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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Isola di Pianosa - Cala della Caserma - Cala del Grottone - Arcipelago Toscano

 

(Isola Pianosa)

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    ARCIPELAGO TOSCANO. È quella parte di mare Tosco situata fra le isole della Corsica, della Sardegna e la Toscana, dal golfo Lunense alla Promontorio Argentaro; il qual pelago è sparso di minori isole, scogli e isolotti quasi tutti dipendenti dal Governo toscano.
    Sono di dominio del Granducato le isole dell’
    Elba, di Gorgona, della Pianosa, del Giglio, di Giannutri e di Monte Cristo; gl’isolotti di Palmajola, di Cerboli, di Troja, e delle Formiche di Grosseto, di Burano e di Ansedonia.
    L’isola di
    Palmaria con gl’isolotti diTino e Tinetto, all’imboccatura del Golfo della Spezia, e l’isola di Capraja dipendono dal Ducato di Genova, Regno Sardo.
    Vi sono presso al lido toscano alcune secche segnalate dai marinai o da qualche torre ivi sopra innalzata. Tal’è la baja della
    Meloria, che fa siepe alle procelle davanti al Porto di Livorno, la baja davanti al Porto di Vada, e una minore a ostro scirocco dell’Argentaro.
    Fra i molti punti dell’Arcipelago toscano scandagliati dal capitano
    Smyth, non ne fu trovato alcuno più profondo di 100 tese francesi. La sola traversa fra le isole di Elba e di Capraja presenta nei paraggi di quest’ultima, da 112 sino a 286 tese di profondità. – Questo spazio terraqueo, questo fondo mobile, pubblico, libero, non soggetto a imposizioni; quest’elemento essenziale alla vita commerciale delle città e popolazioni marittime della Toscana, somministra esso solo alla nazione di che si tratta risorse incalcolabili, sia per la facilità della comunicazione mediante l’Arcipelago, sia per i resultati giornalieri che producono la pesca, le saline e tant’altri frutti di mare necessari all’industria e al sostentamento della vita. – Vedere MARE e LITTORALE TOSCANO.

    ISOLE DELL’ARCIPELAGO
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    TOSCANO Le Isole sparse e appartenenti al Mar tirreno, stando alla divisione geografica da noi adottata, sono tutte quelle situate ad una certa limitata distanza dal littorale della Toscana, a partire dal promontorio di Portovenere sino al di là del promontorio Cossano: nel quale spazio la più settentrionale è l’isola di Palmaria, la più meridionale quella di Giannutri, e la più occidentale l’Isola di Capraja. La prima e l’ultima delle tre isole testè nominate appartengono al ducato di Genova, Regno Sardo; Giannutri con le isole del Giglio, di Monte Cristo, di (ERRATA: Pamajola) Pianosa, dell’Elba e della Gorgona dipendono dal Granduca di Toscana insieme con i minori isolotti di Palmajola, di Cerboli, di Troja, la Formica di Monte Cristo, di Burano e quelle così dette di Grosseto, oltre lo scoglio in mezzo al banco della Meloria.
    Non si conosce esattamente la suprficie quadrata di tutte le isole preaccennate, ma approssimativamente calcolate, esse occupano in mezzo al mare circa 115 miglia toscane quadrate di un terreno in gran parte massiccio e
    plutoniano; siccome si avrà luogo di osservare nei seguenti respettivi articoli di ciascuna delle Isole dell’Arcipelago toscano.

    CALA DELLA CASERMA. A scirocco dell’Isola di Pianosa.

    CALA DEL GROTTONE. A ostro dell’Isola di Pianosa.

    ISOLA DI PIANOSA (
    Planasia Insula, ed anche Planusia). – La Pianosa ha preso naturalmente il nome dalla sua figura quasi tutta piana, ad eccezione di un tumulo, o piccola collinetta che si alza poche braccia sopra il livello del mare, volgarmente appellata la collina di Gianfilippo.
    La parte centrale della Pianosa e nel grado 27° 42’ longitudine
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    e 42° 35’ latitudine. – Dalla sua spiaggia settentrionale è circa 15 miglia toscane distante il littorale di Campo nell’Isola dell’Elba, che è posta al suo grecale, ed ha circa 20 miglia toscane al suo scirocco l’Isola di Monte Cristo. – È di figura quasi triangolare con la base a ostro, e l’angolo opposto prolungato a guisa di lingua di terra che guarda a settentrione. – Occupa una superficie di quasi 4 miglia toscane quadrate con un perimetro tre volte maggiore. È priva di seni e di porti naturali, meno un angusto scalo capace di ricevere i piccoli legni, comecchè se gli dia il bel titolo di porto. – Contigua ad esso havvi la darsena proporzionata allo scalo ed al paese che ivi fu. Dirimpetto al porto sorge dall’onde uno scoglio designato col nomignolo medesimo di quello situato sulla punta della Palmaria all’ingresso del Golfo della Spezia, cioè di Scuola. Ebbe ragione pertanto Marziano Capella a dichiarare lo sbarco all’Isola di Pianosa:

    Fallax navigantium, mentiens, que propinquitas.
    (
    De Nupt. philos. lib. 6.)

    La qualità del suolo della uniforme Pianosa risulta da strati orizzontali di tufo costituito da arena granitica collegata da un copioso cemento calcareo, e da innumerevoli avanzi di fossili marini, i quali appartennero a conchiglie univalvi e bivalvi, a coralli, echini, ed altri radiati.
    Sotto gli strati di simile tufo talvolta scuopronsi dei banchi di argilla plastica.
    Questo terreno pertanto si presta facilmente all’escavazione delle grotte artificiali dei pochi isolani che nelle vicinanze del piccolo porto della Pianosa negli scorsi tempi abitavano.
    Fra le acque potabili, oltre varii pozzi, incontrasi nella Pianosa anche qualche fonte, una delle quali copiosa e perenne scaturisce da uno scoglio calcare in luogo detto la
    Botte sulla riva occidentale dell’Isola.
    La Pianosa è stata di recente illustrata dall’erudita penna del
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    Dott. Attilio Zuccani, il quale, dopo avere dato un rapidissimo cenno istorico dell’Isola stessa nel suo Atlante toscano, più a dilungo ne ha discorso in una posteriore descrizione topografico-fisico-storica della Pianosa, alla quale serve di corredo una Mappa delineata in proporzioni maggiori di quante altre finora comparvero alla luce.
    Il primo articolo dell’opuscolo accennato versa sulla
    topografia fisica; il secondo destinato alle notizie storiche dichiara essere tuttora ignoto, se gli Etruschi abbiano abitata la Pianosa, giacchè le sue prime memorie non oltrepassano l’epoca del triumvirato di Pompeo, Lepido e Ottaviano.
    Fu infatti dopo che Ottaviano Augusto era divenuto l’unico iperante del mondo allorquando, vinto dalle carezze e dal pianto dell’ambiziosissima Livia, cacciò nella Pianosa
    Agrippa Postumo, di lui nipote per parte della figliuola Giulia, comecchè il giovine esiliato, per asserto di Tacito, rozzo in vero d’ogni gentil costume fosse al tronde di ogni colpa innocente.
    Frattanto Ottaviano sentendo rimorso di ciò, si sparse voce in Roma che nascostamente, e solo con lui Fabio Massimo, si recasse nella Pianosa, e che costà scioltisi in pianto fra l’avo Augusto e l’infelice nipote, si dassero segni di tenerezza reciproca; ond’era sorta speranza che renderebbesi Agrippa agli aviti lari.
    Tale abboccamento, avendo palesato Massimo alla sua moglie, e dessa a Livia, questa con frettolose lettere richiamò dall’Illirico il figlio Tiberio Nerone allora Cesare, che arrivò in tempo in cui Ottaviano Augusto in Nola spirava, e lui veniva al momento istesso proclamato Imperatore.
    Prima impresa del nuovo Augusto fu (soggiunge Tacito) l’uccisione di Agrippa Postumo alla Pianosa, cui sopraffatto ed inerme, quantunque d’animo saldo, un centurione stentatamente ammazzò.
    Nella Pianosa il nome di Agrippa dopo 18 secoli non è ancora spento, e questo solo fatto costituisce l’avvenimento storico il più celebre che possa citarsi di cotest’Isola; giacchè rimontano al tempo della relegazione di Agrippa, gli
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    avanzi delle Terme giacenti sulla spiaggia appellata il Bagno di Agrippa, mezzo miglio a settentrione del piccolo porto.
    Di ciò che accadesse nella Pianosa sotto l’imperio dei Barbari tacque la storia.
    Il nome di Pianosa ricomparisce nelle cronache municipali di Pisa e di Genova all’epoca delle lotte sanguinose più volte battagliate nei primi tre secoli dopo il mille fra le due emule repubbliche.
    Nel 1112 una flotta genovese di sette galere navigò alla volta della
    Pianosa che tosto invase, ma sopraggiunte poco dopo forze superiori pisane, i Genovesi dovettero ritirarsi da quella conquista dopo avere distrutte le fortificazioni del castello e quelle del suo porto.
    Da un placito pronunziato in Pisa li 9 Novembre 1138
    ab Incarnatione dai giudici e consoli di quella città, si appalesa come il Comune di Pisa, riconquistata che ebbe l’Isola di Pianosa, la cedesse in feudo a diversi magnati, e fra questi Leone di Cunizo, il quale per atto pubblico rinunziò e donò la metà dell’Isola medesima a Balduino Arc. di Pisa. Dondechè i giudici, e fra questi un tal Marchesio, restituirono all’Arcivescovo il possesso della metà di Pianosa. – (MURATORI, Ant. M. Aevi T. III.)
    Peraltro i Genovesi tornarono nel 1283 a sbarcare con numeroso naviglio nella Pianosa, quando, al dire dei loro Annalisti, l’Isola medesima era popolata da alcuni coloni di crudele e pessima indole, che vivevano di prede di mare. In tale occasione furono distrutte le nuove torri, posta a ferro e fuoco la borgata, messi in ceppi e condotti prigioni a Genova 150 di quegli abitanti. Ma anche questa fiata dopo pochi mesi i Pisani ritornarono ad impadronirsi della Pianosa.
    A conferma degli ultimi fatti teste citati si presta un istrumento inedito dell’archivio Roncioni di Pisa del 5 febbrajo l284 comunicatomi dall’erudito pisano dott. Gio. Battista Coletti.
    È
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    una provvisione presa dagli anziani e dai collegii del popolo, dai consoli di mare, e delle arti, dal capitano, consiglieri e gonfaloniere della città di Pisa, premesso il giuramento di Filippo potestà dei Pisani, dietro l’istanza del loro arcivescovo Ruggero. Aveva quest’ultimo esibite a que’Signori alcune lettere dell’arcivescovo di Genova, in cui si narrava, che Niccoloso del fu Tatone da Chiavari, chierico di S. Siro di Ponte, era detenuto nelle carceri pisane da quelli di Pianosa, e faceva istanza che fosse liberato. In vista di ciò l’arcivescovo Ruggero proponeva al governo di liberare il suddetto chierico genovese, a condizione per altro che il Comune di Genova facesse uscire dalle sue carceri, e rimandasse libero alla patria Ugolino figlio di Uguccione Vernagalli chierico suddiacono, e Pievano dell’Isola di Pianosa, stato preso nel mese di aprile o maggio ultimo passato, e fino da quel tempo detenuto nelle carceri di Genova coi laici pisani. La proposizione essendo stata discussa in pieno consiglio, la Signoria approvò a forma di quanto l’Arcivescovo Ruggero aveva progettato. Ma la fatale disfatta accaduta pochi mesi dopo alla Meloria, rese i Genovesi padroni del mare toscano e insieme della Pianosa.
    Della quale Isola i Pisani tornarono nel secolo susseguente al possesso, a condizione per altro (se dobbiamo prestare fede agli storici di Genova) di lasciare la Pianosa incolta e deserta di abitatori.
    Era in tale meschino stato cotest’Isola, quando nel 1399 toccò a Gherardo Appiani insieme con le altre dell’Elba e di Monte Cristo, oltre il paese di Piombino.
    Durante il dominio degli Appiani sembra che la Pianosa si ripopolasse alquanto, e che vi si riattassero le abbattute fortificazioni; avvegnachè un’armata navale Gallo-Turca nel tempo che depredava l’Isola dell’Elba, corse anche sulla Pianosa; e dopo di averne smantellata la torre posta a difesa del piccolo porto, condusse schiavi
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    quanti di quegl’isolani potè trovare.
    Da una lettera scritta su tale emergente da Deodato Spadari, stato pievano di quella popolazione, a Ventura Bufalini Vesc. di Massa marittima, si rileva, che nella stessa occasione seguì la distruzione del paese della Pianosa, abbenchè questo fosse circondato di muraglie, e nel mezzo avesse una bellissima rocca, quale restò espugnata per la rottura della sua cisterna, aggiungendo quel pievano, che il villaggio di Pianosa era formato di 40 in 45 fuochi. (NINCI,
    Stor. dell’Isola dell’Elba pag. 93).
    Una pergamena dell’Archiv. Dipl. Fior. mi ha dato a conoscere qual fu il santo titolare della chiesa parrocchiale dell’Isola di Pianosa. – È una bolla del primo di ottobre 1538, con la quale il Pontefice Paolo III assegnava in benefizio al Cav. Giorgio Ugolini di Firenze castellano del Castel S. Angelo di Roma la chiesa plebana di
    S. Gaudenzio nell’Isola di Pianosa, ossiano le sue rendite superstiti, assieme con quelle di Santo Pietro nelle Colline pisane, e di S. Maria a Chianni presso Gambassi.
    Per riparare l’Isola di Pianosa, e difendere il littorale toscano dalle incursioni dei Barbareschi, il Granduca Ferdinando I nel 1594 fece istanza all’Imperatore di averla in feudo insieme con l’Elba e Monte Cristo; ed infatti gli furono promesse, comecchè per altre ragioni la promessa non avesse effetto. Donde avvenne che la Pianosa, finchè stette sotto il dominio dei principi Appiani, rimase sprovvista di abitazioni e deserta di popolo.
    Quindi non saprei con qual fondamento di verità fosse fatto credere a M. Thierbaut, che gli abitanti di Campo e di Marciana dell’Isola dell’Elba pervenissero a discacciare i Barbareschi ed a rendere alla Pianosa lo splendore suo primiero.
    “Ma sono ora circa 20 anni (scriveva Theibaut, nel 1808 il suo viaggio all’Isola dell’Elba) che dopo una lunga resistenza
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    e una perdita considerevole da una parte e l’altra, i coloni furono vinti dal numero, e 300 di loro condotti in schiavitù. Questa disgrazia (soggiunge egli) d’allora in poi allontanò il coltivatore dalla Pianosa, che non domanda altro che braccia per produrre delle ricche messi.”
    Il silenzio della storia sopra un fatto troppo vicino all’età in cui viviamo, ed i documenti dei tempi già scorsi ci fanno tenere in poco credito la raccontata disgrazia: e molto meno si vorrà credere, che per effetto di ciò il coltivatore Elbano non siasi più accostato a seminare i cereali nella deserta Pianosa, giacchè quest’uso fu continuato, in special modo dagli abitanti di Campo e di Marciana, fino all’anno 1834, epoca in cui tutta l’Isola di Pianosa fu condizionatamente dal governo toscano concessa in enfiteusi perpetua ad un solo proprietario.
    Nel principio del secolo che corre la Pianosa venne incorporata alla più vicina municipalità dell’Isola dell’Elba (S. Pier in Campo); e dall’Elba parte tuttora mensualmente la muta del presidio destinato a guardare il piccolo scalo della Pianosa, difeso già da una torre, innanzi che questa fosse fatta saltare in aria dagl’Inglesi nel maggio del 1809.
    Nella rovinosa caduta di Napoleone dal seggio imperiale, allorchè il destino lo guidò all’Elba, fu unita a questa la signoria di Pianosa, la quale dopo 18 secoli vide in lui un altro Augusto; e fu sì grata, dice il Zuccagni, l’impressione eccitatasi in Napoleone alla vista di quel luogo di delizie, che formò tosto il disegno di mandarvi una colonia agricola.
    Quale si fosse lo stato agrario dell’Isola di Pianosa nei primi anni del secolo attuale lo disse il Prof. Antonio Targioni-Tozzetti in una sua lezione all’accademia dei Georgofili, letta nel’anno 1817, allorchè avvisava, che la sua superficie irregolarmente piana, coperta in gran parte da macchia di olivastri, di albatri, e di sondri,
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    serviva alla pastura di pochi bestiami, e la minore porzione alla sementa di un cento saccata di grano che si faceva dagli abitanti di Marciana e di Campo, i quali da molti anni solevano dalla loro Isola dell’Elba trasferirsi alla Pianosa nelle stagioni a tale oggetto più opportune.
    Cotesta specie di lavoranti avventurieri andava scegliendo quà e là delle piazzate di terreno capace alla sementa, quindi zappata la terra, e di rado adoprando l’aratro, vi spargeva sopra il grano nella quantità media di circa cento sacca, ossia di 300 staja. Dopo raccolta la messe si lasciavano quei campi senza alcun’altra coltivazione per l’anno susseguente, e là si trasportavano dall’Elba a pascere i bestiami, i quali consistevano per la maggior parte in capre e pecore, in un minor numero di bovi e cavalli, che nel totale ascendevano a circa 1600 capi.
    Il grano alla Pianosa, benchè coltivato nel modo qui sopra annunziato, soleva dare dell’otto per uno, ma la raccolta soffriva un grande scapito, se nella primavera non cadevano piogge a rinfrescare quelle aride campagne.
    Niun altro prodotto cereale, nè di biade nè di legumi, si raccoglieva in quest’Isola eccettuatone il grano. – Pochissime viti si trovano alla Pianosa, e quelle salvatiche e sterili verso la spiaggia occidentale nel luogo denominato le
    Cannelle. Sotto il governo dei principi di Piombino i coltivatori di Marciana e di Campo, a titolo di fitto delle terre che seminavano nella Pianosa, pagavano lire due toscane per ogni sacco di sementa, il che portava all’erario del principe L. 200 l’anno. Restava bensì a carico dei coltivatori la provvisione del deputato di sanità, a ragione di L. 2 soldi 13 e denari 4, e talvolta più per giorno, e la paga del cappellano a una lira il giorno per il tempo in cui gli Elbani erano obbligati a
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    trattenersi per le loro faccende nella Pianosa.
    Il governo francese nel luglio 1807 sgravò dell’incarico delle suddette spese i coltivatori e fittuarii della Pianosa, e addossandosi il mantenimento della sanità, aumentò il fitto del suolo col portarlo a lire 4 soldi 5 e denari 4 per ogni saccata del terreno che occupavasi.
    A quell’epoca il Prof. Targioni-Tozzetti valutò che vi fossero nella Pianosa da circa 20,000 piante grandissime di ulivastri, dalle quali non era stato mai ritratto alcun utile nè dal pubblico, nè dai particolari.
    La macchia di alberi e lentischi non produceva al governo un benchè minimo profitto, giacchè, fu sempre abbandonata alla discrezione dei pastori e dei coltivatori che ne solevano fare strazio. Alcuni agricoltori di Campo raccoglievano bensì dai sondri circa un cento di sacca di seme per estrarne olio da ardere, potendone ritrarre a un bel circa 24 barili.
    In quale stato si trovasse nel 1836 l’Isola di Pianosa, e quali fossero le sue ultime condizioni agrarie, lo fa poi conoscere l’opuscolo del Dott. Attilio Zuccagni Orlandini poco sopra rammentato. In esso trovansi riportate le condizioni, con le quali il governo toscano, nel 1835, concesse in affitto perpetuo al cav. Stichling console del Re di Prussia a Livorno tutta l’Isola di Pianosa, col pagare il canone annuo di L. 1500 fiorini, esonerandolo per anni dieci da qualunque imposizione.
    In forza pertanto di quel contratto l’affittuario si è obbligato d’introdurre nella Pianosa dentro il giro di dieci anni non meno di 20 famiglie di contadini, preparando loro altrettanti poderi con case e necessarii annessi.
    Gli corre altresì l’obbligo dentro lo stesso decennio di far disboscare e potare la vastissima inselvatichita uliveta (circa 30,000 piante) onde ridurla alla primitiva domestichezza.
    Oltre la enunciata quantità di ulivastri vegetavano prima del 1834, e vegetano tuttora nella Pianosa, fra gli alberi ed arbusti, i lecci, le sabine, gli
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    albatri, i lentischi, le mortelle, i carubbi, i fichi ed altre varietà di frutti pomiferi. – Vi allignano e vi crescono in copia, fra le piante bulbose, gli anagiridi, le cipolle scille, i porri domestici e salvatici, e questi ultimi in numero prodigioso.
    Annidano sempre nella Pianosa, al pari che nelle altre isole disabitate del Mare toscano, grossi e numerosi topi, conigli e lepri, benchè questi in più scarsa copia.
    Non aveva appena il nuovo affittuario dell’Isola di Pianosa incominciato a dare opera a una così importante quanto laboriosa intrapresa, che già un battello a vapore veleggiando da Livorno per le Isole dell’Arcipelago toscano con una comitiva di viaggiatori delle tre giornate, approdò anche alla Pianosa per visitare la novella colonia e i nuovi lavori. Nè corsero mesi, che comparve nel giornale Agrario toscano la lettera di uno dei viaggiatori medesimi, del Cav. Commend. Lapo de’Ricci indiritta al console Cav. Carlo Sticling, con la quale si suggerivano al coraggioso impresario alcune osservazioni economico-agrarie per la coltura più proficua dell’Isola: consigliandolo, per esempio, di non impegnarsi nella costruzione di molte fabbriche, nè in affrettata coltivazione, ma di principiare dalle operazioni facili, delle quali il successo non sia dubbioso, senza lasciarsi illudere da mania di troppi tentativi, avendo veduto molte volte, che la passione di fare bella mostra in agricoltura nuoce alla buona e saggia economia, quale deve aversi in mira in ogni sorta di speculazione.
Localizzazione
ID: 2331
N. scheda: 26690
Volume: 1; 2
Pagina: 109; 607 - 611
Riferimenti:
Toponimo IGM: Isola Pianosa
Comune: CAMPO NELL'ELBA
Provincia: LI
Quadrante IGM: PIAN
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1588786, 4715639
WGS 1984: 10.08289, 42.58963
UTM (32N): 588850, 4715813
Denominazione: Isola di Pianosa - Cala della Caserma - Cala del Grottone - Arcipelago Toscano
Popolo:
Piviere:
Comunità: Marciana
Giurisdizione: Marciana
Diocesi: Massa Marittima
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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