cui più spesse ai Medici anzichè alla Repubblica, parvero affezionati.
    Per le quali ultime ragioni entrato che fu il gonfaloniere di giustizia col gennajo del 1530 Raffaello Girolami (quello fra i 4 ambasciatori inviati a Carlo V, che ritornò solo in patria), si diè bando di ribelli a 28 emigrati delle famiglie primarie di Firenze: fra
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    i quali Jacopo Salviati, Pier Francesco Ridolfi, lo storico Francesco Guicciardini, Alessandro Corsini ec.
    A Baccio Valori ch’era commissario per il Pontefice nel campo nemico, oltre la taglia di mille fiorini d’oro a chi lo dasse vivo come traditore della patria, fu sfregiata e sdrucita una lista della casa sua da capo a piè, secondo una legge antica. Nè potè passare senza traccia di traditore, e pagarne la pena, Lorenzo Suderini, che ragguagliava Baccio Valori nel campo nemico di ciò che di più importante accadeva in Firenze.
    La severità dell’enunciato bando fu cagione che molti ritornassero in patria, e tra questi Michelangnolo Buonarroti; il quale poco innanzi con Rinaldo Corsini e Antonio Mini suo creato se n’era uscito di Firenze. La cagione si fu per avere egli, come uomo zelante della salute della sua patria, inutilmente avvertito il gonfaloniere Carducci dal quale fu mal accolto, quando lo prevenne a stare in guardia del Malatesta Baglioni, avendo inteso dire dal suo amico Mario Orsini (uno de’comandanti dell’esercito fiorentino che lasciò la vita in quell’assedio) che era da temersi fortemente (siccome i fatti ogni giorno più lo confermarono) che Malatesta dovesse far tradimento .
    L’esercito dell’Orange si distese dintorno alle colline sopra Firenze in guisa da circondare con un semicerchio tutta quella parte della città situata alla sinistra dell’Arno, mentre dal lato destro verso il poggio di Fiesole e dalla parte verso il piano di Sesto e di Campi le comunicazioni si mantennero libere sino a che non calarono dall’Appennino di Bologna 8000 Tedeschi mandati dall’Imperatore; di modo che non meno di 34000 combattenti congiuravano nel tempo stesso alla rovina di Firenze e del suo stato . – Con tutto ciò le mura delle città conservavansi tuttora illese, nè i Fiorentini tralasciavano di mostrare ad ogni uopo prontezza, coraggio ed anche valentia nel combattere contro l’esercito il più agguerrito di Europa.
    Nè mancavano a tener vivo il coraggio degli assediati,
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    oltre l’amore della libertà e la difesa delle cose più care, la prediche di alcuni fervorosi frati Domenicani (fra Benedetto da Fojano e fra Zaccharia da Fivizzano) i quali, a imitazione del loro correligioso fra Girolamo Savoranola, vaticinavano vittoria e felicità per le piazze, per le chiese e persino nel gran salone del palazzo del popolo.
    A siffatte prediche tenevano dietro precessioni analoghe per riscaldare sempre più l’animo de’Fiorentini; i quali non contenti di tenersi sulle difese domandavano spesse volte ai loro capi di essere condotti fuori delle mura a combattere gli assedianti . – Fra le diverse azioni, due massimamente meritano di essere qui rammentate; la prima accaduta nella notte piovosissima del 10 novembre 1539, quando il principe di Orange, pensando di ricevere meno offesa dall’artiglierie, o di trovare i Fiorentini, per cagione della festa di S. Martino, sepolti nel sonno e nel vino, con 400 scale, stategli fornite con molti altri arnesi di guerra dai Senesi, s’accostò a un tempo stesso con tutte le sue genti alle mura e ai bastioni della città dalla parte d’Oltrarno, cioè dalla porta S.Niccolò sino a quella di S. Frediano. Ma oltre che gli assalitori trovarono le sentinelle e le guardie vigilanti, la milizia nazionale e tutto il popolo sorse all’arme in un attimo; sicchè alle quattro ore di notte era corsa tanta gente armata in tutte le vie conducenti alle porte di Oltrarno, che dalla calca non si poteva passar più oltre. Fu in quella stessa notte veduto un veccho condurre seco per mano un suo figliolino, il quale dallo storico Varchi interrogato, cosa egli far volesse di quel fanciullo, rispose: voglio ch’egli scampi o muora insieme con meco per la libertà della patria.
    L’altro fatto che fa onore alle milizie fiorentine, fu quando esse impazienti di assalire il nemico si presentarono ai comandanti prontissime ad investirlo nei suoi stessi accampamenti. La qual cosa, essendo contraria ai voti e alle intenzioni di
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    Malatesta Baglioni, cui poco innanzi a nome della repubblica il gonfaloniere Raffaello Girolami aveva consegnato il bastone del comando generale, fu da lui quasi a inganno consentita; giacchè inviò le milizie fiorentine al primo assalto contro la prode fanteria Spagnola, forte non tanto per il sito in cui era postata, quanto per essere la truppa più valorosa di ogni altra; talchè dava minore speranza di essere vinta,e maggior motivo al Baglioni di screditare il suo emulo Stefano Colonna, onesto quanto valoroso comandante di quelle gurdie nazionali. Ordinò dunque il Malatesta, che la mattina del 5 di maggio 1530 dovessero, divise in tre colonne, escir fuora a un’ora medesima da tre lati, cioè dalla porta S. Frediano, dalla porta di S. Pier Gattolini, e da quella di S. Giorgio sulla Costa; e ciò dopo avere data istruzione ai comandanti, che investissero a prima giunta e s’impossessassero del poggio di Colombaja, dove fu il convento di S. Donato a Scopeto, fra la collina di San Gaggio e quella di Bellosguardo.
    Il poggio era fortificato e guardato da un reggimento di veterani Spagnoli e da un coraggioso loro colonnello, Baracone da Nava, che vi restò morto dopo un sanguinoso assalto: nel quale assalto le milizie diedero prove non dubbie di coraggio e di destrezza. Nel tempo che da questo lato i Fiorentini attaccavano con intrepidezza gli Spagnoli, un’altra colonna escita per la porta S. Frediano assaliva i nemici alle spalle, combattendo aspramente contro quelli che guardavano i poggi di Mont’Oliveto e di Bellosguardo sino a Marignolle. Dondechè l’Orange veggendo tanta gente fuora, e dubitando che volesse assaltare tutto il campo, comandò ai Tedeschi postati alla destra del fiume di mettersi in ordinanza per accorrere in rinforzo agli Spagnoli combattenti nell’opposto lato. La terza colonna, che doveva escire dai bastioni di S. Miniato e dalla porta S. Giorgio, per cooperare di concerto con l’altre due, non si mosse dai suoi quartieri, avendo in quella mattina medesima perduto il suo
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    capitano, Amico da Venafro, stato ucciso da Stefano Colonna adontato da una di lui ardita e insubordinata risposta. Vacillarono pertanto in quella zuffa le valorose fanterie Spagnole, che furono presso ad esser rotte, se non venivano rinforzate da nuove compagnie; dondechè essendo i nemici superiori di numero, di posizione e di disciplina, convenne alle truppe fiorentine ritirarsi con buon ordine dalle suburbane colline, dopo aver combattuto con sommo valore e bilanciato l’esito di quella giornata, che poteva convertirsi in una gloriosa vittoria, se in quella avesse agito la terza colonna.
    Fra i distinti fiorentini che restarono morti in quella sanguinosa fazione fuvvi Piero di Leopoldo de’Pazzi capitano del gonfalone della Vipera, e mess. Lodovico di Niccolò Machiavelli ch’era il porta insegne del capitano Michelagnolo da Parrano.
    Ai 16 di maggio, fatta la rassegna generale delle milizie urbane, quelle dai 18 infino a 40 anni si trovarono essere intorno a 3000, e 2000 l'altre da 40 a 55 anni. Fu poi cantata una solenne messa sulla piazza di S. Giovanni, presente la Signoria, i Dieci di Libertà e il generale con tutte le bande civiche, alle quali si fece prestare giuramento (toccando ciascuno il libro aperto de’vangeli), che non abbandonerebbe mai l'un l'altro, e finchè avesse spirito ciascuno difenderebbe la libertà della patria.
    Per cavare denari in tutti quei modi che i Fiorentini potevano,fu fatto un lotto di beni dei ribelli, al quale si metteva un ducato per polizza; e cominciata ai 17 maggio nei modi soliti la pubblica estrazione, se ne cavarono 6600 fiorini d’oro.
    Nello stesso mese, dopo essere stata messa a partito undici volte, fu vinta una legge, mediante la quale si raccolsono tutti gli argenti e gli ori non coniati dalle varie classi di abitanti di Firenze, eccetto dai cittadini che allora militavano, e medesimamente furono raccattati gli ori e gli argenti delle chiese, lasciati solamente i necessarj al culto divino, non escluse le gioje d'intorno alla reliquia della
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    S. Croce, e quelle della mitra che Leone X donò al capitolo della cattedrale. Quindi fatte le stime, e accreditatine i respettivi padroni, si mandarono in zecca, e furono coniati per sino a 53000 ducati di una nuova moneta d'argento, alla quale era unito un poco d’oro, del peso di denari 13 e grammi 7 l'una, spendendosi ciascuna di esse per un mezzo ducato (lire 3,10). Coteste monete da una parte avevano il giglio con le parole intorno Senatus Populusque Florentinus ; nel rovescio la croce con una corona di spine, e nel contorno Jesus Rex noster et Deus noster .
    Nel tempo medesimo che intorno a Firenze ogni giorno bagnava il terreno di sangue per le frequenti scaramucce, nacque un caso che tenne la guarnigione, la città e i nemici di fuori intenti a un duello, insorto per cagione di amore di donna più che di patria. Furono due nobili fiorentini, Lodovico Martelli che militava a favore della città, e Giovanni Bandini ribelle nel campo nemico. I quali, dopo essersi con cartello sfidati, chiesero di avere ciascuno un compagno, pure nobile e cittadino, nel duellare. Il Martelli si elesse Dante da Castiglione, ed il Bandini Bertino Aldobrandi. Uscirono i due cavalieri di Firenze con licenza del Malatesta e dell'Orange nelle designate arene in due chiusi steccati, e in presenza dei due eserciti sul poggio de’Baroncelli, ora il Poggio Imperiale . Vennesi al fatto, e nel duello del Martelli contro il Bandini restò Lodovico ferito a morte, mentre nell'altro agone si combattè con diversa fortuna, perchè l'Aldobrandi aveva  date cinque ferite a Dante, che stava quasi sulle difese, quando questi menò la spada con tanto impeto contro l'avversario,  che lo fece di subito morire; e comecchè dall’una e dall'altra parte fosse eguale la perdita e la vittoria,  ciò nondimeno si rispose a gara dalla città e dal campo con lo sparo delle artiglierie.
    Quanto il pericolo si faceva più grande, tanto
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    più cresceva l'odio contro i traditori. Per la qual cosa furono condannati a morte Jacopo Corsi e il di lui figlio Giovanni accusati di avere tenuto trattato di consegnare al nemico Pisa, ch’era stata alla loro custodia dalla Repubblica affidata. Subì la stessa sorte un frate Francescano convinto di aver avuto in mira d'inchiodare le artiglierie; e fu impiccato Lorenzo Soderini, già commissario di guerra a Prato, perchè ragguagliava,  come si disse, il nemico di quanto accadeva  giornalmente in Firenze.
    Farà ribrezzo a taluni il sentire che si condannassero alla pena della testa perfino coloro che pronunziavano parole in qualche guisa favorevoli  agli antenati degli espulsi Medici, non eccettuato  Cosimo il padre della patria e Lorenzo il magnifico. –  Reca perciò maraviglia,  che in mezzo a tanta sorveglianza contro i cittadini sospetti di tradimento, e fra cotanti pericoli, il governo non rivolgesse una maggiore attenzione  verso il generale Malatesta Baglioni, già reso sospetto dalle cose dette da Michelagnolo al gonfaloniere Carducci, e dalle stesse di lui operazioni, senza contare la segreta corrspondenza che egli teneva  con il generale nemico e, indirettamente,  con papa Clemente: siccome lo provarono poi la cedola trovata in petto dell'Orange, quando fu spogliato il suo corpo in campo di battaglia,  e le lettere  fatte di pubblico diritto dal Lunig.
    In mezzo però a tanti traditori risaltava più splendida la fede e il valore di un sol cittadino che rese lungamente incerto l'esito di sì potenti e ostinati nemici fino alla battaglia di Gavinana. Mancò allora a Firenze un’altr’uomo come Francesco Ferrucci a comandere l'esercito durante l'assedio della città, sicchè la sua virtù potesse stancare, e forse anche obbligasse l'esercito nemico a sloggiare di là; e così rimettere ad altro tempo la conquista e la schiavitù di Firenze da Clemente VII ardentemente desiderata.
    Fu Ferrucci il solo piloto che mostrasse più capacità e maggior coraggio in mezzo a sì procellosa tempesta. Da Empoli, dove fu inviato col titolo di commissario
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    di guerra per guardare ( ERRATA : tutto il Val d’Arno) tutto il piano del Val d’Arno inferiore e sovvenire di vettovaglie l’assediata città, terribile quanto il fulmine egli accorreva, ora a San Miniato scalando le sue mura per cacciarne i nemici, ora con un’ardita marcia compariva a Volterra che alla Repubblica si era ribellata, e costà, vinti i sollevati, batteva Spagnoli e Italiani accorsi per riavere la città . – Dopo tal gloriosa azione, il Ferrucci fu con decreto della Signoria innalzato a un grado quasi dittatorio, che lo dichiarò commissario generale degli eserciti della Repubblica. Fu allora che quel prode meditò di eseguire la più ardita impresa che abbia mai tentato fra moltissimi ostacoli e con pochissimi mezzi qualsiasi generale, deciso di perire o di liberare dalla fame e dall’assedio la sua patria. Fatte le necessarie disposizioni per la conservazione e difesa di Volterra, il Ferrucci in tre marcie lungo la Cecina, pel littorale di Rosignan, Val di Fine e Val di Tora si condusse a Pisa con circa 1500 fanti, oltre alcune lance e pochi soldati di cavalleria. Giunto costà si ammalò di febbre, per cui fu obbligato a trattenersi 13 giorni; dove accozzatosi  con Gianpaolo Orsini e con Bernardo Strozzi, commissarj di guerra in quella città, si occupò nei preparativi della sua impresa. Frattanto egli visitò le due cittadelle, prese seco per istatichi coloro, i quali dubitava più capaci di muovere tumulto; riunì insieme sotto 25 bandiere un esercito di circa 3000 pedoni, e di 600 cavalli; fece preparare un buon numero di trombe artifiziate (quasi gli antichi razzi alla Con greve ) che gettavano  fuoco lavorato, per  distribuirle a ciascuna compagnia, provvidesi di pezzi da campagna, di una buona quantità di scale, di varie qualità di ferramenti di molta munizione da guerra, e delle necessarie vettovaglie, fra le quali una buona dose di biscotto. Appena sentissi libero dalla febbre il Ferrucci, nella notte che precedè il dì primo agosto,
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    uscì con il suo esercito di Pisa per la porta di Lucca, il cui territorio attraversò per incamminarsi in Val di Nievole; ma il capitano Maramaldo co’suoi Calebresi, seguitando d’appresso l’esesrcito del Ferrucci, aveva già barricato il passaggio sulla Pescia minore al ponte di Squarciaboccone ; per la qual cosa Ferrucci dovè rivolgere la marcia a settentrione, rimontando la Valle Ariana; talchè la sera arrivò a Medicina castello de’Lucchesi, dove pernottò.
    La mattina del 2 Agosto, partito a buonissim’ora, mostrava di voler condurre l’esercito per la volta dei poggi fra Prato e Pistoja al Montale , per cui fece sembiante di prendere la strada che mena a Pistoja; ma poco stante volse il cammino più in alto verso le sorgenti della Pescia maggiore, sino al castello di Calamecca, dove si fermò la seconda notte. La mattina del 3 agosto, che fu l’ultimo giorno della vita del Ferrucci, giunto che fu sulla cresta della montagna, ingannato dalle guide inviate dai Cancellieri, che volevano punire i loro privati nemici, trovossi invece a San Marcello . Il quale castello tenendo dalla parte de’Panciatichi, seguaci dei Medici, fu crudelissimamente arso e quasi disfatto.
    Questa marcia del Ferrucci non fu ignota al principe d’Orange, come quello che veniva informato di tutto dal generale de’Fiorentini Malatesta Baglioni, il quale aveva promesso di non combattere gli alloggiamenti durante la sua assenza. Arrivato il principe con circa 8000 soldati tra Pistoja e Gavinana, ebbe avviso, come il Ferrucci era con le sue genti comparso a San Marcello ; per lo che dopo aver rinfrescato l’esercito, si avviò in fretta verso la terra di Gavinana per essere il primo ad occuparla, mentre il commissario fiorentino con l’istessa mira movendosi in ordinanza da San Marcello, presentossi davanti a quel paese quasi contemporaneamente al capitano nemico Fabbrizio Maramaldo, nel mentre che questi dall’opposta banda per la rottura di un
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    muro stava per entrarvi.
    Non dirò le prove di valore che con sproporzionato numero di forze fecero i soldati fiorentini condotti a quel cimento.
    È nota la buona fortuna che essi ebbero al principio della battaglia, avendo visto cadere estinto l’Orange  generale dei nemici; ma ciò non fu che un passeggero segnale di vittoria contrastata da una battaglia sanguinosissima; nella quale i Tedeschi, facendo barriera a chi fuggiva, rinfrescavano con nuove genti il combattimento dentro e fuori di Gavinana.
    Benchè il Ferrucci e l’Orsini avessero formata tutta una fila di ufiziali e sostenessero gagliardamente l’impeto Austro-Ispano-Papale, scagliandosi dovunque vedevano il bisogno maggiore, e incoraggiando i soldati, che al combattimento lasciavansi infilzare dalle picche, o trapassare dagl’archibusi piuttosto che ritirarsi un passo a dietro; pur nòn ostante tanto ardire, quel prode Fiesolano vedendo la piazza di Gavinana ricoperta di cadaveri correre sangue da ogni parte, nè potendo molto adoprare le trombe da fuoco per le grandi piogge in quel dì cadute, dopo essere rimasti esangui nel campo circa 2500 combattenti, il Ferrucci con i suoi ajutanti trovossi fatto prigione. Ma un sì bel trionfo non bastava al Maramaldo, il quale contro il diritto delle genti, per vendicarsi dell’onta ricevuta a Volterra, dopo averlo fatto disarmare, trapassò al Ferrucci la gola, togliendo barbaramente di vita il più ardito e valoroso capitano di quell’età, colui che perfino morendo bravava il suo nemico col dirgli: che egli ammazzava un uomo oramai morto.
    Allorchè giunse a Firenze il fatale avviso dell’esito di quella giornata, la città fu piena di spavento e di dolore. Ad onta però di tanta sventura, il governo resisteva ancora, e ricusava ad ogni modo di aderire alla condizione costantemente richiesta dagli agenti Cesareo-Papali, quella cioè di rimettere i Medici in patria.
    Così il popolo anzichè capitolare chiedeva di esser condotto a battersi contro gli assedianti prima che fosse di ritorno l’esercito vittorioso dalla montagna di Pistoja. Ma il Baglioni, il quale aveva, come si
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    disse, assicurato l’Orange, che di Firenze non uscirebbe alcuno a nojare il campo durante l’assenza di lui e delle truppe imperiali, ostinatamente si oppose a tale istanza sino al punto di minacciare, che avrebbe lasciato il comando piuttosto che con un’operazione intempestiva procurare la certa rovina e il sacco della città.
    Quando però la dimissione del Malatesta fu dal governo accettata, vedutosi il perfido deluso, poco mancò che non pugnalasse il commissario Andreolo Niccolini nell’atto che questo gli presentava il congedo. Si sparse per Firenze l’allarme a cagione di un simile attentato; per cui il gonfaloniere Raffaello Girolami mosso a sdegno, risolvè di mettersi alla testa del popolo per andare a combattere, e a viva forza cacciare dalla città il Baglioni oramai scoperto traditore e nemico. Ma questi aveva già fatto occupare dalla fanteria perugina la porta S. Pier Gattolini, e sbarrate le vie di là d’Arno con parecchi pezzi di moschetti piantati sui capistrade.
    Firenze era ormai perduta, e alcuna forza umana non poteva a quell’ora salvarla dai traditori di dentro e dalle masnade che da lungo tempo la tenevano assediata, avide di aver presto a saziare con le cose più preziose dei Fiorentini la loro inesauribile libidine e avidità.
    Cosicchè dopo tanto sangue sparso in undici mesi di assedio, dopo infinite agitazioni intestine, dopo tante privazioni sofferte, di fame, di peste, e di stenti, dopo avere nel periodo di soli tre anni (dall’agosto del 1527 all’agosto del 1530) a forza di contribuzioni straordinarie forniti per le spese di guerra 1,416500 fiorini d’oro, dopo tuttociò Firenze finalmente dovè abbassare la fronte ai suoi interni ed esterni nemici.
    Fu in mezzo a tante desolazioni che la Signoria risolvè di inviare, la mattina del 10 agosto, quattro ambasciatori a don Ferrante Gonzaga, luogotenente generale nel campo nemico, per chiedere una capitolazione.
    Le trattative furono aperte nella casa dove risedeva Baccio Valori incaricato del papa Clemente, nel poggio di S. Margherita a Montici, alla presenza
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    di Ferrante a nome di Cesare e di Baccio Valori per conto del Pontefice da una, e dall’altra parte, Bardo Altoviti, Jacopo Morelli, Lorenzo di Filippo Strozzi, e Pier Francesco Portinari, rappresentanti della Repubblica fiorentina. Il giorno appresso vennero i capitoli approvati dai Signori, dai collegj e dal consiglio degli 80 . – Sono troppo note le condizioni di quell’accordo per non averle qui a riportare; nè giova tampoco rammentare esser stata posta per base della capitolazione: che qualunque fosse la forma del governo da stabilirsi in Firenze da S. M. I. dentro il termine di 4 mesi, s’intendeva sempre che la libertà sarebbesi conservata, e tutte le azioni passate tanto pel pubblico che pei privati perdonate e poste in oblìo. Avvegnachè di tutti i dieci capitoli, non solo non ne fu osservato alcuno, ma di ciascuno di essi fu fatto presso che il contrario.
    In quel giorno (20 agosto) in cui Baccio Valori da 4 compagnie di soldati Corsi aveva fatto occupare il palazzo della Signoria, e tutti i capistrade che rimettono nella piazza, in quel giorno stesso al suono del campanone di palazzo fecesi  chiamare il popolo a parlamento, perchè si rappresentasse in ringhiera l’ultima farsa repubblicana dai Signori. Per ordine dei quali ad alta voce il cancelliere delle Tratte per tre volte all’udienza domandò: se piaceva al popolo si creassero 12 persone che avessero tanta autorità e balia essi soli quanta soleva averne il popolo fiorentino tutto insieme? Fu risposto da quella gente di , col gridare palle, palle, Medici, Medici .
    Tra le prime deliberazioni prese dai Dodici riformatori (dei quali fece parte lo stesso Baccio Valori) fu quella di togliere il potere esecutivo alla Signoria, di levare di mezzo i Dieci di Libertà , e di cassare gli Otto di Pratica , col crearne de’nuovi. Nè gran tempo trascorse, dacchè le promesse recentemente giurate furono scancellate
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    col sangue di molti cittadini giustiziati, con le deportazioni, le confische, le prigioni, ed altre simili atrocità atte ad incutere, piuttosto che amore, paura e terrore al popolo, per dovere meglio accogliere il nuovo principe Alessandro, nipote di Clemente VII, che era per arrivare a Firenze con la bolla di Carlo V e col titolo di Signore della Repubblica fiorentina .

    STATO DI FIRENZE DURANTE
    LA DINASTIA MEDICEA

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    ALESSANDRO I  DUCA

    Speravasi che si avessero a estinguere in Firenze le fazioni, spegnere le ire e distruggere i sospetti con la morte, con le carceri e con l’esportazione de’più ardenti repubblicani; e ciò tanto più, quanto che molti lusingavansi di un quieto vivere sotto il dominio di quella casa, la quale, potevasi dire, che ormai da un secolo teneva in mano il governo della Repubblica fiorentina.
    Con uu sì fatto apparecchio cominciò l’anno 1531, quando nel mese di aprile si videro appiccare sopra la porta del palazzo de’Signori le armi del Papa, onde incominciare a dare alcun segno, come le cose per l’avvenire avessero a procedere; e poco stette a sentirsi la notizia, che Alessandro de’Medici, già fidanzato di Margherite d’Austria, incamminavasi verso la Toscana. Giunto con un numeroso seguito a Prato, nel di 5 di luglio, e, secondo l'Ammirato, nel giorno medesimo anniversario della cacciata del duca d'Atene, fece il duca novello la sua entratura in Firenze per la porta a Faenza, incontrato da un drappello di giovani, complimentato dagli ambasciatori esteri e nazionali, corteggiato dalla nobiltà e dal popolo accompagnato alla chiesa della Nunziata, e quindi al suo palazzo in Via larga . – La mattina seguente il duca in compagnia del ministro di Carlo V, del nunzio di Clemente VII, e in mezzo a un gran codazzo di cittadini andò al palazzo dei Signori, i quali, preceduti dal gonfaloniere Benedetto Buondelmonti, andarono incontro al principe sino alla scala.
    Tosto che
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    il Duca arrivò nel salone messosi in una specie di residenza, il ministro imperiale (ch’era alla destra del principe) fece leggere la bolla di Carlo V, in vigore della quale Cesare ordinava, che l’illustre famiglia de’Medici, e conseguentemente il signor Alessandro de’Medici duca di Civita di Penna suo dilettissimo genero, dovesse essere ricevuto e accettato nella patria con tutta la sua casa con quella stessa autorità e maggioranza, la quale vi avevano i Medici innanzi che cacciati ne fossero; e che riformandosi lo Stato, e creandosi i magistrati come innanzi al 1527, il duca Alessandro fosse capo e proposto di tal reggimento in tutti gli ufizj,nel modo ch'era stato deliberato per legge manicipale nel dì 17del mese di febbrajo prossimo passato; e che in tale supremazia si conservasse, finchè durava la vita sua; così dopo la sua morte succedessero nel potere i suoi legittimi figliuoli ed eredi. Venendo poi a mancare la linea di Alessandro, in tal caso S. M. I. ordina e vuole, che nello stesso dominio succeda il più propinquo di detta casa de’Medici della linea di Cosimo il vecchio o di Lorenzo di lui fratello .
    Fatta una tale cerimonia, il gonfaloniere, e dopo lui i priori ed i maggiori magistrati ivi presenti, con segni e con parole di umiltà e di riverenza, mostrarono di sottoporsi mansueti al volere di Cesare, che ordinava sotto l'imperio de'Medici l’agitata loro patria tornasse a riposarsi.
    Parendo dunque che in tal modo fosse ogni cosa acquietata,   fu stimato che, come non più necessarie, le armi di ogni sorta fossero dai cittadini fedelmente consegnate. Per conseguenza vennero soppressi i 16 gonfalonieri delle compagnie; fu dato un altro scopo al temuto magistrato dei Capitani di Parte, convertendolo nei Nove ufiziali sopra i bastioni, ponti e strade; fu tolta via la sicurtà che si faceva ai magistrati di non poter esser convenuti davanti ai tribnnali come le persone private; nè molto in là
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    andò, che si volle anche scancellare l'ultima immagine della Repubblica col togliere di mezzo la Signoria. Ciò avvenne nell'aprile del 1532 sotto Gio. Francesco de’Nobili, ultimo Gonfaloniere di giustizia, dopo una serie di 1372 che per il corso di 240 anni avevano tenuto nel Palazzo vecchio il gonfalone della Repubblica fiorentina.
    Da quel momento, a tutto rigore, dovrebbe annoverarsi l'epoca del principato del duca Alessandro, quando cioè la Signoria fu autorizzata ad eleggere una commissione di 12 cittadini, oltre il gonfaloniere ultimo, con piena potestà di riformare l'amministrazione governativa dello Stato . – La più sollecita operazione fu quella di nominare 48 senatori a vita, per destinarli consiglieri e coadiutori del supremo capo e signore della Repubblica. Fu quindi ringraziata per sempre e licenziata di palazzo la Signoria; dopo che essa era uscita nel dì 1° maggio con solennità a prendere il duca Alessandro per condurlo nella residenza dei confalonieri di giustizia, come spettavasi a chi era divenuto di Firenze assoluto padrone. Infine per abolire ogni vestigio di libertà, fu distrutto il campanone che chiamava il popolo a parlamento.
    Il senato, o sia il consiglio de’48, per poter squittinare gli ufizj e spedire le petizioni private, si aggregò un consiglio di 200 cittadini, che dal numero chiamossi de’200, e da questo prese nome il salone del palazzo vecchio, dove soleva già riunirsi il gran consiglio del popolo.
    Fu dato ordine che ogni tre mesi dei 48 senatori si traessero quattro per formare un magistrato che fu chiamato dei Consiglieri. A uno di essi si diede il titolo di luogotente del Duca, il quale doveva in qualche modo rappresentare l'estinta Signoria e decidere molte cause importanti a quella magistratura riserbate. Dai 48, previa l'approvazione del Duca,si deliberavano le leggi, si vincevano le provvisioni, si proponevano le imposizioni; ed era necessario che in tutti i magistrati della città presedesse alcuno di quei senatori.
    Data e stabilita questa nuova forma di
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    governo, con dispaccio del 12 maggio 1532 ne fu reso partecipe l'Imperatore in termini a un dipresso del tenore seguente: "I Dodici riformatori della Repubblica fiorentina si fanno un dovere di partecipare a S.M.I. la riforma stabilita nel governo della città, essendo stato cassato il magistrato de’priori, nel quale avendo potuto per l'addietro aspirare qualunque del popolo, erasi ridotto una sorgente feconda di sedizioni e di tumulti; che perciò hanno trasferita tutta l'autorità della Signoria in 4 consiglieri da scersi fra la nobiltà e il fiore della cittadinanza; cosicchè a questo nuovo magistrato, alla città, e a tutta la repubblica, i Dodici riformatori avevano costituito per capo e signore il Duca Alessandro de’Medici genero della Maestà sua, nel quale, e in tutti i suoi successori legittimi essi dichiaravano transfusa tutta la dignità e autorità della Repubblica fiorentina." ( Riformagioni di Firenze. )
    Ad oggetto di guadagnar la plebe ad assopirla nei divertimenti, il duca Alessandro, a imitazione del duca di Atene, ripristinò i Saturnali fiorentini , volgarmente appellati Potenze , significato che davasi a diverse brigate di persone del popolo; le quali univansi sotto un capo col titolo e con la veste di duca , di signore , di marchese , di monarca , d’ imperatore , di re , o di gransignore. Ciascuna Potenza aveva bandiera e insegna sua propria, e soleva cominciare i suoi spettacoli dal primo di maggio sino a tutta estate, festeggiando per la città, e gareggiando l'una con l'altra per lusso, per invenzione e per brio, talchè spesso terminavasi in risse civili, in battaglie cruenti di sassate, in crapole scandalose e in altri tumulti popolari. È memorabile l'iscrizione lapidaria esistente nella facciata della chiesa di S. Lucia sul Prato, come quella che rammenta uno di quei campioni: Imperator Ego vici praeliando lapidibus. Anno MDXXXXIV.
    In apparenza il popolo mostrava di essersi quasi scordato delle vecchie sofferenze
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    e sventure; e i cittadini non spatriati, attendendo a coltivare e a murare, pareva che ne dassero una specie di conferma. Era tra questi Filippo Strozzi, il quale comprava case per gittarle a terra, onde avere piazza davanti al suo palazzo; e tutti coloro che avevano sporti alle case di via larga, per far il piacere del duca e accrescere bellezza a quella via, li fecero in pochi mesi levare.Nell'anno medesimo che ciò si operava (1534) per dare maggiore luce e rendere più salubri le abitazioni private, fu accresciuto ornamento alla piazza de'Signori, ora del Gran Duca, collocandosi davanti alla porta del palazzo ducale e allato al Davidde del Buonarroti il gruppo di Ercole e Cacco, scolpito da Baccio Bandinelli.
    Ma questa non era che apparenza di felicità; avvegnachè le famiglie più potenti e più ricche, i grandi capitalisti, i maestri delle arti maggiori per dispetto, per timore, o per livore si erano allontanati da Firenze; dove in sostanza vivevasi di malavoglia nell'universale, sia per al novità del governo, sia per vedersi in certo modo degradati, sì ancora per la violenza sua, come pure per i cattivi portamenti della famiglia del Duca, e dei soldati che erano alla sua guardia. Al che si aggiungeva pure, che lo stesso duca Alessandro in verso le donne, di qualunque condizione o stato elleno fossero, mostravasi disonestissimo.
    Per assicurar sempre più il suo potere, Alessandro aveva posta mano a erigere in un angolo della città verso maestro, presso la porta Faenza e il torrente Mugnone, una fortezza spaziosa e forte; convinto esso, e più di lui papa Clemente, di non potere contare dentro Firenze su di un migliore e sicuro appoggio, quale fora senza dubbio quello che posseggono i buoni principi nell'amore dei loro sudditi. Per dar luogo al nuovo castello, che perse il titolo di S. Gio. Battista dal monastero di donne Vallombrosane ivi presso levato, dovettero demolirsi, fra le altre fabbriche, l'antica villa di S. Antonio degli arcivescovi
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    di Firenze, e il contiguo borgo di porta Faenza. Fornì denari per tale impresa il ricco Filippo Strozzi, quello stesso a cui quattro anni dopo la fortezza di S. Gio. Battista servì di carcere e di tomba.
    Vivevasi in cotesta guisa in Firenze, allorchè accadde la morte di Clemente VII (29 settembre) in quel giorno stesso in cui era tornato dall'esilio Cosimo di lui bisavolo . – La sede vacante dopo pochi giorni (15 ottobre) fu coperta da cardinale decano Alessandro Farnese, che volle esser chiamato Paolo III.
    Frattanto una gran parte dei fuorusciti fiorentini si era raccolta in Roma, dove essi cominciarono ad avvicinare Filippo Strozzi coi suoi maggiori figliuoli e quindi a far la corte al cardinale Ippolito de’Medici, come quello che, in confronto del duca Alessandro, per essere maggiore di età e di senno, sentiva tuttora il rancore di essere stato da papa Clemente a lui proposto nel principato della sua patria. Donde avvenne che la casa di Ippolito era diventata l’asilo della più nobil parte de’fuorusciti, i quali accrescevano con ogni arte e con ogni potere questo mal talento del cardinale verso il duca, sperando essi che cotal inimicizia dovesse partorire la rovina di tutti e due loro, siccome accadde in realtà, ma non in quella maniera, e con quell’esito che i fuorusciti si aspettavano . – Concorrevano a favorire fra i principali fiorentini i maneggi de’fuorusciti, oltre i sopraindicati Strozzi stati di recente offesi da Alessandro, anche i cardinali Ridolfi e Salviati, mossi a ciò dall’interesse privato più presto che da volere che la patria loro vivesse in libertà. Conciossiachè ciaschedun di essi era nato di una figliuola di Lorenzo il Magnifico , nipote di Cosimo, la di cui linea era mancata in papa Leone fratello delle loro madri. A questa così fatta ragione aggiungevasi l’onta di vedersi quei parenti da qualche tempo villanamente dal duca offesi e maltrattati. Per effetto di che Lorenzo
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    Ridolfi, fratello del cardinale, giovane di natali per nobiltà di sangue e per ricchezze cospicuo, dubitando che Alesandro fosse di mal animo verso di lui che tenea per una figliuola di Filippo Strozzi, nascosamente di Firenze si allontanò. Nè molto tempo passò che egli insieme con Bernardo Salviati fratello dell’altro cardinale, con Piero di Filippo Strozzi ed altri si recarono in Spagna alla corte di Carlo V a perorare la causa della loro patria, e a dolersi con S.M.I. del tirannico contegno del capo della Repubblica fiorentina. Furono ascoltati da Cesare i reclami dai nobili fuorusciti fiorentini, ai quali promise che dopo fatta l’impresa di Tunisi, egli tratterebbe di ciò alla sua tornata in Napoli. Allora tutti quelli che trovavansi raccolti in Roma deliberarono di mandare il cardinale de’Medici a Tunisi con altri sette compagni per raccomandarsi all’Imperatore quanto mai potessero il più, acciò volesse degnarsi di ordinari in Firenze quel governo che più gli piacesse: solo ch’egli ne levasse il duca Alessandro.
    I fuorusciti dubitando della mente del cardinale, nè fidandosi del tutto di lui, imposero a quei sette di sorvegliarlo. Erasi già consumata in questi maneggi la maggior parte dell’estate del 1535, quando il cardinale Ippolito, ammalatosi in Itri di febbre prodotta da mal aria, o come altri dissero di veleno datogli per conto del duca, ai 10 di agosto si morì, lasciando in molti grandissimo desiderio di sè, in quantochè egli mostrossi d’indole cortese, di grand’animo, e amatore d’ogni maniera di virtù. Frattanto s’intese, che Cesare dopo la presa di Tunisi era sbarcato a Napoli, e che costà aveva assai  lusinghevolmente accolto un incaricato de’fuorusciti.
    I cardinali Ridolfi e Salviati con i principali esuli fiorentini erano già partiti per quella città, onde assistere al processo che colà agitar dovevasi davanti lo stesso imperatore, mentre dall’altra parte il cardinale Innocenzo Cybo sollecitava il duca Alessandro a partire da Firenze accompagnato da nobile corteggio e da valenti giureconsulti e oratori, affinchè potesse meglio difendersi dagli
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    addebiti di cui fu accusato.
    L’istorico Guicciardini gli servì di avvocato, e seppe sì bene piatire la causa del suo signore, che l’Imperatore ritirò la proposizione di rendere il duca Alessandro feudatario di Cesare; dopo convinto, che la città di Firenze, essendo stata tanto tempo con somma fatica e spesa liberata dal dominio della Camera Aulica, non era cosa giusta nè onorevole di farla soggiacere un’altra volta sotto quel giogo. Altra cagione indusse Cesare a rimettere la città e dizione fiorentina sotto il libero dominio di colui, il quale, essendo per divenire genero di Carlo V, doveva considerare come fosse un suo governatore e come se lo Stato fiorentino facesse quasi parte dell’Impero. Contribuì eziandio a favorire Alessandro la situazione politica dell’Italia, per la morte accaduta del duca di Milano, e per la guerra che andava ad accendersi con la Francia. Dondechè Carlo V si decise di assicurare il trono di Firenze ad Alessandro sollecitando la celebrazione del contratto matrimoniale; per concludere in quale il duca ebbe peraltro a sopportare condizioni molto gravose, onde assicurare le convenienze della sposa, non meno che quelle dell’Angusto di lei genitore.
    Il Duca per la vittoria diplomatica riportata sopra i suoi nemici, e per le nozze solennizzate (li 29 febbrajo 1536) con Margherita d’Austria, tornò festeggiante a Firenze, dove accolse fra gli archi trionfali, e in mezzo a sontuose feste e spettacoli il più potente monarca dell’Europa nel suo Augusto suocero.
    D’allora in poi Alessandro non ebbe più ritegno onde mostrare ogni severità contro i malcontenti, imporre forti gravezze ai nuovi sudditi, e soddisfare liberamente all’effrenata sua libidine verso le vergini e le matrone; sino a che Lorenzino di Pierfrancesco de’Medici, ch’era il suo più prossimo agnato, ed il ministro più confidente di Alessandro nei piaceri, sperando di ereditarne il trono, piuttosto che di ridonare alla patria la pubblica libertà, la notte de’6 di gennajo 1537, nella propria casa del traditore in Via larga, allorchè il duca stava nel sonno
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    immerso, proditoriamente lo scannò nel trentesimo anno della sua età.
    Fu Alessandro de’Medici uomo d’ingegno persipicace, di animo irrequieto e insaziabile, desideroso peraltro e capace di altre cose. Aveva complessione robusta, prontezza nel risolvere, caldo fuor di modo nelle passioni, senza rispetto nelle cose divine, come nelle umane.

    COSIMO DUCA II, GRANDUCA I

    La storia dopo un lungo intervallo di tre secoli con pacato animo dai lettori contemplata può esser giudicata forse meglio che da coloro, i quali, benchè coetanei, non furono però tutti concordi nel discorrere delle cause, e dello scopo dell’assassinio del primo duca di Firenze. Quindi è, che niuno dei scrittori di quella età apparisce giudice imparziale a decidere, se Lorenzino fu un vile scellerato assassino, piuttostochè la brutta copia di un Bruto novello. Conciossiachè anche all’epoca in cui seguì quella tragica scena, per testimonianza dello storico Varchi, nessuno potè sciogliere quella politica dubbiezza e darne sentenza che fosse senz’appello.
    Checchè ne sia, Lorenzino dopo il duchicidio evase dallo Stato come un colpevole di capitale delitto; e il giorno susseguente, non vedendosi a Firenze comparire il principe in luogo veruno, si cominciò dai suoi più intimi a dubitare, e infine a certificare quello che era di lui avvenuto.
    Allora il cardinal Innocenzo Cybo, perchè non si levasse tumulto nella città, procurò che si tenesse occulto il caso avvenuto; e intanto scrisse al generale Alessandro Vitelli, che partisse subito da Città di Castello. Lo stess’ordine inviò ai comandanti delle bande di Pisa, e di Mugello, affinchè usassero ogni diligenza e si trasferissero con quanta più gente potevano alla capitale. Quindi nello stesso palazzo de’Medici, dove il cardinale abitava, ragunato per suo ordine il senato de’48, dopo qualche deliberazione, fu proposto in successore legittimo dell’estinto duca il signor Cosimo figlio di Giovanni delle Bande nere ; il quale avvisato dai suoi amici, partì tosto dalla sua villa del Trebbio nel Mugello per recarsi a Firenze . – La
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    presenza di questo giovanetto in patria, il gran concorso di tanti amici e soldati, vecchi compagni del padre, nel visitarlo, servì di pungolo al cardinale per esplorare l’animo di Cosimo. Il quale avendogli date molte buone parole, nel caso che fosse eletto per capo della Repubblica, di osservare con ogni sua possa le condizioni propostegli, Cosimo nel terzo giorno dopo la morte del duca Alessandro, fu nominato dal senato fiorentino al governo della Repubblica, ad eccezione di un senatore, Palla Rucellai, il solo che protestò non volere più in Firenze nè duchi, nè principi, nè signori.
    Ma se al suono dell’inaspettata novella della morte del duca Alessandro, i repubblicani fuorusciti si erano rallegrati, e già mossi da Roma per avviarsi armati verso la patria, altrettanto gli alterò e sbigottì l’annunzio della sollecita elezione fatta di un altro principe di casa Medici nella persona di Cosimo.
    Farà maraviglia agli uomini spassionati di riscontrare alla testa di due spedizioni militari di faziosi (quella prima di Val di Chiana, e l’altra di Montemurlo) fra i capi fuorusciti, quel Baccio Valori che fu commissario del pontefice Clemente all’assedio di Firenze e primo campione del governo assoluto di questa città. Ma il giovinetto Cosimo mostrò senno e sagacità da vecchio fin dall’esordio del suo regnare, poichè i falsi amici e le mire dei nemici espiando, con efficaci misure di difesa a sventare i loro disegni da ogni parte provvedeva e riparava.
    Nel tempo stesso l’imperatore col mezzo del conte Sifontes suo ambasciatore, con atto del 21 giugno 1537, dichiarava legittima e valida l’elezione di Cosimo figlio di Giovanni de’Medici, come più prossimo e di maggior età che alcun altro di detta casa; cosicchè il governo della Repubblica dopo esso passar doveva ai suoi discendenti legittimamente nati da lui, siccome l’ordinava il Lodo imperiale nel 1530 pronunziato. Per la qual cosa vegendosi i fuorusciti privati d’ogni speranza, non restava loro altra via che il tentare quella dell’armi, animati a ciò anche dalla
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    corte di Francia, che prometteva di assisterli. Si ragunarono perciò alla Mirandola, oltre un buon numero di esuli fiorentini, intorno a 4000 soldati. Capo dell’impresa si fece Baccio Valori; comandante della fanteria fu eletto il colonnello Capino da Mantova, e capitano de’fuorusciti mess. Piero di Filippo Strozzi; tutta gente nuova, e più piena di ferocia che di molta esperienza e di virtuose opere. Avvegnachè per la massima parte ciascuno di coloro che comparvero in quella scena ricoperti sotto il mantello della libertà, piuttosto all’ambizione propria, che al pubblico bene agognavano.
    Essendosi pertanto quegli armati mossi verso Bologna, accadde che il Valori, adiratosi per conto di paghe, senza por mente a quello che si faceva, quantunque nel governo degli Stati e degli eserciti uomo intendentissimo egli fosse riputato, insieme con alcuni pochi de’suoi, montato a cavallo, verso Firenze si mosse, come se in paese amico fosse per entrare, con pensiero di far alto alla sua più che privata villa del Barone situata poco lungi da Montemurlo. Il quale disordinato movimento non piacendo ai capi di quell’impresa per i mali che ne potevano avvenire, fu pregato Filippo Strozzi che con alcuni cavalleggeri quella piccola colonna raggiungesse e le facesse far alto per via.
    Era già il valori arrivato alle Fabbriche in Val di Bure, presso il Montale di Pistoja, quando fu raggiunto dallo Strozzi. Ma questi invece di adempire il consiglio avuto, egli che molte volte aveva detto di non voler in quella guerra intervenire, da Baccio a proseguir oltre si lasciò tirare. Giunti essi ai 26 luglio del 1537 alla villa del Barone con meno di 80 tra soldati a cavallo e a piedi: e trovandosi di fronte a una potenza sostenuta da’sudditi fedeli, da molte forze proprie e da quelle dell’Imperatore, viddero bene allora, che non era quella stanza da starvi sicuri; cosicchè deliberarono di ricovrarsi nella fortezza quadrata di Montemurlo , che
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    a ostro-libeccio dal Barone è discosta meno di un miglio.
    Quantunque sino d’allora Montemurlo fosse stata ridotta a uso di villa dalla casa Nerli di Firenze, pure per esser posta nella sommità di un poggio isolato, che domina la pianura fra Prato e Pistoja, e per aver un qualche reciuto delle antiche reliquie di quel fortilizio, fu reputata tuttora capace di sostenere un assedio, e a servire di difese.
    Intanto Piero Strozzi con 800 fanti incamminavasi da Bologna per la stessa via in appoggio e salvezza del padre e de’compagni, la qual marcia eseguì con tanta dilegenza, che a’28 dello stesso mese arrivò a Montemurlo , dove già si erano raccolti molti contadini armati dai Cancellieri, che in quelle campagne avevano molti resedj e vaste possessioni.
    Queste novelle riportate in Firenze, turbarono grandemente il governo e i Palleschi; ma quando s’incominciò a sentire che Baccio Valori avea cavalcato da Montemurlo al Barone , dove quasi in sicurezza attendeva a designare fabbriche, a ordinare coltivazioni nuove ed a pigliarsi i piaceri della villa; quando seppesi che, non ostante l’arrivo di Piero Strozzi, e il sopraggiungere delle altre genti del paese in loro favore, ogni cosa negligentemente costà si governava, incominciò a entrare negli animi del Duca e de’suoi capitani certa speranza di far quelle genti mal capitare.
    Al quale effetto i Palleschi sparsero ad arte voci di paura, figurando di segnare alloggiamenti a di prendere disposizioni di difesa, fintanto che la notte del 31 di luglio 1537, Federigo da Montauto comandante di due compagnie di fanti in Pistoja, chiamati a sè tutti i Panciatichi, si diresse verso Montemurlo; e ciò nel tempo medesimo che Alessandro Vitelli, generale in capo dell’impresa, erasi avviato da Firenze a Prato con 7000 soldati e 900 cavalleggieri capitanati da Ridolfo Baglioni, ai quali teneva dietro dalla parte di Fiesole  Francesco Sarmiento con 1500 Spagnoli e con due compagnie di Tedeschi. Tutta
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    quest’oste la mattina all’alba del primo agosto era già nella Terra di Prato pronta ad assalire Montemurlo, quando Federigo da Montauto dal lato opposto aveva digià assaliti i Cancellieri nella badia di Pacciana.
    Piero Strozzi, che non s’aspettava addosso tanta piena, erasi di buon mattino spinto innanzi con pochi fucilieri, avendo seco Sandrino da Filicaja giovine animoso, con la mira di far cadere in un agguato i cavalleggieri del capitano Pozzo già di prima postati in Prato. Ma appena furon visti i nemici in grosso numero nel piano fra Montemurlo e Prato, Piero Strozzi trovossi dalla cavalleria del Baglioni assalito, gittato a terra, e fatto prigione; e solo il benefizio delle tenebre, non essendo ancor giorno chiaro, potè salvarlo, col gittarsi da una ripa, e per luoghi coperti in sicuro ricovrandosi.
    Era sceso dall’Appennino, e giunto la sera innanzi con tutto il resto delle genti de’fuorusciti alle Fabbriche , Bernardo Salviati comandante dell’esercito de’fuorusciti; ma una tempesta grandissima di pioggia  che aveva fatto ingrossare tutti i torrenti, l’aveva a gran forza rattenuto, in guisa che non potè in alcun modo respingere Federigo da Montauto che nella badia di Pacciana e dalla parte di Agliana combatteva i Cancellieri col capitan Mattana da Cutigliano, nè recare ajuto ai capi fuorusciti rinchiusi nel castello di Montemurlo, dove per asserto di uno storico contemporaneo (Bernardo Segni) non era che un piccolo presidio armato di tre spingarde, e difeso da un antiporto, mezzo rovinato . – Baccio Valori, e Filippo Strozzi dormivano quasi senza alcun pensiero, e lo stesso faceva Anton Francesco degli Albizzi, che la sera innanzi era costà arrivato; tutti tre capi di partito contro i Palleschi, dopo essere stati dei Medici caldi fautori ed amici. V’erano di più due Filippi Valori, uno figliuolo, e l’altro nipote di Baccio, e Paolantonio altro suo figliuolo, ch’era genero di Filippo Strozzi.
    L’importanza dei prigioneri, e il timore che sopraggiugnesse in loro soccorso il rimanente dell’esercito dei fuorusciti,
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    servì di stimolo agli assedianti per sollecitamente assalire la casa torrita di Montemurlo, della quale dopo breve ostacolo si resero padroni; ma Filippo Strozzi volle arrendersi unicamente al Vitelli, da cui ebbe parola di salvarlo. Questo avvenimento riempì di spavento i liberali della città e i fuorusciti con il restante del loro esercito; il quale, voltando le spalle al nemico, si sbandò al di là dell’Appennino. I prigioni di Montemurlo furono condotti in Firenze in vile equipaggio, per fare un tristo e miserabile spettacolo in faccia a un popolo estatico di rimirare tanti nobili personaggi, stati in governo e come principi di Firenze, menati vilmente su di un cavalluccio con un sudicio sajo in dosso e senza berretta in capo nel declinare di cocente giornata (lì 2 di agosto) procedendo innanzi il Vitelli trionfante di sì gran vittoria. Dopo questa umiliante comparsa una gran parte di quei prigioni a quattro per giorno furono condannati a lasciare la testa sopra un palco davanti alla ringhiera del palazzo ducale, o nelle prigioni del bargello. Toccò quest’ultima sorte a Baccio Valori, il quale fu decapitato insieme con i due Filippi figlio e nipote con Anton Francesco degli Albizzi e Alessandro Rondinelli, nello stesso giorno 20 agosto, in cui Baccio sette anni innanzi colla forza dell’armi era entrato nel palazzo de’Signori a riformare il governo della sua patria, allorchè da spergiuro ruppe la convenzione firmata dieci giorni innanzi nel campo imperiale sopra Firenze.
    Filippo Strozzi e Paolantonio Valori suo genero per allora si rimasero nel castello prigioni, guardati da Alessandro Vitelli a nome e per conto dell’Imperatore; sino a che, chiamato dal pontefice Paolo III in capitano del suo esercito, egli consegnò la fortezza coi prigioneri a don Lopes Urtados ministro dell’Imperatore, il quale vi destinò castellano don Giovanni di Luna, non senza risentimento dello Strozzi cui il Vitelli aveva mancato di fede, e con dispiacere di Cosimo per non essergli stato consegnato colui, pel quale aveva pagati 18000 scudi
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    di taglia al Vitelli, e i parenti dell’illustre prigione gioje e denari.
    Dubitando Cosimo che Filippo, stante i molti e potenti mezzi, non ritornasse in grazia di Carlo V, faceva di tutto, affinchè gli fosse dato nelle mani. Ma l’Imperatore che aveva promesso al Papa di campargli la vita, se egli non era colpevole della morte del duca Alessandro, non lasciava intendere altro se non che bisognava venire in chiaro di un tale addebito.
    Per questa ragione riescì al Duca di far esaminare lo Strozzi in fortezza e di ottenere che si affidasse il processo a un cancelliere degli Otto di Balìa . Furono dati alcuni tratti di corda a Filippo, che, di gentilissima complessione com’egli era, penando assai, venne levato dal tormento negando però sempre di non sapere cosa alcuna dell’assassinio ducale. Dopo questo furono messe le mani addosso a Giuliano Gondi suo stretto amico, che venne esaminato a furia di tortura. Compito il processo, si mandò in Spagna all’Imperatore; e in seguito di ciò fu dato ordine che lo Strozzi fosse consegnato in mano di Cosimo. S’udì poi al principio dell’anno 1538, come Filippo da sè stesso s’era ammazzato in prigione per ajuto di una spada stata lasciata nel carcere come dissesi, a caso da uno di quei che lo guardavano. Nella quale occasione si resero noti alcuni suoi scritti, fra i quali quella Virgiliana sentenza vergata (dicesi) col proprio sangue: Exoriatur aliquis nostris ex ossibus ultor .
    Il suo corpo peraltro non fu più veduto, nè si seppe mai in che luogo preciso venisse sepolto . – Comecchè fra il volgo si spargesse voce che Filippo si fosse per sè stesso ammazzato, più certa fama in fra pochi fu, ch’ei  venisse scannato per ordine del castellano, o del marchese del Vasto, avendo quei due Spagnoli promesso allo Strozzi di non darlo in potere  del Duca, sul dubbio che volesse per mano del carnefice farlo giustiziare.
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    /> Poichè Cosimo si ebbe levato dinanzi Filippo Strozzi, che considerava come il suo più formidabile rivale; dopo che vide allontanarsi da Firenze il Vitelli e il cardinal Cybo; poichè finalmente la maggior parte di quei fiorentini che furono autori del principato Mediceo, infra poco tempo vide di strazio, di dolore, o di mala contentezza morti, parve a Cosimo d’esser rimasto senza sospetto di nemici, e nel governo della Repubblica più libero del suo valore; sicchè da quell’epoca in poi si applicò a liberarsi da tutti quei vincoli, nei quali lo avevano involto le condizioni politiche che gli ottennero il trono . – Il riguardo dovuto a molti senatori che avevano promossa la sua elezione; la soggezione che gl’imponevano i ministri e i generali di Cesare, erano catene troppo pesanti per un giovine fiero e cupo quale fu Cosimo, che mal soffriva di dover partecipare con altri il potere e la gloria. Cominciò pertanto a ristringere la cognizione degli affari fra pochi suoi confidenti, e ad assuefare i magistrati ad una maggior subordinazione ai suoi voleri. A tal effetto pubblicò nel 1549 un motuproprio, col quale ordinava che nessun magistrato potesse adunarsi a deliberare senza il suo assenso; e fu per questo che Giorgio Vasari volendo dipingere il Granduca in presenza dei senatori, prese per simbolo di questi ultimi il silenzio .
    Un’imposizione del sette per cento si raccolse per le pubbliche contingenze, e per supplire alle spese onde vigilare alla sicurezza del dominio con l’erezione o restauro di fortezze e di mura castellane in varie città dello Stato, per munire di bastioni la città di Firenze dalla parte di Oltrarno e per ridurre a fortilizio il palazzo arcivescovile presso il monastero di S. Minato al Monte.
    Dopo la vittoria di Montemurlo Cosimo manifestò il suo piano politico della lega con Carlo V, anteponendo di associare i suoi  interessi con chi dominava le Spagne, l’Alemagna, ed era in Italia signore del
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    regno di Napoli e della Lombardia, piuttosto che accomunarli a quelli della Francia, ove regnava Caterina de’Medici, la quale, come ultima erede del ramo di Lorenzo il Magnifico , riguardò per qualche tempo Cosimo quale usurpatore de’suoi diritti alla signoria di Firenze. Questo politico sistema pertanto impegnò il Duca a prender parte in tutti gli avvenimenti che potevano riguardar gl’interessi dell’Imperatore nelle cose d’Italia. Nè potendo egli, siccome ambiva, sposare la vedova del duca Alessandro, per stringere un vincolo di parentado e procacciarsi vieppiù la grazia di Carlo V, chiese a scelta di S. M. una sposa, ed ebbe Eleonora secondogenita di don Pietro di Toledo vicerè di Napoli, spettante alle primarie famiglie di Spagna.
    Essa fu pomposamente accolta e festeggiata, nel giugno del 1539, nella casa Medici, e un anno dopo nel palazzo già detto de’Signori, riordinato e ridotto a nobile residenza ducale.
    In occasione delle nozze di donna Eleonora Cosimo trovossi obbligato a far lavorare gli argenti altrove, perchè in Firenze erano mancati i migliori artisti e i principali manifattori stati dispersi in tempo di assedio, o dopo la caduta della Repubblica dalla patria allontanatisi.
    Largo nelle spese domestiche non meno che nel contribuire denaro e gente all’Imperatore, dilettandosi specialmente nel murare grandiose fabbriche, e nel tenere in corso diverse galere, Cosimo I consumava infinito peculio, in guisa chè oltre l’entrate ordinarie, oltre i beni confiscati a più di 400 ricchi fuorusciti sentenziati, o condannati in contumacia con pena della vita, egli trovavasi soventi volte forzato a impor gravezze straordinarie alla città e dominio fiorentino, non che ad insistere presso il pont. Paolo III, per avere l’importare di due decime esatte in Toscana sopra i beni ecclesiastici, in ricompensa (diceva la bolla del 31 maggio 1538 che le concedeva) delle spese fatte per la difesa dei luoghi marittimi contro il Turco. (Riformagioni di Firenze.)
    Voleva il Papa tornare a imporre altre decime, ma Cosimo vi si oppose tanto che rese senza effetto
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    le armi spirituali contro esso e contro i suoi sudditi fulminate, rintuzzando anche le armi temporali, che avevano incominciato a invadere il teritorio toscano dalla parte di Cortona.
    Per le quali contingenze Cosimo ricorse nel 1541 a un accatto, nel quale furono tassati persino i mercanti fiorentini che abitavano fuori del suo Stato.
    Nel 1543 fu ordinata un’altra maggiore imposizione a tutta perdita onde supplire a una grossa somma di denaro richiesta dall’Imperatore prima di consegnare al Granduca le fortezze di Firenze, di Pisa e di Livorno.
    Dopo aver chiesto ripetute volte a Carlo V il territorio di Piombino, Cosimo l’ottenne nel 1548, ma ben presto per un intrigo di corte gli fu ritolto; nè per questo egli giammai apparentemente fece mostra d’averne sdegno, nemmeno quando i ministri Cesarei gelosi del favore che egli godeva presso sì gran monarca, quasi per derisione, in compenso di tanti sacrifizj fatti per la causa imperiale, gli offrivano de’possessi in America . – Tanta costanza, e una così ferma imperturbabilità spianarono a Cosimo la via onde aggiungere ai suoi dominj la città e lo Stato di Siena, divenuto dopo la caduta della Repubblica fiorentina il nido de’fuorusciti o di tutti i malcontenti del governo spagnolo in Italia.
    Dovè pertanto Siena accettare presidio imperiale, ma quella popolazione non soffrendo che vi si edificasse una fortezza, sollevossi per discacciare la guarnigione, cosicchè nel 1552 s’impegnò una guerra accanita, nella quale prese parte a favore dei Senesi la Francia, non già per sostenere la causa della libertà, ma per menomare la maggioranza che gli Spagnoli avevano acquistata nella Penisola . –  Vedere SIENA.
    Perduta da Piero Strozzi, gran Maresciallo di Francia, nel 2 di agosto 1554, la battaglia di Marciano in Val di Chiana, le truppe Cesareo-Medicee si recarono intorno a Siena, la quale stretta e combattuta da ogni parte, dovè finalmente aprire le porte ai nemici (25 aprile 1555) dopo essere state distrutte le facoltà con
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    un gran numero di quei cittadini, e dopo esser caduto in potere degli imperiali quasi tutto il dominio senese, ad eccezione di pochi paesi meridionali e degli ultimi avanzi della Repubblica, che finalmente si estinse quattr’anni dopo in Montalcino . – Ma il vero conquistatore di Siena fu Cosimo; il quale coi suoi denari e coi suoi talenti, dal palazzo Pitti, riparando a ogni bisogno, aveva dirette e sostenute le operazioni militari di quella campagna.
    La difesa peraltro che i Senesi fecero della loro libertà è uno dei periodi più onorevoli dell’istoria italiana, tale da non perdere al confronto con alcuni di quelli di Sparta e di Atene.
    Ma la caduta della Repubblica di Siena è altresì l’epoca la più desolante per quella vasta porzione della Toscana, e forse una delle più funeste all’Italia; poichè l’emigrazioni, le morti e la miseria, in cui si ridussero moltissimi negozianti e possidenti terrieri, isterilirono con l’industrie e deteriorarono le campagne, gran parte delle quali sino dal 1549 aveva risentiti i danni delle numerose bandite da Cosimo I introdotte nello Stato fiorentino.
    Al pari, e forse più dell’agricoltura, era decaduto quel commercio, che aveva formate le grandi fortune e la forza della Repubblica fiorentina prima di Lorenzo il Magnifico , alla di cui età cominciarono molte famiglie mercantili e varie colonie di operai a spatriare per recarsi in Inghilterra, in Francia e in altre parti di Europa, dove stabilirono ragioni bancarie, fondachi di lanificj e drapperie di seta e di oro. Finalmente quelle arti che tanto contribuirono alla grandezza di Firenze, quelle ricche case di commercio che avevano resa cotanto opulenta e forte cotesta città, si ridussero quasi all’inazione, dopo che Cosimo I risolvè di classare una casta di nobili, coll’istituire nel 1561 l’ordine cavalleresco di S. Stefano Papa e Martire, per far militare i nuovi crocesegnati sulle galere toscane contro i Turchi; nel tempo che il resto della nobiltà si gettava in folla nelle
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    anticamere della corte granducale, o si consacrava alla vita ecclesiastica.
    Dopo la conquista di Siena, Cosimo I, memore delle gravi contestazioni avute con Paolo III, cercò di farsi molti amici nel Conclave, sicchè egli contribuì grandemente, nel 1559, all’elezione di Pio IV. Del quale pontefice Cosimo seppe guadagnarsi l’animo in guisa che fu sul punto di essere da lui fregiato del titolo di Re. Non ebbe minor favore dal di lui successore Pio V, il quale con solenne cerimonia in Roma nella sala dei Re, il dì 5 di marzo del 1570, gli pose in capo la corona granducale ad onta delle proteste fatte da ministro Cesareo; sicchè i sovrani della Toscana da quell’anno in appresso goderono delle onorificienze di Granduchi. In ossequio di Pio V Cosimo emanò una legge, con la quale fu ordinato ai giudici e ai notari, che tutti gli atti pubblici fossero intestati col nome del Papa vivente innanzi a quello del Granduca regnate.
    La decorazione del toson d’oro che più tardi Carlo V inviò a Cosimo, la conseguenza di un imprestito, o piuttosto di un regalo di 100.000 ducati d’oro.
    Stabilito lo Stato vecchio (che così chiamossi dopo il 1559 l’antico dominio fiorentino) e ingrandito con lo Stato nuovo, ossia quello della distrutta Repubblica senese, Cosimo I, assicurato che fu da ogni interno sconvolgimento, pensò a preservare il suo dominio da qualunque violenza esterna che ne potesse  mai turbare la quiete. Dopo avere eretto le fortezze della città di Arezzo e di Pistoja, procurò una difesa alle frontiere dello Stato col guarnire di torri e di fortilizj le coste, col circondare di mura e fabbricare una rocca dentro la città di S. Sepolcro in Val Tiberina, coll’innalzare dai fondamenti due piazze d’armi, una all’estremo confine della Romagna, appellandola Eliopoli (Terra del Sole), l’altra munita di due fortissimi castelli  nell’Isola d’Elba, designata un tempo col nome del fondatore (
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    Cosmopoli ), più nota però sotto l’antico vocabolo di Porto Ferrajo. Fece incominciare un porto più ampio a Livorno, costruire nel Mugello sopra S. Pier a Sieve l’ampia fortezza di S. Martino, dopo che presso Poggibonsi aveva rifabbricato con solida regolarità il bastione che da Arrigo di Lussemburgo prese il nome di Poggio Imperiale . Dilettavasi inoltre Cosimo, e spendeva assai in fare mine per cavare argento e altri metalli; perciò a Pietrasanta inviò ingegneri mineristi chiamati dalla Germania, nutrendo molti in simile esercizio senza ritrarne gran frutto, e piuttosto con suo danno, se credere si deve allo storico Bernardo Segni ( Stor . Fior . Lib. XI). Dal bilancio fatto nel 1550 di tutte le entrate ordinarie del dominio fiorentino appariva, che esse ammontavano a lordo a ducati 437,934 per anno, e al netto delle spese ordinarie a ducati 267,903. Però la sorgente maggiore delle ricchezze di Cosimo I, colle quali suppliva alle straordinarie spese e al fasto della sua corte, traevale non tanto dai beni dei ribelli (molti de’quali assegnò a’luoghi pii, o donò agli amici) quanto anco dal monopolio della mercatura: stantechè egli interessavasi con le ragioni di ricchi negozianti nelle piazze di Anversa, Bruges, Londra, Lisbona, Barcellona, Marsilia, Lione, Venezia, Napoli e Roma.
    A qual uopo Cosimo impiegava continuamente due galeoni pel trasporto delle mercanzie del Levante e dell’Italia nei porti di Spagna, di Portogallo e di Fiandra, da dove ritornavano carichi delle merci di quelle contrade. Anco la granduchessa Eleonora, al pari del marito intenta a un simile esercizio, potè in progresso, sebbene venuta in Toscana con piccola dote, accumulare un ragguardevolissimo peculio.
    Per queste ragioni le opere di lanificio e i broccati di seta e oro ripresero in Firenze un qualche favore. Talchè il prodotto dei panni fini (detti del Garbo) e di quelli ordinarj nell’anno 1575, ammontò alla somma di due milioni di ducati:
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    nè in questo calcolo si contemplarono i drappi di seta, nè le più minute manifatture, che ricevevansi in America con avidità.
    In conseguenza di ciò Cosimo I divenne il più ricco e denaroso principe dell’Italia, sicchè alla sua morte, stando alle Memorie  MSS. del Settimanni, il di lui successore trovò in cassa un avanzo di sei milioni e mezzo di ducati, parte in contanti e parte in verghe di argento e di oro.
    Se Cosimo seppe sormontare le difficoltà per stabilirsi sul trono coll’imitare i primi anni del regno di Augusto a furia di morti, di condanne e di proscrizioni, lo seppe anche emulare nella magnificenza e nel fare più bella la capitale del suo dominio per sontuosità di edifizj. Tra i quali giova qui rammentare il primo ingrandimento del palazzo che conserva il nome del suo fondatore ( Luca Pitti ), divenuto la più magnifica reggia dell’Europa; il sontuoso fabbricato con portico tutto di pietra concia per servire di residenza a XIII magistrati, detto perciò degli Ufizj ; il lungo corridore che cavalca l’Arno sul ponte vecchio per unire la reggia nuova de’ Pitti con quella di Palazzo vecchio ; la biblioteca Laurenziana disegnata da Michelangnolo e compita dall’Ammannati, che fu l’autore del sorprendete e leggerissimo ponte di S. Trinita. È opera di Cosimo la edificazione del Ghetto che trovasi collocato nel centro della città, fra il distrutto Campidoglio, il Foro vecchio e l’Arcivescovado. Instituì l’Archivio generale sopra la fabbrica isolata di Or San Michele per raccogliervi tutti i pubblici contratti dello Stato vecchio. Col disegno del Vasari fece edificare il loggiato della Pescheria in Mercato vecchio, mentre Bernardo Tasso innalzava più grandiose loggie in Mercato nuovo, sopra le quali, nel 1612, furono collocate le filze degli originali delle pubbliche scritture.
    Lo stesso Cosimo ordinò che s’innalzasse sotto le logge dell’Orgagna la statua del Perseo di Benvenuto Cellini,
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    sulla piazza di S. Lorenzo la base storiata dal Bandinelli per collocarvi sopra la statua di Govanni de Medici di lui padre. Per ordine del sovrano medesimo fu fatto l’acquedotto e la gran fonte di Piazza; fu alzata una colonna di granito delle Terme Antonine di Roma trasportata nella piazza di S. Trinita e messavi sopra la statua di porfido scolpita dal Ferrucci. Una minore colonna di marmo fu posta a S. Felice in Piazza, e quella maggiore di tutte che si ruppe prima di essere collocata nella piazza di S. Marco, poco lungi dal giardino de’Semplici; giardino ordinato dallo stesso Gran Duca un anno dopo quello di Pisa, che è il più antico orto accademico istituito in Italia, cui presedè il primo botanico d’Europa, il Cesalpino.
    Devesi ancora a Cosimo l’istituzione dell’Accademia fiorentina, fondata nell’anno 1542, richiamando così a nuova vita quella aperta in Firenze nel 1485 da Giovanni Mazzuoli detto lo Stradino; dalla quale Accademia nacque l’altra più famosa del bel parlare, che prese per simbolo il Buratto e il titolo di Crusca . Nacquero a Cosimo I dalla granduchessa Eleonora 7 figliuoli maschi e 3 femmine, oltre una figlia dalla seconda moglie Camilla Martelli, la quale donna però non fece mai riconoscere per granduchessa.
    In quanto alle passioni amorose, e alle vicende domestiche attinenti alle vicende del primo Granduca, non avendo esse influenza sulle cose pubbliche, debbono tacersi anzichè propagarsi dallo storico, che non ama confondere l’uomo di stato con l’uomo privato.

    FRANCESCO I, GRANDUCA II

    Morto Cosimo I, li 21 di aprile 1574, nella sua villa di Castello in età di anni 55, gli successe il figlio primogenito Francesco nato nel 1541. Questi sino dal 1564 era stato messo a parte del governo col titolo di reggente senza però che il padre gli cedesse nè la corona nè il maneggio degli affari diplomatici. Ciò avvenne un anno innanzi che Francesco prendesse in
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    sposa Giovanna Arciduchessa d’Austria figlia dell’imp. Ferdinando I.
    La congiura di molti giovani attinenti a famiglie nobili di Firenze, dei quali trovavasi alla testa Orazio Pucci, punita con la morte di alcuni di loro e la condanna di ribelli di tutti gli altri, segnalò il primo anno del suo regno. Era tra i principali congiurati Pierino di Lorenzo di Piero Ridolfi, il cui palazzo in via dè Tornabuoni, ricco di statue e di altri oggetti di belle arti, fu da Francesco I con il giardino e case contigue, nel febbrajo del 1576, donato a Marco Scittico cardinale di Altemps per affezionarlo alla sua casa: e da questo, nel maggio 1577, venduto per 13.000 ducati d’oro ad Alessandro de’Medici arcivescovo di Firenze; sino a che i suoi eredi, del ramo de’Medici de’principi di Ottajano di Napoli, nel gennajo del 1607, alienarono tutto quel fabbricato per ducati 24.000 a Bardo Corsi di Firenze. (Arch. Dipl. Fior. Carte del Monte di Pietà ).
    Nel secondo anno, Francesco I fu riconosciuto dall’imperatore Massimiliano col titolo di Granduca di Toscana, e in seguito dal re di Spagna  e da tutti gli altri sovrani. In tal guisa fu terminata una clamorosa causa di precedenza fra la casa de’Medici e quella d’Este, stata per 35 anni il passatempo diplomatico di tutti i gabinetti di Europa.
    Francesco I, se da un lato superava il padre in dottrina, dall’altro lato gli era di gran lunga inferiore nei talenti di uomo di stato.
    Gl’imperatori ed i re, che avevano ambito l’amicizia di Cosimo, consideravano il figlio meramente come un feudatario. Poco attento per natura agli affari, indifferente per la principessa di cui era stato fatto sposo, più di ogn’altra cosa l’occupavano le feste, i conviti, e alcuni fisico-chimici esperimenti. È altresì vero che Francesco non obliò i grandiosi concetti del padre, come quello di proseguire le fortificazioni di Livorno, di gettare solennemente  (28 marzo 1577) la prima
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    pietra della nuova città, e di destinare assegnamenti opportuni a farne un grande emporio; e per quanto l’incominciata impresa non progredisse a grandi passi, tuttavia fu continuata per fino che durò il suo regno.
    Lo stesso Granduca seguitò l’operazione incominciata da Cosimo I col far rivedere e rinnovare gli statuti municipali, onde metterli in consonanza col governo monarchico, come anche per gli statuti delle arti e mestieri, alle quali corporazioni peraltro tolse i loro patrimonj. Tutto in somma mirava in lui a compire l’opera paterna, ad estinguere cioè ogni residuo di autorità repubblicana, lasciando solamente le apparenze e i nomi senza potere.
    Imperocchè sotto Francesco I il magistrato Supremo, ossia quello dei 4 Consiglieri e del Luogotenente granducale, che doveva raffigurare l’immagine  della Signoria di Firenze, era divenuto un mero tribunale civile: così pure gli altri magistrati, comecchè decretassero in nome proprio, non agivano che in forza di un rescritto sovrano. La giurisdizione criminale, per quanto fosse esercitata dagli Otto di Guardia , o di Balia , tutta l’autorità riconcentrossi nel loro segretario Lorenzo Corboli da Montevarchi, che divenne uno de’più terribili e prepotenti ministri di Francesco I.
    Alla contabilità delle finanze dello Stato presedeva un ministro col titolo di depositario generale. A lui erano subordinate, non solamente le varie branche dell’amministrazione economica, ma anco quelle del commercio privato del Granduca, per cui Francesco teneva in corso due galeoni destinati a convojari altri legni carichi di produzioni di varie contrade. La mercatura delle gioje era la sola che quel principe esercitasse da per sè stesso, essendo più d’ogn’altro intelligente in sì fatte merci, e vago di averne delle più rare e più preziose.
    Se in questa parte superò lo stesso suo padre, non lo imitò peraltro rapporto alla sua spledidezza. Imperocchè, se nei primi tempi Francesco tenne una corte con fasto quasi regio, negli ultimi anni della sua vita comparve al pubblico troppo ristretta e poco decorosa.
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    Divenuto per vergogna e per rimorso inaccessibile ai sudditi, viveva ritirato nella villa di Pratolino, nella costruzione della quale si racconta che egli impiegasse una somma immensa di denaro, lasciando totalmente in mano dei ministri le redini dello Stato.
    Il principato di Francesco I non fu di lunga durata, essendo egli morto in compendio, quasi insieme con la seconda moglie Bianca Cappello, il dì 19 ottobre 1587 nella villa del Poggio a Cajano, mentre correva l’anno XIV° del suo regno e il XLVII° di sua età.
    Francesco fu protettore dei migliori artisti, e a lui si deve la fondazione della sorprendente Galleria di Firenze, stata notabilmente accresciuta da quasi tutti i Granduchi della prima e della seconda dinastia; talchè la numerosa collezione di oggetti di belle arti, di pitture di varie scuole e di varia età, può dirsi la più completa di tutte le Gallerie di Europa.
    Fra i più eccellenti architetti da Francesco I nelle maggiori sue fabbriche adoprati furono l’Ammannati e il Buontalenti. Il primo di essi disegnò la costosa villa di Pratolino, per la quale Francesco I spese scudi 782000; ed è opera dello stesso architetto il palazzo delle RR. Guardie in Via larga denominato il Casino di S. Marco . Diede pure molte commissioni di pitture ad Alessandro Allori, a Bernardino Poccetti e ad altri; e fu sotto il suo regno quando Gio. Bologna sotto un arco delle logge dell’Orgagna innalzò il sorprendente gruppo delle Sabine.
    Le lettere italiane coltivate e incoraggite per istinto della Casa de’Medici, sembra che fissassero a quest’epoca la loro sede in Firenze, dove comparve il Tacito italiano, mercè l’opera di Bernardo Davanzati.

    FERDINANDO I, GRANDUCA III

    Essendo il Granduca Francesco mancato senza figliuoli maschi, prese tosto le redini del governo Ferdinando suo fratello minore, il quale può dirsi il più grande principe della dinastia Medicea, e quello che fu dai sudditi realmente amato, e generalmente stimato. Imperocchè, se
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    da porporato aveva dato prove luminose di un gran talento e di un animo nobile, allorchè divenne Granduca si distinse per ogni genere di azioni. Creato Cardinale a quattordici anni dal pontefice Pio IV, divenuto adulto si recò a Roma (anno 1569) dove dimostrò di buonora la sua indole generosa e l’amore ingenito nella sua famiglia per gli artisti e gli oggetti più rari di belle arti, acquistando a caro prezzo la Venere de’Medici e la famiglia della Niobe, i Lottatori, l’Ermafrodito, il così detto Arrotino, e molte altre statue  e teste antiche, onde adornare la deliziosa villa Medicea, da esso lui fatta edificare sul colle Pinciano. Egli fu che aprì in Roma la stamperia di Propaganda con caratteri orientali, affine di agevolare la propagazione della fede nelle parti degl’Infedeli in Oriente.
    Con sì fausti auspicj Ferdinando I, appena salito sul trono della Toscana, vi sviluppò un piano di politica opposta a quello de’suoi antecessori, perchè mirava a emanciparsi dalla corte di Spagna e a legare al suo sistema i varj principi d’Italia, tutti disgustati dell’orgoglio e della prepotenza di Filippo II.
    Ne diede una prima prova il matrimonio contratto nel 1589 con la principessa Cristina figlia di Carlo duca di Lorena, a preferenza di un’Arciduchessa d’Austria, e di una figlia del duca di Braganza, che la Spagna voleva dare al Granduca: e a costo delle rimostranze fattegli, che, a forma del trattato della cessione di Siena nel 1557, i matrimonj di casa Medici dovevano stabilirsi a beneplacito della corte di Madrid. Ferdinando intento a strappare il freno spagnuolo offrì piuttosto al sua mano a una principessa Lorenese propostagli da Caterina regina di Francia sua parente, la quale in occasione di tali  nozze cedè ogni sua ragione sui beni di casa Medici, e ogni diritto che poteva aver ereditato sul ducato di Urbino. Nelle feste eseguite in Firenze per tali nozze si diede il
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    primo saggio de’drammi musicali e dell’Opera italiana nel nuovo teatro costruito sopra la fabbrica degli Ufizj.
    Le più grandi cure di Ferdinando furono dirette a tre oggetti di pubblica economia per la felicità dei suoi sudditi; cioè all’aumento e prosperità del commercio di Livorno, al disseccamento della Val di Chiana, e alla riduzione della Maremma senese.
    Pieno il desiderio di  porre in esecuzione le idee del padre, ferdinando continuò a richiamare in Pisa i mercanti esteri, procurando loro magazzini e abitazioni, mentre nel 1587 nel porto di Livorno vedeva gettare i fondamenti della fortezza nuova, e dentro il mare piantare le palizzate per fondarvi sopra un muraglione che unire doveva il fanale alla Terraferma; costà dove sorgevano numerosi edifizj, costà dove accorrevano da ogni contrada commercianti e artisti di qualunque setta o religione, sotto l’egida di un indulto di  tolleranza pubblicato nel 1593, incoraggiti da provvedimenti benefici coloro che vi accorrevano, e da utili franchigie per le industrie che vi si esercitavano. Onde poi avere una comunicazione più diretta e più facile fra Pisa e Livorno, lo stesso principe fece voltare una parte dell’Arno col diversorio del canale Naviglio , e ciò dopo aver messo al coperto il littorale dai corsari, dalle frodi di contrabbando e sanitarie  mercè le compagnie de’cavalleggeri di costa istituite nel 1592.
    Quattr’anni continui di carestie, avendo portati fuori della Toscana più di due milioni di scudi d’oro per comprare vettovaglie, e sviluppate dentro il dominio epidemiche malattie, mortalità straordinarie e sbigottimento universale, suggerirono all’animo imperturbabile di Ferdinando un mezzo di tirar profitto anche dalle pubbliche calamità. Nella speranza di ritrarre la sussistenza dal proprio Stato, questo Granduca rivolse le sue cure al prosciugamento della Val di Chiana, e alla riduzione della Maremma senese, nel tempo stesso che egli procurava di risanare l’umida Val di Nievole e la bassa pianura di Pistoja.
    La grandezza d’animo di un tal principe fu d’immenso sollievo ai suoi popoli, a benefizio
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    dei quali egli  versava a larga mano i tesori lasciati da Francesco I. Però fra le diverse leggi agrarie da esso pubblicate, ve ne furono di quelle che vincolarono il commercio con la speranza di prevenire le carestie,  e che conseguentemente paralizzarono ogn’altra misura tendente ad accrescere la produzione del suolo. Instituì il magistrato dei Fossi per dirigere con un sistema uniforme le operazioni idrauliche delle provincie di Pisa e di Grosseto.
    Il genio di Ferdinando per le grandi imprese marittime e per le sue peculiari speculazioni mercantili in diverse parti di Europa, somministravagli frequenti occasioni di occupare utilmente la toscana marineria in varie spedizioni nell’America, nel Mar rosso e contro i Turchi in Levante. Al qual effetto aumentava egli annualmente il numero dei suoi legni, montati dalle caravane dell’Ordine militare di S. Stefano. Talchè la sua marina era nel mediterraneo la più esercitata e la più formidabile per la pirateria contro i Levantini e gli Affricani.
    Fra le più ardite e gloriose imprese della flotta Toscana comandata dall’ammiraglio Cavagliere Jacopo Inghirami, fu senza dubbio quella della città di Bona sulla costa di Barberia (anno 1607), dove si conquistarono 11 insegne, 1500 schiavi, molte armi e projettili da fuoco.
    Una si felice spedizione eseguita sotto li nome del figlio primogenito del Granduca, fu appresa in Firenze come un augurio della prospera fortuna di questo principe, allora in età di 17 anni,  in tempo appunto che trattavasi il suo matrimonio. Tali nozze furono infatti celebrate con straordinaria pompa in Firenze nell’anno susseguente, epoca in cui Ferdinando riunì stabilmente al suo dominio la contea di Pitigliano, acquistata dagli Orsini.
    Un’altra non meno gloriosa vittoria si ottenne dalla flotta del Granduca sopra i Turchi nell’Arcipelago, nella quale occasione si fecero 700 prigionieri con una preda che oltrepassò il valore di due milioni di ducati. Questa seconda impresa marittima era per chiudere quell’anno fra le allegrezze e il giubbilo universale, quando la fatalità della
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    sorte volle che tanto giubbilo fosse funestato dalla morte di Ferdinando, accaduta li 3 febbrajo del 1609, col compianto dei Toscani e di tutta l’Europa.
    Avvegnachè Ferdinando I, per quanto egli potè, fece il  bene dei suoi sudditi e della sua famiglia siccome avrebbe voluto farlo all’Italia tutta col tentare d’indebolire l’ifluenza spagnuola nella bella penisola, al qual fine egli recò soccorso di forze, di denari e di consigli a Enrico IV re di Francia, che fu della corte Spagnuola rivale.
    Ferdinando I, riuniva tutte le qualità necessarie d’un ottimo principe; il suo governo non fu soggetto a intrighi di corte,  nè egli,  nel corso di 23 anni, variò mai i tre principali e fedeli ministri del suo consiglio, Belisario Vinta per gli affari Esteri, Lorenzo Usimbardi per gli affari Interni, e Carlo Antonio del Pozzo arcivescovo di Pisa per gli affari di Giustizia e di Regio Diritto . –  Ingenuo ma cauto, saggio ma vigoroso nelle deliberazioni, di animo risoluto ma grande anche nelle disgrazie, di carattere collerico ma che sapeva placarsi  e conoscere a sè stesso il suo naturale, per cui egli godeva quando sentiva che i suoi ministri avevano sospeso le risoluzioni date in mezzo  a quei trasporti. L’impresa del re delle Alpi collo sciame attorno, ed il motto Majestate tantum , che si vede nella base della statua equestre fatta da Gio. Bologna dei metalli rapiti al fiero Trace , ed innalzata nella piazza della Nunziata in Firenze per onorare la memoria di Ferdinando I, denota bastantemente, che in mezzo alle altre virtù trionfava in lui la clemenza . –  Quanto era frugale ed economo in famiglia, altrettanto Ferdinando mostravasi splendido e generoso nell’occasioni di pubbliche feste, nelle grandi imprese, nel soccorrere i suoi popoli, nel premiare la virtù e i fedeli servigj.
    Firenze acquistò, mercè questo principe, due rarità che la resero infinitamente più pregevole
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    per i dilettanti del bello; essendo stata arricchita della statua della Venere detta de’Medici, capo d’opera della scultura antica, e della numerosa famiglia marmorea della Niobe, adornamento il più bello della R. Galleria, e ciò per acquisto fatto in Roma da Ferdinando mentre era Cardinale.
    Fu pensiero dello stesso principe la fondazione di un nobile e maestoso asilo ai trapassati della famiglia granducale, facendo disegnare dal fratello don Giovanni nato da Cosimo I e da Eleonora degli Albizzi, architetto militare più che civile, il tempio ottagono della cappella de’Principi accosto alla R. basilica di S. Lorenzo a Firenze; tempio che fu incominciato nel 1604, proseguito dal figlio e dal nipote di Ferdinando I, e portato presso che al termine di una completa decorazione dal magnanimo Granduca LEOPOLDO II felicemente regnante. – Vedere COMUNITA’ DI FIRENZE.
    Col disegno del Buontalenti  Ferdinado I edificò nel 1590 la fortezza di Belvedere sul poggio di Boboli, e quindi istituì lo spedale de’Convalescenti sulla piazza di S. Maria Novella. Fondò, sebbene senza effetto, il monte de’Vacabili con la mira di rimediare ai danni che risentivano le arti, il commercio e l’agricoltura dal patrimonio eccelesiastico, come quello che assorbiva la maggior parte dei beni della Toscana, nel mentre che monaci, preti e frati negavano di soddisfare le gabelle al principe. Fece erigere coll’opera di Gio. Bologna la statua equestre di Cosimo I suo padre, e sulla coscia del ponte vecchio dalla parte di Oltr’Arno il gruppo marmoreo della lotta di Ercole col Centauro. Donò all’altare della SS. Annunziata de’Servi il gran dossale di argento, scolpito col disegno di Matteo Nigetti. Impiegò il Buontalenti nell’innalzare dai fondamenti in brevissimo tempo la villa Ferdinanda, ossia di Artimino, dopo aver costruito presso Montelupo  quella dell’Ambrogiana. Fra le grandi opere fatte in Pisa contasi l’acqedotto magnifico dal suo figlio Cosimo II compito per condurre da Asciano acque copiose e salubri dentro la città,  dove
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    fece restaurare con grandissima spesa il duomo, stato da un incendio nel 1594 rovinato: aprì il primo museo di storia naturale, ed eresse il  collegio Ferdinando per gli alunni di quella Università, in tempo che il di lui ministro arcivescovo del Pozzo impiegava le sue ricchezze nella fondazione del collegio Puteano . In Siena avvivò quella languente Università col mettervi non meno di 35 cattedre. A Grosseto compì la costruzione delle sue mura castellane e della fortezza incominciate da Francesco I.
    Il commercio de’Fiorentini e le loro manifatture eransi mantenute nell’istesso grado a cui pervennero sotto Cosimo I. Contasi che si fabbricassero allora annualmente in Firenze per tre milioni di scudi fra drappi di seta, tele d’oro, di argento e rasce. È certo che si compravano ogn’anno 300,000 scudi di sete greggie nei regni delle due Sicilie; talchè l’estrazione di sì ragguardevole somma di denaro dallo Stato indusse Ferdinando a promuovere con ogn’impegno la propagazione e coltura dei gelsi in Toscana. Molti Fiorentini in quel tempo viaggiavano all’Indie e in America, riportando in patria nuove e rarissime produzioni da quelle contrade.
    Essi  furono che insegnarono la mercatura di contrabbando agl’Inglesi e agli Olandesi, coi quali allora facevano un commercio attivo i Fiorentini, stati incoraggiti dall’esempio dei loro antenati, Amerigo Vespucci e Giovanni da Verrazzano, due uomini che ispirarono nei Toscani tutti l’ardire per lunghe navigazioni.
    Ferdinando sino dai primi anni che salì sul trono pensò di riunire le arti  più belle e di maggior lusso nella R. Galleria sopra gl’Ufizj, invitando nel tempo medesimo da ogni parte artefici per eseguirle, onde emancipare i suoi stati dalle manifatture estere.
    L’arte di lavorare e di commettere le pietre dure intradotta da Cosimo e favorita da Francesco, ricevè da Ferdinando maggior perfezione sino al punto di rappresenatare con esse ritratti a guisa di mosaico.
    Lasciò Ferdinando otto figli, quattro maschi e altrettante femmine, tutti nati dalla granduchessa
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    Cristina di Lorena, alla quale assegnò un legato annuo di 27000 scudi, oltre il libero governo, sua vita naturale durante, dei capitanati o vicariati di Montepulciano e di Pietrasanta, e ciò a forma de’patti nuziali.

    COSIMO II, GRANDUCA IV

    Salì sul trono della Toscana Cosimo II nel giorno in cui morì il di lui padre che gli servì di modello, e nelle fresca età di anni 19 non compiti. Il principio del suo governo fu illustrato dalle scoperte astronomiche dell’immortale Galileo, richiamato da Padova, allorchè questo genio diede il nome di Stelle Medicee ai satelli di Giove. Concorsero a rendere più splendida la corte di Cosimo un’ambasceria del Sofì di Persia e la successiva venuta a Firenze di un Sultano profugo, fratello dell’imperatore Ottomano Acmet ; e per ultimo la comparsa dell’Emir di Sorìa, profugo egli pure a cagione dell’invasione dei suoi Stati fatta dai Turchi. Tali avventure facevano meditare ad ogni momento crociate di sacre alleanze e spedizioni in Terra Santa, progettate da Cosimo II senza che sortissero alcun effetto, perchè tutti gli occhi allora erano rivolti alla rivalità tra la Francia e la Spagna, dall’unione delle quali due monarchie dipendeva la pace dell’Europa. Frattanto gli amici della quiete pubblica promossero tra le due dinastie un doppio parentado, e Cosimo II ebbe la gloria di essere il mediatore e il confidente di sì importante patto di famiglia, mediante un reciproco matrimonio, che fu conchiuso dopo molti contrasti,  nel 1611 fra i  figli primogeneti  e le figlie dell’una e dell’altra dinastia, convalidato da una lega difensiva fra le due corone. Era per compirsi un terzo matrimonio fra Caterina sorella di Cosimo II ed Enrico principe di Galles, figlio di Giacomo re d’Inghilterra; il quale monarca per l’ampiezza della dote anteponeva una sposa di casa de’Medici a molte altre di famiglie reali, accordando alla futura nuora e alla sua corte l’esercizio libero della religione cattolica, e promettendo anco una modificazione
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    al giuramento di fedeltà che dai cattolici si prestava in quel regno. Ma il cardinal Bellarmino sconcertò tutto, e Paolo V negava  a Cosimo II la dispensa del parentado con una corte eterodossa tanto che la morte immatura del principe di Galles terminò tutte le questioni.
    Cosimo II era tutto per la pace de’suoi sudditi, e trovava sempre il modo di condurre prudentemente gli affari che avrebbero potuto metterlo in urto con i sovrani di Europa. Nel suo politico contegno peraltro seguì le massime di famiglia tendenti ad aderire ai voleri della corte di Madrid; cosicchè, in vigore della capitolazione di Siena del 1557, non potè negare un corpo di milizie in sussidio de’governatori spagnuoli in Milano, si all’occasione delle controversie insorte sulla successione del Monferrato (anno 1613), quando allorchè comparvero, nel 1616, i Francesi in Piemonte. Ebbe Cosimo II molte brighe col ministro di Francia, dopo che a Parigi fu assassinato il maresciallo d’ Ancre , dal che ne vennero i  mali trattamenti fatti da Luigi XIII alla propria madre Maria de’Medici.
    Il governo di Cosimo II non presenta un’epoca tanto importante come quella di Ferdinando suo padre; chè anzi sotto un qualche aspetto sino d’allora furono sparsi i semi del futuro decadimento dello Stato.
    Egualmente benigno verso i sudditi, non era egli egualmente magnanimo, pronto e intraprendente come il  padre. Principe culto, d’indole moderata e di salute cagionosa e fiacca, fu per natura sensibile ai piaceri dell’immaginazione, alla musica, alla poesia e agli spettacoli cavallereschi. La sua corte fu montata con maggior fasto che non era stato ai tempi del padre  e dell’avo; e per accrescere il numero di chi doveva popolarla, si vide sotto di lui  introdursi nel palazzo Pitti la società dei nani e dei buffoni; gli mancavano però le ricchezze del padre  e dell’avo, per aver abbandonato affatto la mercatura. Moltiplicò le cacce e le pesche riservate nelle RR. bandite, e nel 1619 cominciò a concederle anche ai gentiluomini con grave danno all’agricoltura.
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    Nel 1620 cambiò un punto importante della legislazione fiorentina, pochè ristrinse, e spogliò in gran parte le femmine del diritto di successione.
    Aprì un asilo in Livorno ai Mori cacciati di Spagna, ma fu costretto, stante la loro ferocia, a rimandarli quasi tutti in Barberia. Sotto la direzione e soprintendenza di don Giovanni de’Medici  suo zio costruì il Molo che porta il nome di Molo di Cosimo , accrebbe abitazioni e comodi alla nuova città, che andava sempre più prosperando per concorso di  merci, di negoziati e di artigiani.
    Fiorirono sotto il suo regno, tra gli architetti Matteo Nigetti e Giulio Parigi, ai quali commise la continuazione della grandiosa reggia del palazzo Pitti, della R. cappella di S. Lorenzo e la costruzione della loggia del Grano; tra i pittori il Cigoli, il Passignano, Cristofano Allori ed il Rosselli, ch’ebbero tutti commissioni  e lavori dal Granduca; tra gl’incisori in rame il Callotta; e tra gli scultori il Francavilla, il Fancelli e Pietro Tacca che divenne il miglior allievo di Gio. Bologna, cui affidò il lavoro del superbo monumento eretto nel Molo di Livorno in onore di Ferdiando I di lui padre, rappresentato in una statua colossale di marmo, alla cui base sono incatenati alcuni schiavi di bronzo di una maravigliosa bellezza.
    La massima gloria però e il maggior decoro di Firenze e della Toscana era in questo tempo Galileo, meritamente onorato da Cosimo II; il qual principe, se non veniva rapito da morte immatura, non avrebbe forse sofferto di vedere il più gran genio delle scienze mattematiche lasciato in balìa per opprimersi, come poi  lo fu, dalla maldicenza, dall’ignoranza e dalla malvagità.
    Ma tutto cominciò a declinare da momento in cui Cosimo, nel 1615, afflitto da malattia, e presago di un prossimo fine, credè prevenire le triste conseguenze della sua morte con un testamento che servisse di norma al governo della Reggenza del figlio minore.
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    In tale occasione egli aumentò alle fanciulle le doti instituite dal padre coll’ultima sua volontà; assegnò i fondi per il proseguimento delle RR. fabbriche; costituì ai figli cadetti un’annua entrata di 40,000 scudi per ciascuno, alle principesse le doti, e alla granduchessa sua consorte un annuo legato di 30,000 scudi, oltre al governo delle città di Colle e di San Miniato con le loro entrate dichiarandola Tutrice e Reggente del figlio insieme con la vedova ( ERRATA: l’Arciduchessa Maria Maddalena) la Principessa Cristina di lui madre, e trasfondendo in esse,  durante la minorità del successore, il pieno esercizio della sovranità, previo il parere di un consiglio di quattro ministri, cui dovevano servire di segretarj il Pichena ed il Cioli.
    Chiuse il suo tesoro a chiunque, proibendo imprestiti, operazioni mercantili e spese straordinarie: e volle che solo potesse aprirsi il suo scrignio per dotare le principesse, o per sovvenire alle pubbliche calamità. Morì Cosimo II li 28 febbrajo 1621, nella freschissima età di 31 anni, lasciando cinque figliuoli maschi e 3 femmine, nati dalla (ERRATA: Granduchessa Cristina) Granduchessa Maria Maddalena d’Austria.

    FERDINANDO II, GRANDUCA V

    Nato nel 1610, ai 14 di luglio, non potè prendere le redini dello Stato, se non che al suo diciottesim’anno. Per tal modo la Toscana restò sei anni e mezzo in balìa della Reggenza instituita da Cosimo II. La qual Reggenza cominciò subito a divenir pesante ai popoli per mezzo d’inopportuni sconvolgimenti e di riforme meno che necessarie, trascurando quelle ordinate dal testatore, lasciando sussistere tutto ciò che serviva al fasto inutile, e sospendendo i lavori delle fabbriche granducali. Le vedove Granduchesse tutrici si allontanarono talmente dalle massime della pubblica economia, che la Toscana se ne risentì per lunghissima età. Esse medesime intrapresero per loro conto il commercio dei grani della Maremma senese, con che finirono di rovinare quella provincia sventurata.
    La saggia condotta di Ferdinando II apparve sino dal primo anno del suo
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    governo (anno 1628), quando la Toscana fu invasa da mortifera pestilenza, che rapì a Firenze 9000 abitanti, e che portò la desolazione e un totale sconvolgimento al commercio di Livorno. Di molto cordoglio fu anche pel giovane principe il vedere arrivare con la sua famiglia in Firenze il duca di Lorena suo cugino per cercare un asilo in Toscana, spogliato de’suoi Stati dai Francesi. Diede occasione a ciò la guerra de’30 anni, accesa in Europa dai maneggi del cardinal Richelieu, ostinato nel cercare la depressione della casa d’Austria sì in Germania, come nella Spagna: talchè nel 1635 quest’incendio si comunicò anche all’Italia. Il solo duca Odoardo Farnese di Parma si lasciò sedurre dalle pratiche del ministro francese, e benchè Ferdinando II facesse di tutto, per distornarlo dalla sconsigliata determinazione, non per questo vi riuscì; siccome inutili furono i suoi sforzi per combinare una lega, che tendesse a mantenere la neutralità ne’principi italiani. La guerra continuò, i Francesi ebbero la peggio, e tocco poi al Granduca di salvare il Farnese suo cognato dallo sdegno degli Austriaci.
    L’occupazione di Castro e di Ronciglione, fatta dai Barberini nipoti di Urbano VIII a danno del Farnese, i raggiri e i continui dissapori ricevuti dalla corte di Roma a cagione di giurisdizione, mossero e fecero insorgere fra Urbano VIII e Ferdinando II serie contese, che terminarono in una guerra. Per rafforzare l’esercito toscano contro il Papa furono invitati tutti i bravi e tutti i facinorosi dell’Italia: e per sostenere le spese furono accresciute di un terzo le gabelle, dichiarati alcuni oggetti di diritti di regalia, e introdotto l’uso della carta bollata. Questa guerra ridicola e disastrosa si ridusse poi ad alcuni piccoli fatti d’armi, e alla battaglia di Mongiovino, seguita li 4 settembre 1643, nella quale non si contarono più di 25 morti sul campo. In tale occasione, volendo profittare della capitolazione di Siena del 1557, a tenore della quale la casa de’Medici doveva prestare soccorso di milizie alla Spagna in ogni
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    contingenza di guerra con patto di reciprocità, il Granduca aveva chiesto per la prima volta sussidio di genti di armi alla Spagna; ma gli fu tosto negato col diplomatico ripiego, che la corte di Madrid avrebbe dovuto prestare egual soccorso al Papa, il quale lo poteva pretendere per l’alto dominio sul regno di Napoli, allora sotto il governo spagnolo.
    Nell’anno 1662 l’Italia trovandosi minacciata, e in procinto di essere posta a socquadro da Luigi XIV per un disgustoso accidente occorso al suo ambasciatore in Roma, Ferdinando II s’intromise in tale spinoso affare, facendosi il mediatore di un accomodamento tra il re di Francia e il pontefice Alessandro VII.
    È reputato questo Granduca tra i migliori della dinastia Medicea, sebbene non migliorasse in alcuna guisa, durante il suo regno, la sorte della Toscana, il di cui stato economico-agrario fu anzichenò oppresso dai vincoli sempre maggiori. Dondechè la coltura della terra si abbandonò e il commercio si affievolì, nel mentre che le nazioni oltramarine e oltramontane s’impadronivano di tutti i rami di maggior profitto.
    Ferdinando II, cinque anni dopo essersi messo alla testa del suo Stato, erasi unito in matrimonio a Vittoria di Ubaldo della Rovere, principessa ereditaria del ducato di Urbino, come ultimo fiato della sua casa, e da cui ebbe soli due figliuoli.
    La prudenza fu la compagna del suo governo; ma essendo questa virtù per ordinario scompagnata dal coraggio, così Ferdinando II venne addebitato di non aver saputo far valere le sue ragioni per parte della moglie sul ducato di Urbino, di cui ella era legittima erede; di non avere troppo bene regolata la guerra contro i Barberini, e di avere abbandonato il progetto di erigere un monumento a Galileo, allorchè gli fu fatto sentire, non doversi far l’elogio di un uomo ch’era stato nelle mani dell’Inquisizione.
    Ferdinando al pari degli altri Granduchi suoi predecessori protesse coloro che professavano le Belle arti, tra i quali Pietro Tacca scultore, al quale ordinò una copia
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    di bronzo del Cignale di marmo antico di Galleria per porlo davanti alle logge di Mercato nuovo; Giovanni da S. Giovanni, e Pietro da Cortona pittori, e Stefano della Bella incisore.
    Ma chi si distinse sopra tutti dalla famiglia Medici nel proteggere i cultori delle scienze esatte, fu il cardinal Leopoldo, uno dei fratelli di Ferdinando II. Divenuto egli stesso dottissimo, prima che vestisse la sacra porpora, fondò nel 19 giugno 1657, la celebre accademia del Cimento , la prima che si dedicasse agli studj della fisica esperimentale e che figurasse in Europa.
    Avvi memoria che presso il Gr. D. Ferdinando si tenessero private adunaze scientifiche fino dal 1648, in cui il Viviani preparò una Raccolta di Eperienze senz’ordine , dove furono descritti molti strumenti d’invenzione dello stesso Granduca, riportati in disegno nel Saggio di Naturali Esperienze. Quest’accademia, celebre per i grandi uomini che la componevano, e per l’importanza delle scoperte che diede alla luce, tenne l’ultima sua adunanza scientifica li 5 marzo del 1667.
    Due furono i motivi che cospirarono al suo scioglimento, la dissensione tra gli accademici prodotta dall’irrequieto Alfonso Borelli, e la promozione di Leopoldo al cardinalato. Vogliono alcuni, che anche l’Inquisizione vi avesse la sua parte, mal contenta del principio di negare quello che non si vedeva.
    Fu dono del card. Leopoldo alla Galleria di Firenze la raccolta dei ritratti dei più rinomati pittori, dipinti da loro medesimi, collezione che fu sempre più, e che anche ai nostri giorni viene con cura particolare dei ritratti de’migliori pittori dell’Europa aumentata. Cominciò la raccolta dei Cammei, e aumentò quella delle Medaglie di circa 2000 delle più rare, fra le quali 750 in oro. A lui si deve la prima Collezione dei disegni che ivi si conserva dai primi sbozzi de’scolari de’Greci fino ai tempi di Raffaello.
    A spese di un altro cardinale (Carlo de’Medici) fratello del granduca Ferdinando II, videsi compita la magnifica chiesa de’SS.
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    Michele e Gaetano nella piazza degli Antinori, cominciata col disegno di don Giovanni de’Medici zio di Ferdinando, proseguita da Matteo Nigetti, e terminata nel 1648 da Gherardo Silvani.
    Fu ai tempi di Ferdinando II quando Eleonora Ramirez da Montalvo fondò nel 1647 la Congregazione per l’educazione delle fanciulle nelle case presso quella del celebre Viviani, in via dell’Amore, attualmente in Ripoli, e nel 1650 il nobile Conservatorio della Quiete presso la R. Villa di Castello.
    Ferdinando II nel 1633 aggregò al Granducato la contea di S. Fiora, venduta dalla casa Sforza, e nel 1650 Pontremoli col suo territorio, comprato dalla corte di Spagna. Morì nel 1670, ai 23 di maggio, lasciando due figli maschi, Cosimo suo primogenito e Francesco Maria.

    COSIMO III, GRANDUCA VI

    Cosimo nato ai 14 agosto 1642, successe immediatamente al padre nel governo dello Stato, non però nelle qualità di animo e nella nobiltà delle idee. Quantunque educato in una corte fiorita d’uomini letterati e di filosofi, pel suo corto talento, e per una certa propensione all’ascetticismo e agli scrupoli insinuatigli dalla madre, Cosimo non ricavò alcun utile profitto per sè e molto meno per i suoi sudditi.
    La maniera di viaggiare ch’egli tenne in varie parti di Europa, all’età di 26 anni, dimostrò chiaramente ch’egli nel visitare le contrade e i gabinetti non andava a cercar sapienza, nè arte di governare tra i costumi delle varie nazioni, ma sivvero a far pompa della sua magnificenza e di una vistosa pietà. Non è da maravigliarsi però se il nome che si era fatto in Europa un letterato del suo seguito, il conte Lorenzo Magalotti, stato segretario dell’accademia del Cimento, offuscasse quello del principe che accompagnava.
    Il frutto, che Cosimo III raccolse dalla visita delle corti oltramontane, fu il disprezzo per le cose del proprio paese; talchè la sua casa fu montata in una maniera più magnifica e più dispendiosa, la reggia addobbata di drappi
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    di Francia e d’Inghilterra, le genti di servizio per maggior fasto chiamate da remote regioni, e la mensa sontuosamente imbandita coi prodotti più delicati ed esotici.
    Il carattere costante di Cosimo III era quello di figurare facoltoso e potente. A tale effetto comprava dall’Imperatore per grosse somme di denaro il titolo di Altezza Reale ; regalava con profusione tutti i forestieri di distinzione che lo visitavano, faceva lo stesso annualmente con tutti i ministri esteri e con molti monarchi: ma quelli che più d’ogn’altro esaurivano i suoi ricchi scrigni erano gli eccelsiastici, i prelati di Roma, e in special modo i Gesuiti; i quali ultimi sino dal fondo dell’Asia strappavano da lui generosi assegnamenti, che il popolo per derisione chiamava pensioni sul Credo , in vista specialmente dei tesori che si profondevano agli eterodossi per convertirli, ai neofiti per alimentarli, ai santuarj per arricchirli, ai missionarj acciocchè trattenessero il popolo in frequenti prediche e processioni.
     In conseguenza di queste e di altre consimili prove di ambiziose magnificenze e di pietose dimostrazioni, le avite ricchezze e quelle dello Stato si esaurirono al punto da mancare al granduca talvolta il denaro per le paghe della milizia e dei pubblici impiegati. Arroge a ciò l’esorbitanti somme che cotesto principe, minacciato da un’invasione militare, dovette contribuire alla Camera aulica per i feudi di Lunigiana; in conto dei quali dal 1706 al 1711, si calcola che pagasse 300,000 doppie d’oro. Per tali angustie trovossi costretto di ricorrere a gravose imposizioni straordinarie, ossia collette , proprie ad alienargli, piuttostochè a conciliargli l’obbedienza e l’affezione dei sudditi; e ciò non bastando, bisognò che Cosimo III ipotecasse per sino le sue più preziose gioje.
    Ma il male ancor più grave era, che la propensione del principe per le persone bigotte induceva molti furbi e ribaldi all’ipocrisia, come mezzo sicuro di entrargli in grazia. Che però destava onta e dispetto vedere quei falsi devoti proteggersi scambievolmente e far setta fra loro, come
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    sogliono praticare tante altre congreghe segrete da tutti i governi condannate.
    A un sovrano di simil tempra, e che stava rigorosamente sul puntiglio delle cerimonie, a quello cui non si vedeva mai sul labbro un sorriso, sul volto un moto di ilarità, a lui toccò in moglie una brillante principessa (Margherita Luisa d’Orleans) tutta vezzi e tutta grazie, stata già educata alla corte di Luigi XIV colla mira di farne una regina di Francia. Non era appena concluso il trattato di matrimonio, che morì il ministro Mazzarino, e la madre di lei tentò di annullare il contratto; ma Luigi XIV mise la sposa promessa sul duro bivio, o di andare in Toscana al talamo di Cosimo, o in un convento rinchiusa per fin che viveva; cosicchè alla principessa d’Orleans convenne obbedire, e di mal umore con altra passione in cuore recarsi a marito in Firenze.
    Al che si aggiunga la scambievole disistima che, stante la diversità dei caratteri, ben presto nacque fra la suocera Granduchessa vedova e la Granduchessa sposa.
    Quindi avvenne che un sì fatto matrimonio fu pieno di amarezze, vivendo i coniugi in una quasi continua discordia. Dissi quasi continua, mentre nei brevi intervalli di ravvicinamento, che seguirono nel primo decennio, la granduchessa Margherita rimase per tre volte incinta e partorì, oltre una femmina (Anna Maria Luisa) due figliuoli maschi, cioè, Ferdinando premorto al padre, e Gio. Gastone che fu l’ultimo granduca della dinastia Medicea. Quando Cosimo credè di avere in tal guisa assicurata la successione, cominciò a rimirare con occhio severo anzichenò la condotta di sua moglie; rimandò in Francia le donne che l’avevano seguita, ed essa medesima fu rilegata al Poggio a Cajano; dalla qual villa non avendo potuto fuggire, chiese il divorzio. Fu gioco forza nel 1675 di venire ad un componimento, nel quale fu stabilito, che la Granduchessa si ritirasse nel convento di Montmartre a Parigi, di dove, per avere troppo spesso e con poco decoro infranta la
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    clausura, ( ERRATA : 1792) nel 1692 fu traslocata nel convento di S. Mendes per starvi a patti più austeri.
    Le massime, il bigottismo e il troppo serio contegno di Cosimo III gli avevano pure alienato il figlio primogenito, che senza prole, nel 1713, morì consunto dai disordini, benchè fin dal 1688 avesse sposata la virtuosa principessa Violante di Baviera.
    Per assicurare la successione della dinastia, Cosimo ammogliò il figlio secondogenito, poi il fratello suo Francesco Maria, che a tal effetto dovè spogliarsi della porpora. Toccarono ad ambedue (nipote e zio) donne stravaganti; la prima di esse non voleva venire in Toscana per essergli stato narrato il tragico fine di tante principesse di casa Medici; l’altra rifiutavasi di giacere col marito perchè s’era fitta in mente di aver a contrarre qualche malattia contagiosa.
    E siccome ai mali della fantasia rare volte si trova rimedio, questo sesto e penultimo granduca Mediceo, condannato a vivere fra i dissapori e le discordie domestiche, ebbe il dolore di vedere in sua vita preparata l’estinzione di una casa che aveva pacificamente regnato per quasi due secoli sulla più bella parte d’Italia.
    Pensò allora ai futuri destini della Toscana, ma le potenze di Europa vi provvedevano per esso, e senz’esso.
    Il lodo di Carlo V del 1530 aveva escluso dalla successione le femmine e le linee distaccate dai rami Medici del duca di Alessandro, e di quello più propinquo che gli succedè del primo Granduca. Talchè con al morte di Cosimo III e della sua prole mascolina si riputavano consumate le disposizioni imperiali, e Firenze rientrata in diritto dell’antica libertà. Questo pensiero svanì appena posto sul tappeto del Granduca; nè molto più giovò un atto organico disteso dal senato fiorentino, con cui, annullato l’esclusione delle femmine della sovranità, chiamavasi alla successione del trono granducale, in mancanza de’maschi, Anna Maria Luisa Elettrice  Palatina figlia affezionata di Cosimo III.
    Con queste norme, morta che fosse l’Elettrice, gli eredi al trono della
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    Toscana comparivano i Farnesi di Parma, come quelli ch’erano nati da una sorella di Ferdinando II, e conseguentemente di Elisabetta ultima di casa Farnese, sposata a Filippo V. Per tal guisa sarebbe venuto ad accumularsi nella famiglia Borbonica di Spagna, oltre il ducato di Parma e Piacenza, anche il granducato di Toscana, lo che teneva in perplessità tutte le potenze di Europa. Finalmente nel 1718 fu convenuto fra l’Imperatore, il re di Francia, il re d’Inghilterra e gli Stati uniti dell’Olanda, che il primogenito nato da Elisabetta Farnese e da Filippo V sarebbe il successore al Granducato, purchè la Toscana dovesse costituirsi in feudo imperiale mascolino.
    Cosimo III si rammaricò di vedere esclusa dalla successione la di lui figlia prediletta, nè gli rimase se non la consolazione dei deboli, quella cioè delle inutili proteste.
    Morì Cosimo nell’età di 81 anni compiti, il dì 31 ottobre del 1723, dopo aver regnato per più di mezzo secolo (53 anni 5 mesi e 7 giorni) col lasciare il suo trono tra le incertezze, e i sudditi nell’abbattimento, nella confusione e nella miseria.
    Fra gli atti della sua amministrazione economica fuvvi un debole tentativo di risanare la Maremma senese, quando chiamò costà una colonia di 800 famiglie di Mainotti, la quale tutta vi perì.
    Comecchè Cosimo III fosse cotanto intollerante in fatto di opinioni religiose, pure non sdegnò di ammettere nei suoi Stati i predetti greci scismatici, pensando alla riunione della chiesa greca con la latina; nel mentre che nemico acerrimo de’protestanti egli rifiutossi di accogliere quegli Ugonotti che dopo la revoca dell’editto di Nantes avevano chiesto di stabilirsi in Pisa e nelle Maremme toscane per potarvi le industrie, delle quali arricchirono invece i Paesi Bassi: e ciò ad onta che essi avessero esibito al Granduca di tentare a loro spese il bonificamento del littorale toscano.
    Del restante la miseria a’suoi tempi crebbe a tale misura da vedere aumentati i furti e i delitti in guisa, che nel
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    1680 Cosimo III fu costretto a instituire una Ruota criminale per riparare al disbrigo dei molti processi delittusi.
    Nel 1700 egli fondò in Firenze la congregazione di S. Giovanni Battista per fornire lavoro e mezzi di sussistenza ai poveri, mentre si moltiplicavano per la Toscana gli ospizj de’vagabondi e dei mendicanti; nè per questo gli artigiani restavansi dal tumultuare per non trovar esito ai loro lavori, dei quali talvolta lo stesso sovrano videsi costretto addossarsi lo smercio.
    Ciò non ostante nel periodo della sua lunga dominazione si pubblicarono due editti importanti: quello del 1717, con cui fu abolita la pena di morte nei delitti di delazione di armi, il che può dirsi a que’tempi cosa straordinaria: ed un altro motuproprio, nel 1719 tendente a facilitare il giro delle proprietà col diminuire la tassa della gabella de’contratti.
    Il progresso per altro nelle scienze esatte si arrestò e quasi si spense in Firenze, mancato che fu il fondatore della scuola del Cimento.
    La morte del cardinale Leopoldo, accaduta ( ERRATA : nel 1765) nel 1665, fece prendere un’altra direzione agli studj, tornando colà donde sono soliti di principiare, alla cultura cioè delle lingue, alla poesia e all’eloquenza.
    Al periodo delle scienze succedè quello della letteratura, e perita l’accademia del Cimento rimasero quelle della Crusca e degli Apatisti , la prima dedicata unicamente alla lingua volgare, l’altra alle muse. Il Coltellini fu il fondare e il campione di questa; Benedetto Averani, i due Salvini e Orazio Rucellai i capi di quella, seguiti da molt’altri.
    Sebbene gli studj della buona filosofia si rallentassero sempre più sotto il regno di Cosimo III, che fu costante protettore delle dottrine dei Gesuiti, non potè però trascurare affatto un Francesco Redi, un Giuseppe Averani, un Niccolò Gualtieri, un Pier Antonio Micheli, un Gio. Battista Nelli seniore, un padre Grandi e tant’altri che nelle scienze fisiche, matematiche, mediche e naturali germogliarono in Toscana a quell’età.
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    /> In una parola le scienze economiche, morali e filosofiche, ai tempi di Cosimo III non fecero un passo in avanti; e sebbene le varie nazioni Europee, all’occasione della guerra della Successione, si fossero vicendevolmente comunicate nuove idee, tuttavia i claustrali che frequentavano la corte granducale, gridando alla corruttela, ne impedivano la propagazione. Pure o fosse ambizione di figurare, o piuttosto virtuosa insistenza dell’archiatro Francesco Redi, Cosimo III si lasciò indurre ad accrescere di oggetti naturali il museo di Pisa, mentre in Firenze arricchiva la Galleria delle Statue di pietre preziose e lavorate della maggior rarità.

    GIANGASTONE I, GRANDUCA VII

    Nacque Giovanni Gastone ai 24 maggio dell’anno 1671, ed ebbe in dono dalla natura quelle virtù che mancarono a Cosimo III, la giustizia, la clemenza e l’ingenuità.
    Fornito di un talento svegliato, potè arricchire di buon’ora la sua mente dei precetti che ascoltò dai più valenti maestri di quel secolo, Benedetto Bresciani, Enrico Noris, Giuseppe Averani, ed dai familiari congressi ed esercitazioni del geometra Lorenzini, dell’abate Salvini e del celebre Magliabechi, che fu il Varrone della sua età.
    L’indole di un tal principe e tali preludj facevano presagire ai Toscani di avere a possedere in lui un sovrano superiore a quanti lo precedettero. Suo padre stesso lo chiamava il dottore della casa Medici.
    Destinato dapprima alla porpora fu poscia indotto al matrimonio per dar successione alla casa regnante; ma la discordia sopraggiunta sino dai primi istanti fra esso e la moglie, fece dileguare le concepite speranze. L’indifferenza del padre verso di lui, la reciproca disistima del figlio, la prevista lontananza dal trono per la robusta vecchiezza di chi l’occupava,  e la non più sperata prole, concorsero ad avvilirlo e a disgustarlo.
    Era Giangastone di carattere affabile e sensibile, ma i dissapori sofferti influirono sopra di lui sino al punto di cercare nell’indolenza, nella dissipazione e nella scostumatezza un alleviamento alle sue sventure.
    Trovavasi in tale stato di abbattimento, quando all’età
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    di 53 anni salì sul trono, dove gli fu facile trovare in un suo lacchè, fatto ajutante di camera un altro Sejano infame ministro di turpitudini.
    Ma il peggio si fu che, reputandosi usufruttuario, piuttosto che vero sovrano della Toscana, Giangastone si fece ben presto conoscere indifferente alla gloria della sua dominazione ed al governo dello Stato; donde ne abbandonava la cura all’arbitrio di pochi, ovvero poco e di malavoglia egli operava.
    Difficilissimo s’era reso l’accesso de’sudditi al suo trono, e le più volte conceduto a prezzo dai favoriti; rarissimi le conferenze con i suoi ministri; talchè in 14 anni di governo si conta che tenesse quel Granduca non più che tre consigli di Stato.
    Pare che in materia di politica egli si prefiggesse la massima di Sully , che il mondo cammina da per sè.
    Assuefatto da principe a vivere ristretto per lo scarso assegnamento fissatogli dal padre, anche da Granduca conservò contraggenio alle pompe, ricusando ogni apparato di sovrana formalità. Quindi le spese pel suo trattamento erano limitatissime, e le rendite della Toscana non dissipandosi come ai tempi del suo antecessore, le RR. casse rigurgitarono a segno, che potè nei primi anni del suo governo diminuire una gran parte delle straordinarie gravezze per tanti modi da Cosimo III studiate; e potè ridurre i frutti onerosi dei luoghi di Monte dal cinque al tre 1/2 per cento.
    Un provvedimento importante, che poi a tanti altri di simil genere servì di modello, fu quello della Pia casa di Lavoro, cui appellò il motuproprio del 18 maggio 1734, quando Giangastone convertì lo spedale di Bonifazio sotto il titolo di S. G. Battista in Conservatorio de’poveri del Granducato per applicarli a quei lavori dei quali potevano esser capaci secondo la loro condizione. Al quale oggetto concorse l’annuenza del pontef. Clemente XII, il quale, con breve del 15 maggio dello stesso anno, riunì a quel pio stabilimento l’entrate e i possessi di quattro monasteri
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    di donne, stati in tale occasione soppressi.
    Frattanto i confidenti ed i familiari di Giangastone, intenti a spogliare quel buon padrone, fecero di tutto per indurlo a dar corso al denaro dello Stato, adombrando la loro venalità col vantaggio che egli in tral guisa avrebbe procurato a’suoi sudditi. Ebbe tal forza il loro consiglio che Giangastone non solo si diede a comprare manifatture, gioje, pitture e tutto ciò che gli veniva proposto, ma risolvè d’assegnare la provvisione di un ruspo per settimana ad una turba di giovinetti, distinti in seguito con l’epiteto di Ruspanti , e segnalati dai loro concittadini per la grande familiarità col principe e per le loro dissolutezze. D’onde avvenne che quella popolazione divenuta bigotta sotto Cosimo III (tanto influisce l’esempio de’maggiori!), si vide in gran parte trasformata in libertina.
    Continuandosi in questo frattempo a trattare fra le corti di Europa della successione eventuale al trono di Toscana, arrivò l’anno 1729, quando fu deciso daì plenipotenziari riuniti in Siviglia: che rimanessero ferme le convenzioni stabilite dal trattato di Londra del dì 2 agosto 1718 a favore di don Carlo figlio di Filippo V, e che la Spagna inviasse a presidiare con le sue truppe alcune piazze del Granducato.
    Giangastone obbligato per ciò ad occuparsi continuamente in un argomento, ch’era l’annunzio incessante della sua fine, disgustato com’era, dovette altresì acconsentire e ricevere nella reggia l’Infante don Carlo destinato a succedergli, il quale col titolo di Gran principe ereditario della Toscana nel 1731 sbarcò a Livorno per recarsi quindi nel palazzo Pitti a Firenze.
    Due anni dopo, essendo scoppiata in Europa la guerra per la successione di Polonia, videsi strascinare nel vortice delle vicende universali anche la Toscana, la quale per buona di lei ventura, col trattato di Vienna de’19 novembre 1735 fu ceduta in compenso all’antica casa sovrana della Lorena, nel tempo che il preaccennato Infante riconoscevasi in re delle due Sicilie.
    Restando per tal modo annullato il trattato
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    di Siviglia, Giangastone calcolava di poter essere ritornato nella sua libertà, tantochè rivolse il pensiero a rimettere in campo un atto, il quale, a insiniuazione di Cosimo III, sino dall’anno 1713 era stato emesso dal senato fiorentino a favore dell’Elettrice Palatina sorella di Giangastone; e ciò nella guisa medesima che fu operato nel 1537, allorchè il senato elesse Cosimo in capo della Repub. di Firenze. Ma quel consesso non aveva più autorità, e il Granduca parlava di senatusconsulti, e di prammatiche a chi non lo voleva udire. Vedute però le milizie tedesche sottentrate alle spagnuole nelle piazze della Toscana, Giangastone domandò ai sovrani della quadruplice alleanza che, qualora il Granducato doveva passare alla casa di Lorena, fosse liberato da qualunque vincolo di feudalità, cui la Camera aulica pretendeva assoggettarlo.
    Per torre di mezzo ogni aspettativa di regresso all’Impero, avuto il consenso della Dieta germanica, l’imp. Carlo VI con diploma de’24 gennajo 1737 stabilì che, dopo la morte del granduca Gianfastone, la piena sovranità, proprietà e possessione della Toscana restasse investita nel duca Francesco III di Lorena e nei suoi discendenti maschi per ordine di primogenitura; e che, venendo a mancare la sua discendenza mascolina, si rifondessero li stessi diritti nel principe Carlo di Lorena di lui fratello con il medesimo ordine di successione.
    Turbava altersì l’animo dei Toscani, che potesse venire il caso, in cui il nuovo granduca Francesco stasse assente dal suo seggio, e che lo Stato come provincia per reggenti si governasse. I ministri d’Austria e di Lorena risposero alle istanze fatte sù di tale proposito: che non restando la Toscana compresa nella prammatica sanzione, nè potendo, a forma del trattato di Londra, esser incorporata con gli Stati ereditarj della casa d’Austria, subito che la successione Austriaca si fosse consolidata nel primogenito di Francesco III già unito in matrimonio a Maria Teresa figlia ed erede di Carlo VI, il granducato di Toscana si trasferirebbe nel secondogenito, e in mancanza di esso nel principe Carlo
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    di Lorena e  suoi discendenti, i quali per soddisfare ai desiderj del popolo toscano fisserebbero costà la loro residenza.
    Dopo tali disposizioni diplomatiche si aspettava che la morte venisse a troncare a Giangastone una vita resa ormai nojosa dalle infermità, dagli affanni e dalle sregolatezze. Morì infatti l’ultimo granduca Mediceo nel 1737, ai 9 di luglio; e il principe di Craon investito dei poteri plenipotenziarj prese possesso del Granducato in nome di Francesco III duca di Lorena e re di GERUSALEMME.

    STATO DI FIRENZE SOTTO LA DINASTIA LOTARINGIO-AUSTRIACA
    FELICEMENTE REGNANTE

    FRANCESCO II, GRANDUCA VIII

    Sino dalle prime parole di questo lungo articolo diedi a Firenze i titoli di fortunata e felice , oltre quello di bella , che a buon diritto per il suo materiale tutto il mondo le accorda. Avvegnachè, se questa città sotto l’aspetto storico nelle sue passate vicende si riguarda, le conviene l’epiteto di fortunata ,tostochè durante il periodo della Repubblica, ad onta di agitatissime rivoluzioni intestine, di lunghe e rovinose guerre straniere e municipali, di pubbliche calamità, di pestilenze, di carestie, di alluvioni e di altri straordinarj flagelli, la si vedde per fortuna da simili traversie scampata  e risorta sempre più prosperosa.
    Fu fortunata durante il periodo Mediceo in guisa che, dopo tante proscrizioni, morti, esilj e vendette, in mezzo ai tristi esempj di mal costume, di torpitudini, di violenze, di arbitj,  d’ipocrisie e di abiezione, fra tanti mali e tante battiture il popolo fiorentino, benchè avvilito, scandalizzato, oppresso, impoverito, per fortuna conservò quell’innato istinto di filantropica carità, quella dolcezza di costumi, e quelle massime di cristiana pietà che lo distinsero in ogni tempo e sotto tutte le forme politiche.
    Fu poi felice Firenze, dopo che la speranza di un migliore avvenire, con l’estinzione d’una famiglia già cittadina, poi fatta dominatrice della sua patria,
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    era per spegnersi nei cuori degli uomini giusti ed onesti, talchè quella generazione, che fu contemporanea del granduca Gio. Gastone, difficilmente avrebbe immaginato di dover cedere il luogo ad una migliore; e pochi infatti furonvi allora di quelli, i quali per i passati disordini, avendo visto le cose all’ultimo esterminio e abbassamento ridotte, di risalire verso il bene e ad un’epoca più felice potessero lusingarsi.
    Tali a un dipresso erano le circostanze di Firenze, allorchè essa con tutto il Granducato passò nella casa di Lorena, non restando della stirpe Medicea che l’Elettrice Palatina, dichiarata da tanti congressi destituta d’ogni diritto a succedere al trono; benchè in seguito venisse trattata da nuovo Granduca con tutti quei riguardi ed onorificenze maggiori che Ella poteva mai desiderare, sino al punto di offrirle la reggenza dello Stato.
    Erano a quel tempo le cose della Toscana nel massimo disordine. Abusi moltissimi nella pubblica amministrazione; leggi civili improvvide, intricate, parziali; contese perpetue di giurisdizione; procedura dispendiosa; ingiusti giudizj; pene eccessive e crudeli nel sistema criminale; poca sicurezza personale; asili sacri pieni di malfattori; commercio mal favorito; agricoltura in abbandono; possessioni mal ripartite; fidecommissi inceppati; patrimonio ecclesiastico troppo vasto e troppo immune; una caterva di feudatarj; da ogni parte bandite signoriali o comunitative; coloni troppo poveri; dogane intermedie ad ogni passo; dazj onerosissimi, e un debito pubblico di circa 65 milioni di lire Toscane.
    Lo scioglinento di tanti nodi, la liberazione da tanti vincoli oppressivi, furono l’opera pacifica, umana ammirabile della dinastia felicemente regnante in TOSCANA; di questa dinastia che non fondò la libertà sulle parole, nè su i contrasti dei poteri, ma ve la stabilì di proprio istinto sulla base di saggie leggi dettate dalla filosofia, dalla morale, da santissimi principj di cristiana religione, di giustizia e di equità, da chi in una parola non conosceva altra via fuori di quella che traccia la virtù e la vera gloria.
    Francesco III  duca di Lorena e di Bar, poi granduca di Toscana II di
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    questo nome, e I imperatore in Allemagna, nacque da duca di Lorena Giuseppe Carlo e da Elisabetta Carlotta d’Orleans li 8 dicembre dell’anno 1708. Egli discendeva dal pio e valoroso Goffredo di Buglione primo re cristiano di GERUSALEMME, da cui la dinastia Lotaringia eredità il titolo, e ciò che vale più del titolo molte virtù di lui e di tanti loro antenati, a partire da Carlo Magno. –– Sino dall’età di 12 anni Francesco di Lorena fu educato alla corte di Vienna sotto la vigilanza dell’imperatore Carlo VI, che voleva prepere in quel principe il suo genero e successore all’Impero. –– Gli avvenimenti politici sopraggiunti poco dopo aver preso possesso (anno 1726) della Lorena per la morte del padre, produssero un cambiamento importantissimo nella sorte di Francesco III e della sua casa. Avvegnanchè in compenso dei suoi Stati ereditarj, egli ebbe in sovranità il granducato di Toscana. Egli lo acquistò poco dopo unitosi in matrimonio (12 febbrajo 1736) all’Arciduchessa Maria Teresa unica figlia ed erede  dell’imp. Carlo VI; per modo che Francesco III di Lorena diventò il fortunato fecondo stipite della Casa Austriaca felicemente regnante.
    Principe guerriero, saggio, istruito e religioso, egli diede molte prove di prudenza, di sapere e di valore, si nei campi di battaglia, come ne’consigli dell’aulica sua reggia.
    Fra i primi provvedimenti  economici, dei quali, appena mancato l’ultimo granduca di casa Medici, la Toscana risentisse i buoni effetti, fu quello di estinguere il debito fatto dal suo predecessore per mantenere sei mila spagnuoli che per sei anni (dal 1731 al 1737) avevano presidiato Pisa, Livorno e Portoferrajo. In tale occasione Francesco II con l’annuenza pontificia, obbligò gli eccelsiatici e i luoghi pii a concorrere al pari degli altri sudditi a contribuire la loro quota a ragione di quasi il tre per cento, sulle loro rendite annuali; e fu a tale uopo diretto il motuproprio del 4 novembre 1737, con cui nominò una deputazione laica ad oggetto d’avere esatte informazioni sul patrimonio e
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    stato economico de’luoghi pii, e delle corporazioni si monastiche come secolari. D’onde apparì, che le rendite annue del patrimonio eccelsiastico di tutto il Granducato, detratte le doti congrue delle parrochie, le commende di Malta e i benefizj de’Cardinali, ascendevano alla somma di 1,120,827 scudi da lire 7 l’uno; de’quali per 369,324 scudi di rendita spettavano alla diocesi fiorentina; scudi 118,291 a Siena; 76,152 ad Arezzo; 75,797 a Pistoja; 66,985 a Pisa, e 60,965 alla diocesi di Fiesole.
    Che la maggior parte delle rendite dello Stato fosse allora assorbita dai creditori del debito pubblico per pagare i frutti annui, lo dichiarò lo stesso monarca, allorchè con due motuproprj, del 3 marzo e 4 aprile 1738, non volendo imporre nuove gravezze, ordinò, prima la vendita dei beni allodiali per estinguere una porzione di luoghi di monte; quindi vedendo che tal progetto non poteva effettuarsi con celerità come si desiderava, limitò la restituzione dei luoghi medesimi a una cifra proporzionata agli avanzi delle pubbliche rendite, riducendo il frutto dei luoghi superstiti dal 3 e 1/2 al 3 per cento: Mentre da una parte il principe tendeva ad alleggerire il debito pubblico, dall’altra parte si cercava di diminuire il numero eccessivo degl’impiegati, preferendo piuttosto di dare in affitto, non solo i beni della Corona, ma di appaltare, come ai tempi della Repubblica, le regalie e gabelle anzichè farle amministrare a  conto del sovrano.
    Fra le numerose regalìe fuvvi quella del gioco del Lotto, che dopo di essere stato più volte proibito, venne finalmente nel 1749 adottato e concesso in appalto.
    L’abuso dei feriati i quali, sospendendo le braccia degli artigiani e l’esercizio di ogni civile giurisdizione, recavano danno incalcolabile al commercio e all’industria, richiamò l’attenzione di Francesco II, giacchè nel primo anno del suo governo vennero tolti cinque giorni feriati, a principiare dal 19 e 23 novembre, destinati a rammentare l’esaltazione al pontificato e l’incoronazione di Clemente VII distruttore della Repubblica fiorentina; quindi i due primi giorni di agosto stati sino
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    allora festeggiati in memoria della battaglia di Marciano, che decise delle sorte di Siena; e finalmente il giorno 9 di gennajo, in cui soleva solennizzarsi l’anniversario dell’elezione di Cosimo I in duca della repubblica di Firenze.
    Dodici anni dopo prestò al principe anche una mano il pontefice Benedetto XIV, vista la molteplicità dei giorni festivi e la necessità di ridurli a un più ristretto numero, e ciò col fine di facilitare ai braccianti il modo di procacciarsi da vivere senza offesa delle leggi divine e umane.
    Al principio dell’anno 1739 Francesco II accompagnato dalla sua immortale consorte Maria Teresa e dal principe Carlo di Lorena di lui fratello, arrivò in Toscana; e nel dì 19 di gennajo fece un festevole e magnifico ingresso nella sua capitale, passando sotto il grandioso arco trionfale presso la porta S. Gallo a tale effetto innalzata col disegno e direzione dell’architetto Lorenese Giadod.
    Dopo aver beato della loro augusta presenza le città di Pisa e di Livorno, gli Augusti coniugi alla fine del mese di aprile dell’anno stesso ripartirono per l’Allemagna, lasciando in  Firenze un  consiglio di Reggenza, al quale dovevano riferire i consiglieri di guerra, e di finanze per rendere più pronta, facile ed esatta l’esecuzione della volontà sovrana.
    Una dele prime deliberazioni di quella Reggenza fu quella emessa nel 6 di luglio 1739, quando la Società botanica di Firenze, instituita sino dal 1716 dall’insigne naturalista Pier Antonio Micheli, fu dichiarata sotto la speciale protezione del granduca Francesco II, che le accordò l’orto de’semplici presso le RR. scuderie di S. Marco con un annuo assegno di 300 scudi per le spese necessarie alla coltura e conservazione del medesimo, sino a che lo stesso giardino e la Società botanica, nell’anno 1783, venne incorporata a quella più celebre dell’Imperiale e Reale Accademia economico-agraria dei georgofili, la quale ebbe vita sotto il dominio dello stesso  Granduca Francesco II nell’anno 1753.
    Ma il più evidente vantaggio che abbia tratto
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    il pubblico da quella Società botanica furono i Viaggi per la Toscana del dott. Giovanni Targioni-Tozzetti, opera che fa sommo onore al suo nome, non meno al monarca che la comandò.
    Avvegnachè Francesco II sapendo che il miglior mezzo di rendere attivi e utili i corpi scientifici era quello di ordinare dei lavori garndiosi, commise alla Società botanica di compilare la Storia Naturale de’paesi del Granducato. Il qual incarico fu dall’Accademia stessa affidato al sullodato Targioni, affinchè visitando le varie parti della Toscana egli facesse quelle osservazioni fisiche, geologiche, mediche, botaniche, istoriche che il suo gran sapere era capace di riunire.
    Tendeva a incoraggiare l’agricoltura sino dal 1738 l’affitto di tutte le possessioni della Corona, e di quelle spettanti all’ordine cavalleresco di S. Stefano. – A questo stesso scopo miravano motupropri dell’anno 1738, del 1750 e del 1762, coi quali Francesco II, per il corso di 34 anni dichiarò libera la tratta dei grani della Maremma senese, anche nei casi di qualunque carestia che fosse per avvenire.
    Svincolò da alcuni inceppamenti, il commercio interno fra lo Stato vecchio (dominio fiorentino e pisano) e lo Stato nuovo (ossai senese); alleggerì le gabelle di estrazione per le manifatture di lino,di quoja e di lana; promosse l’educazione dei filugelli con moltiplicare la piantagione dei gelsi lungo le strade regie; procurò di migliorare le campagne della Val di Nievole, della piannra pistojese e grossetana mediante opere idrauliche.
    Ma il sistema della riforma legislativa cominciò a svilupparsi allorchè fu preso di mira lo svincolamento di molti beni resi fino allora inalienabili.
    Mercè la legge dei 22 giugno 1747 fu ristretta e limitata sino al quarto grado dopo quello del fondatore la durata de’fidecommissi; la qual legge adottata ed ampliata dall’Augusto suo figlio, il granduca Pietro Leopoldo, venne sempre più a rallentare i vincoli della proprietà, e a moderare i perniciosi effetti dell’inalienabilità dei beni stabili, uno degl ostacoli più nocivi alla prosperità
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    del commercio e dell’agricoltura.
     Con le leggi del 21 aprile 1749 e del 15 marzo successivo, sopra i feudi e i feudatarj, lo stesso monarca ebbe in mira di liberare i vassalli dalla prepotenza dei baroni, e di garantire nel tempo medesimo le franchige municipali, riservando ai tribunali ordinarj del Granducato l’appello nelle cause civili e miste, mentre vincolava la giurisdizione criminale dei viacarj feudali a delle riforme salutari. –– Fu allora che tutti gli elementi della sovranità, come sarebbero i diritti di mero e misto impero, la potestà legislativa, la libera scelta delle milizie dello Stato, e tuttociò che trovasi compreso sotto il nome di Regalie, vennero con quelle due leggi riservate al sommo imperante.
     Era pure di grandissimo vincolo alla libera commerciabilità de’beni fondi quell’immenso patrimonio posseduto dalle corporazioni ecclesiastiche e laicali, da tutte quelle persone immaginarie , che per esistere civilmente hanno bisogno d’essere rappresentate da sindaci, o amministratori.
    Le quali mani morte , essendo per loro natura perpetue e indefettibili, ritengono tenacissimamente ciò che hanno una volta acquistato, e che difficilmente sogliono rilasciare al comune commercio degli uomini. – Per evitare appunto questo condensamento eccessivo di beni in simili mani morte , Francesco II, con motuproprio del 1 febbarjo 1751, proibì il passaggio delle sostanze nei corpi morali, sicchè questi non potessero più ricevere alcuna eredità senza un privilegio sovrano.
    Nel 1745, ad oggetto di conoscere esattamente il numero e lo stato de’suoi sudditi in Toscana, il Granduca ordinò al Rucellai segretario del Regio diritto un prospetto statistico formato sulle note somministrate dai parrochi di cadauna diocesi. La quale statistica doveva registrarsi in altrettanti prospetti stampati a tal uopo forniti, dove alle respettive caselle furono specificati i nomi del luogo, del santo titolare della parrocchia, della comunità cui appartenevano, più il numero delle case, delle famiglie e quello dell’anime, indicando l’età, lo stato, la religione, e distingendo le cifre dagli impuberi dagli adulti, i maschi dalle femmine, quindi
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    il numero de’maritati, e finalmente degli ecclesiastici ripartiti in chierici, in sacerdoti, in  secolari, religiosi, romiti e monache. In ultimo non dovevano trascurarsi gli Ebrei , nè gli altri Eterodossi che vi potessero stanziare, per famiglie, per sesso e per stato.
    Frattanto ravvicinandosi il mezzo del cammino del secolo XVIII, venne fuori una legge (20 novembre 1749) che ordinò l’uniformità del computo annuo per tutto il Granducato;cosicchè gli atti pubblici dell’antico dominio pisano che fino allora aveavano seguitato a contar l’anno ab incarnatione , cioè nove mesi e cinque giorni prima dello stile comune, e gli atti pubblici dell’antico contado fiorentino che restavano indietro un anno allo stile pisano, dovettero dal primo di gennajo dell’anno 1750 uniformarsi tutti al comune calendario romano. A memoria di ciò fu posta un’iscrizione in marmo sotto la loggia dell’Orgagna nella piazza granducale, dettata dal celebre Giovanni Lami.
    Francesco II diede alla Toscana il primo esempio per far godere agli autori il diritto della loro proprietà letteraria, e l’avvocato Carlo Goldoni, benchè non Toscano, fu quello che lo meritò.Imperocchè egli ottenne dal Granduca un privilegio (27 settembre 1753) che gli assicurava per dieci anni la privativa di stampare in Firenze le sue commedie, minacciando pene e perdite di tutti gli esemplari a chi avesse ardito introdurre nel Granducato altre edizioni dall’estero, o contraffare la privilegiata.
    Francesco protesse gli studj al pari degli autori, mentre ampliò il collegio dei PP. Scolopj allora posto nelle antiche case dei Cerchj; instituiti nell’ospedale di Orbatello la prima cattedra di Ostetricia per servire di scuola alle levatrici; aprì al pubblico la copiosa biblioteca lasciata dal Magliabechi; accolse sotto la sua protezione l’istituto di scuole pubbliche per l’educazione delle fanciulle aperto in Livorno, ec.
    In generale durante il regno di Francesco II si riordinò la pubblica amministrazione; e se la Toscana non risentì tutti quei vantaggi che aveva in animo quel sommo regante di procurarle, bisognò attribuirlo alla trista circostanza dei tempi
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    più che all’assenza del principe, cioè alle dispendiose e lunghe guerre che si dovettero sostenere dall’immortale Maria Teresa sua augusta consorte contro tanti e potenti nemici, dopo ch’eglino avevano riconosciuto e promesso di non ledere i di Lei diritti sulla estesa eredità lasciatagli dall’imperatore Carlo VI.
    Erano in questo stato le cose quando fortunatamente il cielo destinò al governo della Toscana l’Arciduca Pietro Leopoldo secondogenito di Cesare, nato il 15 di maggio 1747. Fino dal 1753 erasi convenuto fra Carlo III e l’imp. Francesco di dare in sposa al prelodato Arciduca l’Infanta Maria Luisa di Spagna, previa la libera cessione a favore dello stesso secondogenito e della sua discendenza, del Granducato, dichiarandolo indipendente e separato dagli Stati Austriaci.
    Per l’effettuazione del quale atto l’Arciduca primogenito Giuseppe, come quello che portava in sè col titolo i diritti di Gran principe ereditario della Toscana, rinunziò formalmente ogni ragione a favore del fratello e della di Lui successione.
    Le feste di così fausto connubio solennizzato in Inspruck nell’agosto del 1765, furono rattristate dalla morte ivi accaduta dell’imperatore Francesco; e i dì 3 di settembre del 1765, giunse in Firenze il desiderato sovrano con l’Augusta consorte, primo giorno per la Toscana del suo secolo d’oro.

    PIETRO LEOPOLDO I, GRANDUCA IX

    Che bel nome! Che cara rimembranza per i Toscani è quella di Pietro Leopoldo! La giustizia e prosperità che con le sue umane e saggie leggi ne apportò, tanti vincoli ed aggravj che per il bene delle generazioni viventi e successive Egli infranse e annichilì, questi soli due titoli servono a innalzare e stabilire Pietro Leopoldo sul trono dell’immortalità finchè esisterà la specie umana, sino a che si farà buon diritto alla ragione.
    Basta aprire il libro della sua legislazione per vedere con quale ordine, con quale proposito deliberato questo principe disponeva e preparava ai suoi piuttosto figli che sudditi il loro ben essere, correggendo a poco a poco i difetti ed i vizj
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    acquistati dall’abitudine dei privilegj di corporazioni, di famiglie e d’individui, dall’inefficacia e pregiudizio di provvedimenti assurdi, deplorabili. Volle che l’utile dei suoi popoli fosse condito dalla persuasione di chi lo riceveva; volle dimostrare al mondo la maggiore prosperità di uno Stato, prodotta dalla savezza di un supremo ed unico Legislatore.
    Non vi è anno, non vi è mese, non vi è dirò così giorno nel regno di Pietro Leopoldo che non sia fecondo di utili provvedimenti sì nell’economico, quanto nel politico, tanto nel civile, come nel morale.
    Al suo arrivo in Toscana tutte le risorse dello Stato, gabelle e regalìe di un ogni genere, latifondi della Corona, quelli della religione di S. Stefano, tutti i proventi della finanza erano fra le mani di avidi appaltatori; le arti e mestieri si trovavano sottoposti a tasse multiformi, a ingiuste privative, a fori parziali; il commercio e l’agricoltura da mille ostacoli, da moltiplici aggravj ed angarie oppressi.
    Pietro Leopoldo sino dai primi anni del suo governo prese di mira a liberare dai vincoli la più sacra delle proprietà, la individuale, allora quando cominciò a sopprimere le matricole delle arti e mestieri (settembre 1767, febbrajo e maggio 1770) a benefizio dell’interesse personale, onde far progredire le industrie private. Corollario del medesimo principio fu l’abolizione delle così dette comandate e di altre prestazioni servili che esigevano le comunità dai contadini e dalle loro bestie da lavoro (giugno 1776).
    Per la stessa massima volle liberare i suoi popoli dalle vessazioni  indivisibili dal sistema degli appalti ; che perciò non curando quel Sovrano la diminuzione delle rendite regie, prescrisse (agosto dell’anno 1768) l’abolizione di ogni sorta di privative, d’incette, di monopoli, di esenzioni e d’immunità  dagli oneri sociali, tanto per le proprietà dei privati, quanto per quelle del principe, del fisco, e di qualsiasi altro corpo e università; onde le pubbliche gravezze riuscissero meno sensibili, e perchè fossero, come la giustizia esigeva, risentite ugualmente da tutti i possessori (marzo
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    del 1770). Fu conseguenza di quel sistema legislativo la libera circolazione e negoziazione de’generi di suolo, e loro manifatture, sopprimendo a tale uopo ogni sorta di tasse, di contribuzioni parziali, di gabelle interne e di proventi delle piazze e mercati (agosto, ottobre e dicembre del 1775; marzo 1778; settembre 1784).
    Nel mentre si ridonava la vita e il rispetto alla proprietà individuale, il magnanimo Legislatore applicava la sua grand’opera all’abolizione dei vincoli che investivano l’integrità del diritto della proprietà fondiaria o che ne inceppavano l’uso e la commerciabilità (marzo 1769 e febbrajo 1778).
    Risplendè poi nel maggior lume possibile la paterna clemenza di quel sovrano verso i suoi sudditi, allorchè, per risvegliare l’amor proprio ne’possidenti, onde ognuno concorresse alle operazioni d’interesse comune, da primo creò (22 giugno 1769) la Camera delle comunità, incorporandovi quelle del magistrato de’Capitani di Parte, degli Ufiziali dei fiumi e del tribunale dei Nove Conservatori del dominio fiorentino; quindi organizzò un sistema governativo ed economico per tutte le comunità del Granducato, incominciando dalle città di Volterra e di Arezzo (settembre e dicembre 1772). “ Persuaso (diceva il Legislatore nella parte proemiale) che niuno deve avere maggior zelo e premura per la buona condotta e direzione degli affari comunitativi, quanto quelli che vi hanno tutto l’interesse; e confidando Noi che la libertà che averà ciascheduno di esaminare le spese, le distribuzioni delle tasse e delle gravezze, e di dire il proprio sentimento sopra i partiti da prendersi, animerà i cittadini a impiegare i loro talenti in servigio della patria, e a contribuire con tutte le loro forze alla pubblica felicità, nella quale essi sono i primi interessati, abbiamo risoluto ec."
    Donde ne conseguì, che le magistrature comunitative, presedute da un gonfaloniere, il quale suole corrispondere  direttamente con il provveditore, ossia col capo  della Camera delle comunità del suo Compartimento, vennero a costituire, rapporto all’economico, una rappresentanza civica nel Granducato, onorevole al municipio, utile allo Stato. Con altre misure economico-governative fu tentata
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    da Pietro Leopoldo la laboriosa impresa di migliorare le condizioni della Maremma senese. Al qual effetto, dopo aver formato un sistema di governo e di amministrazione speciale immediatamente dipendente dalla sua sovrana autorità (marzo e dicembre 1766, aprile 1767 e 1788), erogò rilevanti somme di denaro (1,700,500 lire) per l’escavazione di fossi e canali, per la costruzione di nuove strade e acquedotti, per rendere più sicuro e più comodo l’accesso del porto di Castiglion della Pescaja. Tentò inoltre di migliorare la sorte degli abitanti indigeni, e di accrescerne il numero, allettando gli stranieri a stabilirvi la loro dimora mercè di privilegj personali e di esenzioni commerciali, rimuovendo altresì ogni ostacolo all’industria dei particolari e consigliando le comunità della Provincia inferiore dello Stato senese a voler assegnare alle famiglie forestiere che vi si stabilissero una parte dei molti terreni comunitativi che  restavano improduttivi e inoperosi, mentre il R. erario si obbligava a pagare il quarto del prezzo delle nuove case a chi le fabbricava.
    Tutto sembrava coordinato nel piano legislativo-economico di P. Leopoldo, tanto rapporto alla proprietà personale, quanto relativamente alla commerciabilità dei prodotti, dei beni mobili e degli stabili. – La legge diretta a prevenire il condensamento successivo delle proprietà nei particolari era stata preceduta da quella sulle mani-morte con il motuproprio del 2 marzo 1769, che servì di aumento e sviluppo a quello emanato nel 1751 dal Granduca Francesco II suo augusto genitore.
    “La legge sui fidecommissi del 22 giugno dell’anno 1747 (diceva un profondo giureconsulto, figlio vivente di questa bella Firenze) quantunque fosse stata dettata dallo spirito eminente di ristringere l’istituzione de’fidecommissi alla sola classe de’nobili, di limitare la qualità e natura dei beni coi quali potevano fondarsene dei nuovi, d’impedire che la loro istituzione fosse il meno possibile pregiudicevole all’interesse dei terzi: pure quella modificazione di sistema de’fidecommissi e de’maggiorati per la gran mente di Pietro Leopodo, che voleva lo svincolamento totale, pienissimo del diritto di proprietà fondiaria, era un sistema assurdo nella sua base,
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    una sorgente inesauribile di mali morali ed economici per le sue conseguenze e per i suoi resultati. “
    “ Sapeva Egli, che una nobiltà immobile e permanente con delle grandi e costanti ricchezze territoriali era un vecchio pregiudizio, una chimera ideale; e che d’altronde qualunque grado d’influenza politica sulla costituzione dello Stato possa mai attribuirsi a cotesta classe della società, Pietro Leopoldo non poteva, nè voleva comprarla  a pregiudizio di tutto l’universale. Sapeva in ogni caso, che la nobiltà non abbisogna dei fidecommissi per conservarsi, che si rinnovella  e si recluta continuamente ogni giorno anche dalle altre classi della civile società, e che le vere sorgenti della ricchezza, l’ordine, l’economia, l’industria, il commercio fanno sorgere questa nuova nobiltà, questa nuova aristocrazia territoriale per subentrare a quella porzione dell’antica, di cui neppure i fidecommissi in tutto il loro vigore hanno potuto ritardare la decadenza.” (GIR. POGGI, Saggio di un Trattato sul Sistema Livellare T. I. §. 293 e segg.)
     Frattanto il benefico Legislatore della Toscana con una delle solite leggi foriere delle sue più grandi riforme, dopo avere nel 1782 ordinato la resoluzione di tutti i fidecommissi dividui fatti e da farsi, appena che una porzione qualunque dei loro beni fosse rimasta sciolta dal vincolo fidecommissario per l’esaurito passaggio nei 4 gradi prescritti dalla legge del 1747, Pietro Leopoldo, con motuproprio del 23 febbrajo 1789, comandò il proscioglimento di tutti i fidecommissi stati fatti per il passato, salve alcune modificazioni. All’occasione medesima proibì a chiunque per qualsiasi titolo di erigere nuove fondazioni di simil genere, o a titolo anche di sostituzione, le quali per qualche tempo ancorchè breve, rendessero i beni di qualsiasi specie e natura inalienabili.
    Per ciò che riguarda il sistema giudiziario, con legge del 30 settembre del 1772 quel monarca organizzò il Compartimento di giustizia dello Stato fiorentino, coll’investire della giurisdizione civile  i respettivi potestà, e riservando la giurisdizione criminale ai vicarj regj, o
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    al magistrato degli Otto di Guardia e Balìa rapporto a Firenze e al suo circondario limitato alle sette potesterie minori. In tale occasione restò annullata la cumulativa giurisdizione, che in vigore della legge dell’anno 1423 i vicarj di Certaldo, di S. Giovanni in Val d’Arno e quello di Scarperia nel Mugello ebbero sino allora sopra le sette potesterie suburbane di Fiesole, Sesto, Campi, Lastra a Signa, Galluzzo, San Casciano e Bagno a Ripoli .
    Finalmente dopo la riforma di varj tribunali (settembre 1774) fu soppresso (26 maggio 1777) il magistrato degli Otto, allorchè venne creato pel criminale un Tribunale Supremo in Firenze, incaricato a disimpegnare le diverse incombenze del magistrato suddetto, e di tutti gli altri tribunali parziali della capitale e di altre città del Granducato, i quali potessero avere avuta una qualche giurisdizione criminale.
    Ma la giustizia unita alla clemenza, e a tutte le altre più belle virtù di quel magnanimo Legislatore si manifestano nel motuproprio de’30 novembre 1786, che costituisce il più sacrosanto codice della procedura criminale. Dopo aver Egli aboliti i privilegj personali, dopo aver pareggiati i diritti civili di qualunque classe di sudditi, dopo avere annullata ogni specie d’immunità, dopo aver riconosciuta l’antica legislazione criminale troppo crudele e severa e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’Impero Romano, o nelle turbolenze dell’anarchia del medio evo, e per conseguenza non adattata al dolce e mansueto carattere della Nazione Toscana , stabilì, che le querele dovessero darsi per formale istanza, che si restituissero i contumaci all’integrità delle difese, che le pene fossero proporzionate al delitto; non ammise la confisca dei beni, non più il giuramento dei rei, nè l’accusa contro gli affini; impedì ogni sorta di tortura, abolì il delitto di lesa maestà, e la pena di morte; destinò l’avanzo delle pene pecuniarie e delle multe a rindennizzare quegli innocenti che il necessario corso della giustizia avesse talvolta potuto sottoporre al carcere e alle molestie di un processo, oppure
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    lo assegnò a sollievo dei danneggiati pei delitti altrui.
    L’effetto fu conforme alle provvide misure e alle clementi intenzioni del Legislatore; avvegnachè i costumi non solo si raddolcirono e le industrie si accrebbero, ma l’ozio, i vizj e i delitti andarono gradatamente a diminuire, sino a che arrivò il momento in cui le prigioni di tutto il Granducato (cosa maravigliosa a dirsi!) si trovarono vuote di delinquenti e di accusati.
     Per modo chè la Toscana, guidata da Pietro Leopoldo precorse le altre nazioni anche in  questo ramo di civiltà; e fin d’allora potè dimostrare all’Europa, che la prosperità e la quiete dei popoli desunte da leggi imparziali, giuste, e da una saggia libertà, non da moltiplici gravose imposte, possono costituire la vera felicità della nazione, e la costante ricchezza del R. erario.
     Dopo tuttociò restava a togliere di mezzo un’altra specie di vincolo alla libera disposizione della proprietà fondiaria, vincolo che rimontava all’epoca della Rep. fiorentina, continuato sotto la dinastia Medicea, e fortunatamente tolto per sempre dall’Imperiale dinastia dominante. Imperocchè spesse volte accadeva, che il libero venditore di uno stabile doveva impegnarsi in faccia al compratore e ai suoi eredi dell’evizione dello stabile venduto, e ciò a cagione dell’inquisitore dell’ Eretica pravità . La quale responsabilità ad ogni sinistro evento ricadere doveva a svantaggio del venditore, innanzi che restasse abolito in Toscana il temuto tribunale del Sant’ufizio. –– Se non che qualche zelante, pervenne ad impegnare Pietro Leopoldo in alcune riforme ecclesiastiche, le quali, essendo state prese in sinistro dal popolo e da Roma, suscitarono tanto rumore, che ne fu tosto ripiena tutta Europa. Comecchè sia a lode del vero, la rettitudine dei principj di quel monarca risplendè e trionfò anche in cotesta delicata materia, tostochè da imperatore Egli ripristinò i seminarj  vescovili e varie altre costumanze ecclesiastiche.
     La massima sempre vera, perchè autenticata dall’esperienza, è quella, che allor quando si tratta di amministrazione di giustizia, le immunità, le privative e i privilegi sono, non solo direttamente contrarj
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    al bene generale di una ben ordinata società, ma perniciosi pur anche agl’individui che ne godono il favore. I quali ultimi sogliono usare di quei privilegj come di altrettanti incentivi per fomentare gl’ingiusti capricci della prepotenza e dell’animosità, impegnandosi persino a far fronte e a contrastare contro la forza di una non equivoca ragione. Tali giusti motivi obbligarono Pietro Leopoldo a parificare nel Granducato indistintamente i cittadini, per ciò che riguarda l’amministrazione della giustizia, con l’abolizione dei sacri asili e delle parziali giurisdizioni esercitate dalle curie e tribunali vescovili negli affari secolari, riserbando loro le cause meramente spirituali (luglio 1778, e ottobre 1782). Per la stessa ragione annullò il tribunale della Nunziatura, (settembre 1778) quello dell’Inquisizione (luglio 1782) e varie altre prerogative, delle quali fruivano i rappresentanti delle municipali magistrature (giugno 1779) i cavalieri di Santo Stefano (1783) e i feudatarj (febbrajo 1786).
    Si ripristinarono perciò nei loro diritti i tribunali e magistrati ordinarj, cui furono date istruzioni opportune e ordini rigorosi sui termini e istanze delle cause, sul modo di spedirle, sulle tasse e spese di liti, sugli onorarj dovuti ai causidici, ai notari e ai cancellieri (dicembre 1771 ottobre 1779) con provvide istruzioni per rendere meno penoso il carcere ai detenuti (novembre 1781).
    Sapeva Pietro Leopoldo che tutte queste riforme, che sì fatte abolizioni di tasse, di appalti, di propine , di fronte  a tante pubbliche spese dovevano vistosissimamente diminuire le regie entrate. Lo sapeva e lo diceva, ma più lo moveva il desiderio del bene pubblico che il vantaggio proprio; avvegnachè prevedeva ciò che avvenne, cioè, che una più esatta amministrazione de’beni, una più attiva circolazione de’generi, una più libera, più estesa e migliore manifattura de’prodotti nostrali dovevano supplire a tuttociò che perdeva. E chiaramente lo dimostrò col fatto, tosto che questo stesso Granduca fu in grado, non solamente di soddisfare ai frutti del debito pubblico, ma di erigere stabilimenti nuovi e di estinguere tanti luoghi di monte per la somma di lire 56,
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    649, 201.
    Tra mezzo a tutte queste cose Pietro Leopoldo non tralasciava di ordinare nelle varie parti del Granducato stabilimenti di utilità pubblica, sì per l’educazione morale, civile e religiosa, tanto per soccorso dei poveri, come anche per decoro della santa religione che professava.
    Non dirò delle moltissime chiese parrocchiali edificate per le campagne, dove, o mancava chi amministrava i sacramenti, o non bastavano i mezzi da mantenere i parrochi, o per vecchiezza cadevano le loro abitazioni.
    Nè starò a dire dei canali aperti, dei ponti costruiti, dei paduli bonificati in Maremma e in Val di Nievole, dei laghi prosciugati, delle grandiose terme  edificate; nè starò ad enumerare quali, quante, e a chi vistosa somma ascendessero le strade aperte nel Granducato sotto il suo regno. Senza far menzione alcuna delle vecchie vie maestre restaurate, nè di quelle per abbellimento e per comodo di varie terre e città costruite, basterà dare un’occhiata alla seguente nota officiale.

    - La strada che dalla città di Pistoja valicando la montagna guida sulla sommità dell’Appennino ai confini del modenese, costò lire 2, 612,895
    - Da Pistoja fino al confine lucchese del Ponte all’Abbate lire 1, 000, 882
    - Da Pisa a Livorno lire 263, 181
    - Quella R. Lauretana che da Siena per Asciano varca in Val di Chiana lire 273, 888
    - La Traversa che dal Borgo a Buggiano conduce a Pisa, e quella che và ad Altopascio lire 346, 603
    - La strada che si prolunga per Vico Pisano, Calcinaja e Val di Nievole lire 340, 193
    - Quella della Valdichiana per Torrita lire 273, 879
    - La strada da Volterra alla Marina di Cecina lire 94, 313
    - Quella da Siena a Grosseto lire 227, 082
    - La strada da Massa  a Follonica
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    lire 140, 000
    TOTALE Lire 5, 572, 916

    Rimase incompleta la strada aperta al Pontassieve per San Godenzo dovendo varcare l’Alpe di S. Benedetto e traversare la Romagna toscana; la qual via si arrestò a piè della montagna medesima, sino a che essa è stata continuata nella parte più difficile e più alpestre dalla magnanimità del SECONDO LEOPOLDO felicemente regnante.
    Non si conosce esattamente il costo di molte altre strade tracciate sotto lo stesso Granduca, come sono quelle dal Pontassieve fino alla Consuma, da Pisa al Fitto della Cecina, il tronco della strada Aretina da Malafrasca ad Arezzo, l’altro tronco da Palazzone al Bastardo sino in Valdichiana quello dalle Fornacette alla strada di Vicopisano.
    Non occorre indagare quanto costassero i Campisanti costruiti lontano dall’abitato, in ordine al motuproprio de’30 novembre 1775, tosto che quello solo di Trespiano, spettante alla città di Firenze, importò lire 329511.
    Per ordine di Leopoldo un milione di lire erogato negli 83 conservatorj e stabilimenti di l’educazione per le fanciulle di tutti i ceti, sparsi nel Granducato.
    Basta aggiungere, in quanto spetta alla città di Firenze, che nel tempo medesimo sorgevano scuole pubbliche per ogni classe e per ogni sesso in ciascuno dei quattro quartieri della capitale, nei quali destinò chirurghi ostetrici e levatrici stipendiate. Assegnò premj ai medici e a chiunque avesse liberato dalla morte apparente asfissi ed affogati. Riunì per un più esatto servizio i molti ospedali della città nei tre più grandiosi di S. Maria Nuova, degl’Innocenti e di Bonifazio, conservando inoltre quello grandioso dei Benfratelli. Ai quali ospedali non solo aumentò le rendite e il locale, ma fece rialzare dai fondamenti con più ordine e maggiori comodi e simmetria quello di Bonifazio Lupi , destinandone una porzione agl’invalidi, l’altra ai dementi dei due sessi.
    Nell’area già occupata da un monastero i donne e dal soppresso spedale di S. Matteo, Pietro Leopoldo fece innalzare un grandioso edifizio per
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    l’accademia delle Belle arti, fornito di maestri del disegno, dalla pittura alla scagliola, dall’incisione in rame e in camei al commesso delle pietre dure, e assegnando premj agli alunni cui preparò in quel locale, oltre agli accennati soccorsi, una copiosa collezione di modelli in quadri della scuola fiorentina, e in gessi tratti dai capi d’opera di scultura antichi e moderni. Mentre tutto ciò operava a prò delle Belle arti, lo stesso G.D. faceva acquisto del palazzo Torrigiani, prossimo alla sua reggia de’Pitti, per convertirlo in un Gabinetto di Fisica e di Storia Naturale con un Osservatorio astronomico, onde offrire alla vista giornaliera del pubblico la più memorabile e rara collezione d’istrumenti fisici dell’Accademia del Cimento, di preparazioni anatomiche in cera e di prodotti dei tre regni della natura raccolti da varie parti del globo, con l’esemplare vivente del regno vegetabile nel contiguo splendidissimo orto botanico.
    Gli studj di Pisa e di Siena meglio si ordinarono, nel tempo che  a Firenze nuove cattedre di agraria, di giurisprudenza e di medicina s’istituivano; che le librerie della Laurenziana e della Magliabecchiana di codici numerosi e di libri provenienti dalle biblioteche  Palatina, Gaddiana e Strozziana si arricchivano; quando la galleria sopra gli Ufizj e la loggia dell’Orgagna di antiche statue si adornavano.
    Inoltre instituì sopra la fabbrica degli Ufizj un monumento alla storia del medio evo nell’Archivio Diplomatico, che quel sovrano ordinò ad oggetto di raccogliervi gli antichi documenti MSS. in cartapecora. “ Avendo in veduta (dice il motuproprio del 24 dicembre 1778) li importanti lumi, che tali documenti possono apportare non solo all’erudizione ed all’istoria, quanto ancora ai pubblici e privati diritti, S. A. R. ha determinato di stabilire in Firenze un pubblico Archivio Diplomatico, preseduto da un direttore con due ajuti che travaglieranno sotto di lui per l’ordinazione ed illustrazione delle cartapecore; riserbandosi S. A. R. ad accrescere di questi il numero, allorchè si riconoscerà, che la quantità dei documenti lo esiga.”
    Con quale operosità, zelo ed intelligenza cotest’Archivio
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    Diplomatico, dall’epoca della sua instituzione sino a oggi abbia progredito, lo diranno tutti quelli che ebbero occasione di visitarlo e di ammirare in quella copiosissima raccolta, di 140000 pergamene, circa 135000 di esse di già spogliate, cronologicamente ordinate, e in gran parte da quegl’impiegati illustrate.
    Ma il fatto che più di ogni altro recherà stupore alla posterità, e che renderà Leopoldo tanto più grande quanto più il mondo invecchierà, sarà quello di sentire che un principe indipendente, come un Granduca di Toscana, innanzi che fosse chiamato dai destini a succedere al defunto fratello sopra un più alto trono, volle lasciare ai suoi sudditi un pegno prezioso e solenne della sua clemenza e bontà col pubblicare un Rendimento di conti esatto e sincero assai più di quello che avrebbe potuto aspettarsi da un amministratore o curatore, anzichè da un padrone assoluto, cui non restava alcuna cosa, eccetto la sua coscienza, da consultare. – Quel magnanimo e sapiente monarca era talmente persuaso, che il più efficace mezzo per sempre più consolidare la fiducia dei popoli verso il governo fosse quello di sottoporre alla cognizione di ciascun individuo le diverse mire e ragioni che avevano servito di fondamento ai provvedimenti prescritti secondo l’esigenza e l’opportunità delle circostanze, volle manifestare senza riserva e colla massima chiarezza l’erogazione dei prodotti delle pubbliche contribuzioni. Che perciò Egli stesso con simili eroiche parole esordiò il suo famoso Rendiconto , allorchè fece dare alle stampe il dettaglio ragionato, non tanto di ciò che riguardava l’amministrazione della finanza, dal suo avvenimento al trono della Toscana fino a tutto l’anno 1789, ma di quanto ancora potesse mai aver rapporto alle principali operazioni e regolamenti di pubblica economia agraria, industriale e di commercio, alle leggi civili e criminali, alla pubblica morale e disciplina ecclesiastica, alli stabilimenti di carità e d’istruzione. Premessa una sincera esposizione dello stato politico ed economico della Toscana, quel Sovrano diede un dimostrativo discarico della totalità delle RR. rendite, e della loro erogazione. Dalla quale
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    dimostrazione appariva: che nell’anno 1765, ultimo del governo di Francesco II, gli Assegnamenti ed Entrate diverse dello Stato ascendevano a lire 8, 958, 685. 17. 4, quando le Spese ed Aggravj , tanto orinarj come straordinarj, assorbivano la somma di lire 8, 448, 892. 1. 10. – Avanzo netto lire 509, 193 15 6.
    Altronde il prospetto generale dell’Entrata e Uscita, desunto dai resultati dell’anno 1789, diede di prodotto, a Entrate lire 9, 199, 121. 1. 9; e a Uscite lire 8, 405, 056. 8. 4. Cosicchè restarono superiori l’Entrate di lire 784, 064. 8.4.
    Per la quale generosa e spontanea dimostrazione Pietro Leopoldo, con una sorprendente chiarezza, con documenti e prove di fatto, volle a chiunque dimostrare non solamente il resultato della percezione, ma anche l’erogazione delle rendite de’suoi stati per il corso di 24 anni del suo felice governo, onde far conoscere il suo massimo disinteresse e la costante premura con cui Egli aveva impiegate le pubbliche risorse nel migliorare l’amministrazione economica, sgravando progressivamente lo Stato dal debito che lo affliggeva, nel tempo che  a favore dei suoi sudditi il Granduca rinunziava a molti assegnamenti, a tante gabelle, tanti appalti, tante regalìe, tasse e privilegj percepiti dai sovrani che prima di lui avevano retto i destini della Toscana.
    Non aveva appena cominciato il suo corso l’anno 1790, quando giunse a Firenze la trista nuova della immatura morte dell’imperatore Giuseppe II nella fresca età di 49 anni, caso tanto più dolente per i Toscani, in quanto che doveva allontanare da essi l’Augusta persona del benefico sovrano che con sommo amore e filantropia per 25 anni gli aveva diretti, corretti, visitati e beneficati.
    Infatti l’imperatore Leopoldo, nel dì 1 marzo del 1790, lasciò Firenze dopo aver nominato un consiglio di Reggenza con facoltà di spedire tutti gli affari  a tenore delle istruzioni e ordini che riceverebbe da S. M. R.
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    e Imperiale nella sua qualità di Granduca di Toscana.
    Nel settembre dell’anno medesimo 1790 furono celebrati in Vienna i ben augurati sponsali dell’Arciduca Ferdinando secondogenito dell’Imperatore con l’Infanta Luisa Maria Amalia figlia di Ferdinando IV re di Napoli. La quale celebrazione fu preceduta dall’atto solenne fatto in Vienna, li 21 di luglio 1790, da S. M. R. e Apostolica a favore dello stesso Ferdinando suo figlio, cui rinunziò la libera sovranità del Granducato di Toscana.
    Infatti il nuovo Granduca fu annunziato e proclamato in Firenze con editto della Reggenza del 7 marzo dell’anno 1791, in seguito da un dispaccio dell’imperatore.
    Il motuproprio dei 22 febbrajo 1792, col quale Pietro Leopoldo annunziò ai Toscani la cessazione del suo governo, costituisce un monumento storico glorioso per quel Monarca, per la Nazione che resse, per l’Augusto figlio che gli succedè. Ecco con quali memorande parole quel generoso Sovrano si congedava dai Toscani. “ Terminando il mio governo dal giorno della pubblicazione dell’atto stipulato in Vienna il dì 21 luglio 1790, ho creduto di dovere ed insieme di giustizia, di dare al militare, alla nobiltà, alla cittadinanza, al ceto degl’impiegati, ai capi di dipartimento e specialmente della Reggenza, come anche a tutta intiera la nazione e popolo toscano un pubblico contrassegno del mio particolare gradimento, riconoscenza e gratitudine per l’attaccamento che hanno dimostrato alla mia persona, quanto ancora per lo zelo, premura e buona volontà, con cui è stato dagl’impiegati e da tutto il pubblico concorso costantemente contribuito alla buona riuscita di quanto è stato operato nel tempo del mio governo. Con questa persuasione mi lusingo ancora, che dagli effetti ognuno sarà  rimasto persuaso, che ben lungi dall’aver  avuto fini secondarj, ed oggetti particolari, tutte le pene che mi sono dato sono state sempre dirette al pubblico vantaggio ed all’adempimento dei miei doveri. È vero che sono state le mie cure largamente ricompensate dallo zelo e premura del ministero e del pubblico, il quale si è interessato alla felice riuscita delle mie
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    operazioni; ma questo appunto mi porge tutto il motivo e speranza che il mio Figlio, al quale non ho tralasciato d’inculcare li stessi sentimenti, troverà pure in ogni ceto quell’attaccamento, affetto e docilità, che formano il carattere della Nazione.”
    Beato quel principe, fortunato quel popolo che ha tanta contentezza da poter dire di lasciare la generazione che gli succede cresciuta e stabilita nei precetti della virtù, nell’esperienza del ben operare e nel possesso della comune felicità!
    Tale quale Cesare lo predisse fu l’ottimo principe Ferdinando III, che il suo popolo amò dalle fasce, e che fatto Granduca con effusione sincera di affetto e di rispetto accolse ed acclamò nel giorno di 8 aprile dell’anno 1791, giorno in cui Egli giunse con l’Augusta Sposa nella sua capitale.

    FERDINANDO III, GRANDUCA X

    Non vi fu forse nei tempi trapassati un sovrano, il quale, trovandosi in mezzo alle più difficili circostanze politiche, senza eserciti da farsi ragione e con un piccolo Stato da governare, sapesse al pari di Ferdinando III felicitare i sudditi mediante la dolcezza del suo dominio.
    Non aveva la Toscana in sessanta anni di governo della dinastia Lotaringio-Austriaca assaggiate per anco le leggi amarissime della necessità. I primi suoi colpi e l’ire prime della fortuna aspettarono che fosse salito sul trono il figlio del Gran Leopoldo, affinchè le più intricate difficoltà nell’arte di regnare servissero di tirocinio all’ottimo principe.
    Erano la mente e l’animo di Ferdinando rivolti a completare alcune disposizioni economiche, giudiciarie e governative, incominciate dall’augustissimo suo Genitore. Tale fu la legge del 18 ottobre 1791, sull’importante oggetto delle dogane, cui appellava l’editto del 30 agosto 1781 per stabilire una gabella unica e una tariffa generale. Tale l’opera utilissima che tanto l’Avo come il Genitore eransi proposta per la compilazione di un Codice toscano, della quale importantissima impresa, con dispaccio del 21 maggio 1792, Ferdinando III affidò l’incarico all’insigne giureconsulto G. Maria Lampredi, invitando a concorrervi coi loro lumi tutti i
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    magistrati del Granducato. Tale ancora l’idea che dettò la legge del 26 settembre 1794 sulla revoca dell’affrancazione della Tassa di Redenzione alle Comunità per l’estinzione dei luoghi di Monte, nella veduta di preparare i mezzi alla rettificazione del Catasto, cui si opponeva direttamente l’operazione dello scioglimento del Debito pubblico, ordinata con le leggi del primo e del 7 marzo 1788, che doveva convertire in un debito privato la respettiva tangente della Tassa prenominata. Mosso il Granduca dal desiderio di provvedere ai bisogni in tempi di carestia, pubblicò la legge del 9 ottobre 1792, colla quale venne proibita l’estrazione dei generi frumentarj indigeni del Granducato, e si ristabilivano gli ufiziali dell’Annona e della Grascia.
    Ma le sublimi qualità, e la dolcezza del carattere di Ferdinando III rapporto agli affari politici si svilupparono sino da quando prese fuoco la rivoluzione francese; e fu Ferdinando III il primo tra i regnanti, il quale, penetrato dal sentimento della sua posizione, consentisse di trattare mediante un suo ministro col Comitato di Salute pubblica. Il trattato del 5 febbrajo 1794, che stabiliva la neutralità fra la Toscana e la Francia, fu intavolato e sottoscritto dal Granduca nel desiderio di liberare i suoi popoli dalle sciagure, e se stesso da quei pericoli, ai quali però ben presto sudditi e sovrano si trovarono esposti. Imperocchè appena le armate della Repubblica francese ebbero superate le Alpi (anno 1796), quel Direttorio dopo avere ottenuto che si allontanassero tutti gli emigrati rifugiati in Toscana, comandò, che una divisione dell’esercito di Bonaparte penetrasse nel Granducato, (26 giugno 1796) sotto pretesto che la bandiera repubblicana era stata insultata dagl’Inglesi nel porto di Livorno, che le proprietà dei negozianti francesi vi fossero state violate. Intanto che il vincitore di Montenotte faceva eseguire in Livorno il sequestro di tutti i capitali del commercio inglese, e di ogni sorta di mercanzie che potevasi scuoprire di proprietà loro, o dei sudditi delle potenze belligeranti; intanto che, per colmo di arbitrio, si arrestava il governatore di
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    Livorno inviandolo con dei lamenti a Firenze; frattanto che le carpite merci si vendevano con molte fraudi; nel mentre che si mugnevano i negozianti tutti di quel porto con cinque milioni di lire di riscatto, sovrastava al Granduca il pericolo di vedersi togliere lo Stato, siccome tale era l’intenzione di Bonaparte.
    All’epoca di questa prima invasione francese nella Toscana Firenze vide spogliarsi di molti capi d’opera di belle arti, fra i quali la famosa Venere de’Medici, ritornati tutti nel 1815.
    Intanto che i Francesi maltrattavano Livorno, gl’Inglesi non portavano maggior rispetto a Porto Ferrajo, dove nel dì 9 di luglio si presentarono minacciosi con grossa flottiglia e con truppe da sbarco. La perdita istantanea della Corsica, obbligò gl’Inglesi a lasciare quel porto, dopo averlo per breve tempo occupato; e ciò poco dopo che, previo lo sborso di due milioni di lire le truppe francesi avevano evacuato Livorno (maggio 1797) impegnando il Granduca a dovere chiudere agl’Inglesi i porti del littorale. – Ma non per questo il direttorio rinunziava alle sue mire tendenti alla conquista definitiva della Toscana.
    L’armistizio di Campo Formio, e quindi la pace di Udine sospese, ma non distornò il Direttorio dal meditato progetto. Avvegnachè si ebbe ricorso ad altri mezzi con sollecitare indirettamente i meno cauti, o i più esaltati a tentare di sollevare gli animi dei Toscani per natura loro propensi alla pace, e fedeli all’ottimo loro monarca.
    Già da qualche tempo s’introducevano da varj punti in Toscana uomini senza carattere  e forse col solo scopo di preparare dei fautori alla Francia, e di staccare i sudditi dalla soggezione e affetto verso il sovrano. Fu una questa delle ragioni che obbligò Ferdinando a emanare la legge del 30 agosto 1795, con la quale deviò in qualche parte dalle massime che costituiscono la magna carta de’30 novembre 1786 del Codice criminale toscano.
    “ Convinto da una trista e dolorosa esperienza (diceva l’augusto Figlio di Pietro Leopoldo) che un sistema
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    più dolce nella procedura, più mite nelle pene, per quanto era confacente al carattere mansueto della nazione toscana, poteva per altro richiamare dai paesi circonvicini dei soggetti facinorosi con grave discapito della quiete e sicurezza dello Stato e dei sudditi, si trovò Egli perciò costretto a richiamare un maggior rigore nei giudizj, e ad aggravare il gastigo, onde atterrire i mali intenzionati, e specialmente coloro che avessero tentato di sovvertire l’ordine pubblico.”
    Al principio del 1798 il Direttorio esecutivo fece dichiarare al Granduca che bisognava scegliere, o un’alleanza attiva, o un’ostilità dichiarata. Mentre però Ferdinando si lusingava di veder compiti i suoi voti per il ristabilimento della pace, specialmente in Italia, Egli sentiva presso alle porte dei suoi Stati movimenti di armate, e misure di guerra minaccianti la sicurezza e tranquillità sua e dei suoi sudditi. Quindi, vide la necessità di prendere delle precauzioni per la comune difesa, con un appello ai suoi buoni Toscani, fatto nel 30 novembre 1798, allorchè invocava la divina Provvidenza, affinchè volesse preservare da ogni disastro questo innocente paese, il quale non aveva se non che de’diritti alla riconoscenza di tutte le Nazioni.
     Si formarono pertanto varj corpi di volontarj da arruolarsi ne’battaglioni di Bande, dipendenti dagli ufiziali della truppa regolata, onde provvedere alla difesa della comune patria.
     Ma il Governo francese che aveva penetrato la politica del Granduca, e la Rep. Cisalpina che erasi accorta della vigilanza che si praticava in Toscana sopra gl’individui provenienti dalla Lombardia, ebbero ricorso ad un nuovo pretesto, come quello d’aver favorita e permessa alle truppe napoletane l’occupazione di Livorno, nel gennajo dell’anno 1799. Dietro a sì fatto reclamo si vide entrare minacciosa nel Granducato una divisione dell’armata francese, per rimuovere la quale il Principe pagò rilevanti somme onde facilitare ai Napoletani l’evacuazione di Livorno e la ritirata de’Repubblicani dal Granducato.
    Ma poco dopo (marzo 1799) rottasi la pace tra la Repubblica francese e l’Imperatore, anche la Toscana fu compresa nella dichiarazione di guerra; cosicchè i
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    Francesi penetrarono da tre punti nel territorio Granducale, e il ventisette di marzo, giorno di lutto universale, Ferdinando III con l’Augusta famiglia dovè lasciare la sua reggia, e con dolore abbandonare i suoi desolati sudditi dopo averli esortati ad adattarsi con rassegnazione alla sorta.

    STATO DI FIRENZE DURANTE L’ASSENZA FORZATA DI FERDINANDO III

    Gli avvenimenti politici, di cui molti tra noi fummo testimoni, e il desiderio di attraversare sollecitamente cotesta tempestosa laguna per rientrare al più presto nel porto, renderà più rapido il discorso sulle vicende politiche che chiusero con molte lacrime il secolo XVIII, e che in mezzo a tumultuose sevizie diedero principio al secolo XIX.
    Centundici giorni Firenze e una gran parte della Toscana ubbidì sommessa e taciturna agli ordini di chi subentrò al governo di Ferdinando III, in guisa chè un generale di divisione ( Gaultier ) e un commissario di guerra ( Reinhard ) reggendo la somma delle cose, nel 5 aprile annunziavano ai Fiorentini, che il giorno 18 germinale, anno VII Repubblicano, farebbe epoca nei loro annali, dopo il voto legalmente espresso dai rappresentanti della città. Stantechè quel giorno era stato destinato alla festa patriottica dell’erezione dell’albero della libertà, davanti al vecchio palazzo del popolo fiorentino.
    Era appena scorso un mese da che le truppe francesi occupavano la Toscana, quando gli abitanti delle città di Cortona e di Arezzo pieni di furore e di vendetta, innalzando l’insegna della rivolta, e gridando Viva Maria, distruggevano gli alberi della libertà, e facevano man bassa sopra chiunque fosse stato di francesismo sospetto.
    Mentre tali faccende mettevano in gran pericolo la Toscana, in vista che le forze de’Repubblicani erano ancora considerevoli in Italia, mentre era per attraversarla un numeroso esercito reduce dall’invasione di Napoli, il duumvirato di Reinhard e di Gaultier con proclami atterriva (5 maggio 1799) tutte le comunità della Toscana, nelle quali si fossero formati attruppamenti
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    sediziosi.
    E quasi che la nazione toscana avesse di proprio intuito chiesto di essere rigenerata all’uso di quel governo, veniva rimproverato dai duumviri con queste ridevoli parole chi era avvezzo a vivere sotto le leggi Leopoldine: ……Voi che atterrate gli alberi della libertà, dovevate nel giorno in cui essi furono piantati eslamare: noi vogliamo rimanere schiavi; la ragione non è fatta per noi: ci dichiariamo indegni di esercitare i diritti dell’uomo!!!…..
    Per buona sorte degli Aretini, verso il finir di maggio l’armata di Macdonald passava da Siena, donde questo maresciallo fulminava bando di esterminio, se Arezzo e Cortona ben tosto non si sottomettevano. Ma gli Aretini e i Cortonesi non si sbigottirono; e la tempesta attraversò senza toccare il loro territorio. Quindi le tre sanguinose giornate della Trebbia (18 19 20 giugno) avendo deciso delle sorti in Italia, liberossi la Toscana dai Francesi; i quali senza attendere alcuna truppa regolata dell’esercito vincitore, nella notte del 4 al 5 luglio, lasciarono Firenze vuota di presidio, e di ogni sorta di pubblico denaro.
    La loro taciturna ritirata da una popolosa città mise a cimento il buon ordine e la quiete pubblica in guisa, che ad onta delle esortazioni dei magistrati provvisorj Firenze videsi involta fra persecuzioni di cittadini e di contadini, i quali senz’ordine e senza legge a furia di spaventevoli grida e d’insulti imprigionavano, saccheggiavano e inveivano tumultuariamente contro coloro che avevano servito o in qualche modo aderito al governo francese . – Per buona sorte l’anarchia non fu di lunga durata, cui successe un governo provvisorio, che nell’assenza tanto deplorata del legittimo sovrano sostenne l’amministrazione dello Stato. In questo modo terminò l’anno 1799, ed era già  a mezzo il corso il 1800, quando arrivò a Firenze la novella della battaglia di Marengo, (14 giugno) che ripose i destini dell’Italia e dell’Europa in mano di Napoleone.
    Allora pur anche la Toscana dovette di nuovo piegare il collo al giogo francese, e nel
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    15 ottobre  di detto anno i generali Dupont e Miollis entravano in Firenze, 4 giorni innanzi che Mounier e Cara Saint Cyr s’impadronissero a viva forza di Arezzo e la ponessero a sacco. Intanto un triumvirato di parte francese era succeduto alla reggenza che aveva governato pel legittimo principe questa provincia; quando pel trattato di Luneville (9 febbrajo 1801) il primo Console Napoleone cedè a Lodovico di Borbone, figlio dell’Infante duca di Parma, il Granducato sotto il titolo di Regno di Etruria ; regno pagato a caro prezzo dalla Spagna con la cessione della Luigiana, col dono di cinque vascelli e con lo sborso di più milioni di contante. Si prometteva poi nel suddetto trattato una indennità piena ed intera al Granduca Ferdinando III in Alemagna, dei suoi stati aviti d’Italia.
    Nè è da tacersi la fedeltà degli Elbani verso questo amatissimo principe; poichè Portoferrajo resistè alle forze di terra e di mare spedite dalla Francia per conquistare l’Isola; nè fu capitolato se non dopo il trattato d’Amiens fra la Francia e l’Inghilterra, e l’annuenza richiesta dal legittimo principe, pel quale combattevano; e fu d’allora in poi che la Francia si ritenne tutta l’Isola. Frattanto fu ricevuto dal general Murat nel 12 agosto in Firenze il re Lodovico, il quale, per quanto disbrigar si volesse delle truppe francesi stanziate in Livorno, non riescì che tardi nell’intento. ––Egli con decreto del 2 giugno dell’anno 1802 associò la Regina sua consorte al consiglio e alla direzione delle pubbliche cose. Ma infermiccio di salute com’egli era, dopo il ritorno da un viaggio in Ispagna, morì nel 29 maggio 1803, lasciando il trono al piccolo figlio Carlo Lodovico, assistito dalla vedova Maria Luisa, come Regina reggente.
     Avvenivano tali cose in Toscana, quando con passi di gigante Napoleone Bonaparte da un Senatus Consulto nel 18 maggio del 1803, veniva dichiarato imperatore de’Francesi, e nel 2 del successivo dicembre dall’immortale Pio VII nella metropoli della Francia incoronato.
    Quindi nel 26
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    maggio del 1805 cinse in Milano il diadema come re d’Italia; e forse credutosi più che mortale non conobbe più freno alle ambizioni. Nè abbandonollo la volubil fortuna, finchè non lo spinse all’apice della grandezza con la vittoria di Austerlitz (nel 2 dicembre 1805, anniversario della sua vittoria morale sulla democrazia francese), e col celebre trattato di Presburgo (26 dicembre detto), in cui novelli regni creava, altri ne distruggeva  e permutava, facendo dinastica la sua casata. Mercè i capitoli di quel trattato, Ferdinando III, che fino dal 1803 reggeva Salisburgo col titolo di Elettore, ebbe nuova sede e granducato in Wurtzburgo, ove nel 1807 Egli creava l’ordine del merito sotto il titolo di S. Giuseppe. Frattanto la Regina reggente di Etruria non dimenticava i disegni de’principi Austriaci a favor delle lettere, consacrando col motuproprio del 20 febbrajo dello stesso anno il R. Museo alla pubblica istruzione.
    Ma agitando sempre nella sua mente l’imperator de’Francesi prepotenti concetti, convenne con Carlo IV re di Spagna, mediante il trattato di Fontainebleau (27 ottobre del 1807) che s’incorporasse la Toscana alla Francia, e che Carlo Lodovico re di Etruria a titolo d’indennità avesse il regno della Lusitania  settentrionale, mentre si destinavano le province degli Algarvi in sovranità al principe della Pace, e il rimanente del Portogallo all’Impero francese; decorando col titolo d’Imperatore delle due Americhe il mentovato Carlo IV re di Spagna. Per questi politici divisamenti la Regina reggente si trovò costretta a licenziarsi nel 10 dicembre 1807 co’suoi popoli in cotal guisa: ” Avendoci l’imperatore dei Francesi e re d’Italia reso noto,che per un trattato concluso con S. M. Cattolica vengono a noi destinati altri Stati in compenso del regno di Etruria,dichiariamo da questo giorno cessato il nostro governo e sciogliamo la Nazione da qualunque vincolo di sudditanza ec. ” –Difatti in quello stesso giorno entrarono in Firenze le soldatesche francesi, tenendo il superiore comando Reille e Miollis, fino a tanto che, pubblicato il codice Napoleone nel 25
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    maggio 1808, una Giunta di governo da Menou preseduta, nel 9 luglio dell’anno suddetto, non ne prese l’assoluta direzione. Divisa la Toscana in tre dipartimenti, dell’Arno, dell’Ombrone e del Mediterraneo, ottenne dall’Imperator de’Francesi di etrusca origine due gran privilegj, cioè l’uso del patrio idioma nel foro e nei pubblici affari, e lo splendor d’una corte, dichiarandone Granduchessa (6 marzo 1809)la sua sorella maggiore. Ma per quanto proseguisse la volubil fortuna a decorare Napoleone di allori nelle giornate di Eylau, di Fryedland, di Eckmul e di Wagram, pure l’ingiusta guerra da lui mossa al re di Spagna per usurpargli la corona, e l’altra ardimentosissima contro la Russia, furon cagione che tutta Europa si collegasse in cotal modo per la sua ruina, che nel dì 14 aprile 1814 dura necessità lo astrinse a rinunziare all’impero. –Risentì la Toscana, come ogni altra provincia, l’effetto delle strepitose vicende, e nel 1 febbrajo di quell’anno era già partita di Firenze la granduchessa francese, e nel giorno 6 entrarono nella città milizie napoletane addivenute amiche e collegate coll’Austria. Ma spuntò finalmente il ridente giorno del 19 aprile, in cui ne fu preso possesso pel sospirato suo antico Signore Ferdinando III; il quale nel 18 settembre dell’anno stesso fra i trasporti di gioja e le acclamazioni più vive fece l’ingresso solenne nella sua metropoli, dopo 15 anni di dolorosa assenza. Fu il governo francese per i Toscani insopportabile e duro, perchè governo assoluto e di reggimenti non proprj al carattere di docile Nazione. Non vi fu famiglia, cui non contristasse la fatal coscrizione; increbbero i diritti riuniti ; pesò il prepotente comando. Pure fra tanti mali fuvvi alcun bene. Si migliorarono le branche amministrative per la precisione, l’ordine e il rigore introdottivi; furono moltiplicate ed ampliate le strade in servigio al commercio, eretti ponti, abbellite e illuminate le città, protetti gli ingegni, incoraggiate le arti e le manifatture coll’erigere a incremento di esse il Conservatorio annesso all’Accademia delle Belle Arti con una
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    confacente biblioteca. Piacque la pubblicità dei giudizi, la sollecitudine nelle sentenze, la bontà delle leggi civili, la severità nella procedura commerciale, e ciò che più monta, restò esonerato e liberato lo Stato di ogni suo debito per mezzo dei beni e delle soppresse corporazioni morali.

    GOVERNO DI FERDINANDO III IN TOSCANA DOPO LA RESTAURAZIONE

    Ritornato all’avito trono il desideratissimo Ferdinando III, fece tosto risplendere in pienissima luce quella caratteristica virtù che seco nacque e l’accompagnò nel sepolcro, la più squisita bontà. Infatti nel novello reggimento egli prese per guida delle sue opere la felicità dello Stato, e non le infiammate passioni de’tempi; nè sentì brama alcuna di vendetta per le ingiurie e i delitti, onde furono pur troppo brutti e sanguinosi gli ultimi giorni del secolo trapassato. Fra i primi atti del suo animo generoso si fu quello d’interrogar la sapienza de’toscani giureconsulti, per dare ai sudditi leggi, quali richiedeva l’età presente e tanta esperienza di cose. Pose adunque mano nel 1814 a riordinare il governo secondo le istituzioni del suo Augusto genitore, nè tampoco trascurò le straniere, che a lui parvero le più utili alla pubblica prosperità dopo un’esperienza dimostrata. Per queste ragioni i tribunali, i magistrati, le ruote si riprodussero secondo l’antico sistema, e in una forma di evidente giustizia; imperciocchè volle che palesi fossero le azioni delle cause si civili, che criminali; palesi le accuse, le difese, le assoluzioni, le condanne. –Con motuproprio de’13 ottobre 1814 creò la Ruota civile e criminale di Grosseto, che comprendeva nella sua giurisdizione tutto il territorio dell’antica provincia inferiore senese, e nei rapporti di Ruota criminale estendeva la sua giurisdizione anche al Piombinese e all’isola dell’Elba. Ma il cielo politico non era ancora sereno; fosche nubi addensaronsi, e minacciarono altra funesta esplosione. Nel 20 marzo 1815 Napoleone, evaso dall’Elba, entrava in Parigi, e un esercito di Murat nell’8 aprile in Firenze; e già pendevan di nuovo i destini d’Italia e di Francia, quando
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    la battaglia di Tolentino (4 maggio) e quella memoranda di Watterloo (18 giugno) spensero affatto ogn’incendio di guerra, e ogni speranza di regno e d’impero nei due vinti cognati.
    Se però dileguavansi le temute politiche calamità, due tremendi flagelli ricomparivano ad affliggere la Toscana, la fame ed il tifo. Non è a dirsi con quanto zelo si adoprasse l’ottimo Principe per fare argine ai mali, e come tosto cacciasse la prima, procacciando all’indigente un guadagno col promuovere opere pubbliche d’ogni maniera e in ogni angolo dello Stato; e come in seguito vincesse l’altra, erigendo ovunque spedali ed ospizj, ed affidandoli alla cura di zelanti cittadini. Fu grande allora il fervor dei lavori nelle regie fabbriche, e sommo nell’apertura di nuove strade; fra le quali sono da rammentarsi, quella regia della Val Tiberina per render più pronto il commercio fra i due mari; quella per cui comunica Volterra con Siena, e che si lega coll’altra pur nuova che da Siena guida ad Arezzo; quella sul littorale del mare Mediterraneo che unisce Grosseto ad Orbetello, quella che traversa il Casentino, e l’altra infine che dal Ponte a Sieve più comodamente conduce al Superiore Valdarno, che fu dichiarata R. postale. A tali imprese cento altri consimili benefici provvedimenti andarono uniti: di modo tale che può dirsi, a ragione, di si ottimo Principe, che se non lasciò trascorrere giorno in cui non fosse cortese di qualche privato favore, non passò altresì mese senza segnalare l’epoca di un qualche suo pubblico benefizio.
    Infatti con sovrano motuproprio degli 11 gennajo 1815 stabiliva il collegio Forteguerri di Pistoja, nel luogo della Sapienza cui il benemerito card. Niccolò Forteguerri, sino dal 1473 aveva donati amplissimi fondi per l’istruzione della gioventù; e corrispondendo alle benefiche mire di quel porporato, Ferdinando III riunì in quel collegio tutte le pubbliche scuole della città di Pistoja. Con altro motuproprio del 21 novembre dell’anno istesso erigeva in Firenze l’ospizio della Maternità, e fu nello stesso anno (18 dicembre) che
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    aprivasi in Firenze la Pia Casa di Lavoro, per raccogliervi i questuanti della città e del suburbio. Neppure il seguente anno (1816) andò scarso di sue grazie; imperocchè col motuproprio del 2 settembre confermò la R. deputazione degli spedali e luoghi pii del Granducato, e la incaricò di riorganizzare e sistemarne i loro patrimonj. Nel 1817 beneficò Siena col pio stabilimento di Mendicità, associando i suoi caritatevoli sussidii alle volontarie oblazioni dei benemeriti di quella città. Nell’anno medesimo, con notificazione del 26 febbrajo, creò in Firenze un Archivio centrale, destinato a raccogliere e conservare le scritture e i documenti spettanti alle soppresse corporazioni religiose, affinchè non si smarrissero così preziose e interessanti memorie; istituzione carissima agli eruditi, utilissima alle amministrazioni. Nel tempo che incoraggiava con sovrana munificienza la già accreditata Accademia delle Belle Arti in Firenze, dava vita in quest’anno, con decreto del 23 agosto, ad una sorella di lei nella dotta Alfea, raccomandando ai professori una scrupolosa vigilanza sopra tutti gli oggetti di arte sparsi intorno alle chiese, ne’monasteri, ed in altri pubblici stabilimenti, come anche nelle strade, nelle piazze di Pisa e nei luoghi suburbani, per riunirli all’uopo nel museo dell’antichità patria, qual è il Campo santo di quella città. Nella stessa Pisa raddoppiava le sue beneficenze col sovrano motuproprio del 28 novembre, mercè cui si soccorrevano molti infelici con la filantropica scuola de’Sordi-muti. Giunse pure in quest’anno alla sua maturità quel disegno che fin dai primi esordj del suo governo Ferdinando III avea concepito, onde rimuovere le disparità del contributo, mediante l’istituzione della tassa prediale da distribuirsi per tutta la superficie del Granducato con proporzione adeguata al valore dei beni. A tale oggetto, con motuproprio de’24 novembre 1817 creò la Deputazione per la direzione del nuovo Catasto; per cui non solo incoraggi l’astronomo insigne prof. Giovanni Inghirami a intraprendere una triangolazione per tutta la Toscana, ma volle di più che l’I.  e R. Governo se ne addossasse tutto intiero il dispendio sino ad avere da
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    lui una carta geometrica della Toscana ricavata dal vero nella proporzione di  1 a 200000, della più esatta esecuzione. Questo beneaugurato anno 1817 ottenne infine dalla beneficenza del Principe l’ufizio dello Stato civile, dipendente dal Segretario del Regio Diritto, destinato a formare i registri de’nati, de’morti e de’matrimonj del Granducato. Dai quali registri si hanno non solo i resultamenti statistici si parziali che generali rispetto alla popolazione ne’suoi variati rapporti, ma altresì le nozioni più precise sulla durata media della vita umana, siccome in Francia fu dato il primoesempio dal boureau delle Longitudini, cui presiedono sommi scienziati. Si conservano inoltre in tale ufizio numerosi campioni statistico-geografici di tutte le località della Toscana, secondo le diverse loro dipendenze nell’ordine politico, giudiciario, economico, civile. Dopo aver provvisto coll’istituzione di una deputazione ecclesiastica per l’amministrazione interna della Metropolitana fiorentina e del tempio di S. Giov. Battista, con motuproprio del 22 febbrajo 1818 lo stesso Granduca creò una deputazione secolare sopra l’Opera di S. Maria del Fiore; la quale fornita di sufficienti rendite, non solo ha potuto sostenere i restauri dell’uno e l’altro tempio, ma è giunta ancora ad inalzare tre vasti ed uniformi palazzi, distruggendo le umili case e lasciando libero spazio all’occhio dello spettatore per contemplare la simetria e l’ordine di un edifizio per ogni lato sublime, e tutta la bellezza della maravigliosa torre di Giotto. Fra così varie e molteplici cure per render felice il suo popolo un’altra pur ne sorgea nella mente del Principe, per cui nel 4 dicembre 1819 stabiliva definitivamente l’organizzazione della guardia dei Pompieri, non tanto rivestendola di grado e caratteristica militare, quanto col procurarle un numero vistoso di macchine. Abbellì quindi RR. Ville, e ampliò la reggia del palazzo de’Pitti. Amico alle belle arti di pace, non si rimase dall’adunare opere di singolare artificio, dal porgere occasione ad egregii per emular la natura con la mente e con la mano, e dal beneficare i cultori delle scienze e delle lettere. Si dee
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    al suo animo generoso la sanzione dell’annuo premio che per concessione imperiale già decretava la Crusca. Arricchì poi talmente di preziose opere e di splendide edizioni la sua biblioteca Palatina, che ora può dirsi senza tema di esagerazione una delle più insigni di Europa. Del suo benefico amore verso l’agricoltura apertamente fanno fede la Val di Cecina e la Val di Chiana, e specialmente quest’ultima che per vastità di colmate, per numerosi viali e per le nuove fabbriche quasi vasto giardino rassembra. Sposò Ferdinando III in seconde nozze nel 6 aprile 1821 Maria Ferdinanda Amalia, figlia di Massimiliano Principe di Sassonia, e secondando Egli le materne sollecitudini del di Lei cuore e quelle della sua pietosa Sorella, nel 24 novembre 1823 decretava che sorgesse il R. Istituto della SS. Annunziata per l’educazione delle ingenue fanciulle, onde la società non patisse del maggior de’bisogni, quale si è un’ottima madre di famiglia. Un vivere così bello e riposato in Toscana persuase potenti stranieri che vennero d’oltremonti e d’oltremare a fermar la dimora sulle rive dell’Arno; e chi per la calamità de’tempi si trovò senza patria, quivi una patria rinvenne sotto l’egida della giustizia. Ritornava da un viaggio nelle Chiane l’ottimo Ferdinando nel 12 giugno dell’anno 1824, ma ritornava alla capitale col germe del male che a noi voleva barbaramente rapirlo appena arrivato all’undecimo lustro della sua età. I cittadini entrati in sollecitudine per l’imminente pericolo, taciturni erravano per le vie, ingombravano i sacri templi, sogguardavansi, interrogavansi, e penetravano negli atrii stessi e nelle sale del regio palazzo, smarriti, sparuti, affannosi, desolati. Niun’altra premura, nessun affare domestico o civile, tutti i passi, tutte le lingue, tutte le orecchie a questo solo erano rivolte, di questo solo occupate! Il pallore di un volto nell’altro si diffondea: nè potrei agguagliar con parole quel che io stesso vidi, e nell’intimo petto sentii fra il gemito e il tumulto della reggia e del popolo. Suonò l’ultim’ora, e il 18 giugno 1824 fu giorno di pianto
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    per tutti; e dico per tutti, perchè, anche gli stranieri medesimi che si trovarono presenti a così trista e inusitata scena, rimasero talmente commossi, che proruppero al pari di noi in tristi lamenti ed in sincere lagrime.

    LEOPOLDO II, GRANDUCA XI
    FELICEMENTE REGNANTE

    Riparava l’amara perdita il benefico figlio di sì benefico padre, il Granduca Leopoldo II, che or felicemente regge i nostri destini. L’imprendere a parlare di un sovrano che siede sul trono, sarebbe subbietto di non lieve difficoltà, se gli argomenti di evidenza e di fatto non mostrassero vere quelle espressioni di encomio e di lode che gli vengono tributate. Francheggiati per tanto da evidenti e indubitate prove, noi salutiamo il Granduca Leopoldo II, come quel Principe che, prendendo le vie calcate dell’Avo e del Padre, non solo raccolse i frutti da loro preparati, ma di altri ancora affrettò la maturità; e molti più semi Egli và spargendo per viemaggiormente rendere prosperoso e felice il suo Stato. Era Egli intento ai placidi studii sull’opere del Magnifico e di Galileo, quando, mancato il Genitore, gli fu mestieri nel fiore degli anni dedicarsi alla somma delle pubbliche cose. Il primo atto del suo governo fu un segnalato favore a prò del commercio, sopprimendo la così detta tassa del sigillo delle carni ; allorchè l’I. e R. Consulta con la notificazione del 16 novembre 1824 manifestava in questi termini i sentimenti del novello Signore. “S. A. I. e R. meditando i providi sistemi di governo adottati dall’Augusto dilettissimo suo Genitore, potè apprezzare i progetti di rettificazioni amministrative, e di risparmi già disposti a maturità, onde supplire a qualche diminuzione delle pubbliche imposte.
     Non tardò quindi a prenderne di mira una, che oltre al naturale suo peso si distingueva per essere opposta nel tempo stesso agli interessi dei proprietarj e dei consumatori. Era essa in oltre contraria alla legislazione economica stabilita sotto il regno glorioso del suo Avo immortale, onde per lungo esperimento divenne
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    qui evidente quanta pubblica prosperità produca la somma di tutte le industrie individuali eccitate da una libera e leale concorrenza, e quanto danno rechino privilegj e prerogative, che, abbagliando con molto lume in alcuni punti, spargono oblio sopra tutti gli altri lasciati nell’oscurità.
     L’I. e R. A. S. egualmente animata da paterna sollecitudine a favore di ogni classe di persone e di ogni parte del Granducato, a benignamente voluto che resti abolita la così detta tassa del sigillo delle carni, e proventi de’macelli , e felicitandosi di porgere la mano al compimento del pensiero Avito in questo saggio di beneficenza, ordina e comanda quanto appresso, ec. “
    Con tali benefici sentimenti, e con tale sapienza economica si assideva nel soglio toscano il Granduca Leopoldo II. Il quale, dopo decretata (1 novembre 1825) l’organizzazione del dipartimento delle acque e strade, pensò ad aprire per tre grandi vie tre gioghi dell’Appennino; cioè, con la strada della Cisa in Lunigiana, con quella di Urbania, concorrendo per questa alla spesa anche al di la del Granducato, e con la strada di Romagna per la Valle del Montone. Le ultime due vie Regie pongono in comunicazione diretta i due mari che circoscrivono la bella Penisola.
    Ma erano appena date tali provide disposizioni, che il Principe apriva il suo cuore a grazie più singolari e munifiche col motuproprio del 4 dicembre dell’anno medesimo, di cui è bello il riferire le clementi espressioni. “Se fu grato al nostro cuore il far godere dal 1 dello scorso maggio ai nostri amatissimi sudditi i vantaggi dell’abolizione di un’antica tassa, dannosa non meno ai consumatori che ai proprietarj ed agli agricoltori, molto più consolante è il potere nel volgere del cadente anno (1825) accordar loro un ulteriore alleviamento ai pubblici aggravj. Portata da Noi la più seria attenzione sulla proprietà fondiaria, e dopo esserci assicurati, che quando circostanze impreviste non sopravvengano, lo stato della finanza permette una diminuzione della tassa prediale,
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    abbiamo determinato di ordinare, conforme ordiniamo e vogliamo:
     Che dal 1 gennajo prossimo avvenire resti diminuita della quarta parte la tassa prediale, la quale, a forma del motuproprio de’7 ottobre 1817, è imposta e si esige attualmente al profitto del R. erario, ec. “
    Con universale esultanza incominciava adunque il suo corso il 1826, nè vi fu uomo sensibile che non professasse sincera gratitudine verso tanto benefattore. Nè questo è il tutto; imperciocchè in quest’anno approvò ancora lo stabilimento della Banca di sconto (27 settembre) con associarvi il R. Governo, e col munirla delle opportune garanzie e privilegj. –Prescrisse nell’anno 1827 (20 agosto) i regolamenti degli affari riguardanti l’economica amministrazione dei patrimonj dei pupilli e sottoposti, e volle che a favore degli interdetti per causa di prodigalità, l’ipoteca tacita legale su  i beni dei loro curatori s’intendesse infissa nel modo stesso e per gli stessi effetti, per i quali si acquista a favore degli interdetti a cagione di demenza o d’imbecillità, ed a favore de’minori, secondo il sistema ipotecario del Granducato. Intorno al qual sistema, conservato come cosa utilissima da Ferdinando III, altri regolamenti, per renderlo viemaggiormente utile, vennero in appresso da Leopoldo II comandati.
    Volgeva l’anno 1828, e sotto i sovrani auspicii si apriva in Siena una scuola pubblica per i Sordi-muti, non tanto sostenuta da spontanee oblazioni, quanto da larghi sussidj della regia Famiglia. Non era però giunto quell’anno fortunato al suo termine, quando comparve quel celebratissimo motuproprio del 27 novembre, come l’annunzio di una delle più grandi operazioni scientifiche ed economiche di quest’età, che meritò l’applauso di Europa, e la perpetua gratitudine del popolo toscano. Per esso si annunziava ai sudditi il grandioso divisamento di risanare e render culta, al pari dell’altre terre, la provincia grossetana. Non vi fu accademia, non vi fu giornale che non si compiacesse di riferirlo, indicando essere di già spuntato quel giorno, in cui condurre si dovea ad effetto un disegno da tanto tempo concepito,
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    e sempre debolmente tentato. Eccone le magnanime espressioni: “ S. A. I. e R.  restò profondamente commossa dallo squallore ed insalubrità, che desolando tutte le maremme toscane scoraggiavano con l’idea dei tentativi praticati senza conseguirne lo sperato meglioramento.
    Volle S. A. I. e R. sull’esempio de’suoi Augusti predecessori con assidua paterna cura riscontrare ocularmente l’estensione dei mali, e riunì quanti lumi emergevano dalla storia, dalla teoria e dalla esperienza. – Potè allora convincersi che tutte le risorse della natura e dell’arte non erano esaurite, e fissando intanto la sua sovrana considerazione sopra la pianura di Grosseto, la sottrasse in pochi mesi a quell’elemento d’infezione che può emanare dalla mescolanza delle acque marine colle pluviali. – Ponendo poi mente alla giacitura di quel terreno, e al pingue limo che trasportano i suoi influenti, trovò condizioni le più favorevoli ad un sistema di colmate fino al presente ivi sconosciuto, dal qual sistema in altre provincie del Granducato si ottennero i più felici risultamenti. –In sequela pertanto di maturo consiglio S. A. I. e R. determinò di dare opera ad un’impresa di manifesto interesse per il territorio grossetano, e di sommo vantaggio per l’intero Granducato, essendo altronde prezioso per il suo cuore il considerare, che questo nuovo benefizio per tutti i suoi amatissimi sudditi non imporrà loro veruno aggravio ulteriore.
    Avuto riguardo alla natura e vastità dell’impresa, e alla rapidità necessaria dell’esecuzione, come nei provvedimenti che di tempo in tempo può essere urgente di adottare, S. A. I. e R. non ha giudicato conciliabile di commettere la cura e le operazioni della bonificazione grossetana agli ordinarj mezzi amministrativi e di arte, che offre l’istituzione in quella provincia di una Camera di sopraintendenza comunitativa, e di una ispezione di acque e strade; ed è rimasta all’incontro pienamente convinta, che la condotta delle operazioni idrauliche deve esser libera nella sua azione, ed indipendente dagli ordinarii rapporti, che convengono alle amministrazioni non transitorie, ma permanenti. Quindi dispone ec. ec.”
    Alle
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    parole successero opere prontissime, fervide, singolari. Popolaronsi quei luoghi palustri e limacciosi, di  caravane di lavoranti, ai quali fu imposto ordine e disciplina. Quelle selve non più deserte offrivano lo spettacolo delle rive del Ceilan, e del villaggio di Condactì, che in tempo della pesca di romite spelonche addivengono borgate popolose e vivaci. Desideroso l’ottimo Principe, che senza interruzione progredisse l’impresa, di continuo dirigevasi ne’suoi viaggi per quella provincia, provvedeva con nuovi consigli a nuovi bisogni, vegliava, incoraggiava, remunerava; talmentechè ottenne finalmente, che nel 26 aprile 1830 in sua presenza e tra i numerosi operanti ed il molto popolo accorso, in pochi istanti fosse tolta ogni separazione che tuttora esisteva fra l’alveo del fiume Ombrone e quello del gran Canale diversivo, stato nei precedenti mesi escavato. Stipulata omai con quel saggio preliminare la garanzia di vedere uno strato immenso di terra vegetabile ricuoprire pestilenti marazzi, e sorger la messe là dove infarcivano sterili piante palustri, grande ed iterato fu il grido di gioja e di conforto. Se fosse questa la sola magnanima azione di Leopoldo II, durante il suo regno, basterebbe a rendere il suo nome memorando, immortale!
    Di giorno in giorno pertanto vedesi l’etrusca maremma ritornare al florido stato de’prischi tempi, e manifesta la presenza e la cura della mano dell’uomo. La celebre via Emilia di Scauro restaurata, anzi di nuovo costrutta, ampliata e rettificata per mettere in comunicazione il Compartimento di Pisa con quello di Grosseto; il paludoso Prelio, l’isola di Pacuvio sgombrati d’acque limacciose e di mofetico orrore; i diboscati campi, le messi sorgenti, i sentieri, i ponti, le rustiche e  padronali abitazioni edificate, tuttociò desta il plauso, l’ammirazione e la speranza. Sia lode adunque al sapientissimo Principe che ha tanto in amore l’agricoltura, quell’arte nobilissima, fugatrice dell’ozio, dispensiera di ricchezze, vita della vita sociale; arte veramente  indigena, arte nostra, di che fummo maestri agli stranieri e che dobbiamo a tutta possa riporre in vigore, non indegni al certo nè per clima, nè per
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    sì favorevoli auspicii, nè per isvegliato ingegno di possederla. Una nazione divenuta agricola, diventa conseguentemente commerciale; la sovrabbondanza de’suoi prodotti chiama l’esportazioni; così la povertà rustica stata prima impiegata per le campagne ad aumentare i prodotti, bandisce quindi la povertà cittadina coll’aumento delle manifatture. Quei dotti forestieri, che hanno non ha gnari percorsa l’Italia, non obliarono di celebrare per le stampe la rigenerazione della nostra maremma; ( Ved. Viaggi di Alfredo Reummont ec.) e qualunque leggitore non può scorrere quelle pagine senza unirsi ai voti delle popolazioni beneficate verso l’Augusto benefattore.
    Ma se Egli col fervore di tante opere rallegrava le classi agricole e commerciali, non pertanto pose in dimenticanza la coltura delle scienze e delle lettere, anzi, siccome ai tempi Medicei, volle che il nome toscano si associasse alle scientifiche glorie di un potentissimo regno. Parlo della spedizione Gallico-Tosca in Egitto, donde ritornati nell’anno 1830 i nostri dotti uomini recarono seco molti capi d’opera, che esposti furono alla pubblica ammirazione, accoppiati a più di 1300 disegni delle cose più singolari della classica terra dei Faraoni.
    Acquistò poi l’indigenza un mezzo di aumentare il guadagno nella regia sanzione delle Casse di risparmio; e la pubblica economia ottenne nuovi vantaggi per essere stata anche la manifattura del ferro ridotta al generale sistema di libera concorrenza. Tali erano le liete sorti della patria nostra in questo suddetto anno, il quale destinato a veder compiti molti dei grandi concetti de’nostri  maggiori, si rese immortale per la solenne inaugurazione del monumento che finalmente fu  inalzato al Padre della lingua e della poesia Toscana. Così inclinava felicemente per noi al suo tramonto il 1830, quando inaspettate politiche vicende tutta Europa commossero!
    Ma invano per noi romoreggiò la procella intanto che il R. Liceo eretto nel Museo di fisica e storia naturale in Firenze otteneva dalla munificenza del Principe celeberrimi professori, sicchè ripresero quivi gli ottimi studii il suo corso, nel tempo che si perfezionava la
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    Specola; e di quanto era d’uopo arricchivasi quell’insigne stabilimento sede del sapere.
    Spettava però all’anno 1835 un’altra di quelle sovrane risoluzioni che caratterizzano la magnanimità di Leopoldo II, e fu questa l’impresa della nuova circonvallazione della città di Livorno, che cresce e giganteggia quasi regina dei mari. È cosa mirabile a dirsi, e forse incredibile ai posteri, come appena fu al pubblico annunziato il sovrano volere, mille mani corsero all’opera, come rapidamente crescesse, e come dopo 15 lune quasi tocchi al suo termine un giro di 4 miglia di mura urbane; quando in simili imprese nelle trascorse età furono tentativi non di mesi nè di anni, ma di successive generazioni.
    Ed oh! qual funesto nemico in questo tempo appunto venne ad involgere Livorno di lutto, e ad intimorire l’intera Toscana; ed oh! di quali generosi e magnanimi soccorsi, sagge previdenze, e beneficj di ogni genere fu capace il cuore veramente paterno del Granduca Leopoldo II. Senza aggiungere alcun aggravio ai suoi sudditi, versò Egli a larga mano sul costernato popolo di quella città grazie e favori, eresse spedali, provvide alla nettezza, al disinfettamento, premiò i più operosi e infine riparò a quanto può attendersi da un Principe che tiene per figli i suoi sudditi.
    Nè alla marittima città erano solo rivolte le cure di Lui, ma la capitale ed ogni altro luogo del Granducato affettuosamente gli attestarono la loro riconoscenza. Fu pure effetto del malaugurato Cholera , che non godè la Toscana di una festività dei natali del Gran principe ereditario, Ferdinando, festa che doveva suggellare una fortunatissima epoca ne’nostri fasti: imperciocchè in così bella occasione Egli accoglieva nella reggia tutto il suo popolo esultante.
    Nel principio di quell’anno medesimo, ultimata la dispendiosa impresa del catasto, instituiva un nuovo dipartimento per la conservazione di quell’estimo medesimo, oltre una direzione per il corpo degl’ingegneri di acque  e strade incaricata di formare i progetti, e di sorvegliare all’esecuzione dei lavori
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    relativi. Infatti mercè di tali provvedimenti, il Granducato conta oggi tante e sì buone strade regie, provinciali e comunitative rotabili, che non vi è rimasto quasi angolo della Toscana, cui restino a desiderare strade maestre da comunicare per varie direzioni.
    Finalmente, per raccogliere in breve il molto che resterebbe da dire, accennerò, come sotto il felice governo di Leopoldo II si vede condotta a perfezione ogni parte esteriore del regio palazzo, riordinata e fatta come pubblica quella classica galleria che sopravanza ogn’altra di qualunque reggia e metropoli; come da accreditati pennelli fu dipinto il nuovo quartiere nel palazzo de’Pitti, oltre la cupola della Cappella de’Principi in S. Lorenzo, dove tutto s’appronta per ultimarla; come si abbellisce ognora più la città, e massimo con la magnifica via S. Leopoldo, che forma la continuazione della più bella e più ampia delle sue strade; come si sospendono a traverso dell’Arno sopra e sotto la città due ponti di ferro; come si amplia la fabbrica dell’Istituto delle Scuole Pie a benefizio della numerosa scolaresca; come le pitture di Andrea del Sarto nel vestibolo dell’Annunziata furono restaurate e difese; come intorno alla base dei tre cospicui edifizj sacri di S. Giovanni, della Metropolitana e della Torre di Or San Michele, furono posti stabili e decenti ripari di ferro; come infine, per dir tutto in una parola, si vede condurre verso il suo perfezionamento quanto la grandezza Medicea, la mente dell’Avo, e il cuore del Padre intesero a gloria, a utilità e felicità del toscano popolo di ordinare.

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    COMUNITA’ DI FIRENZE

    Il circondario della Comunità di Firenze, a tenore del motuproprio del 20 novembre 1781, fu circoscritto dallo spazio delle mura della città da quello della fortezza da Basso, che le attraversa, e dal corso dell’Arno fra le due pescaje. A questo circondario furono aggiunti nell’anno 1833 alcuni spazii fuori delle mura dalla parte destra dell’Arno; cosicchè l’attuale perimetro della Comunità di Firenze
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    è contrassegnato dal giro che fa la strada regia intorno alle mura esterne, dalle quali essa alla destra del fiume in quattro punti per breve spazio si discosta, cioè verso grecale davanti alla porta S. Gallo per abbracciare il parterre e la piazza dell’arco trionfale; davanti alla chiusa porta Guelfa, verso levante sopra alla pescaja della Zecca vecchia; dal lato di maestro lungo la strada nuova che gira intorno alla fortezza da Basso; e dal lato di libeccio sino al pilone destro del nuovo ponte di ferro, rimontando di là la sponda destra dell’Arno sino alla pescaja d’Ognissanti.
    Tutta la superficie della Comunità di Firenze occupa quadrati 1.556,17 (quasi due miglia toscane quadre), dei quali quadrati 306,47 sono presi da strade e dal letto del fiume Arno; donde avviene, che la superficie imponibile riducesi a quadrati 1249,70. La quale superficie è occupata per circa tre quarti da fabbriche e per il restante da orti e giardini interni, dai campi e dal pomerio della città. – I suoi abitanti nell’anno 1833 ascendevano a 95927. ( Vedere qui appresso il Quadro della popolazione.

    VARIE GRANDEZZE DE’SUOI CERCHI

    Il giro attuale delle mura, comprese le larghezze delle due pescaje che attraversano l’Arno sopra e sotto a Firenze, ammonta in tutto a braccia fiorentine 16330, equivalenti a miglia cinque e tre quarti, più braccia 38 e 1/3, siccome apparisce dalle varie sezioni seguenti.

    Larghezza della Pescaja dalla porta di S. Niccolò alla Zecca vecchia   Br . 403
    Giro delle mura della fabbrica della Zecca vecchia   Br . 250
    Da questa alla porta alla Croce   Br . 816
    Di costà alla porta a Pinti    Br . 1526
    Da porta a Pinti a porta S. Gallo   Br . 1337
    Dalla porta S. Gallo al bastione a levante della fortezza da Basso o di S. Giov. Battista   
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    Br . 1466
    Giro esterno della fortezza sudd.  Br . 1752
    Dal bastione a ponente sino alla porta al Prato    Br . 1052
    Dalla porta al Prato fino alla porticciuola dell’antica Gora Br . 1082
    Dalla porticciuola fino alla Pescaja di Ognissanti    Br . 323
    Larghezza della Pescaja d’Ognissanti    Br . 448
    Dalla casa della Guardia sulle mura di Oltrarno sino al torrino della Sardigna     Br . 662
    Dal torrino alla porta S. Frediano    Br . 290
    Dalla porta S. Frediano alla porta S. Pier Gattolini o Romana    Br . 1130
    Da questa porta a quella chiusa di S. Giorgio sulla Costa   Br . 2060
    Dalla porta di S. Giorgio alla porta S. Miniato    Br . 938
    Da questa alla porta S. Niccolò   Br . 585
    Di là sino alla Pescaja    Br . 210
    TOTALE Br . 16330

    Cerchio più antico . – Quando si volesse confrontare il cerchio più antico della città di Firenze (mancando noi di prove che bastino ad assicurare, quale mai fosse il giro delle sue mura al tempo dei Romani) si vedrà che l’attuale perimetro, quello cioè decretato dalla Repubblica fiorentina nel 1284, è circa dieci volte maggiore del primo, e quattro volte più esteso del secondo cerchio della stessa città.
    Imperocchè il primo circuito quasi rettangolare era situato intieramente nel lato destro dell’Arno presso dove confluiva il fiumicello Mugnone.
    Il quale fiumicello, per tre volte dovè variare letto e direzione, mentre nei tempi antichi esso attraversava una parte dell’attuale città, tostoche all’epoca del primo cerchio le sue acque fluivano dove oggi è la via Larga, presso la quale furono scoperti i piloni di due ponti; uno dei quali dalla chiesa di S. Marco e l’altro fra il palazzo
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    Panciatichi e la chiesa di S. Giovannino. In seguito fu quel fiumicello di costà artatamente volto verso S. Lorenzo, per girare intorno a questa chiesa, e di là dietro alle mura antiche, di dove sembra che si dirigesse in Arno in vicinanza di S. Trinita.
    Un solo ponte detto poi il  Ponte vecchio , attraversava allora il fiume Arno fuori della Porta S. Maria , presso l’antica pescheria  e il mercato degli erbaggi, mentre dal lato opposto del fiume, accosto alla chiesa di S. Felicita, trovavasi il campo santo o cimitero dei primi Cristiani.
    Ma delle mura di Firenze, innanzi che incominciasse il secondo cerchio della città, non restano autorità o indizj tali ove poter fondare un dato sicuro. Certo è che, dal Malespini in poi, quasi tutti gli storici fiorentini concorrono a credere che allora la città non oltrepassasse (a partire dal lato di levante) la strada detta del Proconsole ,  prolungandosi a destra verso la piazza di S. Firenze sino al canto del borgo de’Greci, dove sembra che fosse la postierla di quei della  Pera , detti in seguito de’ Peruzzi . Di là continuando verso scirocco sino al palazzo o castello di Altafronte, poi de’ Castellani , s’indirizzava sulla sponda dell’Arno. Dalla parte manca, piegando a grecale, proseguiva il giro della via del Proconsolo al canto de’Pazzi, dove esisteva la primitiva porta S. Piero ; indi continuando per S. Maria in Campo, attraversava il suolo degli attuali fondamenti di S. Maria del Fiore, e volgendo la fronte a settentrione, lasciava dentro la città il tempio di S. Giovanni, ossia il Duomo ; passato il quale trovava la seconda Porta  detta del Duomo , dalla quale si entrava nel borgo S. Lorenzo. Con la stessa direzione inoltravasi sino al canto de’Carnesecchi, dove piegava a ponente, a un dipresso per la direzione che tuttora conservano le strade de’Rondinelli
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    e de’Tornabuoni sino al canto degli Strozzi. Costà presso era la terza porta detta di S. Brancazio , di sotto alla quale le mura proseguivano diritto per via de’Legnajuoli sino alla postierla detta  porta Rossa. Oltrepassata questa porticciuola, piegando da ponente a ostro, sembra che le mura rasentassero il borgo SS. Apostoli per sboccare alla porta di Por S. Maria presso alle case degl’Infangati. Di costà per una linea egualmente incerta, fra la via de’Lamberteschi e quella degli Archibusieri, si chiudeva il giro al castello di Altafronte.
    Tale era il giro della città, quando

    Fiorenza dentro dalla cerchia antica,
        Ond’ella toglie ancora e terza e nona,
        Si stava in pace sobria e pudica.

    Il suddescritto primo cerchio, che può calcolarsi dell’estensione di circa 3500 br., copriva, come ho detto, una superficie di terreno che appena equivaleva alla decima parte del cerchio attuale.
    Se non che il fabbricato di quell’antica Firenze, situato tuttora nel centro della città, era oltremodo compatto con poche e piccole piazze, con si anguste vie, che piuttosto traghetti si chiamerebbero. A render tali vicoli più tetri ed opachi contribuivano altresì le moltissime torri di pietra grigia,che a guisa di campanili quadrati fra le 60 e la 100 braccia si alzavano.
    Ma la fortuna e le ricchezze di Firenze crescendo in ragione opposta a quelle di Fiesole sua madre patria, e la popolazione traboccando da ogni parte, fu gioco forza disfare le antiche porte e abbattere le vecchie mura, per occupare più vasto spazio.
    Secondo cerchio di Firenze. – Nell’anno 1078 cominciarono i Fiorentini cotesto secondo e più largo circuito per mettere i borghi in città. Quindi il borgo de’ Greci e quello di S. Pietro dal lato di levante fino alla chiesa di S. Pier Maggiore; dal lato di settentrione il
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    borgo S. Lorenzo ; dalla parte di ponente i borghi di S. Brancazio , de’SS. Apostoli e di Parione , e dal lato di mezzodì, ossia di Oltrarno, i borghi di Pitiglioso , di S. Jacopo e di S. Felice in Piazza entrarono in città.
    Giravano queste mura dalla porta S. Piero al canto di via dello Sprone , dove facendo gomito trovavasi una postierla detta degli Albertinelli per una schiatta che era in quel luogo, e di costà si usciva per borgo Pinti . Poi seguitando la direzione da scirocco a maestro, correvano le mura per via S. Egidio, S. Maria Nuova e via de’ Cresci fino a S. Michele Visdomini. Costà trovavasi la porta detta di Balla dalle balle di mercanzie provenienti dal bolognese e dalla Lombardia. Di là continuando per via de’Pucci attraversavano la via Larga, presso dove si congiunge con la strada degli Spadaj , ora via de’ Martelli ; donde proseguivano lungo l’antico alveo del Mugnone , attraversando la piazza di S. Lorenzo, e di là intorno ai moderni fondamenti di questa basilica volgevansi incontro libeccio. Presso piazza Madonna esisteva una porticciuola detta del Mugnone ; e poco più giù, in via del Giglio, altra postierla che prese il nome da quei del Baschiera. Da via del Giglio il giro delle mura trapassava dalla Croce al Trebbio , e di là al borgo San Brancazio dove sbocca la strada del Muro , detta poi via del Moro . A questo crocicchio fu aperta la porta denominata di San Paolo , perchè lasciava fuori col borgo la chiesa di tal
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    nome. Seguitando la via del Moro arrivavano le mura all’Arno, presso cui terminava il borgo antico di Parione , e cominciava quello più moderno, appellato tuttora d’ Ognissanti , e costà esisteva un’altra porta della città, detta della Carraja . Di costà rimontava la ripa destra dell’Arno sino al ponte di Rubaconte, dove esisteva la postierla di Ruggeri da Quona ; quindi piegava verso S. Jacopo tra’Fossi, e rasentando il Parlagio tornava a S. Pier Maggiore.
    Tutto il secondo cerchio, posto alla destra dell’Arno, fu suddiviso in 5 sestieri, comprendendo nel sesto sestiere il fabbricato situato nell’Oltrarno. Il qual sestiere d’Oltrarno fu pure l’ultimo ad essere circondato di mura; giacchè, nei secoli XI e XII riducevasi a tre borghi, ciascuno de’quali era chiuso da una porta. A capo del borgo S. Jacopo lungh’Arno, era una porta sopra le case de’Frescobaldi; il borgo verso mezzodì da S. Felicita a S. Felice era chiuso dalla porta detta di Piazza ; e il terzo borgo da levante abitato da persone più che di bassa mano, detto perciò borgo Pidiglioso , corrispondente alla via de’ Bardi , aveva a capo di esso la porta detta a Roma , perchè conduceva a quell’alma città per l’antica via Cassia, che l’imp. Trajano fece costruire da Chiusi sino a Firenze. – Vedere FIRENZE pag. 151 e VIA CASSIA.
    Questi tre borghi non avevano altre mura oltre le accennate porte e i dossi delle case, che chiudevano i borghi medesimi con orti e giardini. Comecchè Gio. Villani asserisca, che le mura d’Oltrarno del secondo cerchio cominciavano dalla porta a Roma (presso S. Lucia de’Magnoli), di dove montavano verso S. Giorgio alla Costa per poi riescire a S. Felice in Piazza rinchiudendo il borgo di Piazza , e quello di S. Jacopo
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    , quasi come andavano i detti borghi, egli poscia soggiunge: che si feciono le mura d’Oltrarno al poggio più in alto, come sono ora, al tempo che di prima i Ghibellini signoreggiarono la città di Firenze.
    Intorno al qual periodo (dal 1260 al 1266) probabilmente furono alzate le mura d’Oltrarno fra la porta di Piazza e il canto della Cuculia: avvegnachè di cotesta porzione di mura è fatta menzione in un istumento del 12 febbrajo 1262 stil. fior. pubblicato dal Manni (Sigilli Antichi. T. XXVI. 8).
    E fu sul canto della Cuculia, di fronte a via de’Serragli, dove nel 1295 per decreto pubblico si edificò la porta di Giano della Bella . (AMMIR. Istor. Fior. )
    Terzo, e attuale cerchio della città. Se dobbiamo prestar fede a Giovanni Villani, rapporto ai fatti accaduti in Firenze alla sua età, fu nel febbrajo del 1284 st. fior., quando la città essendo cresciuta di popolo e di grandi borghi, cominciaronsi a fondare le nuove porte donde conseguirono le nuove mura; cioè quella di S. Candida di là da S. Ambrogio, altrimenti detta la porta alla Croce in Gorgo ; la porta di San Gallo in sul Mugnone, quella del Prato d’Ognissanti , e la porta d’incontro alle donne che si dicono di Faenza ancora in sul Mugnone. Il qual fiume alquanto dinanzi era stato addirizzato; che prima correa avvolto per Cafaggio (poi via delle Lance ) e presso alle seconde cerchia, facendosi molesto assai alla città quando crescea; e fecionvi su i ponti dinanzi alle dette porte e rimase il lavoro delle mura innanzi che fossero all’ Arcora , per la novella che venne in Firenze della sconfitta di mare, che il re Carlo d’Angiò ricevè da Ruggeri di Loria. (GIO. VILLANI. Cronic. Lib.
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    VII, cap. 99).
    Dopo due lustri (nel 1293) per bisogno di moneta, non volendo il Comune crescere imposizioni, si venderono le mura vecchie ed i terreni che v’erano intorno. (ivi lib. VIII, cap. 2).
    Nel dì 29 novembre del 1299 si cominciarono a fondare le nuove e terze mura della città, a partire dalla Gora di Ognissanti infino alla porta al Prato; ma per nuove pubbliche avversità stette buontempo che non vi si murò più innanzi, e  solamente undici anni dopo per tema della venuta dell’imp. Arrigo VII fu contornata e chiusa da’fossi la città, dalla porta a S. Gallo a quella alla Croce al Gorgo infino al fiume Arno, e poi dalla porta a S. Gallo infino a quella del Prato. S’innalzarono in poco tempo le mura otto braccia, imperciocchè la città era tutta schiusa e le mura vecchie in gran parte disfatte, e vendute ai possidenti vicini. (ivi lib. IX, cap. 10).
    Nel 1324 la Rep. fiorentina deliberò di contornare al di fuori le nuove mura di fossi e far loro addosso i barbacani, e ogni 200 braccia una torre alta 60, e larga 14 braccia. Giovanni Villani, che ne fa la descrizione (lib. IX, cap. 256) fu uno degli ufiziali del Comune a ciò deputati.
    Finalmente nel dì 22 di gennajo del 1327, stile fiorent., si  cominciò a fondare la gran porta Romana , ossia di S. Pier Gattolini ; e in quei tempi si edificarono le mura nuove che dalla detta porta salgono verso il poggio di Boboli. –Non è per questo che tutto il terzo cerchio della città restasse compito in quell’anno  stesso, siccome da molti scrittori fu opinato. (AMMIRAT. Istor. fior.  liber XI).
    Infatti nel 1360 si compivano le mura coi merli tra la porta alla Croce e quella di S. Gallo , mentre il restante del terzo cerchio
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    continuavasi a lavorare anche molto tempo dopo, come ne fanno prova i decreti della repubblica fiorentina, allorchè nel 1368, la Signoria con provvisioni del 25 ottobre, 5 febbrajo, 2, e 16 marzo dell’anno stesso, e di nuovo nel 26 marzo e 20 aprile del 1369, deliberò che si prendesse ad imprestito dall’Opera di S. Reparata del denaro, già destinato a proseguire quella chiesa, per impiegarlo al compimento e fortificazione delle mura della città di Firenze, che costruivansi di quà e di là del fiume Arno presso alla pescaja della porta della Giustizia . (ARCH. DIPL. Opera di S. M. del Fiore.) –Che il terzo cerchio della città non fosse ancora compito nel 1388 lo dimostra il legato di lire due, che ogni autor di testamento doveva lasciare, da servire per metà nella costruzione dei muri della città, e per l’altra metà nella fabbrica di S. Reparata. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Bigallo. )
    Sotto il governo del duca Alessandro, fra la torre piantata sui fondamenti del ponte Reale e la porta di S. Francesco , ossia della Giustizia , nel luogo che servì per breve tempo alle officine della Zecca, detto tuttora la Zecca vecchia , quel principe fece costruire una specie di fortilizio. Il portone di pietra forte, esistente tuttora con l’arme Medicea, restò in gran parte sotterrato dal terreno depositato per le strade di Firenze dalla piena dell’Arno nell’anno 1557, e che fu per consiglio dell’Ammannato in seguito dalle vie raccolto e trasportato a ridosso delle mura della città, a partire dalla porta suddetta fino a quella di S. Gallo.
    Porte del terzo ed attuale cerchio della città . – Questo terzo cerchio ebbe sedici tra porte e postierle; dieci alla destra, e sei alla sinistra dell’Arno. Otto di esse furono murate o disfatte al principio del governo Mediceo; cioè, la porta alla Giustizia , la
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    porta Guelfa , la porta de’ Servi , la porta Faenza e la porta Polverosa , tutte alla destra dell’Arno. Alla sinistra dello stesso fiume furono chiuse la postierla di Camaldoli , fra S. Pier Gattolini e S. Frediano , e più tardi le porte di  S. Giorgio sulla Costa , e quella di S. Miniato . Quest’ultima per altro è stata riaperta nel 1834. Cosicchè attualmente esistono otto porte e una postierla; cioè, Porta la Croce , Pinti, S. Gallo, Prato, Porticciuola della Gora d’Ognissanti, Porta S. Frediano, S. Pier Gattolini, S. Miniato, e S. Niccolò.
    Ponti della città . –Firenze antica non ebbe che un solo ponte fuori del suo primo cerchio, dirimpetto a porta S. Maria. Su questo solido ponte furono in seguito costruite diverse botteghe per uso di macelli, ma Cosimo I, dopo aver fatto innalzare il corridore che mette in comunicazione la reggia de’Pitti col Palazzo vecchio, ordinò che le botteghe del ponte Vecchio si riserbassero unicamente agli orefici e giojellieri. Prese il nome di ponte Vecchio dopo essere stato fatto, nel 1218, il ponte alla Carraja che rovinò nel 1269, e successivamente rifatto e ricaduto due volte, sino a che dopo la piena del 1333 fu solidamente ricostruito di pietra. Nel 1236 fu fabbricato il ponte alle Grazie, detto di Rubaconte dal nome di Rubaconte da Mandello, che allora esercitava in Firenze l’ufizio di potestà. Nel 1251 fu edificato il ponte a S. Trinita che cadde, ora per intero, ora in parte, nel 1269, nel 1333, nel 1346 e nel 1557. Dopo quest’ultima epoca fu costruito di forma svelta ed elegante dall’architetto Ammannato. Nel 1317 si fondaron le pile del ponte Reale accosto alle mura della Zecca vecchia, ponte che non fu mai terminato.
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    Dopo la terribile piena del 1333 il Comune di Firenze decretò la demolizione delle pescaje di sotto a Firenze; onde con provvisione del 14 novembre 1340 la Signoria assegnò ai monaci della Badia a Settimo fiorini 600 d’oro per la distruzione di alcune pescaje di sotto a Firenze, ad oggetto di rimettere nel corso naturale le acque del fiume Arno dalla parte delle mura della città, le quali cagionavano inondazioni alla porta S. Francesco. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di Cestello. )

    PRINCIPALI EDIFIZI SACRI DI FIRENZE

    S. Giovanni, Batistero, già Duomo e Cattedrale.
    – La sua origine rimonta probabilmente ai tempi del gentilesimo, comecchè taluni congetturassero che fosse edificato dai Longobardi. La forma della sua cupola a guisa del Panteon di Roma, i marmi antichi e le colonne messe più tardi intorno alle interne pareti, la immemorabile sua esistenza, e l’essere questo dichiarato sino dai primi secoli di Firenze cristiana il Duomo e la madre chiesa della diocesi fiorentina sono altrettanti motivi che ci spingono a credere cotesto tempio sorto in un’epoca anteriore alla regina Teodolinda, o all’invasione de’Longobardi in Toscana.
    Nel principio del secolo XIII ne era operajo un tale Arduino; imperocchè a quel maestro dell’Opera del Duomo di S. Giovanni di Firenze , nel 29 maggio 1207, il pont. Innocenzo III diresse da Roma un breve, col quale prese sotto la protezione della Sede Apostolica tutte le possessioni del Duomo di S. Giovanni, confermandogli le decime che già da 50 anni per la chiesa medesima riscuotevansi dai suoi operaj.
    Riferisce allo stesso Arduino operajo una sentenza del 25 novembre 1210, data in Firenze nella curia di S. Michele in Orto da Pace giudice dell’imperatore Federigo II per il Comune di Firenze, con la quale decise una controversia tra i monaci della badia fiorentina e Arduin o operajo del Duomo
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    di S. Giovanni
    , per esser l’Opera stessa creditrice della decima di un anno, per ragione di un pezzo di terra comprato dall’abate di detto monastero.
    Anche nel 1217 il vescovo di Firenze Giovanni da Velletri, sepolto in S. Giovanni, diresse nel mese di novembre ad Arduino operajo di S. Giovanni un breve, col quale, per favorire le di lui istanze, confermò la pia elargizione fatta dai vescovi suoi antecessori all’Opera del Duomo delle decime spettanti alla mensa vescovile per i soli pivieri però di S. Giovanni , di Ripoli , di Settimo , di S. Stefano in Pane , di Remole , di Empoli e di Calenzano . Il breve è firmato dal vescovo medesimo e da dieci canonici, comprese le tre dignità del proposto, dell’arcidiacono e dell’arciprete del Duomo. (ARCH. DIPL. FIOR. Arte di Calimala. )
    Circa l’anno 1293 fu questo tempio per ordine della Repubblica incrostato di marmi bianchi e neri con la direzione e disegno di Arnolfo capo maestro del Comune, il quale in tale occasione fece lastricare la piazza di S. Giovanni.
    Posava allora il sacro edifizio sopra un giro di scalere, stato rinterrato dopo il rialzamento progressivo del piano della città; intorno al qual tempio esistevano le casse di marmo e gli avelli rammentati dal Boccaccio. Dalla parte della tribuna attuale quel tempio aveva il vestibolo e l’unico ingresso posto dirimpetto al palazzo di S. Giovanni, ossia all’Episcopio, con un solo altare nell’opposta parete voltata a levante. Fra Jacopo da Torrita, Andrea Taffi ed altri in diversi tempi rivestirono la cupola e la tribuna di mosaici. Andrea Pisano gettò, nel 1330, la porta di bronzo dalla parte di mezzodì; più tardi (anno 1400) fu collocata al posto quella volta a settentrione, opera di Lorenzo Ghiberti, che fu pure l’autore della terza maravigliosa, dirimpetto alla cattedrale verso levante.
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    Finalmente le statue di bronzo sopra i cornicioni delle porte medesime furono eseguite da Vincenzio Danti, da Francesco Rustici e da Andera Contucci da San  Savino.
    Metropolitana di S. Maria del Fiore, già S. Reparata.
    – Questo grandioso e solido tempio che abbraccia un’area di 22118 braccia quadrate, questo portentoso e imponente edifizio che basta da sè solo a dimostrare la magnanimità e l’ardire di quei cittadini che l’ordinarono, fu decretato dal Comune di Firenze nell’anno 1294, quando commise ad Arnolfo capomaestro della Signoria: di far il disegno della rinnovazione di S. Reparata con quella più alta e sontuosa magnificenza che inventar non si possa nè maggiore, nè più bella dall’industria e poter degli uomini; secondo che da’più savj di questa città è stato detto e consigliato in pubblica e privata adunanza, cioè: ” non doversi intraprender le cose del Comune, se il concetto non è di farle corrispondenti ad un cuore, che vien fatto grandissimo perch è composto dell’animo di più cittadini uniti insieme in un solo volere ”.
    Il lungo periodo scorso dalla fondazione fino al compimento della metropolitana, diè luogo alla mutazione di diversi architetti per succedere a quelli che di mano in mano mancavano dopo morto il primo autore Arnolfo di Cambio da Colle.
    Nel 1332 subentrò l’eccellente Giotto ; ad esso lui Taddeo Gaddi , che fu rimpiazzato da Andrea Orgagna , e questi da Filippo di Ser Brunellesco . Quest’ultimo, tornato da Roma nell’anno 1407, consigliò gli operaj, che si elevasse la cupola, non già immediatamente sopra gli archi, siccome Arnolfo aveva disegnato, ma sopra un tamburo, onde renderla più svelta e maggiormente illuminata. Superati da quel sublime artefice tutti i contrasti dei sui rivali, nel corso di 14 anni (dal 1421 al 1435) intraprese e terminò la fabbrica di quella portentosa cupola che niuno si sazia di contemplare. Nel 1437 fu dato
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    principio all’elegantissima lanterna sul disegno dello stesso Brunellesco, la quale restò compita nel 1456, cioè 12 anni dopo la perdita del suo immortale autore, che ordinò si portasse a un’altezza di braccia 202 compresa la palla e la croce di sopra al pavimento della chiesa.
    Questo tempio a croce latina con tre corpi, o navate, è diviso da quattro arditissimi archi a sesto acuto. Ha di larghezza braccia 67 e soldi 2; di lunghezza totale br. 260 e soldi 18. Due tribune compagne a quella di mezzo, con 5 cappelle intorno per ciascuna, formano la croce, la quale ha br. 160 di larghezza. Sopra gli archi dei cappelloni si alza la gran cupola e sotto di essa è situato il coro ottagono rifatto di marmi sotto Cosimo I, e contornato da eccellenti figure in basso rilievo, scolpite da Giovanni dell’Opera, da Vincenzio Rossi, da Baccio Bandinelli e da altri. Il pavimento di marmi bianchi e a differenti colori e stimabile per i varj spartiti disegnati da sommi artisti; mentre quello intorno al coro fu delineato da Michelagnolo Buonarroti, l’altro della navata di mezzo è di Francesco da San Gallo, ed il rimanente di Giuliano di Baccio d’Agnolo.
    Ha sette grandi porte, quattro laterali, e tre nella facciata. Le esterne pareti del tempio sono tutte incrostate a disegno di marmi bianchi, rossi e neri, sparse di piccole statue e di delicatissimi ornati. La facciata che fu incominciata col disegno di Giotto, venne disfatta nel 1588 con intenzione di ricostruirla più bella. Ricompensa per altro un tal vuoto il contiguo campanile ossia la gran torre di Giotto, opera nel suo genere la più portentosa dell’universo, siccome con tale scopo nel 1334 essa fu dalla Signoria di Firenze con queste parole decretata: “ Si costruisca un edifizio così magnifico, che per altezza e qualità del lavoro venga a superare tutti quanti in quel genere ne fossero stati fatti da’Greci e da’Romani ne’tempi della loro più
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    florida potenza.

    Questa torre, che ha 140 braccia di altezza e cento di circonferenza, finisce sormontata da un ballatojo praticabile; al di sopra del quale nel modello era disegnata una cuspide alta braccia 50, tralasciata da Taddeo Gaddi  che tirò avanti la fabbrica dopo la morte di Giotto.
    Basilica di S. Lorenzo e Regia Cappella dei Principi . – Non vi ha in Firenze tempio dedicato al vero Dio, il quale conti un’epoca, se non la più remota, senza dubbio la meno contrastata, della chiesa di S. Lorenzo; talchè alcuni pontefici la qualificarono col titolo di chiesa principale. Arroge a ciò che i canonici di questa collegiata vestirono degli abiti canonicali uniformi a quelli dei canonici della cattedrale, sino a che il pont. Eugenio IV, con bolla del 23 dicembre 1432, terminò le dissensioni su tal proposito fra i due capitoli insorte. (ARCH. DIPL. FIOR. Opera di S. Maria del Fiore. )
    Fu nella primitiva chiesa di S. Lorenzo dove predicò S. Ambrogio; fu costà dove ebbe il primo sepolcro uno de’più antichi vescovi fiorentini, S. Zanobi, e dove in seguito trovaron riposo le ceneri di Cosimo padre della patria; per la di cui munificenza la chiesa di S. Lorenzo, bruciata nel 1417, fu costruita di nuovo sopra un più magnifico e grandioso disegno ordinato a Filippo di Ser Brunellesco. – È questo tempio a croce latina con tre navate divise da otto colonne per parte d’ordine corintio. Presso i cappelloni a destra e a sinistra havvi l’accesso alle due sagrestie, vecchia   e nuova ; l’ultima delle quali, disegnata dal Buonarroti, è arricchita dai due depositi maravigliosi di Lorenzo duca di Urbino, e di Giuliano duca di Nemours, l’uno e l’altro della famiglia de’Medici, e scolpiti entrambi da Michel più che terreno Angel divino . – Un altro più sontuoso edizio è quello situato dietro al gran cappellone di mezzo, destinato
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    ai sepolcri dei Principi Medicei . È disegno di don Giovanni dei Medici, continuato dal Nigetti a spese dei Granduchi Ferdinando I, Cosimo II e Ferdinando II che l’arricchirono d’intarsj, di lavori di pietre dure e di depositi con due statue di bronzo fuse da Giovan Bologna e da Pietro Tacca. Ma cotant’opera era restata incompleta sì nel pavimento, sì nell’altare di pietre dure come nella cupola e nella fascia inferiore sino a che il regnante Granduca Leopoldo II con munificenza pari alla grandezza dal suo animo ordinò a valentissimi artisti il compimento di sì grandioso lavoro.  Il quale lavoro è ormai giunto, rispetto alla cupola, con gran meraviglia del pubblico al suo compimento, mercè l’immortale pennello del cav. Pietro Benvenuti, mentre con incessante attività sudano gli altri artefici per adempire pienamente ai voti del magnanimo Principe.
    Nel chiostro contiguo alla basilica di S. Lorenzo trovasi l’insigne biblioteca Laurenziana, costruita con disegno del Buonarroti; annessa alla quale va attualmente terminandosi la sala a guisa di rotonda per collocarvi una copiosa raccolta delle principali, più antiche e più rare edizioni, dono generoso lasciato alla patria dal dotto conte Giovanni d’Eloi. 
    Chiesa di S. Croce. – Fu fondata nel 1294 col disegno di Arnolfo architetto del Comune, quando la Repubblica fiorentina decretava opere degne di Roma nella sua maggior potenza.
    La chiesa è divisa in tre navate separate da otto arcate a sesto acuto per parte, lunga br. 240 e larga br. 70.
    Quà Cimabue diede i primi saggi del suo valore nell’arte di dipingere. Costà Giotto mostrò la potenza del suo pennello ne’grandi affreschi; e quì una turba di pittori fecero a gara nel rappresentare storie sui muri, sulle tavole e sulle tele.
    Questo tempio sino al 1434 fu il deposito dei trofei fiorentini e dei loro capitani,  siccome ora è divenuto il panteon della nazione per collocarvi le ossa e innalzarvi i sepolcri degli uomini
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    più insigni figli naturali o adottivi di Firenze.
    Quà la scultura emulò la pittura nelle belle statue che adornano i depositi del divino Buonarroti, di Galileo, di Machiavelli, di Alfieri, di Leonardo Bruni, del Marsuppini, del Fantoni e dell’Alighieri.
    Chiesa di S. Maria Novella . – Questo ammirabile edifizio dei PP. Domenicani, è opera di tre religiosi laici dello stess’ordine, fra Ristoro, fra Giovanni e fra Sisto. Fu fondato nel 1278, e restò quasi compito all’epoca della famosa peste del 1348.
    La chiesa è lunga br. 170 a tre corpi con archi a sesto semi-acuto di varia grandezza; gli archi di mezzo sono più larghi di quelli verso la facciata, e questi meno stretti di quelli vicino al presbiterio; contuttociò l’insieme è di un effetto pieno di armonia. I più valenti artisti gareggiarono gli uni dopo gli altri in adornarla; Cimabue, l’Orgagna, il Ghirlandajo, il Lippi,Santi di Tito, il Vasari, il Bronzino, ed altri distinti pittori, vi lavorarono. La famiglia de’Ricci, ch’era  in antico patrona della cappella maggiore, fece pitturare il coro da Andrea Orgagna, che dipinse eziandio nel 1357 gli affreschi del paradiso e delle bolge dell’Inferno nel cappellone della crociata presso la sagrestia. Dilavate però ben presto le pitture dall’acque piovane, fu il coro di nuovo dipinto da capo a fondo in sei gran quadri per lato da Domenico del Ghirlandajo a spese di Giovanni Tornabuoni, già Tornaquinci, che vedesi ivi effigiato al naturale con Francesca di Luca Pitti sua moglie, e con molti altri illustri uomini di quell’età. Tutta questa pittura che desta la maraviglia in coloro che gustano il bello, non costò più di mille fiorini. Fu terminata nel 1490, anno in cui fiorì Lorenzo il Magnifico , in tempo di pace, di abbondanza e di prosperità; come apparisce dall’iscrizione posta sulla muraglia a cornu Epistolae , la quale dice: Anno MCCCCLXXXX, quo pulcherrima civitas opibus, victoriis, artibus aedificiisque nobilis, copia,
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    salubritate, pace perfruebatur.

    Nel chiostro contiguo alla chiesa, eseguito da Fra Giovanni da Campi, trovasi la famosa cappella del Capitolo, di struttura gotica, fondata circa il 1320 col disegno di un altro converso Domenicano fra Jacopo da Nipozzano. La pittura delle interne pareti fu affidata a due celebri artisti di quell’età, Simone Memmi che dipinse tre facciate, e Taddeo Gaddi che fece l’affresco della quarta parete dirimpetto all’altare.
    Chiesa di S. Spirito. –  Il tempio più vago, più bello e meglio spartito di quanti altri ne potrebbe contare tutto l’orbe cristiano, è l’opera mirabile del più grande architetto del suo secolo, Filippo di Ser Brunellesco. Egli disegnò negli ultimi tempi di sua vita (anno 1440) questo portentoso sacro edifizio a croce latina che sollevasi sopra cinque ordini paralleli di colonne a foggia corintia, con basi, capitelli, architravi e fregj di pietra serena con gran precisione lavorati. Tre ordini isolati percorrono con egual simetria l’ambulatorio, la tribuna e i bracci, che costituiscono la croce latina. Tutto l’edifizio è lungo braccia 161, largo nella crociata br. 98 e nel rimanente br. 54. Gli altri due ordini di colonne sono appoggiati alle pareti del tempio, e servono di uniforme e grandiosa divisione alle 38 cappelle, che a guisa di svolte nicchie girano intorno e servono di adornamento al gran tempio.
    In mezzo alla crociata si alza la cupola, sotto la quale gira il coro di figura ottagona, tutto di marmi fini, di statue e di balaustri lavorato. Nel centro della chiesa sotto la cupola sorge un vago tempietto, sorretto da colonne di verde antico, con l’altar maggiore, tutto di pietre dure e preziose commesso, il quale fu dalla nobil famiglia Michelozzi con la spesa di 100,000 scudi nel secolo XVII fatto innalzare.
    Molte pitture di eccellenti maestri adornano gli altari di questa chiesa e della contigua sacrestia; la qual ultima è della forma di un bel tempietto ottagono, opera del Cronaca.
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    – Baccio d’Agnolo fu l’autore della svelta torre o campanile; Bartolommeo Ammannato e Alfonso Parigi rimodernarono gli spaziosi chiostri del contiguo convento.
    Torre e chiesa di Or San Michele. – Questo eminente edifizio, destinato in origine per l’annona, collocato nel centro di Firenze antica e nella parte più elevata, fu decretato dalla Signoria di Firenze subito dopo che ebbe ordinato a Giotto la più magnifica torre del mondo. Fu nel 1336 ch’essa ordinò di erigere costà un loggiato sostenente una fabbrica che riescisse per tutti i rispetti degna dell’animo dei Fiorentini, affidandone il disegno a Giotto, o, come altri vogliono, a Taddeo Gaddi, e la cura per l’esecuzione all’Università di Por S. Maria, ossia all’arte della Seta.
    Fu benedetta la prima pietra nel 29 luglio 1337 dal vescovo di Firenze alla presenza di tutti i magistrati della città, gettando nei fondamenti medaglie d’oro e d’argento coniate con l’impronta del disegnato edifizio, e intorno queste parole: Ut magnificentia Populi Flor. Artium’ et Artificum ostendatur. Nel rovescio erano l’armi della Rep. e del Popolo colla leggenda: Reipub. et Pop. Decus et Honor.
    La fabbrica è di pietra concia lunga br. 42, larga 32, alta 80; ha due ordini di finestroni, e termina con degli sporti intagliati a guisa della Loggia di Andrea Orgagna.
    Un’immagine della Madonna, dipinta in tavola da Ugolino Senese, veneravasi appoggiata a uno dei pilastri esterni di questo loggiato. La quale Madonna, nell’anno 1291, avendo fatto molti miracoli, diede origine a una compagnia per ricevere l’elemosine elargite dai fedeli. Tali elargizioni si accrebbero al punto, che, all’occasione dell’orribile peste del 1348, più che 35000 fiorini d’oro le furono lasciati in dono dai cittadini colti da quella morìa.
    Per tali ragioni i capitani di essa Compagnia, con l’annuenza del Governo risolsero di serrare la già innalzata Loggia; e di piazza destinata alla vendita giornaliera del grano, ridurla ad uso di oratorio per opera dello stesso
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    Orgagna, che fu pure autore dell’elaborato tabernacolo, dove nel 1359 quella immagine venne collocata.
    Non era appena compito questo ricco e delicato lavoro, quando i capitani della compagnia medesima deliberavano (14 novembre del 1358) di assegnare all’Opera di S. Reparata per la fabbrica della facciata della cattedrale tutto il danaro che la compagnia della Madonna di Or San Michele teneva nel Monte Comune.
    Se non che poco dopo, revocando essi in parte quella deliberazione (28 dicembre 1358) limitarono il dono dell’annua offerta di 250 fiorini d’oro per un quinquennio, onde impiegare il denaro restante all’erezione di una cappella sotto la stessa loggia o chiesa di S. Michele in onore di S. Anna, in memoria del giorno, in cui Firenze fu liberata dalla tirannia del duca di Atene. (ARCH. DIPL. FIOR. Opera di S. M. del Fiore.)
    Ci richiama all’epoca della conquista di Pisa (anno 1406) una provvisione della Signoria, con la quale destinò a ciascuno de’collegj delle arti di Firenze una delle nicchie nelle esterne pareti della Torre di Or San Michele, perchè vi facessero collocare le statue di marmo o di bronzo dei loro santi avvocati con l’insegna respettiva delle arti, nel modo che tuttora si osserva nella base delle varie statue eseguite da Donatello, da Andrea del Verrocchio, da Lorenzo Ghiberti, da Baccio da Montelupo, da Nanni d’Antonio del Bianco, e da Giovan Bologna. Simone da Fiesole fu autore della statua di marmo rappresentante la B. Vergine col santo Bambino, ordinata per l’arte de’Medici e Speziali, che fu dalla nicchia esterna trasportata in chiesa.
    Archivio pubblico nella Torre di Or San Michele . –Quelle sale in origine stabilite a’magazzini dell’annona, furono destinate da Cosimo I a ricevere i più preziosi titoli della proprietà dello Stato e dei privati, quando con decreto dei 14 dicembre 1569 ordinò, che di tutti gli atti rogati dai notari fosse conservata una copia originale nell’archivio pubblico, e che alla morte dei notari venissero trasmessi
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    costà i protocolli. –Nel 18 luglio 1572 fu decretata la separazione dei protocolli dagli originali, trasportando questi ultimi nell’archivio del Proconsolo sotto la cura e custodia dei conservatori dell’archivio pubblico di Or San Michele.
    Essendo stato venduto lo stabile del Proconsolo, e trovandosi le stanze surrogate in quella vece poco comode, venne deliberato dal Granduca ( ERRATA : Ferdinando I) Cosimo II, nel 27 maggio 1612, il trasporto sopra le logge di Mercato nuovo di tutte le mandate dei pubblici istrumenti originali.
    Finalmente con sovrano rescritto del 26 ottobre 1823 fu creato un posto di archivista per la riordinazione degli atti originali posti nella loggia di Mercato nuovo.
    Basilica della SS. Annunziata. – Correva il secolo XIV quando l’immagine della SS. Annunziata dipinta a fresco all’ingresso di questo tempio divenne l’oggetto più sacro della devozione dei Fiorentini.
    Nel 1262 uno di casa Falconieri aveva già fatto edificare la prima chiesa, la quale in seguito fu ingrandita e adornata di un coro rotondo con una cupola disegnata da Leon Batista Alberti, e finalmente di un portico fatto davanti la facciata, dal Caccini a spese di Roberto Pucci.
    Nel 1461 il Michelozzi per ordine di ( ERRATA : Piero de’Medici) Cosimo de’Medici eresse la cappella della Beata Vergine a foggia di padiglione, e in questo tempio nel vestibolo e nei chiostri si immortalarono Andrea del Sarto, il Franciabigio, l’Empoli, il Rosselli e il Pontormo fra i pittori, Baccio Bandinelli e Giuliano da San Gallo fra gli scultori.
    Nell’immenso numero dell’altre chiese meritano di essere rammentate quella del Carmine per le pitture principalmente di Masaccio e di Masolino da Panicale, rispettate dall’incendio che distrusse quasi per intiero questa chiesa nel 1771; come pure fu rispettata la ricca cappella di S. Andrea Corsini e il mausoleo destinato a Pier Soderini. –Merita pure di esser considerata la chiesa della SS. Trinità, rifatta sul disegno di Niccolò Pisano, meno la facciata col presbiterio, che
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    sono opera di Bernardo Buontalenti; nella quale chiesa la cappella dei Sassetti è tutta dipinta a fresco da Domenico Ghirlandajo.
    Nè è da passare in silenzio la vetusta chiesa dei SS. Apostoli, quelle della Badia, de’SS. Michele e Gaetano, di S. Giovannino delle Scuole Pie, di S. Marco e di S. Felicita, per tacere di moltissime altre.

    PII ISTITUTI DI BENEFICENZA

    Compagnia della Misericordia, capo d’opera dell’umana carità.
    –Una società in mezzo alla società, più utile di questa, più zelante, e più disinteressata sarebbe difficile rintracciarla. –Fu il suo principio nell’anno 1244 cagionato dalle frequenti pestilenze di quei tempi, che stimolarono de’zelanti cittadini ad associarsi insieme per soccorrere l’umanità ne’casi d’infermità, o di accidenti fortuiti, accorrendo al primo invito tanto di notte che di giorno (non eccettuati i casi di pestilenza) per trasportare gl’infermi dalle case e dalle pubbliche strade alli spedali, e nel caso di morte improvvisa alla sepoltura. Il popolo fiorentino applaudì a quest’opera, e vi concorse generosamente col servizio della persona, coll’elemosine giornaliere, e coi lasciti testamentarj. Forse questo stesso patrimonio volontario e collettizio fu la cagione per cui la compagnia della Misericordia  per decreto della Rep. fiorentina rimase soppressa nel 1425, allorchè si riunì il titolo con le sue entrate all’altra compagnia contigua di S. Maria del Bigallo . Ma i frequenti sconcerti, che accadevano nella città, per malati o per morti abbandonati, fece meglio comprendere l’utilità e l’importanza del pio istituto della Misericordia; ed i suoi statuti antichi, sottoscritti nel 1491, inducono a credere, che la predetta compagnia non rimanesse soppressa che per circa 60 anni. Molti privilegj furono concessi a questa filantropica società, tanto sotto la repubblica, quanto sotto la monarchia; in guisa che la carità di questa numerosa e pia congrega conserva costante quel santo zelo ed ardore che diè origine a sì umano istituto.
    Compagnia del Bigallo. – Ciò che fece la carità per la compagnia
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    della Misericordia venne fatto dalla religione militante per l’istituto del Bigallo. –Terminate le sanguinose battaglie contro gli eretici Paterini, circa il 1290, che bandì fra Pietro da Verona capo di quella milizia sacra, sorse la compagnia di S. Maria del Bigallo, là dove si dipinsero le glorie dei crocesegnati sopra la loggia di Niccolò Pisano, chiamata della Misericordia vecchia . Furono quindi raccomandati alla pietà di questa compagnia molti piccoli spedali (circa 200 di numero) sparsi per il contado fiorentino, onde albergarvi infermi e pellegrini. Lo spedale chiamato del Bigallo , nel popolo di S. Quirico a Ruballa, diede alla compagnia il nome che porta.
    Tale istituzione, e tanti ospedaletti durarono sino alla metà del secolo XVIII, quando cioè l’ospitalità cessò di essere un dovere di religione, ma il Granduca Cosimo I aveva riunito alla compagnia del Bigallo anche l’incarico di accogliere gli orfani abbandonati. Il luogo dove questi infelici si riunirono fu dapprima nello spedale di Bonifazio, dappoi nel convento di S. Caterina degli Abbandonati, trasportati infine nello spedale degl’Innocenti.
    S. Martino de’Buonomini. – Questa piccola chiesuola situata fra il monastero della Badia di Firenze e le antiche case dei Cerchi, fu fondata nel 986, per uso di parrocchia sotto il governo de’Benedettini della vicina badia. Tale si manteneva allora quando il religioso domenicano fra Antonino, che fu poi il santo arcivescovo fiorentino, nel 1441, pensò di provvedere i poveri vergognosi, e specialmente i cittadini poveri, che non ardivano questuare.
    A tale oggetto scelse dodici cittadini di onesto costume, i quali dopo aver ricevuto dal fondatore le costituzioni, adunaronsi da primo in casa di uno di loro, quindi nella chiesa di San Martino del Vescovo, la di cui cura fu poi soppressa nel 1471.
    Fra gli obblighi fondamentali di quest’istituto avvi quello di dovere alienare qualsiasi fondo lasciato dai benefattori per erogare il prodotto in sollievo dei poveri.
    Congregazione di S. Giovan Battista.
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    Eretta da pie persone, fu confermata nel 1700 dal Sovrano allora regnante, e quindi protetta e ampliata dai RR. Successori, ed in special modo da Leopoldo II felicemente regnante. Tende essa pure a prevenire la questua somministrando vesti e letta alle miserabili famiglie della città.
    Fra le caritatevoli istituzioni Firenze conta la casa pia di San Filippo Neri, eretta nel 1659 da Filippo Franci per raccogliere i fanciulli erranti ed oziosi per le vie. Così la Pia Casa di Lavoro, grandioso e utilissimo asilo, fu aperta nel 1815 per raccogliervi i questuanti, e togliendoli dall’ozio, impiegarli in diversi mestieri.
    Tali sono le sale infantili che la filantropia di molti cittadini e dame promuove in Firenze per addestrare dalla più tenera età i figliuoli del povero ai buoni costumi.
    Non dirò del grandioso arcispedale di Santa Maria Nuova e delle scuole scientifiche ivi nel 1818 aumentate; tacerò dello Spedale degli Innocenti, e dell’altro di Bonifazio, giacchè a ognun di loro vi sarebbe d’uopo di un lungo articolo.
    Appartiene allo stesso genere l’ospizio di Orbatello fondato nel 1372 da Niccolò Alberti per ricevere le vittime della seduzione, onde depositarvi il loro feto.

    STABILIMENTI D’ISTRUZIONE PUBBLICA

    La via dello Studio fra la canonica del Duomo e la chiesa dei Ricci, e la via della Sapienza fra le due piazze di S. Marco e della Nunziata, ci rammentano due antichi stabilimenti di pubblica istruzione, che uno aperto a spese della Rep. l’altro fondato da un illustre cittadino Niccolò da Uzzano.
    Non era ancora cessata la gran moria del 1348, allorchè i Fiorentini, pensando di richiamare gente alla loro città, e dilatarla in fama e in onore, operarono sì che costà fosse generale Studio di varie scienze, lettere ed arti; cioè in sacra Teologia ; in diritto Canonico ; in Giurisprudenza ; in Astrologia e Filosofia ; in Medicina
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    ; nelle Arti e Letteratura.
    Era questo studio ridotto alla sola facoltà di Teologia, quando Cosimo I nel 1542 assegnò quelle case all’Accademia fiorentina, sino  a che questa nel 1784 cedette il posto al collegio dei chierici Eugeniani della Metropolitana per le loro scuole.
    Non ebbe miglior fortuna la casa della Sapienza incominciata a fabbricare verso il 1430 da Niccolò da Uzzano, il quale alla sua morte assegnò un fondo cospicuo per mantenimento di 50 scolari poveri. Se non chè l’edifizio restò incompleto, e gli assegnamenti a quel collegio destinati furono dalla Repubblica convertiti in altri usi. Ripararono in parte a questo vuoto i PP. Gesuiti chiamati in Firenze nel 1551 dalla duchessa Eleonora di Toledo moglie di Cosimo I, e con generosa liberalità da quel sovrano e da molti cittadini assistiti. Cosicchè nel 1559 quei Padri diedero principio al Collegio e chiesa di S. Giovannino col disegno e i mezzi di Bartolommeo Ammannato, il quale fu contato liberale che donò quasi tutto il suo patrimonio a quei religiosi, per cui negli ultimi anni di sua vita si ridusse indigente.
    Ma i gesuiti non si curavano molto d’istruire i poveri, a favor dei quali vennero dopo 80 anni i compagni del Calasanzio; e fra questi il P. Clemente Settimj, maestro del ch. Viviani, e il P. Franc. Michelini successore di Galileo nello Studio pisano. Infatti i PP. Scolopj introdussero migliori metodi d’istruzione, sì in letteratura, che nello studio della fisica e delle matematiche.
    Dalle case de’Cerchi, dove le Scuole Pie furono in origine collocate, passarono nel 1775 nel Collegio dei soppressi Gesuiti a San Giovannino, dove tuttora con gran plauso e profitto della gioventù quei religiosi esercitano il loro filantropico ministero.
    All’istruzione ecclesiastica del clero fiorentino provvedono le scuole delle chiese collegiate, e per le scienze sacre i professori del Seminario fiorentino.
    Alla prima istruzione elementare riparano tre pubbliche scuole di reciproco insegnamento, e diversi privati istituti.
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    /> Dopo annullata la testamentaria volontà di Niccolò da Uzzano, Firenze non ebbe più stabilimento con convito per i studenti; e sebbene nel 1812 si preparava il vasto monastero di Candeli per riempire un tal vuoto in così vasta città; pure non resta oggi che il nome di Liceo a quel locale, senzachè principiasse a servire a tal uso.
    Più fortunate furono le fanciulle  di ogni classe, le quali, oltre le pubbliche scuole dei Quartieri instituite dal G.D. Pietro Leopoldo, contano in Firenze otto ben forniti Consevatorj, quello Imp. e R. della SS. Annunziata , quelli di Ripoli, delle Mantellate , di S. Agata, degli Angiolini, dell e Salesiane, delle Giovacchine, e l’educatorio di Fuligno.

    PALAZZI REGJ IN FIRENZE

    Il palazzo Vecchio , già della Signoria, situato nella gran piazza chiamata de’Signori, poi del Granduca, fu disegnato da Arnolfo da Colle. La sua torre posante in parte sulli sporti è alta 150 brac.; il gran salone lungo br. 90 e largo br. 37, fu dipinto dal Vasari. La cappella la secondo piano venne pitturata da Domenico Ghirlandajo. – In questo palazzo trovansi riuniti tutti gli ufizj delle RR. Segreterie di Stato; quelli delle RR. Possessioni, la R. Depositeria, l’ufizio de’Sindacati, la Guardaroba maggiore e la R. Dogana.
    Il palazzo Pitti , una delle più magnifiche reggie, fu incominciato nel 1440, da Luca Pitti col disegno del Brunellesco , e nel 1560 per ordine di Cosimo I fu aggiunto il magnifico cortile dell’ Ammanato. In seguito Alfonso Parigi aumentò i fianchi dell’edifizio; e il Paoletti per ordine del G. D. Pietro Leopoldo costruì il quartiere della Meridiana verso Boboli, e cominciò il Rondò a levante della facciata. Finalmente Ferdinando III e Leopoldo II felicemente regnante commisero al
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    R. architetto Poccianti nuovi grandiosi annessi tanto interni che esterni per accrescere bellezza e armonia a cotesta imponenete mole. Dalla quale mediante un lungo corridore coperto, fatto nel 1564 dal Vasari, si comunica con la R. fabbrica degli Ufizj, e di là col palazzo Vecchio.
    Il R. palazzo della Crocetta fu fatto riedificare e ampliare dal G. D. Pietro Leopoldo col R. Casino di S. Marco , e le RR. Scuderie. Due superbi palazzi vennero recentemente dal Governo acquistati, cioè, il palazzo Riccardi , già di casa de’Medici, opera in gran parte dell’architetto Michelozzi ; e il palazzo detto Non finito , che fu per Roberto Strozzi disegnato dallo Scamozzi, cui il Buontalenti aggiunse la facciata, e il Cigoli il bel cortile.
    Per i tanti nobili palazzi dei privati, i di cui fondatori occupano nella storia un posto distinto, rinvierò alle Guide speciali.

    POPOLAZIONE della Città di FIRENZE a tre epoche diverse divisa per QUARTIERI (A)

    QUARTIERE DI S. GIOVANNI

    - Titolo della parrocchia: Metropolitana di S. Maria del Fiore, già S. Reparata con  gli annessi che seguono (1)
    popolazione del 1745: 1765
    popolazione del 1833: 3421 ( con annessi )

    - Titolo della parrocchia: S. Pietro Celoro (2)
    Soppressa nel 1448
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Andrea in Mercato vecchio
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 330
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Benedetto dalla Canonica
    Soppressa nel 1771
    popolazione del 1745: 153
    popolazione
  •    pag. 275 di 477
    del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Cristofano degli Adimari dietro il Bigallo
    Soppressa nel 1786
    popolazione del 1745: 226
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Maria Nepotecosa, o S. Donnino degl’Adimari
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745: 398
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Maria degl’Alberighi (3)
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745: 221
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Michele delle Trombe
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 131
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: S. Tommaso in Mercato Vecchio
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745: 145
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria del Fiore

    - Titolo della parrocchia: Basilica e insigne Collegiata di S. Lorenzo
    popolazione del 1745: 12783
    popolazione del 1833: 15837

    - Titolo della parrocchia: S. Michele Visdomini
    popolazione del 1745: 3046
    popolazione del 1833: 2497

    - Titolo della parrocchia: SS. Annunziata, per una porzione della parrocchia trasportata da S. Pier Maggiore (4)
    Eretta dopo la rovina di S. Pier Maggiore (1783)
    popolazione del 1745: 2592
    popolazione del 1833: 2736

    - Titolo della parrocchia: S. Marco evangelista
    PP. Domenicani
    popolazione del 1745: 670
  •    pag. 276 di 477
    popolazione del 1833: 1152

    - TOTALE popolazione del 1551: 25680

    - Titolo della parrocchia: S. Egidio in S. Maria Nuova
    Arcispedale
    popolazione del 1551: 250
    popolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 335

    - Titolo della parrocchia: S. Maria nello Spedale degl’Innocenti, ossia degli Esposti
    Con l’annesso di S. Caterina degli Abbandonati
    popolazione del 1551: 127
    popolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 73

    - Titolo della parrocchia: S. Gio. Battista nello Spedale di Bonifazio
    Con l’annesso di S. Lucia
    popolazione del 1551: 178
    popolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 127

    - Titolo della parrocchia: S. Maria in Campo
    Residenza del vescovo di Fiesole
    popolazione del 1551: -
    popolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 11

    - TOTALE abitanti anno 1551: 26235
    - TOTALE abitanti anno 1745: 22131
    - TOTALE abitanti anno 1833: 26189

    (A) La popolazione del 1551 non trovasi distinta per parrocchie, ma solamente per case e Quartieri.
    (1) N. B. Nella cura della Metropolitana è compresa la popolazione del Ghetto di 884 abitanti.
    (2) Venne ridotta ad uso della Biblioteca della Cattedrale sino a che nel 1680 si convertì nell’archivio e adunanza del Capitolo fiorentino, cui serve tuttora.
    (3) Una porzione della cura di S. Maria degl’Alberighi toccò alla parrocchia di S. Margherita
    (4) L’altra porzione della parrocchia di S. Pier Maggiore fu data alla cura di S. Giuseppe.

    QUARTIERE DI S. MARIA NOVELLA

    - Titolo della parrocchia: SS. Apostoli, prioria antica con l’annesso di S. Maria sopra Porta
    popolazione del 1745: 459
    popolazione
  •    pag. 277 di 477
    del 1833:
    1287 ( con annesso )

    - Titolo della parrocchia: S. Maria sopra Porta in S. Biagio, antica Prioria
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 634
    popolazione del 1833: annesso ai SS. Apostoli

    - Titolo della parrocchia: S. Gaetano in S. Michele Bertelde, ossia degl’Antinori con gli annessi che seguono
    popolazione del 1745:
    291
    popolazione del 1833: 1926 ( con annessi )

    - Titolo della parrocchia: S. Miniato fra le Torri
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 246
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Maria Ughi
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 224
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Donato de’Vecchietti
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 301
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Leone nella Piazza de’Brunelleschi
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 211
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Maria in Campidoglio
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 76
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Piero Buon Consiglio
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 268
    popolazione del 1833: annesso a S. Gaetano

    - Titolo della parrocchia: S. Maria Maggiore, con l’annesso che
  •    pag. 278 di 477
    segue
    popolazione del 1745: 870
    popolazione del 1833: 1033 ( con l’annesso dell’antica prioria di S. Ruffillo sulla Piazzetta dell’Olio )

    - Titolo della parrocchia: antica prioria di S. Ruffillo sulla Piazzetta dell’Olio
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745: 70
    popolazione del 1833: annesso a S. Maria Maggiore

    - Titolo della parrocchia: S. Maria Novella
    PP. Domenicani
    popolazione del 1745: 2502
    popolazione del 1833: 3153

    - Titolo della parrocchia: SS. Trinità con l’annesso che segue
    PP. Vallombrosani
    popolazione del 1745: 1216
    popolazione del 1833: 2955 ( con l’annesso di S. Pancrazio)

    - Titolo della parrocchia: S. Pancrazio
    Soppressa nel 1809
    popolazione del 1745: 1520
    popolazione del 1833: annesso alla SS. Trinità

    - Titolo della parrocchia: S. Salvadore in Ognissanti (con l’annesso di S. Paolo dei PP. Teresiani, già prioria - soppressa nel 1619)
    Eretta nel 1619
    PP. Francescani
    popolazione del 1745: 2700
    popolazione del 1833: 3115

    - Titolo della parrocchia: S. Lucia sul Prato
    popolazione del 1745: 4644
    popolazione del 1833: 5043

    - TOTALE popolazione del 155: 10336

    - Titolo della parrocchia: S. Giovanni Battista nella Fortezza da Basso
    Cura di Militari
    popolazione del 1551: 300
    popolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 1287

    - TOTALE abitanti anno 1551: 10636
    - TOTALE abitanti anno 1745: 14231
    - TOTALE abitanti anno 1833: 19924

    QUARTIERE DI S. SPIRITO

    - Titolo della parrocchia: S. Frediano in Castello, Collegiata
    popolazione del
  •    pag. 279 di 477
    1745:
    5302
    popolazione del 1833: 10288 (con parte della cura di S. Maria in Verzaja ) (5)

    - Titolo della parrocchia: S. Maria in Verzaja
    Soppressa nel 1784
    popolazione del 1745: 2160
    popolazione del 1833: annesso in parte a S. Frediano in Castello e in parte a S. Maria al Pignone

    - Titolo della parrocchia: S. Felicita (con l’annesso dell’antica Prioria di S. Jacopo sopr’Arno – Soppressa nel 1575)
    popolazione del 1745: 2373
    popolazione del 1833: 3645

    - Titolo della parrocchia: S. Felice in Piazza
    popolazione del 1745: 3369
    popolazione del 1833: 5085

    - Titolo della parrocchia: S. Piero in Gattolino
    popolazione del 1745: 1214
    popolazione del 1833: 1799

    - Titolo della parrocchia: S. Niccolò oltr’Arno, Prioria
    popolazione del 1745: 1911
    popolazione del 1833: 2253

    - Titolo della parrocchia: S. Lucia de’Magnoli con l’annesso che segue
    popolazione del 1745: 479
    popolazione del 1833: 1031 (con l’annesso di S. Maria sopr’Arno )

    - Titolo della parrocchia: S. Maria sopr’Arno
    Soppressa nel 1785
    popolazione del 1745:
    240
    popolazione del 1833: annesso a S. Lucia de’Magnoli

    - Titolo della parrocchia: S. Spirito, ossia S. Giorgio sulla Costa
    popolazione del 1745: 733
    popolazione del 1833: 957

    - Titolo della parrocchia: S. Maria nella Fortezza di Belvedere
    Cura di Militari
    popolazione del 1745:
  •    pag. 280 di 477
    -
    popolazione del 1833: 374

    - TOTALE abitanti anno 1551: 14680
    - TOTALE abitanti anno 1745: 17781
    - TOTALE abitanti anno 1833: 25432

    (5) La porzione della cura di S. Maria in Verzaja fuori di porta S. Frediano fu data alla parrocchia nuova di S. Maria al Pignone.

    QUARTIERE DI S. CROCE

    - Titolo della parrocchia: S. Michele in Orto, Prepositura con i due annessi seguenti
    popolazione del 1745: 750

    - Titolo della parrocchia: S. Romolo in Piazza
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745:
    450

    - Titolo della parrocchia: S. Bartolommeo in via Caciajoli
    Soppressa nel 1768
    popolazione del 1745:
    337

    - Totale popolazione di S. Michele in Orto e annessi: 1865

    - Titolo della parrocchia: S. Stefano al Ponte con i due annessi seguenti
    popolazione del 1745: 1397
    popolazione del 1833: 1201 (con gli annessi di S. Cecilia in Vacchereccia e S. Pietro Scheraggio )

    - Titolo della parrocchia: S. Cecilia in Vacchereccia
    Soppressa nel 1783
    popolazione del 1745: 163
    popolazione del 1833: annesso a S. Stefano al Ponte

    - Titolo della parrocchia: S. Pietro Scheraggio
    Soppressa nel 1561
    popolazione del 1745: annesso a S. Stefano al Ponte
    popolazione del 1833: annesso a S. Stefano al Ponte

    - Titolo della parrocchia: S. Remigio, Prioria antica con l’annesso di S. Firenze
    popolazione del 1745: 1598
    popolazione del 1833: 2520 (con l’annesso di S. Firenze )

    - Titolo della parrocchia: S. Firenze
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745:
  •    pag. 281 di 477
    315
    popolazione del 1833: annesso a S. Remigio

    - Titolo della parrocchia: S. Stefano della Badia con gli annessi di S. Martino del Vescovo in parte (6) e S. Apollinare
    PP. Benedettini
    popolazione del 1833: 929 ( con gli annessi )

    - Titolo della parrocchia: S. Martino del Vescovo
    Soppressa nel 1471
    popolazione del 1745: annesso a S. Stefano della Badia
    popolazione del 1833: annesso a S. Stefano della Badia

    - Titolo della parrocchia: S. Apollinare
    Soppressa nel 1755
    popolazione del 1745: 607
    popolazione del 1833: annesso a S. Stefano della Badia

    - Titolo della parrocchia: S. Margherita nella Madonna de’Ricci con l’annesso di SS. Proclo e Nicodemo (7) e S. Maria degl’Alberighi per una porzione (8)
    Traslocata nell’anno 1834
    popolazione del 1745: 215
    popolazione del 1833: 1023 (con gli annessi)

    - Titolo della parrocchia: SS. Proclo e Nicodemo
    Soppressa nel 1788
    popolazione del 1745: 307
    popolazione del 1833: annesso a S. Margherita nella Madonna de’Ricci

    - Titolo della parrocchia: S. Maria degl’Alberighi
    Soppressa nel 1769
    popolazione del 1745: 400
    popolazione del 1833: annesso a S. Margherita nella Madonna de’Ricci

    - Titolo della parrocchia: S. Simone, Prioria antica
    popolazione del 1745: 2289
    popolazione del 1833: 1875

    - Titolo della parrocchia: S. Jacopo tra i Fossi, Prioria antica
    popolazione del 1745: 1283
    popolazione del 1833: 1941

    - Titolo della parrocchia: S. Ambrogio, Prioria antica
    popolazione del 1745:
  •    pag. 282 di 477
    4771
    popolazione del 1833: 6937

    - Titolo della parrocchia: S. Giuseppe delle Conce
    Eretta nel 1784
    opolazione del 1745: 4492
    popolazione del 1833: 5259

    - Titolo della parrocchia: S. Ferdinando nella Pia Casa di Lavoro
    Eretta nel 1815
    opolazione del 1745: -
    popolazione del 1833: 832

    - TOTALE abitanti anno 1551: 9122
    - TOTALE abitanti anno 1745: 19374
    - TOTALE abitanti anno 1833: 24382

    (6) La cura di S. Martino fu aggregata a quella di S. Procolo, e il suo locale ceduto alla congregazione dei XII Buonomini nel 1471.
    (7) La cura di S. Procolo fu data a S. Stefano da Badia.
    (8) Altra porzione fu annessa alla Metropolitana.
    (9) Instituita con la porzione orientale della distrutta parrocchia e chiesa di S. Pier Maggiore.

    RICAPITOLAZIONE di tutta la popolazione della città di FIRENZE distribuita per QUARTIERI

    1° Quartiere di S. Giovanni
    - abitanti anno 1551: 26235
    - abitanti anno 1745: 22131
    - abitanti anno 1833: 26189

    2° Quartiere di S. Maria Novella
    - abitanti anno 1551: 10636
    - abitanti anno 1745: 14231
    - abitanti anno 1833: 19924

    3° Quartiere di S. Spirito
    - abitanti anno 1551: 14680
    - abitanti anno 1745: 17781
    - abitanti anno 1833: 25432

    4° Quartiere di S. Croce
    - abitanti anno 1551: 9122
    - abitanti anno 1745: 19374
    - abitanti anno 1833: 24382

    - TOTALE abitanti anno
    1551: 60773
    -
  •    pag. 283 di 477
    TOTALE abitanti anno
    1745: 73517
    - TOTALE abitanti anno 1833: 95927


    MOVIMENTO della Popolazione della CITTA’ di  FIRENZE  dall’anno 1818 sino a tutto aprile 1836.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 82,739
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1642; femmine n° 1503; totale n° 3145
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1504; femmine n° 1597; totale n° 3101
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 700
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 888
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 82,984
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1759; femmine n° 1777; totale n° 3536
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1609; femmine n° 1677; totale n° 3286
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 791
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 828
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 83,306
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1856; femmine n° 1800; totale n° 3656
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1493; femmine n° 1472; totale n° 2965
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 763
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 827
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 84,791
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1831; femmine n° 1743; totale n° 3574
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1698; femmine n° 1758; totale n° 3456
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 719
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 753
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 85,249
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1931; femmine n° 1718; totale n° 3649
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1661; femmine n° 1640; totale n° 3301
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 730
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 800
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 86,976
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1934; femmine n° 1841; totale n° 3775
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1450; femmine n° 1473; totale n° 2923
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 708
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 858
  •    pag. 284 di 477
    /> CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 88,088
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1891; femmine n° 1802; totale n° 3693
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1569; femmine n° 1607; totale n° 3176
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 720
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 807
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 89,373
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1861; femmine n° 1854; totale n° 3715
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1626; femmine n° 1633; totale n° 3259
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 823
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 790
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 90,423
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1974; femmine n° 1882; totale n° 3856
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1562; femmine n° 1568; totale n° 3130
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 756
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 865
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 90,930
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1950; femmine n° 1958; totale n° 3908
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1526; femmine n° 1682; totale n° 3208
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 702
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 884
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 92,362
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2017; femmine n° 1789; totale n° 3806
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1826; femmine n° 1715; totale n° 3541
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 736
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 881
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 92,763
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1856; femmine n° 1765; totale n° 3621
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1591; femmine n° 1589; totale n° 3180
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 685
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 790
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 93,437
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1778; femmine n° 1760; totale n° 3538
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1576; femmine n° 1532; totale
  •    pag. 285 di 477
    n° 3108
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 724
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 772
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 94,156
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1896; femmine n° 1949; totale n° 3845
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1654; femmine n° 1632; totale n° 3286
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 709
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 838
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 94,519
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1847; femmine n° 1842; totale n° 3689
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1720; femmine n° 1692; totale n° 3412
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 726
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 864
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 95,927
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1920; femmine n° 1770; totale n° 3690
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2428; femmine n° 2517; totale n° 4945
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 695
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 862
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 96,240
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1971; femmine n° 1916; totale n° 3887
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1518; femmine n° 1632; totale n° 3150
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 779
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 890
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 97,201
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1872; femmine n° 1857; totale n° 3729
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1698; femmine n° 1866; totale n° 3564
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 766
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 901
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 97,648 (fino al 30 aprile del 1836)
    NUMERO DEI NATI: maschi n° …; femmine n° …; totale n° …
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° …; femmine n° …; totale n° …
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° …
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° …
    CENTENARJ: n° …

    DIOCESI DI FIRENZE
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    Non essendoci di alcun vescovo fiorentino prima del secolo IV memoria che fermamente chiara e certa si possa dire, ragion vuole che si cominci dal vescovo Felice, il quale nell’anno 313 assistè al Concilio romano adunato per causa dei Donaziani .
    Essendochè (dirò col Borghini, e con molti altri dotti scrittori della chiesa fiorentina) di quel vescovo Frontino, del quale parlano alcuni come di un discepolo di S. Pietro Apostolo, e da lui specialmente mandato in Toscana con Paolino e con Romolo loro compagni a predicare la fede di Gesù Cristo, non si trovano scritture nè autorità che sembrino potere con sicurezza affermarlo, onde pigliare il principio della diocesi fiorentina dal primo secolo del Cristianesimo.
    Il più antico adunque che si trovi tra i vescovi di Firenze, è quel Felice di sopra nominato, dopo del quale per circa 60 anni non s’incontrano notizie sicure di altri vescovi suoi successori sino al glorioso S. Zanobi. Arroge a ciò che il più delle volte nei primi secoli solevano quei gerarchi prendere il titolo del loro vescovado da quello della chiesa matrice o cattedrale in cui sedevano, nel modo che lo usarono in Toscana i prelati di Arezzo, di Lucca, di Fiesole, di Volterra, ec.
    Uno dei più vetusti esempj a prova di tal vero lo forniscono per la diocesi fiorentina molte pergamene del suo archivio, a partire da quella dell’anno 723, nella quale Specioso si qualifica vescovo dell’episcopio e chiesa matrice di S. Giovanni. Così in due istrumenti, uno del 4 agosto 967 sotto il vesc. Sichelmo, l’altro del 5 febbrajo 990 sotto il vesc. S. Podio, si rammenta il Duomo di S. Giovanni, ubi Sichelmus (nel primo) et Dominus Podius (nel secondo) tunc erat Episcopus. Un’altra membrana del settembre 972 nomina Domum Episcopalem Sancti Joannis intra civitatem Florentiae.
    Per egual modo nella fondazione della badia di S. Miniato
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    al Monte, fatta nel 1013 dal vescovo Ildebrando, quel gerarca si sottoscrisse: Ildebrandus Sancti Jannis servus et indignus Episcopus.
    È altresi vero che la pieve di S. Reparata (ora S. Maria del Fiore) a partire dal secolo XI sembra che acquistasse il privilegio di concattedrale, mentre il vescovo Ildebrando nella carta dell’anno 1013 poco sopra rammentata si qualifica Episcopus Sancti Joannis vel Sanctae Reparatae , nel modo istesso che per atto pubblico del 15 gennajo 1040, rogato in Signa, si offrono terreni alla chiesa e canonica del Duomo di S. Giovanni e di S. Reparata. (LAMI, Monum. Eccles. Flor. passim. )
    Che veramente la chiesa del Battista fosse la prima sede e la cattedrale dei vescovi di Firenze si può eziandio argomentarlo dall’antica consuetudine che avevano i nuovi eletti di cantare la prima messa in quel tempio, mentre costà tamquam in suum stallum entravano a prenderne il possesso (l. c.). In conseguenza di ciò, e a buon diritto, il sommo poeta chiamava ovile di S. Giovanni la cittadinanza fiorentina, e a Firenze la città del Battista.
    In cotanta venerazione ed amore era tenuto il nome di S. Giovanni dal popolo fiorentino, che nei primi secoli dopo il mille  le terre e le castella, i magnati di contado e altri signori, quando volevano sottomettere essi e le loro sostanze al Comune di Firenze, dichiaravano di farlo, non a favore della città nè de’suoi magistrati, ma sivvero a onore di S. Giovanni , cui promettevano l’offerta di un annuo tributo. Cosicchè il santo precursore di G. Cristo scritto consideravasi dai fiorentini nella stessa guisa che per il dominio e città di Venezia era riguardato il S. Marco.
    Ma lasciando a parte coteste cose, mi limiterò piuttosto a dire di ciò che più direttamente giova a far conoscere l’antico e moderno perimetro della diocesi in discorso. Quando
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    peraltro dico perimetro antico non intendo già di risalire al primitivo stato, in cui Firenze venne alla fede di Cristo, e nè anche partirmi dalla meno dubbiosa serie dei suoi vescovi, quando cioè la capitale della Toscana contava una diocesi sua propria. Imperocchè, ammessa anche per verisimile l’opinione del sopralodato Borghini, che i termini, cioè, della giurisdizione ecclesiastica di Firenze, fossero i medesimi di quelli del territorio che fu consegnato ai coloni fiorentini sotto i Triumviri, ossia nei primi anni dell’Impero di Ottaviano, pure non conoscendo qual modificazione territoriale posteriormente sia avvenuta fra l’Esarcato di Ravenna e la Toscana, non possiamo tampoco sapere, se a quell’età la diocesi di Firenze oltrepassasse la catena dell’Appennino, e quindi penetrasse, come ora si vede, nelle valli del Senio e del Santerno. Tanto più lo danno a dubitare i documenti di Ravenna, dai quali risulta, che anche dopo l’epoca Longobarda (durante la quale dominazione vennero tolti varii paesi e terreni al greco esarcato e alla metropoli Ravennate) il giogo dell’Appennino, sino almeno al secolo IX avanzato, serviva di limite alla giurisdizione della Romagna; essendo che allora questa continuava a estendere il suo dominio usque ad jugum Alpium finibus Thusciae (FANTUZZI, Mon. Ravenn. Carta degli 8 settembre 896 ).
    Comunque sia di quella parte di territorio transappennino, in cui si vede inoltrata la diocesi fiorentina, fatto stà che a di lei favore su questo rapporto non si contano, se io non m’inganno, memorie valevoli a contestare un’antichità che risalga più indietro del secolo XI.
    Poste tali considerazioni, ne consegue che non si può con sicurezza dedurre dai confini più anticamente conosciuti della diocesi di Firenze, quali fossero quelli della fiorentina colonia; e che perciò ognun che non voglia pescare fra le cronache favolose, debba limitarsi piuttosto ai fatti meno controversi, e confacenti a dimostrare il distretto di questa diocesi ecclesiastica innanzi che ad essa venisse tolto il piviere di Poggibonsi per darlo a quella
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    più moderna eretta in Colle, e prima che la nostra fosse stata aumentata di varie chiese transapennine appartenute alla diocesi di Bologna e d’Imola.
    Io non tornerò a far parola del piviere d’Empoli, che alcuni dissero una volta compreso nella diocesi di Pisa, giacchè ne fu bastantemente discorso all’articolo di quella Terra del Val d’Arno inferiore.
    Così all’articolo FIESOLE fu accennato, che la cattedrale fiesolana con 22 parrocchie della stessa diocesi trovansi circondate dalla fiorentina in guisa di lasciare il poggio ed i contorni dell’etrusca città di Fiesole isolati dal restante del suo antico contado e giurisdizione.
    Premesse tali avvertenze speciali, dico, che la diocesi fiorentina attualmente confina con 9 vescovati; cioè, a levante e scirocco con la diocesi di Fiesole ; a ostro con quella di Colle; a ostro libeccio con la diocesi di Volterra ; a libeccio con quella di Samminiato ; a ponente e maestro con i vescovati di Pistoja e di Prato ; a settentrione con quelli di Bologna e d’ Imola ; e a grecale con la diocesi di Faenza .
    Verso levante e scirocco la diocesi di Firenze costeggia con quella di Fiesole, a partire dal giogo dell’Appennino di Belforte sopra il Passo delle Scalette, scendendo di là per lo sprone che divide il valloncello di Corella da quello di S. Bavello sino alla confluenza del torrente Dicomano in Sieve, quindi seguitando la corrente di questo fiume sbocca sotto al Pontassieve in Arno, il cui corso seconda sino al fosso di Rosano . Costà trapassa alla sinistra dell’Arno per salire sui poggi a Luco e dell’ Incontro, e di là inoltrasi sino sul dorso di quello di S. Donato in Collina , di dove retrocede piegando da levante a scirocco per
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    dirigersi in Val d’Ema alle falde di Cintoja. Di costà cavalca in Val di Greve passando questo fiumicello tra Vicomaggio e Citille, quindi penetra in Val di Pesa, il di cui fiume attraversa di contro a Sicelle. Quà rimontando il torrente Cerchiajo sale i poggi occidentali del Chianti sino al loro vertice, dove cessa la Valle di Pesa e si apre quella dell’Elsa. Su questa sommità cessa la diocesi di Fiesole e subentrano gli antichi confini della diocesi di Siena, ora di Colle, coi quali la fiorentina passa a contatto del piviere di S. Agnese del Chianti. Serve di limite all’una e all’altra diocesi il torrente Drove , che penetra nel piviere e comunità di Poggibonsi, staccato dalla diocesi fiorentina sino dall’anno 1592. ( Vedere COLLE dioc. )
    Giunta laddove al fiume Elsa si marita il torrente Avane , la diocesi fior. lascia dal lato d’ostro quella di Colle, alla quale sottentra dal lato di libeccio la volterrana; con questa si accompagna lungo lo stesso fiume Elsa sino a che fra le tenute di Meleto e di Canneto entra a confine dal lato di libeccio la diocesi di Sanminiato. Quest’ultima presso al ponte a Elsa passa alla destra del fiume per abbracciare dentro al suo perimetro i popoli della Bastìa e di Marcignana, e vicino al ponte nuovo arriva sull’Arno. Costà volgendo la faccia da libeccio a maestro rimonta la sponda destra dell'Arno di conserva con la diocesi di Sanminiato che stà sulla destra ripa, e la fiorentina alla sinistra, sino di fronte alla confluenza del torrente Strido nell'Arno. Quivi la fiorentina oltrepassa questo fiume per arrivare sulle colline di Petrojo e di Spicchio e di là al villaggio di Limite , confine della moderna diocesi di Sanminiato un tempo di Lucca, e sin dove si estende uno dei lembi della diocesi di Pistoja; la quale ultima arriva
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    sul fiume Arno rimontandolo unitamente a quella di Firenze tra Montelupo e Capraja, di là per la gola della Golfolina giunge per le pendici di Artimino presso a Signa. A questo punto la diocesi di Firenze ripassa alla destra dell'Arno per inoltrarsi dentro terra lungo la strada da Lecore a Mezzana, dove sottentra la diocesi di Prato in continuazione di quella di Pistoja, e con essa, approssimandosi al pomerio orientale della città di Prato, rimonta il fiume Bisenzio, mercè cui confinano le due diocesi sino presso al Mercatale di Vernio. Costà quella fiorentina abbandona a ponente il Bisenzio per salire sulla pendice occidentale del poggio di Mangona, di dove inoltrasi per il vallone della Stura nell'Appennino dello Stale , e di là dietro al Sasso di Castro ove incontra la diocesi di Bologna, con la quale la fiorentina confina dal lato di settentrione fra Monte Beni e Montoggioli , donde si avanza sul giogo della Radicosa sino alla dogana delle Filigare , e di là per i poggi che dividono le acque del fiume Idige da quelle del Sillaro, e la diocesi di Bologna dal vescovado d'Imola. Con quest'ultima diocesi la fiorentina gira intorno all'Appennino di Piancaldoli con la faccia a grecale, e quindi attraversando la valle del Santerno entra in quella superiore del Senio, che percorre sino al monte Gambaraldi . Sulla sommità di questa montagna trova la diocesi Faenza, con la quale la nostra di Firenze, piegando da grecale a levante, retrocede verso la Colla di Casaglia sull'Appennino che separa il Mugello e l'antica Toscana dalla Romagna, dopo esser passata per un contrafforte settentrionale formato dai monti di Pravaligo e di Calzolano , col quale sorpassa la caduta del torrente di Valbura . Dal giogo di Casaglia, seguitando la criniera dell'Appennino nella direzione da maestr. a scirocco cammina insieme con
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    la stessa diocesi Faentina sino al Passo delle Scalette o di Belforte, nella cui pendice meridionale ritrova il vescovato di Fiesole.
    La diocesi fiorentina negli ultimi secoli non ha sofferto se non che piccole variazioni, mentre nel 1592, se essa perdette il piviere di Poggibonsi per darlo alla diocesi di Colle, nel 1785 acquistò quattro parrocchie transappennine, tre delle quali ( Bruscoli, Pietramala e Cavrenno ) staccaronsi dalla diocesi di Bologna, e una ( Piancaldoli ) da quella d'Imola. Finalmente nel 1795 fu fatta una permuta fra Firenze e Fiesole della parrocchia di Trespiano, che la diocesi fiesolana cedè alla fiorentina, ricevendo in cambio la cura di S. Martino a Mensola.
    Il vescovato in discorso conta attualmente 474 parrocchie, 28 delle quali dentro la città con due collegiate, oltre la metropolitana. Ha sotto di sè 61 pievi, quattro delle quali sono decorate di collegiate; e sono, Empoli, Castel Fiorentino, San Casciano e l'Impruneta. Si noverano 28 conventi di Regolari, 16 dei quali in città, 5 nel suburbio, e 7 nel contado. Vi si conservano 19 monasteri di donne in città, 4 dei quali nei suburbj, oltre 11 Conservatorj che uno di essi è fuori di città, in tutte 770 monache; a differenza che all'epoca della chiusura del Concilio di Trento si enumerarono dentro Firenze 3823 monache ripartite in 47 monasterj; e per la diocesi, compresi i suburbj della città, 14 monasteri con 970 monache. –Vi sono due seminarj, uno dentro la città, l'altro a Firenzuola di là dall'Appennino.
    Nel 1420 la cattedrale fiorentina fu dichiarata metropolitana con bolla del pontefice Martino V, e il vescovo Amerigo di Filippo di Tommaso Corsini, nel 12 dicembre dello stesso anno, stato insignito in Roma del pallio sacro, fu il primo che incominciò la serie degli arcivescovi fiorentini. In seguito vennero destinati per suffragenei del metropolitano fiorentino i vescovi di Fiesole, Pistoja, Prato, San Sepolcro, Colle, e Sanminiato.
    Nella serie dei vescovi fiorentini,
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    che sopra gli altri figurassero per santità, prudenza e dottrina, sono da annoverarsi il glorioso San Zanobi secondo patrono della città, San Podio, Giovanni da Velletri, il vescovo Gherardo che fu pont. sotto nome di Niccolò II; frate Angelo Acciajoli e il cardinale dello stesso nome e casato; Pietro Corsini cardinale e politico insigne; il vescovo Antonio d'Orso, che esortò ed animò i Fiorentini alla difesa della patria, quando era minacciata dall'Imperatore Arrigo VII. Nel novero poi degli arcivescovi della stessa diocesi precede tutti gli altri per virtù e dottrina il nostro Santo Antonino, per rinomanza Giulio, e Alessandro de'Medici, entrambi i quali salirono sulla cattedra di S. Pietro, uno col nome di Clemente VII, l'altro di Leone XI, Tommaso de'Conti della Gherardesca, Francesco Maria Incontri, Antonio Martini, oltre a moltissimi altri virtuosi e zelanti prelati che sederono sulla stessa cattedra.

    COMPARTIMENTO DI FIRENZE

    La città di Firenze non ebbe negli antichi tempi un molto vasto contado; giacchè il suo distretto non si può dedurre, siccome è stato qui sopra avvertito, dall'estensione della diocesi ecclesiastica.
    Contentandoci adunque di prendere le notizie dai tempi meno oscuri, fa duopo partire dall'epoca in cui la Rep. fiorentina incominciò a fare registrare regolarmente i suoi decreti, o Riformagioni .
    Quando il Comune di Firenze estendeva il suo dominio su i paesi assoggettati per via di armi, oppure mediante capitolazioni, il territorio in tal guisa acquistato faceva parte del distretto fiorentino ; il quale distretto trattavasi quasi nel modo istesso che la Rep. Romana usava rispetto ai municipj, cui lasciava il diritto di eleggere i magistrati proprj, e quello di far uso di statuti e leggi loro parziali, variando però nella qualità de'tributi e per altre prerogative di cittadinanza. Altronde gli abitanti del contado fiorentino non erano, come quelli del distretto , capitolati nè conquistati, ma sivvero consideravansi come i cittadini e gli abitanti della capitale
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    con eguali privilegj, diritti ed esenzioni, siccome Roma usava verso le colonie di diritto romano.
    La stessa ripartizione materiale della città di Firenze, divisa prima in Sestieri , poi in Quartieri , venne applicata egualmente al contado fiorentino. La qual divisione servì sotto la Rep. fior. quasi sempre di norma all'amministrazione della giustizia, quando le cause del contado si portavano e discutevano davanti i giudici assessori o collaterali del potestà, e innanzi che s'instituissero i vicariati di S. Giovanni, di Scarperia, e di Certaldo, i quali ultimi, in vigore della legge del 1423, ebbero in certi casi ripartitamente la giurisdizione criminale sopra le comunità del contado fiorentino a partire dalle porte di Firenze.
    Per tal guisa spettava al Quartiere di S. Giovanni la porzione del contado posta alla destra dell'Arno sopra Firenze, cominciando dalle chiese suburbane fra la porta S. Gallo e l'Arno. Cosicchè dalla comunità di Fiesole innoltravasi per Pontassieve, e di là per Cascia e Piandiscò nel Val d’Arno superiore sino a Terranuova e Loro; mentre nel Valdarno del Casentino non abbracciava che le Comunità di Raggiolo e di Castel S. Niccolò, situate nella così detta Montagna fiorentina .
    Il Quartier di S. Croce comprendeva la porzione del contado posta alla sinistra dell'Arno sopra a Firenze, a partire dalle chiese suburbane situate fra la porta Romana e quella di S. Niccolò, e di là rimontando le Valli di Ema e di Greve, e quindi quella della Pesa, giungeva nel Chianti sino sopra Brolio dove varcava in Val d'Ambra per arrivare con quel fiume in Arno sopra Montevarchi.
    Il Quartiere di S. Maria Novella comprendeva il contado alla destra dell'Arno sotto a Firenze, a partire dalle cure suburbane fra la porta S. Gallo e porta al Prato, abbracciava i pivieri di S. Stefano in Pane, di Cercina e di Maccioli donde per Monte Senario entrava in Mugello, e oltrepassava il
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    giogo di Scarperia scendendo per l' Alpi così dette fiorentine o di Firenzuola. Da quel punto retrocedeva per lo Stale e per Mangona nella valle del Bisenzio, che attraversava sui confini della comunità di Prato, passando a settentrione di Montemurlo e di là fra Tizzana e la Comunità di Carmignano calava nel Val d'Arno inferiore per il Mont'Albano sino all'Arno presso Fucecchio.
    Il contado del Quartiere di S. Spirito comprendeva tutti i popoli suburbani fra la porta Romana e la porta S. Frediano, rasentando la ripa sinistra dell'Arno sino presso la bocca di Elsa, escluso tutto il territorio distrettuale di Sanminiato. Colà rimontando il fiume Elsa, comprendeva alla sua sinistra i Comunelli di Catignano e di Gambassi con tutto il territorio di Montajone e di Barbialla in Val d'Evola, punto il più remoto del contado fiorentino. Di costassù ripiegando verso la Val d'Elsa ritornava per il territorio di Castel fiorentino a Certaldo, e di là si estendeva fra le comunità di S. Gimignano e di Colle con quella di Poggibonsi, ultima Terra dell'antico contado fiorentino dal lato d'ostro.
    Tutti gli altri paesi terre e città assoggettate alla Repubblica fiorentina facevano parte del suo distretto, fra le quali le città di Arezzo col suo contado, di Borgo S. Sepolcro, di Colle, di Cortona, di Montepulciano, di Prato, di Pistoja, di Pescia e di Volterra, oltre le Terre di Val di Nievole, di San Gimignano, del Casentino e di quelle della Romagna granducale.
    Con motuproprio del 22 giugno 1769, allorchè fu eretta la Camera delle Comunità del Granducato, vennero ad essa assegnate molte di quelle attribuzioni, che nei tempi andati erano ripartite fra i Capitani di parte Guelfa , i Nove Conservatori del Dominio fior . e gli Ufiziali dei fiumi . –Posteriormente con il regolamento generale dei 23 maggio 1774 furono organizzate e meglio sistemate le attribuzioni delle comunità comprese
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    nel contado fiorentino; le quali comunità subirono una riforma durante l'occupazione straniera, sino a che il regolamento del 1774 fu ripristinato dalla legge de’27 giugno 1814; e finalmente comparve il motuproprio del primo novembre 1825, col quale furono staccate 15 comunità dal Compartimento senese, e 40 da quello fiorentino, onde costituire una quinta Camera di soprintendenza comunitativa da risiedere in Arezzo.
    Il Compartimento fiorentino attualmente è composto di 90 comunità comprese in 28 cancellerie, e in 14 de'18 circondarj, nei quali è diviso il Granducato rapporto all'ufizio degl'ingegneri delle acque e strade.
    La superficie territoriale del Compartimento di Firenze occupa 1,799018,65 quadrati di misura agraria, pari a miglia 2241. La sua popolazione nel 1833 ascendeva a 681083 abitanti, calcolati nella proporzione media di 304 persone per ogni miglio quadrato. Da questa stessa superficie però restano a defalcarsi 67814 quadrati, (circa miglia 84 e 1/3) occupati da corsi di acque e da pubbliche strade, e quindi esenti dall'imposizione fondiaria.
    Il suo perimetro attuale abbraccia le valli transappennine del Granducato, a partire da grecale dalla Valle del Savio, o di Bagno, sino alla Valle del Reno, verso maestro. Di quà dall'Appennino comprende il territorio pistojese e la regione del Mugello girando dalla giogana della Falterona sopra i monti della Consuma e di Vallombrosa. Da quella sommità fra Reggello e Pian di Scò scende in Arno che attraversa fra S. Giovanni e Figline per varcare presso al giogo di Monte Scalari in Val di Greve, e indi in quella di Pesa sino a che a S. Donato in Poggio entra in Val d'Elsa, rasentando i confini orientali della Comunità di Barberino di Val d'Elsa e di Certaldo. Colà oltrepassa l'Elsa fra la Comunità di San Gimignano che lascia al Compartimento senese, e quella di Montajone che abbraccia penetrando in Val d'Era lungo i confini settentrionali della Comunità di Volterra. Di là inoltrasi in Val di Cecina fra la Comunità di Pomarance del Compartimento pisano e
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    quella di Montecatini di Val di Cecina, con la quale ritorna in Val d'Era a ritrovare i limiti occidentali delle Comunità di Volterra e di Montajone, di Sanminiato e di Montopoli, per modo che arriva col torrente della Cecinella in Arno. Da questa confluenza scende lo stesso fiume lungo la destra sponda sino alla Navetta di Calcinaja, che lascia al Compartimento pisano, e Montecalvoli che abbraccia nel suo perimetro insieme con S. Maria in Monte, Monte Carlo, Pescia, e tutte le terre della Val di Nievole, in guisa che per Vellano ritrova sulla montagna di Pistoja i confini del Compartimento fiorentino e nel tempo stesso quelli del Granducato.

    PROSPETTO della Comunità del COMPARTIMENTO FIORENTINO distribuito per Cancellerie.

    -
    Capoluogo di CANCELLERIA: 1. BAGNO, Cancell .
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del Savio
    Superficie territoriale in quadrati: 66386,35
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6399
    - Capoluogo di Comunità: Sorbano
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Valle del Savio
    Superficie territoriale in quadrati: 10749,05
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 1116

    -
    Capoluogo di CANCELLERIA: 2. BORGO S. LORENZO, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Sieve
    Superficie territoriale in quadrati: 42301,94
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 10787
    - Capoluogo di Comunità: Vicchio
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Sieve
    Superficie territoriale in quadrati: 42053,38
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8621
    - Capoluogo di Comunità: Dicomano (R)
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Sieve
    Superficie territoriale in quadrati: 17054,49
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4232
    - Capoluogo di Comunità: San Godenzo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Sieve
    Superficie territoriale in quadrati: 28506,68
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2704

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 3. BUGGIANO,
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    Cancell .
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 12930,74
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 9135
    - Capoluogo di Comunità: Massa e Cozzile
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 4613,24
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2769

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 4. SAN CASCIANO, Cancell . (A)
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Pesa e Val di Greve
    Superficie territoriale in quadrati: 30096,07
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 11097
    - Capoluogo di Comunità: Montespertoli
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Pesa e Val d'Elsa
    Superficie territoriale in quadrati: 35186,33
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6934
    - Capoluogo di Comunità: Barberino di Val d'Elsa
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Elsa
    Superficie territoriale in quadrati: 35067,19
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 7869

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 5. CASTEL FIORENTINO, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Elsa
    Superficie territoriale in quadrati: 14001,20
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6053
    - Capoluogo di Comunità: Certaldo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Elsa
    Superficie territoriale in quadrati: 21264,87
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5336
    - Capoluogo di Comunità: Montajone
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Valli d'Elsa e d'Evola
    Superficie territoriale in quadrati: 58203,94
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8725

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 6. CASTELFRANCO DI SOTTO, Cancell.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 10449,56
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4092
    - Capoluogo di Comunità: Montecalvoli
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 1582,52
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 1140
    -
  •    pag. 299 di 477
    Capoluogo di Comunità: Montopoli
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 4063,89
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2886
    - Capoluogo di Comunità: S. Maria in Monte
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 9068,41
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 3117

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 7. EMPOLI, Cancell. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 17267,39
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 13095
    - Capoluogo di Comunità: Montelupo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 6661,58
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4204
    - Capoluogo di Comunità: Capraja
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 7028,02
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2406
    - Capoluogo di Comunità: Cerreto (R)
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 14095,37
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4905
    - Capoluogo di Comunità: Vinci
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 14770,92
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5054

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 8. FIESOLE, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 14842,97
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 7888
    - Capoluogo di Comunità: Pellegrino
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 5870,36
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5469
    - Capoluogo di Comunità: Sesto
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 14329,48
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8796
    - Capoluogo di Comunità: Brozzi
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati:
  •    pag. 300 di 477
    4396,94
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 7816
    - Capoluogo di Comunità: Campi (R)
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 7904,81
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8918
    - Capoluogo di Comunità: Signa
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 4902,46
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5738
    - Capoluogo di Comunità: Calenzano
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 20903,61
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5307
    - Capoluogo di Comunità: Montemurlo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 8579,90
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2350

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 9. FIGLINE, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno superiore
    Superficie territoriale in quadrati: 29937,37
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 15000
    - Capoluogo di Comunità: Reggello
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno superiore
    Superficie territoriale in quadrati: 34274,26
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 9492
    - Capoluogo di Comunità: Greve
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Greve
    Superficie territoriale in quadrati: 48041,61
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8747

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 10. FIRENZE, Capitale
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 1556,17
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 95927

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 11. FIRENZUOLA, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del Santerno
    Superficie territoriale in quadrati: 77481,50
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8242

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 12. FUCECCHIO, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 18090,22
    Popolazione della Comunità, abitanti n°
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    9940
    - Capoluogo di Comunità: Santa Croce
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 7749,68
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6450

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 13. GALEATA, Canc. (A)
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del Bidente
    Superficie territoriale in quadrati: 21460,05
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2894
    - Capoluogo di Comunità: Santa Sofia
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Valle del Bidente
    Superficie territoriale in quadrati: 18861,42
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 1639

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 14. GALLUZZO, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 20151,27
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 11729
    - Capoluogo di Comunità: Legnaja
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 6805,26
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8162
    - Capoluogo di Comunità: Bagno a Ripoli
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 21942,37
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 11617
    - Capoluogo di Comunità: Rovezzano
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 2581,53
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4170
    - Capoluogo di Comunità: Casellina e Torri
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 14828,77
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8132
    - Capoluogo di Comunità: Lastra a Signa
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 12056,60
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8367

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 15. S. MARCELLO, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Lima
    Superficie territoriale in quadrati: 24462,93
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4805
    - Capoluogo di Comunità:
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    Cutigliano
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Lima
    Superficie territoriale in quadrati: 18517,03
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2199
    - Capoluogo di Comunità: Piteglio
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Lima
    Superficie territoriale in quadrati: 14309,64
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 3136

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 16. MARRADI, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del Lamone
    Superficie territoriale in quadrati: 44374,19
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6732
    - Capoluogo di Comunità: Palazzuolo, Ing.
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Valle del Senio
    Superficie territoriale in quadrati: 31317,96
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 3319

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 17. SANMINIATO, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati: 31931,63
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 13960

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 18. MODIGLIANA, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del Marzena
    Superficie territoriale in quadrati: 28844,87
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4810

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 19. MONTE CATINI di Val di Nievole, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 8562,14
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5340
    - Capoluogo di Comunità: Monsummano, e Monte Vettolini, Ing.
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 9294,08
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5209

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 20. PESCIA, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 7330,35
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5334
    - Capoluogo di Comunità: Monte Carlo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val
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    di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 10166,09
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6472
    - Capoluogo di Comunità: Uzzano
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 3590,44
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 3847
    - Capoluogo di Comunità: Vellano (R)
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 7111,46
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2520

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 21. PISTOIA Città e Cortine, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 286,60
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 11101
    - Capoluogo di Comunità: Porta al Borgo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 35497,41
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 13394
    - Capoluogo di Comunità: Porta Carratica
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 5980,52
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6738
    - Capoluogo di Comunità: Porta Lucchese
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 7368,47
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 5504
    - Capoluogo di Comunità: Porta S. Marco
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 18494,93
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6696

    POTESTERIE DI PISTOIA
    - Capoluogo di CANCELLERIA: 22. TIZZANA, Canc.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 13004,29
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 7721
    - Capoluogo di Comunità: Serravalle
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese e Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 12019,97
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4867
    - Capoluogo di Comunità: Lamporecchio
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno inferiore
    Superficie territoriale in quadrati:
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    13301,52
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6101
    - Capoluogo di Comunità: Marliana
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese e Val di Nievole
    Superficie territoriale in quadrati: 11985,17
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 3345
    - Capoluogo di Comunità: Montale (A)
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojese
    Superficie territoriale in quadrati: 12393,11
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 6718
    - Capoluogo di Comunità: Cantagallo
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Bisenzio
    Superficie territoriale in quadrati: 23837,54
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 4942
    - Capoluogo di Comunità: Sambuca
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val del Reno bolognese
    Superficie territoriale in quadrati: 22228,92
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 2632

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 23. PONTASSIEVE, Canc. Ing.
    Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 32105,94
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 8699
    - Capoluogo di Comunità: Pelago
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Arno fiorentino
    Superficie territoriale in quadrati: 28386,96
    Popolazione della Comunità, abitanti n° 7493
    - Capoluogo di Comunità: Londa
    Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di Sieve
    Superficie territoriale in quadrati: 15356,43Popolazione della Comunità, abitanti n° 2383 - Capoluogo di CANCELLERIA: 24. PRATO, Canc. Ing.Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di BisenzioSuperficie territoriale in quadrati: 36885,17Popolazione della Comunità, abitanti n° 30390- Capoluogo di Comunità: CarmignanoValle in cui si trova il Capoluogo: Val d'Ombrone pistojeseSuperficie territoriale in quadrati: 12534,19Popolazione della Comunità, abitanti n° 8495 - Capoluogo di CANCELLERIA: 25. ROCCA S. CASCIANO, Canc. Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del MontoneSuperficie territoriale in quadrati: 15701,17Popolazione della Comunità, abitanti n° 2506- Capoluogo di Comunità: PorticoValle in cui si trova il Capoluogo: Valle del MontoneSuperficie territoriale in quadrati: 17697,09Popolazione della Comunità, abitanti n° 1894
    - Capoluogo di Comunità: TredozioValle
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    in cui si trova il Capoluogo: Val del TredozioSuperficie territoriale in quadrati: 17970,96Popolazione della Comunità, abitanti n° 2281
    - Capoluogo di Comunità: PremilcuoreValle in cui si trova il Capoluogo: Valle del RabbiSuperficie territoriale in quadrati: 38238,15Popolazione della Comunità, abitanti n° 2872- Capoluogo di Comunità: DovadolaValle in cui si trova il Capoluogo: Valle del MontoneSuperficie territoriale in quadrati: 11000,38Popolazione della Comunità, abitanti n° 1975 - Capoluogo di CANCELLERIA: 26. SCARPERIA, Canc. Valle in cui è compreso il Capoluogo: Val di SieveSuperficie territoriale in quadrati: 22846,08Popolazione della Comunità, abitanti n° 5112- Capoluogo di Comunità: S. Piero a SieveValle in cui si trova il Capoluogo: Val di SieveSuperficie territoriale in quadrati: 10349,93Popolazione della Comunità, abitanti n° 2713
    - Capoluogo di Comunità: VagliaValle in cui si trova il Capoluogo: Val di SieveSuperficie territoriale in quadrati: 16324,00Popolazione della Comunità, abitanti n° 2656
    - Capoluogo di Comunità: Barberino di Mugello (A), Ing . (R) Canc .Valle in cui si trova il Capoluogo: Val di SieveSuperficie territoriale in quadrati: 44980,16Popolazione della Comunità, abitanti n° 8771
    - Capoluogo di Comunità: VernioValle in cui si trova il Capoluogo: Val di BisenzioSuperficie territoriale in quadrati: 15373,37Popolazione della Comunità, abitanti n° 3617

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 27. TERRA DEL SOLE, Canc. Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valle del MontoneSuperficie territoriale in quadrati: 9938,44Popolazione della Comunità, abitanti n° 3309

    - Capoluogo di CANCELLERIA: 28. VOLTERRA, Canc. Ing. Valle in cui è compreso il Capoluogo: Valli d'Era e di CecinaSuperficie territoriale in quadrati: 77789,73Popolazione della Comunità, abitanti n° 40434
    - Capoluogo di Comunità: Montecatini di Val di CecinaValle in cui si trova il Capoluogo: Valli d'Era e di CecinaSuperficie territoriale in quadrati: 40377,70Popolazione della Comunità, abitanti n° 2575

    - TOTALE superficie territoriale in quadrati: 1,799018,65 - TOTALE p opolazione: abitanti n° 681083

    Nel presente prospetto la lettera (A) indica residenza di
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    un'Ingegnere ajuto; la lettera (R) di un secondo Cancelliere. - N.B. La superficie territoriale è stata rettificata.

    STRADE REGIE E PROVINCIALI CHE ATTRAVERSANO IL COMPARTIMENTO DI FIRENZE

    STRADE REGIE

    1. Strada Regia postale Bolognese. Dalla porta S. Gallo di Firenze per la Futa sino al confine delle Filigare .
    2. Strada Regia postale Romana . Dalla porta Romana di Firenze sino al confine con il Compartimento di Siena fra il territorio di Barberino di Val d’Elsa e quello di Poggibonsi.
    3. Strada Regia postale Pisana . Dalla porta San Frediano di Firenze sino al confine con il Compartimento di Pisa sul ponte della Cecinella .
    4. Strada Regia postale Aretina . Dalla porta la Croce per Pontassieve e l’Incisa sino al confine con il Compartimento d’Arezzo fra San Giovanni e Figline.
    5. Strada vecchia, già postale Aretina . Dalla porta San Niccolò di Firenze per San Donato in Collina fino all’Incisa, dove si accomuna alla Regia postale nuova.
    6. Strada Regia postale Lucchese . Dalla porta al Prato di Firenze per Prato, Pistoja e Pescia al confine con lo Stato di Lucca alla dogana del Cardino .
    7. Strada Regia Pistojese per il poggio a Cajano. Staccasi dalla postale Lucchese alla piazza di Peretola sino alla porta Carratica di Pistoja.
    8. Strada traversa Romana . Staccasi dalla Regia postale Pisana all’osteria bianca rimontando la Val d’Elsa per Castel fiorentino e Certaldo sino al confine di questa comunità e del Compartimento fiorentino.
    9. Strada traversa di Val di Nievole . Staccasi dalla Regia postale Lucchese al borgo a Buggiano, e attraversa la Val di Nievole per Bellavista sino al confine del Compartimento di
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    Pisa al poggio di Santa Colomba, fra la Comunità di S. Maria in Monte e quella di Calcinaja.
     10. Strada Regia Modenese . Dalla porta al Borgo della città di Pistoja fino al confine del Compartimento fiorentino e della Toscana a Bosco lungo .
    11. Strada nuova di Romagna . Staccasi dalla Regia postale Aretina al Pontassieve per Dicomano e il Ponticino, varca l’Alpe di S. Godenzo per entrare nella Valle del Montone che percorre passando per S. Benedetto in Alpe, Portico, Rocca S. Casciano, Dovadola e Terra del Sole sul confine del Compartimento fiorentino e con la Comunità di Forlì dello Stato Pontificio.
    12. Strada traversa dell’Altopascio nella sezione della strada antica Romea . Dal porto dell’Altopascio fino al ponte della Sibolla.
    13. Strada Regia del circondario esterno delle mura di Firenze, a partire dalle RR. Cascine sulla testata del nuovo ponte sospeso, e di là girando intorno al pomerio della città, termina alla porta S. Frediano.

    STRADE PROVINCIALI SPETTANTI AL COMPARTIMENTO DI FIRENZE

    1. Strada del Mugello . Staccasi dalla strada Regia Bolognese presso Novoli, passa per S. Piero a Sieve, Borgo S. Lorenzo, Vicchio e termina a Dicomano.
    2. Strada delle Salajole . Staccasi dalla Regia Bolognese al ponte Rosso presso la porta S. Gallo di Firenze, e rimontando il fiumicello Mugnone passa sotto il poggio di Fiesole, quindi per quello dell’Olmo entra in Val di Sieve e termina al ponte che cavalca il fiume Sieve davanti al Borgo S. Lorenzo.
    3. Strada Faentina . Staccasi dal Borgo S. Lorenzo, sale l’Appennino di Casaglia per entrare nella Valle del Lamone passando per Marradi, e termina al confine del Compartimento fiorentino e del Granducato con la Comunità Pontificia di Brisighella al ponte di Marignano sul fiume Lamone.
    4. Strada Militare,
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    o Mulattiera di Barberino di Mugello. Si dirama dalla Regia Bolognese presso la posta di Monte Carelli, e passando per Barberino di Mugello varca il Monte alle Croci per entrare in Val di Marina, indi per Campi s’innoltra al ponte di Signa, dove si unisce alla Regia Pisana .
    5. Strada di Val di Bisenzio . Dalla porta del Serraglio della città di Prato rimontando il fiume Bisenzio finchè a Vernio sale l’Appennino di Montepiano inoltrandosi da questa dogana verso il rio Rimalpasso sul confine Bolognese.
    6. Strada Montallese . Principia dalla porta del Serraglio di Prato passando a’piè di Montemurlo, e di là per Montale giunge sino alla porta S. Marco della città di Pistoja.
    7. Strada Francesca, più comunemente Valdarnese, o Empolese . Staccasi dalla strada Regia Pistojese al ponte al Nievole , e passando per Monsummano e Stabbia arriva a Fucecchio, di dove proseguendo lungo la ripa destra dell’Arno, passa per le Terre e di Santa Croce e di Castel Franco di Sotto, quindi attraversa il canale della Gusciana al porto di S. Maria in Monte, sino a che giunge al confine del Compartimento fiorentino col pisano, che trova alla Navetta sulla strada Regia Pistojese .
    8. Strada Lucchese , denominata Romana, o antica Romea . Staccasi dalla strada Regia Pisana all’Osteria Bianca, passa l’Arno dirimpetto a Fucecchio, e di là per il ponte a Cappiano, la Cerbaja e Altopascio giunge al confine Lucchese presso il Turchetto . (N.B. Il tratto dal porto di Altopascio al ponte Sibolla è strada regia).
    9. Strada Chiantigiana . Si stacca dall’antica strada postale Aretina alla voltata del Bandino fuori di porta S. Niccolò, e passando per il ponte
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    a Ema, per Greve e per Ponzano, arriva al confine della Comunità di Greve con quello della Castellina, dove prosegue nel Compartimento di Siena.
    10. Strada  Casentinese . Staccasi dalla Regia postale Aretina passato il Pontassieve, e sale il monte della Consuma sino al confine della Comunità di Monte Mignajo presso l’osteria della Consuma, dove entra nel Compartimento Aretino.
    11. Primo ramo della strada Volterrana per la parte di Castelfiorentino. Si stacca dalla Regia Romana sotto al Galluzzo, passa per i poggi della Romola, in Val di Pesa, và a Montespertoli e Castelfiorentino; di là per Gambassi sale il monte del Cornocchio passando pel Castagno, sino a che presso Montemiccioli si congiunge al secondo ramo della strada Volterrana che viene dalla città di Colle.
    12. Secondo ramo della strada Volterrana . Staccasi dal primo ramo della strada medesima sotto il poggio di Montemiccioli sino al confine della Comunità di Colle e del Compartimento senese.
    13. Terzo ramo della strada Volterrana . Incomincia da Montemiccioli sul confine della comunità di Volterra con quella di Colle e per Spicchiajuola passa da Volterra, e di là per il territorio di Montecatino giunge al principio della Comunità di Guardistallo, dove sottentra il Compartimento pisano.
    14. Strada Maremmana . Questa dalle Moje Leopoldine conduce al guado di Cecina, anzi al nuovo ponte sospeso.
    15. Strada provinciale da Firenze a Siena . Si dirama dalla Regia Romana al ponte nuovo sulla Pesa, e passando per la Sambuca e S. Donato in Poggio giunge al confine della Comunità di Barberino di Val d’Elsa con quello della Castellina nel Compartimento senese.
    16. Proseguimento della strada Urbinese de’Sette ponti e Riofi nel Val d’Arno superiore. La sezione di questa via compresa nel Compartimento fiorentino, comincia presso la villa di Renaccio , e arriva fino
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    alla nuova strada Regia postale Aretina vicino al ponte dell’Incisa . –   Vedere AREZZO. (COMPARTIMENTO DI).
    17. Strada provinciale Lucchese , denominata Romana . Principia dalla Regia Romana al bivio fuori la porta Pisana di Empoli, e conduce sino al nuovo ponte sull’Arno sopra la bocca d’Elsa.
    18. Strada provinciale di San Gimignano . Staccasi dalla Regia Traversa Romana a Certaldo per dirigersi sino a San Gimignano.
    19. Strada provinciale, detta la Nuova Volterrana . Questa dalle vicinanze di Rioddi si dirige a Capannoli.
    20. Strada provinciale Traversa Romagnola . Staccasi dalla nuova via R. di Romagna presso Dovadola, e passando per Modigliana, S. Reparata e Sessana, giunge all’altra via provinciale Faentina presso S. Adriano sul fiume Lamone.

    FIRENZE, Città capitale del Granducato – Si aggiunga. – Alla fine del secolo XIII rispetto ai nomi dei 12 ambasciatori tutti i cittadini di Firenze inviati al Pontefice Bonifazio VIII da varj sovrani dell’Europa e dell’Asia, eccone i nomi: 1.° Vermiglio Alfano mandato dall’Imperatore Rodolfo d’Austria; 2.° Musatto Franzesi , da Filippo il Bello re di Francia; 3.° Ugolino da Vicchio , da Odoardo I re d’Inghilterra; 4.° Ranieri milite insigne di Firenze, da Venceslao II re di Boemia; 5.° Simone de’Rossi , da Michele Andronieo Imperatore di Costantinopoli; 6.° Guicciardo Basatori , dal Gran Kan dei Tartari; 7.° Manno Fronte degli Adimari , da Carlo II d’Angiò re di Napoli; 8.° Guido Tibanca , da Federigo re di Sicilia; 9.° Bencivenni Folchi , dal Gran Maestro di Rodi; 10.° Lapo Farinata degli Uberti , dalla Repubblica di Pisa; 11.° Cino di Ser Diotisalvi , dal Signore di Camerino; e 12.°
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    Palla Strozzi , dalla Repubblica fiorentina.
    Cotesto aneddoto storico meritevole di essere tramandato ai posteri fu dipinto da Jacopo Ligozzi nel gran salone di Palazzo vecchio sopra la porta che conduceva alla sala del Consiglio, di fronte all’altra storia dello stesso autore rappresentante l’incoronazione del Granduca Cosimo I fatta da Pio V.
    Dove poi si parla (Volume II pag. 161) dell’instituzione in Firenze della carica di Esecutore degli ordinamenti della giustizia e del primo eletto (anno 1306) nella persona di Matteo de’ Ternibili di Amelia, si aggiunga: che sotto di esso non solamente si allargò la via de’ Cavalcanti , oggi detta di Baccano , di che resta ivi tutta la memoria in lapida con lo stemma del Ternibili , ma durante la sua conferma nella stessa carica venne aggrandita la piazza de’Signori, oggi del Granduca, fu raddrizzata e allargata la via Vaccareccia ecc. Più tardi, là dove all’aanno 1343 parlando della cacciata da Firenze del Duca d’Atene fu detto, (ivi pag. 164) che a tempo del Duca si ampliò la strada che dallo sbocco della Piazza de’Signori guida a Or S. Michele, e che ora sotto il paterno regime del Granduca LEOPOLDO II si è veduta con giubilo universale prolungata dalla chiesa di Or S. Michele fino alla piazza del Duomo, dilatando l’angustissima strada più centrale che vi sia in Firenze, la così detta Via de’ Calzajoli , si aggiunga. Che la strada dalla piazza del Granduca alla chiesa d’Or S. Michele non restasse terminata, se non molto dopo la cacciata di quel Duca da Firenze, lo dichiarano due provvisioni della Signoria del 9 ottobre 1391 e del 27 aprile 1392, nella prima delle quali si dice che: Ad perfectionem ornamenti plateae Palatii restat, quod domus, quae sunt ab angulo ecclesiae S. Romuli versus dictam plateam usque ad viam, sive angulum viae del Garbo (ora via di Condotta)
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    ad formam domorum oppositarum de Bonaghisis reducantur . ecc. E nella provvisione dell’aprile susseguente si rammenta un gran casamento noviter factum in ornamento viae qua itur ab ecclesia S. Romuli ad viam Garbi versus oratorium S. Michelis in Orto .  – (GAYE, Carteggio inedito di Artisti Volume 1 . Append. 2) Ma non è la sola Via Calzajoli che di corto sia stata ampliata e d’ogni maniera abbellita per assicurare il primato sulle altre città alla bella Firenze tostochè in pochi anni si sono vedute sotto il governo benefico del Granduca LEOPOLDO II aperte di nuovo la via Leopolda in continuazione alla via Larga fino alle mura presso la Porta S. Gallo; la via S. Giovanni Battista che sta tuttora fabbricandosi, la quale, a partire dalla chiesa della SS. Annunziata, via della Sapienza, piazza di S. Marco e via degli Arazzieri, attraversando in linea retta la strada di via S. Gallo, incomincia fiancheggiata da molte abitazioni grandiose che continuano fino al gran piazzale che si prepara davanti la fortezza di S. Giovanni Battista, volgarmente appellata, la Fortezza da Basso .
    Finalmente a compire i commodi di cotesta città regia si va attualmente sostituendo alla sua illuminazione notturna, alquanto languida a olio, quella più vivace a gas; cui si può aggiungere, che a’ tempi nostri finalmente si veggono le logge degli Uffizj convertirsi in un vero Portico delle Glorie toscane , mercé la collocazione nelle vuote nicchie di molte statue marmoree scolpite da artisti toscani, che rappresentano altrettanti uomini celebri nati in questa felice contrada.
    Al paragrafo riguardante il governo di Ferdinando I (ivi pag. 232) dove dice: ch’Egli impiegò il Buontalenti nell’innalzare dai fondamenti la villa Ferdinanda , ossia di Artimino , si aggiunga: dopo avergli fatto costruire presso Monte Lupo la villa dell’Ambrogiana , e dopo avere riunito nella Galleria di Firenze
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    le arti tutte relative ai lavori di pietre dure. Non fu mai oziosa sotto Ferdinando I l’officina di Gio: Bologna, né il mattatojo del Buontalenti, dovendosi al primo la statua equestre di Cosimo I e il ratto delle Sabine che formano nella piazza del Granduca due de’ più belli ornamenti di quella Galleria pubblica, mentre il secondo edificò sopra le logge degli Uffizj il primo teatro italiano di musica, egli che aveva eretto nel 1570 sotto il Granduca Francesco I, il palazzo nel quale si raccolse la prima Accademia di Belle Arti, poi quello delle RR. Guardie, il cui vasto locale attualmente sta riducendosi per uso di una grandiosa e più sicura dogana.
    COMUNITA’ DI FIRENZE. – Secondo cerchio delle mura . – Cotesto secondo cerchio, se al dire degli storici fiorentini più antichi, fu incominciato nel 1078, non dové essere terminato che molto tempo dopo, tostochè non solo nel 1083 la chiesa di S. Remigio in un strumento del 5 maggio di detto anno si dichiara fuori le mura della città , ma ancora un’altra scrittura del febbrajo 1143 ( stile comune ) tratta del livello di terre e case poste fuori delle mura di Firenze presso la chiesa di S. Remigio .  – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia di Ripoli .) – Dove poi si discorre del giro del secondo cerchio dalla Porta S. Piero al canto di via dello Sprone , ossia alla porta, o postierla degli Albertinelli sull’ingresso del Borgo Pinti, va aggiunto quanto appresso. – Fra la postierla degli Albertinelli e innanzi di arrivare alla Porta S. Piero dovevano esservi due altre postierle , cioè, quella de’ Scarpentieri e l’altra della Badessa . Sono entrambe rammentate da varie membrane sulla fine del secolo XIII, e segnatamente da una
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    del 22 marzo 1298 ( stile comune ) 4 anni dopo essere stato decretato il terzo ed attuale giro delle mura urbane di Firenze. Nella quale membrana si contiene un contratto di vendita fatta dal Comune di Firenze dei muri vecchi della città, a partire da una casa, quae est juxta portam civitatis , e che appellavasi porta de Scarpentieri , fino alla porta che si chiamava della Badessa , per la quale si esciva dalla città passando per la via di S. Procolo (ora de’Pandolfini). – Anche GIOVANNI VILLANI ( Cronic. Libr. VIII. cap. 2) ne avvisa, che infino all’anno 1293 non si serrarono le porte della città, né Firenze aveva gabelle; e per bisogno di moneta per non fare libbra (ossia per non imporre) si venderono le mura vecchie ed i terreni di dentro e di fuori a coloro che vi erano accosto .
    Ma tornando al secondo giro delle mura alienate dopo l’anno 1293, aggiungerò, che fra la Porta S. Piero ed il Parlagio , andando verso S. Jacopo tra i Fossi, sul canto degli Aranci vi era la Porta Ghibellina , aperta verso il 1262 nel tempo che Firenze reggevasi a parte Ghibellina sotto il vicariato regio del Conte Guido Novello. Da quella Porta prese anche il nome il borgo fuori di essa appellato in seguito via Ghibellina . Infatti con provvisione del dì 8 dicembre 1287 la Signoria di Firenze ordinò a diversi maestri del Comune di recarsi nella via che incominciava da quella di Torcicoda e che di là dirigevasi alla porta della città chiamata Porta Ghibellina nel popolo di S. Simone, tracciando la nuova via sul terreno degli Uberti, là dove pochi anni dopo furono innalzate le Stinche Vecchie .
    Seguitando
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    a settentrione il giro del secondo cerchio , dalla postierla degli Albertinelli andavano le mura per via S. Egidio, S. Maria Nuova, e via de’Cresci fino a S. M ichele Visdomini , dove trovavasi la porta detta di Balla .  – Si aggiunga  – Costà presso esisteva un’antico Bagno pubblico , siccome lo manifesta una membrana del 2 luglio 1285 relativa alla compra fatta dal Comune di Firenze di una quantità di terreno, super quo , dice il documento, erat balneum juxta portam Balle e portam Vie Nove, seu Spadariorum (ora Via de’Martelli ).
    Presso Piazza Madonna esisteva un’altra porticciuola detta del Mugnone , o di Campo Corbolini , la quale è anche rammentata da una provvisione della Signoria del 18 maggio 1333.
    Ma per una omissione di parola nella pagina precedente, m’incombe tornare a dire, che fra la postierla degli Albertinelli , innanzi ( e dopo ) di aver passata la Porta S. Piero, dovevano esservi due altre postierle , cioè quella de’Scarpentieri e l’altra della Badessa .
    Anche una riformagione della Signoria di Firenze del 9 dicembre 1298 riportata dal Gaye nel suo Carteggio inedito ecc. ( Vol . I. Appendice 2) rammenta il borgo e la contrada degli Scarpentieri e la porta di S. Simone , corrispondente, o alla Porta Ghibellina , o alla postierla della Badessa .
    Allo stesso Articolo del Secondo Cerchio , dove dice, che probabilmente dal 1262 al 1266 furono alzate le mura di Oltrarno fra la Porta di Piazza ed il Canto alla Cuculia , si aggiunga: che costì nel 1295 per decreto pubblico si edificò la Porta che appellossi di Giano
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    della Bella
    . Un’altra porta nell’Oltrarno spettante al secondo Cerchio stimo essere quella di Sitorno che venne rimurata per ordine della Signoria sotto dì 8 luglio del 1331.
    Terzo ed attuale cerchio . – Discorrendo ivi che nel dì 22 gennajo del 1318 ( stile comune ) si cominciò a fondare la Porta Romana , o di S. Pier Gattolino , si aggiunga: qualmente al proseguimento di quell’opera ne richiama una deliberazione de’ Priori e Collegj della repubblica Fiorentina in data del 26 agosto 1337.
    Inoltre tre anni innanzi (8 luglio 1334) era stato mandato l’ordine ai cassieri delle porte di versare i denari delle gabelle della casa del camarlingo del Comune essendo stato destinato quel dazio a chiudere le cerchia ed a fortificare la città di Firenze.  – (GAYE, Oper. cit. )
    La Porta Guelfa peraltro fu ordinata fino da quando la Signoria fece comprare, nel 1283, alcune case nel Borgo della Croce al Gorgo presso la chiesa di S. Candida, all’occasione della Porta Nuova che si faceva per il Comune in detto luogo. (GAYE Oper. cit. )
    Principali edifizj pubblici di Firenze . – Parlando dell’architetto Arnolfo da Colle autore della chiesa Metropolitana di Firenze, vi è da aggiungere, che egli non di Lapo , ma sibbene fu figlio di Cambio da Colle , siccome fu detto al paragrafo S: GIOVANNI BATTISTA (BATTISTERO DI) e siccome la stessa cosa fu annunziata dal Dott. Gaye , mediante una deliberazione della Signoria di Firenze dell'aprile 1300 da esso scoperta ed in parte pubblicata nel Volume I. Append. 2. del suo Carteggio inedito di Artisti .
    Rispetto poi ai vetri colorati dei finestroni della stessa Metropolitana, come pure relativamente all'epoca ed all'autore di quelli, leggasi il SUPPLEMENTO all' Articolo
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    GAMBASSI.
    Probabilmente a Cambio padre di Arnolfo piuttosto che ad Arnolfo si deve la prima parte del palazzo del Potestà , già detto del Popolo fiorentino , pel quale fino dal 31 luglio 1255 la Signoria di Firenze aveva ordinato che si comprassero per conto del Comune 9 panora di terreno nella Vigna Vecchia , di pertinenza della Badia fiorentina, per il proseguimento di detto palazzo ; ed è a quell'aumento fatto al medesimo dalla parte di levante, cui spetta il bel cortile che io reputo opera di Arnolfo di Cambio da Colle.  – Infatti uno de' più antichi decreti superstiti deliberati nel palazzo del Popolo è del 2 dicembre 1256, il quale conservasi fra le membrane della Badia di Coltibuono, ora nell' Arch. Dipl. Fior. È una licenza scritta nel palazzo del Popolo fiorentino da Pancrazio di Concerio per la grazia di Dio capitano per la seconda volta del Popolo di Firenze, il quale col voto di due terzi degli Anziani del Comune medesimo accordava al priore della canonica di S. Pietro Avenano nel Chianti, piviere di S. Maria a Spaltenna , di poter vendere la metà di un mulino che teneva indiviso con la canonica di S. Cosimo ( S. Gusmè ) a Campi ad oggetto di pagare alcuni debiti della sua chiesa.
    In quel tempo ed anche molti anni dopo la Signoria di Firenze si adunava ora nella case della Badia fiorentina, come da un documento del dì 31 dicembre 1246, talaltra nel palazzo della famiglia Galigaj, in palatio filiorum Galigaj, ubi eiusdem civitatis concilia fiunt , dove fra le altre fu approvata una provvisione della Signoria del 1273; talvolta si adunava nelle case de'figli di Gherardino de'Cerchi dove essa risiedeva nel 1293. – Ma nel 1289 i priori delle Arti del Comune di Firenze
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    con i Collegj e Buonomini tenevano le loro adunanze, nella casa di Ghino Foresi e Consorti , siccome apparisce da una deliberazione presa nell'agosto di detto anno ad oggetto di liberare i coloni, o altri servi dalle condizioni troppo abiette i cui erano tenuti dai loro padroni.
    Palzzi regj di Firenze . – La ristrettezza del tempo e la fine di quel fascicolo avendomi quasi costretto ad essere più breve del bisogno, potei, dirò così, appena indicare il Palazzo vecchio , già detto de' Signori , il Palazzo de' Pitti , Reggia de' Granduchi, ed i palzzi RR. Della Crocetta , Riccardi , Non Finito ecc.
    Ma dall'anno in cui fu pubblicato l'Articolo FIRENZE sino ad ora, molto più vaga si è resa cotesta città, che meritatamente appellare si può un vero giojello della bellissima Italia; tante e si magnifiche sono le strade e fabbriche aperte, ampliate, innalzate, ingrandite; le logge degli Ufizj di statue marmoree di uomini illustri della Toscana adornate, ecc. ecc.
    Chi, per esempio, non resta incantato al vedere mirabile affresco finora ignorato e scoperto nell'ottobre p. p. nell'antico refettorio del soppresso Monastero di S. Onofrio detto il Fuligno e riconosciuto per opera esimia del celebre Raffaello d'Urbino? Nel quale affresco rappresentante il Cenacolo, non solo vi si trovò il ritratto del giovine pittore, ma il nome e l'anno 1505 in cui fu da esso eseguito.
    Chi non loderà il bello quanto utile provvedimento preso dalla Comunità di Firenze d'illuminare a gas la capitale del Granducato, dove il gas fra pochi anni condurrà merci e passeggieri per strade e rotaje di ferro da Livorno, da Lucca, da Pistoja, da Siena? ecc. ecc.
    Nel quadro della popolazione del 1845 della Comunità di Firenze repartita per quartieri deve avvertirsi, che oltre i 5775 parrocchiani spettanti alla cura di S. Felice in
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    Piazza, escono fuori di Porta Romana 59 individui, i quali entrano nella Comunità del Galluzzo, mentre appartengono a quella di Firenze 20 individui fuori di Porta S. Miniato; una frazione di 398 abitanti fuori di Porta al Prato nella Parrocchia di S. Jacopino in Polverosa, ed altra frazione di 8 popolani nella parrocchia di S. Marco Vecchio fuori di porta S. Gallo. Finalmente una quarta frazione di 152 persone esce fuori della Porta alla Croce nel popolo di S. Salvi.
    Dondechè il numero totale degli Abitanti situati fuori delle mura, compresi però nella Comunità di Firenze, detratti i 59 individui della cura di S. Felice in Piazza spettanti alla Comunità del Galluzzo, si riducono a 578 abitanti.
    In quanto poi al Prospetto delle Comunità del Compartimento Fiorentino distribuito per Cancellerie con l'indicazione delle rispettive località e residenze degli Ingegneri di Circondario, degli Uffizj di esazione del Registro, e delle conservazioni d'Ipoteche, invio il lettore alle modificazioni accadute dal 1833 al 1844 ed indicate all'Articolo TOSCANA GRANDUCALE di questo Dizionario, Vol. V. pag. 558 e segg. Con più allo stesso Articolo nel SUPPLEMENTO per le variazioni posteriori a tutto l'anno 1845.

    QUADRO della POPOLAZIONE e delle CHIESE PARROCCHIALI della CITTA’ DI FIRENZE nell’anno 1845, divisa nei suoi Quartieri.


    I. QUARTIERE S. GIOVANNI

    - Metropolitana S. Maria del Fiore, con otto popoli soppressi e ad essa riuniti
    Abitanti n°
    3437

    - Basilica di S. Lorenzo, Collegiata insigne
    Abitanti n° 17558

    - S. Michele Visdomini
    Abitanti n° 2703

    - SS. Annunziata
    Abitanti n° 3156

    - S. Marco
    Abitanti n° 1436

    - S. Egidio nell’ Arcispedale di S. Maria Nuova, compresi i malati
    Abitanti n°
    1176

    - S. Maria
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    nell’Ospedale degl’Innocenti
    Abitanti n° 92

    - S. Gio. Battista nell’Ospedale di Bonifazio
    Abitanti n° 981

    - S. Maria in Campo ( Diocesi di Fiesole )
    Abitanti n°
    12

    - SOMMANO Abitanti n°
    30551

    II. QUARTIERE S. MARIA NOVELLA

    - SS. Apostoli con l’annesso di S. Maria sopra Porta in S. Biagio
    Abitanti n° 1281

    - SS. Michele e Gaetano con sei annessi
    Abitanti n° 2220

    - S. Lucia sul Prato
    Abitanti n° 5636

    - S. Maria Maggiore con un annesso
    Abitanti n° 1156

    - S. Maria Novella
    Abitanti n° 3232

    - S. Salvatore in Ognissanti con un annesso
    Abitanti n° 3336

    - SS. Trinità con un annesso
    Abitanti n° 3033

    - S. Gio. Battista alla Fortezza da Basso ( cura militare )
    Abitanti n°   ( ERRATA :1536) 1336

    - SOMMANO Abitanti n° 21230

    III. QUARTIERE DI S. CROCE

    - S. Ambrogio
    Abitanti n° 7772

    - Badia (S. Maria in S. Stefano) con altro annesso
    Abitanti n° 1154

    - S. Giuseppe alle Conce
    Abitanti n° 5894

    - S. Jacopo tra Fossi
    Abitanti n° 2002

    - S. Margherita nella Madonna de’Ricci
    Abitanti n° 1079

    - S. Orsan Michele con due annessi
    Abitanti n° 1511

    - S. Remigio con un annesso
    Abitanti n° 2566

    -
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    S. Simone
    Abitanti n° 2183

    - S. Stefano con l’annesso di S. Cecilia
    Abitanti n° 1240

    - S. Ferdinando nella Pia Casa di Lavoro
    Abitanti n° 842

    - SOMMANO Abitanti n° 26243

    IV. QUARTIERE S. SPIRITO

    - S. Frediano in Castello, Collegiata con parte del soppresso popolo di Verzaja (1)
    Abitanti n° 10648

    - S. Felicita con l’annesso di S. Jacopo sopr’Arno
    Abitanti n° 4245

    - S. Felice in Piazza  (2)
    Abitanti n° 5775

    - S. Pietro in Gattolino
    Abitanti n° 2040

    - S. Niccolò Oltr’Arno
    Abitanti n° 2885

    - S. Lucia de’Magnoli con l’annesso di S. Maria sopr’Arno
    Abitanti n° 1174

    - S. Spirito e S. Giorgio sulla Costa
    Abitanti n° 1128

    - S. Maria nella Fortezza di Belvedere ( cura militare )
    Abitanti n° 402

    - SOMMANO Abitanti n° 28297

    (1) La porzione dell’antico popolo di Verzaja , che esce fuori delle mura, fa parte della cura nuova di Pignone .
    (2) Nelle 5775 anime della cura di S. Felice in Piazza, non sono comprese altre 59 persone situate fuori della porta Romana perché spettanti alla Comunità del Galluzzo, sicchè in tutti formano 5834 individui.

    ANNESSI DI FIRENZE provenienti da Cure suburbane

    - S. Jacopino in Polverosa; dalla Comunità del Pellegrino
    Abitanti n° 398

    - S. Marco
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    Vecchio; dalla Comunità di Fiesole
    Abitanti n° 8

    - S. Salvi; dalla Comunità di Rovezzano
    Abitanti n° 152

    - S. Leonardo in Arcetris; dalla Comunità del Galluzzo
    Abitanti n° 20

    - SOMMANO Abitanti n° 578

    RICAPITOLAZIONE della popolazione di FIRENZE nell’aprile del 1845

    I. Quartiere S. Giovanni
    - abitanti n° 30551

    II. Quartiere S. Maria Novella
    - abitanti n° 21230

    III. Quartiere di S. Croce
    - abitanti n° 26243

    IV. Quartiere di S. Spirito
    - abitanti n° 28297

    ANNESSI provenienti da Cure suburbane
    - abitanti n° 578

    - TOTALE abitanti n°
    106899


    POPOLAZIONE  e MOVIMENTO degli Abitanti della Città di  FIRENZE  dall’anno 1836 sino a tutto aprile del 1845.

    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 97,548
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1927; femmine n° 1941; totale n° 3868
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1732; femmine n° 1645; totale n° 3377
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 769
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 981
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1837
    POPOLAZIONE: n° 98,203
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1884; femmine n° 1927; totale n° 3811
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1716; femmine n° 1802; totale n° 3518
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 798
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 972
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1838
    POPOLAZIONE: n° 99,698
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1916; femmine n° 1884; totale n° 3800
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1560; femmine n° 1609; totale n° 3169
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 727
    NUMERO
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    DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 984
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1839
    POPOLAZIONE: n° 100,782
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2056; femmine n° 1894; totale n° 3950
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1548; femmine n° 1602; totale n° 3150
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 706
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1062
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1840
    POPOLAZIONE: n° 101,822
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2028; femmine n° 1998; totale n° 4026
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1915; femmine n° 2009; totale n° 3924
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 715
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1100
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1841
    POPOLAZIONE: n° 102,512
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2086; femmine n° 1940; totale n° 4026
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1884; femmine n° 1940; totale n° 3824
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 831
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1079
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1842
    POPOLAZIONE: n° 103,221
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2024; femmine n° 2052; totale n° 4076
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1735; femmine n° 1785; totale n° 3520
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 854
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1086
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1843
    POPOLAZIONE: n° 105,262
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2078; femmine n° 2008; totale n° 4086
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1689; femmine n° 1783; totale n° 3472
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 887
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1061
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1844
    POPOLAZIONE: n° 106,531
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2145; femmine n° 1978; totale n° 4123
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1805; femmine n° 1736; totale n° 3541
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 847
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1064
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1845
    POPOLAZIONE: n° 106,899
    NUMERO DEI NATI: maschi n° - (*); femmine n° -; totale n° -
    NUMERO DEI
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    MORTI: maschi n° -; femmine n° -; totale n° -
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° -
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° -
    CENTENARJ: n° -

    (*) Fino al 30 aprile del dicontro anno 1845.


    ARCIVESCOVATI DELLA TOSCANA. Sono quattro: Firenze, Pisa, Siena e Lucca. – Il primo per ordine di anzianità è quello di Pisa; creato nel 1092 dal pontefice Urbano II, che ne investì Daiberto, il celebre conduttore della Crociata toscana alla conquista di Gerusalemme; decorandolo del titolo di Patriarca, di Metropolitano della Corsica, e di Primate della Sardegna.
    I vescovi suoi suffraganei furono quelli di Ajaccio, di Aleria e di Sagona nella Corsica. Nel continente toscano aveva quello di Populonia, dato in seguito (1459) all’Arcivescovo di Siena, aggiuntivi più tardi i vescovi di Livorno e di Pontremoli.
    Secondo, rapporto all’epoca, primo come Mtropolitano è l’Arcivescovato di Firenze che conta quest’onoreficenza dall’anno 1420, quando Martino V ne rivestì il Vescovo Amerigo Corsini. Sono suffragenei della chiesa fiorentina i Vescovi di Fiesole, di Pistoja e di Prato, di Sansepolcro, di Colle e di Sanminiato.
    La cattedrale di Siena fu eretta in chiesa Arcivescovile dal pontefice Pio II con bolla dell’anno 1459, con la quale le furono date per cattedrali suffragenee quelle di Chiusi, di Sovana, di Grosseto e di Massa marittima.
    All’antico Vescovato di Lucca fu dal pontefice Benedetto XIII accordato nel 1726 il titolo Archiepiscopale molto dopo le onorificenze del pallio e della croce che godeva sino dal secolo XII per bolla di Callisto II del 1120.
    Ebbe un Vescovo suffraganeo nel 1822, quando fu eretto il nuovo Vescovato di Massa di Carrara con una porzione della Diocesi di Sarzana e quella di Lucca.

    ZECCHE DIVERSE della Toscana. – Le Zecche più antiche della Toscana sono quelle di Lucca, di Pisa e di Firenze. Le prime due incominciarono a coniare lire, soldi e denari di argento e di
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    oro fino dai tempi Longobardi, quella però di Firenze fu posteriore allo stabilimento della sua repubblica. Ignazio Orsini, per lasciare di tanti altri scrittori, ha occupato un intiero libro per riportare i vari conj col nome de' zecchieri sotto la repubblica fiorentina, a partire dal 1252, epoca in cui Firenze cominciò a battere la buona moneta del fiorino d’ oro. Infatti debbesi ai Fiorentini la gloria di essere stati i primi a ristabilire in Italia il conio delle monete pure di oro abbandonato per lungo tempo dalle altre città. Di epoca quasi contemporanea, ma sul declinare del secolo XII sono le Zecche delle città di Siena, di Volterra e di Arezzo, cui succederono le lire Cortones.i Tratto con criterio delle prime il Sig. Giuseppe Porri in un bel Saggio sulla Zecca sanese pubblicato nel 1844; disertò sulle seconde il ch. Pagnini nella sua Opera della Decima, e discorsero della terza il Cav. Guazzesi e di recente il Dott. Antonio Fabroni, mentre versò sulle monete di Cortona il cortonese Alticozzi in un capitolo della sua Lettera apologetica al libro dell’ antico Dominio del Vescovo di Areno in Cortona.
    Di breve durata fu la Zecca di Massa Marittima, e dubbie mi sembrano le monete attribuite alle città di Pistoja e di Chiusi.
    Le Zecche più recenti della Toscana sono quelle de' marchesi Malaspina di Fosdinovo e de' marchesi Cybo Malaspina di Massa di Carrara, la prima instituita o piuttosto ripristinata nel 1666, ed ora soppressa; la seconda aperta in Massa nel 1550, e tuttora esistente al pari di quelle di Lucca, di Firenze e di Pisa, l'ultima delle quali trovasi riunita alla Zecca di Firenze. Tutte le altre sono state da lunga mano
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    inibite, oppure soppresse.


    VIA REGIA INTORNO ALLE MURA ESTERNE DELLA CITTA’ DI FIRENZE. – Essa percorre l’intiero giro delle mura di Firenze per circa miglia 6 fiorentine.


    GRANDUCATO DI TOSCANA. – Questo bel paese che a buon diritto si è meritato il titolo di giardino d’Italia, facendo astrazione al suo territorio staccato, confina da ostro a grecale con lo Stato pontificio, dal lato di settentrione con la Lombardìa modanese, da maestro a libeccio con il Ducato di Lucca, e da libeccio a ostro col mar Tirreno o Mediterraneo. – Esso occupa circa tre quinti dell’antica Etruria , qualora si contemplino i suoi più noti confini fra la Magra, il Tevere, l’Appennino e il Mar Tirreno. Alla quale superficie si deve aggiungere la parte transappenina della Romagna granducale, ed una porzione di territorio transiberino, già conosciuto col nome di Massa Trabaria. Avvegnachè nei due territorii testè nominati il Granducato possiede 19 comunità in una superficie di 576,107 quadr. agrarii, pari a miglia toscane 717 e un terzo, dove nel 1833 si trovava una popolazione fissa di 57,986 abitanti.
    In quanto alla porzione disunita del Granducato di Toscana, essa comprende diversi distretti all’occidente del Ducato di Lucca. Tali sono il Pietrasantino nella contrada della Versilia, consistente in tre comunità; il distretto di Barga nella Garfagnana, ed i territorii di Pontremoli, di Bagnone e di Fivizzano con le potesterìe subalterne di Albiano, di Calice ed altre 6 comunità nella Lunigiana. In tutte 15 comunità con 66,852 abit. in una superficie di 278,566 quadrati, equivalenti a quasi 347 migl. quadr. toscane; vale a dire meno della metà di estensione territoriale di quanto alla Toscana appertiene nella parte transappennina e transtiberina, con la differenza però che nel territorio disunito havvi una popolazione più che doppia di quella posta di là dall’Appennino e del fiume Tevere.
    Spettano pure al Granducato varie isole del mare Tirreno, la maggiore delle quali è quella
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    dell’Elba, che abbraccia 4 comunità, e che nell’anno 1833 noverava 16,450 abit.; mentre l’isola del Giglio, seconda per grandezza, non superava i 1500 abit. Le altre, poco o punto abitate, si riducono alle isolette di Pianosa, di Giannutri, della Gorgona, di Monte Cristo ec.
    Tutto il Granducato, compreso il territorio disunito rinchiudesi fra il grado 27° 20’ e 29° 30’ di longitudine ed il gr. 42° e 13’ e 44° 30’ di latitudine; dentro i quali limiti è projettata la bella carta geometrica della Toscana ricavata dal vero nella proporzione di 1 a 200,000 dal celebre astronomo P. Giovanni Inghirami delle Scuole pie di Firenze.
    Il Granducato di Toscana è composto dagli antichi dominii della repubblica fiorentina e di quella pisana riuniti in un solo corpo di amministrazione politica e giudiziaria dopo l’ultima conquista di Pisa (anno 1509), meno il distretto Piombinese e quelli delle Isole dell’Elba, di Pianosa e di Montecristo staccati nel 1399 dall’antico territorio della Rep. di Pisa per costituirli in signoria all’Appiani e sua discendenza dopo aver venduta la patria.
    Nel 1531 tutto il dominio della repubblica fiorentina cadde in potere della casa Medici, allorchè si dichiarò capo della repubblica di Firenze, quindi sovrano assoluto della medesima, il duca Alessandro.
    Il di lui successore Cosimo I ampliò vistosamente il nuovo ducato con i seguenti acquisti. Nel 1546, nel vicariato di Bagnone, già capitanato di Castiglion del Terziere, comprò dai conti di Noceto la Rocca Sigillina con le sue ville; nel 1549 dai marchesi Malaspina l’ex feudo di Filattiera, e nel 1551 dagli stessi dinasti il castello di Corlaga con le ville annesse.
    ( ERRATA : Nel 1554) Nel 1556 lo stesso Cosimo acquistò in nome della duchessa Eleonora di Toledo sua consorte il marchesato di Castiglion della Pescaja e l’Isola del Giglio.
    Tostochè il territorio della Rep. di Siena venne in potere di Cosimo I mediante il trattato concordato in Firenze lì 3 luglio del 1557, ratificato
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    da Filippo II re di Spagna lì 29 novembre 1558, il duca medesimo seppe riunire alla sua corona il dominio dello Stato fiorentino con quello della nuovamente spenta Rep. di Siena, conservando a quest’ultima un’amministrazione giudiziaria, civile e politica sua propria. Fu escluso il territorio di Orbetello coi paesi adiacenti, stante che il re di Spagna volle ritenerlo sotto il nome di RR. Presidii di Toscana.
    Da quell’epoca fu distinto l’uno dall’altro ducale dominio, qualificando il fiorentino col nome di Stato vecchio , e il senese di Stato nuovo . – Dal 1558 al 1569 ( ERRATA: Cosimo II) Cosimo I intitolavasi Duca di Firenze e di Siena, finchè nel 1569 fu dichiarato dal Pont. Pio V, e incoronato primo Granduca, titolo che fu confermato nel 1577 dall’Imp. Massimiliano a quel regnante ed ai suoi successori.
    All’occasione del trattato del 1557 per la cessione dello Stato senese, Cosimo I ottenne in compra da Filippo II il castello di Portoferrajo con il suo porto e un limitato distretto nell’Isola dell’Elba.
    Francesco I, Granduca secondo, nel 1574 aggiunse alla sua corona i paesi di Lusuolo e di Riccò, e 4 anni dopo il castello di Groppoli con i loro distretti l’uno e gli altri posti in Lunigiana, per compra fatta dai marchesi Malaspina.
    Il terzo Granduca, Ferdinando I, nel 1604 e 1606 acquistò dai conti Giov. Antonio, e Bertoldo figli del C. Alessandro Orsini le contee di Pitigliano e di Sorano; per modo che potè in tal guisa incorporare ai suoi dominj quel territorio che da Cosimo I soleva chiamarsi il zolfanello delle guerre d’Italia.
    Cosimo II accrebbe al Granducato la contea di Scanzano, acquistata nel 1615 dal duca Alessandro Sforza conte di Santa Fiora; e nel 1616 la contea di Castell’Ottieri avuto in compra dal conte Sinolfo di Flamminio Ottieri. –Finalmente nel 1618 acquistò dal March. Fabrizio Malaspina l’ex feudo di Terrarossa in Lunigiana.
    Nel 1633
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    il Granduca Ferdinando II ottenne dal conte Mario Sforza duca di Segni la contea di S. Fiora, e nel 1650 egli aggiunse al territorio del Granducato il distretto di Pontremoli per acquisto oneroso fatto da Filippo IV re di Spagna.
    Nel 1770 il Granduca Pietro Leopoldo I comprò dai MM. Malaspina di Mulazzo il territorio di Calice e di Veppo nella Lunigiana, di cui formò una potesteria.
    Col trattato di Luneville del 1801 fu riunita al governo dell’Etruria l’Isola dell’Elba, smembrata momentaneamente dal Granducato per servire di reggia e ubbidire essa sola a quel Grande, cui l’Europa intera sembrava campo troppo angusto alle sue gigantesche imprese.
    Finalmente nel 1808 furono riuniti al dominio toscano i RR. Presidii di Orbetello ec.; e col trattato di Vienna del 1814 venne aggiunto il Principato di Piombino, nel tempo che fu tolta ogni specie di giurisdizione baronale ai conti e marchesi dei feudi imperiali di Vernio, di Montauto e del Monte S. Maria.

    DIVISIONE ECCLESIASTICA
    DEL GRANDUCATO

    Esistono nel Granducato 3 sedi arcivescovili, a Firenze , a Pisa ed a Siena , e 19 cattedre episcopali, delle quali 6 sono suffraganee del metropolitano di Firenze, cioè Pistoja, Prato, Fiesole, Colle, Samminiato e San Sepolcro . Sono addetti al metropolitano di Pisa i vescovi di Livorno e di Pontremoli ; e cinque al metropolitano di Siena, cioè Chiusi, Pienza, Sovana, Grosseto e Massa marittima. – Le sei città vescovili di Arezzo, Cortona, Volterra, Montalcino, Montepulciano e Pescia restano immediatamente soggette al Pontefice Romano.
    Sebbene le diocesi del Granducato siano 22, i vescovi peraltro non sono più di 20, stantechè la città di Prato lo ha comune con Pistoja, e Pienza con Chiusi.
    L’arcivescovo di Bologna e i vescovi di Imola, di Faenza, di Forlì,
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    di Bertinoro e di Sarsina, tutti dello Stato pontificio, hanno giurisdizione spirituale sulla maggior parte della Romagna granducale, mentre quelli di Città di Castello, Città della Pieve, e l’abate delle Tre fontane esercitano la loro sopra alcuni paesi della Valle Tiberina, sul territorio di S. Fiora, in Orbetello e nell’Isola del Giglio.
    Oltre le tre città con sede arcivescovile, le quali rammentano le metropoli di tre estinte repubbliche, ed oltre le 19 città con sede vescovile, si contano nel Granducato tre piazze forti, cioè Portoferrajo sede di un governatore civile e militare nell’Isola dell’Elba, Piombino stata capitale del principato del suo nome, e Orbetello già capoluogo degli Stati dei RR. Presidii, tutte tre decorate del titolo di città, sebbene non sieno vescovili. In conseguenza di che il Granducato attualmente conta oltre la capitale, 24 città con circa 180 terre, borghi, e grossi castelli murati.
    Esistevano nel 1836 dentro il territorio del Granducato N° 243 conventi; dei quali N° 130 appartengono a religiosi di Ordini diversi con 2358 frati. I monasteri di donne sotto regole diverse sono 65 con 2451 monache, ed i conservatorii per ricevere in educazione N° 48 con 1544 oblate. Totale fra religiosi, monache e oblate N° 6353 individui.
    Il regio magistrato della Giurisdizione, o Segreteria del Regio Diritto, prende cognizione di tutto ciò che può interessare i diritti della Corona granducale e dei privati nelle materie ecclesiastiche e beneficiarie, accorda il regio exequatur a tutti i brevi pontificii, decreti, sentenze ed atti di pubblica potestà provenienti da Stati esteri, purchè non sieno lesivi ai pubblici diritti; soprintende a tutta l’economia dei conventi ed altri luoghi che non dipendono dagli ufizj comunitativi; invigila alla conservazione e risarcimento delle fabbriche sacre. Dipendono dal suo dipartimento gli economi generali de’ benefizj vacanti di tutte le diocesi del Granducato, oltre le ingerenze che interessano gl’individui, i corpi, i beni,
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    i diritti degli ecclesiastici, e le materie di disciplina che, a tenore dei regolamenti e delle leggi fondamentali del Granducato, richiedono la sovrana autorità.
    Finalmente il Segretario del R. Diritto , in coerenza della legge del 18 giugno 1817, ha la sorveglianza dell’ufizio dello Stato Civile, dei registri di nascite, morti e matrimonii che accadono nel Granducato.

    DIVISIONE GOVERNATIVA E GIUDIZIARIA DELLA CAPITALE DEL GRANDUCATO SECONDO LE PIU' MODERNE RIFORME

    Firenze è la residenza del Sovrano, e conseguentemente il centro di tutti i dipartimenti governativi, giudiziarii, amministrativi, finanzieri, militari ec. del Granducato.
    Nella capitale pertanto esistono le Segreterie dei Dipartimenti di STATO, di FINANZE, di GUERRA e degli AFFARI ESTERI. – Sono esse presedute dal Primo Direttore delle RR. Segreterie, che è Segretario R., Consigliere Intimo di Finanze e di Guerra. Presiede alla seconda il Direttore della R. Segreteria di Stato ; alla terza il Direttore della R. Segreteria di Finanze e della R. Depositeria ; e alla quarta il Direttore del Dipartimento della Guerra e degli Affari esteri.
    Per rapporto al sistema giudiziario risiedono in Firenze le seguenti magistrature disposte per ordine di precedenza nelle loro attribuzioni respettive.
    I. La suprema magistratura è quella dell' I. e R. Consulta di Giustizia e Grazia . Essa rappresenta il Sovrano regnante in ciò che riguarda la vigilanza del governo per l'amministrazione della giustizia nei tribunali civili e criminali del Granducato, e per render conto al Principe, oppure per risolvere in suo nome gli affari di Giustizia e di Grazia . Ha la soprintendenza a tutti i tribunali di giustizia del Granducato, e ad essa fa duopo ricorrere per le sentenze di qualunque magistrato o giudice sebben delegato, allorchè mancano i rimedii ordinarii, e quando le leggi provvedono col solo mezzo di ricorso al Sovrano regnante. È incaricata
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    di minutare le leggi a misura delle commissioni che ne riceve dalle RR. Segreterie di Stato, Finanze e Guerra, e deve alle occorrenze proporre quelle riforme che sembrano utili nel sistema della legislazione toscana, oltre varie altre particolari attribuzioni.
    II. La seconda magistratura giudiziaria appellasi Consiglio Supremo di Giustizia Civile , il quale giudica in seconda appellazione le sentenze proferite dalle RR. di prime appellazioni civili di Firenze, Pisa, Siena, Arezzo, e dal Tribunale collegiale di prima istanza eretto in Grosseto con motuproprio del 31 dicembre 1836.
    III. Una Ruota Criminale. Essa estende la sua giurisdizione sopra tutte le cause criminali del Granducato, escluse quelle del Compartimento di Grosseto, i di cui titoli si puniscono con pene inferiori alla detensione nella fortezza di Volterra, o alla reclusione surrogata al confino per delitti di furto, nei quali casi provvede il Tribunale di prima Istanza di Grosseto con l'appello in seconda istanza alla R. Ruota Criminale di Firenze.
    IV. Una Ruota Civile di prima appelazione, la quale conosce in seconda istanza delli appelli interposti dalle sentenze emanate dal Magistrato Supremo di Firenze, dal Tribunale di Commercio della stessa città, dal Tribunale collegiale di Pistoja , e dai Vicarii e Podestà compresi nella sua giurisdizione.
    V. Un Magistrato Supremo Civile, che decide in prima istanza tutte le cause eccedenti gli scudi 200 fino a qualunque somma, sieno esse ordinarie, sommarie, esecutive, mere civili, o miste della città e contado fiorentino circoscritto dalle sette Potesterie minori di Campi, San Casciano, Fiesole, Galluzzo, Lastra, Bagno a Ripoli e Sesto.
    Inoltre le cause di merito inferiore alli scudi 200 sino alle lire 200 sono decise da un solo auditore, egualmente che alcune cause di merito incerto.In simile modo da un solo auditore si decidono in seconda istanza tutte le cause di
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    merito inferiore a lire 200 giudicate in prima istanza dai potestà minori e dai vicarii soggetti alla Ruota di Firenze, esclusi i vicariati di San Marcello e di Pescia. Lo stesso Magistrato Supremo Civile conosce delle cause concernenti la regalìa, il patrimonio della Corona, e il Fisco, ad eccezione di quelle di competenza degli auditori dei Governi di Siena e di Livorno.
    Fa parte del Magistrato Supremo civile con voto consultivo un auditore che ha il titolo di Provveditore amministrativo ed economico , perchè a lui è affidata la sopritendenza ai patrimonii dei pupilli, dei minori e degl' interdetti. Egli ha inoltre l'amministrazione economica della cancelleria del Consiglio Supremo di Giustizia, della Ruota civile, dello stesso Magistrato Supremo e del Tribunale di Commercio di Firenze.
    VI. Il Tribunale di Commercio è composto di un assessore legale e di due giudici mercanti estratti ogni anno dalla lista dei notabili. È di sua ingerenza la decisione delle cause commerciali dei negozianti domiciliati in Firenze e nel circondario delle sette potesterie minori. L' assessore legale inoltre adempie alle funzioni di giudice commissario in tutti i fallimenti, ed a quelle di presidente del corpo degli azionisti della Banca di sconto stabilita nella capitale.
    VII. Il Presidente del Buon governo tiene la direzione superiore della Polizia e del Buon governo per tutto il Granducato, e corrisponde perciò con tutti i Dipartimenti e Ministeri. Egli propone al Sovrano per il canale della I. e R. Consulta gl’impieghi provinciali di giudicatura. – Dipendono da lui i tre commissarii della città di Firenze e tutta la forza civile esecutiva dello Stato. Ha inoltre la facoltà di imporre delle pene economiche nei termini prescritti dalle leggi e dai regolamenti veglianti.
    VIII. I tre Commissariati della città di Firenze sono designati coi nomi di tre Quartieri; 1 S. Spirito alla sinistra dell'
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    Arno, 2 S. Croce, e 3 S. Maria Novella che abbracciano metà per ciascheduno il Quartiere intermedio di S. Giovanni alla destra dello stesso fiume. – Essi giudicano nel civile in prima istanza le cause di un merito non superiore alle lire 70, ed è per il loro organo che il Presidente del Buon governo fa eseguire gli ordini di polizia, e governativi.

    DIVISIONE GOVERNATIVA E GIUDIZIARIA
    PER LE CITTA’ DEL GRANDUCATO FUORI DELLA CAPIATALE

    Nell’ordine governativo e giudiziario il Granducato ha quattro Governi provinciali , i di cui capi, appellati Governatori, risiedono in Siena, in Livorno , in Pisa ,e in Portoferrajo . Ciascuno di essi ha un consultore con titolo di auditore del governo, il quale riunisce pel giudiziario le attribuzioni dei vicarii regii.
    I Governatori di Livorno e di Portoferrajo, oltre il presedere al civile, hanno anche il governo militare nella circoscrizione del loro territorio. Il Governatore di Livorno estende la sua giurisdizione militare e sanitaria a tutto il littorale toscano, mentre quello di Portoferrajo si limita alle Isole dell’Elba e di Pianosa.
    Tutti i quattro Governatori rappresentano l’autorità sovrana per l’osservanza delle leggi e per il buon regolamento della provincia assegnata loro. Inoltre sono superiori locali nelle materie di Buon governo e di polizia, soggetti però in questa parte alla direzione del Presidente di Buon governo.
    Sono finalmente nel Granducato cinque Commissarii regii, residenti in Grosseto, in Arezzo , a Volterra , a Pistoja ed in Pontremoli. Quello di Grosseto, ossia della Provincia inferiore di Siena , sopravvede all’economico in tutta l’estensione del Compartimento di tal nome. Il Commissario R. di Arezzo estende la sua giurisdizione, in quanto al criminale, in tutto il suo
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    vicariato, mentre in fatto di polizia e di Buon governo abbraccia i vicariati di Poppi, del Monte San Savino, di Castiglion Fiorentino, di Cortona, di San Sepolcro, di Anghiari, della Pieve S. Stefano e di Sestino.
    Il Commissario R. di Volterra, oltre il proprio vicariato, comprende quello di Colle. Il Commissario R. di Pistoja , oltre la giurisdizione criminale del suo distretto, abbraccia per la polizia quella del vicariato di S. Marcello. Finalmente il Commissario R. di Pontremoli , oltre la giurisdizione criminale del vicariato di Pontremoli, sopravvede per gli affari di Buon governo anco ai vicariati di Fivizzano e di bagnone, e per la criminale deve riferire a lui il potestà di Calice.
    I commissarii regii di Volterra e di Pontremoli alle attribuzioni di rappresentanza sovrana per l’osservanza delle leggi, e per il buon regolamento e polizia del territorio di sua giurisdizione, comuni a tutti i Commissarii regii, uniscono quelle dei vicarii locali nelle materie criminali per tutta l’estensione dell’antico loro vicariato. Essi sentenziano in prima istanza tutte le cause ordinarie, sommarie, esecutive, mere civili, miste e commerciali di dette città e loro territorio, purchè siano di un merito superiore alle lire 200. Nelle cause di un merito inferiore giudica in prima istanza il loro cancelliere civile. Per le sentenze date tanto dal cancelliere suddetto quanto dal potestà di Calice e dai Vicarii RR. Di Fivizzano e di Bagnone nelle cause di un merito inferiore alle lire 200 si ricorre al Commissario R. di Pontremoli; ma per quelle di maggior merito alla Ruota civile di Pisa.
    Il Commissario R. di Grosseto limita le sue ingerenze agli oggetti di polizia e di Buongoverno confidatigli con regolamento speciale.
    In quanto alla classazione giudiziaria per i Compartimenti di Pisa, di Siena e di Arezzo, in ognuna di queste suddette città risiede una Ruota Civile come nella capitale, mentre la
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    Ruota di Grosseto con il Motuproprio del 31 dicembre 1836 è stata soppressa, ed ivi stabilito un Tribunale collegiale di prima istanza civile e criminale. – Quest’ultimo giudica in prima istanza di tutte le cause civili che superano in merito certo il valore di lire 400, ed in seconda istanza proferisce sentenza nelle cause appellabili state decise dai tribunali inferiori del Commissariato R. di Grosseto. Compete al tribunale medesimo il conoscere e risolvere le domande d’interdizione. Nelle materie criminali è competente a decidere le cause relative a delitti ed a trasgressioni che si commettessero nel territorio della Provincia inferiore di Siena, e che dalle leggi ed osservanze esistenti si puniscono con pene più miti di quelle della detensione nella fortezza di Volterra, e per i delitti di furto con penali minori di quelle della reclusione a un tempo determinato.
    Con il motuproprio dei 31 dicembre 1836 i vicariati di Piombino e di Campiglia con le potesterie dipendenti da quest’ultimo (meno quella di Castagneto che fu aggiunta al vicariato di Rosignano), vennero staccati della ruota di Pisa, e aggregati al Tribunale di prima istanza di Grosseto, mentre per l’economico il Vicario di Campiglia dal Commissariato di Volterra è passato sotto quello di Grosseto.

    N° I PROSPETTO DEL CIRCONDARIO DELLA RUOTA CIVILE DI FIRENZE CON I SUOI TRIBUNALI SUBALTERNI DISPOSTI PER ORDINE ALFABETICO

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    Bagno, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Empoli, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Montelupo

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: FIRENZE, Magistrato Supremo, e Tribunal di Commercio
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Bagno a Ripoli, Campi, Fiesole, Galluzzo, Lastra a Signa, S.
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    Casciano, Sesto

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Firenzuola, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Fucecchio, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Cerreto Guidi, Castel Franco di sotto

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Marradi, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Palazzuolo

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Modigliana, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pescia, Vicar. di I classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Borgo Buggiano, Monte Carlo, Monsummano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: PISTOJA, Tribunale Collegiale
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Montale, Sambuca, Seravalle, Tizzana

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pontassieve, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Dicomano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Prato, Vicar. di I classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Carmignano, Mercatale di Vernio

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Radda, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Greve

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Rocca S. Casciano, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Galeata, Premilcore, Terra del Sole

    - Nome
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    del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    San Giovanni, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Castel Franco di sopra, Figline, Reggello, Terranova

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: San Marcello, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: San Miniato, Vicar. di I classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Castel Fiorentino, Montajone, Montespertoli

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Scarperia, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Barberino di Mugello, Borgo S. Lorenzo, Vicchio

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: VOLTERRA, Commissariato Regio
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Pomarance

    II° PROSPETTO DEL CIRCONDARIO DELLA RUOTA CIVILE DI PISA CON I SUOI TRIBUNALI SUBALTERNI DISPOSTI PER ORDINE ALFABETICO

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    Bagnone, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Barga, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Fivizzano, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Albiano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Lari, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Chianni, Piccioli

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: LIVORNO, Magistr. Civile e Consolare
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    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pietrasanta, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Seravezza

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: PISA, Tribunale di prima Istanza
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Bagni di S. Giuliano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pontedera, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Palaja

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    PONTREMOLI, Commissariato Regio
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Calice

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Portoferrajo, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Lungone, Marciana

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Rosignano, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Castagneto, Guardistallo

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Vico Pisano, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    III° PROSPETTO DEL CIRCONDARIO DELLA RUOTA CIVILE DI SIENA CON I SUOI TRIBUNALI SUBALTERNI DISPOSTI PER ORDINE ALFABETICO

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    Abbadia S. Salvadore, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Pian Castagnajo

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Asinalunga, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Asciano, Rapolano, Torrita

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Casole, Vicar.
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    di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Chiusdino, Montieri, Radicandoli

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Chiusi, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Cetona, Chianciano, Sartiano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Colle, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Barberino di Val d'Elsa, Poggibonsi, San Gimignano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Montalcino, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Buonconvento, Murlo di Vescovado

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Montepulciano, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pienza, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: San Quirico

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Radicofani, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: San Casciano de'Bagni

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: SIENA, Tribunale di prima Istanza
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Castelnuovo della Berardenga, Monticiano, Sovicille

    IV° PROSPETTO DEL CIRCONDARIO DELLA RUOTA CIVILE D'AREZZO CON I SUOI TRIBUNALI SUBALTERNI DISPOSTI PER ORDINE ALFABETICO

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    Anghiari, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Lippiano, Monterchi

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: AREZZO, Tribunale di prima Istanza
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Bucine,
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    Montevarchi, Sabbiano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Castiglionfiorentino, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Cortona, Vicar. di I classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Monte S. Savino, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Civitella, Fojano, Lucignano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pieve S. Stefano, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Poppi, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Bibbiena, Pratovecchio, Rassina, Strada

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Sansepolcro, Vicar. di II classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Sestino, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Badia Tedalda

    PROSPETTO DEL CIRCONDARIO DELLA RUOTA CIVILE E CRIMINALE DI GROSSETO CON I SUOI TRIBUNALI SUBALTERNI DISPOSTI PER ORDINE ALFABETICO

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi:
    Arcidosso, Vicar. di III classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Castel del Piano, Cinigiano, Monticello, Rocca Albegna, Santa Fiora

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Campiglia, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Monteverdi

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati
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    e Vicariati Regi:
    Castiglion della Pescaja, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Gavorrano, Giuncarico

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: GROSSETO, Comm. Regio, e Vic. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Campagnatico, Pari, Roccastrada

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Giglio, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Monticiano, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Massa Marittima, Vicar. di V classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Monterotondo, Prata

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Orbetello, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Porto San Stefano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Piombino, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: senza Potesterie

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Pitigliano, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Sorano

    - Nome del Capoluogo dei Tribunali Collegiali, Commissariati e Vicariati Regi: Scanzano, Vicar. di IV classe
    Nome dei Capoluoghi delle Potesterie dipendenti: Montiano

    DIVISIONE MILITARE DEL GRANDUCATO

    Il Dipartimento della Guerra è sotto la direzione di un Consigliere I. e R. Segretario di Stato. Il comando generale delle truppe di linea è affidato a un Generale maggiore; la R. Guardia del Corpo e quella R. Palatina ricevono gli ordini dal Principe regnante,
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    o direttamente o per il mezzo del Maggior domo maggiore.
    Vi sono due Governatori militari, a Livorno e all’Isola dell’Elba. Quello di Livorno ha il comando della stessa città, suo porto e distretto con tutto il littorale toscano, comprese le isole del Giglio e di Gorgona. Il Governatore dell’Isola dell’Elba ha il comando militare della detta Isola e di quella di Pianosa e loro dipendenze.
    I corpi di truppe del Granducato consistono in due Reggimenti di Fanteria, in un Battaglione di Granatieri, uno di RR. Cacciatori a cavallo, un corpo d’Invalidi, Veterani, e uno di Artiglieri; in tre Battaglioni di Cacciatori volontarii di Costa, e in quattro compagnie di Cannonieri guardacoste sedentarii dell’Elba.

    DIVISIONE ECONOMICA E SUPERFICIE TERRITORIALE DEL GRANDUCATO IN TERRAFERMA

    La Toscana granducale restò prima di tutto divisa in tre provincie, Fiorentina, Pisana, e Senese; quindi con la legge del 18 marzo 1766 fu suddivisa la Senese in superirore ed inferiore ; finalmente col motuproprio del 1 novembre 1825 venne ripartita in cinque Compartimenti.
    Sino dal 22 giugno del 1769 con Sovrano motuproprio fu creato il dipartimento della Camera delle Comunità sostituita all’antico magistrato dei Nove Conservatori del dominio fiorentino, a quello dei Capitani di Parte, e agli Ufiziali dei Fiumi. Dopo la restaurazione il sovrano motuproprio de’ 27 giugno 1814 destinò quattro Soprintendenze comunitative, tante quante erano le Camere o Compartimenti territoriali del Granducato. Le quali Camere erano presedute dai respettivi Provveditori sotto l’ispezione di un Soprassindaco per governare l’economico delle Comunità, Luoghi pii, Acque e Strade.
    Con la legge del 1 novembre 1825 alle quattro Camere di Soprintendenza comunitativa, che esistevano a Firenze, Pisa, Siena e Grosseto, ne fu aggiunta una quinta da risedere in Arezzo. Nel tempo stesso venne soppressa la carica di Soprassindaco insieme coll’ufizio che ne dipendeva, affidando ai Provveditori delle Camere dei respettivi Compartimenti le incumbenze del Soprassindaco.
    In conseguenza di
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    tali sovrane disposizioni i Provveditori delle 5 Camere di Soprintendenza comunitativa con immediata dipendenza dalle II. e RR. Segreterie dirigono esclusivamente gli affari economici delle Comunità e Luoghi pii comunitativi, soprintendono alle deputazioni dei fiumi, sorvegliano all’esazione della tassa di famiglia, ed alla collazione dei fondi necessarii al mantenimento delle strade provinciali; e per la parte economica ai lavori di strade regie, dei ponti e strade provinciali, comprese dentro i limiti del circondario del loro Compartimento respettivo.
    Ciascuno de’ 5 Provveditori esercita la sua giurisdizione in tutti gli affari beneficiali di giuspadronato delle comunità del suo Compartimento, dei popoli e luoghi pii laicali. È di sua attribuzione l’esame ed approvazione, previa l’impetrata facoltà, de’ contratti livellarii e di tutti gli altri istrumenti che si celebrano dai rappresentanti le comunità, luoghi pii, e monti del Presto, o di Pietà.
    Di speciale competenza della Camera del Compartimento di Firenze è la sorveglianza all’Azienda del monte dei Presti della capitale, e l’amministrazione economica dei Bagni di Monte Catini, mentre la direzione dei lavori spetta al dipartimento del Corpo degl’Ingegneri.
    Così la Camera di Pisa alle attribuzioni generali di tutte le altre Camere unisce la soprintendenza generale all’amministrazione dei Bagni de’ forzati, e amministra gl’interessi delle masse de’ contribuenti alle spese dell’Arno e Serchio. Inoltre il Provveditore della Camera medesima presiede la deputazione generale amministrativa de’ fiumi, fossi e canali della provincia pisana.
    È poi di speciale attribuzione della Camera di Siena la soprintendenza ai benefizii di data del Sovrano, il presedere all’amministrazione di quell’I. e R. Università, ed alla deputazione economica del nobil collegio Tolomei.
    Il Granducato di Toscana conta attualmente 242 comunità in Terraferma e 5 nelle Isole. Al loro servizio provvede una rappresentanza civile di notabili (i priori ) preseduta dal gonfaloniere, e amministrata dal cancelliere comunitativo, l’uno e l’altro di nomina sovrana.
    I cancellieri comunitativi per natura del loro impiego sono i consultori legali delle comunità e degli stabilimenti comunitativi, i custodi degli
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    archivii municipali, ed i ministri regii del Catasto.
    Sono essi sotto l'immediata ispezione e sorveglianza del respettivo Provveditore della Camera di soprintendenza comunitativa e corrispondono con l' ufizio della Conservazione del Catasto per tutti gli affari a quest'ultimo relativi.
    Le cancellerie comunitative del Granducato sono 77, divise in cinque classi, in guisa che una cancelleria comprende nella sua giurisdizione una, due, e talvolta anche quattro e cinque comunità in proporzione della importanza degli affari e della vastità del territorio.
    Il Compartimento di Firenze conta sette città, compresa la capitale, cioè, Firenze, Fiesole, Pescia, Pistoja, Prato, Sanminiato e Volterra. Esso abbraccia novanta Comunità sotto 28 Cancellerie.
    Rapporto alle comunità dipendenti da una stessa cancelleria, vedasi il Quadro delle Comunità all'articolo di ciascun capoluogo di Compartimento.
    Il Compartimento fiorentino ha una superfice di 1,876,645 quadrati agrarii, corrispondenti a miglia toscane 2336-; delle quali miglia 84 e 1/2, pari a quadr. 67,814, sono occupate da corsi d' acqua e da pubbliche strade. Sulla stessa superfice territoriale nell' anno 1836 esisteva una popolazione fissa di 671,857 abitanti.
    Cosicchè presa la media proporzionale, e concedendo alla parte transappenninica ciò che si detrae dalla popolosissima valle dell' Arno sopra e sotto a Firenze, verrebbero a ripartirsi nel Compartimento fiorentino circa 288 individui per ogni miglio quadrato. – Vedere La tavoletta prima qui appresso a pagina 495 ( RICAPITOLAZIONE della Popolazione e della superficie territoriale del GRANDUCATO in Terraferma nell’anno 1833 ), e ROMAGNA GRANDUCALE.
    2. Il Compartimento di Pisa, oltre il capoluogo di Pisa comprende tre altre città, Livorno, Pontremoli e Portoferrajo. – Innanzi le riforme compartimentali del 1834 e 1837, esso contava 56 comunità, tre delle quali, cioè, Piombino, Campiglia e Suvereto, furono date nel 1834 al Compartimento di Grosseto, cui inoltre sono state aggregate nel 1837 due altre comunità, cioè, Monte Verdi e
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    Sasseta.
    Quindi, se si contemplano le ultime dell' anno 1837, il Compartimento medesimo si troverà ridotto a 51 comunità sotto 14 cancellerie. Delle quali comunità 30 sono nel Territorio unito, altre 4 nell' Isola dell'Elba, e 15 situate nel Territorio disunito della Versilia, della Lunigiana e della Garfagnana granducale.
    Le 52 comunità del Compartimento pisano di Terraferma, innanzi le ultime riforme, abbracciavano una superfice di 987,587 quadrati, pari a 1229 migl. toscane; dei quali quadrati 47,530, ossiano miglia 59, spettano a corsi d' acqua e strade. Vi stanziava nell' anno 1833 una popolazione di 307,416 abit. corrispondenti in proporzione ripartita a 250 individui per ogni miglio quadrato.
    Non si conosce esattamente la dimensione territoriale dell' Isola dell' Elba, dove nel 1833 abitavano 16,422 individui ripartiti in quattro comunità dello stesso Compartimento pisano, cioè, Portoferrajo, Longone, Marciana e Rio. Cosicchè nel totale la popolazione delle 56 comunità del Compartimento di Pisa nel 1833 ammontava a 323,838 abitanti.
    3. Il Compartimento di Siena, di cui è capitale la stessa città, abbraccia trentaquattro comunità, fra le quali vi sono quattro città, cioè Siena, Colle, Montalcino e Pienza, ed ha 10 Cancellerie comunitative. – Occupa nel totale una superficie di 1,006,358 quadrati, equivalenti a 1253 e 1/4 miglia toscane quadr.; delle quali quasi miglia toscane 39, ossiano quadrati 31,208 sono per corsi di acqua e per pubbliche vie. – Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 134,320 abitanti; che ripartitamente corrispondono a 107 e 1/4 individui per ogni miglio quadrato.
    4. Il Compartimento di Arezzo , di cui è capolugo la città medesima, comprende 49 comunità con le cinque città di Arezzo, di Chiusi, di Cortona, di Montepulciano e di Sansepolcro , il tutto amministrato da 17 cancellieri comunitativi.
    Esso occupa una superfice territoriale di 1,141,744 quadrati, corrispondenti presso a poco a migl. 1422 toscane; delle quali miglia toscane
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    41 e 1/2 circa, pari a 33,260 quadrati sono prese da corsi di acqua e da strade. – Nel 1833 vivevano costà 221,929 abitanti, corrispondenti in proporzione media a 156 individui per ogni miglio toscano quadrato.
    5. Il Compartimento di Grosseto, di cui questa città è capoluogo, contemplato a tutto il 1833 contava 18 comunità, una delle quali costituisce l'Isola del Giglio. Comprendeva allora quattro città, cioè, Grosseto, Massa Marittima, Orbetello, e Sovana , ed occupava in Terraferma una superficie territoriale di 1,372,711 quadrati agrarii, equivalenti a miglia toscane 1709 e 1/2; dei quali quadr. 30,574 (pari a miglia toscane 38) trovansi coperti da corsi d' acqua e strade. Vi stanziava nel 1833 una popolazione di 59,926 abitanti, dei quali 1502 individui spettano all' Isola del Giglio. Dondechè esistevano in Terraferma 58,424 persone, equivalenti a circa 33 individui per ogni miglio quadrato. Però al principio del 1837 il Compartimento di Grosseto era aumentato sino a 23 comunità, distribuite in 8 Cancellerie. – Vedere La tavoletta seconda della pagina 495 qui appresso ( RICAPITOLAZIONE della Popolazione e della superficie territoriale del GRANDUCATO in Terraferma nell’anno 1836 secondo le ultime Riforme ).

    MOVIMENTO della Popolazione del COMPARTIMENTO DI FIRENZE dall’anno 1818 al 1836 inclusive.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 538,475
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 9,832; femmine n° 9,335; totale n° 19,167
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,441; femmine n° 8,384; totale n° 16,825
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4846
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1378
    CENTENARJ: n° 5
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 542,215
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 11,362; femmine n° 10,782; totale n° 22,144
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,087; femmine n° 7,975; totale n° 16,062
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 6093
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1479
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 548,194
    NUMERO DEI NATI: maschi
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    n° 11,460; femmine n° 10,927; totale n° 22,387
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,243; femmine n° 8,150; totale n° 16,393
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5849
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1416
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 555,895
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,180; femmine n° 11,480; totale n° 23,660
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,511; femmine n° 8,243; totale n° 16,754
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5335
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1290
    CENTENARJ: n° 5
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 560,376
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,913; femmine n° 12,007; totale n° 24,920
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,121; femmine n° 8,981; totale n° 18,102
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5304
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1395
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 568,385
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,673; femmine n° 12,033; totale n° 24,706
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 7,589; femmine n° 7,300; totale n° 14,889
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5119
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1328
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 577,704
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,891; femmine n° 12,199; totale n° 25,090
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,335; femmine n° 8,049; totale n° 16,384
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5314
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1291
    CENTENARJ: n° 7
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 585,821
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,576; femmine n° 12,847; totale n° 26,423
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,562; femmine n° 8,309; totale n° 16,871
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5553
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1254
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 596,258
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,647; femmine n° 12,997; totale n° 26,644
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,733; femmine n° 8,571; totale n° 17,304
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 5093
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI
  •    pag. 349 di 477
    GENITORI: n° 1281
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 605,313
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,574; femmine n° 12,878; totale n° 26,452
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,167; femmine n° 8,225; totale n° 16,392
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4622
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1188
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 614,614
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,794; femmine n° 12,920; totale n° 26,714
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,622; femmine n° 8,427; totale n° 17,049
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4647
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1282
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 625,104
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,452; femmine n° 12,671; totale n° 26,123
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,160; femmine n° 9,033; totale n° 18,193
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4164
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1153
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 631,648
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,848; femmine n° 12,542; totale n° 25,390
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,041; femmine n° 8,613; totale n° 17,654
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4262
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1145
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 640,025
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,209; femmine n° 12,964; totale n° 26,173
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,440; femmine n° 9,099; totale n° 18,539
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4256
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1287
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 647,229
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,971; femmine n° 12,583; totale n° 25,554
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,093; femmine n° 9,071; totale n° 18,164
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4343
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1283
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 653,328
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,157; femmine n° 11,828; totale n° 23,985
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 11,060; femmine
  •    pag. 350 di 477
    n° 11,110; totale n° 22,170
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4082
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1250
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 656,464
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 13,331; femmine n° 12,805; totale n° 26,136
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,854; femmine n° 9,917; totale n° 19,771
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4668
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1325
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 664,682
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,691; femmine n° 12,527; totale n° 25,218
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 9,826; femmine n° 9,511; totale n° 18,797
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4638
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1326
    CENTENARJ: n° 5
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 671,857
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 12,794; femmine n° 12,476; totale n° 25,270
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 8,638; femmine n° 8,406; totale n° 17,044
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 4721
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 1303
    CENTENARJ: n° 2

    MOVIMENTO della Popolazione del COMPARTIMENTO DI PISA dal 1818 sino al 1836 inclusive prima delle ultime Riforme territoriali.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 258,184
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4801; femmine n° 4446; totale n° 9,247
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3813; femmine n° 3717; totale n° 7530
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2139
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 495
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 263,059
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 5468; femmine n° 5231; totale n° 10,699
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3729; femmine n° 3531; totale n° 7260
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2657
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 602
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 267,097
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 5523; femmine n° 5299; totale n° 10,822
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3748; femmine n° 3555; totale n° 7303
    NUMERO DEI MATRIMONJ:
  •    pag. 351 di 477
    n° 2838
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 545
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 271,770
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 5901; femmine n° 5561; totale n° 11,462
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3670; femmine n° 3492; totale n° 7162
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2475
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 479
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 276,363
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6038; femmine n° 5577; totale n° 11,615
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3471; femmine n° 3470; totale n° 6941
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2443
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 484
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 280,821
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6066; femmine n° 5509; totale n° 11,575
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3409; femmine n° 3099; totale n° 6508
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2137
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 461
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 286,356
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 5990; femmine n° 5758; totale n° 11,748
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3674; femmine n° 3437; totale n° 7111
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2422
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 524
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 291,595
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6132; femmine n° 5758; totale n° 11,890
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3956; femmine n° 4032; totale n° 7988
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2270
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 467
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 295,800
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6123; femmine n° 5864; totale n° 11,987
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3992; femmine n° 3995; totale n° 7987
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2232
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 435
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 299,958
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6156; femmine n° 5692; totale n° 11,848
  •    pag. 352 di 477
    /> NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3760; femmine n° 3801; totale n° 7561
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2323
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 382
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 303,632
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6264; femmine n° 5704; totale n° 11,968
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3745; femmine n° 3606; totale n° 7351
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2177
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 406
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 309,319
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6010; femmine n° 5618; totale n° 11,628
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4307; femmine n° 4234; totale n° 8541
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2008
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 394
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 312,245
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6045; femmine n° 5785; totale n° 11,830
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4459; femmine n° 4282; totale n° 8741
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2178
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 389
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 316,042
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6142; femmine n° 6005; totale n° 12,147
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4489; femmine n° 4385; totale n° 8874
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2148
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 406
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 319,819
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6022; femmine n° 5704; totale n° 11,726
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4077; femmine n° 3890; totale n° 7967
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2272
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 403
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 323,838
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6010; femmine n° 5786; totale n° 11,796
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4454; femmine n° 4282; totale n° 8736
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2289
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 365
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1834
  •    pag. 353 di 477
    /> POPOLAZIONE: n° 321,043
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6305; femmine n° 5998; totale n° 12,303
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 4270; femmine n° 4043; totale n° 8313
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2498
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 376
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 326,569
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6230; femmine n° 5918; totale n° 12,148
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 5305; femmine n° 5179; totale n° 10484
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2240
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 407
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 329,482
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 6272; femmine n° 5976; totale n° 12,248
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3920; femmine n° 3752; totale n° 7672
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2510
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 315
    CENTENARJ: n° 1

    MOVIMENTO della Popolazione del COMPARTIMENTO DI SIENA dal 1818 sino al 1836 inclusive.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 116,231
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2567; femmine n° 2354; totale n° 4921
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2202; femmine n° 2126; totale n° 4328
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1047
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 320
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 117,727
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2726; femmine n° 2451; totale n° 5177
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2054; femmine n° 1970; totale n° 4024
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1304
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 373
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 119,638
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2751; femmine n° 2577; totale n° 5328
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1963; femmine n° 1931; totale n° 3894
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1151
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 361
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 120,716
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2810; femmine n° 2573;
  •    pag. 354 di 477
    totale n° 5383
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2436; femmine n° 2216; totale n° 4652
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1112
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 370
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 121,419
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2791; femmine n° 2652; totale n° 5443
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2131; femmine n° 2072; totale n° 4203
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1114
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 341
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 121,974
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2760; femmine n° 2747; totale n° 5507
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1835; femmine n° 1766; totale n° 3601
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1089
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 334
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 123,530
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 3040; femmine n° 2736; totale n° 5776
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1948; femmine n° 1838; totale n° 3786
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1052
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 332
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 125,461
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2815; femmine n° 2676; totale n° 5491
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1843; femmine n° 1757; totale n° 3600
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1222
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 289
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 128,123
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2943; femmine n° 2794; totale n° 5737
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2105; femmine n° 2108; totale n° 4213
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1077
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 306
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 129,474
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2897; femmine n° 2725; totale n° 5622
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1828; femmine n° 1676; totale n° 3504
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 977
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 279
    CENTENARJ: n°
  •    pag. 355 di 477
    3
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 131,066
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 3093; femmine n° 2853; totale n° 5946
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1892; femmine n° 1878; totale n° 3770
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 936
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 339
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 132,576
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2924; femmine n° 2733; totale n° 5657
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2305; femmine n° 2268; totale n° 4573
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 870
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 374
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 133,045
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2805; femmine n° 2607; totale n° 5412
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2350; femmine n° 2146; totale n° 4496
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 985
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 359
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 133,888
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 3027; femmine n° 2872; totale n° 5899
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2537; femmine n° 2491; totale n° 5028
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1064
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 475
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 134,127
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2742; femmine n° 2680; totale n° 5422
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2165; femmine n° 2071; totale n° 4236
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1033
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 344
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 134,320
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2928; femmine n° 2625; totale n° 5553
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2282; femmine n° 2189; totale n° 4471
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1019
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 410
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 135,529
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2973; femmine n° 2806; totale n° 5779
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1961; femmine n° 1920; totale n° 3881
  •    pag. 356 di 477
    /> NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1103
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 419
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 137,572
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2950; femmine n° 2757; totale n° 5707
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2090; femmine n° 1925; totale n° 4015
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1089
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 419
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 139,651
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 2948; femmine n° 2770; totale n° 5718
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1869; femmine n° 1797; totale n° 3666
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1103
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 375
    CENTENARJ: n° 4

    MOVIMENTO della Popolazione del COMPARTIMENTO DI AREZZO dal’anno 1818 sino al 1836 inclusive.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 183,499
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 3466; femmine n° 3244; totale n° 6710
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3102; femmine n° 2894; totale n° 5996
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1927
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 324
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 187,631
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 3990; femmine n° 3836; totale n° 7826
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2791; femmine n° 2754; totale n° 5545
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2014
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 451
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 188,733
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4010; femmine n° 3800; totale n° 7810
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2747; femmine n° 2572; totale n° 5319
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 2122
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 502
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 191,395
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4086; femmine n° 3971; totale n° 8057
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2959; femmine n° 2842; totale n° 5801
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1636
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n°
  •    pag. 357 di 477
    418
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 194,390
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4264; femmine n° 3924; totale n° 8188
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2978; femmine n° 2902; totale n° 5880
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1789
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 383
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 195,694
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4290; femmine n° 4043; totale n° 8333
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2858; femmine n° 2871; totale n° 5729
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1652
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 365
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 198,142
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4396; femmine n° 4190; totale n° 8586
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2864; femmine n° 2712; totale n° 5576
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1798
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 409
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 200,720
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4521; femmine n° 4317; totale n° 8838
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2789; femmine n° 2553; totale n° 5342
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1749
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 376
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 203,292
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4557; femmine n° 4275; totale n° 8832
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3010; femmine n° 2778; totale n° 5788
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1748
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 352
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 206,975
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4502; femmine n° 4140; totale n° 8642
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2484; femmine n° 2402; totale n° 4886
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1481
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 293
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 210,713
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4364; femmine n° 4242; totale n° 8606
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2969; femmine n° 2937;
  •    pag. 358 di 477
    totale n° 5906
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1423
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 274
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 213,062
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4247; femmine n° 4006; totale n° 8253
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3414; femmine n° 3234; totale n° 6648
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1215
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 338
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 214,405
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4244; femmine n° 3964; totale n° 8208
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3173; femmine n° 3054; totale n° 6227
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1444
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 280
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 217,614
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4530; femmine n° 4112; totale n° 8642
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3449; femmine n° 3248; totale n° 6697
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1628
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 311
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 219,328
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4398; femmine n° 4080; totale n° 8478
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3001; femmine n° 2803; totale n° 5804
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1590
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 309
    CENTENARJ: n° 5
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 221,929
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4205; femmine n° 4062; totale n° 8267
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2879; femmine n° 2798; totale n° 5677
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1531
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 300
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 223,535
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4466; femmine n° 4261; totale n° 8727
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3503; femmine n° 3271; totale n° 6774
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1779
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 319
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 226,618
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4230;
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    femmine n° 4314; totale n° 8544
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 3109; femmine n° 3223; totale n° 6332
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1414
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 323
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 228,416
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 4357; femmine n° 4147; totale n° 8504
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 2667; femmine n° 2661; totale n° 5328
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 1531
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 302
    CENTENARJ: n° 2

    MOVIMENTO della Popolazione del COMPARTIMENTO DI GROSSETO dal’anno 1818 sino al 1836 inclusive non valutata le ultime Riforme territoriali.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 46,897
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1232; femmine n° 1171; totale n° 2403
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1125; femmine n° 1004; totale n° 2129
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 651
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 102
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 48,870
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1177; femmine n° 1083; totale n° 2260
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1007; femmine n° 864; totale n° 1871
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 642
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 136
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 48,680
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1233; femmine n° 1040; totale n° 2273
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1042; femmine n° 849; totale n° 1891
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 548
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 96
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 49,851
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1202; femmine n° 1140; totale n° 2342
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1020; femmine n° 849; totale n° 1869
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 538
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 94
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 50,057
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1213; femmine n° 1203; totale n° 2416
    NUMERO
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    DEI MORTI: maschi n° 956; femmine n° 888; totale n° 1844
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 537
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 123
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE: n° 50,007
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1284; femmine n° 1102; totale n° 2386
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 886; femmine n° 727; totale n° 1613
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 561
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 100
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 52,006
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1295; femmine n° 1191; totale n° 2486
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 995; femmine n° 842; totale n° 1837
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 571
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 107
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 52,553
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1349; femmine n° 1278; totale n° 2627
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 856; femmine n° 683; totale n° 1539
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 638
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 106
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 53,736
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1329; femmine n° 1282; totale n° 2611
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 953; femmine n° 911; totale n° 1864
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 517
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 100
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 54,135
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1305; femmine n° 1212; totale n° 2517
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1041; femmine n° 873; totale n° 1914
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 495
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 79
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 55,416
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1329; femmine n° 1255; totale n° 2584
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1000; femmine n° 907; totale n° 1907
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 476
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 111
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE:
  •    pag. 361 di 477
    n° 56,277
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1312; femmine n° 1176; totale n° 2488
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1080; femmine n° 1000; totale n° 2080
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 512
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 92
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 57,409
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1275; femmine n° 1213; totale n° 2488
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1332; femmine n° 1145; totale n° 2477
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 543
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 90
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 58,136
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1422; femmine n° 1264; totale n° 2686
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1250; femmine n° 1094; totale n° 2344
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 607
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 97
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 58,292
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1276; femmine n° 1160; totale n° 2436
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 971; femmine n° 923; totale n° 1894
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 527
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 87
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 59,926
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1345; femmine n° 1309; totale n° 2654
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1141; femmine n° 914; totale n° 2055
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 558
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 85
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 64,765
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1417; femmine n° 1314; totale n° 2731
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1339; femmine n° 1167; totale n° 2506
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 711
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 118
    CENTENARJ: n° -
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 66,486
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1638; femmine n° 1524; totale n° 3162
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 964; femmine n° 897; totale n° 1861
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n°
  •    pag. 362 di 477
    606
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 142
    CENTENARJ: n° 1
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 67,379
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1491; femmine n° 1422; totale n° 2913
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1051; femmine n° 922; totale n° 1973
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 702
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 118
    CENTENARJ: n° 1

    MOVIMENTO della Popolazione del GRANDUCATO dal 1818 sino al 1836 inclusive.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE: n° 1,143,286
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 21,898; femmine n° 20,550; totale n° 42,448
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,683; femmine n° 18,125; totale n° 36,808
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,582
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2529
    CENTENARJ: n° 12
    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE: n° 1,159,502
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 24,723; femmine n° 23,383; totale n° 48,106
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 17,668; femmine n° 17,094; totale n° 34,762
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,720
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 3041
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE: n° 1,172,342
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 24,977; femmine n° 23,643; totale n° 48,620
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 17,743; femmine n° 17,057; totale n° 34,800
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,553
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2920
    CENTENARJ: n° 10
    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE: n° 1,189,627
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 26,179; femmine n° 24,725; totale n° 50,904
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,596; femmine n° 17,642; totale n° 36,238
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,113
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2651
    CENTENARJ: n° 9
    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE: n° 1,202,605
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,219; femmine n° 25,363; totale n° 52,582
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,657; femmine n° 18,313; totale n° 36,970
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,187
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2726
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE:
  •    pag. 363 di 477
    n° 1,216,881
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,073; femmine n° 25,434; totale n° 52,507
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 16,577; femmine n° 15,763; totale n° 32,340
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,558
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2588
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE: n° 1,237,738
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,612; femmine n° 26,074; totale n° 53,686
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 17,816; femmine n° 16,878; totale n° 34,694
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,157
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2663
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE: n° 1,256,150
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,393; femmine n° 26,876; totale n° 55,269
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,006; femmine n° 17,334; totale n° 35,340
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,432
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2492
    CENTENARJ: n° 7
    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE: n° 1,277,209
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,599; femmine n° 26,212; totale n° 55,811
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,793; femmine n° 18,363; totale n° 37,156
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,667
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2474
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE: n° 1,295,855
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,434; femmine n° 26,647; totale n° 55,081
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 17,280; femmine n° 16,977; totale n° 34,257
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,898
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2219
    CENTENARJ: n° 13
    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE: n° 1,315,441
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,844; femmine n° 26,974; totale n° 55,818
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,228; femmine n° 17,755; totale n° 35,983
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,659
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2412
    CENTENARJ: n° 3
    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE: n° 1,336,338
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,945; femmine n° 26,204; totale n° 54,149
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,266; femmine n° 19,769; totale n° 40,035
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n°
  •    pag. 364 di 477
    8,769
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2351
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE: n° 1,348,752
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,217; femmine n° 26,111; totale n° 53,328
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,355; femmine n° 19,240; totale n° 39,595
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,412
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2263
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE: n° 1,365,705
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,330; femmine n° 27,217; totale n° 55,547
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 21,165; femmine n° 20,317; totale n° 41,482
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,703
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2576
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE: n° 1,378,795
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,409; femmine n° 26,207; totale n° 53,613
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 19,307; femmine n° 18,758; totale n° 38,065
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,765
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2426
    CENTENARJ: n° 14
    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE: n° 1,393,341
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 26,645; femmine n° 25,610; totale n° 52,255
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 21,816; femmine n° 21,293; totale n° 43,109
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,479
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2410
    CENTENARJ: n° 2
    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE: n° 1,401,336
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,492; femmine n° 27,184; totale n° 55,676
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,927; femmine n° 20,318; totale n° 41,245
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,759
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2557
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE: n° 1,421,927
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,739; femmine n° 27,040; totale n° 54,779
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,754; femmine n° 20,735; totale n° 41,489
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,987
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2617
    CENTENARJ: n° 10
    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE: n° 1,436,785
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,862; femmine n° 26,791; totale n° 54,653
    NUMERO
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    DEI MORTI: maschi n° 18,145; femmine n° 17,538; totale n° 35,683
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,567
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2413
    CENTENARJ: n° 10

    RICAPITOLAZIONE della Popolazione e della superficie territoriale del GRANDUCATO in Terraferma nell’anno 1833.

    1
    ° Compartimento del Granducato: Compartimento di FIRENZE
    numero deli abitanti: 653,328
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,876,645
    superficie territoriale in miglia toscane: 2336 e 7/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 279 e 1/2
    2 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di PISA
    numero deli abitanti: 307,416
    superficie territoriale in quadrati agrari: 987,587
    superficie territoriale in miglia toscane: 1229 e 7/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 250
    3 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di SIENA
    numero deli abitanti: 134,320
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,006,358
    superficie territoriale in miglia toscane: 1253 e 2/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 107 e 1/4
    4 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di AREZZO
    numero deli abitanti: 221,929
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,141,744
    superficie territoriale in miglia toscane: 1421 e 7/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 156
    5 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di GROSSETO
    numero deli abitanti: 58,424
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,372,711
    superficie territoriale in miglia toscane: 1709 e 4/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 33 e 1/3

    Totale della Terraferma del Granducato, Abitanti n ° 1,375,417
    superficie
  •    pag. 366 di 477
    territoriale in quadrati agrari:
    6,385,045
    superficie territoriale in miglia toscane: 7951 e 3/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 174

    ISOLA DELL’ELBA
    numero deli abitanti: 16,422
    ISOLA DEL GIGLIO
    numero deli abitanti: 1,502

    TOTALE Abitanti n ° 1,393,314

    RICAPITOLAZIONE della Popolazione e della superficie territoriale del GRANDUCATO in Terraferma nell’anno 1836 secondo le ultime Riforme.

    1
    ° Compartimento del Granducato: Compartimento di FIRENZE
    numero deli abitanti: 671,857
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,876,645
    superficie territoriale in miglia toscane: 2336 e 7/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 288 e 2/3
    2 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di PISA
    numero deli abitanti: 306,338
    superficie territoriale in quadrati agrari: 840,193
    superficie territoriale in miglia toscane: 1045
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 293
    3 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di SIENA
    numero deli abitanti: 139,651
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,006,358
    superficie territoriale in miglia toscane: 1253 e 2/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 111
    4 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di AREZZO
    numero deli abitanti: 228,416
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,141,744
    superficie territoriale in miglia toscane: 1421 e 7/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 160 e 2/3
    5 ° Compartimento del Granducato: Compartimento di GROSSETO
    numero deli abitanti: 71,894
    superficie territoriale in quadrati agrari: 1,520,105
    superficie territoriale in miglia toscane:
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    1893 e 3/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 36 e 2/3

    Totale della Terraferma del Granducato, Abitanti n ° 1,418,156
    superficie territoriale in quadrati agrari: 6,385,045
    superficie territoriale in miglia toscane: 7951 e 3/8
    proporzione media degli Abitanti per ogni miglio quadrato: 180 2/3

    ISOLA DELL’ELBA
    numero deli abitanti: 17,099
    ISOLA DEL GIGLIO
    numero deli abitanti: 1,530

    TOTALE Abitanti n ° 1,436,785

    DIPARTIMENTO DEL CATASTO

    La prima istituzione del Catasto in Firenze rimonta all’anno 1288, sebbene un estimo daziale fosse stato proposto fino dal 1266 sotto il governo del conte Guido Novello vicario regio in Toscana per il re Manfredi di Sicilia; ma quell’estimo non ebbe effetto, e invece fu una delle cause motrici dell’espulsione del vicario ghibellino e del suo partito dalla città e dominio fiorentino. – Dal 1288, variando sempre metodo per difetto di giusta ripartizione delle gravezze, si arrivò al 1427, anno in cui i Giovanni di Averardo de’Medici propose alla Signoria la riformagione del 27 maggio, mercè cui fu stabilito il Catasto, sopra del quale precipuamente d’allora in poi furono regolate le gravezze dei cittadini arruolati, distribuiti, e accatastati nei libri detti della Decima dei quattro Quartieri della città, ciascuno dei quali Quartieri era suddiviso in altrettanti gonfaloni .
    Per altro non sempre uniforme resultava la quota che assegnavasi agli accatastati , mentre se la riformagione del 27 maggio 1427 determinò la gravezza imponibile sulla decima parte del frutto netto degli stabili, a ragione del 5 per cento, con provvedimenti posteriori la rendita fondiaria venne computata, dirò quasi a scaletta, cioè, a proporzione delle entrate del contribuente. Dondechè coloro che avevano soli cento fiorini di rendita netta da ogni aggravio pagavano di decima il
  •    pag. 368 di 477
    3 per cento, quelli che arrivavano a 200 fiorini di rendita pagavano il tre e mezzo per cento, il 4 per cento chi ne aveva 500 di rendita libera, e così gradatamente aumentava la decima fino alla rendita di mille o più fiorini, che pagava il 5 per cento di censimento.
    Non ostante siffatto provvedimento, col quale ripartivansi le pubbliche gravezze in proporzione delle forze di coloro che dovevano sopportarle, vi restarono sempre due difetti radicali. Il primo era quello che derivò dall’includere nelle liste catastali i beni di tutti e le sostanze dei cittadini, quantunque fossero situate fuori del territorio fiorentino, e conseguentemente sottoposte alle leggi e imposizioni dei governi esteri. L’altro vizio derivò dal comprendere nella distribuzione delle gravezze l’industria personale. Tali difetti continuarono a tenersi in vigore sino a che, nel 1494, la Rep. fiorentina ordinò la formazione di un nuovo censimento che intitolossi Decima per i fondi urbani, Estimo per quelli del contado; e tenendo fermo il principio già stato adottato del censimento sopra la decima parte delle rendite per i beni stabili compresi nel dominio fiorentino, vennero escluse le proprietà che i cittadini possedevano nei territorii esteri, togliendo dal catasto le tasse dell’industria, del traffico e di ogni altra sorte di frutto che non rinasce.
    In tutte le riforme anteriori e posteriori alla legge del 1494 si adottò il principio di rilevare la Decima , o dalla rendita degli stabili, o dalla stima che resultava dall’istrumento di compra, dai libri degli Estimi delle comunità, nei quali trovavansi iscritti i beni fondi, o dalla perizia che si ordinava agli stimatori delle Leghe del contado , e nei casi di controversia, dalla stima di altri periti giudicialmente deputati.
    Prima della riformagione del 1534, confermata nel 1570, e convertita in legge per tutto il Granducato, non vi era differenza tra il modo d’imporre la Decima agli stabili della
  •    pag. 369 di 477
    città e contado fiorentino , e a quelli del suo distretto .
    Avvegnachè sino all’epoca testè accennata fu introdotta la consuetudine di rilevare la decima catastale sulla valuta degli stabili a ragione di denari uno e mezzo per ogni fiorino d’oro, corrispondente a lire 41 e soldi 3 per ogni mille fiorini d’oro di capitale; vale a dire, che fu calcolato a ragione del sei per cento il frutto di quel capitale, di cui era gravata la Decima pei terreni e case del distretto fiorentino .
    Tanto più onerosa riesciva poi una tal prediale, in quanto che gli stabili situati nel distretto fiorentino erano soggetti, oltre all’estimo catastale, alle gravezze delle respettive comunità, nel territorio delle quali si trovavano situati: e in quanto che gli stabili dai cittadini fiorentini una volta acquistati nel distretto erano esenti dalle gravezze comunitative. Donde avveniva che il censimento delle comunità cadeva quasi per l’intiero sopra i terreni dei distrettuali . Cotesto metodo continuò a praticarsi sino alla legge del 1570, confermata nel 1590, mercè cui venne tolto un tal privilegio, obbligando i cittadini, abbenchè ascritti al libro della Decima in Firenze, a pagare al pari dei distrettuali le gravezze dovute alle respettive comunità, nel cui territorio si trovavano i loro possessi situati.
    Ma nel progredire dell’età si affacciarono sempre nuovi difetti, o per errore di misura, o per inesattezza di stima, o per ommissione, o per complicanza, di passaggi di beni fondi, o per progressivo aumento di case edificate, e di terre incolte rese produttive, e viceversa.
    Per riparare a tali ed altri simili disordini, il governo francese, dopo che ebbe incorporato al suo impero il granducato di Toscana, fece eseguire le mappe, le misure, e le stime parziali dei beni fondi di varie comunità. Alla qual opera si rivolse ben presto l’animo benefico del Granduca Ferdinando III, allorchè restituito
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    ai voti del suo popolo nel dì 7 ottobre 1817 ordinò la legge fomdamentale del moderno censimento per tutta la Terraferma del Granducato, per ricondurre la distribuzione delle gravezze pubbliche ad una misura eguale e con proporzione adeguata alle rendite dei beni stabili, mercè di un nuovo generale estimario, che voleva che fosse compilato con intelligenza, con uniformità di sistema, e con quelle migliori regole che la scienza, l’arte, l’onestà e l’esperienza dovevano suggerire.
    Con altro motuproprio del 24 novembre dello stesso anno l’Augusto Principe affidò a una deputazione la direzione di sì importante lavoro, sia nei rapporti metrici, quanto nei rapporti economici. L’opera era quasi presso al suo termine, quando la legge del 1 novembre 1825 instituiva una Soprintendenza alla conservazione del nuovo Catasto per invigilare e dirigere il censimento dei fondi urbani creati o aumentati dopo la compilazione di quell’estimario, e per soprintendere alle divisioni del dazio prediale correspettivamente ai cangiamenti delle proprietà fondiarie e loro volture estimali.
    Finalmente col motuproprio del 31 dicembre 1834, essendo già stato messo in attività il moderno Catasto, fu soppresso l’ufizio di Soprintendenza e creato un Conservatore del Catasto con speciali attribuzioni.

    DIPARTIMENTO DELLE ACQUE E STRADE

    Questo dipartimento ripete la sua creazione al Sovrano Motuproprio del 1 novembre 1825, col quale fu istituito un Corpo d’Ingegneri d’Acque e Strade sotto l’ispezione del Soprintendente alla conservazione del Catasto. In seguito la legge del 31 dicembre 1834 stabilì indipendentemente dall’Ufizio del catasto quello relativo alla direzione dei lavori di Acque e Strade.
    Questo dipartimento riunisce in gran parte le attribuzioni degli antichi ufiziali de’Fiumi e dei capitani di Parte Guelfa, la cui istituzione rimonta all’epoca della Rep. fiorentina. Ma chi diede il primo impulso a tale instituzione fu quel gran Principe che risvegliò in Toscana l’agricoltura, l’industria, e il commercio dal loro letargo, soccorrendo l’una e le altre con disposizioni magnanime e liberali. – All’articolo FIRENZE, vol. II pag. 248 fu già avvertito,
  •    pag. 371 di 477
    che senza valutare le strade maestre rettificate, e quelle che per mancanza di tempo non restarono ultimate, Pietro Leopoldo I nella sola costruzione di dieci strade regie nuove impiegò la somma di 5,572,916 lire toscane.
    Il Granduca Ferdinando III, seguitando le tracce dell’Augusto genitore, volle che l’utile di queste grandi comunicazioni fosse risentito prontamente anche nelle parti più interne del Granducato. Quindi con motuproprio dei 22 febbrajo 1793, richiamato in vigore con l’editto de’12 settembre 1814, fu introdotto l’utilissimo sistema degli accolli delle strade comunitative. Finalmente con la legge del 1 novembre 1825, dato vita al dipartimento delle Acque e Strade, l’Augusto Legislatore ha in tal guisa provveduto all’unisona utilissima direzione e sorveglianza dei lavori di ponti, corsi d’acque e strade.
    Le strade accampionate nel Granducato a tutto il 1832 correvano lo spazio di 7042 miglia toscane, cioè:

    Lunghezza delle Strade Regie miglia 729
    Lunghezza delle Strade Provinciali miglia 882
    Lunghezza delle Strade Comunitative miglia 5431
    Lunghezza totale miglia 7042

    Ad eccezione di un direttore speciale, il Corpo degl’ingegneri rimane qual era nel 1825, cioè, un Consiglio centrale degl’ingegneri, di cui fa parte il Direttore residente in Firenze; cinque Ispettori residenti nei capoluoghi di Compartimento, e gl’Ingegneri de’respettivi Circondarii.
    È di attribuzione di questo moderno dipartimento la formazione e discussione dei progetti del Principe, la sorveglianza dell’esecuzione tanto dei lavori di acque e strade per conto regio, quanto dei lavori di acque, strade e fabbriche per conto comunitativo. Spetta al Direttore la sorveglianza sulle operazioni degl’Ispettori, sotto-ispettori ed ingegneri di Circondario. Egli propone all’esame e risoluzione del Consiglio degl’Ingegneri tutti gli affari di sua competenza a forma della legge del 31 dicembre 1834, ed in coerenza del regolamento ed istruzioni dei 10 dicembre 1826.
    Lo stesso dipartimento ha la direzione dei lavori ai Bagni di Montecatini e l’amministrazione del Padule di Fucecchio.
    Con la legge del 1 novembre 1825 tutta la
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    superficie del Granducato, rapporto alla direzione delle acque e strade, fu ripartita in 37 circondarii, distinti in 5 classi d’ingegneri per ordine di anzianità. In appresso essendo stato riconosciuto che alcuni di quei circondarii erano troppo vasti per non potersi ben sorvegliare da un solo ingegnere, vennero perciò divisi in due sezioni la minore delle quali fu affidata alle cure di un ingegnere giuniore, cui fu dato il titolo di Ajuto : comecchè egli debba al pari degli altri riferire direttamente con l’ispettore del suo Compartimento.

    CIRCONDARII DEL COMPARTIMENTO FIORENTINO

    Residenza de
    gl’Ingegneri e superficie territoriale del Circondario - Nome delle Comunità comprese nei respettici Circondarii

    - Residenza
    : Borgo S. Lorenzo
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 194,428
    Corsi d’Acque e Strade, quadrati 5,044
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Borgo S. Lorenzo, Vicchio, Scarperia, Barberino di Mugello, S. Piero a Sieve, Vaglia, Vernio

    - Residenza : Castel Fiorentino
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 93,470
    Acque e Strade, quadrati 12,373
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Castel Fiorentino, Certaldo, Montajone

    - Residenza : Empoli
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 71,878
    Acque e Strade, quadrati 3,499
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Empoli, Lastra, Capraja, Montelupo, Cerreto, Vinci

    - Residenza : Fiesole
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 68,247
    Acque e Strade, quadrati 3,524
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Fiesole, Pellegrino, Sesto, Brozzi, Calenzano, Campi

    - Residenza : Figline
    Superficie
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    territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 125,422
    Acque e Strade, quadrati 3,874
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Figline, Reggello, Greve, Rignano

    - Residenza : FIRENZE
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Firenze

    - Residenza : Galluzzo
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 66,308
    Acque e Strade, quadrati 2,755
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Galluzzo, Bagno a Ripoli, Casellina e Torri, Legnaja, Rovezzano

    - Residenza : Sanminiato
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 82,433
    Acque e Strade, quadrati 5,569
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Sanminiato, Fucecchio, S. Croce, Castel Franco di sotto, S. Maria a Monte, Monte Calvoli, Montopoli

    - Residenza : Modigliana
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 101,152
    Acque e Strade, quadrati 2,874
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Modigliana, Portico, Tredozio, Terra del Sole, Dovadola, Rocca S. Casciano

    - Residenza : Monsummano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 47,590
    Acque e Strade, quadrati 1,336
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Monsummano, Monte Catini di Val di Nievole, Massa e Cozzile, Lamporecchio, Seravalle

    - Residenza : Palazzuolo
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 153,183
    Acque e Strade, quadrati 4,249
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Palazzuolo, Firenzuola, Marradi

    - Residenza : Pescia
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    /> Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 41,128
    Acque e Strade, quadrati 1,298
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pescia, Monte Carlo, Uzzano, Vellano, Buggiano

    - Residenza : Pistoja
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 79,614
    Acque e Strade, quadrati 2,688
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pistoja, Porta al Borgo, Porta Carratica, Porta Lucchese, Porta S. Marco, Marliana

    - Residenza : Pontassieve
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 121,409
    Acque e Strade, quadrati 3,786
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pontassieve, Dicomano, San Godenzo, Londa, Pelago

    - Residenza : Prato
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 62,902
    Acque e Strade, quadrati 2,940
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Prato, Carmignano, Monte Murlo, Signa

    - Residenza : Volterra
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 117,468
    Acque e Strade, quadrati 6,707
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Volterra, Monte Catini di Val di Cecina

    Divisione di Circondarj e Residenze di Ajuti- I ngegneri

    - Residenza
    : San Casciano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 100,349
    Acque e Strade, quadrati 3,420
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    San Casciano, Barberino di Val d’Elsa, Montespertoli

    - Residenza : Galeata
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 145,694
  •    pag. 375 di 477
    Acque e Strade, quadrati 4,380
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Galeata, S. Sofia, Premilcuore, Bagno, Sorbano

    - Residenza : San Marcello
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 53,289
    Acque e Strade, quadrati 1,286
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    San Marcello, Cutigliano, Piteglio

    - Residenza : Montale
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 81,474
    Acque e Strade, quadrati 2,307
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Montale, Sambuca, Cantagallo

    CIRCONDARII DEL COMPARTIMENTO PISANO

    Residenza de
    gl’Ingegneri e superficie territoriale del Circondario - Nome delle Comunità comprese nei respettici Circondarii

    - Residenza
    : Guardistallo
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 81,741
    Acque e Strade, quadrati 2,278
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Guardistallo, Montescudajo, Bibbona, Casale, Gherardesca

    - Residenza : Lari
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 120,302
    Acque e Strade, quadrati 3,693
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Lari, Chianni, Fauglia, Colle Salvetti, Lorenzana, S. Luce

    - Residenza : Livorno
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 27,007
    Acque e Strade, quadrati 871
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Livorno

    - Residenza : Pietrasanta
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 46,620
    Acque e Strade, quadrati 1,408
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pietrasanta, Seravezza,
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    Stazzema

    - Residenza : PISA
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 78,491
    Acque e Strade, quadrati 3,672
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pisa, Cascina

    - Residenza : Pontedera
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 48,902
    Acque e Strade, quadrati 2,347
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pontedera, Capannoli, Vico Pisano, Bientina, Calcinaja, Ponsacco

    - Residenza : Pontremoli
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 119,282
    Acque e Strade, quadrati 5,623
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pontremoli, Caprio, Calice, Zeri, Bagnone, Filattiera, Groppoli, Terrarossa

    - Residenza : Portoferrajo
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, ignota
    Acque e Strade, ignota
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Portoferrajo, Longone, Marciana, Rio

    Divisione di Circondarj e Residenze di Ajuti- I ngegneri

    - Residenza
    : Barga
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 21,378
    Acque e Strade, quadrati 1,042
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Barga

    - Residenza : Fivizzano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 59,193
    Acque e Strade, quadrati 3,514
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Fivizzano, Casola, Albiano

    - Residenza : Peccioli
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 50,511
    Acque e Strade, quadrati 3,035
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    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Peccioli, Palaja, Lajatico, Terricciola

    - Residenza : Pisa
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 44,061
    Acque e Strade, quadrati 2,391
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Bagni di S. Giuliano, Vecchiano

    - Residenza : Pomarance
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 89,057
    Acque e Strade, quadrati 3,203
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pomarance, Castelnuovo di Val di Cecina

    - Residenza : Rosignano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 69,857
    Acque e Strade, quadrati 2,088
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Rosignano, Orciano, Riparbella, Castellina Marittima

      CIRCONDARII DEL COMPARTIMENTO SENESE

    Residenza de
    gl’Ingegneri e superficie territoriale del Circondario - Nome delle Comunità comprese nei respettici Circondarii

    - Residenza
    : Asciano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 157,839
    Acque e Strade, quadrati 5,205
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Asciano, Rapolano, Castel Nuovo della Berardenga, Trequanda

    - Residenza : Colle
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 86,059
    Acque e Strade, quadrati 1,934
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Colle, San Gimignano, Poggibonsi

    - Residenza : Montalcino
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 208,389
    Acque e Strade, quadrati 7,879
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Montalcino, Buonconvento, Murlo, S. Quirico, Pienza, Castiglion d'Orcia,
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    S. Giovanni d'Asso

    - Residenza : Radda
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 105,561
    Acque e Strade, quadrati 2,118
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Radda, Gajole, Castellina in Chianti, Cavriglia

    - Residenza : Radicofani
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 104,735
    Acque e Strade, quadrati 4,044
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Radicofani, S. Casciano de'Bagni, Badia S. Salvadore, Pian Castagnajo

    - Residenza : Radicondoli
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 220,570
    Acque e Strade, quadrati 7,520
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Radicondoli, Casole, Sovicille, Chiusdino, Montieri, Monticiano, Elci

    - Residenza : SIENA
    superficie totale, quadrati 484
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Siena

    Divisione di Circondarj e Residenze di Ajuti- I ngegneri

    - Residenza
    : Siena
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 91,682
    Acque e Strade, quadrati 2,432
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Masse del terzo di Città, Masse del terzo di S. Martino, Monteriggioni, Monteroni

    CIRCONDARII DEL COMPARTIMENTO ARETINO

    Residenza de
    gl’Ingegneri e superficie territoriale del Circondario - Nome delle Comunità comprese nei respettici Circondarii

    - Residenza
    : AREZZO
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 176,633
    Acque e Strade, quadrati 5,281
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Arezzo, Castiglion Fiorentino, Subbiano, Capolona

    - Residenza :
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    Cortona
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 135,701
    Acque e Strade, quadrati 4,354
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Cortona, Asinalunga, Torrita

    - Residenza : Montepulciano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 113,825
    Acque e Strade, quadrati 2,817
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Montepulciano, Chiusi Città, Sarteano, Chianciano, Cetona

    - Residenza : Montevarchi
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 84,002
    Acque e Strade, quadrati 2,911
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Montevarchi, Castiglion Ubertini, Due Comuni di Laterina, Laterina, Bucine, Val d'Ambra

    - Residenza : Pieve San Stefano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 153,489
    Acque e Strade, quadrati 4,805
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pieve San Stefano, Verghereto, Caprese, Sestino, Badia Tedalda

    - Residenza : Poppi
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 133,283
    Acque e Strade, quadrati 3,856
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Poppi, Bibbiena, Castel San Niccolò, Raggiolo, Ortignano, Montemignajo, Prato Vecchio, Stia

    - Residenza : San Sepolcro
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 91,191
    Acque e Strade, quadrati 3,334
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    San Sepolcro, Monterchi, Anghiari, Monte Santa Maria

    Divisione di Circondarj e Residenze di Ajuti- I ngegneri

    - Residenza
    : Rassina
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile,
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    quadrati 67,289
    Acque e Strade, quadrati 1,889
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Castel Focognano, Chiusi in Casentino, Chitignano, Talla

    - Residenza : Fojano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 85,017
    Acque e Strade, quadrati 2,282
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Fojano, Monte San Savino, Civitella, Lucignano, Marciano

    - Residenza : San Giovanni
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 68,048
    Acque e Strade, quadrati 2,124
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    San Giovanni, Castel Franco di sopra, Pian di Scò, Loro, Terranuova

    CIRCONDARII DEL COMPARTIMENTO GROSSETANO

    Residenza de
    gl’Ingegneri e superficie territoriale del Circondario - Nome delle Comunità comprese nei respettici Circondarii

    - Residenza
    : Arcidosso
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 192,597
    Acque e Strade, quadrati 6,070
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Arcidosso, Castel del Piano, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora

    - Residenza : Campiglia
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 145,422
    Acque e Strade, quadrati 2,534
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Campiglia, Piombino, Suvereto, Sassetta, Monteverdi

    - Residenza : GROSSETO
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 324,446
    Acque e Strade, quadrati 7,910
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Grosseto, Scansano, Magliano, Castiglion della Pescaja

    - Residenza : Massa Marittima
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 196,988
    Acque
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    e Strade, quadrati 1,108
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Massa Marittima, Gavorrano

    - Residenza : Pitigliano
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 234,341
    Acque e Strade, quadrati 3,908
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Pitigliano, Manciano, Sorano

    - Residenza : Rocca Strada
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 199,795
    Acque e Strade, quadrati 5,111
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Rocca Strada, Campagnatico

    Divisione di Circondarj e Residenze di Ajuti- I ngegneri

    - Residenza
    : Orbetello
    Superficie territoriale del Circondario:
    superficie imponibile, quadrati 92,617
    Acque e Strade, quadrati 1,561
    Nome delle Comunità comprese nel Circondario:
    Orbetello, Isola del Giglio

    TOSCANA GRANDUCALE. – ( Si aggiunga ) Vedere il SUPPLEMENTO a quest’ Articolo e a quello del GRANDUCATO.
    La Toscana Granducale, compreso il territorio transappennino e quello di oltremagra, si estende dal grado 27°21’al 30°2’di longitudine orientale, e dal grado 42°16’al 44°10’di latitudine settentrionale, calcolando il punto più orientale della Comunità di Sestino e quello più occidentale nella Comunità di Zeri, mentre il luogo più meridionale lo faccio nell’isolotto di Giannutri e la porzione più settentrionale di là da Piancaldoli in Comunità di Firenzuola.
    Cotesta bella porzione d’Italia giacendo quasi nel centro della zona temperata del nostro Emisfero e ad una elevatezza media delle sue valli di circa 350 braccia sopra il livello del mare Mediterraneo, essa che per una lunga linea di quasi cento miglia geografiche confina col mare, mentre i fianchi dell’Appennino Toscano voltati fra occidente e ostro la difendono dai venti settentrionali, coteste ed altre
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    favorevoli prerogative giustamente meritarono alla Toscana il titolo di giardino dell’Europa

    DIVISIONE GOVERNATIVA E GIUDICIARIA.

    La Divisione amministrativa della Toscana Granducale è poco diversa da quella che esisteva nel 1836, indicata all’ Articolo GRANDUCATO DI TOSCANA; dove però, rispetto alla Divisione ecclesiastica fu detto erroneamente, che l’Arcivescovo di Bologna ed il vescovo d’Imola avevano giurisdizione sopra una parte della Toscana transappennina, mentre essi l’ebbero fino all’anno 1786.
    Molto diversa però dall’anno 1836, epoca in cui fu compilato quell’Articolo, è la Divisione governativa e giudiciaria della Toscana Granducale, mentre a tenore del motuproprio del 2 agosto 1838 il Granducato rispetto agli effetti governativi e giudiciarj fu distribuito in 5 Governi , cioè; I. di Firenze ; 2. di Livorno ; 3. di Pisa ; 4. di Siena ; 5. e del l’Isola d’Elba ; ed in 7 Commissariati regii , vale a dire; I.° di Pistoja ; 2.° di Arezzo , 3.°  di Grosseto ; 4.° di Montepulciano ; 5.° della Rocca S. Casciano ; 6.° di Volterra , e 7.° in quello di Pontremoli .
    I.° Furono compresi sotto il Governo di Firenze i tre commissari della capitale sottoposti al commissario regio creato con motuproprio del I dicembre 1840; ed inoltre facevano parte del Governo medesimo i vicariati regii di Prato , di San Giovanni , di San Miniato , di Empoli , di Fucecchio , del Pontassieve e di Scarperia .
    Nel vicariato di San Giovanni fu soppressa la potesteria del Bucine, che si riunì a quella di Montevarchi: così l’altra di Castel Franco di Sopra venne riunita alla potesteria di Terranuova. Al vicariato di San Miniato fu riunito dalla stessa legge la soppressa di Montajone, e quella
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    di Palaja raccomandataalla potesteria di Peccioli. Al vicariato d’Empoli fu assegnata la potesteria di Montelupo con i territorj di Petrojo, Sovigliana e Spicchio. – Nel vicariato del Pontassieve fu staccato dalla potesteria di Dicomano il popolo di S. Maria all’Eremo e riuniito al vicariato della Rocca S. Casciano . Nel vicariato di Scarperia furono soppresse le potesterie di Barberino di Mugello di Vicchio, e ridotto a potesteria il vicariato di Firenzuola, tutti sottoposti al vicario di Scarperia.
    II.° Dipendono dal governo di Livorno oltre i due commissarj di quella città il vicario di Rosignano , dalla cui giurisdizione criminale dipende il nuovo potestà di Bibbona che supplisce a quelli di Guardistallo e di castagneto stati soppressi.
    III.° Dipendono dal Governo di Pisa i vicariati di Pietrasanta , di Pontedera , di Vicopisano , di Braga e di Lari , al quale ultimo fu riunita la giurisdizione civile del potestà di Chianni che fu soppresso.
    IV.° Dipendono dal Governo di Siena i vicariati di Asciano , di Casole , di Colle , di Montalcino e di Radda . Con la stessa legge fu appellata di Rosia la potesteria di Sovicille, e riunita alla giurisdizione civile di Poggibonsi quella che si soppresse di Barberino di Val d’Elsa. Anche il nuovo vicariato di Asciano comprende i territorj della potesteria dello stesso nome e dell’altra di Rapolano che si soppressero. Alla potesteria poi di radicondoli fu riunita quella soppressa di Chiusdino, mentre l’altra di Murlo fu aggregata alla giurisdizione civile del vicariato di Montalcino .
    V.° Dipende dal Governo dell’Isola dell’Elba il solo vicariato di Portoferrajo, alla cui giurisdizione civile venne riunita la soppressa potesteria di Porto Longone.
    VI.° Il Commissariato poi di Pistoja abbraccia i vicariatidi Pescia , di Pistoja e di San Marcello
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    con le potesterie dell’Altopascio, già di Montecarlo, di Monsummano, del Montale, della Sambuca e di Borgo a Buggiano, l’ultima delle quali venne soppressa e quindi ripristinata in vigore della notificazione del 22 aprile 1843. La stessa legge del 2 agosto 1838 riunì alla giurisdizione civile del vicariato di Pistoja i territorj delle potesterie di Serravalle e di Tizzana che si soppressero.
    VII.° Il Commissariato di Arezzo comprende i vicariati di Arezzo, di San Sepolcro, di Castiglion Fiorentino, di Cortona, del Monte San Savino e di Poppi.
    Nella stessa occasione furono soppressi i vicariati di Anghiari, di Pieve S. Stefano e di Sestino che si ridussero a potesterie dello stesso nome; e fu riunito alla potesteria di Lippiano il territorio di quella del Monterchi, finchè con la notificazione del 22 aprile 1843 restò soppressa la prima e ripristinata in sua vece la seconda. Furono eziandio soppresse le potesterie di Civitella, di Strada e di Rassina riunendo la prima  alla giurisdizione civile del vicario di Monte S. Savino, la seconda a quella di Poppi e l’ultima alla potesteria di Bibbiena. Per simil modo la giurisdizione civile del potestà di Subbiano fu riunita a quella del vicario di Arezzo.
    VIII.° Il Commissariato di Grosseto abbraccia i vicariati di Arcidosso, di Pitigliano, dell’Isola del Giglio, Orbetello, Massa Marittima, Campiglia, Piombino, Grosseto, Rocca Strada, e Scansano. Dalla stessa legge venne soppressa nel vicariato di Arcidosso la potesteria di Cinigiano, ripristinata poi con notificazione del 9 settembre 1844, la potesteria di Montieri, riattivata con notificazione dal 22 aprile 1843, che abolì quella di Prata, sottoponendo la sua giurisdizione civile al vicario di massa Marittima. Inoltre furono ridotti a potesterie i vicariati di Manciano e Castiglion della pescaja, restando soppressa la potesteria di campagnatico, e affidata la sua giurisdizione civile a quella del vicario di Rocca Strada.
    Con la notificazione del 22 aprile 1843 fu distaccato dalla giurisdizione della potesteria di Porto S. Stefano il popolo di Port’Ercole ed
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    aggregato alla giurisdizione civile e criminale del vicario di Orbetello.
    IX.° Nel Commissariato di Montepulciano, la cui giurisdizione abbraccia i vicariati dell’Abbadia S. Salvatore, Asinalunga, Chiusi, Montepulciano, Pienza e Radicofani, restarono soppresse la potesteria di pian Castagnajo incorporandola alla giurisdizione del vicario dell’Abbadia S. Salvadore, quella di Torrita, la cui giurisdizione fu affidata al vicario di Asinalunga con alcune modificazioni aggiuante nella notificazione del 22 aprile 1843. Furono pure soppresse le potesterie di Chianciano e di San Cascian de’Bagni, la prima delle quali fu riunita per la sua giurisdizione civile al vicario di Montepulciano, e l’altra a quello di Radicofani.
    Rispetto al Commissariato regio della Rocca S. Casciano fu già avvisato alla pag. 568 del Vol. II di quest’Opera, che esso fu eretto con motuproprio del 7 settembre 1837, e che estendeva la sua giurisdizione governativa e politica sopra i quattro vicariati della Romagna Granducale; cioè, di Bagno, di Marradi, di Modigliana e della Rocca S. Casciano; nella quale ultima Terra con lo stesso motuproprio fu instituito un tribunale collegiale di Prima istanza, mentre vennero soppresse la potesteria di Palazzuolo e di Premilcore, la prima riunita alla giurisdizione civile e criminale del vicario di Marradi, e l’altra incorporata al vicariato della Rocca.
    Il Commissario regio di Pontremoli abbraccia i due vicariati di Bagnone e di Fivizzano, mentre quello di Volterra si limita alla giurisdizione della città e comunità dello stesso nome ed al perimetro giuridico della potesteria di Pomarance.
    Con lo stesso motuproprio del 2 agosto 1838 fu data una nuova organizzazione per l’amministrazione della giustizia in tutto il Granducato, sia rispetto alle attribuzioni de’podestà, de’vicarj regj, de’tribunali collegiali di Prima istanza stabiliti in Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Pistoja, Arezzo, Grosseto, Montepulciano, San Miniato e Rocca S. Casciano ; come ancora agli attributi dell’unica Corte Regia nella capitale e della Real Consulta da formarsi in Corte Suprema di Cassazione nei casi di ultima istanza.
    In seguito con motuproprio del 22 agosto
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    1840 vennero accordati i tribunali collegiali di Prima istanza anche alle città di Pontremoli e Portoferrajo.
    Finalmente con la legge del 2 settembre 1842 nel Compartimento Grossetano venne eretta la nuova Comunità di Montargentaro, capoluogo della quale fu dichiarata la Terra di Porto S. Stefano distaccando il suo territorio dalla Comunità di Orbetello, cui fu dato in compenso il distretto territoriale del popolo di Capalbio appartenuto fino allora alla Comunità di Manciano.

    NUMERO DELLE CANCELLERIE COMUNITATIVE NEI CINQUE COMPARTIMENTI DELLA TOSCANA GRANDUCALE

    COMPARTIMENTO FIORENTINO

    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    1. Bagno
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bagno in Romagna
    Sorbano
    Verghereto
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    2. Barberino di Mugello
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Barberino di Mugello
    Vernio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    3. Borgo S. Lorenzo
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Borgo S. Lorenzo
    Vicchio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    4. Borgo Buggiano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Baggiano
    Massa e Cozzile
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    5. Campi
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Calenzano
    Campi
    Signa
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    6. San Casciano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Barberino di Val d’Elsa
    San Casciano
    Montespertoli
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    7. Castel Fiorentino
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castel Fiorentino
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    /> Certaldo
    Montejone
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    8. Castelfranco di Sotto
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castelfranco di Sotto
    S. Maria a Monte
    Montecalvoli
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    9. Cerreto
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Cerreto
    Vinci
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    10. Dicomano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Dicomano
    San Godendo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    11. Empoli
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Capraja
    Empoli
    Montelupo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    12. FIESOLE
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Brozzi
    Fiesole
    Pellegrino
    Rovezzano
    Sesto
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    13. Figline
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Figline
    Reggello
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    14. FIRENZE
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    FIRENZE
    Montelupo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    15. Firenzuola
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Firenzuola
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    16. Fucecchio
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Santa Croce
    Fucecchio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    17. Galeata
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Galeata
    Santa Sofia
    - Luogo di
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    residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa
    :
    18. Galluzzo
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bagno a Ripoli
    Casellina e Torri
    Galluzzo
    Lastra a Signa
    Legnaja
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    19. Greve
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Greve
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    20. San Marcello
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Cutigliano
    San Marcello
    Piteglio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    21. Marradi
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Marrani
    Palazzuolo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    22. SAN MINIATO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    San Miniato
    Monopoli
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    23. MODIGLIANA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Modigliana
    Tredozio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    24. Monsummano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Montecatini di Val di Fievole
    Monsummano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    25. PESCIA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Firenzuola
    Monte Carlo
    Pescia
    Uzzano
    Vellano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    26. PISTOJA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Pistoja (Città)
    Porta al Borgo
    Porta Carratica
    Porta Lucchese
    Porta S. Marco
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    27. Potesterie di Pistoja
    Nome
  •    pag. 389 di 477
    delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa
    :
    Cantagallo
    Lamporecchio
    Marliana
    Montale
    Sambuca
    Seravalle
    Tizzana
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    28. Ponntassieve
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Londa
    Pelago
    Pontassieve
    Rignano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    29. PRATO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Carmignano
    Montemurlo
    Prato
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    30. Rocca S. Casciano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Dovadola
    Portico
    Premilcore
    Rocca S. Casciano
    Terra del Sole
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    31. Scarperia
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    S. Piero a Sieve
    Scarperia
    Vaglia
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    32. VOLTERRA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Monte Catini di Val di Cecina
    Volterra

    - Totale del Compartimento Fiorentino
    Cancellerie : 32
    Comunità : 91

    II. COMPARTIMENTO PISANO

    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    33. Bagnone
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Albiano
    Bagnone
    Groppoli
    Terrarossa
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    34. Barga
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Barga
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    35. Fivizzano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Casola
    Fivizzano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    36. Guardistallo
    Nome
  •    pag. 390 di 477
    delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa
    :
    Bibbona
    Casale
    Gherardesca
    Guardistallo
    Montescudajo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    37. Lari
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Chianni
    Colle Solvetti
    Faglia
    Lari
    Lorenzana
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    38. LIVORNO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Livorno
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    39. Peccioli
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Lajatico
    Piccioli
    Terricciola
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    40. PIETRASANTA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Pietrasanta
    Seravezza
    Stazzema
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    41. PISA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bagni di S. Giuliano
    Cascina
    Pisa
    Vecchiano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    42. Pomarance
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castelnuovo di Val di Cecina
    Pomarance
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    43. Pontedera
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Capannoni
    Palaja
    Ponsacco
    Pontedera
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    44. PONTREMOLI
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Calice
    Caprio
    Filattiera
    Pontremoli
    Zeri
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    45. PORTOFERRAJO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Longone
    Marciana
    Portoferrajo
    Rio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
  •    pag. 391 di 477
    46. Rosignano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castellina Marittima
    Santa Luce
    Orciano
    Riparbella
    Rosignano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    47. Vicopisano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bientina
    Calcinaja
    Vicopisano

    - Totale del Compartimento Pisano
    Cancellerie : 15
    Comunità : 51

    III. COMPARTIMENTO SANESE

    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    48. Abbadia S. Salvadore
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Abbadia S. Salvadore
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    49. Asciano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Asciano
    Rapolano
    Trequanda
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    50. Chiusdino
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Chiusdino
    Elci
    Monticano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    51. COLLE
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Colle
    Monteriggioni
    Poggibonsi
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    52. San Gimignano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    San Gimignano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    53. MONTALCINO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Buonconvento
    Montalcino
    Murlo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    54. San Quirico
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castiglion d’Orcia
    S. Giovanni d’Asso
    Pienza
    San Quirico
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    55. Radda
    Nome delle Comunità
  •    pag. 392 di 477
    comprese nella Cancelleria Comunitativa
    :
    Castellina in Chianti
    Caviglia
    Gajole
    Radda
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    56. Radicofani
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    S. Cascian de’Bagni
    Radicofani
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    57. Radicondoli
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Casole
    Radicandoli
    Sovicille
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    58. SIENA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castelnuovo Berardenga
    Masse del Terzo di Città
    Masse del Terzo di S. Martino
    Monteroni
    Siena

    - Totale del Compartimento Sanese
    Cancellerie : 11
    Comunità : 33

    IV. COMPARTIMENTO ARETINO

    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    59. Anghiari
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Anghiari
    Monte S. Maria
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    60. AREZZO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Arezzo
    Capolona
    Subbiano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    61. Asinalunga
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Asinalunga
    Torrita
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    62. Anghiari
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bibbiena
    Chiusi in Casentino
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    63. Castel S. Niccolò
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castel S. Niccolò
    Montemignajo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    64. Castiglion Fiorentino
  •    pag. 393 di 477
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castiglion Fiorentino
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    65. Chianciano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Chianciano
    Chiusi
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    66. CORTONA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Cortona
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    67. Fojano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Fojano
    Marciano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    68. San Giovanni
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castelfranco di Sopra
    San Giovanni
    Loro
    Pian di Scò
    Terranova
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    69. MONTEPULCIANO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Montepulciano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    70. Monte S. Savino
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Civitella
    Mucignano
    Monte S. Savino
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    71. Montevarchi
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Bucine
    Castiglion Ubertini
    Due Comuni distrettuali di Latrina
    Latrina
    Montevarchi
    Pergine in Val d’Ambra
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    72. Pieve S. Stefano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Caprese
    Pieve S. Stefano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    73. Poppi
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Ortignano
    Poppi
    Raggialo
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della
  •    pag. 394 di 477
    Cancelleria Comunitativa
    :
    74. Pratovecchio
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Pratovecchio
    Stia
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    75. Rassina
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Castel Focognano
    Chitignano
    Talla
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    76. Sarteano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Cetona
    Sarteano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    77. SAN SEPOLCRO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Monterchi
    San Sepolcro
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    78. Sestino
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Badia Tedalda
    Sestino

    - Totale del Compartimento Aretino
    Cancellerie : 20
    Comunità : 48

    V. COMPARTIMENTO GROSSETANO

    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    79. Arcidosso
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Arcidosso
    Castel del Piano
    Cinigiano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    80. Campiglia
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Campiglia
    Monteverdi
    Sassetta
    Suvereto
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    81. Santa Fiora
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Santa Fiora
    Roccalbegna
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    82. Isola del Giglio
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Giglio
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    83. GROSSETO
    Nome delle Comunità comprese nella
  •    pag. 395 di 477
    Cancelleria Comunitativa
    :
    Castiglion della Pescaja
    Grosseto
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    84. MASSA MARITTIMA
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Zavorrano
    Massa Marittima
    Pontieri
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    85. ORBETELLO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Montargentaro
    Orbetello
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    86. PIOMBINO
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Piombino
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    87. Pitigliano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Manciano
    Pitigliano
    Sorano
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    88. Roccastrada
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Campagnatico
    Roccastrada
    - Luogo di residenza del Cancelliere e della Cancelleria Comunitativa :
    89. Scansano
    Nome delle Comunità comprese nella Cancelleria Comunitativa :
    Magliano
    Scansano

    - Totale del Compartimento Grossetano
    Cancellerie : 11
    Comunità : 25

    RIEPILOGO

    - Nel Compartimento Fiorentino:
    Cancellerie N° 32
    Comunità N° 91
    - Nel Compartimento Pisano:
    Cancellerie N° 15
    Comunità N° 51
    - Nel Compartimento Senese:
    Cancellerie N° 11
    Comunità N° 33
    - Nel Compartimento Aretino:
    Cancellerie N° 20
    Comunità N° 48
    - Nel Compartimento Grossetano:
    Cancellerie N° 11
    Comunità N° 25

    TOTALE
    - Cancellerie N° 89
    - Comunità N° 248

    All’ Articolo GRANDUCATO sotto il paragrafo DIVISIONE ECONOMICA E SUPERFICIE TERRITORIALE resta da aggiungere la nuova istituzione della Soprintendenza generale alle Comunità del Granducato ordinata col motuproprio del 29 dicembre 1840, mercè cui i cinque Provveditori della Camere di Soprintendenza comunitativa debbono comunicare alla Soprintendenza
  •    pag. 396 di 477
    generale tutti gli affari delle Comunità e luoghi pii dipendenti che non sono autorizzati a risolvere con le facoltà state a lui conferite.
    Inoltre il Soprintendente medesimo ha la direzione superiore del Catasto, al quale fu riunito l’archivio delle antiche Decime Granducali; ed in ordine al motuproprio del 5 gennajo 1844 gli fu affidata la direzione dell’arruolamento militare del Granducato.
    Alle città del Compartimento di Firenze è da aggiungersi Modigliana , e al Compartimento di Pisa la città di Pietrasanta .
    Con la situazione poi di una nuova Comunità, intitolata del Monte Argentaro , quelle di Terraferma nel Granducato sono salite al numero di 243, dondechè con le 4 Comunità dell’Isola d’Elba e una dell’Isola del Giglio sommano 248 Comunità nella Toscana Granducale. – Delle quali isole attualmente si conosce la loro superficie quadrata; mentre quella dell’Elba compresa l’Isola di Pianosa nel totale ascende a quadrati 68125,98 corrispondenti a miglia toscane quadrate 84,82 e l’Isola del Giglio a quadrati 6431,15 pari a miglia toscane quadrate 8,01.
    Nello stato attuale rettificata la superficie territoriale di ciascuna Comunità, risulta, che il Compartimento Fiorentino abbraccia una superficie totale di quadrtati 1909746,76, pari a miglia toscane 2378,54. – Che il Compartimento Pisano , compresevi le Isole dell’Elba e della Pianosa, abbraccia una superficie totale di quadrati 1010658,96 pari a miglia toscane 1258,79; che il Compartimento Senese occupa una superficie totale di quadrati 975165,98, paria miglia 1214,63; che il Compartimento Aretino abbraccia una superficie totale di quadrati 1106910,53 equivalenti a miglia toscane quadrate 1378,69; che il Compartimento Grossetano , compresa l’Isola del Giglio, abbraccia quadrati 1446431,13 equivalenti a miglia toscane quadrate 1801,67. – Sicchè tutta la superficie della Toscana Granducale comprese le Isole preindicate ascende a quadrati agrarj 6448913,36, corrispondenti a miglia toscane quadrate 8032,32.
    Dalla quale superficie totale sono da detrarre quadrati 29643 e 1/2, come beni che la legge esentòdall’imposizione fondiaria, ed inquadrati
  •    pag. 397 di 477
    191949,76 consistenti in corsi d’acqua ed in pubbliche strade, con una popolazione che nell’aprile del 1844 ascendeva a 1,531,740 abitanti.
    I prospetti posti in calce al presente articolo con la recapitolazione della Popolazione, delle Famiglie e della Superficie territoriale di ciascuna Comunità dei 5 Compartimenti della Toscana Granducale darà meglio a conoscere la popolazione reciproca dei 5 Compartimenti, presa la media proporzionale, concedendo rispetto al Compartimento Fiorentino ciò che si detrae dalla Val di Sieve e dal popolatissimo Val d’Arno. Così il Compartimento Pisano supplisce con la sua popolosa valle e con la popolatissima città di Livorno ai deserti della sua pianura tra Pisa Livorno e bocca di Serchio.
    Parimente il Compartimento Aretino deve cedere porzione dei suoi abitanti delle Valli della Chiana e dell’Arno alle più deserte contrade della Badia Tedalda, di Sestino ecc. – Finalmente il Compartimento Grossetano , il liù spopolato di tutti influisce talmente sulla Statistica della popolazione della Toscana Granducale che essa non comparisce come dovrebbe il paese più popolato d’Italia e forse anche di tutta Europa.
    In quanto poi spetta al DIPARTIMENTO DELLE ACQUE E STRADE si può aggiungere a quel paragrafo (Vol.II pag.497 e segg.) che, oltre le attribuzioni conferitegli dal motuproprio del 31 dicembre 1834, ritiene quelle ancora che gli furono assegnate dagli altri due mutopropri del 3 dicembre 1838 e del 29 dicembre 1840.
    Finalmente con motuproprio del 3 luglio 1840 furono riformati i Circondarj degl’ingegneri e soppressi i posti di ajuto suddividendoli in tre classi, cioè, 12 nella prima,21 nella seconda, e 35 nella terza classe, in tutti numero 68 Circondarj,24 dei quali nel Compartimento Fiorentino; 16 nel pisano; 8 nel Senese; 11 nell’ Aretino ;e 9 nel Compartimento Grossetano.
    Gl’ingegneri de’24 Circondarj del Compartimento Fiorentino risiedono in Bagno, Borgo S. Lorenzo, Campi, San Casciano, Castel Fiorentino, Empoli, Fiesole, Figline, Firenze (per
  •    pag. 398 di 477
    la divisione settentrionale) Firenze (per la divisione meridionale), Fucecchio, Galluzzo, San Marcello, San Miniato, Modigliana,Monsummano, Montale, Palazzuolo, Pescia, Pistoja, Pontassieve, Prato, Rocca S. Casciano e Volterra.
    Gl’ingegneri de’16 Circondarj del Compatimento Pisano risiedono in Bagnone, ai Bagni di S. Giuliano, Barga, Fivizzano, Guardistallo,Lari, Livorno, Peccioli, Pietrasanta,Pisa, Pomarance, Pontedera, Pontremoli, Portoferrajo, Rosignano e Vicopisano.
    Gl’ingegneri degli 8 Circondarj del Compartimento Sanese hanno la loro residenza in Asciano, Castelnuovo Berardenga, Colle, Montalcino, Radda, Radicofani, Radicondoli, e Siena.
    Gl’ingegneri degli 11 Circondarj del Compartimento Aretino risiedono in Arezzo, Bibbiena, Cortona, Fojano, San Giovanni, Montepulciano, Monte S. Savino, Montevarchi, Pieve S. Stefano, poppi e San Sepolcro.
    Gl’ingegneri infine dei 9 Circondarj del Compartimento Grossetano risiedono in Arcidosso, Campiglia, Gavorrano, grosseto, Massa Marittima, Orbetello, Piombino, Pitigliano, e Roccastarda.
    Alla stessa pag. 597 si può aggiungere la notizia che la lunghezza delle strade regie nell’ottobre del 1844 era di 761 miglia toscane e che le strade provinciali nel 1844 percorrevano miglia 1016,16.
    All’ Articolo GRANDUCATO DI TOSCANA doveva aggiungersi pure il paragrafo relativo alle DIREZIONI POSTALI del Granducato, ai luoghi di amministrazione e distribuzione delle Regie poste; ai giorni di arrivo dei corrieri, o staffette a Firenze e a quelli delle loro partenze della capitale, riserbano all’ Articolo VIE REGIE POSTALI l’indicazione delle stazioni postali per il cambio de’cavalli.
    Trovasi nella capitale l’Ispettorato e direzione principale:oltre 5 direzioni subalterne; 1. LIVORNO; 2. PISA; 3. SIENA, direzioni di prima classe; 4. AREZZO; e 5. PIETRASANTA, direzioni di seconda classe.
    Otto sono i luoghi di amministrazione; 1.GROSSETO; 2 PESCIA; 3.PISTOJA; 4. PONTEDERA;5. PONTREMOLI; 6. PORTOFERRAJO; 7.RADICOFANI; 8VOLTERRA.
    I paesi per la distribuzione delle lettere attualmente ammontano a 38, repartiti in 4 classi; tre delle quali nella prima, Empoli, Montepulciano e Piombino; 6 nella seconda classe, Cortona, Orbetello, Pontassieve, S. Quirico, S. Miniato,
  •    pag. 399 di 477
    e Massa Marittima;
    15 nella terza classe, Borgo S. Lorenzo, Campiglia, Cascina, Castiglion Fiorentino, Figline, Fivizzano, Lati, Lastra a Signa, Lucignano, Montevarchi,Poggibonsi, Prato, Rocca San Casciano, Rosignano, e San Giovanni; finalmente spettano alla quarta classe le 14 seguenti; Asciano, bagnone, Bibbiena, Bibbona, Colle, Dicomano, Firenzuola, marradi, Modigliana, Peccioli, Pomarance, Poppi, Porto S. Stefano e San Sepolcro.

    ARRIVO DELLE LETTERE IN FIRENZE

    Nella mattina di lunedì alle ore 9.

    Staffetta.
    Dall’Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Gibilterra, Colonie, parte della Svizzera, Piemonte, Genova, Sarzana, Massa, Pietrasanta, Lucca, Pontremoli, Bagnone, Fivizzano, Livorno, Pisa e stradale, Lari e San Miniato.
    Corriere. Da Roma, Napoli, Radicofani, Grosseto, Stato degli Ex Presidj, Siena, stradale e Volterra.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.

    Nella mattina di Martedì alle ore 9.

    Corriere.
    Dalla Germania, Russia, Prussia, Paesi bassi, Belgio, altra parte della Svizzera, Dalmazia, Levante, Trieste, Venezia, Parma, Piacenza, tutta l’Italia superiore, Bologna, Firenzuola, Borgo S. Lorenzo e parte della Romagna Toscana.
    Corriere. Dalla Francia, Spagna ecc., come nel Lunedì, più le lettere dell’Isola dell’Elba, della Maremma pisana e di Piombino, meno quelle di Pontremoli, Bagone, Fivizzano.
    Corriere. Da Perugia, Marche, Fuligno, Cortona, Castiglion Fiorentino, Montepulciano, Arezzo e stradale, Valle Tiberina, altra parte della Romagna Toscana e Dicomano.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.
    Procaccia. Da Greve.

    Nella mattina di Mercoledì alle ore 9.

    Staffetta.
    Dall’Inghilterra, Francia, Spagna, ecc. come nel Lunedì, meno Pontremoli, Bagnone e Fivizzano; più Volterra, Pomarance e Peccioli.
    Staffetta. Dalla Germania, Russia, Prussia, ecc. come il martedì, meno Parma e Piacenza e la Romagna Toscana.
    Staffetta. Da Roma, Napoli, Radicofani, Siena, ecc. come nel lunedì, meno Volterra, più Massa Marittima.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.

    Nella mattina
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    di Giovedì alle ore 9.

    Corriere.
    Dalla Germania, Russia, Prussia, come nel martedì.
    Corriere. Da Roma, Napoli ecc. come nel lunedì, meno Grosseto e Stato degli Ex Presidj.
    Corriere. Dall’Inghilterra. Francia, Spagna ecc. come nel lunedì, più lettere dell’Isola dell’Elba, di piombino e della Maremma pisana.
    Staffetta. Da Perugia,Marche,Foligno ecc.come nel martedì.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.
    Procaccia. Da Greve.

    Nella mattina di Venerdì alle ore 9.

    Staffetta.
    Dall’Inghilterra, francia, Spagna, ecc. come nel lunedì, meno Pontremoli, Bagnone e Fivizzano.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.
    Procaccia. Da Greve.

    Nella mattina di Sabato alle ore 9.

    Corriere.
    Dalla Germania, Russia, Prussia, come nel martedì.
    Corriere. Da Roma, Napoli, Radicofani ecc. come nel lunedì, più Massa Marittima.
    Corriere. Dall’Inghilterra. Francia, Spagna ecc. come nel martedì.
    Staffetta. Da Perugia,Marche,Foligno ecc. come nel lunedì, meno Pontremoli, Bagnone e Fivizzano.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.
    Procaccia. Da Greve.

    Nella mattina di Domenica alle ore 9.

    Staffetta.
    Dall’Inghilterra. Francia, Spagna ecc. come nel martedì, meno la Romagna Toscana.
    Staffetta. Dalla Germania, Russia ecc. come nel mercoledì.
    Staffetta. Da Roma, Napoli, Radicofani, Massa Marittima, Siena e stradale.
    Staffetta. Da Pescia, Pistoja e Prato.

    PARTENZE DELLE LETTERE DA FIRENZE

    Nel giorno di Lunedì a ore 4 pomeridiane.

    Staffetta.
    Per l’Inghilterra, Francia, olonie, parte della Svizzara, Piemonte, Genova, Sarzana, Massa, Pietrasanta, Lucca, Livorno, Pisa, e stradale, San Miniato, Lari e Volterra.
    Staffetta. Per la Germania, Russia, Prussia, Olanda, Belgio, altra parte della Svizzera, Dalmazia, Trieste, Levante, Venezia, tutta l’Italia superiore, Parma, Piacenza, Bologna, Firenzuola e Borgo S.
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    Lorenzo.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.

    Nel giorno di Martedì a ore 4 pomeridiane.

    Corriere.
    Per la Germania, Russia, Prussia, ecc. come nel lunedì, meno Parma e Piacenza, più per una parte della Romagna Toscana.
    Corriere. Per Roma, Napoli e per tutti gli altri luoghi indicati negli arrivi del lunedì, più per Massa Marittima.
    Corriere. Per l’Inghilterra, Francia, Spagna e per tutti gli altri luoghi indicati negli arrivi del lunedì, più per la Maremma pisana, Piombino ed Isola dell’Elba.
    Staffetta. Per Perugia, Marche, Foligno, e per tutti gli altri luoghi indicati negli arrivi del martedì.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.
    Procaccia. Per Greve.

    Nel giorno di Mercoledì a ore 4 pomeridiane.

    Staffetta.
    Per l’Inghilterra, Francia, Spagna e per gli altri luoghi indicati negli arrivi del mercoledì.
    Staffetta. Per la Germania, Russia, Prussia e per tutti gli altri luoghi come negli arrivi del mercoledì, più Parma e Piacenza.
    Staffetta. Per Roma, Napoli e per tutti gli altri luoghi indicati negli arrivi di domenica, meno Massa Marittima.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.

    Nel giorno di Giovedì a ore 4 pomeridiane.

    Corriere.
    Per la Germania, Russia, Prussia ecc. come nel martedì, più per Parma e Piacenza.
    Corriere. Per Roma, Napoli, Radicofani, Siena ecc. come nel martedì.
    Corriere. Per l’Inghilterra, Francia, Spagna, ecc. come nel martedì.
    Staffetta. Per Perugia, Marche, Foligno, ecc. come nel martedì.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.
    Procaccia. Per Greve.

    Nel giorno di Venerdì a ore 4 pomeridiane.

    Staffetta. Per l’Inghilterra, Francia, Spagna ecc. come nel martedì.
    Staffetta. Per Prato,
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    Pistoja e Pescia.
    Procaccia. Per Greve.

    Nel giorno di Sabato a ore 4 pomeridiane.

    Corriere. Per la Germania, Russia, Prussia ecc. come nel martedì, più per Parma e Piacenza.
    Corriere. Per Roma Napoli, Siena ecc. come nel martedì e giovedì.
    Corriere. Per Perugia, Marche, Foligno ecc. come nel martedì e giovedì.
    Staffetta. Per l’Inghilterra, Francia, Spagna ecc.come nel martedì.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.
    Procaccia. Per Greve.

    Nel giorno di Domenica a ore 4 pomeridiane.

    Corriere. Per L’Inghilterra, francia, Spagna ecc. come nel martedì, meno Bagnone, Pontremoli e Fivizzano.
    Staffetta. Per Ropma, Napoli, Siena ecc. come nel mercoledì.
    Staffetta. Per Prato, Pistoja e Pescia.

    Il rapporto tra la popolazione, il numero delle famiglie e quello della sua estensione territoriale che si offre quì appresso diposto in tavole sinottiche, direi col Gioja che considerato in se stesso e disgiunto da ogni altra notizia statistica diverrebbe diverrebbe una cognizione insignificante da cui ne teoriche ne pratiche conseguenze si potrebbero dedurre.
    Mas allorchè il Movimento della popolazione della Toscana Granducale sia preso in epoche diverse determinate e fra loro da una serie di anni disgiunte, potrebbe forse giovare a far conoscere in quali luoghi della Toscana il Movimento comparisce più progressivo dove si mostra quasi stazionario, ed anche retrogrado. – Dai quali Prospetti, allorchè siano fondati sopra dati meno incerti possibili, lo statista ed il politico possono esaminare, se tuttociò sia dipeso da circostanze fisiche o politiche, da malattie epidemiche, da un lungo periodo di pace, oppure dalla loro posizione più o meno favorita dalla natura del suolo, dalla vicinanza a lunghe strade rotabili, a fiumi, a canali, a laghi, a porti, e conseguentemente più
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    o meno a portata di passaggi o arrivi di merci, di persone ecc.
    ( ERRATA : Nel 1844 esistevano nel Granducato 1085 ecclesiastici secolari, 2684 regolari, e 3511 monache, talchè comprendendo le oblate, ascendevano a 7230 ecclesiastici de’due sessi.) Nel 1844 esistevano nel Granducato 10035 ecclesiastici secolari, 2634 regolari, e 3511 monache, talchè comprese fra queste le oblate, ascendevano fra i due sessi a 16180 ecclesiastici.

    MOVIMENTO della Popolazione del GRANDUCATO DI  TOSCANA dal 1837 al 1843 inclusive. – Vedere ‘Articolo GRANDUCATO Vol. II pag. 494.

    -ANNO 1837
    POPOLAZIONE: n° 1,451,523
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,422; femmine n° 26,178; totale n° 53,600
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,989; femmine n° 20,707; totale n° 41,696
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,538
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,130
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1838
    POPOLAZIONE: n° 1,466,752
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 25,839; femmine n° 24,687; totale n° 50,526
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,922; femmine n° 18,180; totale n° 37,102
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,028
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,391
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1839
    POPOLAZIONE: n° 1,481,079
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,659; femmine n° 26,204; totale n° 53,863
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 19,555; femmine n° 18,589; totale n° 34,144
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 8,811
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,580
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1840
    POPOLAZIONE: n° 1,494,991
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 26,702; femmine n° 25,139; totale n° 51,841
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 21,915; femmine n° 21,394; totale n° 43,309
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,418
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,608
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1841
    POPOLAZIONE: n° 1,489,980
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,290; femmine n° 25,945; totale n° 53,235
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 24,283; femmine n° 23,052; totale n° 47,335
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,749
    NUMERO
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    DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,632
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1842
    POPOLAZIONE: n° 1,498,854
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,966; femmine n° 26,404; totale n° 54,370
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 22,887; femmine n° 21,537; totale n° 44,424
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,723
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,594
    CENTENARJ: n° 11
    -ANNO 1843
    POPOLAZIONE: n° 1,513,826
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 29,098; femmine n° 27,529; totale n° 56,627
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 19,495; femmine n° 18,823; totale n° 38,318
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,524
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2,620
    CENTENARJ: n° 13

    STATO e MOVIMENTO della POPOLAZIONE, Numero delle  FAMIGLIE e della SUPERFICIE QUADRATA di ciascuna COMUNITA’ DELLA TOSCANA e della ROMAGNA GRANDUCALE a quattro epoche diverse. (1)

    COMPARTIMENTO FIORENTINO

    1. nome della Comunità: Bagno in Romagna
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 68386,62
    anno 1551: famiglie n° 1475, abitanti n° 8126
    anno 1745: famiglie n° 935, abitanti n° 4457
    anno 1833: famiglie n° 1153, abitanti n° 6452
    anno 1844: famiglie n° 1222, abitanti n° 6972
    2. nome della Comunità: Bagno a Ripoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22949,03
    anno 1551: famiglie n° 1136, abitanti n° 6644
    anno 1745: famiglie n° 1235, abitanti n° 9181
    anno 1833: famiglie n° 1958, abitanti n° 11617
    anno 1844: famiglie n° 2214, abitanti n° 13011
    3. nome della Comunità: Barberino di Mugello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 46134,16
    anno 1551: famiglie n° 841, abitanti n° 4728
    anno 1745: famiglie n° 892, abitanti n° 6040
    anno 1833: famiglie n° 1335, abitanti n° 8522
    anno 1844: famiglie n° 1436, abitanti n° 9366
    4. nome della Comunità: Barberino di Val d’Elsa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36082,31
    anno 1551: famiglie n° 719, abitanti n° 4976
    anno 1745: famiglie n°
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    724, abitanti n° 4763
    anno 1833: famiglie n° 1231, abitanti n° 7879
    anno 1844: famiglie n° 1504, abitanti n° 9332
    5. nome della Comunità: Borgo S. Lorenzo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43130,40
    anno 1551: famiglie n° 1253, abitanti n° 7095
    anno 1745: famiglie n° 1272, abitanti n° 8470
    anno 1833: famiglie n° 1763, abitanti n° 10551
    anno 1844: famiglie n° 1904, abitanti n° 11103
    6. nome della Comunità: Brozzi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4748,74
    anno 1551: famiglie n° 588, abitanti n° 3611
    anno 1745: famiglie n° 850, abitanti n° 4843
    anno 1833: famiglie n° 1439, abitanti n° 7815
    anno 1844: famiglie n° 1581, abitanti n° 8617
    7. nome della Comunità: Buggiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13306,86
    anno 1551: famiglie n° 516, abitanti n° 2210
    anno 1745: famiglie n° 955, abitanti n° 5813
    anno 1833: famiglie n° 1576, abitanti n° 9083
    anno 1844: famiglie n° 1689, abitanti n° 10078
    8. nome della Comunità: Calenzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21709,03
    anno 1551: famiglie n° 451, abitanti n° 3457
    anno 1745: famiglie n° 508, abitanti n° 4544
    anno 1833: famiglie n° 756, abitanti n° 5307
    anno 1844: famiglie n° 809, abitanti n° 5724
    9. nome della Comunità: Campi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8216,54
    anno 1551: famiglie n° 791, abitanti n° 5032
    anno 1745: famiglie n° 694, abitanti n° 5067
    anno 1833: famiglie n° 1476, abitanti n° 8957
    anno 1844: famiglie n° 1675, abitanti n° 9766
    10. nome della Comunità: Cantagallo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24586,12
    anno 1551: famiglie n° 579, abitanti n° 3393
    anno 1745: famiglie n° 806, abitanti n° 3598
    anno 1833: famiglie n° 895, abitanti n° 4702
    anno 1844: famiglie n° 573, abitanti n° 3382
    11. nome della Comunità: Capraja
    superficie quadrata della
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    Comunità in quadrati agrari: 7362,37
    anno 1551: famiglie n° 172, abitanti n° 900
    anno 1745: famiglie n° 220, abitanti n° 1209
    anno 1833: famiglie n° 368, abitanti n° 2203
    anno 1844: famiglie n° 479, abitanti n° 2707
    12. nome della Comunità: Carmignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12885,12
    anno 1551: famiglie n° 530, abitanti n° 3081
    anno 1745: famiglie n° 847, abitanti n° 4996
    anno 1833: famiglie n° 1368, abitanti n° 8012
    anno 1844: famiglie n° 1513, abitanti n° 8669
    13. nome della Comunità: S. Casciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31419,09
    anno 1551: famiglie n° 730, abitanti n° 5091
    anno 1745: famiglie n° 863, abitanti n° 5706
    anno 1833: famiglie n° 1651, abitanti n° 10273
    anno 1844: famiglie n° 1888, abitanti n° 11184
    14. nome della Comunità: Casellina e Torri
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15435,57
    anno 1551: famiglie n° 717, abitanti n° 4487
    anno 1745: famiglie n° 990, abitanti n° 6674
    anno 1833: famiglie n° 1588, abitanti n° 9393
    anno 1844: famiglie n° 1557, abitanti n° 9229
    15. nome della Comunità: Castelfiorentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14611,03
    anno 1551: famiglie n° 363, abitanti n° 1954
    anno 1745: famiglie n° 559, abitanti n° 3284
    anno 1833: famiglie n° 1056, abitanti n° 5776
    anno 1844: famiglie n° 1199, abitanti n° 6450
    16. nome della Comunità: Castelfranco di sotto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10872,09
    anno 1551: famiglie n° 220, abitanti n° 910
    anno 1745: famiglie n° 242, abitanti n° 1217
    anno 1833: famiglie n° 755, abitanti n° 4120
    anno 1844: famiglie n° 795, abitanti n° 4590
    17. nome della Comunità: Cerreto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14890,86
    anno 1551: famiglie n° 242, abitanti n° 1733
    anno 1745: famiglie n° 336, abitanti n° 2350
    anno 1833: famiglie n°
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    751, abitanti n° 4724
    anno 1844: famiglie n° 826, abitanti n° 5386
    18. nome della Comunità: Certaldo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21714,14
    anno 1551: famiglie n° 374, abitanti n° 2728
    anno 1745: famiglie n° 484, abitanti n° 3133
    anno 1833: famiglie n° 874, abitanti n° 5374
    anno 1844: famiglie n° 914, abitanti n° 5983
    19. nome della Comunità: S. Croce
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8052,91
    anno 1551: famiglie n° 213, abitanti n° 1214
    anno 1745: famiglie n° 617, abitanti n° 3869
    anno 1833: famiglie n° 1016, abitanti n° 5502
    anno 1844: famiglie n° 950, abitanti n° 5609
    20. nome della Comunità: Cutigliano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18956,65
    anno 1551: famiglie n° 336, abitanti n° 1855
    anno 1745: famiglie n° 330, abitanti n° 1337
    anno 1833: famiglie n° 421, abitanti n° 2199
    anno 1844: famiglie n° 366, abitanti n° 2511
    21. nome della Comunità: Dicomano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17474,40
    anno 1551: famiglie n° 234, abitanti n° 2173
    anno 1745: famiglie n° 364, abitanti n° 2082
    anno 1833: famiglie n° 494, abitanti n° 3619
    anno 1844: famiglie n° 625, abitanti n° 3849
    22. nome della Comunità: Dovadola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11362,74
    anno 1551: famiglie n° 282, abitanti n° 1606
    anno 1745: famiglie n° 248, abitanti n° 1133
    anno 1833: famiglie n° 401, abitanti n° 1865
    anno 1844: famiglie n° 451, abitanti n° 2217
    23. nome della Comunità: Empoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18163,48
    anno 1551: famiglie n° 841, abitanti n° 4910
    anno 1745: famiglie n° 1224, abitanti n° 7155
    anno 1833: famiglie n° 2315, abitanti n° 12489
    anno 1844: famiglie n° 2613, abitanti n° 14730
    24. nome della Comunità: Fiesole e Pellegrino ( unite per le prime due epoche )
    superficie quadrata
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    della Comunità in quadrati agrari: 16034,42
    anno 1551: famiglie n° 1150, abitanti n° 7401
    anno 1745: famiglie n° 1891, abitanti n° 10760
    anno 1833: famiglie n° 1493, abitanti n° 8129
    anno 1844: famiglie n° 1779, abitanti n° 9697
    25. nome della Comunità: Figline e Incisa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29043,99
    anno 1551: famiglie n° 810, abitanti n° 4462
    anno 1745: famiglie n° 1436, abitanti n° 9126
    anno 1833: famiglie n° 1897, abitanti n° 10758
    anno 1844: famiglie n° 2066, abitanti n° 12139
    26. nome della Comunità: FIRENZE
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1556,17
    anno 1551: famiglie n° 9771, abitanti n° 61897
    anno 1745: famiglie n° 17858, abitanti n° 73517
    anno 1833: famiglie n° 22872, abitanti n° 95927
    anno 1844: famiglie n° 24095, abitanti n° 106531
    27. nome della Comunità: Firenzuola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 80174,15
    anno 1551: famiglie n° 1285, abitanti n° 6474
    anno 1745: famiglie n° 1238, abitanti n° 6510
    anno 1833: famiglie n° 1528, abitanti n° 8311
    anno 1844: famiglie n° 1629, abitanti n° 9007
    28. nome della Comunità: Fucecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17794,34
    anno 1551: famiglie n° 363, abitanti n° 1958
    anno 1745: famiglie n° 1160, abitanti n° 5599
    anno 1833: famiglie n° 1855, abitanti n° 9783
    anno 1844: famiglie n° 2004, abitanti n° 10587
    29. nome della Comunità: Galeata
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22265,25
    anno 1551: famiglie n° 1081, abitanti n° 6067
    anno 1745: famiglie n° 356, abitanti n° 1927
    anno 1833: famiglie n° 536, abitanti n° 2809
    anno 1844: famiglie n° 585, abitanti n° 3026
    30. nome della Comunità: Galluzzo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20757,81
    anno 1551: famiglie n° 893, abitanti n° 5866
    anno 1745: famiglie n° 1489, abitanti n° 8949
    anno 1833: famiglie n° 2092, abitanti
  •    pag. 409 di 477
    n° 11724
    anno 1844: famiglie n° 2289, abitanti n° 12765
    31. nome della Comunità: S. Gaudenzio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29028,93
    anno 1551: famiglie n° 419, abitanti n° 1914
    anno 1745: famiglie n° 399, abitanti n° 2249
    anno 1833: famiglie n° 473, abitanti n° 2704
    anno 1844: famiglie n° 507, abitanti n° 3204
    32. nome della Comunità: Greve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 49053,05
    anno 1551: famiglie n° 975, abitanti n° 4865
    anno 1745: famiglie n° 1055, abitanti n° 6426
    anno 1833: famiglie n° 1561, abitanti n° 8951
    anno 1844: famiglie n° 1726, abitanti n° 9998
    33. nome della Comunità: Lamporecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13726,24
    anno 1551: famiglie n° 332, abitanti n° 2800
    anno 1745: famiglie n° 678, abitanti n° 3479
    anno 1833: famiglie n° 1044, abitanti n° 5943
    anno 1844: famiglie n° 1151, abitanti n° 6865
    34. nome della Comunità: Lastra a Signa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12586,70
    anno 1551: famiglie n° 316, abitanti n° 1727
    anno 1745: famiglie n° 781, abitanti n° 5321
    anno 1833: famiglie n° 1473, abitanti n° 7784
    anno 1844: famiglie n° 1658, abitanti n° 9039
    35. nome della Comunità: Legnaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7158,18
    anno 1551: famiglie n° 564, abitanti n° 3292
    anno 1745: famiglie n° 1303, abitanti n° 6740
    anno 1833: famiglie n° 1448, abitanti n° 8162
    anno 1844: famiglie n° 1521, abitanti n° 9276
    36. nome della Comunità: Londa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15643,61
    anno 1551: famiglie n° 330, abitanti n° 1595
    anno 1745: famiglie n° 343, abitanti n° 1942
    anno 1833: famiglie n° 357, abitanti n° 2214
    anno 1844: famiglie n° 375, abitanti n° 2328
    37. nome della Comunità: S. Marcello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25034,00
    anno 1551: famiglie
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    n° 727, abitanti n° 3610
    anno 1745: famiglie n° 729, abitanti n° 3539
    anno 1833: famiglie n° 843, abitanti n° 4805
    anno 1844: famiglie n° 826, abitanti n° 4705
    38. nome della Comunità: S. Maria a Monte
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 955,82
    anno 1551: famiglie n° 205, abitanti n° 934
    anno 1745: famiglie n° 345, abitanti n° 2094
    anno 1833: famiglie n° 517, abitanti n° 3129
    anno 1844: famiglie n° 588, abitanti n° 3621
    39. nome della Comunità: Marliana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12331,62
    anno 1551: famiglie n° 378, abitanti n° 1752
    anno 1745: famiglie n° 509, abitanti n° 2605
    anno 1833: famiglie n° 690, abitanti n° 3345
    anno 1844: famiglie n° 723, abitanti n° 3706
    40. nome della Comunità: Marradi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 45325,80
    anno 1551: famiglie n° 943, abitanti n° 5547
    anno 1745: famiglie n° 882, abitanti n° 3829
    anno 1833: famiglie n° 1248, abitanti n° 6582
    anno 1844: famiglie n° 1419, abitanti n° 7164
    41. nome della Comunità: Massa e Cozzile
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4711,27
    anno 1551: famiglie n° 259, abitanti n° 983
    anno 1745: famiglie n° 442, abitanti n° 1749
    anno 1833: famiglie n° 446, abitanti n° 2360
    anno 1844: famiglie n° 476, abitanti n° 2616
    42. nome della Comunità: S. Miniato
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32957,06
    anno 1551: famiglie n° 655, abitanti n° 3855
    anno 1745: famiglie n° 1149, abitanti n° 7614
    anno 1833: famiglie n° 2246, abitanti n° 13595
    anno 1844: famiglie n° 2436, abitanti n° 15059
    43. nome della Comunità: Modigliana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29714,07
    anno 1551: famiglie n° 543, abitanti n° 3430
    anno 1745: famiglie n° 575, abitanti n° 3073
    anno 1833: famiglie n° 879, abitanti n° 4774
    anno 1844: famiglie
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    n° 978, abitanti n° 5378
    44. nome della Comunità: Monsummano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 9528,30
    anno 1551: famiglie n° 290, abitanti n° 1267
    anno 1745: famiglie n° 558, abitanti n° 3062
    anno 1833: famiglie n° 854, abitanti n° 5209
    anno 1844: famiglie n° 995, abitanti n° 5794
    45. nome della Comunità: Montajone
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 59518,36
    anno 1551: famiglie n° 882, abitanti n° 5247
    anno 1745: famiglie n° 860, abitanti n° 5339
    anno 1833: famiglie n° 1274, abitanti n° 8103
    anno 1844: famiglie n° 1471, abitanti n° 9166
    46. nome della Comunità: Montale
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12883,24
    anno 1551: famiglie n° 377, abitanti n° 2493
    anno 1745: famiglie n° 695, abitanti n° 3734
    anno 1833: famiglie n° 1217, abitanti n° 6702
    anno 1844: famiglie n° 1306, abitanti n° 7209
    47. nome della Comunità: Monte Calvoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1703,83
    anno 1551: famiglie n° 50, abitanti n° 212
    anno 1745: famiglie n° 101, abitanti n° 603
    anno 1833: famiglie n° 211, abitanti n° 1140
    anno 1844: famiglie n° 224, abitanti n° 1305
    48. nome della Comunità: Monte Carlo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10490,88
    anno 1551: famiglie n° 366, abitanti n° 2043
    anno 1745: famiglie n° 910, abitanti n° 4806
    anno 1833: famiglie n° 1184, abitanti n° 6490
    anno 1844: famiglie n° 1294, abitanti n° 7268
    49. nome della Comunità: Montecatini di Val di Cecina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42092,40
    anno 1551: famiglie n° 391, abitanti n° 1807
    anno 1745: famiglie n° 285, abitanti n° 1430
    anno 1833: famiglie n° 448, abitanti n° 2618
    anno 1844: famiglie n° 495, abitanti n° 3055
    50. nome della Comunità: Montecatini di Val di Nievole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8823,06
    anno 1551:
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    famiglie n° 284, abitanti n° 984
    anno 1745: famiglie n° 643, abitanti n° 3328
    anno 1833: famiglie n° 917, abitanti n° 5322
    anno 1844: famiglie n° 1007, abitanti n° 5966
    51. nome della Comunità: Monte Lupo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7174,32
    anno 1551: famiglie n° 363, abitanti n° 1587
    anno 1745: famiglie n° 569, abitanti n° 3064
    anno 1833: famiglie n° 874, abitanti n° 4329
    anno 1844: famiglie n° 877, abitanti n° 4755
    52. nome della Comunità: Monte Murlo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8883,66
    anno 1551: famiglie n° 25, abitanti n° 182
    anno 1745: famiglie n° 253, abitanti n° 1846
    anno 1833: famiglie n° 365, abitanti n° 2350
    anno 1844: famiglie n° 384, abitanti n° 2494
    53. nome della Comunità: Monte Spertoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36260,19
    anno 1551: famiglie n° 568, abitanti n° 3765
    anno 1745: famiglie n° 621, abitanti n° 4179
    anno 1833: famiglie n° 975, abitanti n° 7046
    anno 1844: famiglie n° 1104, abitanti n° 7563
    54. nome della Comunità: Montopoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4286,67
    anno 1551: famiglie n° 174, abitanti n° 886
    anno 1745: famiglie n° 297, abitanti n° 1651
    anno 1833: famiglie n° 497, abitanti n° 2971
    anno 1844: famiglie n° 558, abitanti n° 3289
    55. nome della Comunità: Palazzuolo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31922,99
    anno 1551: famiglie n° 656, abitanti n° 3373
    anno 1745: famiglie n° 495, abitanti n° 2809
    anno 1833: famiglie n° 578, abitanti n° 3165
    anno 1844: famiglie n° 593, abitanti n° 3333
    56. nome della Comunità: Pelago
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29487,05
    anno 1551: famiglie n° 539, abitanti n° 3789
    anno 1745: famiglie n° 836, abitanti n° 5357
    anno 1833: famiglie n° 1267, abitanti n° 7956
    anno 1844: famiglie n° 1477,
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    abitanti n° 9332
    57. nome della Comunità: Pellegrino ( per le prime due epoche, vedere Fiesole)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6294,95
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 1177, abitanti n° 6585
    anno 1844: famiglie n° 1298, abitanti n° 7166
    58. nome della Comunità: Pescia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7643,78
    anno 1551: famiglie n° 1141, abitanti n° 4002
    anno 1745: famiglie n° 1362, abitanti n° 6368
    anno 1833: famiglie n° 2286, abitanti n° 11070
    anno 1844: famiglie n° 2477, abitanti n° 11845
    59. nome della Comunità: S. Piero a Sieve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10636,90
    anno 1551: famiglie n° 112, abitanti n° 861
    anno 1745: famiglie n° 210, abitanti n° 1647
    anno 1833: famiglie n° 426, abitanti n° 2861
    anno 1844: famiglie n° 459, abitanti n° 2916
    60. nome della Comunità: Pistoja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 366,64
    anno 1551: famiglie n° 1139, abitanti n° 6168
    anno 1745: famiglie n° 1903, abitanti n° 9226
    anno 1833: famiglie n° 2903, abitanti n° 11101
    anno 1844: famiglie n° 3003, abitanti n° 12332
    61. nome della Comunità: Piteglio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14584,63
    anno 1551: famiglie n° 479, abitanti n° 3161
    anno 1745: famiglie n° 388, abitanti n° 1772
    anno 1833: famiglie n° 596, abitanti n° 3136
    anno 1844: famiglie n° 595, abitanti n° 2971
    62. nome della Comunità: Pontassieve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33562,76
    anno 1551: famiglie n° 876, abitanti n° 3857
    anno 1745: famiglie n° 861, abitanti n° 5887
    anno 1833: famiglie n° 1306, abitanti n° 8771
    anno 1844: famiglie n° 1423, abitanti n° 9380
    63. nome della Comunità: Porta al Borgo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36764,50
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    /> anno 1551: famiglie n° 823, abitanti n° 4324
    anno 1745: famiglie n° 1742, abitanti n° 7785
    anno 1833: famiglie n° 2547, abitanti n° 12758
    anno 1844: famiglie n° 2761, abitanti n° 14769
    64. nome della Comunità: Porta Carratica
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6173,46
    anno 1551: famiglie n° 297, abitanti n° 1978
    anno 1745: famiglie n° 714, abitanti n° 3792
    anno 1833: famiglie n° 1152, abitanti n° 6578
    anno 1844: famiglie n° 1185, abitanti n° 6800
    65. nome della Comunità: Porta Lucchese
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7669,18
    anno 1551: famiglie n° 400, abitanti n° 2264
    anno 1745: famiglie n° 383, abitanti n° 2335
    anno 1833: famiglie n° 1024, abitanti n° 5553
    anno 1844: famiglie n° 994, abitanti n° 5672
    66. nome della Comunità: Porta S. Marco
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18996,48
    anno 1551: famiglie n° 548, abitanti n° 3350
    anno 1745: famiglie n° 745, abitanti n° 4061
    anno 1833: famiglie n° 1339, abitanti n° 7533
    anno 1844: famiglie n° 1421, abitanti n° 8420
    67. nome della Comunità: Portico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18089,06
    anno 1551: famiglie n° 386, abitanti n° 2121
    anno 1745: famiglie n° 279, abitanti n° 1490
    anno 1833: famiglie n° 319, abitanti n° 1915
    anno 1844: famiglie n° 385, abitanti n° 2120
    68. nome della Comunità: Prato
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38820,77
    anno 1551: famiglie n° 2348, abitanti n° 15224
    anno 1745: famiglie n° 3589, abitanti n° 19307
    anno 1833: famiglie n° 5718, abitanti n° 30288
    anno 1844: famiglie n° 6056, abitanti n° 32653
    69. nome della Comunità: Premilcuore
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 39052,75
    anno 1551: famiglie n° 323, abitanti n° 3040
    anno 1745: famiglie n° 348, abitanti n° 2139
    anno 1833: famiglie n° 444, abitanti n° 2674
    anno 1844:
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    famiglie n° 445, abitanti n° 2707
    70. nome della Comunità: Reggello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 35378,22
    anno 1551: famiglie n° 922, abitanti n° 5377
    anno 1745: famiglie n° 1174, abitanti n° 7522
    anno 1833: famiglie n° 1491, abitanti n° 9741
    anno 1844: famiglie n° 1539, abitanti n° 9921
    71. nome della Comunità: Rignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15821,81
    anno 1551: famiglie n° 385, abitanti n° 2637
    anno 1745: famiglie n° 403, abitanti n° 2959
    anno 1833: famiglie n° 658, abitanti n° 4540
    anno 1844: famiglie n° 684, abitanti n° 4629
    72. nome della Comunità: Rocca S. Casciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16158,24
    anno 1551: famiglie n° 349, abitanti n° 2283
    anno 1745: famiglie n° 287, abitanti n° 1513
    anno 1833: famiglie n° 494, abitanti n° 2567
    anno 1844: famiglie n° 587, abitanti n° 3077
    73. nome della Comunità: Rovezzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 2765,07
    anno 1551: famiglie n° 405, abitanti n° 2219
    anno 1745: famiglie n° 393, abitanti n° 2305
    anno 1833: famiglie n° 772, abitanti n° 4170
    anno 1844: famiglie n° 879, abitanti n° 4794
    74. nome della Comunità: Sambuca
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22967,59
    anno 1551: famiglie n° 248, abitanti n° 1379
    anno 1745: famiglie n° 521, abitanti n° 2797
    anno 1833: famiglie n° 520, abitanti n° 2632
    anno 1844: famiglie n° 953, abitanti n° 5913
    75. nome della Comunità: Scarperia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23352,66
    anno 1551: famiglie n° 500, abitanti n° 2940
    anno 1745: famiglie n° 505, abitanti n° 3198
    anno 1833: famiglie n° 806, abitanti n° 5243
    anno 1844: famiglie n° 867, abitanti n° 5332
    76. nome della Comunità: Serravalle
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12339,43
    anno 1551: famiglie n° 380, abitanti n° 2162
    anno
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    1745: famiglie n° 651, abitanti n° 3189
    anno 1833: famiglie n° 815, abitanti n° 4550
    anno 1844: famiglie n° 908, abitanti n° 5003
    77. nome della Comunità: Sesto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14770,05
    anno 1551: famiglie n° 759, abitanti n° 4137
    anno 1745: famiglie n° 986, abitanti n° 6011
    anno 1833: famiglie n° 1541, abitanti n° 8796
    anno 1844: famiglie n° 1740, abitanti n° 10073
    78. nome della Comunità: Signa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5251,37
    anno 1551: famiglie n° 284, abitanti n° 2004
    anno 1745: famiglie n° 556, abitanti n° 3355
    anno 1833: famiglie n° 998, abitanti n° 5654
    anno 1844: famiglie n° 1096, abitanti n° 6034
    79. nome della Comunità: S. Sofia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19292,73
    anno 1551: famiglie n° 422, abitanti n° 2355
    anno 1745: famiglie n° 393, abitanti n° 1795
    anno 1833: famiglie n° 474, abitanti n° 2504
    anno 1844: famiglie n° 591, abitanti n° 2921
    80. nome della Comunità: Sorbano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11079,29
    anno 1551: famiglie n° 256, abitanti n° 1337
    anno 1745: famiglie n° 163, abitanti n° 708
    anno 1833: famiglie n° 186, abitanti n° 977
    anno 1844: famiglie n° 196, abitanti n° 1034
    81. nome della Comunità: Terra del Sole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10362,66
    anno 1551: famiglie n° 406, abitanti n° 2120
    anno 1745: famiglie n° 296, abitanti n° 1952
    anno 1833: famiglie n° 691, abitanti n° 3241
    anno 1844: famiglie n° 788, abitanti n° 3583
    82. nome della Comunità: Tizzana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13344,87
    anno 1551: famiglie n° 510, abitanti n° 3122
    anno 1745: famiglie n° 1046, abitanti n° 5725
    anno 1833: famiglie n° 1287, abitanti n° 7319
    anno 1844: famiglie n° 1358, abitanti n° 7764
    83. nome della Comunità:
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    Tredozio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18335,87
    anno 1551: famiglie n° 433, abitanti n° 2297
    anno 1745: famiglie n° 306, abitanti n° 1784
    anno 1833: famiglie n° 359, abitanti n° 2123
    anno 1844: famiglie n° 456, abitanti n° 2505
    84. nome della Comunità: Uzzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3701,13
    anno 1551: famiglie n° 369, abitanti n° 1496
    anno 1745: famiglie n° 648, abitanti n° 3386
    anno 1833: famiglie n° 637, abitanti n° 3412
    anno 1844: famiglie n° 733, abitanti n° 4010
    85. nome della Comunità: Vaglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16657,07
    anno 1551: famiglie n° 340, abitanti n° 1844
    anno 1745: famiglie n° 227, abitanti n° 2007
    anno 1833: famiglie n° 362, abitanti n° 2689
    anno 1844: famiglie n° 426, abitanti n° 2758
    86. nome della Comunità: Vellano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7284,05
    anno 1551: famiglie n° 338, abitanti n° 1856
    anno 1745: famiglie n° 455, abitanti n° 2049
    anno 1833: famiglie n° 563, abitanti n° 2522
    anno 1844: famiglie n° 599, abitanti n° 2829
    87. nome della Comunità: Vernio (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16118,53
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 655, abitanti n° 3616
    anno 1844: famiglie n° 687, abitanti n° 4010
    88. nome della Comunità: Vicchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43244,12
    anno 1551: famiglie n° 1002, abitanti n° 5362
    anno 1745: famiglie n° 792, abitanti n° 5106
    anno 1833: famiglie n° 1405, abitanti n° 9001
    anno 1844: famiglie n° 1538, abitanti n° 9645
    89. nome della Comunità: Vinci
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15302,29
    anno 1551: famiglie n° 397, abitanti n° 2620
    anno 1745: famiglie n° 571, abitanti n° 3496
    anno 1833: famiglie n°
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    902, abitanti n° 5526
    anno 1844: famiglie n° 919, abitanti n° 5827
    90. nome della Comunità: Volterra
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 82781,97
    anno 1551: famiglie n° 1267, abitanti n° 6089
    anno 1745: famiglie n° 1133, abitanti n° 6556
    anno 1833: famiglie n° 1647, abitanti n° 10058
    anno 1844: famiglie n° 1773, abitanti n° 11329
    91. nome della Comunità: Verghereto (2)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 34834,19
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 370, abitanti n° 2166

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1909746,76
    - TOTALE anno 1551: famiglie n° 59411, abitanti n° 345964
    - TOTALE anno 1745: famiglie n° 81906, abitanti n° 442399
    - TOTALE anno 1833: famiglie n° 121296, abitanti n° 653328
    - TOTALE anno 1844: famiglie n° 131556, abitanti n° 721723

    (1) La prima epoca per lo Stato vecchio, cioò per il Fiorentino e pel Pisano, è quella del 1551 , la seconda epoca è del 1745 , la terza del 1833 e l’ultima del 1844 . Per lo Stato nuovo, ossia per lo Stato Senese, la prima epoca è quella del 1640 , le altre sono eguali a quelle dello Stato vecchio.

    (2) La Comunità di Verghereto contrassegnata di nota (2) nell’ultima epoca spetta al Compartimento Fiorentino, dove è stata collocata la superficie quadrata del suo territorio, mentre per le tre epoche precedenti la popolazione e le famiglie trovansi registrate nel Compartimento Aretino.

    (A) La Comunità di Vernio contrassegnata con lettera (A) nelle prime due epoche manca essendo stata feudo imperiale.
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    />
    COMPATIMENTO PISANO

    1. nome della Comunità: Albiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3520,67
    anno 1551: famiglie n° 153, abitanti n° 704
    anno 1745: famiglie n° 189, abitanti n° 924
    anno 1833: famiglie n° 213, abitanti n° 1015
    anno 1844: famiglie n° 220, abitanti n° 1189
    2. nome della Comunità: Bagni di S. Giuliano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27112,87
    anno 1551: famiglie n° 796, abitanti n° 4109
    anno 1745: famiglie n° 1025, abitanti n° 6246
    anno 1833: famiglie n° 2093, abitanti n° 13631
    anno 1844: famiglie n° 2339, abitanti n° 15533
    3. nome della Comunità: Bagnone
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18239,88
    anno 1551: famiglie n° 610, abitanti n° 2725
    anno 1745: famiglie n° 858, abitanti n° 4444
    anno 1833: famiglie n° 909, abitanti n° 5617
    anno 1844: famiglie n° 778, abitanti n° 4805
    4. nome della Comunità: Barga
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22421,03
    anno 1551: famiglie n° 825, abitanti n° 3895
    anno 1745: famiglie n° 1037, abitanti n° 4930
    anno 1833: famiglie n° 1181, abitanti n° 6790
    anno 1844: famiglie n° 1254, abitanti n° 7152
    5. nome della Comunità: Bibbona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25807,92
    anno 1551: famiglie n° 132, abitanti n° 506
    anno 1745: famiglie n° 89, abitanti n° 312
    anno 1833: famiglie n° 172, abitanti n° 814
    anno 1844: famiglie n° 287, abitanti n° 1527
    6. nome della Comunità: Bientina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8526,55
    anno 1551: famiglie n° 158, abitanti n° 700
    anno 1745: famiglie n° 269, abitanti n° 1548
    anno 1833: famiglie n° 370, abitanti n° 2175
    anno 1844: famiglie n° 417, abitanti n° 2427
    7. nome della Comunità: Calcinaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4136,58
    anno 1551: famiglie n° 70, abitanti n° 557
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    /> anno 1745: famiglie n° 176, abitanti n° 1142
    anno 1833: famiglie n° 465, abitanti n° 2745
    anno 1844: famiglie n° 545, abitanti n° 3169
    8. nome della Comunità: Calice (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12826,67
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 448, abitanti n° 2732
    anno 1844: famiglie n° 496, abitanti n° 3000
    9. nome della Comunità: Campiglia (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33582,12
    anno 1551: famiglie n° 232, abitanti n° 887
    anno 1745: famiglie n° 215, abitanti n° 773
    anno 1833: famiglie n° 532, abitanti n° 2141
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    10. nome della Comunità: Capannoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6636,54
    anno 1551: famiglie n° 148, abitanti n° 777
    anno 1745: famiglie n° 186, abitanti n° 1212
    anno 1833: famiglie n° 356, abitanti n° 2395
    anno 1844: famiglie n° 386, abitanti n° 2620
    11. nome della Comunità: Caprio (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5492,47
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 192, abitanti n° 1128
    anno 1833: famiglie n° 194, abitanti n° 1155
    anno 1844: famiglie n° 210, abitanti n° 1281
    12. nome della Comunità: Casale
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4219,92
    anno 1551: famiglie n° 50, abitanti n° 245
    anno 1745: famiglie n° 73, abitanti n° 315
    anno 1833: famiglie n° 166, abitanti n° 817
    anno 1844: famiglie n° 183, abitanti n° 938
    13. nome della Comunità: Cascina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23150,50
    anno 1551: famiglie n° 687, abitanti n° 3589
    anno 1745: famiglie n° 1299, abitanti n° 7879
    anno 1833: famiglie n° 2473, abitanti n° 14405
    anno 1844: famiglie n° 2756, abitanti n° 16367
    14. nome della
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    Comunità: Casola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12611,56
    anno 1551: famiglie n° 426, abitanti n° 2026
    anno 1745: famiglie n° 325, abitanti n° 1900
    anno 1833: famiglie n° 431, abitanti n° 2477
    anno 1844: famiglie n° 456, abitanti n° 2573
    15. nome della Comunità: Castellina Marittima
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13303,78
    anno 1551: famiglie n° 33, abitanti n° 284
    anno 1745: famiglie n° 86, abitanti n° 380
    anno 1833: famiglie n° 217, abitanti n° 1284
    anno 1844: famiglie n° 240, abitanti n° 1365
    16. nome della Comunità: Castelnuovo di Val di Cecina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18724,31
    anno 1551: famiglie n° 339, abitanti n° 1711
    anno 1745: famiglie n° 293, abitanti n° 1207
    anno 1833: famiglie n° 419, abitanti n° 2281
    anno 1844: famiglie n° 469, abitanti n° 2549
    17. nome della Comunità: Chianni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18087,03
    anno 1551: famiglie n° 215, abitanti n° 1044
    anno 1745: famiglie n° 234, abitanti n° 993
    anno 1833: famiglie n° 377, abitanti n° 1996
    anno 1844: famiglie n° 423, abitanti n° 2532
    18. nome della Comunità: Colle Salvetti
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36717,04
    anno 1551: famiglie n° 190, abitanti n° 808
    anno 1745: famiglie n° 355, abitanti n° 2209
    anno 1833: famiglie n° 757, abitanti n° 5517
    anno 1844: famiglie n° 874, abitanti n° 6306
    19. nome della Comunità: Fauglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20126,75
    anno 1551: famiglie n° 197, abitanti n° 742
    anno 1745: famiglie n° 544, abitanti n° 3365
    anno 1833: famiglie n° 756, abitanti n° 4936
    anno 1844: famiglie n° 875, abitanti n° 5740
    20. nome della Comunità: Filattiera (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4260,64
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 116,
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    abitanti n° 518
    anno 1833: famiglie n° 129, abitanti n° 835
    anno 1844: famiglie n° 145, abitanti n° 842
    21. nome della Comunità: Fivizzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 66575,62
    anno 1551: famiglie n° 1870, abitanti n° 9929
    anno 1745: famiglie n° 1796, abitanti n° 9981
    anno 1833: famiglie n° 2167, abitanti n° 12672
    anno 1844: famiglie n° 2378, abitanti n° 13679
    22. nome della Comunità: Gherardesca
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 41330,82
    anno 1551: famiglie n° 156, abitanti n° 573
    anno 1745: famiglie n° 48, abitanti n° 147
    anno 1833: famiglie n° 477, abitanti n° 2476
    anno 1844: famiglie n° 587, abitanti n° 3030
    23. nome della Comunità: Groppoli (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3580,37
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 131, abitanti n° 712
    anno 1844: famiglie n° 129, abitanti n° 727
    24. nome della Comunità: Guardistallo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6909,31
    anno 1551: famiglie n° 90, abitanti n° 428
    anno 1745: famiglie n° 76, abitanti n° 415
    anno 1833: famiglie n° 223, abitanti n° 1140
    anno 1844: famiglie n° 238, abitanti n° 1406
    25. nome della Comunità: Lajatico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17425,27
    anno 1551: famiglie n° 127, abitanti n° 677
    anno 1745: famiglie n° 156, abitanti n° 938
    anno 1833: famiglie n° 248, abitanti n° 1334
    anno 1844: famiglie n° 298, abitanti n° 1694
    26. nome della Comunità: Lari
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23660,66
    anno 1551: famiglie n° 474, abitanti n° 2027
    anno 1745: famiglie n° 784, abitanti n° 4279
    anno 1833: famiglie n° 1322, abitanti n° 7808
    anno 1844: famiglie n° 1459, abitanti n° 8965
    27. nome della Comunità: Livorno
    superficie quadrata della Comunità in
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    quadrati agrari: 27878,55
    anno 1551: famiglie n° 191, abitanti n° 749
    anno 1745: famiglie n° 4862, abitanti n° 34870
    anno 1833: famiglie n° 11958, abitanti n° 75273
    anno 1844: famiglie n° 14963, abitanti n° 79890
    28. nome della Comunità: Longone (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 54199,76
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 598, abitanti n° 2957
    anno 1844: famiglie n° 672, abitanti n° 3240
    29. nome della Comunità: Lorenzana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5761,86
    anno 1551: famiglie n° 79, abitanti n° 345
    anno 1745: famiglie n° 150, abitanti n° 817
    anno 1833: famiglie n° 214, abitanti n° 1377
    anno 1844: famiglie n° 236, abitanti n° 1445
    30. nome della Comunità: S. Luce
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19643,74
    anno 1551: famiglie n° 154, abitanti n° 734
    anno 1745: famiglie n° 143, abitanti n° 679
    anno 1833: famiglie n° 280, abitanti n° 1894
    anno 1844: famiglie n° 298, abitanti n° 2058
    31. nome della Comunità: Marciana (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32774,14
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 1254, abitanti n° 5900
    anno 1844: famiglie n° 1366, abitanti n° 6539
    32. nome della Comunità: Monte Scudajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5752,73
    anno 1551: famiglie n° 114, abitanti n° 616
    anno 1745: famiglie n° 113, abitanti n° 403
    anno 1833: famiglie n° 196, abitanti n° 930
    anno 1844: famiglie n° 202, abitanti n° 1059
    33. nome della Comunità: Monteverdi (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28421,47
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 100, abitanti n° 472
    anno 1833: famiglie n° 132, abitanti
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    n° 768
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    34. nome della Comunità: Orciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3571,19
    anno 1551: famiglie n° 24, abitanti n° 98
    anno 1745: famiglie n° 43, abitanti n° 207
    anno 1833: famiglie n° 119, abitanti n° 717
    anno 1844: famiglie n° 126, abitanti n° 779
    35. nome della Comunità: Palaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26463,84
    anno 1551: famiglie n° 763, abitanti n° 3955
    anno 1745: famiglie n° 798, abitanti n° 5180
    anno 1833: famiglie n° 1239, abitanti n° 8345
    anno 1844: famiglie n° 1362, abitanti n° 9196
    36. nome della Comunità: Peccioli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27008,01
    anno 1551: famiglie n° 497, abitanti n° 2681
    anno 1745: famiglie n° 446, abitanti n° 2807
    anno 1833: famiglie n° 763, abitanti n° 5015
    anno 1844: famiglie n° 848, abitanti n° 5654
    37. nome della Comunità: Pietrasanta
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14509,00
    anno 1551: famiglie n° 132, abitanti n° 2036
    anno 1745: famiglie n° 808, abitanti n° 3810
    anno 1833: famiglie n° 1535, abitanti n° 7772
    anno 1844: famiglie n° 1808, abitanti n° 8895
    38. nome della Comunità: Piombino (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40680,01
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 328, abitanti n° 1583
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    39. nome della Comunità: PISA
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 58972,95
    anno 1551: famiglie n° 2276, abitanti n° 11849
    anno 1745: famiglie n° 3673, abitanti n° 18597
    anno 1833: famiglie n° 7604, abitanti n° 37227
    anno 1844: famiglie n° 8416, abitanti n° 43121
    40. nome della Comunità: Pomarance
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 73535,94
    anno 1551: famiglie n° 749, abitanti
  •    pag. 425 di 477
    n° 3251
    anno 1745: famiglie n° 559, abitanti n° 2496
    anno 1833: famiglie n° 809, abitanti n° 4834
    anno 1844: famiglie n° 921, abitanti n° 5670
    41. nome della Comunità: Ponsacco
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5811,67
    anno 1551: famiglie n° 129, abitanti n° 730
    anno 1745: famiglie n° 228, abitanti n° 1536
    anno 1833: famiglie n° 416, abitanti n° 2604
    anno 1844: famiglie n° 476, abitanti n° 3039
    42. nome della Comunità: Ponte d’Era
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10844,40
    anno 1551: famiglie n° 248, abitanti n° 1385
    anno 1745: famiglie n° 660, abitanti n° 4280
    anno 1833: famiglie n° 1421, abitanti n° 7843
    anno 1844: famiglie n° 1569, abitanti n° 8565
    43. nome della Comunità: Pontremoli (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 41263,62
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 1528, abitanti n° 8276
    anno 1833: famiglie n° 1672, abitanti n° 9230
    anno 1844: famiglie n° 1736, abitanti n° 10165
    44. nome della Comunità: Portoferrajo (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 9769,40
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 722, abitanti n° 2978
    anno 1833: famiglie n° 940, abitanti n° 4193
    anno 1844: famiglie n° 994, abitanti n° 4606
    45. nome della Comunità: Rio (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10382,68
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 759, abitanti n° 3557
    anno 1844: famiglie n° 903, abitanti n° 4063
    46. nome della Comunità: Riparbella
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22997,76
    anno 1551: famiglie n° 59, abitanti n° 330
    anno 1745: famiglie n° 82, abitanti n° 292
    anno 1833: famiglie n° 223, abitanti n° 1112
    anno 1844: famiglie n° 307, abitanti n° 1809
  •    pag. 426 di 477
    /> 47. nome della Comunità: Rosignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31542,75
    anno 1551: famiglie n° 167, abitanti n° 664
    anno 1745: famiglie n° 275, abitanti n° 852
    anno 1833: famiglie n° 720, abitanti n° 3928
    anno 1844: famiglie n° 878, abitanti n° 4876
    48. nome della Comunità: Sassetta (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7672,24
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 62, abitanti n° 253
    anno 1833: famiglie n° 143, abitanti n° 689
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    49. nome della Comunità: Seravezza
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11619,64
    anno 1551: famiglie n° 583, abitanti n° 2482
    anno 1745: famiglie n° 882, abitanti n° 3971
    anno 1833: famiglie n° 1147, abitanti n° 6027
    anno 1844: famiglie n° 1344, abitanti n° 6718
    50. nome della Comunità: Stazzema
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22400,40
    anno 1551: famiglie n° 498, abitanti n° 2477
    anno 1745: famiglie n° 828, abitanti n° 3940
    anno 1833: famiglie n° 1070, abitanti n° 5513
    anno 1844: famiglie n° 1179, abitanti n° 6116
    51. nome della Comunità: Suvereto (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27080,29
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 175, abitanti n° 755
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    52. nome della Comunità: Terrarossa (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5798,12
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 55, abitanti n° 388
    anno 1833: famiglie n° 74, abitanti n° 407
    anno 1844: famiglie n° 300, abitanti n° 1750
    53. nome della Comunità: Terricciuola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12648,82
    anno 1551: famiglie n° 194, abitanti n° 1066
    anno 1745: famiglie n° 303, abitanti
  •    pag. 427 di 477
    n° 1694
    anno 1833: famiglie n° 480, abitanti n° 2815
    anno 1844: famiglie n° 514, abitanti n° 3285
    54. nome della Comunità: Vecchiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19339,11
    anno 1551: famiglie n° 271, abitanti n° 1399
    anno 1745: famiglie n° 372, abitanti n° 1822
    anno 1833: famiglie n° 748, abitanti n° 4989
    anno 1844: famiglie n° 840, abitanti n° 5403
    55. nome della Comunità: Vico Pisano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16317,46
    anno 1551: famiglie n° 629, abitanti n° 3129
    anno 1745: famiglie n° 1004, abitanti n° 5268
    anno 1833: famiglie n° 1613, abitanti n° 9480
    anno 1844: famiglie n° 1918, abitanti n° 10811
    56. nome della Comunità: Zeri (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33446,66
    anno 1551: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 423, abitanti n° 2376
    anno 1833: famiglie n° 678, abitanti n° 4068
    anno 1844: famiglie n° 742, abitanti n° 4628

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1148095,09
    - TOTALE anno 1551: famiglie n° 15735, abitanti n° 78919
    - TOTALE anno 1745: famiglie n° 29540, abitanti n° 165441
    - TOTALE anno 1833: famiglie n° 56534, abitanti n° 323838
    - TOTALE anno 1844: famiglie n° 63363, abitanti n° 354806

    (A) Le Comunità segnate di lettera (A) mancano della prima e alcune della seconda epoca.
    (B) Le Comunità di Campiglia, Monteverdi, Piombino, Sassetta e Suvereto contrassegnate di lettera (B) nell’ultima epoca spettano al Compartimento di Grosseto ove trovasi indicata la loro popolazione ed il numero delle famiglie sotto l’anno 1844.


    COMPARTIMENTO SENESE

    1. nome della Comunità: Asciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 63285,36
    anno 1640: famiglie n° 492, abitanti n° 3679
    anno 1745: famiglie n° 714, abitanti n° 4192
    anno 1833:
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    famiglie n° 1030, abitanti n° 6356
    anno 1844: famiglie n° 1101, abitanti n° 6575
    2. nome della Comunità: Badia S. Salvadore
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27024,05
    anno 1640: famiglie n° 549, abitanti n° 2421
    anno 1745: famiglie n° 482, abitanti n° 2025
    anno 1833: famiglie n° 851, abitanti n° 4149
    anno 1844: famiglie n° 925, abitanti n° 4224
    3. nome della Comunità: Buonconvento
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18765,25
    anno 1640: famiglie n° 199, abitanti n° 1821
    anno 1745: famiglie n° 296, abitanti n° 1525
    anno 1833: famiglie n° 440, abitanti n° 2579
    anno 1844: famiglie n° 455, abitanti n° 2586
    4. nome della Comunità: S. Casciano de’Bagni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26795,21
    anno 1640: famiglie n° 407, abitanti n° 2500
    anno 1745: famiglie n° 381, abitanti n° 1711
    anno 1833: famiglie n° 548, abitanti n° 2747
    anno 1844: famiglie n° 547, abitanti n° 2882
    5. nome della Comunità: Casole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43279,75
    anno 1640: famiglie n° 403, abitanti n° 3130
    anno 1745: famiglie n° 523, abitanti n° 3103
    anno 1833: famiglie n° 628, abitanti n° 3949
    anno 1844: famiglie n° 616, abitanti n° 4016
    6. nome della Comunità: Castellina in Chianti (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28926,29
    anno 1640: famiglie n° 317, abitanti n° 2183
    anno 1745: famiglie n° 339, abitanti n° 2563
    anno 1833: famiglie n° 409, abitanti n° 2995
    anno 1844: famiglie n° 448, abitanti n° 3365
    7. nome della Comunità: Castelnuovo Berardenga
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 51957,03
    anno 1640: famiglie n° 431, abitanti n° 3033
    anno 1745: famiglie n° 874, abitanti n° 5569
    anno 1833: famiglie n° 1101, abitanti n° 7124
    anno 1844: famiglie n° 1107, abitanti n° 7253
    8. nome della Comunità: Castiglion d’Orcia
    superficie quadrata
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    della Comunità in quadrati agrari: 31727,41
    anno 1640: famiglie n° 549, abitanti n° 2421
    anno 1745: famiglie n° 210, abitanti n° 1021
    anno 1833: famiglie n° 309, abitanti n° 1710
    anno 1844: famiglie n° 313, abitanti n° 1879
    9. nome della Comunità: Cavriglia (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17687,97
    anno 1640: famiglie n° 415, abitanti n° 2440
    anno 1745: famiglie n° 427, abitanti n° 2880
    anno 1833: famiglie n° 540, abitanti n° 3617
    anno 1844: famiglie n° 614, abitanti n° 3905
    10. nome della Comunità: Chiusdino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40516,66
    anno 1640: famiglie n° 438, abitanti n° 1568
    anno 1745: famiglie n° 391, abitanti n° 1959
    anno 1833: famiglie n° 559, abitanti n° 3343
    anno 1844: famiglie n° 459, abitanti n° 3048
    11. nome della Comunità: Colle (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26741,47
    anno 1640: famiglie n° 859, abitanti n° 4564
    anno 1745: famiglie n° 713, abitanti n° 3804
    anno 1833: famiglie n° 953, abitanti n° 5417
    anno 1844: famiglie n° 1080, abitanti n° 6163
    12. nome della Comunità: Elci (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19655,39
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 171, abitanti n° 1145
    anno 1833: famiglie n° 164, abitanti n° 1221
    anno 1844: famiglie n° 157, abitanti n° 1199
    13. nome della Comunità: Gajole (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 37596,05
    anno 1640: famiglie n° 474, abitanti n° 2882
    anno 1745: famiglie n° 570, abitanti n° 3887
    anno 1833: famiglie n° 683, abitanti n° 4389
    anno 1844: famiglie n° 743, abitanti n° 4577
    14. nome della Comunità: S. Gimignano (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40726,46
    anno 1640: famiglie n° 788, abitanti n° 4168
    anno 1745: famiglie n° 597, abitanti n° 3573
    anno 1833:
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    famiglie n° 1061, abitanti n° 6067
    anno 1844: famiglie n° 1045, abitanti n° 6486
    15. nome della Comunità: S. Giovanni d’Asso
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14410,00
    anno 1640: famiglie n° 169, abitanti n° 1392
    anno 1745: famiglie n° 233, abitanti n° 1119
    anno 1833: famiglie n° 239, abitanti n° 1326
    anno 1844: famiglie n° 236, abitanti n° 1404
    16. nome della Comunità: Masse di Città
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16828,15
    anno 1640: famiglie n° 882, abitanti n° 3879
    anno 1745: famiglie n° 554, abitanti n° 2263
    anno 1833: famiglie n° 670, abitanti n° 4234
    anno 1844: famiglie n° 624, abitanti n° 4069
    17. nome della Comunità: Masse di S. Martino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17364,68
    anno 1640: famiglie n° 797, abitanti n° 2522
    anno 1745: famiglie n° 567, abitanti n° 3142
    anno 1833: famiglie n° 694, abitanti n° 4359
    anno 1844: famiglie n° 719, abitanti n° 4457
    18. nome della Comunità: Montalcino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 69764,47
    anno 1640: famiglie n° 752, abitanti n° 5868
    anno 1745: famiglie n° 954, abitanti n° 4520
    anno 1833: famiglie n° 1211, abitanti n° 6490
    anno 1844: famiglie n° 1256, abitanti n° 6570
    19. nome della Comunità: Monteriggioni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28939,69
    anno 1640: famiglie n° 269, abitanti n° 1943
    anno 1745: famiglie n° 431, abitanti n° 3172
    anno 1833: famiglie n° 386, abitanti n° 3033
    anno 1844: famiglie n° 430, abitanti n° 3236
    20. nome della Comunità: Monteroni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 30981,62
    anno 1640: famiglie n° 150, abitanti n° 1147
    anno 1745: famiglie n° 254, abitanti n° 1722
    anno 1833: famiglie n° 312, abitanti n° 2364
    anno 1844: famiglie n° 454, abitanti n° 3332
    21. nome della Comunità: Monticiano
    superficie quadrata della Comunità
  •    pag. 431 di 477
    in quadrati agrari: 31850,80
    anno 1640: famiglie n° 152, abitanti n° 652
    anno 1745: famiglie n° 233, abitanti n° 978
    anno 1833: famiglie n° 166, abitanti n° 1031
    anno 1844: famiglie n° 381, abitanti n° 2077
    22. nome della Comunità: Montieri (B) Vedere COMPARTIMENTO GROSSETANO
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31193,45
    anno 1640: famiglie n° 423, abitanti n° 1885
    anno 1745: famiglie n° 399, abitanti n° 1545
    anno 1833: famiglie n° 525, abitanti n° 2564
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -
    23. nome della Comunità: Murlo (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33380,22
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 307, abitanti n° 1538
    anno 1833: famiglie n° 324, abitanti n° 1802
    anno 1844: famiglie n° 426, abitanti n° 2301
    24. nome della Comunità: Pian Castagnajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20312,05
    anno 1640: famiglie n° 258, abitanti n° 1205
    anno 1745: famiglie n° 262, abitanti n° 1125
    anno 1833: famiglie n° 544, abitanti n° 2623
    anno 1844: famiglie n° 524, abitanti n° 2848
    25. nome della Comunità: Pienza
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 35809,18
    anno 1640: famiglie n° 409, abitanti n° 2712
    anno 1745: famiglie n° 438, abitanti n° 2141
    anno 1833: famiglie n° 522, abitanti n° 2969
    anno 1844: famiglie n° 501, abitanti n° 2873
    26. nome della Comunità: Poggibonsi (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20525,67
    anno 1640: famiglie n° 540, abitanti n° 3021
    anno 1745: famiglie n° 509, abitanti n° 2805
    anno 1833: famiglie n° 921, abitanti n° 5427
    anno 1844: famiglie n° 1068, abitanti n° 6271
    27. nome della Comunità: S. Quirico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12412,95
    anno 1640: famiglie n° 214, abitanti n° 1699
    anno 1745: famiglie n° 164, abitanti n° 1051
  •    pag. 432 di 477
    /> anno 1833: famiglie n° 326, abitanti n° 1587
    anno 1844: famiglie n° 338, abitanti n° 1647
    28. nome della Comunità: Radda (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23372,89
    anno 1640: famiglie n° 360, abitanti n° 2107
    anno 1745: famiglie n° 370, abitanti n° 2241
    anno 1833: famiglie n° 424, abitanti n° 2608
    anno 1844: famiglie n° 458, abitanti n° 3021
    29. nome della Comunità: Radicofani
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24647,89
    anno 1640: famiglie n° 301, abitanti n° 1936
    anno 1745: famiglie n° 270, abitanti n° 1284
    anno 1833: famiglie n° 451, abitanti n° 2416
    anno 1844: famiglie n° 429, abitanti n° 2535
    30. nome della Comunità: Radicondoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29445,45
    anno 1640: famiglie n° 161, abitanti n° 1197
    anno 1745: famiglie n° 256, abitanti n° 1357
    anno 1833: famiglie n° 325, abitanti n° 1974
    anno 1844: famiglie n° 328, abitanti n° 2162
    31. nome della Comunità: Rapolano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24057,02
    anno 1640: famiglie n° 267, abitanti n° 2070
    anno 1745: famiglie n° 446, abitanti n° 2384
    anno 1833: famiglie n° 508, abitanti n° 3252
    anno 1844: famiglie n° 563, abitanti n° 3520
    32. nome della Comunità: SIENA
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 484,23
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° 15998
    anno 1745: famiglie n° 3242, abitanti n° 15541
    anno 1833: famiglie n° 4633, abitanti n° 18860
    anno 1844: famiglie n° 4671, abitanti n° 20588
    33. nome della Comunità: Sovicille
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42149,95
    anno 1640: famiglie n° 534, abitanti n° 4002
    anno 1745: famiglie n° 1103, abitanti n° 5918
    anno 1833: famiglie n° 1162, abitanti n° 7373
    anno 1844: famiglie n° 1006, abitanti n° 6605
    34. nome della Comunità: Trequanda
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23744,72
  •    pag. 433 di 477
    /> anno 1640: famiglie n° 257, abitanti n° 1902
    anno 1745: famiglie n° 328, abitanti n° 1530
    anno 1833: famiglie n° 441, abitanti n° 2365
    anno 1844: famiglie n° 584, abitanti n° 2909

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1006361,43
    - TOTALE anno 1640: famiglie n° 13207, abitanti n° 93947
    - TOTALE anno 1745: famiglie n° 18004, abitanti n° 96334
    - TOTALE anno 1833: famiglie n° 24060, abitanti n° 134320
    - TOTALE anno 1844: famiglie n° 24606, abitanti n° 140583

    (A) Le Comunità di Elci e Murlo non compariscono nella prima epoca per essere state feudali.
    (B) La Comunità di Montieri per la popolazione e famiglie dell’ultima epoca è descritta sotto il Compartimento Grossetano cui attualmente appartiene.
    (C) La popolazione e le famiglie della prima epoca delle Comunità di Castellina del Chianti, Caviglia, Colle, Gajole, S. Gimignano, Poggibonsi e Radda contrassegnate con la lettera (C) spettano all’anno 1551 , appartenendo tutte allo Stato Vecchio.

    COMPARTIMENTO ARETINO

    1. nome della Comunità: Anghiari
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38093,66
    anni 1551/1640: famiglie n° 784, abitanti n° 4375
    anno 1745: famiglie n° 757, abitanti n° 3620
    anno 1833: famiglie n° 1166, abitanti n° 6543
    anno 1844: famiglie n° 1170, abitanti n° 6392
    2. nome della Comunità: AREZZO
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 112717,45
    anni 1551/1640: famiglie n° 2723, abitanti n° 22698
    anno 1745: famiglie n° 3545, abitanti n° 19236
    anno 1833: famiglie n° 5653, abitanti n° 30084
    anno 1844: famiglie n° 5833, abitanti n° 33194
    3. nome della Comunità: Asinalunga (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22874,64
    anni 1551/1640: famiglie n° 397, abitanti n° 2046
    anno 1745: famiglie n° 973, abitanti n° 4777
    anno 1833: famiglie n° 1281, abitanti n° 7187
    anno 1844: famiglie
  •    pag. 434 di 477
    n° 1404, abitanti n° 7674
    4. nome della Comunità: Badia Tedalda
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 34165,43
    anni 1551/1640: famiglie n° 627, abitanti n° 3493
    anno 1745: famiglie n° 333, abitanti n° 1706
    anno 1833: famiglie n° 316, abitanti n° 1925
    anno 1844: famiglie n° 329, abitanti n° 2130
    5. nome della Comunità: Bibbiena
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25311,64
    anni 1551/1640: famiglie n° 744, abitanti n° 3644
    anno 1745: famiglie n° 619, abitanti n° 2981
    anno 1833: famiglie n° 878, abitanti n° 4662
    anno 1844: famiglie n° 912, abitanti n° 5033
    6. nome della Comunità: Bucine
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38335,83
    anni 1551/1640: famiglie n° 759, abitanti n° 4193
    anno 1745: famiglie n° 859, abitanti n° 4558
    anno 1833: famiglie n° 989, abitanti n° 5776
    anno 1844: famiglie n° 1066, abitanti n° 6042
    7. nome della Comunità: Capolona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13874,29
    anni 1551/1640: famiglie n° 201, abitanti n° 947
    anno 1745: famiglie n° 246, abitanti n° 1181
    anno 1833: famiglie n° 355, abitanti n° 1940
    anno 1844: famiglie n° 385, abitanti n° 2224
    8. nome della Comunità: Caprese
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19523,84
    anni 1551/1640: famiglie n° 432, abitanti n° 2156
    anno 1745: famiglie n° 321, abitanti n° 1624
    anno 1833: famiglie n° 309, abitanti n° 1558
    anno 1844: famiglie n° 348, abitanti n° 1701
    9. nome della Comunità: Castel Focognano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16919,75
    anni 1551/1640: famiglie n° 847, abitanti n° 4066
    anno 1745: famiglie n° 401, abitanti n° 1949
    anno 1833: famiglie n° 499, abitanti n° 2734
    anno 1844: famiglie n° 502, abitanti n° 2705
    10. nome della Comunità: Castelfranco di sopra
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10723,76
    anni 1551/1640: famiglie n° 329, abitanti n° 1923
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    /> anno 1745: famiglie n° 370, abitanti n° 2032
    anno 1833: famiglie n° 421, abitanti n° 2565
    anno 1844: famiglie n° 450, abitanti n° 2792
    11. nome della Comunità: Castel S. Niccolò
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19117,82
    anni 1551/1640: famiglie n° 610, abitanti n° 3802
    anno 1745: famiglie n° 597, abitanti n° 3189
    anno 1833: famiglie n° 739, abitanti n° 3741
    anno 1844: famiglie n° 771, abitanti n° 4241
    12. nome della Comunità: Castiglion Fiorentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32291,61
    anni 1551/1640: famiglie n° 1170, abitanti n° 6293
    anno 1745: famiglie n° 949, abitanti n° 6022
    anno 1833: famiglie n° 1749, abitanti n° 10046
    anno 1844: famiglie n° 1903, abitanti n° 10985
    13. nome della Comunità: Castiglion Ubertini
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3255,24
    anni 1551/1640: famiglie n° 22, abitanti n° 225
    anno 1745: famiglie n° 38, abitanti n° 280
    anno 1833: famiglie n° 50, abitanti n° 418
    anno 1844: famiglie n° 61, abitanti n° 500
    14. nome della Comunità: Cetona (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15566,15
    anni 1551/1640: famiglie n° 294, abitanti n° 1864
    anno 1745: famiglie n° 408, abitanti n° 1902
    anno 1833: famiglie n° 691, abitanti n° 3332
    anno 1844: famiglie n° 698, abitanti n° 3501
    15. nome della Comunità: Chianciano (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10741,48
    anni 1551/1640: famiglie n° 270, abitanti n° 1936
    anno 1745: famiglie n° 260, abitanti n° 1217
    anno 1833: famiglie n° 368, abitanti n° 2159
    anno 1844: famiglie n° 394, abitanti n° 2156
    16. nome della Comunità: Chitignano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4319,55
    anni 1551/1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 155, abitanti n° 855
    anno 1833: famiglie n° 178, abitanti n° 949
    anno 1844: famiglie n° 196, abitanti n°
  •    pag. 436 di 477
    1067
    17. nome della Comunità: Chiusi (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17010,74
    anni 1551/1640: famiglie n° 227, abitanti n° 2086
    anno 1745: famiglie n° 328, abitanti n° 1521
    anno 1833: famiglie n° 564, abitanti n° 3418
    anno 1844: famiglie n° 545, abitanti n° 3643
    18. nome della Comunità: Chiusi in Casentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29898,34
    anni 1551/1640: famiglie n° 449, abitanti n° 2059
    anno 1745: famiglie n° 314, abitanti n° 1754
    anno 1833: famiglie n° 307, abitanti n° 1933
    anno 1844: famiglie n° 335, abitanti n° 2125
    19. nome della Comunità: Civitella
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29634,20
    anni 1551/1640: famiglie n° 668, abitanti n° 3497
    anno 1745: famiglie n° 613, abitanti n° 3438
    anno 1833: famiglie n° 757, abitanti n° 4858
    anno 1844: famiglie n° 823, abitanti n° 5138
    20. nome della Comunità: Cortona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 100180,60
    anni 1551/1640: famiglie n° 2069, abitanti n° 15371
    anno 1745: famiglie n° 2835, abitanti n° 13953
    anno 1833: famiglie n° 3796, abitanti n° 22097
    anno 1844: famiglie n° 3914, abitanti n° 23189
    21. nome della Comunità: Due Comuni di Laterina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7500,61
    anni 1551/1640: famiglie n° 100, abitanti n° 536
    anno 1745: famiglie n° 97, abitanti n° 583
    anno 1833: famiglie n° 110, abitanti n° 708
    anno 1844: famiglie n° 155, abitanti n° 920
    22. nome della Comunità: Fojano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11746,84
    anni 1551/1640: famiglie n° 604, abitanti n° 2844
    anno 1745: famiglie n° 840, abitanti n° 3938
    anno 1833: famiglie n° 1137, abitanti n° 6425
    anno 1844: famiglie n° 1209, abitanti n° 6808
    23. nome della Comunità: S. Giovanni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6487,34
    anni 1551/1640: famiglie n° 673, abitanti n° 3466
    anno
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    1745: famiglie n° 498, abitanti n° 2731
    anno 1833: famiglie n° 709, abitanti n° 3827
    anno 1844: famiglie n° 774, abitanti n° 4264
    24. nome della Comunità: Laterina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7002,67
    anni 1551/1640: famiglie n° 215, abitanti n° 1153
    anno 1745: famiglie n° 192, abitanti n° 1168
    anno 1833: famiglie n° 285, abitanti n° 1839
    anno 1844: famiglie n° 298, abitanti n° 1990
    25. nome della Comunità: Loro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25587,87
    anni 1551/1640: famiglie n° 412, abitanti n° 1955
    anno 1745: famiglie n° 483, abitanti n° 2223
    anno 1833: famiglie n° 772, abitanti n° 4126
    anno 1844: famiglie n° 839, abitanti n° 4683
    26. nome della Comunità: Lucignano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13033,55
    anni 1551/1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 587, abitanti n° 3402
    anno 1833: famiglie n° 714, abitanti n° 3846
    anno 1844: famiglie n° 652, abitanti n° 3550
    27. nome della Comunità: Marciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6924,38
    anni 1551/1640: famiglie n° 169, abitanti n° 764
    anno 1745: famiglie n° 203, abitanti n° 987
    anno 1833: famiglie n° 274, abitanti n° 2097
    anno 1844: famiglie n° 315, abitanti n° 2196
    28. nome della Comunità: Monte S. Maria (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21300,30
    anni 1551/1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 440, abitanti n° 2591
    anno 1844: famiglie n° 463, abitanti n° 2689
    29. nome della Comunità: Monte Mignajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13075,94
    anni 1551/1640: famiglie n° 408, abitanti n° 1977
    anno 1745: famiglie n° 286, abitanti n° 1449
    anno 1833: famiglie n° 297, abitanti n° 1570
    anno 1844: famiglie n° 350, abitanti n° 1920
    30. nome
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    della Comunità: Montepulciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 48420,98
    anni 1551/1640: famiglie n° 1754, abitanti n° 9125
    anno 1745: famiglie n° 1404, abitanti n° 6772
    anno 1833: famiglie n° 1740, abitanti n° 10197
    anno 1844: famiglie n° 1912, abitanti n° 11108
    31. nome della Comunità: Monterchi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8429,65
    anni 1551/1640: famiglie n° 416, abitanti n° 2001
    anno 1745: famiglie n° 400, abitanti n° 2021
    anno 1833: famiglie n° 417, abitanti n° 2456
    anno 1844: famiglie n° 453, abitanti n° 2640
    32. nome della Comunità: Monte S. Savino (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25961,70
    anni 1551/1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 900, abitanti n° 4050
    anno 1833: famiglie n° 1084, abitanti n° 6695
    anno 1844: famiglie n° 1570, abitanti n° 7005
    33. nome della Comunità: Monte Varchi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16521,66
    anni 1551/1640: famiglie n° 971, abitanti n° 4266
    anno 1745: famiglie n° 917, abitanti n° 5024
    anno 1833: famiglie n° 1459, abitanti n° 8030
    anno 1844: famiglie n° 1072, abitanti n° 906
    34. nome della Comunità: Ortignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5590,32
    anni 1551/1640: famiglie n° 149, abitanti n° 654
    anno 1745: famiglie n° 199, abitanti n° 988
    anno 1833: famiglie n° 159, abitanti n° 854
    anno 1844: famiglie n° 166, abitanti n° 8570
    35. nome della Comunità: Pian di Scò
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5757,61
    anni 1551/1640: famiglie n° 279, abitanti n° 1424
    anno 1745: famiglie n° 391, abitanti n° 2100
    anno 1833: famiglie n° 426, abitanti n° 2434
    anno 1844: famiglie n° 447, abitanti n° 2588
    36. nome della Comunità: Pieve S. Stefano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 45504,85
    anni 1551/1640: famiglie n° 967, abitanti n° 4833
    anno 1745: famiglie
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    n° 539, abitanti n° 2820
    anno 1833: famiglie n° 672, abitanti n° 3646
    anno 1844: famiglie n° 725, abitanti n° 4076
    37. nome della Comunità: Poppi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28405,63
    anni 1551/1640: famiglie n° 784, abitanti n° 4189
    anno 1745: famiglie n° 644, abitanti n° 3422
    anno 1833: famiglie n° 929, abitanti n° 5201
    anno 1844: famiglie n° 990, abitanti n° 5652
    38. nome della Comunità: Prato Vecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22563,93
    anni 1551/1640: famiglie n° 671, abitanti n° 3220
    anno 1745: famiglie n° 518, abitanti n° 2841
    anno 1833: famiglie n° 658, abitanti n° 3707
    anno 1844: famiglie n° 739, abitanti n° 4182
    39. nome della Comunità: Raggiolo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5125,70
    anni 1551/1640: famiglie n° 125, abitanti n° 546
    anno 1745: famiglie n° 144, abitanti n° 958
    anno 1833: famiglie n° 147, abitanti n° 700
    anno 1844: famiglie n° 141, abitanti n° 707
    40. nome della Comunità: Sarteano (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24905,15
    anni 1551/1640: famiglie n° 398, abitanti n° 2758
    anno 1745: famiglie n° 431, abitanti n° 2346
    anno 1833: famiglie n° 717, abitanti n° 3904
    anno 1844: famiglie n° 761, abitanti n° 4064
    41. nome della Comunità: S. Sepolcro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26702,83
    anni 1551/1640: famiglie n° 936, abitanti n° 3958
    anno 1745: famiglie n° 901, abitanti n° 4267
    anno 1833: famiglie n° 1116, abitanti n° 6360
    anno 1844: famiglie n° 1321, abitanti n° 7223
    42. nome della Comunità: Sestino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24365,87
    anni 1551/1640: famiglie n° 683, abitanti n° 3240
    anno 1745: famiglie n° 315, abitanti n° 1379
    anno 1833: famiglie n° 364, abitanti n° 2036
    anno 1844: famiglie n° 384, abitanti n° 2292
    43. nome della Comunità: Stia
    superficie
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    quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17948,20
    anni 1551/1640: famiglie n° 347, abitanti n° 2118
    anno 1745: famiglie n° 373, abitanti n° 1906
    anno 1833: famiglie n° 434, abitanti n° 2510
    anno 1844: famiglie n° 498, abitanti n° 2964
    44. nome della Comunità: Subbiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23032,40
    anni 1551/1640: famiglie n° 292, abitanti n° 1609
    anno 1745: famiglie n° 319, abitanti n° 1788
    anno 1833: famiglie n° 491, abitanti n° 2807
    anno 1844: famiglie n° 538, abitanti n° 2987
    45. nome della Comunità: Talla
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18041,34
    anni 1551/1640: famiglie n° 333, abitanti n° 1900
    anno 1745: famiglie n° 362, abitanti n° 1794
    anno 1833: famiglie n° 383, abitanti n° 2047
    anno 1844: famiglie n° 399, abitanti n° 2214
    46. nome della Comunità: Terranuova
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21614,98
    anni 1551/1640: famiglie n° 809, abitanti n° 4103
    anno 1745: famiglie n° 642, abitanti n° 4160
    anno 1833: famiglie n° 907, abitanti n° 5982
    anno 1844: famiglie n° 974, abitanti n° 6512
    47. nome della Comunità: Torrita (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17001,88
    anni 1551/1640: famiglie n° 288, abitanti n° 2677
    anno 1745: famiglie n° 510, abitanti n° 2856
    anno 1833: famiglie n° 656, abitanti n° 3731
    anno 1844: famiglie n° 709, abitanti n° 4003
    48. nome della Comunità: Val d’Ambra
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13800,30
    anni 1551/1640: famiglie n° 185, abitanti n° 1043
    anno 1745: famiglie n° 154, abitanti n° 1054
    anno 1833: famiglie n° 264, abitanti n° 1694
    anno 1844: famiglie n° 298, abitanti n° 1938
    49. nome della Comunità: Verghereto (B) Vedere COMPARTIMENTO DI FIRENZE
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anni 1551/1640: famiglie n° 695, abitanti n° 3809
    anno 1745: famiglie n° 368, abitanti
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    n° 2011
    anno 1833: famiglie n° 362, abitanti n° 1984
    anno 1844: famiglie n° -, abitanti n° -

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1106910,53
    - TOTALE anni 1551/1640: famiglie n° 25706, abitanti n° 156845
    - TOTALE anno 1745: famiglie n° 28520, abitanti n° 148824
    - TOTALE anno 1833: famiglie n° 39189, abitanti n° 221929
    - TOTALE anno 1844: famiglie n° 41200, abitanti n° 237283

    (A) Alle Comunità contrassegnate di lettera (A) manca la popolazione della prima, e ad alcune della seconda epoca, per essere state feudali.
    (B) La Comunità di Verghereto nell’ultima epoca appartiene al Compartimento Fiorentino.
    (*) La prima popolazione delle Comunità contrassegnate con l’asterisco (*) è dell’anno 1640, perché spettanti allo Stato Nuovo.

    COMPARTIMENTO GROSSETANO

    1. nome della Comunità: Arcidosso
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27168,77
    anno 1640: famiglie n° 507, abitanti n° 2606
    anno 1745: famiglie n° 576, abitanti n° 2491
    anno 1833: famiglie n° 881, abitanti n° 4365
    anno 1844: famiglie n° 1008, abitanti n° 4848
    2. nome della Comunità: Campagnatico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 103589,22
    anno 1640: famiglie n° 522, abitanti n° 2510
    anno 1745: famiglie n° 324, abitanti n° 1309
    anno 1833: famiglie n° 551, abitanti n° 3136
    anno 1844: famiglie n° 667, abitanti n° 3287
    3. nome della Comunità: Campiglia (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 706, abitanti n° 2850
    4. nome della Comunità: Castel del Piano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22071,71
    anno 1640: famiglie n° 544, abitanti n° 2892
    anno 1745: famiglie n°
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    570, abitanti n° 2632
    anno 1833: famiglie n° 885, abitanti n° 4587
    anno 1844: famiglie n° 919, abitanti n° 4575
    5. nome della Comunità: Castiglion della Pescaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 60138,01
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 366, abitanti n° 1744
    6. nome della Comunità: Cinigiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 59433,84
    anno 1640: famiglie n° 391, abitanti n° 2361
    anno 1745: famiglie n° 427, abitanti n° 1601
    anno 1833: famiglie n° 587, abitanti n° 3058
    anno 1844: famiglie n° 587, abitanti n° 3033
    7. nome della Comunità: S. Fiora (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42534,16
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 599, abitanti n° 2792
    anno 1833: famiglie n° 916, abitanti n° 4397
    anno 1844: famiglie n° 984, abitanti n° 4850
    8. nome della Comunità: Gavorrano con Scarlino e Buriano (C)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 70832,82
    anno 1640: famiglie n° 280, abitanti n° 1130
    anno 1745: famiglie n° 334, abitanti n° 1385
    anno 1833: famiglie n° 736, abitanti n° 3436
    anno 1844: famiglie n° 587, abitanti n° 2602
    9. nome della Comunità: Giglio ( Isola )
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6431,15
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 356, abitanti n° 1502
    anno 1844: famiglie n° 399, abitanti n° 1846
    10. nome della Comunità: GROSSETO
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 118956,68
    anno 1640: famiglie n° 423, abitanti n° 1919
    anno 1745: famiglie n° 344, abitanti n° 1078
    anno 1833: famiglie n° 653, abitanti n° 3227
    anno 1844: famiglie n° 653, abitanti
  •    pag. 443 di 477
    n° 2852
    11. nome della Comunità: Magliano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 73101,22
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 175, abitanti n° 505
    anno 1833: famiglie n° 254, abitanti n° 1083
    anno 1844: famiglie n° 254, abitanti n° 1017
    12. nome della Comunità: Manciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 98846,29
    anno 1640: famiglie n° 365, abitanti n° 1225
    anno 1745: famiglie n° 316, abitanti n° 1166
    anno 1833: famiglie n° 544, abitanti n° 2575
    anno 1844: famiglie n° 585, abitanti n° 2646
    13. nome della Comunità: Massa Marittima
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 129263,77
    anno 1640: famiglie n° 601, abitanti n° 2430
    anno 1745: famiglie n° 477, abitanti n° 1584
    anno 1833: famiglie n° 1108, abitanti n° 6758
    anno 1844: famiglie n° 1268, abitanti n° 7160
    14. nome della Comunità: Mont’Argentaro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17486,23
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 570, abitanti n° 3103
    15. nome della Comunità: Monteverdi (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 158, abitanti n° 999
    16. nome della Comunità: Montieri (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 626, abitanti n° 3294
    17. nome della Comunità: Orbetello (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 120603,71
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745:
  •    pag. 444 di 477
    famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° 906, abitanti n° 4823
    anno 1844: famiglie n° 649, abitanti n° 3517
    18. nome della Comunità: Piombino (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 473, abitanti n° 2071
    19. nome della Comunità: Pitigliano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29902,23
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 146, abitanti n° 548
    anno 1833: famiglie n° 650, abitanti n° 3273
    anno 1844: famiglie n° 807, abitanti n° 3675
    20. nome della Comunità: Roccalbegna
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 48460,21
    anno 1640: famiglie n° 370, abitanti n° 1917
    anno 1745: famiglie n° 442, abitanti n° 1791
    anno 1833: famiglie n° 642, abitanti n° 3209
    anno 1844: famiglie n° 718, abitanti n° 3483
    21. nome della Comunità: Rocca Strada
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 101317,66
    anno 1640: famiglie n° 591, abitanti n° 2190
    anno 1745: famiglie n° 454, abitanti n° 1910
    anno 1833: famiglie n° 832, abitanti n° 4203
    anno 1844: famiglie n° 927, abitanti n° 4575
    22. nome della Comunità: Sassetta (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 143, abitanti n° 768
    23. nome della Comunità: Scansano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 80171,27
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 509, abitanti n° 1976
    anno 1833: famiglie n° 657, abitanti n° 3141
    anno 1844: famiglie n° 742, abitanti n° 3269
    24. nome della
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    Comunità: Sorano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 67490,60
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° 583, abitanti n° 2362
    anno 1833: famiglie n° 782, abitanti n° 3753
    anno 1844: famiglie n° 918, abitanti n° 4251
    25. nome della Comunità: Suvereto (B)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: -,-
    anno 1640: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1745: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1833: famiglie n° -, abitanti n° -
    anno 1844: famiglie n° 242, abitanti n° 1030

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1277799,55
    - TOTALE anno 1640: famiglie n° 4594, abitanti n° 21180
    - TOTALE anno 1745: famiglie n° 6276, abitanti n° 25130
    - TOTALE anno 1833: famiglie n° 11940, abitanti n° 59926
    - TOTALE anno 1844: famiglie n° 15956, abitanti n° 77345

    (A) Delle Comunità contrassegnate di lettera (A) nella prima e ad alcune nella seconda epoca non si conosce né popolazione né famiglie.
    (B) La Comunità contrassegnate di (B) innanzi l’ultima epoca appartenevano ad altri Stati o Compartimenti.
    (C) Fu divisa fra le Comunità di Gavorrano e di Castiglion della Pescaja .

    RECAPITOLAZIONE DELLA STATISTICA NUMERICA DELLA TOSCANA GRANDUCALE

    - nome del Compartimento: FIORENTINO
    superficie divisa in quadrati agrari: 1909746,76
    totale delle miglia quadre: 2378,54
    anno 1551/1640: famiglie n° 59411, abitanti n° 345964
    anno 1745: famiglie n° 81906, abitanti n° 442399
    anno 1833: famiglie n° 121296, abitanti n° 653328
    anno 1844: famiglie n° 131556, abitanti n° 721723
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 303 e 1/2

    - nome del Compartimento: PISANO (comprese l’Isole dell’Elba e della Pianosa)
    superficie divisa in quadrati agrari: 1010658,96
    totale delle miglia quadre: 1258,79
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    /> anno 1551/1640: famiglie n° 15735, abitanti n° 78919
    anno 1745: famiglie n° 29540, abitanti n° 165441
    anno 1833: famiglie n° 56534, abitanti n° 323838
    anno 1844: famiglie n° 63363, abitanti n° 354806
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 282

    - nome del Compartimento: SENESE
    superficie divisa in quadrati agrari: 975165,98
    totale delle miglia quadre: 1214,63
    anno 1551/1640: famiglie n° 13207, abitanti n° 93947
    anno 1745: famiglie n° 18004, abitanti n° 96334
    anno 1833: famiglie n° 24060, abitanti n° 134320
    anno 1844: famiglie n° 24606, abitanti n° 140583
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 115 e 3/4

    - nome del Compartimento: ARETINO
    superficie divisa in quadrati agrari: 1106910,53
    totale delle miglia quadre: 1378,69
    anno 1551/1640: famiglie n° 25706, abitanti n° 156845
    anno 1745: famiglie n° 28520, abitanti n° 148824
    anno 1833: famiglie n° 39189, abitanti n° 221929
    anno 1844: famiglie n° 41200, abitanti n° 237283
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 172 e 1/9

    - nome del Compartimento: GROSSETANO (compresa l’Isola del Giglio)
    superficie divisa in quadrati agrari: 1446431,13
    totale delle miglia quadre: 1801,67
    anno 1551/1640: famiglie n° 4594, abitanti n° 21180
    anno 1745: famiglie n° 6276, abitanti n° 25130
    anno 1833: famiglie n° 11940, abitanti n° 59926
    anno 1844: famiglie n° 15956, abitanti n° 77345
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 42 e 5/6

    - TOTALE
    superficie divisa in quadrati agrari: 6448913,36
    totale delle miglia quadre: 8032,32
    anno 1551/1640: famiglie n° 118653, abitanti n° 696855
    anno 1745: famiglie n° 164246, abitanti n° 878128
    anno 1833: famiglie n° 253019, abitanti n° 1393341
    anno 1844: famiglie n° 276681, abitanti n° 1531740
    proporzione media degli abitanti per ogni miglio quadro: 190 e 2/3

    N.B. La superficie territoriale dei Quadr. agrari di alcuni Compartimenti comparisce in questa RECAPITOLAZIONE ora minore, e
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    ora maggiore di quella che fu prima del
    1844, stante la traslazione di varie Comunità da uno in altro Compartimento.

    TOSCANA GRANDUCALE.  – Al § DIVISIONE GOVERNATIVA E GIUDICIARIA si aggiudica, che i tribunali Prima Istanza, al pari della Corte Regia furono istituiti nella maggior parte in diverse città della Toscana col Motuproprio del 2 agosto 1838. – Cotesti però hanno limitata giurisdizione criminale, la quale non oltrepassa le pene dei delitti che sogliono punirsi con l’esilio, mentre nelle cause civili giudicano collegialmente e inappellabilmente fino alla somma di lire 800, e sugli appelli delle sentenze dei giudici minori ( Vicari e Potestà ) . – Attualmente si contano nella Toscana Granducale dodici tribunali di Prima Istanza residenti il 1° in Firenze ; il 2° in Pisa ; il 3° in Livorno ; il 4° in Siena ; il 5° in Arezzo ; il 6° in Pistoia ; il 7° in Grosseto ; L’8° in San Miniato ; il 9° in Montepulciano ; il 10° nella Rocca San Casciano ; l’11° in Pontremoli ; ed il 12° in Portoferraio .
    Ognuno di quei tribunali ha un numero di Vicariati e Potesterie da esso dipendenti, come si disse in questo stesso art. del dizionario.
    Rispetto alla parte governativa e politica i Vicarj Regj dipendono o dai governatori, come a Pisa , Livorno , Siena , Portoferraio, o dai commissari regi residenti il primo in Firenze, il quale, estende la sua giurisdizione politica anche a San Miniato, che non ha commissario Regio, e gli altri ad Arezzo, Pistoia, Grosseto, alla Rocca San Casciano ed a Pontremoli.
    Dove poi dice (volume VI pag. 557) che con lo stesso motuproprio
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    del 2 agosto 1838 fu data una nuova organizzazione per l’amministrazione di tutta la giustizia in tutto il Granducato rispetto ancora agli attributi dell’unica corte regia nella capitale, e della Real Consulta da formarsi in Corte suprema di cassazione nei casi di ultima istanza, si aggiunga: che al seguito di un altro mutoproprio sovrano de’ 22 settembre 1841 cotesta suprema magistratura del granducato venne disimpegnata da quelle attribuzioni giudiziarie della superiore soprintendenza al buon servizio de’ tribunali diversi del granducato.

    UFFIZI DELLA CONSERVAZIONE DELLE IPOTECHE NELLA TOSCANA GRANDUCALE.

    Attualmente sono 13 stabili nelle città più a portata delle 248 comunità della Toscana Granducale.

    AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL REGISTRO E AZIENDE RIUNITE.

    Questo Dicastero conserva l’antica divisione della Toscana Granducale nei tre compartimenti, di Firenze, Pisa e Siena, ognuno dei quali sopravvede agli uffizi di Esazione del registro collocati nei punti più centrali.
    La Direzione generale, dalla quale dipendono tutti e tre i Compartimenti, risiede in Firenze, e con essa riferiscono gli uffizi principali di Pisa e Siena.
    IL COMPARTIMENTO DI FIRENZE conta 17 uffizi di Esazione situati nelle città e terre più centrali.
    Quello di Pisa ha 15 uffizi di Esazione. E quello di Siena conta 11 uffizi di Esazione del registro.
    Spettano poi all’amministrazione R. le Miniere del Ferro di Rio nell’isola dell’Elba le fonderie stabilite a Follonica, Valpiana e Cecina.

    VICARIATI E POTESTERIE

    I Vicarj regi si distinguono in tre classi. Spettano alla prima classe 6 Vicarj cioè, Cortona, Pescia, Prato, S. Giovanni, San Miniato e San Sepolcreto.
    Sono alla seconda classe i seguenti 16, di Arcidosso, Colle, Empoli, Fivizzano, Fucchio, Massa Marittima, Modigliana, Monte S. Savino, Orbetello, Pietrasanta, Pitigliano, Ponteassieve, Pontadera, Poppi, Portoferraio e Scarperia.
    Appartengono alla terza classe 28 Vicarj, cioè; Abbadia S. Salvadore, Arezzo, Asciano, Asinalunga, Bagno, Bagnone, Barga, Campiglia, Casole, Castiglion-Fiorentino, Chiusi, Grosseto, Isola del Giglio, Lari, Marradi, Montalcino, Montepulciano, Pienza, Piombino, Pistoia,
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    Radda, Radicofani, San Casciano, Roccastrada, Rosignano, Scansano, San Marcello e Vico Pisano. –
    TOTALE Vicariati N. 50.
    Le Potesterie della Toscana Granducale sono pur esse divise in tre categorie, o classi. – Fanno parte delle prime 18 Potesterie, cioè Anghiari, Bagno a Ripoli, Bibbiena, Rogo S. Lorenzo, Campi, Castel-Franco di Sotto, Fiesole, Figline, Firenzuola, Fojano, Galluzzo, Lastra a Signa, Montevarchi, Piccioli, Pieve S. Stefano, Sesto e San Casciano.
    Appartengono alla seconda classe le 16 Potesterie seguenti: Altopascio, Bagni a S. Giuliano, Borgo a Buggiano, Carmignano, Castel del piano, Castel fiorentino, Castiglion della Pescaia, Galeata, Greve, Lucignano, Marciano, Monsummano, Poggibonsi, Porto S. Stefano, Pratovecchio e San Gimignano.
    Spettano alla terza classe le 23 potesterie, qui appresso: Albiano, Bibbona, Buonconvento, Calice, Castel nuovo Berardenga, Cerreto Guidi, Cetona, Cinigiano, dicomano, Giuncarico, Marciana, Mercatale, Montale, Montale, Monterchi, Montespertoli, Monticciano, Pontieri, Pomarance, Radicandoli, Reggello, sambuca, Santa Fiora, San Quirico, Sartiano, Seravezza, Sovicille, Terra del sole e Terranova .
    Al §. Delle CANCELLIERE COMUNICATIVE e del luogo di residenza de’ Cancellieri, rispetto ai due compartimenti, di Firenze e di Pisa non è accaduta variazione alcuna; e quella designata col Mutoproprio sovrano del 5 Dicembre 1845 deve avere effetto dal 1 Gennaio 1846 in poi, Stantechè la cancelleria nuova eretta nell’Abbadia S. Salvatore, la quale abbraccia le due comunità della montagna di S. Fiora, cioè dell’abbadia, e del pian Castagnaio è stata riunita con L’altre di quella montagna al Compartimento di Grosseto, staccando le due comunità dal Compartimento di Sanese, cui furono date altre due Comunità di Torrita e di Asinalunga, con la rispettiva cancelleria, appartenute entrambi al compartimento di Arezzo, al quale fu assegnata la comunità di Caviglia che apparteneva al Compartimento di Siena, e la cui Cancelleria fu trasportata in San Giovanni.
    Niuna variazione rispetto ai circondari D’ingegnieri è accaduta nei Compartimenti Fiorentini e Pisano. Bensi in quello Sanese all’ingegnere del Circondario di Asciano è stata assegnata
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    la comunità di S. Giovanni D’Asso , ch’era nel circondario di Asinalunga con Torrita, staccando esse dal circondario di Fojano , che si soppresse. All’incontro nel Compartimento di Siena fu eretto un nuovo circondario d’Ingegneri, residente a San Quirico trasportandolo da Radicofani con assegnarli 5 comunità, cioè Radicofani, S. Casciano de’ Bagni, Castiglion d’Orcia, Pienza e san Quirico, separando le ultime tre dall’ingegnere di Montalcino.
    Nel compartimento di Aretino, oltre le variazioni teste indicate, sono state riunite al circondario del Monte S. Savino le due comunità di Fojano e di Marciano ed a quello di San Giovanni la comunità di Grosseto, sono state date dall’ingegnere di circondario del L’ abbadia S. Salvatore, oltre le due comunità di quella cancelleria, anco l’altra di Santa Fiora staccata dal circondario di Arcidosso. Dondechè valutando ora le variazioni sopra indicate, al compartimento senese nell’atto che si leva la cancelleria comunicativa dell’Abbadia S. Salvatore si deve aggiungere la seguente.
    Asinalunga , che comprende tre comunità, cioè Asinalunga, Torrita e Trequanda. La qual comunità di Trequanda fu staccata dalla cancelleria di Asciano, cui fu aggregata l’altra di S. Giovanni di Asso, che era a S. Quirico.
    Cosi alla cancelleria di Radda del Compartimento Sanese fu tolta la quella di Caviglia per darla alla cancelleria di S. Giovanni del compartimento Aretino.
    Rispetto alle Cancellerie comunicative del Compartimento di Grosseto, non vi è altra variazione che quella della Cancelleria dell’Abbadia S. Salvatore, staccata, con le due comunità che comprende, dal Compartimento Senese, sicchè quello di Grosseto attualmente conta in 27 Comunità 12 Cancellerie, il Sanese in 32 Comunità 11 Cancellerie, ed il Compartimento Aretino in 47 Comunità 19 Cancellerie.
    Nella Toscana Granducale le comunità sono 248 e le Cancellerie Comunitative 89, ripartite come espresso:

    Nel
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    Compartimento Fiorentino Comunità 91, Cancellerie 32
    Nel Compartimento Pisano, Comunità 51, Cancellerie 15
    Nel Compartimento Sanese, Comunità 32, Cancellerie 11
    Nel Compartimento Aretino, Comunità 47, Cancellerie 19
    Nel Compartimento Grossetano, Comunità 27, Cancellerie 12
    TOTALE Comunità 248 Cancellerie 89

    Anche le Cancellerie comunitative sono divise in tre classi, delle quali il Compartimento Fiorentino ne conta otto di prima classe, 12 di seconda, e altrettante di 3.a classe; il Compartimento Pisano 4 Cancellerie di prima; 6 di seconda, e 5 di terza classe; il Compartimento Sanese ne conta una di prima, due di seconda, e otto di terza classe; il Compartimento Aretino due di prima, 5 di seconda e 12 di terza classe, e nel Compartimento di Grosseto, una di prima classe, tre di seconda e otto di terza classe.
    Al §. Riguardante i Circondari di acque e Strade in cui sono divisi i Compartimenti di Soprintendenza Comunitativa due soli degli ingegneri di Circondarj variano residenza nel Compartimento Fiorentino, cioè quello di Barberino di Mugello staccato con la Comunità di Vernio dal Circondario del Borgo S. Lorenzo, e l’ altro di Palazzuolo riunito con Marradi a Modigliana, mentre la Comunità di Fiorenzuola fu data all’ Ingegnere di Barberino di Mugello.
    Tutti i Circondarj d’ Ingegneri sono divisi pur essi in tre classi, cioè, 12 della prima classe, 23 della seconda e 34 della classe terza, in tutti N.° 69 Ingegneri di Circondario.
    All’ Articolo medesimo si potrebbe aggiungere per approssimazione il nome delle magistrature principali, degli impiegati politici, militari, finanzieri, degli stabilimenti d’ istruzione pubblica, Università ecc. di quelli di Belle Arti, d’ industria manifatturiera ecc. ecc. materie tutte che difficilmente si possono ammettere in un solo articolo.
    Bensì ci contenteremo dire; che il Governo
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    Gran Ducale della Toscana è preseduto dal suo Sovrano LEOPOLDO II felicemente regnante, il quale affida gli affari di Stato, Finanze e Guerra ad un Consiglio Reale, preseduto da un Segretario di Stato e coadiuvato dai quattro Consiglieri direttori delle RR. Segreterie di Stato, delle Finanze, della Guerra e degli Affari Esteri.
    Dal Dipartimento delle Finanze dipendono la R. Depositeria e l’ Amministrazione delle RR. Rendite, la quale comprende tutte le II. e RR. Dogane del Granducato divise nelle cinque Direzioni diverse state agli Articoli DOGANE indicate. Comprende pure l’ Azienda del sale e quella del tabacco data in appalto, gli Uffizi di marchio dei lavori d’ oro e d’ argento stabiliti in Firenze, Pisa e Siena dal sovrano di Motuproprio de’ 21 luglio 1832, ecc. ecc.
    Fa parte dell’ Amministrazione finanziera l’ I e R. Lotteria del Granducato.
    Al §. Delle DIREZIONI POSTALI DEL GRANDUCATO fu omesso Buonconvento tra i paesi destinati alla distribuzione delle Lettere, e quindi dopo l’ anno 1844 sono stati aggiunti i quattro seguenti, cioè: Fucecchio, Se rarezza, San Casciano, e San Marcello; in tutti per la distribuzione delle lettere N.° 43 luoghi.
    Rispetto agli Ecclesiastici compresi nelle 23 Diocesi che entrano per intiero nella Toscana Granducale, oltre quelle di Acquapendente, di Bertinoro e Sarsina, di Faenza, di Forlì e della Badia delle Tre Fontane che mandano una parte di popolazione nella Toscana attuale, ascendevano nel 1854 a 9980 Ecclesiastici secolari, a 2645 Ecclesiastici regolari con 130 conventi e sette Badie, ed a 3566 Monache rinchiuse in 75 monasteri e 48 conservatorj. – TOTALE dei religiosi dei due sessi numero 16,191

    Seguito del MOVIMENTO della Popolazione del GRANDUCATO DI TOSCANA dal 1837 sino al 1845 inclusive
    Vedere l’Articolo GRANDUCATO Vol. II pag. 494.

    -ANNO 1837
    POPOLAZIONE: n° 1,451,523
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,422; femmine n° 26,178; totale n° 53,600
    NUMERO DEI
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    MORTI: maschi n° 20,989; femmine n° 20,707; totale n° 41,696
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,538
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2130
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1838
    POPOLAZIONE: n° 1,466,752
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 25,839; femmine n° 24,687; totale n° 50,526
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 18,922; femmine n° 18,180; totale n° 37,102
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,026
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2391
    CENTENARJ: n° 8
    -ANNO 1839
    POPOLAZIONE: n° 1,481,079
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,659; femmine n° 26,204; totale n° 53,863
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 19,555; femmine n° 18,589; totale n° 38,144
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 8,811
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2580
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1840
    POPOLAZIONE: n° 1,494,991
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 26,702; femmine n° 25,139; totale n° 51,841
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 21,915; femmine n° 21,394; totale n° 43,309
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 9,418
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2608
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1841
    POPOLAZIONE: n° 1,489,980
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,290; femmine n° 25,945; totale n° 53,235
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 24,283; femmine n° 23,052; totale n° 47,335
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 10,749
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2632
    CENTENARJ: n° 6
    -ANNO 1842
    POPOLAZIONE: n° 1,498,854
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 27,966; femmine n° 26,404; totale n° 54,370
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 22,887; femmine n° 21,537; totale n° 44,424
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 11,723
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2594
    CENTENARJ: n° 11
    -ANNO 1843
    POPOLAZIONE: n° 1,513,826
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 29,098; femmine n° 27,529; totale n° 56,627
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 19,495; femmine n° 18,823; totale n° 38,318
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,524
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2620
    CENTENARJ: n° 13
    -ANNO 1844
    POPOLAZIONE:
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    n° 1,531,740
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 28,314; femmine n° 26,600; totale n° 54,914
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 21,208; femmine n° 19,931; totale n° 41,139
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,307
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2637
    CENTENARJ: n° 4
    -ANNO 1845
    POPOLAZIONE: n° 1,546,115
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 29,912; femmine n° 28,267; totale n° 58,179
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 20,390; femmine n° 19,740; totale n° 40,130
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 12,388
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 2727
    CENTENARJ: n° 10

    STATO della POPOLAZIONE, Numero delle  FAMIGLIE e della SUPERFICIE QUADRATA di ciascuna COMUNITA’ DELLA TOSCANA e della ROMAGNA GRANDUCALE nell’anno 1845.

    COMPARTIMENTO FIORENTINO

    1. nome della Comunità: Bagno in Romagna
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 68386,62
    anno 1845: famiglie n° 1225, abitanti n° 6881
    2. nome della Comunità: Bagno a Ripoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22949,03
    anno 1845: famiglie n° 2282, abitanti n° 13189
    3. nome della Comunità: Barberino di Mugello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 46134,16
    anno 1845: famiglie n° 1447, abitanti n° 9399
    4. nome della Comunità: Barberino di Val d’Elsa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36082,31
    anno 1845: famiglie n° 1472, abitanti n° 9238
    5. nome della Comunità: Borgo S. Lorenzo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43130,40
    anno 1845: famiglie n° 1951, abitanti n° 11239
    6. nome della Comunità: Brozzi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4748,74
    anno 1845: famiglie n° 1594, abitanti n° 8712
    7. nome della Comunità: Buggiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13306,86
    anno 1845: famiglie n° 1692, abitanti n° 10105
    8. nome della Comunità: Calenzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21709,03
    anno 1845: famiglie n° 840, abitanti n° 5801
    9. nome della Comunità: Campi
    superficie quadrata della
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    Comunità in quadrati agrari: 8216,54
    anno 1845: famiglie n° 1730, abitanti n° 9782
    10. nome della Comunità: Cantagallo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24586,12
    anno 1845: famiglie n° 581, abitanti n° 3376
    11. nome della Comunità: Capraja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7362,37
    anno 1845: famiglie n° 478, abitanti n° 2702
    12. nome della Comunità: Carmignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12885,12
    anno 1845: famiglie n° 1532, abitanti n° 8782
    13. nome della Comunità: S. Casciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31419,09
    anno 1845: famiglie n° 1840, abitanti n° 11279
    14. nome della Comunità: Casellina e Torri
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15435,57
    anno 1845: famiglie n° 1591, abitanti n° 9360
    15. nome della Comunità: Castelfiorentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14611,03
    anno 1845: famiglie n° 1202, abitanti n° 6444
    16. nome della Comunità: Castelfranco di sotto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10872,09
    anno 1845: famiglie n° 808, abitanti n° 4649
    17. nome della Comunità: Cerreto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14890,86
    anno 1845: famiglie n° 839, abitanti n° 5453
    18. nome della Comunità: Certaldo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21714,14
    anno 1845: famiglie n° 936, abitanti n° 6064
    19. nome della Comunità: S. Croce
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8052,91
    anno 1845: famiglie n° 1057, abitanti n° 5717
    20. nome della Comunità: Cutigliano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18956,65
    anno 1845: famiglie n° 470, abitanti n° 2586
    21. nome della Comunità: Dicomano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17474,40
    anno 1845: famiglie n° 629, abitanti n° 3875
    22. nome della Comunità: Dovadola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11362,74
    anno 1845: famiglie n° 510, abitanti n° 2293
    23. nome della Comunità: Empoli
    superficie quadrata della
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    Comunità in quadrati agrari: 18163,48
    anno 1845: famiglie n° 2805, abitanti n° 15048
    24. nome della Comunità: Fiesole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16034,42
    anno 1845: famiglie n° 1825, abitanti n° 9670
    25. nome della Comunità: Figline e Incisa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29043,99
    anno 1845: famiglie n° 2088, abitanti n° 11995
    26. nome della Comunità: FIRENZE
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1556,17
    anno 1845: famiglie n° 24019, abitanti n° 106899
    27. nome della Comunità: Firenzuola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 80174,15
    anno 1845: famiglie n° 1650, abitanti n° 8967
    28. nome della Comunità: Fucecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17794,34
    anno 1845: famiglie n° 2035, abitanti n° 10809
    29. nome della Comunità: Galeata
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22265,25
    anno 1845: famiglie n° 587, abitanti n° 3006
    30. nome della Comunità: Galluzzo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20757,81
    anno 1845: famiglie n° 2305, abitanti n° 12912
    31. nome della Comunità: S. Gaudenzio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29028,93
    anno 1845: famiglie n° 502, abitanti n° 3215
    32. nome della Comunità: Greve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 49053,05
    anno 1845: famiglie n° 1757, abitanti n° 10145
    33. nome della Comunità: Lamporecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13726,24
    anno 1845: famiglie n° 1165, abitanti n° 6919
    34. nome della Comunità: Lastra a Signa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12586,70
    anno 1845: famiglie n° 1666, abitanti n° 9118
    35. nome della Comunità: Legnaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7158,18
    anno 1845: famiglie n° 1564, abitanti n° 9424
    36. nome della Comunità: Londa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15643,61
    anno 1845: famiglie n° 375, abitanti n° 2301
    37. nome della Comunità: S. Marcello
    superficie quadrata della
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    Comunità in quadrati agrari: 25034,00
    anno 1845: famiglie n° 858, abitanti n° 4705
    38. nome della Comunità: S. Maria in Monte
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 955,82
    anno 1845: famiglie n° 591, abitanti n° 3652
    39. nome della Comunità: Marliana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12331,62
    anno 1845: famiglie n° 722, abitanti n° 3688
    40. nome della Comunità: Marradi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 45325,80
    anno 1845: famiglie n° 1398, abitanti n° 7229
    41. nome della Comunità: Massa e Cozzile
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4711,27
    anno 1845: famiglie n° 481, abitanti n° 2656
    42. nome della Comunità: S. Miniato
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32957,06
    anno 1845: famiglie n° 2467, abitanti n° 15016
    43. nome della Comunità: Modigliana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29714,07
    anno 1845: famiglie n° 988, abitanti n° 5441
    44. nome della Comunità: Monsummano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 9528,30
    anno 1845: famiglie n° 1004, abitanti n° 5815
    45. nome della Comunità: Montajone
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 59518,36
    anno 1845: famiglie n° 1467, abitanti n° 9212
    46. nome della Comunità: Montale
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12883,24
    anno 1845: famiglie n° 1314, abitanti n° 7242
    47. nome della Comunità: Monte Calvoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1703,83
    anno 1845: famiglie n° 222, abitanti n° 1257
    48. nome della Comunità: Monte Carlo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10490,88
    anno 1845: famiglie n° 1301, abitanti n° 7408
    49. nome della Comunità: Montecatini di Val di Cecina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42092,40
    anno 1845: famiglie n° 512, abitanti n° 3191
    50. nome della Comunità: Montecatini di Val di Nievole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8823,06
    anno 1845: famiglie n° 1016, abitanti
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    n° 6040
    51. nome della Comunità: Monte Lupo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7174,32
    anno 1845: famiglie n° 852, abitanti n° 4827
    52. nome della Comunità: Monte Murlo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8883,66
    anno 1845: famiglie n° 385, abitanti n° 2508
    53. nome della Comunità: Monte Spertoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36260,19
    anno 1845: famiglie n° 1121, abitanti n° 7694
    54. nome della Comunità: Montopoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4286,67
    anno 1845: famiglie n° 560, abitanti n° 3325
    55. nome della Comunità: Palazzuolo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31922,99
    anno 1845: famiglie n° 591, abitanti n° 3326
    56. nome della Comunità: Pelago
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29487,05
    anno 1845: famiglie n° 1484, abitanti n° 9291
    57. nome della Comunità: Pellegrino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6294,95
    anno 1845: famiglie n° 1373, abitanti n° 7285
    58. nome della Comunità: Pescia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7643,78
    anno 1845: famiglie n° 2534, abitanti n° 11974
    59. nome della Comunità: S. Piero a Sieve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10636,90
    anno 1845: famiglie n° 453, abitanti n° 2918
    60. nome della Comunità: Pistoja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 366,64
    anno 1845: famiglie n° 3003, abitanti n° 12387
    61. nome della Comunità: Piteglio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14584,63
    anno 1845: famiglie n° 601, abitanti n° 2999
    62. nome della Comunità: Pontassieve
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33562,76
    anno 1845: famiglie n° 1439, abitanti n° 9489
    63. nome della Comunità: Porta al Borgo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36764,50
    anno 1845: famiglie n° 2770, abitanti n° 15171
    64. nome della Comunità: Porta Carratica
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6173,46
    anno 1845: famiglie
  •    pag. 459 di 477
    n° 1180, abitanti n° 6779
    65. nome della Comunità: Porta Lucchese
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7669,18
    anno 1845: famiglie n° 982, abitanti n° 5704
    66. nome della Comunità: Porta S. Marco
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18996,48
    anno 1845: famiglie n° 1428, abitanti n° 8471
    67. nome della Comunità: Portico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18089,06
    anno 1845: famiglie n° 395, abitanti n° 2075
    68. nome della Comunità: Prato
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38820,77
    anno 1845: famiglie n° 6212, abitanti n° 33257
    69. nome della Comunità: Premilcuore
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 39052,75
    anno 1845: famiglie n° 445, abitanti n° 2715
    70. nome della Comunità: Reggello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 35378,22
    anno 1845: famiglie n° 1563, abitanti n° 9916
    71. nome della Comunità: Rignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15821,81
    anno 1845: famiglie n° 696, abitanti n° 4609
    72. nome della Comunità: Rocca S. Casciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16158,24
    anno 1845: famiglie n° 589, abitanti n° 3027
    73. nome della Comunità: Rovezzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 2765,07
    anno 1845: famiglie n° 909, abitanti n° 4987
    74. nome della Comunità: Sambuca
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22967,59
    anno 1845: famiglie n° 958, abitanti n° 5030
    75. nome della Comunità: Scarperia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23352,66
    anno 1845: famiglie n° 877, abitanti n° 5389
    76. nome della Comunità: Serravalle
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12339,43
    anno 1845: famiglie n° 895, abitanti n° 5079
    77. nome della Comunità: Sesto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14770,05
    anno 1845: famiglie n° 1702, abitanti n° 10081
    78. nome della Comunità: Signa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5251,37
    anno 1845: famiglie n°
  •    pag. 460 di 477
    1108, abitanti n° 6082
    79. nome della Comunità: S. Sofia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19292,73
    anno 1845: famiglie n° 562, abitanti n° 2895
    80. nome della Comunità: Sorbano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11079,29
    anno 1845: famiglie n° 193, abitanti n° 1046
    81. nome della Comunità: Terra del Sole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10362,66
    anno 1845: famiglie n° 783, abitanti n° 3612
    82. nome della Comunità: Tizzana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13344,87
    anno 1845: famiglie n° 1367, abitanti n° 7880
    83. nome della Comunità: Tredozio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18335,87
    anno 1845: famiglie n° 456, abitanti n° 2508
    84. nome della Comunità: Uzzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3701,13
    anno 1845: famiglie n° 743, abitanti n° 4014
    85. nome della Comunità: Vaglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16657,07
    anno 1845: famiglie n° 427, abitanti n° 2772
    86. nome della Comunità: Vellano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7284,05
    anno 1845: famiglie n° 599, abitanti n° 2843
    87. nome della Comunità: Verghereto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 34834,19
    anno 1845: famiglie n° 376, abitanti n° 2182
    88. nome della Comunità: Vernio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16118,53
    anno 1845: famiglie n° 707, abitanti n° 4127
    89. nome della Comunità: Vicchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43244,12
    anno 1845: famiglie n° 1540, abitanti n° 9687
    90. nome della Comunità: Vinci
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15302,29
    anno 1845: famiglie n° 924, abitanti n° 5895
    91. nome della Comunità: Volterra
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 82781,97
    anno 1845: famiglie n° 1796, abitanti n° 11491

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1909746,76
    - TOTALE anno 1845: famiglie n° 132968, abitanti n°
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    727253

    COMPATIMENTO PISANO

    1. nome della Comunità: Albiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3520,67
    anno 1845: famiglie n° 220, abitanti n° 1213
    2. nome della Comunità: Bagni di S. Giuliano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27112,87
    anno 1845: famiglie n° 2388, abitanti n° 15651
    3. nome della Comunità: Bagnone
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18239,88
    anno 1845: famiglie n° 783, abitanti n° 4855
    4. nome della Comunità: Barga
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22421,03
    anno 1845: famiglie n° 1247, abitanti n° 7194
    5. nome della Comunità: Bibbona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25807,92
    anno 1845: famiglie n° 297, abitanti n° 1656
    6. nome della Comunità: Bientina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8526,55
    anno 1845: famiglie n° 426, abitanti n° 2477
    7. nome della Comunità: Calcinaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4136,58
    anno 1845: famiglie n° 560, abitanti n° 3222
    8. nome della Comunità: Calice
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12826,67
    anno 1845: famiglie n° 489, abitanti n° 2959
    9. nome della Comunità: Capannoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6636,54
    anno 1845: famiglie n° 402, abitanti n° 2646
    10. nome della Comunità: Caprio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5492,47
    anno 1845: famiglie n° 213, abitanti n° 1335
    11. nome della Comunità: Casale
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4219,92
    anno 1845: famiglie n° 183, abitanti n° 884
    12. nome della Comunità: Cascina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23150,50
    anno 1845: famiglie n° 2768, abitanti n° 16611
    13. nome della Comunità: Casola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12611,56
    anno 1845: famiglie n° 451, abitanti n° 2584
    14. nome della Comunità: Castellina Marittima
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13303,78
    anno 1845:
  •    pag. 462 di 477
    famiglie n° 241, abitanti n° 1463
    15. nome della Comunità: Castelnuovo di Val di Cecina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18724,31
    anno 1845: famiglie n° 456, abitanti n° 2587
    16. nome della Comunità: Chianni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18087,03
    anno 1845: famiglie n° 427, abitanti n° 2520
    17. nome della Comunità: Colle Salvetti
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 36717,04
    anno 1845: famiglie n° 882, abitanti n° 6430
    18. nome della Comunità: Fauglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20126,75
    anno 1845: famiglie n° 853, abitanti n° 5757
    19. nome della Comunità: Filattiera
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4260,54
    anno 1845: famiglie n° 149, abitanti n° 847
    20. nome della Comunità: Fivizzano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 66575,62
    anno 1845: famiglie n° 2392, abitanti n° 13751
    21. nome della Comunità: Gherardesca
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 41330,82
    anno 1845: famiglie n° 593, abitanti n° 3119
    22. nome della Comunità: Groppoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3580,37
    anno 1845: famiglie n° 126, abitanti n° 718
    23. nome della Comunità: Guardistallo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6909,31
    anno 1845: famiglie n° 242, abitanti n° 1389
    24. nome della Comunità: Lajatico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17425,27
    anno 1845: famiglie n° 293, abitanti n° 1690
    25. nome della Comunità: Lari
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23660,66
    anno 1845: famiglie n° 1477, abitanti n° 8908
    26. nome della Comunità: Livorno
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27878,55
    anno 1845: famiglie n° 15065, abitanti n° 80195
    27. nome della Comunità: Longone
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 54199,76
    anno 1845: famiglie n° 676, abitanti n° 3300
    28. nome della Comunità: Lorenzana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5761,86
    anno 1845: famiglie
  •    pag. 463 di 477
    n° 231, abitanti n° 1419
    29. nome della Comunità: S. Luce
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19643,74
    anno 1845: famiglie n° 297, abitanti n° 2060
    30. nome della Comunità: Marciana
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32774,14
    anno 1845: famiglie n° 1387, abitanti n° 6678
    31. nome della Comunità: Monte Scudajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5752,73
    anno 1845: famiglie n° 209, abitanti n° 1142
    32. nome della Comunità: Orciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3571,19
    anno 1845: famiglie n° 126, abitanti n° 759
    33. nome della Comunità: Palaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26463,84
    anno 1845: famiglie n° 1379, abitanti n° 9332
    34. nome della Comunità: Peccioli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27008,01
    anno 1845: famiglie n° 861, abitanti n° 5763
    35. nome della Comunità: Pietrasanta
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14509,00
    anno 1845: famiglie n° 1086, abitanti n° 9104
    36. nome della Comunità: PISA
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 58972,95
    anno 1845: famiglie n° 8363, abitanti n° 43840
    37. nome della Comunità: Pomarance
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 73535,94
    anno 1845: famiglie n° 925, abitanti n° 5759
    38. nome della Comunità: Ponsacco
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5811,67
    anno 1845: famiglie n° 487, abitanti n° 3107
    39. nome della Comunità: Ponte d’Era
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10844,40
    anno 1845: famiglie n° 1571, abitanti n° 8587
    40. nome della Comunità: Pontremoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 41263,62
    anno 1845: famiglie n° 1743, abitanti n° 10322
    41. nome della Comunità: Portoferrajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 9769,40
    anno 1845: famiglie n° 1003, abitanti n° 4640
    42. nome della Comunità: Rio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10382,68
    anno 1845: famiglie n° 921, abitanti
  •    pag. 464 di 477
    n° 4164
    43. nome della Comunità: Riparbella
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22997,76
    anno 1845: famiglie n° 317, abitanti n° 1865
    44. nome della Comunità: Rosignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31542,75
    anno 1845: famiglie n° 872, abitanti n° 5027
    ( ERRATA : 45. nome della Comunità: Sassetta
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7672,24
    anno 1845: famiglie n° 1431, abitanti n° 7019) N.B. Dalla Tavola del Compartimento Pisano va tolta la Comunità della Sassetta con la misura dei suoi quadrati agrarj, perché inserita a suo luogo sotto il Compartimento di Grosseto alla pag. 257.
    46. nome della Comunità: Seravezza
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11619,64
    anno 1845: famiglie n° 1150, abitanti n° 6048
    47. nome della Comunità: Stazzema
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22400,40
    anno 1845: famiglie n° 309, abitanti n° 1796
    48. nome della Comunità: Terrarossa
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5798,12
    anno 1845: famiglie n° 513, abitanti n° 3326
    49. nome della Comunità: Terricciuola
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12648,82
    anno 1845: famiglie n° 858, abitanti n° 5442
    50. nome della Comunità: Vecchiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19339,11
    anno 1845: famiglie n° 1926, abitanti n° 10832
    51. nome della Comunità: Vico Pisano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16317,46
    anno 1845: famiglie n° 750, abitanti n° 4676
    52. nome della Comunità: Zeri
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33446,66
    anno 1845: famiglie n° -, abitanti n° -

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1010658,96
    - TOTALE anno 1845: famiglie n° 63734, abitanti n° 358668

    COMPARTIMENTO SENESE

    1. nome della Comunità: Asciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 63285,36

    anno 1845: famiglie n° 1056, abitanti n° 6508
    2. nome
  •    pag. 465 di 477
    della Comunità: Badia S. Salvadore
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27024,05
    anno 1845: famiglie n° 935, abitanti n° 4295
    3. nome della Comunità: Buonconvento
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18765,25
    anno 1845: famiglie n° 453, abitanti n° 2636
    4. nome della Comunità: S. Casciano de’Bagni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26795,21
    anno 1845: famiglie n° 562, abitanti n° 2924
    5. nome della Comunità: Casole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 43279,75
    anno 1845: famiglie n° 621, abitanti n° 4031
    6. nome della Comunità: Castellina in Chianti
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28926,29
    anno 1845: famiglie n° 457, abitanti n° 3366
    7. nome della Comunità: Castelnuovo Berardenga
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 51957,03
    anno 1845: famiglie n° 1120, abitanti n° 7418
    8. nome della Comunità: Castiglion d’Orcia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31727,41
    anno 1845: famiglie n° 311, abitanti n° 1910
    9. nome della Comunità: Cavriglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17687,97
    anno 1845: famiglie n° 622, abitanti n° 3901
    10. nome della Comunità: Chiusdino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40516,66
    anno 1845: famiglie n° 465, abitanti n° 3144
    11. nome della Comunità: Colle
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26741,47
    anno 1845: famiglie n° 1073, abitanti n° 6231
    12. nome della Comunità: Elci
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19655,39
    anno 1845: famiglie n° 161, abitanti n° 1239
    13. nome della Comunità: Gajole
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 37596,05
    anno 1845: famiglie n° 745, abitanti n° 4558
    14. nome della Comunità: S. Gimignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40726,46
    anno 1845: famiglie n° 1051, abitanti n° 6556
    15. nome della Comunità: S. Giovanni d’Asso
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 14410,00
    anno 1845: famiglie n° 255,
  •    pag. 466 di 477
    abitanti n° 1392
    16. nome della Comunità: Masse di Città
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16828,15
    anno 1845: famiglie n° 651, abitanti n° 4133
    17. nome della Comunità: Masse di S. Martino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17364,68
    anno 1845: famiglie n° 713, abitanti n° 4543
    18. nome della Comunità: Montalcino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 69764,47
    anno 1845: famiglie n° 1249 abitanti n° 6573
    19. nome della Comunità: Monteriggioni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28939,69
    anno 1845: famiglie n° 433, abitanti n° 3321
    20. nome della Comunità: Monteroni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 30981,62
    anno 1845: famiglie n° 457, abitanti n° 3307
    21. nome della Comunità: Monticiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31850,80
    anno 1845: famiglie n° 377, abitanti n° 2026
    22. nome della Comunità: Murlo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 33380,22
    anno 1845: famiglie n° 447, abitanti n° 2349
    23. nome della Comunità: Pian Castagnajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20312,05
    anno 1845: famiglie n° 529, abitanti n° 2883
    24. nome della Comunità: Pienza
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 35809,18
    anno 1845: famiglie n° 502, abitanti n° 2905
    25. nome della Comunità: Poggibonsi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 20525,67
    anno 1845: famiglie n° 1047, abitanti n° 6344
    26. nome della Comunità: S. Quirico
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 12412,95
    anno 1845: famiglie n° 335, abitanti n° 1675
    27. nome della Comunità: Radda
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23372,89
    anno 1845: famiglie n° 437, abitanti n° 3015
    28. nome della Comunità: Radicofani
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24647,89
    anno 1845: famiglie n° 434, abitanti n° 2554
    29. nome della Comunità: Radicondoli
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29445,45
    anno 1845: famiglie n°
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    342, abitanti n° 2215
    30. nome della Comunità: Rapolano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24057,02
    anno 1845: famiglie n° 568, abitanti n° 3519
    31. nome della Comunità: SIENA
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 484,23
    anno 1845: famiglie n° 4651, abitanti n° 20637
    32. nome della Comunità: Sovicille
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42149,95
    anno 1845: famiglie n° 1009, abitanti n° 6609
    33. nome della Comunità: Trequanda
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23744,72
    anno 1845: famiglie n° 574, abitanti n° 2911

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 975165,98
    - TOTALE anno 1845: famiglie n° 24648, abitanti n° 141628

    COMPARTIMENTO ARETINO

    1. nome della Comunità: Anghiari
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38093,66
    anno 1845: famiglie n° 1165, abitanti n° 5358
    2. nome della Comunità: AREZZO
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 112717,45
    anno 1845: famiglie n° 5788, abitanti n° 33657
    3. nome della Comunità: Asinalunga
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22874,64
    anno 1845: famiglie n° 1418, abitanti n° 7767
    4. nome della Comunità: Badia Tedalda
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 34165,43
    anno 1845: famiglie n° 327, abitanti n° 2074
    5. nome della Comunità: Bibbiena
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25311,64
    anno 1845: famiglie n° 917, abitanti n° 5079
    6. nome della Comunità: Bucine
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 38335,83
    anno 1845: famiglie n° 1065, abitanti n° 6326
    7. nome della Comunità: Capolona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13874,29
    anno 1845: famiglie n° 386, abitanti n° 2237
    8. nome della Comunità: Caprese
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19523,84
    anno 1845: famiglie n° 333, abitanti n° 1749
    9. nome della Comunità: Castel Focognano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16919,75
    anno 1845: famiglie n°
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    504, abitanti n° 2742
    10. nome della Comunità: Castelfranco di sopra
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10723,76
    anno 1845: famiglie n° 458, abitanti n° 2826
    11. nome della Comunità: Castel S. Niccolò
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 19117,82
    anno 1845: famiglie n° 777, abitanti n° 4250
    12. nome della Comunità: Castiglion Fiorentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 32291,61
    anno 1845: famiglie n° 1951, abitanti n° 11148
    13. nome della Comunità: Castiglion Ubertini
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3255,24
    anno 1845: famiglie n° 62, abitanti n° 498
    14. nome della Comunità: Cetona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 15566,15
    anno 1845: famiglie n° 710, abitanti n° 3621
    15. nome della Comunità: Chianciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 10741,48
    anno 1845: famiglie n° 395, abitanti n° 2186
    16. nome della Comunità: Chitignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 4319,55
    anno 1845: famiglie n° 198, abitanti n° 1067
    17. nome della Comunità: Chiusi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17010,74
    anno 1845: famiglie n° 625, abitanti n° 3732
    18. nome della Comunità: Chiusi in Casentino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29898,34
    anno 1845: famiglie n° 341, abitanti n° 2199
    19. nome della Comunità: Civitella
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29634,20
    anno 1845: famiglie n° 824, abitanti n° 5258
    20. nome della Comunità: Cortona
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 100180,60
    anno 1845: famiglie n° 3948, abitanti n° 23322
    21. nome della Comunità: Due Comuni di Laterina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7500,61
    anno 1845: famiglie n° 155, abitanti n° 951
    22. nome della Comunità: Fojano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 11746,84
    anno 1845: famiglie n° 1215, abitanti n° 7039
    23. nome della Comunità: S. Giovanni
    superficie quadrata della Comunità in quadrati
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    agrari: 6487,34
    anno 1845: famiglie n° 785, abitanti n° 4172
    24. nome della Comunità: Laterina
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7002,67
    anno 1845: famiglie n° 301, abitanti n° 1950
    25. nome della Comunità: Loro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25587,87
    anno 1845: famiglie n° 836, abitanti n° 4721
    26. nome della Comunità: Lucignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13033,55
    anno 1845: famiglie n° 658, abitanti n° 3583
    27. nome della Comunità: Marciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6924,38
    anno 1845: famiglie n° 318, abitanti n° 2211
    28. nome della Comunità: Monte S. Maria
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21300,30
    anno 1845: famiglie n° 457, abitanti n° 2071
    29. nome della Comunità: Monte Mignajo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13075,94
    anno 1845: famiglie n° 354, abitanti n° 1928
    30. nome della Comunità: Montepulciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 48420,98
    anno 1845: famiglie n° 1954, abitanti n° 11167
    31. nome della Comunità: Monterchi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 8429,65
    anno 1845: famiglie n° 458, abitanti n° 2648
    32. nome della Comunità: Monte S. Savino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 25961,70
    anno 1845: famiglie n° 1147, abitanti n° 7009
    33. nome della Comunità: Monte Varchi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 16521,66
    anno 1845: famiglie n° 1575, abitanti n° 6870
    34. nome della Comunità: Ortignano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5590,32
    anno 1845: famiglie n° 171, abitanti n° 895
    35. nome della Comunità: Pergine
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 13800,30
    anno 1845: famiglie n° 299, abitanti n° 1941
    36. nome della Comunità: Pian di Scò
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5757,61
    anno 1845: famiglie n° 453, abitanti n° 2683
    37. nome della Comunità: Pieve S. Stefano
    superficie quadrata
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    della Comunità in quadrati agrari: 45504,85
    anno 1845: famiglie n° 734, abitanti n° 4161
    38. nome della Comunità: Poppi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28405,63
    anno 1845: famiglie n° 987, abitanti n° 5654
    39. nome della Comunità: Prato Vecchio
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22563,93
    anno 1845: famiglie n° 733, abitanti n° 4214
    40. nome della Comunità: Raggiolo
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 5125,70
    anno 1845: famiglie n° 149, abitanti n° 705
    41. nome della Comunità: Sarteano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24905,15
    anno 1845: famiglie n° 757, abitanti n° 3989
    42. nome della Comunità: S. Sepolcro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 26702,83
    anno 1845: famiglie n° 1281, abitanti n° 7274
    43. nome della Comunità: Sestino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 24365,87
    anno 1845: famiglie n° 389, abitanti n° 2334
    44. nome della Comunità: Stia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17948,20
    anno 1845: famiglie n° 499, abitanti n° 3026
    45. nome della Comunità: Subbiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 23032,40
    anno 1845: famiglie n° 538, abitanti n° 3076
    46. nome della Comunità: Talla
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 18041,34
    anno 1845: famiglie n° 399, abitanti n° 2201
    47. nome della Comunità: Terranuova
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 21614,98
    anno 1845: famiglie n° 991, abitanti n° 6515
    48. nome della Comunità: Torrita (*)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17001,88
    anno 1845: famiglie n° 710, abitanti n° 4069

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1106910,53
    - TOTALE anno 1845: famiglie n° 41425, abitanti n° 239484

    COMPARTIMENTO GROSSETANO

    1. nome della Comunità: Arcidosso
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27168,77
    anno 1845: famiglie n° 1013, abitanti n° 4999
    2. nome della Comunità: Campagnatico
    superficie
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    quadrata della Comunità in quadrati agrari: 103589,22
    anno 1845: famiglie n° 670, abitanti n° 3417
    3. nome della Comunità: Campiglia
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 3358,12
    anno 1845: famiglie n° 727, abitanti n° 3075
    4. nome della Comunità: Castel del Piano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 22071,71
    anno 1845: famiglie n° 931, abitanti n° 4630
    5. nome della Comunità: Castiglion della Pescaja
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 60138,01
    anno 1845: famiglie n° 373, abitanti n° 1774
    6. nome della Comunità: Cinigiano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 59433,84
    anno 1845: famiglie n° 654, abitanti n° 3297
    7. nome della Comunità: S. Fiora
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 42534,16
    anno 1845: famiglie n° 1002, abitanti n° 4922
    8. nome della Comunità: Gavorrano con Scarlino e Buriano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 70832,82
    anno 1845: famiglie n° 582, abitanti n° 2567
    9. nome della Comunità: Giglio ( Isola )
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 6431,15
    anno 1845: famiglie n° 406, abitanti n° 1886
    10. nome della Comunità: GROSSETO
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 118956,68
    anno 1845: famiglie n° 664, abitanti n° 2952
    11. nome della Comunità: Magliano (A)
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 73101,22
    anno 1845: famiglie n° 248, abitanti n° 1010
    12. nome della Comunità: Manciano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 98846,29
    anno 1845: famiglie n° 568, abitanti n° 2640
    13. nome della Comunità: Massa Marittima
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 129263,77
    anno 1845: famiglie n° 1319, abitanti n° 7304
    14. nome della Comunità: Mont’Argentaro
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 17486,23
    anno 1845: famiglie n° 569, abitanti n° 3158
    15. nome della Comunità: Monteverdi
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 28421,47
    anno 1845: famiglie n° 150, abitanti
  •    pag. 472 di 477
    n° 974
    16. nome della Comunità: Montieri
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 31195,45
    anno 1845: famiglie n° 607, abitanti n° 3392
    17. nome della Comunità: Orbetello
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 120603,71
    anno 1845: famiglie n° 690, abitanti n° 3536
    18. nome della Comunità: Piombino
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 40680,01
    anno 1845: famiglie n° 488, abitanti n° 2058
    19. nome della Comunità: Pitigliano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 29902,23
    anno 1845: famiglie n° 868, abitanti n° 3883
    20. nome della Comunità: Roccalbegna
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 48460,21
    anno 1845: famiglie n° 722, abitanti n° 3525
    21. nome della Comunità: Rocca Strada
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 101317,66
    anno 1845: famiglie n° 962, abitanti n° 4651
    22. nome della Comunità: Sassetta
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 7672,24
    anno 1845: famiglie n° 155, abitanti n° 805
    23. nome della Comunità: Scansano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 80171,27
    anno 1845: famiglie n° 756, abitanti n° 3362
    24. nome della Comunità: Sorano
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 67490,60
    anno 1845: famiglie n° 997, abitanti n° 4271
    25. nome della Comunità: Suvereto
    superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 27080,29
    anno 1845: famiglie n° 233, abitanti n° 994

    - TOTALE superficie quadrata della Comunità in quadrati agrari: 1446431,12
    - TOTALE anno 1845: famiglie n° 16354, abitanti n° 79082

    RECAPITOLAZIONE DELLA STATISTICA NUMERICA DELLA TOSCANA GRANDUCALE ripartita ne’cinque Compartimenti all’anno 1845 (1).

    - nome del Compartimento: FIORENTINO
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 1,838,015.14
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 8,509.17
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 63,222.45
    totale della superficie in quadrati agrari: 1,909,746.76
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire
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    toscane
    : 20,525,003.59
    numero delle famiglie: 132,968
    numero degli abitanti: 727,253

    - nome del Compartimento: PISANO comprese l’Isole dell’Elba e della Pianosa
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 900,522.10 e 66,526.07
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 7,182.71 e --
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 34,828.17 e 1,599.91
    totale della superficie in quadrati agrari: 942,532.98 e 68,125.98
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire toscane : 9,735,041.95 e 401,314.88
    numero delle famiglie: 63,734 e --
    numero degli abitanti: 358,668 e --

    - nome del Compartimento: SENESE
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 942,871.33
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 1,857.10
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 30,437.55
    totale della superficie in quadrati agrari: 975,165.98
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire toscane : 4,052,882.38
    numero delle famiglie: 24,648
    numero degli abitanti: 141,628

    - nome del Compartimento: ARETINO
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 1,070,281.96
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 4,085.70
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 32,542.87
    totale della superficie in quadrati agrari: 1,106,910.53
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire toscane : 7,061,804.61
    numero delle famiglie: 41,425
    numero degli abitanti: 239,484

    - nome del Compartimento: GROSSETANO (compresa l’Isola del Giglio)
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 1,165,726.11 e --
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 8,018.83 e --
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 29,318.81 e --
    totale della superficie in quadrati agrari: 1,439,999.98 e 6,431.15
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire toscane : 2,758,656.36 e --
    numero delle famiglie: 16,354 e --
    numero degli abitanti: 79,082 e --
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    />
    - TOTALE
    superficie in quadrati agrari di beni imponibili: 5,983,942.71
    superficie in quadrati agrari di beni esenti: 29,653.51
    superficie in quadrati agrari di strade e fiumi: 191,949.76
    totale della superficie in quadrati agrari: 6,448,913.36
    rendita dei beni imponibili al 7 settembre 1838, giorno dell’ultima perequazione in lire toscane : 44,534,703.77
    numero delle famiglie: 279,129
    numero degli abitanti: 1,546,115

    (1) La somma della superficie territoriale del COMPARTIMENTO GROSSETANO varia stante alcune mutazioni di territori comunitativi.

    VIE COMUNITATIVE ROTABILI DEL GRANDUCATO DI TOSCANA

    Le Vie Comunitative rotabili aperte a tutto l’anno 1844 nella Toscana Granducale rispetto alla loro lunghezza ascendevano a miglia 3668.84. Coteste Vie sarebbero troppe se dovessi enumerarle distintamente per ogni Comunità, dondechè mi limiterò a indicare la somma delle miglia che le medesime percorrono nei cinque Compartimenti amministrativi del Granducato, e nel tempo stesso avviserò semplicemente quelle Comunità che mancano di strade comunitative totalmente praticabili dalle ruote.

    I. La lunghezza delle Vie comunitative rotabili esistenti nel 1844 nel COMPARTIMENTO FIORENTINO ascendeva a miglia 1653, 07.
    N.B.In questo Compartimento mancavano allora di Vie Comunitative rotabili le Comunità di Bagno, Dovadola, Galeata, Londa, Marradi, Modigliana, Portico, Sambuca, San Godenzo, Santa Sofia, Sorbano, Terra del Sole, Tredozio, Verghereto e Volterra ; in tutte 15 Comunità.
    II. La lunghezza delle Vie Comunitative rotabili esistenti nel 1844 nel COMPARTIMENTO PISANO ascendeva a miglia 621.25.
    N.B. Mancavano in detto Compartimento di Vie comunitative rotabili le Comunità di Calice, Casola, Castel Nuovo di Val di Cecina, Groppoli, Rio nell’Isola dell’Elba, e Zeri; in tutte 6 Comunità.
    III. La lunghezza delle Vie comunitative rotabili esistenti nel 1844 nel COMPARTIMENTO SENESE era di miglia 486.59.
    N.B. Se non mancavano di Strade comunitative rotabili molte delle quattro Comunità di
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    campagna comprese nella Cancelleria comunitativa di Siena, non poche di esse per altro erano difficilmente praticabili dalle ruote in tutta la loro estensione.
    IV. La lunghezza delle Vie comunitative rotabili esistenti nel 1844 nel COMPARTIMENTO ARETINO ascendeva a miglia 614.71.
    N.B. Mancavano in questo Compartimento di Strade comunitative rotabili le Comunità della Badia Tedalda e di Sestino. – Quelle aperte fino al 1844 nelle Comunità di Bibbiena e di Chiusi del Casentino sono in gran parte impraticabili dalle ruote.
    V. La lunghezza delle Vie comunitative rotabili esistenti nel 1844 nel COMPARTIMENTO GROSSETANO arrivava a miglia 293.22.
    N.B.Mancavano in questo Compartimento di Strade comunitative rotabili le Comunità dell’ Isola del Giglio, di Manciano, di Pitigliano, di Rocca Strada e di Sorano; in tutte 5 Comunità.

    RECAPITOLAZIONE delle miglia percorse nel GRANDUCATO DI TOSCANA dalle quattro Classi delle Vie preaccennate.

    - qualità delle vie dentro il territorio del Granducato: LE IX VIE REGIE POSTALI
    miglia fiorentine che percorrono:  ( ERRATA : 345.55) 347.75
    - qualità delle vie dentro il territorio del Granducato: LE XVIII VIE REGIE  NON POSTALI
    miglia fiorentine che percorrono:  ( ERRATA : 400.91)  428.91
    - qualità delle vie dentro il territorio del Granducato: LE XLII VIE PROVINCIALI
    miglia fiorentine che percorrono:  1026.15
    - qualità delle vie dentro il territorio del Granducato: LE VIE COMUNITATIVE ROTABILI
    miglia fiorentine che percorrono:  3668.84

    TOTALE miglia fiorentine che percorrono:  ( ERRATA : 5441.45) 5471.65

    Se oltre la RECAPITOLAZIONE suddetta della lunghezza percorsa dalle 4 Classi di vie rotabili aperte nel 1844 nel Granducato, il dipartimento del Catasto avesse potuto farci conoscere la larghezza respettiva delle Vie medesime, noi saremmo posti nel grado d’indicare più d’appresso ai nostri lettori la superficie totale che le 4 Classi di strade rotabili attualmente possono cuoprire nel territorio del Granducato.
    Essendochè cotesta superficie resta tuttora
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    promiscuata non solo con quella delle strade mulattiere, ma dei fiumi, torrenti ed altri minori corsi d’acqua, calcolandosi in complesso la loro estensione in 191950 quadrati agrarj, pari a circa miglia 239 quadrate di 67, 3 a grado, cioè di braccia 2833 1/2 per ogni miglio lineare fiorentino.
    Premesso ciò, non ardisco meno che per approssimazione d’indicare qui appresso la superficie respettiva occupata nel 1844 nel Granducato dalle 4 Classi di strade sopra indicate, accordando per modo di esempio:

    Alla Classe I DELLE STRADE REGIE POSTALI, la larghezza media Braccia 12
    Alla Classe II DELLE STRADE REGIE NON POSTALI parimente Braccia 12
    Alla Classe III DELLE STRADE PROVINCIALI la larghezza media di Braccia  8
    Alla Classe IV DELLE STRADE COMUNITATIVE ROTABILI similmente Braccia  8

    Dondechè ne conseguiterebbe, che la prima Classe delle STRADE REGIE POSTALI estendendosi per il Granducato in una lunghezza lineare di miglia ( ERRATA : 345, 55) 347, 75 ed in una larghezza media di braccia 12 occupare dovrebbe un terreno equivalente a miglia toscane quadre fiorentine 1 e mezzo, pari a quadrati 1294 86 di 10000 braccia l’uno.
    Così le STRADE REGIE NON POSTALI nella loro lunghezza di miglia ( ERRATA : 400.91) 428, 91 in una larghezza di braccia 12 verrebbero ad occupare nel Granducato miglia toscane quadre fiorentine 1 5/8.
    Rispetto poi alle Classi III e IV e delle STRADE PROVINCIALI ascendenti alla lunghezza di miglia toscane 1026.15, e delle COMUNITATIVE di miglia toscane 3668, calcolate nella loro lunghezza in miglia toscane 4694.99 e nelle larghezza di braccia 8, occuperebbero il terreno coperto da miglia quadre fiorentine 13 1/4 pari a quadrati 10641.96.
    Cosicchè il Granducato nel 1844 avrebbe ceduto per conto di strade rotabili una superficie catastale di suolo non imponibile di 13499.90 quadrati equivalenti a miglia quadre
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    16 3/8 fiorentine; la qual superficie, detratta dalla maggiore di 191950 quadrati per i diversi corsi d’acqua, e per le piccole vie, lascerebbe a questa quadrati 178450.10.
    E tuttociò in una popolazione di un milione e mezzo circa di abitanti sparsi in una superficie di 8032 1/3 miglia quadrate fiorentine, ossia di quadrati 6448, 913. – Vedere a pagina 571 di questo Volume il QUADRO DELLA RECAPITOLAZIONE STATISTICA NUMERICA DELLA TOSCANA GRANDUCALE.
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Localizzazione
ID: 1951
N. scheda: 21880
Volume: 1; 2; 5; 6S
Pagina: 109 - 110; 149 - 285, 480 - 501; 556 - 577, 729, 737-738, 838 - 839; 95 - 100
Riferimenti:
Toponimo IGM: Firenze
Comune: FIRENZE
Provincia: FI
Quadrante IGM: 106-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1681535, 4849176
WGS 1984: 11.25652, 43.77494
UTM (32N): 681599, 4849351
Denominazione: Firenze, Fiorenza - Arcivescovati della Toscana (Arcivescovato di Firenze) - Granducato di Toscana - Toscana Granducale - Zecche Diverse (Firenze) - Via Regia intorno alle Mura Esterne della Città di Firenze
Popolo: S. Reparata, S. Maria del Fiore a Firenze
Piviere: S. Reparata, S. Maria del Fiore a Firenze
Comunità: Firenze
Giurisdizione: Firenze
Diocesi: Firenze
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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