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Livorno (Cattedrale) - Vescovati della Toscana (Livorno) - Acquedotti di Livorno - Via Regia suburbana di Livorno - Via, Strada Ferrata Leopolda - Via, Strada Ferrata Littoranea

 

(Livorno - Acquedotto (a E))

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    LIVORNO ( Liburni Civ. talvolta Labro , Liburna , e Livorna ). – Città magnifica, spaziosa, attraversata da un canale navigabile, con frequentatissimo, porto e buona rada, nuova sede vescovile, residenza di un governatore civile e militare, di tutti i consoli delle potenze amiche, di un magistrato civile e consolare, di una camera di commercio, capoluogo di Comunità e di Giurisdizione nel Compartimento di Pisa.
    Risiede Livorno sull'estrema lingua di terra che faceva riparo dal lato di ostro al colmato seno del porto pisano, fra la foce dell'Arno e le diramazioni più depresse dei monti livornesi, nel gr. 27° 58' long. e 43° 33' latit. circa 13 miglia toscane a ostro‑libeccio di Pisa; 26 da Lucca nella stessa direzione; 22 miglia toscane a ostro di Viareggio lungo il litorale, altrettante a libeccio di Pontedera, 53 miglia da Pistoja in simile direzione; 56 miglia a ponente di Firenze per la via traversa di Val di Tora, e 62 per Ia strada R. postale che passa per Pisa.
    Ogni qualvolta uno considera ciò che era Livorno innanzi il regno di Ferdinando I, e ciò che è divenuta regnando Leopoldo II; quando lo storico voglia confrontare Livorno del secolo XV, consistente in un piccolo scalo da pochi e meschini marinari abitato, con Livorno del secolo XIX, ricco per fortuna, per numero e per lustro di abitatori, per quantità e bellezza di edifizii pubblici e privati, con una popolazione che alla sola capitale della Toscana può dirsi seconda, inarcherà di stupore le ciglia nel riscontrare in tanta metamorfosi di si fatto gigantesco sviluppo la prova più, evidente e più solenne di quali frutti la tutela di una costante lìbertà industriale possa divenire madre.
    L’elemento del commercio, che dall’emporio di Livorno alla Toscana intiera vitalità trasfonde vigoria, potrebbe equipararsi alle funzioni del cuore in un corpo animato,donde per due vie la circolazione si opera del sangue, quella cioè delle arterie che con
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    moto talvolta meno,talvolta più accelerato, nelle parti tutte del corpo lo spinge e diffonde, mentre al cuore medesimo per la via delle vene il sangue ritorna, onde mantenere con tal mezzo nell'animale economia l'equilibrio, la salute e la vita.
    A meglio contemplare l'istoria di Livorno ed il suo proggressivo sviluppo economico-materiale, dividerò il presente articolo in sette periodi, per esaminare questo paese; 1° sotto i Marchesi di Toscana ; 2° sotto la Repubblica di Pisa ; 3° sotto il Governo di Genova ; 4° sotto la Repubblica Fiorentina ; 5° sotto la Dinastia Medicea ; 6° sotto i primi tre Granduchi della Casa d'Austria ; 7° finalmente sotto Leopoldo II felicemente regnante.

    LIVORNO SOTTO I MARCHESI DI TOSCANA

    Io tengo per fermo essere opera perduta per chi volesse cercare documenti negli scrittori romani, nei libri di geografie, o negli antici itinerarii marittimi, sufficienti a dichiarare Livorno di un'origine più remota di quella che realmente gli si competa.
    Imperocchè resta tuttora indecisa la questione, se al suo porto piuttosto che ad un altro vetusto scalo del littorale toscano intese di riferire Cicerone, allorchè avvisava il proprio fratello Quincio pubblico impiegato in Sardegna, qualmente un tal Lucejo doveva fra pochi giorni partire da Roma per quell’isola e prendere imbarco nel porto di Labrone , o in quello di Pisa , qui out Labrone aut Pisis conscenderet . – Che Cicerone con l'espressione, aut Pisis , intendere volesse del suo porto di mare, piuttosto che della città situata dentro terra sulla confluenza impetuosa di due fiumi, non vi è d'uopo dichiararlo. Ora se fia da spiegarsi quella frase nell'enunciata guisa, come potremo ammettere, che il romano oratore volesse esprimere col porto di Labrone lo scalo di Livorno, quando questo scalo non formava che l'appendice meridionale al seno del Porto pisano ? Quindi io non saprei
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    rifiutare l'opinione stata emessa da Antonio Cocchi nella sua opera dei Bagni di Pisa (nota 12), quando gli nacque il dubbio, che il Labrone di Cicerone fosse stato il Salebrona dell'itinerario di Antonino e della Tavola Teodosiana, situato alla bocca della Brona, o Bruna, adesso foce della fiumana e porto di Castiglione della Pescaja. – Infatti di costà il tragitto per la Sardegna veniva a riescire anche più diretto, qualora Lucejo vi avesse trovato opportuno imbarco, piuttosto che andare 70 miglia più lungi a cercarlo nel frequentato porto di Pisa.
    Che diremo poi del tempio eretto in Livorno ad Ercole Labrone , a coloro, i quali si appoggiano alla geografia di Tolomeo, oppure a quelli che si fanno forti dell'itinerario di Antonino?
    Risponderemo ai primi, che il tempio di Ercole fu senza altro titolo collocato da quel geografo, non già nella spiaggia di Livorno, ma sivvero vicino a quella dell'odierno Viareggio, cioè fra il Promontorio di Luna e la foce dell’Arno ; e diremo ai secondi, che la mansione ad Herculem segnata nell'itinerario, che va sotto nome di Antonino Augusto, era posta lungo la strada militare di Emilio Scauro tra Vada e Pisa, cioè in Val di Tora, dove furono trovati colonnini migliari, ed altri monumenti sufficienti a dimostrare, che la stazione ad Herculem doveva essere in quella linea, e conseguentemente da Livorno e da Porto pisano parecchie miglia toscane discosta.
    Vi fu chi cercò un quarto appoggio a favore del supposto Labrone nel vocabolo di Calambrone, col qual nome e designato lo sbocco palustre dei fossi ed altri corsi di acqua che per i ponti di Stagno e per la paduletta fuori delle mura settentrionali di Livorno in mare si dirigono. – Ma ancora questa congettura viene inferma, e priva affatto di forza, qualora si rifletta alla recente
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    origine dell'emissario di Calambrone, dove pochi secoli addietro esisteva il seno del Porto pisano, in guisa che in quella paduletta e nel circostante suolo, tre in quattrocento anni fà, penetravano le onde marine, cosicchè le acque dell' Ugione , del Cigna e di tutti gli altri fossi della pianura settentrionale di Livorno, che oggi vanno a perdersi fra quegli stagni, sboccavano non già per la lunga via dell’emissario di Calambrone, ma direttamente in quel seno di mare.
    Comunque sia di cotali origini, quello che non ammette dubbiezza si è, che le prime memorie di Livorno compariscono sulla fine del secolo IX. Avvegnachè a quell’epoca troviamo nominata nel piviere di Porto pisano la chiesa di S. Giulia, cioè la prima parrocchia dei Livornesi. Che questa chiesa col vicino paese restasse nelle vicinanze dell’antico emporio pisano, lo dichiarò un documento dell'Arch. Arciv . di Pisa del giugno anno 891, nel quale rammentasi Ecclesia S. Juliae , quae situ esse videtur in Porto pisano ; e lo confermano molti altri istrumenti posteriori, confacenti a farci riconoscere Livorno sino dai suoi incunabuli.
    Con più precisione lo stesso luogo fu indicato da altra pergamena dello stesso archivio arcivescovile, sotto l'anno 1017, quando la chiesa di S. Giulia era già stata innalzata all'onore di battesimale, avendo per tale effetto associato al suo titolare quello del santo Precursore. La qual pieve di S. Giulia e di S. Giovanni Battista non solo si qualifica situata in suprascripto Porto pisano prope Livorna , cioè compresa nella giurisdizione di Porto pisano, ma si aggiunge, che facevano parte del suo piviere varie ville sotto i nomignoli di Sala, Fundo magno, Tribio, Waralda , ec.
    Tali documenti coincidono appunto con l’epoca più trista dell'Italia, quando la regia autorità, scossa dalle fazioni dei vari pretendenti al di lei impero, era si resa impotente e quasi di niun valore; allorchè, per difendere dalle invasioni di
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    sempre nuovi pretendenti i beni di recente acquisto, solevano darsi in custodia alle mense vescovili, alle abazie, agli ospedali, o ad altri corpi morali; le quali corporazioni, per quanto da simili invasioni non fossero neppur essi immuni, solevano peraltro restare più difficilmente dalla fortuna bersagliate. Erano finalmente quei secoli, nei quali il patrimonio regio e i diritti sovrani venivano trasfusi, assorbiti e goduti dai vicarii imperiali, i quali col titolo di marchesi la facevano da padroni sulle provincie alla loro amministrazione affidate.
    Le quali premesse osservazioni ci guidano a poco a poco a conoscere l'origine per la quale tanti luoghi di nuovo acquisto, come sarebbero i greti dei fiumi, i nuovi laghi o paduli, le spiagge del littorale aumentate ec., divenute per ragione di gius pubblico proprietà del principe o delle limitrofe comunità, venissero arbitrariamente e senza ostaculo dai vicegerenti imperiali occupate, e quindi ai loro fedeli, o alle corporazioni ecclesiastiche a titolo di enfiteusi perpetua o di precaria cedute e donate. Fra i governanti della Toscana nel primo secolo dopo il mille l’istoria presenta due matrone in Beatrice e Matilde, l’una
    moglie, l’altra figlia del potente March. Bonifazio. Le quali femmine in un modo quasi assoluto per il lungo periodo di 64, anni (dal 1053 al 1116) la provincia della Toscana governarono.
    Già all'Articolo Littorale Toscano si è veduto, che buona parte del Delta pisano può riguardarsi come terreno di nuovo acquisto sul mare; e l'istoria del medio evo è piena di donazioni di beni del patrimonio regio, situati lungo gli alvei, e fra le foci del Serchio e dell'Arno. – Non starò a indagare, come da sì fatta origine potesse derivare l’acquisto del castello e corte di Livorno che la contessa Matilde nel principio del secolo XII di sua libera volontà a titolo di dono assegnò all'opera del duomo di Pisa, bensì dimostrerò che quella marchesana; con simile atto non donò altro che i beni allodiali da
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    essa posseduti in Livorno, o nel suo distretto, dove aveva un castello , vale a dire un resedio dominicale con annessa corte e macchia da pastura; non una rocca, come quella che alcuni cronisti congetturarono avere quella contessa fabbricata nel luogo della Fortezza vecchia , o dove posero l'immaginario tempio di Ercole Labrone . – Vedere Santelli e Magri, Origine di Livorno, e gli articoli Bientina, e Corte.
    Nel 1103 quel castello e quella corte medesima di Livorno insieme con l'altra possessione di Pappiana dalla contessa Matilde furono assegnate in dote alla Primaziale di Pisa, affinchè il frutto di quei beni s'impiegasse in benefizio del tempio in costruzione. – Se non che gli amministratori della stessa fabbrica, rappresentati da Ildebrando console di Pisa, con istrumento dei 9 giugno 1121 ( stil. pis. ) cederono per mille lire ad Attone arcivescovo di Pisa la donata possessione della corte di Livorno con tutti i diritti di proprietà, a patto peraltro di potere dentro un determinato tempo redimere quel possesso: ed in caso diverso di rilasciarlo ad Attone e agli Arcivescovi di lui successori nel modo ed espressioni qui appresso, cioè: Quod si taliter non fecerimus .... tunc inde in antea habeatis vos et vestri successores praedictum castrum et curtem ( de Liburno ) cum omni sua pertinentia per istam cartulam proprietario nomine, ad faciendum inde quicquid volueritis absque omni calumnia donec praedictae mille librae vobis salutae ab Operariis erunt vel eorum misso etc.
    Se gli operai della cattedrale pisana riacquistassero o no l'oppignorata possessione del castello di Livorno, o se gli arcivescovi di Pisa la cedessero altrui ad enfiteusi perpetua, o come allora appellavasi a titolo di feudo , non è noto, ne finora comparvero scritture che lo dichiarino. Ciò che non ammette dubbio si è che nel 1138 la stessa possessione di Livorno apparteneva ai figli del marchese
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    Alberto Rufo , discendenti da una delle quattro linee di toparchi, il di cui stipite risale a quell'Oberto che era conte del Palazzo in Italia per l'Imperatore Ottone I.
    Infatti nello stesso anno 1138 l'imperatore Corrado II, con diploma dei 19 luglio, spedito da Norimberga a favore della cattedrale di Pisa, dichiarò nullo il feudo di Livorno concesso irragionevolmente al marchese Guglielmo Francigena e ai di lui fratelli.
    A coloro cui importasse di conoscere chi fossero cotesti supposti signori feudali del castello di Livorno, rammenterò la lite con tanto treno agitata fra Andrea Vescovo di Luni e le quattro linee di marchesi discesi dal nominato Oberto conte del Palazzo, lite insorta a cagione di un fortilizio stato eretto da quei feudatarii sopra il monte Caprione (promontorio di Capo Corvo). Nella qual causa, piatita in Lucca nel 1124 davanti a 60 consoli, rappresentava una delle quattro branche di marchesi lo stesso Guglielmo Francesco, o Francigena , figlio del marchese Alberto Rufo , uno di quelli designati da Corrado II ch’erano irragionevolmente sottentrati nel possesso del feudo Matildiano di Livorno.
    È pure incerto, se gli ordini di quell'imperante, rapporto ai feudatarii testè accennati, fossero eseguiti, oppure se restassero senza effetto, o se anche l’arcivescovo di Pisa rinnovasse a favore dei marchesi medesimi l'enfiteusi del castello donato da Matilde nella giurisdizione di Livorno.
    Se ciò tuttora s'ignora, sappiamo per altro dal diploma sopra citato, che il marchese Guglielmo Francesco o Francigena aveva altri fratelli; e che di un Oberto, altro figlio del rammentato marchese Alberto Rufo , si trovano memorie fra i documenti pubblicati nelle Antichità Estensi dal Muratori, cui pure dobbiamo la scoperta di un terzo figlio del marchese AlbertoRufo , di quel marchese di Corsica, cui fu dato il soprannome di Bratteportata, al quale sembra che toccasse una terza parte del decantato
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    feudo di Livorno.
    Figlio di questo terzo feudatario fu quell'Alberto marchese in Corsica, piuttosto che della Corsica, il quale dopo morto il padre, mentre egli abitava in Pisa presso la Porta a mare , per istrumento pubblico dei 26 settembre anno 1147 ( stil. pis .), cedè a titolo di pegno ai fratelli Sismondo e Conetto, figli del fu Conetto, per mille soldi di Lucca la sua terza parte del castello e corte di Livorno con i corsi d'acqua, selve, raccolte, albergarie, et quaecumque mihi per Feudum, vel alio modo pertinent ; dichiarando, che quel possesso gli era pervenuto a titolo di feudo dall’arcivescovato di Pisa. La quale porzione di feudo egli consegnava con patto di poterla redimere dentro due anni mediante la restituzione dei mille soldi di capitale, e del frutto corrispondente, a ragione di soldi 16 e denari 8 per mese.
    Ora se questo possa dirsi un feudo con giurisdizione d’impero, o piuttosto una di quelle possessioni acquistate o ereditate con titolo che li statuti pisani del 1161 (Rubrica 24) qualifcarono per feudo , o come noi diremmo fidecommisso, ognuno meglio di me saprà giudicarlo. – Volendo poi tener dietro alle operazioni del marchese Alberto, cessionario di una terza parte del feudo Matildiano , il quale in ultima analisi riducevasi a qualche podere con macchie e pascoli fra Monte Nero, Limone e Salviano, troveremo lo stesso Alberto congiuntosi in matrimonio con una vedova della illustre prosapia pisana de’ Vernacci . Avvegnachè egli per contratto rogato li 25 febbrajo 1150 nella torre di suo cognato Uguccione, presso la Porta S. Salvadore altrimenti detta la Porta d’oro , in Pisa, insieme con sua moglie donna Calcisana figlia del fu Lamberto, lasciata vedova dal Vernacci, cederono a favore della chiesa pisana, e della badia di Falesia tuttociò che il primo marito di Calcisana possedeva nel castello, rocca e corte di Piombino. Per la quale rinunzia i detti
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    coniugi ricevettero il valore di 3000 soldi di danari lucchesi. (Murat. Ant. M. Aevi ).
    A meglio dimostrare di quali diritti si trattasse, e qual sorta di feudo fosse quello di Livorno dalla contessa Matilda donato alla chiesa pisana, e da questa pervenuto nei Marchesi di Massa lunense, di Corsica ec. ec. oltre i molti documenti riportati dal Targioni nel Tomo II dei suoi Viaggi, potrei aggiungere un istrumento dei 9 gennajo 1244 pubblicato dagli annalisti Camaldolensi, mercè cui un tal Guglielmo figlio del fu Andrea marchese di Massa lunense, stando in Pisa, tanto per proprio conto, come per interesse del Marchese Alberto di lui fratello e di altri suoi consorti, diede a titolo di feudo , ossia di enfiteusi perpetua, all'abate del mon. di S. Michele in Borgo di Pisa, che acquistava pel suo monastero, un pezzo di terra con vigna situato nei confini di Salviano , distretto di Livorno, con obbligo di pagar loro l'annuo canone di sei denari.
    Potrei rammentare una sentenza pronunziata in Pisa li 17 dicembre 1261 contro il prenominato Alberto figlio del fu Andrea marchese di Massa, con la quale sotto gravi pene gli si comandava di lasciare in pace gli agenti del monastero di S. Bernardo e S. Croce alla foce d'Arno e di non recar loro più molestia rapporto al possesso di una quarta parte del territorio di Monte Massimo, che quelle monache per legato testa mentario dal conte Ubaldo di Pisa avevano ereditato. (Arch. Dipl. Fior. Carte di detto Mon .)
    Potrei dire, che quel marchese Alberto Signore di Livorno era ridotto in sì povera fortuna, che un di lui creditore, per atto pubblico dei 26 febbrajo 1270, rogato in Pisa, cedè a terza persona tutti i diritti ed azioni che gli competevano per un credito di lire 25 genovesi dovutegli dal marchese Alberto di Massa lunense. (Arch. Cit. Carte della Primaziale di Pisa ).
    In
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    una parola, da tutti i documenti conosciuti chiaramente risulta, che il paese di Livorno non fu mai nella condizione dei feudi di mero e misto impero; e conseguentemente che il suo popolo non divenne, nè fu in alcuna maniera vassallo dei marchesi di Toscana, nè degli arcivescovi di Pisa, nè dei toparchi di Massa, o di altra qualsiasi specie di Baroni.

    LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA DI PISA

    Dopo avere veduto Livorno col suo distretto tanto nello spirituale quanto nel temporale, far parte integrante della giurisdizione di Porto pisano, non fia d'uopo domandare, da quale potestà sovrana i suoi abitanti dipendessero, tostochè poco lungi da quel porto e dalle sepolte macerie della villa di Triturrita, sorse a poco a poco e crebbe sempre più bello e più grandioso il paese di Livorno.
    Quindi non si potrebbe conoscere l'origine di questa città senza riandare le vicende istoriche del Porto pisano, di cui Livorno divenne in seguito il capoluogo.
    All’anonimo autore del Breviar. Hist. Pis . dobbiamo l’avviso, che all’imboccatura del Porto pisano nell'anno 1157 furono cominciate a costruirsi due torri, la prima delle quali, denominata del Magnan , restò compita nel 1162, e la seconda, chiamata della Formica, si termino nell'anno 1163.
    Sono le stesse torri che rammentò il primo istorico fiorentino, all'anno 1268, allorchè disse “ che il re Carlo di Angiò ebbe Porto Pisano, e fece disfare le torri del Porto .” (Ricordan. Malesp. Cronic . cap.189).
    Appella all’epoca medesima del 1163 la erezione di due altri importanti edifizi nei contorni di Livorno, cioè, il Fondaco del Porto pisano, e la torre del Fanale. Quest’ultima per contratto dei 13 marzo, nel 1282, fu dai consoli di mare per anni 5 concessa in affitto a fra Galgano priore dei frati Romitani di S. Jacopo d’ Acquaviva con l’obbligo di abitarvi di giorno e di notte dal di primo
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    aprile susseguente
    e di mantenervi accesa la Lanterna. Al qual uopo gli fu nell’atto medesimo fissato un congruo salario, la spesa de'lucignoli ed altro, più sei staja di olio ogni trimestre per far ardere il fanale.
    Della determinazione di costruire davanti al Porto pisano, a spese della dogana di Pisa, due altre torri oltre quelle di sopra rammentate, si trova ricordo negli statuti pisani del 1284 ( Rubr . 61 Lib. I).
    Non è questo un libro che permetta di far tesoro, quanto si potrebbe, di troppi documenti dei secoli XII, XIII e XIV per dimostrare, che, se si eccettui la borgata di Livorno, il Porto pisano a quell’epoca non contava altro paese dove avessero residenza i pubblici funzionari del Comune di Porto pisano; e che in Livorno, a forma degli statuti di Pisa del 1284 ( Rubr 85 del lib. I) inviavasi il capitano, ossia giusdicente del Porto pisano e del suo distretto. Quindi fu ad oggetto di popolare il paese e di animare il commercio del Porto medesimo, che i Pisani nelle costituzioni, o statuti del 1284, promettevano immunità e franchige dai dazii e prestanze ed altri privilegii reali a tutti coloro che da li a dieci anni futuri si fossero recati con le loro cose e famiglie ad abitare e fissare il loro domicilio in Livorno, intorno al porto o nella comunità. Oltre di ciò il potestà ed il capitano del popolo pisano si obbligava di proporre al consiglio degli anziani la provvisione di circondare la terra di Livorno di buone e convenienti mura ; ed in caso affermativo,far delibera, su qual disegno e maniera si dovessero quelle costruire . (Statut. Pis. Civit. Cod . nella Bibl . dell'Univers. Lib. I. Rubr . 85).
    Negli statuti pisani del 1161 in un aggiunta posteriore alla rubrica 54 trattasi di provvedimenti da prendersi, onde facilitare
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    il commercio e la navigazione fra l’antico porto di Livorno e Pisa; avvegnachè ivi si trova la deliberazione, che incarica i consoli di mare di fare esaminare diligentemente dai periti: se fosse stato possibile di rendere navigabile il fosso Carisio, a partire dal suburbio meridionale di Pisa fino allo Stagno , oppure fino all’ Ugione ; e trovando il progetto eseguibile, ordinavasi di farne la relazione al potestà e al consiglio degli anziani.
    Ma quasi tutti cotesti provvedimenti atti a popolare difendere e far prosperare Livorno e il vicino Porto pisano pare che mancassero della esecuzione desiderata.
    Frattanto era appena trascorso un anno dalla redazione degli statuti del 1284, quando i Genovesi per mare, e i Lucchesi per terra recaronsi a combattere Livorno e Porto pisano; sicchè gli assalitori, stando agli annalisti genovesi guastarono il paese e feciono cadere la torre di verso ponente con gli uomini che v'erano a guardia,ruppero le catene della bocca del porto e quelle recarono a Genova per trofeo . (Caffar. Annal. Genuens .)
    Il cronista Giov. Villani accrebbe fino in cinque il numero delle torri state in quell’occasione rovesciate in mare fra le quali egli nomina il Fanale della Meloria , ed aggiunge l’addebito ai Genovesi di avere affondato alla bocca ed entrata del Porto pisano più legni grossi carichi di pietre, col ron pere i palizzi, perchè il detto porto non si potesse più usare. (Giovanni Villani. Cron . Lib. VII. c.141).
    Non so qual peso possa meritare siffatto racconto del cronista fiorentino; qualora si rifletta, che il Fanale non fu mai alla Meloria, ma sivvero nella secca dell’attuale Lanterna di Livorno, e tostochè niun altro scrittore del tempo fece menzione dei legni carichi di pietre dai Genovesi. in quell'occasione davanti la bocca del Porto pisano affondati. – Dirò solamente che la Rep. di Pisa obbligata da tanti disastri a cercare pace, finalmnte
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    a dure condizioni l’ottenne nell'agosto del 1299. In conseguenza della quale i Pisani procurarono tosto di risarcire i recenti danni che alle torri del loro porto ed a Livorno i suoi nemici avevano recato.
    Le prime operazioni furono la costruzione di una nuova e più solida torre de’Fanale, non già nel banco della Meloria, ma nella secca a levante di Livorno, dove sin dal 1163 era stata eretta quella che alla cura del priore dei frati Agostiniani nel 1282 dai consoli di mare venne affidata, torre stata in seguito descritta dal Petrarca nel suo itinerario Siriaco con il distintivo del vicino Livorno, et fere contiguum Liburnum ubi praevalida turris est, cujus in vertice per nox flamma navigantibus tuti littoris signum praebet .
    In quanto poi alle escavazioni da farsi nel Porto pisano, nulla si parla di lavori di pontoni atti a far concepire l'impedito ingresso di quel porlo, bensì la repubblica di Pisa fece murare intorno alla torre nuova, o della Formica , 12 colonnini di pietra con le companelle per fermare e rimurchiare le navi esistenti nel porto; ed inoltre diede ordine che si gettassero in mare altre scogliere a difesa della stessa torre, e che si rimettessero le catene con i consueti pancacci fra le due torri poste avanti alla bocca del Porto pisano, a seconda di quanto trovasi prescritto nelli statuti di Pisa. dell'anno 1305, alla Rubr . 32.
    Frattanto che si provvedeva a ristabilire e assicurare l'ingresso del Porto pisano, il paese di Livorno, dovendo prestar fede a un cronista coevo, era rimasto a guisa di villaggio privo di mura, e solamente in qualche parte steccato. Dondechè non fu difficile ai fuorusciti di Pisa l’entrarvi nel 1326, ed ai Fiorentini l’impossessarsene nel 1364, ardendo tutto o portando via, e solo poteronsi salvare gli abitanti che in tempo sulle barche cercarono scampo a sè e alle loro cose. (Matteo Villani ( Cron .
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    Lib. XI c. go). – Tali riflessi fanno dubitare, che non solo non avesse effetto il progetto registrato nel primo libro degli statuti pisani del 1284, relativamente al circondare di mura il borgo di Livorno, ma danno motivo di credere, che non si fosse tampoco alcuna sorta di rocca, nel luogo dove fu eretta nel principio del secolo XV quella che più tardi fu ingrandita (la Fortezza vecchia ) all’ingresso del porto che attualmente serve di darsena.
    Il disastro testè accennato fu preceduto da un altro assalto marittimo che al Porto pisano nel 1362 fu dato da diverse galere genovesi al servizio del Comune di Firenze. Le quali, cacciatine i difensori, s’impadronirono del molo, e dopo qualche resistenza ebbero il palagio del ponte , e l'altra torre a patti; in fine svelsero le catene grosse, che serravano quel porto, e rotte in piu pezzi furono dall'ammiraglio Perino Grimaldi inviate a Firenze, dove vennero appese come monumento di gloria alle colonne di porfido davanti al tempio di S. Giovanni, al palazzo della Signoria, a quello del Potestà, e alle porte della città. (Matt. Villani. Cronic . Lib. Xl cap.30).
    Contuttociò Livorno, ed il vicino suo porto tornarono ad essere dal guverno di Pisa riparati; talchè il Pontefice Urbano V nel suo passaggio da Avignone a Roma, servito da 5 galere de’Fiorentini, potè approdare in quello scalo, dove i Pisani avevano preparato quartieri per riceverlo deguamente; e se quel gerarca, pel desiderio di tosto continuare il suo viaggio marittimo, non discese a terra, peraltro vi approdò nel 1376 il di lui successore Gregorio XI, il quale fu accolto e per 10 giorni con grande onore dai Pisani trattenuto in Livorno; argomento confacente a far conoscere qual fosse a quella età il capoluogo del contiguo emporio di Pisa.
    Era in tale stato Livorno, allorquando Jacopo d’Appiano (anno 1392), trucidando Pietro Gambacorti suo signore, s'impadroniva di Pisa e del suo territorio, spronato a
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    tanta perfidia da Gian Galeazzo duca di Milano, cui poco o punto costava il dare opera ad un delitto, e molto meno di consigliarlo. In conseguenza di che non solo Livorno col suo porto, ma tutta la Maremma toscana (avendo già ligii i Senesi) dipendeva dagli ordini del signor di Milano. Il quale era quasi sul punto d'incatenare al carro dei suoi trofei la più ricca e più avveduta potenza di lui nemica, quando giunse a Firenze l’avviso della di lui accaduta morte (anno 1403), sicchè il laccio si ruppe e il colosso politico della biscia milanese per un momento andò in pezzi. Per disposizione dell’estinto duca, Pisa col suo distretto toccò in signoria a Gabbriello Maria figlio naturale di Gian Galeazzo; nè molto tempo corse senza che si tenessero pratiche coi Genovesi, per di cui consiglio il nuovo signore di Pisa e di Livorno si pose sotto la protezione del re di Francia e del maresciallo Buccicaldo suo luogotenente in Genova, il quale di prima giunta occupò militarmente il Porto pisano e Livorno.

    LIVORNO SOTTO IL GOVERNO DI GENOVA

    Non era corso un anno dal trattato di protezione implorato da Gabbriello Maria, quando egli stesso firmava in Livorno (27 agosto 1405) la vendita di Pisa e di tutto il distretto ai Fiorentini, con giurisdizione di mero e misto impero, eccettuato Livorno e Porto pisano, nell’atto istesso che consegnava questi due luoghi alla custodia e tutela dei Genovesi e del loro governatore Buccicaldo . Costui nel giorno appresso, in Livorno medesimo, ratificò il trattato a nome del re di Francia come signore di Genova, e ciò nel tempo stesso che il luogotenente regio rilasciava ai Fiorentini l'uso e le rendite del Porto pisano e di Livorno; promettendo che i Genovesi non avrebbero in alcun tempo imposto dazii, gabelle, o altri aggravi alle persone e mercanzie tanto di mare quanto di terra, sicchè fosse in facoltà
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    di farlo solamente al Comune di Firenze, a condizione però che gli abitanti di Livorno non potessero gravarsi di più di quello che lo erano stati anteriormente al dominio del Visconti. All’incontro il governo fiorentino si obbligava di pagare ogn’anno 631 fiorini d'oro alle truppe Genovesi che presidiavano il Porto pisano, Livorno ed i suoi fortilizii.
    Una circostanza debbo fare avvertire ai miei lettori, quella cioè di sentire in questo trattato rammentare la prima volta, se non m’inganno, i fortilizii in Livorno, dove pare che gia fossero a quella età, o almeno, che sino d'allora vi si cominciassero ad innalzare.
    Infatti l'iscrizione superstite nella cappella del mastio della Fortezza vecchia alla bocca del porto di Livorno, risale all’anno 1405 epoca in cui fu posta con l'arme del Buccicaldo quella memoria da Guglielmo Angiolin primo castellano.
    Mentro i Genovesi con il loro governatore francese Buccicaldo rilasciavano ai Fiorentini l'uso di Livorno, i militari e gli abitanti ubbidivano a un luogotenente nominato dallo stesso maresciallo, che a nome del re Francia doveva dirigere gli affari della repubblica genovese.
    Alcuni atti governativi, stati inseriti nel più antico registro della comunità di Livorno, chiamato il Libro Verde , ci richiamano all'anno 1407. Fra gli ordini di quel vicerè merita di esserne rammentato uno del di 11 aprile dello stesso anno 1407, mercè cui Buccicaldo assolve tutti gli abitanti di Livorno dai delitti di contravvenzione e ribellione che avessero commesso nei tempi passati. Col secondo atto governativo, dato in Genova il di 15 del mese ed anno medesimo, Buccicaldo senza rispetto al proprio padrone, oppure ai Genovesi, apertamente sintitolò Signore della terra di Livorno , e fu, dice quell’atto, per mostrarsi benevolo verso quel popolo, che esentò gli abitanti di Livorno e del suo distretto da tutti i dazii e gabelle.
    Questo stato di subdominio e di feudalità dei Livornesi sotto un maresciallo di Francia ebbe però
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    un'effimera durata, tostochè con alto pubblico dei 3 settembre, nell’anno istesso 1407, Buccicaldo vendè ai Genovesi la Terra e territorio di Livorno per 26000 ducati d’oro. Finalmente con altro istrumento, rogato in Savona li 16 ottobre 1407, il maresciallo medesimo, non più come Signore di Livorno , ma in qualità di luogotenente e governatore di Genova per il re CarloVI di Francia, avvisava i Livornesi: che tutti i diritti sopra Livorno e suo distretto, appartenutigli come privato signore , li aveva trasferiti e ceduti al re di Francia ed alla Repubblica di Genova, in nome delle quali potenze era stato inviato come plenipotenziario Giovanni Oltremare per ricevere dai Livornesi il dovuto giuramento di fedeltà. – Quindi la comunità di Livorno ottenne dal senato di Genova (dic. 1407) la conferma delle immunità e privilegi, stati concessi pochi mesi innanzi ai Livornesi dall'antecedente signore.
    Un atto di supremazia del capitano residente in Livorno pel Comune di Genova conservasi tra le membrane dell'archivio Roncioni di Pisa. È un istrumento relativo all'elezione del pievano di S. Giulia di Livorno fatta li 2 nov. 1411 in Livorno distretto di Genova , nel coro della chiesa di S. Maria dal capitano per il Comune di Genova unitamente agli uomini della parrocchia di Livorno.
    È credibile che in questo frattempo qualche altra innovazione accadesse rapporto al presidio delle torri del Porto pisano, tostochè queste passarono sotto la custodia immediata del governo fiorentino. Quindi è che insorsero vertenze fra i due stati, per terminare le quali furono dalla Repubblica fiorentina nel sett. del 1408 a Livorno inviati due cittadini di quelli della balia dei Dieci di Pisa, cioè, Niccolo di Donato Barbadori e Rinaldo di Maso degli Albizzi, affinchè si trovassero insieme coi capitani genovesi che ivi resiedevano. Non sembra però che tali differenze venissero appianate se non mediante un trattato di pace che si concluse in Lucca li 27 aprile del 1413. In tale occasione furono determinati i
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    confini della giurisdizione territoriale di Livorno e del Porto pisano dentro i seguenti termini, cioè; da un lato lo Stagno fino al mare; dall'opposto lato i Monti livornesi sino al luogo detto Chioma; dal terzo lato la linea del mare, e dal quarto lato le terre che dal luogo Chioma acquapendono verso i muri di Monte Massimo , e in parte nelle terre del romitorio di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S. Lucia del ponte, e di la proseguendo sino al luogo chiamato Acquaviva. Cotesto spazio territoriale fu dichiarato appartenere di pieno diritto al governo di Genova. Nel 2.° articolo fu stabilito, che il restante del territorio in questione, situato a settentrione di Livorno, dovesse rimanere di pieno diritto al Comune di Firenze. Nel 3.° articolo fu deciso, che i sudditi e cittadini fiorentini potessero avere libero accesso e regresso alle torri del Porto pisano, alla casa della Bastia e al lido del mare lungo le torri del Porto, le quali si dichiararono dipendenti dal Comune di Firenze, mentre il Porto pisano restava ai Genovesi in quel modo che era stato convenuto nel 1405 con il governatore Buccicaldo. 4.° Che fosse in libero arbitrio dei Fiorentini di rifabbricare la Torre rossa di Porto pisano, stata rovinata dai Genovesi sino dal 1362 5.° Che il Comune di Firenze per lo spazio di 30 anni non potesse imporre, nè riscuotere, siccome gli era stato accordato nel 1405, gabelle o altro dazio sopra la terra e porto piccolo di Livorno ; Quod ipse portus parvus Liburni (si noti l'espressione del trattato) se extendat usque ad turrim Fanalis, quae dicitur la Lanterna inclusive, et non ultra. 6.° Che fosse in facoltà dei Genovesi, e non di altri, d'imporre tali gravezze ai Livornesi o a coloro che vi abitassero, eccettuati i Fiorentini e i loro distrettuali. 7.° Che il Comune di
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    Firenze potesse imporre gabelle, e diritti di ancoraggio nel Porto pisano, tanto agli uomini come ai navigli e alle mercanzie, eccettuate quelle dei Genovesi e dei loro sudditi; 8.° Che il Comune di Firenze dovesse pagare a quello di Genova ogni anno cento fiorini d'oro per il mantenimento del lume nella torre del Fanale di Porto pisano, volgarmente chiamata la Lanterna , per provvisione del custode ed altro. 9.° Che dentro un mese dopo 1a ratifica della pace i Fiorentini dovessero abbattere le fortificazioni state da questi erette alla Bastia nel Porto pisano, coll’obbligo di riempire il fosso, il vallo, e disfare lo steccato in guisa da non restarvi più idea di fortilizio, ma di poter lasciare la fabbrica del casone ad uso di magazzino; ben inteso che il dominio diretto del suolo e dell’edifizio restasse al Comune di Genova, al quale effetto i Fiorentini si obbligavano pagare ai Genovesi l'annuo canone di due fiorini d'oro.
    Tali furono le principali condizioni di quel trattato, per effetto del quale la storia vide il bizzarro fenomeno di due nazioni, astute, infaticabili e rivali nei traffici commerciali, paralizzare scambievolmente le proprie forze col promiscuato possesso di un paese dove ciascuna delle due potenze esercitava una semi‑padronanza senza potersi una più dell'altra qualificare assoluta dominatrice.
    Da quest’intralciata signoria è facile arguire durante un tale periodo qual sorte corressero gli abitanti di Livorno e del contiguo porto, costretti ad ubbidire a due diversi padroni, pieni di sospetti e intenti costantemente a provvedersi di migliori difese per mantenere non solo la conquistata parte della preda, ma per tentare ciascuno dei due di strappare il restante dalle mani dell’altro padrone.
    Dondechè i Fiorentini, dopo acquistata la città di Pisa, reputando come di loro proprietà il Porto pisano e Livorno, di uguale animo potevano soffrire che dominasse in casa propria una nazione nata in mare, e le di cui bandiere sventolavano in tutti gli scali più frequentati
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    dell’Asia, dell’Affrica e dell’Europa. Quindi é che ad ogni opportuno incontro il governo di Firenze esibiva, ma sempre senza effetto, vistose somme ai Genovesi per la compra di Livorno. – Venne finalmente il tempo del bisogno, allorquando il doge di Genova Tommaso Fregoso, col pretesto della necessità che si aveva di danaro, ad oggetto di provvedersi contro gli eserciti dal Duca di Milano inviati ai danni della propria patria, propose a quegli anziani di vendere a caro prezzo Livorno al Comune di Firenze furono i preliminari conclusi in Genova li 21 del mese di giugno dell’anno 1421, e sei giorni dopo in Firenze dai respettivi sindaci venne ratificato il contratto di compra del castello, terra e fortilizii di Livorno e del suo qualsiasi porto, insieme col porto pisano, la torre della Lanterna, ed alcune altre torri, fortificazioni, possessi, case, bastie, palizzate e territorii con ogni diritto e giurisdizione, mediante lo sborso che la Rep. fior. doveva fare a quella di Genova di fiorini centomila di oro. Nella quale occasione per cautela della compra i Genovesi furono obbligati a far constare legittimamente dell’acquisto precedentemente da essi fatto di Livorno e del suo territorio, conforme apparisce dai documenti originali che trovansi inserti nel trattato in discorso, esistente nell'archivio delle Riformagioni di Firenze.
    Allora per la seconda volta it territorio comunitativo di Livorno fu determinato dai seguenti confini, cioè: da un lato, a principiare dallo Stagno per le così dette mura di S. Silvestro e di la fino al mare dall'altro lato dal luogo o torrente chiamato la Chioma ; dal terzo lato dal mare; e finalmente dal quarto lato sino alle Serre (forse Val Benedetta);. e di la per le Serre che acquapendono verso settentrione sino al Monte Massimo, ed in parte con i beni dell'eremo di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S. Lucio del Monte, ec.
    Una delle
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    condizioni della compra di Livorno era quella di conservare ai Genovesi alcuni privilegii relativi alle gabelle delle proprie merci, e agli ancoraggi dei loro legni, in conferma di quanto ad essi fu concesso da Pietro Gambacorti quando era capitano del popolo, di Pisa.
    In seguito di tutto ciò, sotto li 30 giugno dello stesso anno, fu preso possesso a nome della Rep. fiorentina della terra, porto, fortificazioni e territorio di Livorno, nell'atto medesimo in cui i rappresentanti della stessa comunità prestarono giuramento di fedeltà alla Signoria di Firenze. Quindi all’università medesima; sotto dì 28 agosto 1421, furono concesse alcune capitolazioni, in vigore delle quali venne per un biennio accordato agli abitanti di Livorno l’esenzione da ogni dazio e gabella, eccettuate soltanto quelle delle porte; e nel tempo stesso si dichiarò che il loro territorio, porto e luoghi annessi facessero parte integrante del contado, e non già del distretto fiorentino. Dondechè per tale atto, non dovendo Livorno e il suo distretto considerarsi come paese di conquista, i suoi abitanti vennero tosto ammessi a partecipare dei diritti che la legge accordava ai cittadini fiorentini a preferenza dei paesi distrettuali. – V edere l’articolo Firenze, Compartimento , Vol. II pag. 280. (Arch. delle Riformag. di Firenze).

    LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA FIORENTINA

    Quasiché il popolo fiorentino fosse presago di ciò che era per diventare Livorno sotto i di lui reggitori, si rallegrò sommamente di un acquisto da tanto tempo desiderato, parendo che pure una volta i suoi negozianti, sparsi per tutte le piazze di commercio dell'Europa, potessero volgere il loro animo con fiducia alla navigazione e per tal guisa emancipandosi dai Genovesi e dai Veneziani, siccome per lungo tempo erano stati ligii dei Pisani, condurre la stessa nazione ad accrescere le forze pubbliche con le fortune private.
    Quindi Niccolò da Uzzano, essendo stato nel 1422 inviato ambasciatore al duca di Milano, come a colui che rimproverava i Fiorentini di avere acquistato Livorno a un
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    prezzo molto maggiore di quello che valeva, seppe rispondergli “che la sua patria comperando Livorno era si da molti sinistri liberata, e per conseguente acquistatone comodità grandissima per le proprie merci e per i nazionali traffichi, onde i Fiorentini stimavano averne avuta buona derrata, e tenevano quel paese molto più caro che non gli costò; nè chicchessia poteva di ciò adontarsi, avendo la Signoria di Firenze compro da chi poteva vendere quello che era già della giurisdizione di Pisa”. (Riformag. di Firenze. Ammir. Istor, fior . Lib. XVIII).
    Con quest'animo il governo della Rep. innanzi che terminasse l'anno 1421, avendo creato il magistrato dei consoli di mare composto di sei cittadini, diede ordine si fabbricassero dentro un anno due galere grosse da mercanzie, e sei altre delle sottili per guardia e difesa del commercio marittimo, con facoltà ai consoli medesimi di destinare il luogo, o darsena da tenervi quelle galere e altri navigli a sverno; quindi affidò agli stessi consoli la cura di rifabbricare la ottagona marmorea Torre rossa , la quale fu appellata Torre nuova, conosciuta odiernamente sotto il vocabolo del Marzocco stante l’emblema del leone che fu messo per ventarola.
    Non era ancora l'anno 1422 giunto alla metà del suo corso, quando fu varata dall’arsenale di Livorno la prima galera armata, che aveva a fare il viaggio di Alessandria di Egitto; sicchè in tale circostanza si fecero solennissime processioni per la città di Firenze, onde invocare iddio a favorire la repubblica nelle cose di mare, com’era stato a lei favorevole in quelle di terra. Frattanto la Signoria, dopo avere nominato capitano della prima galera Zanobi Capponi; dopo aver destinato a montarla dodici giovani di buone famiglie per esercitarvisi in qualità di ufiziali, inviò consoli e ambasciatori nell’Arcipelago e nell’Affrica con lettere credenziali al Gran Mastro dell’Ordine gerosolimitano a Rodi, al signore di Atene a Corinto al tiranno di Cefalonia, e al Soldano di Egitto per aver da ciascuno di quei
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    principi salvocondotto perpetuo e pienissima sicurtà di navigare, di stare, di trafficare e mercanteggiare nei loro stati alla pari, se non a preferenza, delle nazioni cristiane le più favorite.
    L’Ammirato nel rammentare lo scopo di tali ambascerie, ed i nomi dei cittadini inviati a Corinto ed in Egitto, diceva che “i Signori stimarono esser cosa necessaria, che si mandassero ambasciadori al Soldano di Babilonia con ricchi presenti, avendo prima ridotto il fiorino al peso di quello di Venezia; il quale fu chiamato, fiorino largo di galea . L’autore stesso aggiungeva che, gli ambasciatori furono Carlo Federighi e Felice Brancacci, ai quali fu data potestà di fermar patti e convenzioni col Soldano quanto più utili e in beneficio della Repubblica fosse possibile.
    Cotesta notizia ci richiama per avventura ad una riformagione della Signoria, sotto dì 6 maggio 1422, dal Vettori nel suo Sigillo d’oro a pag. 300 riportata; con la quale si avvisavano i consoli di mare, che i fiorini da coniarsi di nuovo dovevano essere della consueta bontà, ma aumentati di peso in guisa che 96 fiorini di sigillo vecchio dovessero accrescersi della valuta di due quinti di fiorino in oro.
    Fra le istruzioni date agli ambasciatori, e le domande da farsi per utile del commercio dei Fiorentini al Soldano di Egitto, eravi nei precisi termini la seguente: “ che la moneta nostra d’oro a d'argento vi si spenda (in Egitto) e corra e sia ricevuta come qualunque altra, e massime il fiorino nostro come il ducato vinigiano, essendo buono e migliore di finezza d’oro e di peso come quello, mostrando che è più fine …..” Ed in ciò vi assottigliate quanto e possibile, offerendo di farne la prova con mettere al fuoco e fondere i fiorini e i ducati. E ingegnatevi di avere notizia e dimestichezza con chi di ciò s'intenda. È questo e di maggior importanza d'ogni altra cosa che
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    abbiate a fare, e domanderete che se ne faccia sperienza, mostrando, che il nostro fiorino mai non peggiorò di finezza, e che in molte parti e conosciuto di finezza e virtù come il ducato, e più…. e ancora dello argento mostrate, ma insistete in sull’oro. E se per questo abbisognasse fare alcuna spesa, eseguite quanto di ciò siete informati dai consoli di mare, ec.”
    Del resto chi avesse bramosia di leggere quella informazione la troverà per intiero, ad eccezione di poche varianti, riportata nel codice Juris Gentium di Leibnitz Parte II, dal quale la trascrisse il Pagnini nel T. II della sua opera della Decima , insieme con il rapporto fatto li 17 febb. 1423 ( stile comune ) alla Signoria dagli ambasciatori reduci dall’Egitto.
    Frattanto che il governo di Firenze con ogni sua possa mirava a rendere sempre più florido il paese alle sue cure affidato, sia con l'ampliare l'autorità ai, consoli di mare, ed accrescere loro balia, sia con accordar privilegi e sgravare da gabelle per introdurre nel territorio della repubblica nuovi artigiani, nuove arti e manifatture; frattanto che si dava principio in Firenze al ricco mestiere dell’oro filato, il quale ben presto si portò a tale perfezione, che non vi fu a quel tempo il migliore in altro luogo del mondo, sicchè l'arte della seta non lavorò mai tanti drappi quanto allora, ne mai si fecero i più ricchi broccati d'oro nè stoffe di maggior pregio; nel tempo che si contavano fra i soli cambisti di mercato nuovo due milioni di fiorini d'oro in oro; mentre che in ogni genere di arti liberali, di economia pubblica e privata sorgevano in Firenze uomini di genio, e cittadini per prudenza e per senno venerandi; nel tempo che si spendevano grosse somme di danaro per costruire galere, che si spedivano per ogni parte consoli e ambasciatori onde appianare la via ai mercanti fiorentini, e che si cercava
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    di rimuovere per quanto era possibile ogn'impaccio al commercio; allora quando si cominciava a circondare Livorno delle sue prime mura merlate, e che Firenze mirava con ogni sua possa al punto di pervenire un giorno a rivaleggiare con Genova e Venezia, nella speranza di diventare l’Inghilterra del medio evo; ecco che il duca Francesco Maria Visconti, educato alla torbida politica paterna, ora coperto, ora manifesto, ma sempre nemico implacabile della repubblica fiorentina, pervenuto che fu ad impadronirsi di Genova, in mezzo alla pace poco innanzi da esso giurata, diede tosto occasione ai Fiorentini di turbare la loro, mettendo a soqquadro tutta l’Italia.
    Uno dei primi passi del duca milanese alle ostilità contro il governo di Firenze fu quello di far catturare dai legni genovesi una nave mercantile di Luca Fallera escita dal Porto pisano, ossia da Livorno, allorchè veleggiava nelle parti di Ponente, e di farla ritenere con le sue merci in Porto Fino.
    Invano la Signoria di Firenze inviò uno speciale ambasciadore al Senato di Genova e a quel luogotenente del Visconti con pressanti istruzioni per dolersi dell’arresto fatto della nave e delle mercanzie contro ogni diritto e ragione; invano per due volte si mandarono ambasciate d’illustri cittadini a Milano, prima, nell’autunno del l422, Mess. Nello di Giuliano Martini dottore di legge con Averardo de’Medici, e quindi nel settembre del 1423 lo stesso Mess. Nello con Bartolammeo di Niccolò Valori, ingiungendo ai medesimi l’obbligo di far conoscere a quel duca la sua malafede, i suoi artifizii, e tutte le cause esporgli, per le quali il popolo fiorentino era costretto a prepararsi alla guerra, seppure la sua Signoria non provvedeva con sollecita riparazione e con effetto, acciocchè prima di tutto (per giovarmi delle parole originali) fossero restituite le robe dai Genovesi tolte ai nostri cittadini indebitamente, e che il nostro Porto pisano non sia molestato dai genovesi ne da altri suoi sudditi, ma ci siano observati i patti abbiamo coi genovesi da lui
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    come Signore di Gcnova, realmente e senza contesa. Et ancora demandate (diceva l’istruzione) il salvacondotto di poter navigare, come proferse mess. Nanni degli Strozzi ambasciodore del marchese Niccolò d’Este, et ancora mess. Franchino nella prima ambasciata.
    (ARCH. DELLE RIFORMAG. DI FIR. – AMMIR. Istor. fior. Lib. XVIII)
    Dopo inutili lagnanze, dopo varie ambiguità, i Fiorentini si risolvettero alla guerra, eleggendo Carlo Malatesta in loro capitano, e chiamando molti altri prodi ufiziali nel loro esercito. Quindi la Signoria strinse lega con Alfonso re d’Aragona, al quale aveva promesso 500 fanti per assalire Genova con la sua armata navale e strapparla dalle mani del Visconti.
    Frattanto Alfonso imbarcatosi a Napoli e approdato a Livorno, non trovando pronti i 1500 soldati fiorentini, senza indugio volle proseguire il suo viaggio per la Spagna.
    Nella compra di Livorno del 1421 era per altro corsa una condizione onerosissima e di gran danno al commercio nazionale, come quella di obbligare i Fiorentini, tostochè volessero navigare nelle parti di ponente per l’Olanda, le Fiandre e l'Inghilterra con panni, lane, o altre mercanzie per condurle in Genova o nella sua riviera, e da Genova a Talamone, a doverle caricare sopra navi de’Genovesi con pagare le gabelle conforme erano tenuti nei tempi trascorsi.
    Da cotesta condizione umiliante il Comune di Firenze, dopo spesi in tre anni di guerra due milioni e mezzo di fiorini d’oro, cercò di liberarsi mediante il trattato stipulato in Venezia l’ultimo giorno dell’anno 1426; nel quale per la mediazione del pontefice Martino V restò convenuto che il duca di Milano, come signore di Genova dovesse liberare i Fiorentini da qualsiasi obbligo di far condurre le loro merci dai porti dell’Inghilterra e delle Fiandre sui legni dei Genovesi, come pure da ogni pena nella quale fossero incorsi per non l’avere osservato. Se non che dopo pochissimi giorni si vide, che al Visconti piuttosto che la pace piaceva di continuare la guerra; sicchè i Fiorentini dovettero ritornare
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    in lizza e spendere un altro milione di zecchini innanzi di ridurre il duce di Milano a chiedere quella pace, che finalmente restò fissata e conclusa in Ferrara li 18 aprile dell’anno 1428.
    Ciò non ostante i Genovesi non desisterono dalle rappresaglie di mare, le quali solamente nel 1429 sospesero per via di tregua, ricevendone il contraccambio per decreto della Signoria di Firenze.
    In questo mentre nei cantieri di Livorno e di Pisa si costruivano galere grosse da mercatura e galere sottili da guardia, con l’ordine ai consoli di mare di fabbricarne uno ogni sei mesi, assegnando a tal uopo 1200 fiorini l’anno de’danari destinati allo studio pisano. Infatti due galere cariche di merci partirono dal porto di Livorno nel di primo di febbrajo del 1429, e due altre ai primi di settembre dello stesso anno, prendendo la via di ponente per l’Inghilterra e per le Fiandre,
    mentre diverse galere si noleggiavano dai mercanti fiorentini per dirigersi in Romania, nel mare Jonio e nell'Arcipelago con la mira di fare il commercio direttamente sopra i proprii navigli, e non prendere più la legge dalle potenze marittime del Mediiterraneo.
    Nè a questi soli si limitarono i provvedimenti della Repubblica, avvegnachè, ad oggetto di far prosperare il traffico, richiamare a Livorno mercanti e assicurare il passaggio alle loro merci, i consoli di mare ebbero ordine dalla Signoria di accomodare fuste e galere della Repubblica ai negozianti fiorentini. Delle quali galere nel 1429 ne fu data una per cinque anni senza spesa a Domenico Dolfini mercante fiorentino, acciocchè facesse il viaggio di Ragusi almeno due volte l’anno, con obbligo di tornare col nuovo carico a Livorno. Le merci che portava in Levante consistevano in un migliajo di pezze di panni di lana Francesca e Sanmattea , per la maggior parte fabbricati in Firenze, riportandone di là in cambio argento, oro, cera, pellami ed altre mercanzie. Un simile favore venne accordato pure ai consoli dell’arte della lana
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    di Firenze, per fare il loro commercio in Inghilterra, nell’isola di Majorca, ec. (Pagnini, Della Decima T. II).
    Nel tempo che sì bene camminavano le faccende commerciali, sopraggiunse a dannergiarle la guerra di Lucca ed un altro più fatale nemico, la pestilenza del 1430, quella che smunse di forze e di denari la Repubblica, questa che decimò lo stato di popolazione, e maltrattò talmente i Livornesi che nel domandare al governo la triennale conferma delle solite esenzioni, supplicarono, che in vista dei diminuiti abitanti venisse ridotto a 100, invece di 150 staja, il sale, che erano obbligati a levare in ciascun anno.
    Tale domanda, essendo stata accordata, ci dà chiaramente a conoscere che la popolazione di Livorno a quell’epoca non poteva essere molto maggiore di 500 persone, ogni qualvolta cento staja di sale corrispondevano a 5000 libbre, vale a dire 10 libbre per individuo di consumo.
    Nè tampoco i Genovesi tennero fermo l’accordo delle sospese rappresaglie, poichè, o per proprio istinto, o per esservi spinti dal Visconti loro padrone, essi aiutavano questo contro i Veneziani, mentre ai Lucchesi fornivano sussidii contro i fiorentini. Si vendicarono in mare i Veneziani e i Fiorentini, tostochè, nell’agosto del 1431, l'ammiraglio veneto Pietro Loredano alla testa di sedici galere di sua nazione guidò in Livorno, ed unitosi quivi ad una flottiglia fìorentina governata da Paolo Rucellaj, si diresse verso Genova a combattere la flotta dei nemici composta di 22 galere e di una nave grossa capitanata da Francesco Spinola. Incontraronsi le due armate nella riviera di Levante presso Porto fino, e senza l’una schivar l’altra, si accozzarono animosamente insieme, combattendo ciascuno con tutte le forze del corpo e dell’animo, sicchè il sanguinoso conflitto, facendosi sempre più terribile, continuava già da tre ore, quando la vittoria fu decisa dal coraggio e dalla perizia di un nobile fiorentino, Raimondo Mannelli, il quale vedendo le due navi capitane, veneta e genovese, affrontate insieme, combattersi fra loro come se fossero
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    in terraferma, sperando ciascuno che qual delle due navi vincesse deciderebbe della battaglia, Raimondo con la galeazza che comandava, ad onta che i suoi marinari ricusassero di tentare un si ardito colpo di mano, costrinse il timoniere con le minacce, impugnando un’accetta, a dovere spingere la galeazza verso il sanguinoso conflitto, in guisa che con grandissima furia andò ad urtare nella capitana genovese. La qual nave vacillando discostossi dalla sua nemica; nè potendo i soldati di quella reggersi sul bordo, convenne che molti sdrucciolando cadessero nel mare; per la qual cosa i legni genovesi si posero alla fuga cercando scampo nel vicino Porto fino, a Genova e una parte a Piombino, lasciando otto galere in preda dei vincitori.
    Il frutto di questa giornata navale poteva esser maggiore se l’armata vittoriosa avesse preso immediatamente la via di Genova, onde ne fu biasimato il veneto ammiraglio per fino dalla Signoria di Firenze, che con somma liberalità concesse che prigioni, navi predate, bottino, bandiere ed ogni cosa vinta, a Venezia per trofeo ed onore di quella repubblica fosse portata.
    Può dirsi questa la prima impresa navale, nella quale prendessero una parta attiva capitani fiorentini con legni e marinari livornesi.
    Fu poi pietosa ed onorevole la spedizione fatta nel 1434 d'ordine del Comune di Firenze di due galere 8 Civitavecchia per liberare Eugenio IV dai Romani tenuto quasi prigione, sicchè non senza pericolo salvatosi il Pont. per il Tevere sulla galeazza della Repubblica, il dì 12 di giugno arrivò a salvamento a Livorno. La qual cosa fu reputata in Firenze a felice augurio, per essersi in quel medesimo giorno errato l'occhio della famosa cupola di Filippo Brunelleschi.
    Volendo avvicinarsi più dappresso all’istoria parziale di Livorno, non troviamo in questi tempi indizio alcuno che annunzii una qualche sorta di prosperità, forse a cagione dell’interrotto commercio, e delle guerre testé accennate, e forse anche del crescente impaludamento del contiguo seno del Porto pisano, sicchè gli abitanti, per la cattiva disposizione dell'aria
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    che quivi già, da molti anni si manifestava, più presto mancavano, o infermi vivevano da non potersi che malamente industriare.
    Arroge a tuttociò la guerra ostinata che Alfonso di Aragona mosse per mare e per terra alla Rep. fiorentina, e la vittoria navale dagli Aragonesi fra Porto Baratto e la Torre di S. Vincenzo riportata (luglio 1448); dopo la quale ai Fiorentini mancò la speranza di acquistare impero nel mare, e al porto di Livorno, prosperità e concorso. In conseguenza di tanti infortunii i Livornesi, all'occasione di richiedere la triennale conferma dei privilegii, nell’aprile del 1449 domandavano di essere esonerati non solo dalla solita annua tassa di 650 fiorini, ma ancora dal debito arretrato, per la ragione, dicevano essi, che il paese era molto diminuito di abitanti e di sostanze, massimamente a cagione della guerra del re d’Aragona, nella quale guerra Livorno aveva dovuto sostenere delle spese straordinarie. Dondechè la Signoria di Firenze, con deliberazione vinta li 28 aprile del 1449, nel tempo che assolvè il Comune di Livorno da ogni suo debito arretrato, ordinò la conferma di tutte l’esenzioni precedentemente concesse, e lo assolvè dall'annua tassa per le gabelle del vino e del macello, salvo quella di dover prendere cento staja di sale e pagare in due rate lire 406 del suo valore. Questi stessi privilegii furono molte altre volte dalla Repubblica confermati con posteriori provvisioni. (Targioni, Viaggi T. II).
    Ne minore fu la cura, che ebbe la Rep. fior. di fortificare Livorno, e fornire nel tempo stesso mezzi di lavoro alla classe minuta del popolo, mentre la Signoria, nel 1458, diede ordine ai consoli dell'arte della lana di Firenze, come quella che più dell’altre arti e manifatture nazionali partecipava dei vantaggi del commercio con l’estero, di somministrare ai consoli di mare fiorini 4000 l’anno, affinchè fossero erogati delle fortificazioni e nelle mura castellane, che costruivansi intorno al primo cerchio, di Livorno. (PAGNINI, Della Decima T. II).
    Nel 1463
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    le esenzioni a favore dei Livornesi vennero ampliate ed estese alla gabella delle doti delle mogli qualunque fosse la loro patria, ed anche alla gabella dei contratti riguardanti la vendita dei beni posti nel territorio livornese, non ostante che gli atti si rogassero fuori della stessa sua giurisdizione. (ARCH. DELLE RIFORMAG. DI FIR.)
    Tali concessioni erano altresì potentemente reclamate dalle turbolenze del Levante per le conquiste del Turco, sicché la Rep. fior. fu costretta a sospendere le spedizioni delle galere per le parti di Romania, ed a perdere il traffico del Marnero sebbene nel 1460 le galeazze livornesi, over’erano sopra tre illustri fiorentini, Francesco Vettori, Agostino di Nerone, e Bernardo Corbinelli, cariche di drappi e broccali, di panni, di olj e saponi, appena arrivate a Costantinopoli fossero state da Maometto benignamente accolte. (BENEDETTO DEI Cronic . – PAGNINI, Della Decima, libro cit. )
    Nel 1447 la Signoria di Firenze nell’atto di prorogare ai Livornesi le consuete esenzioni, vi aggiunse quella delle gabelle delle porte per quei generi e merci che vi s’introducessero per uso unicamente delle proprie famiglie. (ARCH. cit. – TARGIONI, Viaggi T. II).
    In questo suddetto anno 1477 furono upprovati dal governo di Firenze li statuti municipali, in conseguenza dei quali i Livornesi non potevano essere convenuti al tribunale della mercanzia di Firenze, né altrove.
    Qualora peraltro si trattava di una somma maggiore di scudi 500, era facoltà di appellare al tribunale dei consoli di mare, salvo per quelle cause che involvessero articoli di ragione, per i quali l’appello era comune tanto ai consoli predetti, come alla Ruota.
    Un’altra rubrica di quello statuto tende a dimostrare la decadenza, in cui era Livorno; dicendosi ivi “per cagione che la terra di Livorno è venuta in grande calamità e miseria, e gia disfatto il più delle barche di Livorno per li cattivi guadagni, si provvede che, per l’avvenire le barche e i navigli di Livorno
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    sieno i primi a scaricare e caricare tutte le navi, e galeazze e altri navigli di mercanzie ec.”
    La guerra riaccesa coi Genovesi per cagione di Pietrasanta e di Sarzana, obbligò i Fiorentini a soldare alcuni abili capitani con 18 galere, una parte delle quali capitanate dal francese ammiraglio Riccasens nel novembre del 1484 escì dal porto di Livorno dirigendosi verso Genova, sotto gli ordini di Niccolò Marielli, commissario dell'armata a tal uopo dalla Signoria con ampia autorità destinato. Ma, o perchè i Genovesi avessero maggiori forze navali, o perchè il francese ammiraglio riputasse l’impresa di molto pericolo, fatto stà che ripiegò la prora e i remi verso donde era partito; sennonché, essendo comparso a Livorno li 8 dicembre con altre sei galere l'atteso capitano Villamarina, fu risoluto che l’armata di genti e di tutte le cose necessarie fornita, senza altra tardanza si levasse da Livorno siccome eseguì nella notte di natale, e si avviasse alla volta di Genova; lo che accadde poco innanzi l’avviso della rotta ricevuta dalla flotta dei fuorisciti genovesi comandata dall'exdoge Gio. Battista Fregoso, e della comparsa davanti a Livorno di quella nemica. Per la qual cosa invece di assalire, fu gioco forza pensare a difendersi dai Genovesi, i quali tentarono per mezzo di un puntone di battere e conquistare la Torre nuova davanti al Porto pisano, sebbene i Fiorentini provvedessero al riparo col postare di contro altro pontone a sua difesa.
    Del resto non vi era luogo da temere di perdere Livorno, essendo state fatte gagliarde provvisioni e trovandovisi molte genti d'arme comandate dal conte di Pitigliano e da Ranuccio Farnese. Alle quali cose si aggiunse il ritorno della flotta gallo‑fiorealina che costrinse i nemici a levarsi frettolosamente di là, e con gran disordine darsi alla fuga.
    Quattro anni dopo, nell’aprile del 1489, Livorno festeggiò lo sbarco d'Isabella d'Aragona figlia di Alfonso duca di Calabria, mentre andava a marito al duca di Milano. In tale occasione la
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    Signoria di Firenze inviò tre ambasciatori a riceverla ed onorarla; ma questi restarono di gran lunga soperchiati dalla magnificenza di Piero de’Medici, venuto a Livorno per ordine di Lorenzo suo padre ad oggetto di far la sua corte con pomposo sfoggio alla principessa spagnuola.
    Fu questi quel Piero de’Medici, il quale nel 1494 a guisa di assoluto sovrano senza autorizzazione del suo governo, appena arrivato con il suo esercito Carlo VIII in Lunigiana, di proprio arbitrio, e temerariamente, fidandosi al debole pegno di un foglio firmato da quel re, trascorse a consegnare alle truppe francesi le fortezze di Sarzana, di Sarzanello e di Pietrasanta, e poco dopo anche quelle di Pisa e di Livorno, piazze tutte importantissime che da quella parte servivano di chiave al dominio fiorentino. In questo modo, per la temerità di un giovane la Rep. fiorentina perdè Livorno, talchè all’arrivo in Firenze di Carlo VIII e delle sue genti, senza i virtuosi sforzi, e le risolute parole di Pier Capponi la patria con danno della sua libertà a troppo disoneste domande avrebbe dovuto soggiacere. Frattanto Pisa, Livorno e le altre tre fortezze a sicurtà del re in guardia ai Francesi si rimasero, con la promessa di restituire il tutto ai Fiorentini subito che fosse finita l’impresa del regno di Napoli. Ma non fu che poco innanzi di rivalicare le Alpi Cozie, che Carlo VIII promise di restituire senz’altra dilazione Pisa e Livorno ai Fiorentini. In questo tempo i Veneziani, il duca di Milano ed i Genovesi, rivali della Rep. fiorentina di concerto deliberarono di aiutare i Pisani non già per assicurare a questi la propria libertà, e restituire loro il porto di Livorno, ma per la cupidità d’insignorirsi dell’uno e dell’altro paese.
    Arrivarono però in Toscana più prontamente dei collegati le compagnie francesi, e gli ordini del re senza dilazione, ma non senza buona somma di fiorini, furono adempiti dal comandante della terra e fortezze di Livorno, che consegnò al commissario della
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    Repubblica.
    Con opposto procedere frattanto agiva il castellano della cittadella di Pisa, il quale invece di ubbidire ai voleri del suo sovrano, e consegnare la fortezza ai Fiorentini, la diede in piena balia di quel popolo, che per suo consiglio dai fondamenti la rovinò. Nè trascorse molto tempo che i comandanti francesi di Sarzana e Sarzanello, anzichè cedere quelle piazze alla soldatessa della Rep. fiorentina, le venderono ai Genovesi quasi contemporaneamente alla cessione fatta ai castellani francesi, di Motrone e di Pietrasanta al governo di Lucca.
    Nel tempo che queste cose accadevano, andava da ogni parte crescendo il pericolo per Livorno, e a danno dei Fiorentini un grandissimo incendio sorgeva. Avvegnachè i Veneziani, il duca di Milano, i Genovesi, i Senesi e lo stesso Imperatore di Germania, mossi tutti da diversi fini, ma tutti con il desiderio di farsi più potenti a scapito dei protetti, oppure dei vinti, concorsero con mezzi varii e per vie diverse alla difesa di Pisa, e alla conquista della terra e porto di Livorno; nè vi era fra essi chi non sperasse con prontezza e facilmente impadronirsi di quest'ultima piazza; la quale, riunita che fosse a Pisa, pareva agli alleati che privare dovesse di ogni speranza i Fiorentini di potere mai più ricuperare quella città col suo territorio.
    Ad accrescere cotante turbazioni eccitate dai nemici esterni, si aggiungeva in quel tempo il danno piu incalzante di un nemico interno, quale si era quello di una gravissima carestia che stringeva Firenze e tutto il suo dominio.
    Pur nonostante in mezzo a tante difficoltà minacciati da sì grandi pericoli, i cittadini e i governanti di Firenze stavano per timore più uniti e concordi alla conservazione della propria libertà. Fu allora che la Signoria fra le altre cose propose, e i collegii della repubblica deliberarono, di non aderire ai consigli dati dai ministri della lega nemica, talchè fu rifiutato di fare dichiarazione alcuna con Cesare, e molto meno di rimettere
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    in suo arbitrio le ragioni dei Fiorentini sopra Pisa, se non dopo aver riottenuto il possesso di quella città. Quindi i Dieci della guerra con ogni sollecitudine attesero a riunire gente d’armi, a fortificare e provvedere quanto più fosse possibile la piazza di Livorno, nel mentre che la repubblica dirigeva i suoi eserciti nel contado di Pisa.
    Calava intanto dalla Germania in Italia l’Imperatore Massimiliano I, il quale appena giunto per la via di Genova a Pisa, deliberò di mettersi alla testa dell’esercito della Lega e condurlo davanti a Livorno con la risoluzione di assaltarlo per terra, nel tempo che una flotta Veneto Genovese lo avrebbe combattuto dalla parte di mare, quando appunto molte compagnie di Pisani con altre truppe degli alleati tenevano in scacco l’esercito dei Fiorentini in Val d’Era.
    Ma niuna impresa, niun progetto militare spaventò il governo di Firenze, il quale, dopo avere provveduto Livorno di armi e di artiglieria, cercava ogni via per fornirlo di viveri e di un maggior soccorso di gente dalla parte di mare. Al quale uopo la Signoria assoldò militari Svizzeri, Guasconi e Provenzali con navi francesi e galeoni, affinchè quelle cariche di armati, questi di vettovaglie si dirigessero sollecitamente a Livorno dalla carestia più che dal timore degli assalitori minacciato.
    La quale operazione, sebbene da principio incontrasse non poche difficoltà, pure in progresso fu tanto favorita dalla fortuna, che nel giorno, in cui arrivò la vanguardia dell'esercito Tedesco‑ltaliano per piantare gli accampamenti intorno a Livorno, in quel giorno appunto (28 ottobre 1496) si presentarono alla vista del porto in soccorso dei Livornesi sei navi con dei galeoni provenienti da Marsilia, e fu quel viaggio accompagnato da un vento cotanto prospero che, senza opposizione della flotta nemica, costretta dal tempo a prendere il largo, vidersi entrare a vele gonfie nel porto con la sola perdita di un galeone carico di grano, il quale dopo pochi giorni venne pur esso ritolto agli sbaragliati nemici.
    Tanto opportuno fu questo soccorso
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    che, oltre al confermare grandemente l’animo dei Fiorentini, dette ardire a quelli di dentro di uscire fuori e assalire animosamente il campo degli assedianti, i quali furono battuti e respinti con perdita, gli uni fino al ponte di Stagno, e gli altri fino alle sponde del mare.
    Non per questo l’Imperatore desisteva dalla brama di conquistare per forza Livorno, avauti a cui erano schierati mille cavalleggeri, 4000 fanti, e 500 uomini d’arme, senza le molte forze navali. Lo stesso Cesare, montato in sulle galere visitò il sito in sino alla bocca dello Stagno ; poscia esaminò da qual lato per terra si poteva con più opportunità piantare il campo.
    Aveva egli di già assegnata l'oppugnazione della parte orientale al conte di Cajazzo, ch’era stato mandato dal duca di Milano, e postosi l’Imperatore medesimo dall’altra parte dava il segnale di assalire impetuosamente Livorno, allorquando altri accidenti celesti vennero a soccorso dei Fiorentini. Essendochè dal primo giorno sino al sette di novembre caddero tali e sì fatte piogge, che, non dirò non combattere e assaltare le mura di Livorno, ma neppure dentro i padiglioni potevano gli assedianti ripararsi. – Appena però le pioggie erano alquanto cessate, il dì seguente incominciarono gli assalitori ad accostarsi alle fortificazioni, sebbene con molta difficoltà per la molestia che loro recavano le artiglierie dei difensori.
    I primi assalti furono diretti contro la torre di Magnano , la Torre nuova e quella detta del Palazzotto davanti al Porto pisano, e ciò nel tempo medesimo che la flotta degli alleati investiva Livorrio dalla parte di mare. Ma l’oppugnaziane delle sopraindicate torri riesciva di poco frutto per esser munite in modo che l'artiglierie poco le offendevano, e quelli di dentro spesso uscivano fuori a scaramucciare animosamente contro gli assalitori, i quali furono più volte a rischio di perdere i pezzi da campagna, siccome restarono preda del presidio molti Alemanni ed Albanesi. – Anche Cesare andò quasi a
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    rischio di lasciarvi la vita, avvegnaché fu voce, che un pezzo di mitraglia trapassasse una manica del suo abito. (GUICCIARDINI, AMMIRATO, e NARDI Istor. Fior .)
    Ma era destinato che la speranza dei Fiorentini cominciata col favore dei venti, continuata con il benefizio delle dirotte piogge, avesse il suo compimento nelle procelle di mare. Imperocchè levatasi in quel dì una gagliarda tempesta, fu da questa in tal modo agitata, dispersa e conquassata la flotta degli alleati, che la capitana genovese, sulla quale aveva fatto passaggio la persona di Cesare, combattuta lungamente dai venti e dalle procelle, naufragò con tutto l’equipaggio e le artiglierie nello scoglietto di rimpetto alla fortezza vecchia di Livorno; ed il medesimo accidente accadde a due galere veneziane che furono spinte a traverso nella spiaggia di S. Jacopo d’Acquaviva, nel tempo che altri legni quà e là ributtati restarono talmente sconci, che essi non furono più atti per allora a rimettersi in mare.
    Per le quali vicende dell’armata marittima, e pel niun successo di quella di terra, dopo molte consulte fra l’imperatore ed i suoi generali, diffidando tutti di potere conquistare Livorno, fu deliberato di levarne gli accampamenti. Infatti nel medesimo dì che l’esercito si mosse di là, l’Imperatore andò a Vico Pisano, e il giorno dopo si avviò verso Bientina per riconoscere il paese; al qual luogo essendosi Cesare appressato, gli furono tirati addosso sette colpi di passavolante. Quindi ritornato che fu addietro, egli fece radunare per due volte il consiglio di guerra, ed aperte alcune lettere state intercettate, dell’ambasciatore francese a Firenze, s’intese dal contenuto, che qualora il re di Francia avesse mandato presto 4000 fanti in Toscana, i Fiorentini facilmente avrebbero preso l’Imperatore prigione: a noi pare , soggiunse Cesare, raccontando il fresco accidente di Bientina, e memore di quello precedentemente avvenutogli sotto Livorno: a noi pare che i Fiorentini ci vogliano morto piuttosto che preso .
    Un monumento superstite, sebbene guasto dal tempo, rammenta
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    il coraggio dai villici Livornesi nell'assedio dell'anno 1496 dimostrato; voglio dire della Statua mutilata rappresentante un Villano sopra la fonte pubblica vicina alla Pescheria vecchia di Livorno, con due cani che gli siedono accanto, simbolo parlante della Fede , per la quale in mezzo ai pericoli allora i Livornesi si segnalarono.
    Erano ridotte a questo punto le operazioni di guerra, quando Massimiliano I nel quartiere generale di Vico Pisano dava ordini agli eserciti alleati, come se volesse continuare l’impresa, tenendo però occulto ove meditava d’incamminarsi; quando egli con niun profitto e con minore dignità prese all’improvviso la via di Monte Carlo, di Lucca e Sarzana e di là valicando l'Appennino di Pontremoli, recossi a Pavia, col lasciare gli alleati nella lusinga di tornare all’assedio di Livorno un poco meglio accompagnato.
    ln tal guisa si vide ogni deliberazione ostile svanire, mentre l’oste Fiorentina avendo preso maggior animo, si diresse a riconquistare le terre delle colline pisane, le quali in poter dei nemici erano pervenuti, e ciò precipuamente ad oggetto di aprirsi una via più diretta con Livorno. La quale operazione riescì cosi prospera, che in pochi giorni l’esercito del Comune di Firenze ricuperò i castelli di Ceuli, di Terricciuola e di Sojana in Val di Cascina, e poco dopo i paesi di San Regolo, Tremoleto, Santa Luce e Colognola in Val di Tora, e di là finalmente avviandosi ad assalire la Bastia di Stagno .
    Non avevano ancora i Fiorentini terminato di riconquistare il perduto contado di Pisa, quando l’esercito della lega volgeva di nuovo una parte delle sue forze verso Livorno con animo di ricuperare prima di tutto la perduta Bastia di Stagno . La quale impresa andò fallita, stante che 1500 fanti con 400 cavalleggeri dell’esercito Veneto Pisano, appena erano giunti al ponte di Stagno per dar l’assalto a quel bastione, essi di notte tempo e all’impensata dalle genti dei Fiorentini vennero assaliti
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    e sbaragliati in guisa che, oltre ad essere rimasti molti di loro prigionieri, al resto dei vinti riuscì a fatica con frettolosa fuga di salvarsi
    Sarebbero senza dubbio accadute dell’altre fazioni nelle vicinanze di Livorno, combattendosi dall’una e dall'altra parte con ira e con rabbia, come sono state tutte le guerre tra i Fiorentini e i Pisani, senza una tregua, che fece la Spagna con la Francia (5 marzo 1497); mercè la quale si dovettero posar le armi anco in Toscana, essendovi stati compresi i Pisani, come aderenti del re di Spagna, e i Fiorentini di quella de'Francesi. Ma al terminare della tregua col mese di ottobre dello stesso anno 1497 si tornò all’opere della guerra, preparando ciascuna delle parti provisioni gagliarde per il tempo nuovo.
    Fu maravigliosa in questi tempi la diligenza e l’industria delle due repubbliche, l’una per recuperare con ogni sforzo e spesa le cose perdute, l’altra per acquistare con tanti sacrifizii e fatica la città di Pisa con il suo contado.
    Non è questo il luogo da tener dietro all’andamento di cotesta guerra, se non per aggiungere che, nel 1499, riescì finalmente all’oste pisana di riavere la Bastia di Stagno , quantunque poco tempo dopo lo stesso posto ritornasse in potere dei Fiorentini, dalle cui mani non escì mai più. – V edere Bastia presso Livorno.
    È facile peraltro argomentare, che tali vicende gravissimo danno recare dovevano al commercio di Livorno, bersagliato da ostilità tanto lunghe ed ostinate; quindi è che, dopo il 1496, non s'incontrano fatti da dirsi di qualche inportanza per l'istoria di Livorno, seppure non si volesse far conto dell’arrivo ivi accaduto nel 1503 di una squadra navale spagnuola, che accompagnava a Napoli il re Ferdinando d’Aragona. – Spetta bensì all’istoria municipale di Livorno una risoluzione presa dal consiglio generale di quella comunità, quando lì 3 marzo del 1507 ( stil. fior .) elesse due sindaci per inviarli a Firenze a domandare l’approvazione e
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    conferma de’suoi statuti municipali sino dal 1494 riformati. La quale inchiesta fu proposta, deliberata e concessa dai Signori e Collegi della Repubblica nel giorno 8 dello stesso mese. Fra gli articoli di quelle sostituzioni havvi una rubrica riguardante il diritto che sino d’allora ottennero i facchini e marinari Livornesi: quello cioè di caricare e scaricare con le proprie barche le mercanzie che recavano i legni esteri nel Porto pisano . La quale ultima espressione di Porto pisano volendosi omessa negli statuti posteriori del 1529, e del 1544, ci dà in certo modo a conoscere, che il Porto pisano a queste due ultime epoche non fosse più servibile, sicché i navigli di qualunque capacità e grandezza dovessero necessariamente approdare nel contiguo porto, che attualmente serve di darsena a quello di Livorno.
    Nel 1511 il governo della repubblica oltre la proroga per cinque anni degli antichi privilegii, concesse ai Livornesi la facoltà di poter eglino senza dazio vendere a minuto i vini che raccoglievano nel loro territorio, con obbligo però di rinfrancare il Comune di Firenze di cio che fosse per riscuotere di meno della gabella solita pagarsi dagli osti e tavernieri. (ARCH. DELLE RIFORMAGIONI DI FIR.)
    Nella proroga delle stesse esenzioni, all’anno 1517, la Signoria di Firenze deliberò, che non potesse vendersi nel circoodario della giurisdizione di Livorno Vino forestiero nè nostrale sopra le barche a minuto senza il pogamento delle antiche gabelle, intendendo però di esentare da tale proibizione i Livornesi sopportanti gravezze ( loc. cit. ).
    Fra le poche ed ultime memorie di Livorno durante la repubblica fiorentina rammenterò, qualmente all’anno 1521 non solo furono dalla Signoria confermati a quegli abitanti le solite immunità, ma eziandio essa deliberò di demolire le case vicine alla canonica e pieve di Livorno, nel luogo che poi si disse la piazzetta del commercio, onde preparare una spianata davanti alla fortezza nuova che il Comune di Firenze era per fabbricare nel luogo
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    della piccola rocca eretta alla bocca del porto sotto il governo di Genova.
    Nell’anno 1522, quand’era castellano della fortezza di Livorno Jacopo di Pietro Ginori, vi arrivò accompagnato da numerosa flotta il nuovo pontefice Adriano VI proveniente dalla Spagna, il quale fu costà festosamente accolto, e con i dovuti onori dagli ambasciadori del governo fiorentino e da sei cardinali toscani corteggiato.
    Fra gli ultimi castellani di Livorno sotto il regime della Republlica fiorentina l’istoria ha segnalato all’anno 1528 un capitano in Galeotto da Barga, il quale, dopo l’ultima espulsione dei Medici, invitato dalla Signoria a consegnare la fortezza al suo commissario Filippo Strozzi, egli vi si rifiutò dicendo: di tenerla dal pontefice Clemente VII. Nè vi volle meno che una buona somma di danaro e la promessa di una grossa pensione per capitolare con quel Galeotto guardiano. Ciò nonostante nulla giovò a riacquistare Livorno alla moribonda repubblica, mentre la stessa capitale, dopo undici mesi di ostinato assedio, dovè abbassare la fronte e cedere le ragioni del suo governo agli espulsi discendenti del vecchio Cosimo e di Lorenzo il Magnifco.

    LIVORNO SOTTO LA DINASTIA MEDICEA

    Bersagliata quasi sempre ed afflitta la repubblica fiorentina, ora dalle guerre esterne, spesse volte dalle turbolenze interne, non di rado dalle pestilenze e dalle carestie, giammai essa potè, siccome ardentemente agognava, divenire potenza marittima; ed in conseguenza mancò a lei quel resultato che dal dispendioso acquisto di Livorno poteva sperare. – Pare che un simil germe dovesse crescere in altra stagione. Era un frutto riservato a cogliersi dalla dinastia Medicea, la quale seppe maravigliosamente e con più efficacia la stessa pianta fecondare.
    Le guerre, le divisioni intestine, i tanti e si lunghi travagli, dei quali finalmente restò vittima il governo della Rep. di Firenze, dovettero senza dubbio influenzare sulla sorte di Livorno e del suo commercio, siccome nei tempi più remoti gravissimi danni aveva risentito il Porto pisano dalle battaglie marittime che fecero crollare la potenza
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    di Pisa. Quindi è che la Signoria di Firenze dopo immense spese e somme traversie senza potersi immaginare la piena di cotante calamità che doveano abbatterla, non poté in un modo pari al desiderio le sue cure rivolgere al più importante scalo della Toscana.
    A tale scopo peraltro si rivolse il primo duca di Firenze, Alessandro dei Medici, per di cui comando fu posto in esecuzione il progettato disegno di fortificare Livorno in miglior maniera coll’erigere all’ingresso del suo porto una specie di cittadella, oggi detta la fortezza vecchia , la quale restò terminata nell'anno stesso che fu trucidato il suo fondatore (1537).
    Nè a questo solo si limitò il primo sovrano, mediceo in vantaggio di Livorno, mentre appena che quel magistrato civico gli chiese la conferma dei soliti privilegii, egli diresse a Baccio Corsini capitano del luogo una lettera, affinché a favore dei Livornesi fossero concedute le consuete immunità, e perchè ancora si moderasse alquanto, (assicura il Varchi nelle sue Ist. fior . Lib. XIII) l’ingordigia delle gabelle in quella dogana . Si crede dai più che possa risalire all'epoca del duca Alessandro, lo stemma che i Livornesi inalberarono col porre sopra una fortezza la bandiera con la parola FIDES , stanteché quel duca encomiò la continuata affezione e fede dai Livornesi alla casa dei Medici dimostrata; sebbene quel Fides sembri appellare alla Fiducia , o Credito, che é l’anima e la vita del commercio.
    Di maggiore importanza e di grandi resultamenti motrici furono le misure prese dal successore del duca Alessandro per richiamare abitanti, mercanzie e commercio in Livorno; specialmente dopo che il duca Cosimo fu entrato al possesso delle fortezze, le quali sino al luglio del 1543 dagli Spagnuoli in nome dell’Imperatore Carlo V erano state presidiate.
    Cosimo I superò non solamente il suo antecessore, ma fu della stessa Rep. fiorentina più largo
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    e più operoso a favore di Livorno avvegnachè egli ideò un nuovo molo, e gettò del suo incremento statistico a materiale tali fondamenti, che furono seme alla sua futura prosperità.
    Il primo passo fatto dal duca Cosimo dei Medici in benefizio ed accrescimento della popolazione di Livorno fu quello di richiamare in vigore una provvisione della Rep. fiorentina del dì 21 giugno 1491 in favore di quelli che si fossero recati ad abitare in Pisa, a Livorno e nel loro territorio, coll'accordare immunità da certe gravezze, tra le quali ivi si novera quella dei grossi nuovi , che i sudditi dello Stato erano tenuti e continuavano a pagare per la fortezza stata eretta dal duca Alessandro in Firenze.
    Inoltre nello scopo di chiamar gente con quell’indulto Cosimo accordava ai forestieri, purchè fossero andati a stabilirsi familiarnmente in Livorno o nel suo capitanato, oltre i privilegii comuni agli abitanti indigeni, l’esenzione per dieci anni dalle gravezze ordinarie e straordinarie rapporto ai beni stabili che ivi fossero per acquistare. In quanto poi spetta, ad aggravii personali col bando medesimo i nuovi inquilini dichiaravansi liberi da ogni imposizione di tale specie, meno che dall'annuo testatico di soldi 10 per ogni capo di famiglia
    In aumento allo stesso indulto, e all’effetto medesimo di popolare Livorno, fu pubblicata la notificazione dei 26 marzo 1548, che può dirsi il primo stabilimento del privilegio, volgarmente designato sotto nome di Livornina ; privilegio che Cosimo I concedè a qualunque individuo di qualsiasi luogo, condizione, grado o qualità, che si fosse recato, o si volesse recare ad abitare familiarmente in Livorno, a Pisa o nei loro territorii con piena pienissima sicurtà per ogni debito pubblico e privato, proveniente da condannagione pecuniaria, nelle quali fosse per qualunque cagione incorso il nuovo abitatore, da non potere per conseguenza essere molestato nella persona o nei beni da esso acquistati in Livorno e nel suo capitanato .
    A questa legge
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    probabilmente volle riferire il Pad. Magri quando scrisse, che Cosimo nel 1548 fece Livorno Porto franco, a favore in particolare dei Portoghesi . Anche molti Greci orientali e scismatici, da Cosimo I invitati, vennero a stabilirsi in Livorno, ma la renitenza del Pont. Pio V, nell'accordare a simili Cristiani la facolta di usare riti diversi da quelli determinati dal concilio ecumenico di Firenze, fu causa della loro dispersione.
    Non dirò della grandiosa idea di Cosimo quando ordinò a Giorgio Vasari il diacono per fondare nn grandissimo molo, fra la lanterna e il porto vecchio che ora serve di darsena; nè tampoco dirò dell’edificazione di magazzini pubblici, della nuova torre del Fanale e di più estese fortificazioni per assicurare Livorno da un colpo di mano; avvegnachè a tali imprese era Cosimo fortemente stimolato dal doppio oggetto di preparare un più sicuro e comodo scalo tanto ai navigli mercantili stranieri, quanto alle galere che ne’suoi arsenali fabbricavansi per farle montare dai cavalieri del nuovo ordine militare di S. Stefano contro gl’infedeli ed i corsari, o per ispedirle per proprio conto cariche di ricche merci nelle parti di Ponente e di Levante. Infatti col guadagno che dal commercio quel sovrano ritraeva, era sempre in grado di far fronte a tante opere pubbliche da esso lui ordinate, agli onerosi imprestiti a varii principi somministrati, ed alle esorbitanti spese che egli dovè sostenere per istabilirsi sul trono della Toscana.
    In grazia di tante opere, in conseguenza della libertà di coscienza, e di generose allettative, Livorno si vide tosto popolare di forestieri di vario culto e religione, di specie e condizione diversa; parte di quelli portavano seco ingegno e fortuna, quando altri non avevano altra dote fuorchè le braccia e poca moralità. Fu per frenare le torbide e prave mire di questi ultimi che in seguito si dovettero aggiungere alcune rubriche e nuovi capitoli negli statuti municipali di Livorno da Cosimo I nel 1545 e nel 1556 stati approvati.
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    Tale era la riforma di una rubrica che obbligava il creditore a dovere citare per tre volte il suo debitore innanzi di poter gravare i suoi effetti, rubrica che fu nei posteriori statuti (anno 1583 Cap. 61) sotto il Granduca Francesco I modificata nei termini seguenti: Atteso Livorno essere abitato la maggior parte da gente forestiera, e che quando dal messo viene citato alcuno, nascondendo subito quel poco di mobile che si trova, va poi con Dio, e non lasciando beni immobili, il creditore ne viene perciò defraudato, perciò riformando in meglio detto Statuto, ordinorno ec . (COLLEZIONE DEGLI ORDINI MUNICIPALI DI LIVORNO, ediz. del 1798, pag. 17. e 28.)
    Nel mentre che simili provvedimenti nella terra e distretto di Livorno ponevansi ad effetto, non restava per questo inoperoso l’arsenale vecchio di Pisa, deve per la vicinanza delle foreste, per il numero degli artigiani, per la quantità degli arnesi e per la comodità del locale, continuamente galere sottili ed altri legni da navigare costruivansi; sicchè Cosimo I, nell’anno 1558 trovossi in grado di offrire a Filippo II re di Spagna un buon numero di galere fabbricate negli arsenali di Pisa e di Livorno, avendo intenzione di farne capitano ammiraglio il suo terzo sventurato figlio, giovinetto di spirito sublime e di ottime speranze, qual era Don Garzia.
    Nel 1562, lo stesso Cosimo, per testimonianza dell’Adriani, donò al Papa due altre galere nuovamente fabbricate in Pisa; e ciò poco innanzi che tornasse dalla Spagna il gran principe Francesco con quattro galere, le quali furono tosto consegnate alla condotta del capitano Baccio Martelli, valente ammiraglio ad oggetto di percorrere l’Arcipelago ed il Mediterraneo per dar la caccia ai corsari barbareschi ed ai Turchi. Infatti la flottiglia toscana cercò quasi tutto il mare che si distende tra la Barberia e la Soria, ritornando a Livorno con qualche preda di valore.
    Nell’anno 1564, mentre da Cosimo instituivasi l’ordine militare di S. Stefano, fu conclusa una convenzione con le potenze
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    in guerra contro il Turco, obbligandosi il Granduca di somministrare per cinque anni dieci galere bene equipaggiate con 15 soldati sopra ciascuna.
    Succeduto al dominio della Toscana nell’anno 1574 Francesco I, egli pure non mancò di rivolgere le sue premure a favore di Livorno. Al quale oggetto introdusse pratiche coll’ambasciatore Turco a Venezia nella mira di ottenere dalla Porta la conferma degli antichi privilegii commerciali, che fino dal 1470 dal sultano ai Fiorentini erano stati concessi, oltre la resistenza del Bailo granducale a Costantinopoli.
    Più incalzanti e più efficaci riescirono le istanze, che nell’aprile del 1577 furono fatte dallo stesso Granduca mediante un carteggio aperto col Capitan Pascià; in conseguenza del quale il Gran Signore si decise per la conferma dei privilegii dal Granduca Francesco domandata. Sennonchè le galere della religione di S. Stefano dovendo per instituto andare in corso contro gli infedeli, e il susseguente rapporto fatto al divano dei duri trattamenti ricevuti in Toscana da alcuni schiavi turchi, furono due motivi che bastarono a sospendere, e quindi a troncare fra i due governi ogni vita di pacificazione.
    Il commercio di Livorno non restò per questo arrenato, poiché quanto si veniva a perdere dalla parte della Turchia e del Levante, altrettanto si andava acquistando con le nuove relazioni commerciali nei porti della Spagna e nelle isole Baleari.
    In questo medesimo tempo Francesco I, con solenne apparato militare civile ed ecclesiastico, ai 28 marzo 1577, gettava i fondamenti delle nuove mura, di Livorno, dopochè approvò il disegno della pianta eseguito dal suo architetto Buontalenti, e dopo, aver comprato dai respettivi proprietarii il terreno che si voleva rinchiudere dentro la circonvallazione designata. Nella quale circostanza fu instituito in Livorno uno scrittojo delle RR. fabbriche con gli opportuni regolamenti per ordinare materiali, pagare artefici e manuali; al quale uopo lo stesso Granduca volle destinare assegnamenti opportuni sopra le rendite della sua corona.
    Comecchè quell’opera non sortisse allora grandi progressi li fece per altro grandissimi sotto
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    il terzo Granduca. Ed eccoci giunti a quel sovrano che può dirsi il vero fondatore di Livorno. Avvegnachè fu Ferdinando I, che immense spese impiegò per circondare questa città di solidissime mura, di lunette, di spalti e bastioni, di magnifiche porte, di ponti di pietra circondandola di un fosso navigabile e difendendola con fortezze nuove verso terra e verso mare. Per lui si veddero sorgere in Livorno stabilimenti pubblici, dogane, caserme, magazzini, palazzi regii, tempii, pubbliche logge, ed abitazioni moltissime per darsi ai privati, piazze magnifiche, strade ampie e regolari, oltre un Lazzeretto di vasti comodi provveduto, e da sulutari discipline regolato. Tutto ciò fu opera del primo Ferdinando, il quale bene spesso a tal’uopo personalmente assisteva, ordinava, incoraggiava e promoveva con tanto impegno, con tanto amore per la sua nuova città, che soleva a buon diritto, e quasi per compiacenza chiamare Livorno la sua Dama . (ARCH. SEGRETO MEDICEO, Lett. della G. D. Cristina al Segret. Curzio Pichena ) .
    Nè al solo materiale della nuova città si limitarono le cure di Ferdinando I. Tutto ciò che poteva accreditare ed estendere il suo commercio, era oggetto delle sollecitudini di quel principe per accrescere fiducia alla mercatura, restituire la salubrità al clima, promuovere l’industria manifatturiera, coniar monete d’intrinseco valore, e allettare gente di ogni grado, di ogni grado di ogni culto, di ogni nazione a stabilirsi in Livorno; sotto questo formava uno dei primi pensieri, dei sommi oggetti, delle cure economiche di quel sovrano. – Si aggiunga il dispendio che egli sosteneva in una numerosa marina per esercitare i crocesegnati, proteggere i legni mercantili e allontanare dalle coste della Toscana Barbareschi, ed ogni sorta di 1adri di mare. E poi cosa mirabile, che quante maggiori sorgevano gli ostacoli, tanto più questi infondevano nuovo vigore in quel principe, che sapeva da tutto ritrarre qualche profitto per la sua bella Livorno. Quindi è che, oltre il lucro
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    delle prede destinate al accrescere le galere, procurava di attirare nella nuova città i corsari Inglesi, Olandesi e di qualunque altra nazione, i quali, arricchiti delle altrui spoglie, venivano tranquillamente a goderne il frutto in Toscana, purchè si stabilissero in Livorno. A tal fine fu confermato il privilegio di Cosimo I del 1548, con assicurar le persone, i loro capitali, e col non ingerirsi nel voler conoscere, e molto meno perseguitare l'autore di qualunque eccesso che fosse stato commesso fuori del Grunducato in chi familiarmente aveva stabilito il suo domicilio costà. – Quindi poco dopo (10 giugno 1593) fu pubblicato il celebre indulto diviso in 48 articoli a favore dei mercanti di tutte le nazioni di ogni credenza, purchè venissero a commerciare e aprire casa a Pisa, o a Livorno. Con tale indulto furono inoltrati Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei Turchi, Mori, Armeni, Persiani, ed altri a fissarsi col loro traffico o nella città di Pisa o nella terra e porto di Livorno . In conseguenza Ferdinando I fu per Livorno ciò ch’era stato Romolo per Roma; imperciocchè, come questi con l’ asilo aperto alle genti di ogni classe intese principalmente a popolare e ingrandire quella nascente città, così il benefico principe Mediceo col bando del 1593 aumentò mirabilmente di gente e di dovizie il novello emporio del Mediterraneo. Ma il bando del 1593 più che ogni altro favoriva la nazione Ebraica, la quale quasi quasi crede di vedere in Ferdinando I il desiderato Messia, e di trovare in Livorno un'altra Gerusalemme.
    Troppo lungo sarei qualora dovessi accennare soltanto tutto quello che il terzo Granduca operò per ingrandire, abbellire, popolare di gente e di stabilimenti utili Livorno. Ne alcuno della sua età si sarebbe espresso diversamente da Ferdinando I, allorchè, sembrando a questo principe stata mossa sopra troppo vaste dimensioni la fabbrica della chiesa maggiore di Livorno, quasi in atto di rimprovero diceva all'architetto:
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    credevi tu forse di fare il Duomo di Firenze ? Pochi altresì avrebbero immaginato vero il vaticinio dello stesso ingegnere tostochè al Granduca rispose: che quando si fanno fabbriche per uso pubblico, esse non sono mai troppo grandi . Di fatti è arrivato il tempo in cui, non solamente si è veduto con ammirabile prestezza compire intorno a Livorno una circonvallazione di mura tre volte più estese di quella della città di Ferdinando, ma eziandio gettare i fondamenti di un tempio doppiamente maggiore dell’antico Duomo, suscettibile a contenere una gran parte di quella popolazione cattolica per servire degnamente di cattedrale.
    Fino dal primo anno del suo innalzamento al trono Ferdinando I diede principio al gran molo che doveva unire mediante un muraglione lungo 10500 braccia la torre del Fanale alla Terraferma.
    Una delle più ardite e delle più gloriose spedizioni maritime che contar possa la Toscana granducale, accadde nel l607 sotto il governo di Ferdinando I quando fu assalita e presa nelle coste dell’Africa l’antica città d’Ippona (Bona); impresa che gli uomini istruiti come gl’indotti, i nazionali al pari dei forestieri tornano a rammentare, quante fiate contemplano in Firenze la statua equestre di Ferdinando I fatta dei metalli rapiti al fiero Trace, o che ammirano in Livorno la statua marmorea del sovrano medesimo contornata alla sua base da quattro schiavi Turchi di diversa età fusi da Pietro Tacca con i cannoni presi agli Arabi dell’Affrica e ai Turchi combattuti e vinti nell’Arcipelago.
    Per ordine e conio di Ferdinando I si offrivano case in vendita, a livello, o in affitto ai Cristiani nuovi , che Filippo II perseguitava nel Portogallo; ai Cattolici che abbandonavano l’Inghilterra; agli Ebrei che si sbalzavano dalla Spagna e si maltrattavano in tutti i paesi; ai Corsi malcontenti del regime dei Genovesi; ai fuorusciti che scorrevano raminghi per l’Italia onde sottrarsi alle insidie ed alla persecuzione dei respettivi governi; finalmente a tutti coloro che a
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    Livorno si refugiavano per vivere sotto le leggi e il patrocinio del Granduca. Ma chi allora prima degli altri corse a popolare Livorno furono i Provenzali; avvegnachè in quel tempo appunto tutte le provincie della Francia trovandosi agitate da una guerra desolatrice ed i negozianti Marsigliesi con molti proprietarii di altri luoghi della Provenza, diffidando di commerciare con i Piemontesi, con i Savojardi e i Genovesi, trovarono tutti in Livorno uno scalo opportunissimo alla loro mercatura, ed in Ferdinando un valido sostegno, un generoso protettore.
    Nel 1606 Ferdinando accrebbe il circondario di Livorno, coll'estendere la sua giurisdizione al territorio designato in seguito col nome di Capitanato nuovo. E fu nello stesso anno ch'egli innalzò Livorno all’onore di città.
    Tale era lo stato di questo paese, allorchè mancò alla Toscana e alla sua bella Livorno (anno 1609) quel munificentissimo principe.
    Pieno di desiderio di compire le grandiose idee del padre, Cosimo II rinnovò e in qualche rapporto accrebbe i privilegi a favore dei Livornesi; nè potendo lusingarsi di compire la troppo vasta intrapresa del gran molo ideata dall’avo e continuata dal padre deliberò di ristringerlo in più moderate dimensioni, facendo costruire davauti alla darsena il molo attuale di figura quadrilunga e coll’imboccatura volta a maestrale, il quale porta il nome dello stesso fondatore.
    Cosimo II aumentò la marina al segno che teneva sempre pronta una squadra di dieci galere ad oggetto di veleggiare nel Mediterraneo, dell’Arcipelago e nel mare Jonio, e di conciliare nel tempo stesso il noleggio mercantile, la pirateria contro i barbareschi e la discesa delle coste toscane. Arroge a ciò, che i legni fabbricati in Livorno, sotto nome di galeoni, erano i migliori di quanti altri scorrevano il mare.
    Fu nei primi anni del governo di Cosimo II che si chiamarono a Livorno i PP. ospitalieri di S. Giovanni di Dio per dar loro l’investitura del nuovo spedale eretto nel 1612 sotto l'invocazione di S. Antonio abate. Anteriore di 13 anni era
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    lo spedale delle donne Sotto il titolo di S. Barbara o della Misericordia, perché fondato dalla pia confraternita della Misericordia di Livorno, che ne affidò l’assistenza alle suore della carità. – Vedere il seguito dell'Articolo Livorno Comunità .
    Nel 1616 lo stesso Cosimo II approvò le riforme dei nuovi statuti municipali di Livorno; e nell’anno medesimo con editto dei 30 agosto concesse a tutti gli abitanti del capitanato vecchio l’esenzione dalle gabelle per ogni sorta di contratto pubblico gabellabile, purchè l'atto riguardasse possessioni situate in Livorno e nell’antico suo distretto. Inoltre, rapporto alla gabella delle doti, dichiarò partecipi dello stesso benefizio anche i sudditi dello Stato fiorentino, purchè questi si fossero stabiliti in detta città.
    La prosperità della mercatara nel porto prenominato, dove accorrevano principalmente Tedeschi, Inglesi, Olandesi ed Ebrei, era per Cosimo II un potente incentivo a vieppiù corredare quel fiorente emporio di comodi e di pubblici edifizii. Allo stesso oggetto, e con il fine di popolare e di arricchire Livorno, di bonificare il palustre e rinterrato seno del Porto pisano, di coltivare. le sterili sodaglie, Cosimo II colse l'opportunità dell’editto di Valenza dei 22 settembre 1609, da Filippo III emanato quando si cacciarono tutti i Mori dalla Spagna, lasciando per altro a loro arbitrio il farsi condurre e sbarcare in qualunque parte fuori del regno. Quindi e che Cosimo II determinò di acquistare tremila di quegli oriundi Affricani, lusingandosi che gente avvezza a un governo aspro ed esercitata nel mestiere dell’agricoltura, fosse per essere utilissima a bonificare e fertilizzare la malsana ed infeconda maremma posta a settentrione di Livorno. Sennonchè dopo avere esperimentata la ferocia, lo spirito d’insubordinazione e la poca attitudine i lavori campestri di quella stirpe affricana fu costretto ad allontanare e liberarsi da cotesti incomodi ospiti col furgli trasportare nell’antica sede dei loro maggiori.
    Il commercio di Livorno crescente, e la marina toscana sempre gloriosa sotto i granduchi Ferdinando I e Cosimo II, pare che illanguidissero o
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    almeno si arrestassero, durante la lunga reggenza (dal 1621 al 1628) di Ferdinando II. Il qual principe vedendo il mare Mediterraneo dominato da tante nazioni, che rendevano i suoi legni da guerra un oggetto dispendioso più di fasto che di utilità, vendè, alla Francia (anno 1647) tutte le galere dello stato a riserva di due che destinò a difendere la costa dai Barbareschi. In conseguenza di una simil misura economica la Toscana escì dal novero delle potenze marittime, al qual grado dal padre e dall’avo di Ferdinando II con tante cure e fatiche era stata innalzata.
    Ciò nonostante Livorno ripetere deve da Ferdinando II imperante servigii, sia che si riguardi di lui il fondatore di un nuovo arsenale e di un secondo assai più vasto Lazzeretto (S. Jacopo) eretto nel 1643 un miglio e mezzo distante dalla città; sia che si considerino le grandi premure di quel principe per erigere in Livorno il primo stabilimento (anno 1633) d’istruzione religiosa e letteraria nel collegio di S. Sebastiano, affidandone la direzione ai Chierici regolari di S. Paolo, altrimenti chiamati i PP. Barnabiti; sia che si contempli in esso lui il fondatore di quella porzione di città, cui in vista dei molti fossi navigabili che l’attraversano, fu dato il nome di Venezia nuova ; sia perchè a lui deve Livorno il più antico Monte Pio; sia che vogliasi riguardare nello stesso Granduca un felice promotore del sistema di neutralità per il bene della Toscana; oppure che si rifletta al commercio mercè sua riaperto col Levante, dopo la pace del 1664 tra la Porta e l’Imperatore; nella quale il Granduca si fece comprendere come alleato della Chiesa d’Austria. Fu conseguenza dello stesso trattato il Firmano spedito nel 1668 dal Gran Signore, con il quale si accordava salvo-condotto a tutti i sudditi toscani per potere liberamente andare e navigare con bandiera e passaporto imperiale, mercanteggiare e stare negli scali e dominii della Sublime Porta, parando il dazio del 3
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    per cento sopra le merci, tanto d’introduzione, come d'estrazione. Forse cotesto Firmano fu motore di un grandioso progetto di associazione mercantile, da molti negozianti tedeschi immaginato; quello cioè di formare una società anonima di tanti azionisti per il capitale di due milioni di scudi, destinanati tutti al traffico del levante. Ma la nuova associazione commerciale esigeva de’privilegii e delle franchigie contrarie alle veglianti leggi toscane, e contradittorie all’eguaglianza dalle medesime stabilita fra tutte le nazioni che trafficavano in Livorno; nè tali franchigie erano conciliabili con il sistema della neutralità della Toscana verso tutte le potenze che frequentavano o tenevano consoli in quel Porto franco. Tali ostacoli si sarebbero forse sormontati; ma l’associazione commerciale rimase un desiderio, ed un bel concetto che la morte di Ferdinando II interruppe, ed il governo del suo successore totalmente dissipò.
    Per quanto Cosimo III fosse lungi dalle virtù paterne capaci a ristorare i sudditi della perdita fatta di Ferdinando II, pure fece egli i suoi sforzi per conservarsi neutrale nella guerra che al suo innalzamento al trono granducale ardeva in Europa. In conseguenza delle sue pratiche la Francia, la Spagna e l’Olanda, che con le loro flotte interrompevano il commercio nei porti del Mediterraneo, rispettarono quello di Livorno, dove ogni bandiera trovando accoglienza, accorrevano a preferenza sopra ogn'altro. Al che coadiuvò sempre più un trattato aperto in Livorno fra i consoli esteri, che fu ratificato dai respettivi sovrani (ottobre 1691) ad oggetto di prvenire le ostilità nel porto e nella rada di Livorno, prescrivendo ai vascelli da guerra uno spazio di tempo per partire dalla stazione, tale da non temere in quell’intervallo di essere inseguiti dai nemici ancorati nella stessa rada. Questo trattato essendo stato confermato nelle guerre successive, divenne la fase più solenne e più preziosa della franchigia del porto di Livorno, trattato che fu quasi costantemente rispettato da tutte le potenze marittime dell’Europa.
    Inoltre Cosimo III nel quinto anno del suo governo (anno 1675) tentò un gran colpo tendente ad
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    aprire un nuovo sbocco ai legni toscani sino in America è negli stabilimenti Portoghesi dell'Asia. Trattavasi niente meno di formare una società mercantile fra i negozianti di Livorno e di Lisbona con la promessa per parte dei Toscani di cancorrervi per la vistosissima somma di quattro milioni di ducati d’oro, dando per loro mallevadoria il notissimo magistralo dei capitani della Parte Guelfa, ossia la Camera delle comunità del Dominio fiorentino.
    La quale compagnia mercantile doveva stabilire tre case di commercio, una a Goa, l’altra a Lisbona e la terza a Livorno. (GALLUZZI, Istor. del Granducato Libr. VIII).
    Comecchè il regno regno di Cosimo III portasse l’impronta dell’intolleranza religiosa, massimamente contro i seguaci della riforma, con tuttociò egli fece ogni sforzo per conservare in Livorno la massima dei suoi maggiori con ammettere la libertà delle respettive credenze. Che anzi mostrossi più particolarmente favorevole all'università ebraica, per la quale non solamente rinnuovò i privilegii concessi dai granduchi suoi predecessori, precipuamente rapporto a un tribunale proprio, ma anche rispetto al regime civile ed al buon governo della nazione medesima, in guisa che, con motuproprio dei 20 dicembre 1715, ne ampliò le onorificenze al punto da erigere fra gli ebri di Livorno una specie di senato ereditario composto di 60 notabili, per la cui entratura doveva ciascuno retribuire alla cassa del principe 200 pezze da otto reali, potendo succedere di padre in figlio per ordine di primogenitura fino almeno alla terza generazione. Era nelle attribuzioni di quella casta israelitica la sorveglianza della polizia, e l'amministrazione economica della loro nazione, sicchè in essi governanti risiedeva la rappresentanza dell'intiero corpo giudaico livornese.
    Leggi tanto larghe, franchige e immunità cotanto estese meritarono molti elogii alla dinastia Medicea, in guisa che il celebre Montesquieu ebbe a dire, che Livorno era il loro capo d’opera. In conseguenza di ciò non potevasi a meno con tante elargità di non richiamare in questo paese, oltre i facoltosi di varie regioni, ed i
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    mercanti di buona fede e bene intenzionati, anche i male intenzionati, i falliti, i vagabondi, li fomentatori d’immoralilà. Infatti questa peste della società vi accorse, come fu di sopra avvertito, fino dal tempo delle franchigie elargite da Cosimo I; ma sotto il governo di Cosimo III la ciurma dei bianti era visi talmente propagata che il governatore di Livorno con bando dei 27 marzo ( ERRATA: 1607) 1707 fu costretto di esiliarla dalla città, dal porto e da tutto quel capitanato.
    Tre monumenti pubblici rammentano in Livorno la munificenza di Cosimo III, cioè la casa pia dei mendicanti, un secondo monte di pietà e il gran magazzino dei bottini da olio. – La casa pia fu in origine (anno 1714) destinata a ricoprire, istruire e addestrare al lavoro i poveri fanciulli dell’uno e dell’altro sesso; il monte di pietà per far fronte e supplire a quello fondato nel 1626 da Ferdinando II, mentre il magazzino dei bottini fu edificato per ricevere e custodire in vasi murati e chiusi fino a 25000 barili di olio, che i negozianti con tenue retribuzione costantemente vi depositano.
    Devesi pure a Cosimo III il trattato di neutralità firmato dalle potenze belligeranti per mantener con le franchigie la neutralità al porto d Livorno. – Fu egli che chiamò i Gesuiti, da primo a predicare, quindi per donarli un magnifico locale eretto da un livornese con la mira di farne un conservatorio per l’educazione di fanciulle spettanti alle famiglie più facoltose della stessa città.
    Alla morte di Cosimo III, salito appena sul trono l’ultimo rampollo della dinastia Medicea, le principali potenze dell’Europa, riunite più volte a congresso, occuparonsi incessantemente della successione eveutuale al granducato di Toscana, quando finalmente a Cambray si accordarono esse di mettere in esecuzione l’articolo quinto del trattato concluso in Londra sino dall’anno 1718; cioè, di far precedere all’invio dell’infante di Spagna don Carlo, destinato a succedere al Granduca Gio. Gastone, delle truppe spagnuole per guarnire le piazze
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    forti della Toscana, e segnatamente Livorno.
    Grandi armamenti navali nelle coste della Spagna, crescenti rinforzi di truppe e di artiglierie a Porto Longone nell’isola dell’Elba, esploratori ed ingegneri che segretamente arrivavano a Livorno, erano tutti apparati tendenti ad incuter timore in Giovan Gastone, e a fargli riflettere più spesso al caso della sua morte, per determinarlo a ricevere il destinato successore al suo trono. – Ciò nonostante quel Granduca, fermo nelle sue risoluzioni, rigettò lungo tempo qualsiasi minaccia o proposizione di trattato, la quale fosse della benchè minima parte lesiva della sua libertà e delle sovrane prerogative.
    Nel 1731 Livorno fu per due fiate il teatro iu cui si raccolse il fiore della nobiltà D’Italia e di una gran parte della Toscana; la prima volta di ottobre, quando vide giungervi Una numerosa flotta Anglo-ispana di 41 vascelli, da guerra con 6000 uomini da sbarco; la seconda quando poco dopo fra il rimbombo, dei cannoni vi approdava l’infante don Carlo.
    Un'altra scena meno brillante, non però meno imponente si aprì due anni appresso nel cospetto di Livorno, allora quando nel suo molo sbarcarono 30000 soldati spagnuoli, destinati ad agire nella guerra che per i troni vacanti, o per quelli che dovevano vacare in Italia, si riaccendeva; e ciò poco innanzi che si stabilissero tra l’imperatore e il re di Francia (3 ottobre 1735) i preliminari di quella pace, che assegnò il Granducato di Toscana alla casa sovrana di Lorena, premessa come base la condizione di confermare al porto-franco di Livorno la sua neutralità.
    Innanzi di escire dal periodo mediceo qualcuno forse potrebbe trovare conveniente, che io dassi un cenno del sistema amministrativo, per il quale restava inceppato anzichè incoraggito il commercio, più che interno, esterno; del sistema che sotto gli ultimi sovrani dell’estinta dinastia toscana, terminò per convertirsi danno dell’universale in una privativa per favorire pochi furbi denarosi. – Avvegnachè in mezzo a tali motuproprj, a tanti ordini, a tanti statuti fatti per proteggre le
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    persone e le cose, rimanevano infiniti vincoli ed aggravj, nel tempo che le privative e gli appalti, assorbendo quasi tutto il commercio diretto, il restante riducevasi a frodo in guisa che l’industria languiva da ogni parte della Toscana, e più che altrove in Livorno. – Ma questi giusti rilievi cadranno naturalmente e più opportunamente davanti agli occhi del lettore, allorché egli percorrerà le vicende del paese in discorso sotto la dinastia regnante.
    Piuttosto dirò di una misura politico economica presa sino dai tempi di Ferdinando I, e da altri granduchi Medicei continuata, di quella che mise in commercio una derrata esitabile all’estero senza scapito e senza dilazione. Parlo ora di quel genere di merce, che forma la base di un solido credito, voglio dire, della moneta, di quella misura comune e comoda di tutti; valori, di quella che supplisce a pareggiare il costo delle mercanzie d’immissione quante volte esse superano in valore i generi indigeni di estrazione.
    L'oro e l'argento monetato entrarono nei calcoli di Ferdinando I, che in ogni modo voleva allettare i negoziati esteri a cambiarlo contro le loro merci.
    Conciossiaché egli fu il primo tra i granduchi a ordinare (21 luglio 1595), che si coniassero il Ducato d’argento , altrimenti chiiamato Piastra d Pisa , ed il Tallaro all’uso di Alemagna, per destinare l’una e l’altra moneta precipuamente per lo commercio marittimo , a condizione di spender la Piastra per lire 6 soldi 13 e den. 4 fior., sebbene (diceva la legge) fosse di molto maggior valore.
    Lo stesso Tallaro fu coniato sotto i granduchi Cosimo II e Ferdinando II, avendo di peso ciascuno di essi ventitrè danari e mezzo. La qual moneta vollero che si spendesse per lire 5. 13. 4, quantunque più tardi si valutasse lire 6 per una.
    Diverso dal Tallaro fu il Tollero , corrispondente alla
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    Pezza da otto reali , battuto can il busto e nome di Ferdinando I, nel rovescio con la veduta del porto di Livorno, e la leggenda intorno et patet et favet . – Questa moneta fu coniata per ordine di Ferdinando II, in data del 2 marzo 1655, di peso danari 23 e 1/2 della bontà di once undici di fino, e un oncia di lega, stata prezzata in corso lire 6 l’una.
    Dieci anni dopo, previa ordinanza degli 8 maggio 1665, fu battuta la Pezza , detta della Rosa , con la data di Livorno, di peso danari 22, a bontà di once 11 di fino, simile alla Pezza da otto reali . Portava nel diritto l’impronta dell'arme di casa Medici nel suo rovescio due piante di rose, e intorno il motto gratia obvia, ultio quaesita . – L iburni ; quasichè fosse stata battuta in Livorno, dove per altro non fu mai zecca. Il suo valore era di lire 5. 13. 4; ma dipoi fu accettata per lire 5 e 15 soldi; e tanto prevalse l’uso della medesima in Livorno che vi si facevano i conteggi, sino all’editto del 17 gennajo 1837, a preferenza di ogni altra moneta toscana corrente.
    La stessa Pezza da otto reali fu battuta sotto Cosimo III negli anni 1700 e 1707 con la solita leggenda e la data di Livorno.
    Anche il Tollero ,così il mezzo e il quarto di Tollero furono fatti coniare da Cosimo III a profitto del commercio livornese in più tempi nella zecca fiorentina. Se non che nel Tollero del 1707 sopra il capo del sovrano manca la corona gran ducale, invece della quale vedesi nel suo rovescio una corona reale sopra l’arme della città di Livorno, raffigurata da una fortezza a doppio torrione con la parola Fides alla base e
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    la consueta epigrafe intorno: et patet et favet .
    Nei mezzi Toller i, invece dell’arme anzi detta di Livorno, havvi scolpita una nave della forma delle antiche Liburne, con le seguenti parole in giro: praesidium et decus – Liburni – 1682.
    In quanto alle monete d’oro, destinate ad accreditare la piazza mercantile di Livorno, merita di essere rammentata quella del Fiorino , ossia Zecchino gigliato fatto coniare da Ferdinando I nell'ultim’anno del suo regno, della solita bontà di 24 carati, ma del peso di danari 3 e gr. 1, come quello che si disse ordinato dalla Rep. fior. nel 1422, onde fosse accettato più volentieri nel commercio del Levante. Il quale zecchino gigliato a quella età si spendeva per sole lire 10. 3. 4. se non che Cosimo II con legge dello dic. 1613 rimise il fiorino di oro al solito peso di 3 danari 1’uno, com’era stato usato di fabbricarlo dal 1596 al 1608.
    Una nuova moneta d’oro fu coniata sotto Ferdinando II (anno 1656) del peso di danari 2 e grani 23, a bontà di carati 23 e 1/2, uguale in tutto all'unghero d’Alemagna, che chiamavasi Tollero , o Unghero d’oro , avendo per impronta il porto di Livorno, e la solita epigrafe, et patet et favet.
    Dell'istessa bontà e peso fu battuto in più tempi il medesimo unghero d’oro da Cosimo III; ed é da avvertire, come una volta fu coniato con la figura intiera di (Cosimo III vestito come uno spadaccino del medio evo, coperto di corazza con elmo e corona in capo, mentre nel rovescio della moneta in una cartella leggevasi: ad bonitatem aurei ungarici. - Liburni 1674.
    Parimente la Pezza della rosa di oro Con la mezza Pezza fu battuta da Cosimo III simile al
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    conio della Pezza di argento con la data di Livorno, e le parole intorno. gratia obvia, ultio quaesita . La Pezza della rosa d'oro era del peso di danari 5 e grani 21 di oro, alla bontà di carati 21 e 3/4 della valuta di lire 23 moneta fiorentina, prezzo correspettivo di 4 Pezze da otto reali. La mezza Pezza d’oro era ragguagliata nel peso e nel prezzo alla prima.
    Fu asseguato per queste due ultime monete nuove tant’oro per la somma di 2,450,000 lire toscane.
    Anche l’ultimo Granduca della casa Medici fece battere i suoi Tolleri d’argento e le Pezze della rosa, i primi con la veduta del porto, le seconde con lo somma della fortezza e lo stendardo portante il motto Fides, impresa che onora il commercio ed i negozianti i di Livorno.

    LIVORNO SOTTO I TRE PRIMI GRANDUCHI
    DELLA CASA D’AUSTRIA-LORENA

    Allorchè la fortuna portò sul trono della Toscana la dinastia Lorenese (nel luglio del 1737), l’Europa era di corto tornata in pace, iu guisa che il generoso procedere del successore di Gian Gastone seppe conciliarsi ben tosto fra le varie classi dei nuovi sudditi amore, fedeltà e fondata fidanza di una riforma di leggi che fossero per essere più confacenti ai tempi, accompagnate da un’amministrazione meno vessatoria e meno intralciata.
    Il sistema di un equilibrio politico che parve aver riannodato i vincoli fra le principali potenze europee, doveva necessariamente influire sopra il ben essere dei respettivi sudditi; e molto più sopra Livorno, che come porto‑franco attirava Inglesi, Spagnuoli, Francesi, Tedeschi e Olandesi mentre la capitale della Toscana col suo brio, con le sue maraviglie, con le popolate, deliziose campagne, con gli spettacoli di vario genere gli accoglieva, gli divertiva, gli allettava. Quello spirito d’intolleranza mantenutosi durante il lungo regno di Cosimo III contro i non Cattolici, non era più d’impedimento al loro passaggio e dimora in Firenze, e molto meno ad un libero e
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    tranquillo stabilimento dei medesimi in Livorno.
    Ma troppo profonde e ancora vive erano le piaghe lasciate alla Toscana da quel Granduca, per gli esorbitanti tributi da cui erano stati aggravati i sudditi, per le inutili profusioni d’una corte asiatica piena di apparenti divoti e di oziosi poeti, intenti solo a proclamare le storie immaginarie del loro protettore, e a mugnere i di lui preziosi scrigni.
    Troppo complicate erano le leggi, ed i giudici non infrenati da alcun codice; troppo numerosi erano i tribunali, sicché la pubblica amministrazione trovavasi spesso diretta a capriccio degli amministratori, la cui massima principale era quella di favorire il monopolista e d’inceppare ogni mezzo d’industria, ogni sorta di progresso utile alla civile società.
    Arroge a tuttociò i moltissimi sconcerti introdotti, i vituperevoli indizii, i troppi abusi aumentati e tacitamente autorizzati dal Granduca Gian Gastone. Il quale, comecchè operasse in un senso opposto a quello del padre, anzichè variare sistema legislativo e giudiziario, finì col disperdere il ricco ereditato tesoro senza recare alcun giovamento agl’impoveriti sudditi.
    Infiniti erano i vincoli e gli aggravii; da lunga mano languivano le industrie con l’agricoltura e a passo retrogrado camminava il commercio in Livorno. – E siccome i mali che ne derivavano erano radicati sotto il falso aspetto di un supposto pubblico bene, non potevano pertanto essere quelli eliminati e distrutti da una momentanea e repentina riforma.
    A tali cose apportare doveva qualche ritardo l’assenza del nuovo sovrano destinato poco dopo a salire sul trono della casa più angusta di Europa.
    Premesso tuttociò, gioverà avvertire, che fra le principali cure dell’Augusto Granduca Francesco II, a benefizio di Livorno potremo rammentare la facoltà a chiunque fosse (anno 1746) di consegnare e depositare nei magazzini pubblici di quel porto, con lieve diritto di stallaggio, ogni sorta di merce straniera, e di poterla estrarre sopra mare senza alcun dazio, o introdurla dentro terra con tenue diritto di transito, passando per laToscana.
    Può noverarsi fra i
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    benefizj dello stesso Granduca l’editto del 10 ottobre 1748 sulla navigazione marittima toscana; l’introduzione nel granducato di nuove manifatture, l’avanzamento delle già stabilite, la protezione dimostrata verso quei sudditi che si applicavano più di proposito alla mercatura, e le reciproche convenzioni stibilite con le potenze estere, nelle quali il principe preferì sempre all’interesse proprio quello dei suoi sudditi.
    Potrei aggiungere la legge dei 21 novembre 1758 destinata a frenare gli abusi dell’esercizio della professione di mezzano in pregiudizio del commercio di Livorno; quella dei 23 novembre dello stesso anno relativa al subborgo nuovo di S. Jacopo d’Acquaviva già cominciato a fabbricare per concederne con privilegj e favorevoli condizioni il suolo o le abitazioni a quei forestieri che vi si volessero stabilire. Devesi finalmente al Granduca Francesco II la fondazione della pia casa del Refugio per i ragazzi mendicanti, e l’istituzione delle prime scuole pubbliche per le fanciulle che si raccolsero nel 1766 nell’educatorio di S. Giulia, più noto sotto il vocabalo del Paradisino . – V edere l’articolo Comunità di Livorno .
    Nonostante tuttociò il commercio di Livorno era sempre nelle mani dei monopolisti, tutte le RR. regalie venivano amministrate e percette da ricchi appaltatori, la maggior parte della nazione ebrea.
    Quindi è che moltissimi affari si facevano da pochi, i quali tenevano nelle loro mani l’esistenza di una gran parte della popolazione Livornese.
    Era riservato alla gran mente e al magnanimo cuore del Granduca Leopoldo I spingere alla meta e perfezionare un’opera di tanto momento, mercè di un piano economico, di un sistema legislativo, cui servì di principio, di progresso e di fine una più adeguata repartizione di sostanze, di diritti fra i sudditi di tale classi, e una pienamente libera commerciabilità dei beni di qualsiasi specie.
    Allorchè il gran Leopoldo, con una fermezza che costituisce la sua vera gloria, con una sapienza da non lasciarsi vincere dai clamori dei falsi economisti, contemplando le vere cause di tanto
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    cronicismo civile, diede mano alla sublime impresa di efficaci rimedii, a partire dalla graduale eliminazione dei metodi governativi che intisichirono la bella Toscana; allora fu che incominciarono a poco a poco a risorgere la fiducia e il coraggio nei possidenti terrieri, negli artisti e nei negozianti, e che Livorno ebbe motivo di riaversi prima di ogni altro paese col risentire i buoni effetti di tanta virtù.
    Uno pertanto dei maggiori ostacoli finanzieri resultava dal vetusto sistema degli appalti di ogni sorta di regia possessione o regalia; quindi erano di fisico impedimento le anguste malagevoli strade comunitative e provinciali, la moltiplicità dei dazii e delle dogane che per inveterato abuso conservavansi nelle parti interne dello stesso granducato.
    Per giungere al conseguimento di cotesto duplice scopo fu primo pensiero de gran legislatore di concedere ai Toscani libera circolazione per tutte le parti del granducato delle vettovaglie ed altri prodotti indigeni, di poter contrattare e vendere le merci a qualsivoglia prezzo, peso e misura senza alcuna servile dependenza dai magistrati d’arte, da quelli dell’annona o grascia. Fu Leopoldo che pensò a togliere di mezzo la maggior parte degli appalti, come pure a sopprimere molte privative, fra le quali a benefizio delle gente di mare e da contarsi la pesca (16 gennajo 1777). Egli fu che corresse e mitigò il modo di esigere i diritti di porto e di ancoraggio in Livorno (12 giugno 1779); che abolì il privilegio del capitano della bocca di Porto sulle zavorre (8 maggio 1780); che tolse la moltiplicità delle gabelle, delle dogane, passeggerie, o catene intermedie, per cui trovavasi diviso in altrettante frazioni un medesimo stato, un solo dominio, e che davano motivo a infinite vessazioni. Finalmente con la stessa legge abolì alcuni dazj sopra i generi di prima necessità, e alleggerì il tributo di quelli atti a fornire materia di mano d’opera, affinchè fossero essi di eccitamento all’industria dei Toscani.
    Fu lo stesso principe che proscrisse
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    dal foro inveterati abusi, che tolse di mezzo tuttociò che tendeva ad opporsi, o a ritardare il benefico scopo di far godere ai suoi amministrati, pel loro benessere, sicurezza individuale e vita tranquilla. Frutto di tali riforme era la legge del 26 novembre 1783, che aboliva l’esecuzione personale per i debiti Civili, quella che ordinava non potersi interporre l’appello delle cause decise nel tribunale di Livorno fuori che davanti al magistrato consolare di Pisa. Merce di tali misure fu provveduto (17 febbrajo 1769) e posto un riparo ai disordini che allora regnavano nel governo della nazione ebrea di Livorno, togliendo il privilegio ad essa concesso da Cosimo III mercè di quella specie di senato ereditario poco sopra rammemorato, quando gli tolse il diritto di succedere per ordine di primogenitura sino a terza generazione; e volle nei casi di rimpiazzo esonerare il candidato dal tributo di pezze 50 solito pagarsi al R. erario. – Fu pure ad oggetto di preservare lo Stato, per quanto umanamente era permesso, dai pericoli cui poteva esporlo il commercio di Livorno con i paesi soggetti al contagio, che Pietro Leopoldo fece costruire dai fondamenti e aprire nel 1780 il terzo e più vasto Lazzeretto del suo S. nome, per destinarlo alla cura delle persone ed allo spurgo delle mercanzie portate da bastimenti di patente brutta; mentre con le leggi del 30 dic. 1779, dei 15 lug. 1785, e 5 luglio 1787, si prescrivevano regolamenti economici, politici e sanitarii da doversi eseguire in ciascuno dei tre Lazzeretti di quell’emporio. – Finalmente deve Livorno allo stesso principe l’attuale ufizio della posta delle lettere, fabbricato di pianta nel locale della soppressa compagnia de’SS. Cosimo e Damiano.
    Ma appunto cotesta soppressione di popolari compagnie, ordinata ed eseguita fino dal 1785 in tutto il granducato, fu lo specioso pretesto di una insurrezione che suscitò in Livorno la classe piu facinorosa di quella plebe dopo che il gran Leopoldo per la morte di Giuseppe II era stato
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    chiamato a salire sul trono ereditario Austriaco Imperiale.
    Non erano scorse appena due settimane dacché quell’imperante, con editto del 2 marzo 1790, aveva proclamato la conservazione della legge del I agosto 1778 per tener ferma la neutralità della città e porto di Livorno con le potenze belligeranti, quando si suscitarono tumulti dai facchini, detti dalla contrada che abitano Veneziani, ed il gridare all’arme della plebaglia che vi aderì fu mosso dal pretesto di ristabilire le compagnie secolari religiose. – Se fosse possibile eliminare dagl’annali istorici di Livorno il maggio del 1790, io lo farei per tacere di tanti insulti, di tante violenze e di tante rapine, cui mosse il furore popolare contro il principe, contro i magistrati, contro i ministri dell’altare e contro i più ricchi cittadini: furori che più specialmente si diressero a danno degli ebrei, dei greci non uniti, o scismatici, e di chi veniva ai facinorosi segnalato per nen credente a loro modo.
    Sotto questi tristi auspicj di turbata tranquillità in Livorno (cui tennero dietro altre città della Toscana) venne a cuoprire il trono granducale Ferdinando III di sempre gloriosa memoria.
    Mal si credé, per quietare il basso popolo, di tornare a sopprimere la libera commerciabilità dei generi di prima necessità, e, con danno irreparabile delle pubbliche casse, mantenere forni e canove normali ad oggetto di tendere alla plebe il pane venale, il vino e l’olio a un prezzo inferiore al costo reale. Si dovè ristabilire il magistrato della Grasci a per avere meno grascia, e andar a rischio di patir la fame per mancanza di vettovaglie.
    Infatti i vincoli che la legge del 9 ott. 1792 pose alla libera circolazione e contrattazione dei generi frumentarii e di altri prodotti indigeni nell’interno del granducato, riprodussero ben presto il tristo resultato di vedere quasi vuoti i mercati, e più alti i prezzi dei commestibili. Quindi ne conseguì che, dopo avere la comunità provveduto di grani esteri per sfamare la
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    classe più indigente con grave sacrifizio, Ferdinando III con esemplare ritrattazione emanò il motuproprio del 17 agosto 1795, diretto a ristabilire la liberta del trasporto delle vettovaglie da una in altra parte del suo Granducato.
    Ad accrescere l’angustie interne si aggiunsero ben presto quelle politiche insorte dopo la risoluzione francese che preparava ai Toscani ed al loro ben amato sovrano nuove disavventure. Si esigevano dal Granduca condizioni contrarie all'indole pacifica della nazione, contrarie alle franchigie ed alla neutralità del porto e città di Livorno, benchè da lunga mano riconosciute e garantite dalla fede dei trattati.
    Quando però la Toscana fatta superiore agli avvenimenti sembrava riposare in pace in mezzo al rimbombo del cannone; mentre Livorno consideravasi come il porto di salvezza di tutti i legni mercantili delle potenze belligeranti a sommo profitto del commercio, ecco che un disgustoso emergente pose a rischio la sua felicità in guisa che la legge fondamentale della neutralità del porto di Livorno dove più per forza, che per deliberazione del governo restare sospesa (dall’ottobre 1793 al febbrajo 1795), ed impedita alla bandiera della repubblica francese. Era appunto il tempo in cui, trovandosi chiusi ai navigli delle potenze belligeranti gli altri mercati del mar Mediterraneo, Livorno approfittava dell’annichilamento del commercio di quasi tutte le piazze marittime, in guisa che in quel frattempo la città crebbe immensamente di popolazione e di ricchezza e divenne perentoriamente uno dei primi emporii dell’Europa.
    Frattanto crescendo ognora più il pericolo dell’Italia e della Toscana, Ferdinando III, mosso costantemente dal santo principio di procurare per tutte le vie possibili la pace e il benessere dei suoi cari sudditi, pensò di concludere un trattato di amicizia col nuovo reggimento de’Francesii sicchè riconobbe apertamente quello che gia eseguiva con tacita moderazione; ciò facendo nella lusinga di ristabilire quiete e sicurezza al suo popolo e maggiori affari al porto di Livorno.
    Bandissi la pace conclusa tra la Rep. francese e il Granduca (9 febbrajo 1795) e a suon di cannoni fu annunziata
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    in Livorno in cospetto della flotta inglese.“Si rallegrarono grandemente i popoli, (se dobbiamo credere allo storico più eloquente de’nostri tempi) massimamente i Livornesi, e tutti celebrarono la scienza di Ferdinando III, il quale, non lasciatosi trasportare dallo sdegno d’Europa, solo alla fedeltà dei suoi sudditi mirando. aveva loro quieto vivere, abbondanza di traffichi e sicuro stato acquistato ”.
    A proporzione che la fortuna militare sotto la condotta di Bonaparte rendeva la Francia padrona di quasi tutta l’alta Italia, andavano maturandosi i disegni del direttorio esecutivo contro l’innocente Toscana, ma il principal fine del governo francese era quello di cacciare gl’Inglesi da Livorno, di esplorarne e di carpirne le ricche merci che ivi avevano con quelle dei loro alleati. – Non si omise di onestare simili violenze con dare a divedere, che gl’Inglesi tanto potessero in Livorno di non avere il Granduca forza bastante per frenargli, a tal segno ehe il commercio francese vi fosse angariato, e la bandiera repubblicana insultata.
    I fatti e le rgioni addotte non valsero per dimostrare la costante imparzialità del Granduca, comecchè meglio degli altri lo sapesse il direttorio, e lo conoscesse Bonaparte, che a quel tempo era il generale in capo della loro armata in Italia.
    Ordinava intanto quest’ultimo da Bologna (26 giugno 1796) che una divisione dell’esercito repubblicano fosse condotta celeramente dal generale Murat per la strada di Pistoja a sorprendere e impadronirsi di Livorno. – Appena che gl’Inglesi stabiliti in questa piazza ebbero avviso del fatto, lasciata con prestezza la città, trasportarono sulle navi, che a cotal fine tenevano nel molo e nella rada, le migliori proprietà loro. – Entravano i Francesi in Livorno quando appunto i bastimenti mercantili inglesi sotto scorta di alcune fregate salpavano dal suo porto verso la Corsica.
    Poco dopo entrava Bonaparte. Agli applausi, ai teatri gratuiti, alle illuminazioni eseguite non per voglia, ma per ordine e per paura, succedettero ben tosto le ostili confische e le rovinose vendite delle mercanzie austriache, russe, inglesi, napoletane,
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    e portoghesi. Si obbligarono quindi i negozianti di Livorno alla insoffribile e dura condizione, o di svelare le merci altrui, lo che aborrirono, o di pagare cinque milioni di lire per le mercanzie estere, lo che accettarono.
    Si disarmava intanto la cittadinanza di Livorno, che fu la prima fra i Toscani ad offrirsi e ad ottenere da Ferdinando III (22 luglio 1794) il privilegio di formare un corpo di cacciatori volontari, onde mantenere nella città il buon ordine, e prestare nei bisogni opportuno aiuto alla truppa regolare. Si cacciavano dai posti armati e dalle fortezze i soldati del Granduca, e per colmo di prepotenza si arrestava contro ogni buon diritto il governatore del porto e della città.
    Mentre si eseguivano dai Francesi tali opere incomportabili, le flotte inglesi serravano il porto di Livorno od impedivano il commercio in guisa che quella popolazione di fiorente, attiva e libera divenne in breve ora inoperosa, angustiata ed oppressa.
    Ma il genio e l’attività di Bonaprte non perdendo occasione di nuocere a quei potenti nemici dominatori del mare e della sua patria, teneva un piede in Livorno al doppio scopo di chiuderlo ai collegati, e per tentare di costà la conquista della Corsica, dove sapeva che il mal umore contro gl’Inglesi andava ogni dì aumentando. – Frattanto i Corsi fuorusciti concorrevano da ogni parte a Livorno, dove si ordinavano in compagnie, cui si fornivano pezzi di artiglieria, cannonieri e capitani animosi ed alti all’uopo. Era il passaggio di mare assai pericoloso a cagione delle navi britanniche che lo percorrevano, ma tanta fu la destrezza del francese a cui tenne affidato l’incarico di quella traversa, che gli riescì, sul finire di ottobre 1796, malgrado del tempo burrascoso e della sorveglianza inglese, di far partire da Livorno una grossa banda di Corsi comandati dal generale Casalta, e di sbarcarla felicemente in vicinanza del porto di Bastia. – Bentosto ai fuorusciti vennero a congiungersi partigiani in gran numero, e in breve tempo
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    la Corsica sollevata dové abbandonarsi agli assalitori.
    In questo mezzo tempo (9 luglio 1796) una squadra britannica, volendo prevenire l’intenzione dei Francesi, si era presentata davanti a Portoferrajo nell’Isola dell’Elba ad oggetto di obbligare quella garnigione toscana a ricevere presidio inglese. Alla qual cosa si dovette aderire mediante un onorevole capitolazione che accordo di consegnare il paviglione, e l’amministrazione del governo granducale in Portoferrajo, e che prometteva di far ritirare le truppe britanniche, e di rimenere la piazza nelle mani di S. A. R. all’epoca della pace, o quando l’invasione di Livorno e del littorale toscano per parte dei Francesi fosse cessata.
    Ma già l’occupazione istantanea di due piazze forti, tolte da due potenze fra loro nemiche, aveva costretto Ferdinando III a far sentire le sue lagnanze al re d’Inghilterra e al direttorio di Parigi, insistendo sull’ingiustizia fatta, e sulla violata neutralità di quei porti, che tutte le al tre nazioni avevano fino allora rispettata.
    Ciascuno dei due governi sembrò mostrarsi convinto e persuaso in faccia all’Europa dei giusti reclami del Granduca di Toscana, e ciò fino al punto di scambievolmeate convenire, che sarebbe si effettuata l’evacuazione dei Francesi da Livorno nel giorno istesso che l’Inglesi avessero lasciato Portoferrajo.
     Infatti nel 16 aprile del 1797, questi ultimi, dopo avere imbarcato provvisioni e artiglieria, posero alla vela dal porto, trattenendosi però nei paraggi dell’lsola dell’Elba fintanto che non gli giunse sicuro riscontro dell’abbandono di Livorno, che fu effettuato nello stesso giorno dalle truppe francesi.
    Le insidie, le false accuse, le violenze contro la Toscana nelle raccontate cose non si rimasero; con tutto che il popolo fedele suo principe generosamente concorresse a fornire tutto ciò che possibilmente faceva d’uopo per combinare la sicurezza pubblica e riparare alla deficienza del R. erario tempestato da straordinarii sacrifizj. Tuttociò riescì vano, e forse tanto amore, tanta fedeltà fu un rimprovero tacito ai donatori di falsa libertà; sicchè ognuno spaventato dai tristi e numerosi esempj aveva forte motivo da temere che l’opere tremende
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    e le soperchierie politiche non fossero compiute. Si voleva o per un verso o per l’altro sloggiare dalla reggia de’Pitti il fratello dell’Imperatore Francesco; si voleva signoreggiare senza ostacolo sul pacifico popolo toscano; si voleva escludere dalla neutrale città e porto‑franco di Livorno ogni bandiera non francese.
    Non mancarono pretesti al direttorio per adonestare codeste mire, ed uno dei maggiori appigli fu quello di non aver il Granduca saputo impedire lo sbarco di truppe napoletane a Livorno (nov. 1798), comecchè queste ben presto (3 genn. 1799) si rimbarcassero dopo la sconfitta del loro grosso esercito nelle campagne di Roma, e il successivo arrivo a Pistoja di una divisione francese destinata ad assalire la divisione napoletana sotto le mura di Livorno. – Ad accrescere materia di lagnanza aggiungevasi il pretesto di segrete adesioni del Granduca alla coalizione delle potenze armate contro la Francia, e sotto tale aspetto si spiegavano i preparativi guerrieri, con l’armamento delle milizie, che sotto il nome di Bande , l’editto granducale dei 30 nov. 1798 comandò.
    Si andava avvicinando la primavera del 1799; sorgeva l’alba del tristissimo giorno 25 marzo, quando si lesse il tacito daloroso addio dell’ottimo Ferdinando, il quale per colmo di sue virtù, benchè costretto a lasciare gli amati sudditi, chiedeva da questi in ricambio di amore e di gratitudine un rispettoso congegno verso i suoi nemici, che a torme scendevano l’Appenino per contaminare la bella e fino allora placida Toscana.
    Entrava in Firenze una divisione francese il dì 25 di marzo, nel tempo che avvicinatasi alle porte di Livorno una brigata della medesima nazione.
    Tacerò dei cento giorni (dal 25 marzo al 4 luglio 1799), nei quali i Livornesi al pari, se non più degli altri Toscani, furono afflitti da imperiose contribuzioni, da gravosissimi imprestiti, da mentite parole di libertà accompagnate da opere di prepotenza e da oppressiva schiavitù.
    Passerò eziandio sotto silenzio i non meno lacrimevoli 15 mesi che ai cento tristi giorni succederono
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    (dal 5 lugl. 1799 al 14 ott. 1800), cioè, della insurrezione aretina alla ritirata dell’esercito austriaco dalla Toscana; avvegnachè darebbero essi troppo penoso cordoglio a chi volesse scrivere la cronica di quel periodo, dove forse non troverebbe altra materia da registrare se non che insulti popolari, arresti arbitrarii, sentenze tumultuose, spoliazioni d’ogni specie, contribuzioni insopportabili, imprestiti gratuiti forzosi, commercio estero annientato, carestie desolatrici, casse pubbliche sempre aperte e sempre da nuove arpie divorate.
    È altresì vero che durante l’occupazione austriaca il porto di Livorno era divenuto quasi l’unico emporio dei navigli delle varie nazioni, mentre i porti di Genova e di Marsilia erano chiusi dai confederati. Infatti il numero dei bastimenti mercantili, carichi di ogni sorta di produzioni, concorsero in questo tempo a Livorno in quantità molto superiore degli anni precedenti, seppure si eccettuino il 1794 e il 1795. Di questi ricchi carichi non meno di 50 furono sequestrati dai francesi, che da Lucca quasi improvvisi giungevano (ott. 1800) a Livorno, nel tempo che una divisione comandata da Dupont occupava senza ostacolo la capitale della Toscana. In aumento di ciò ben altri danni più gravosi vennero a carico dei commercianti livornesi, sicchè furono essi costretti a somministrare in breve ora un imprestito forzoso di sopra 300,000 lire per liberare dai sequestri le mercanzie presunte nemiche, e gli imbarchi dei bastimenti. Quindi dovette Livorno fornire a titolo di contribuzione di guerra 90.000 sacca di grano. – Ad oggetto di sanare tali larghe ferite di evitare un abisso maggiore e di provvedere per quanto era possibile all’interesse dei creditori, la Comunità di Livorno dovè andare incontro a un altro abisso più pericoloso, quello cioè d’imporre (16 e 17 nov. 1800) un tributo del 2 per cento sulle mercanzie provenienti di sopra mare, che si scaricavano nel porto, o che transitavano per terra dalle città, escluse le sole granaglie.
    Finalmente nel febbrajo del 1801 fu concluso a Luneville un trattato di pace, per quale il granducato di Toscana fu
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    eretto in regno, e dato in appannaggio all’infante di Spagna don Lodovico di Borbone figlio del duca di Parma, nipote e genero di Carlo IV re delle Spagne. – Una delle prime cure di questo nuovo regnante a favore di Livorno può contarsi il motuproprio dei 17 dicembre 1801, mercé cui convertì in Camera la deputazione di commercio, composta di negozianti di diverse nazioni, purchè essi fossero stabiliti da qualche tempo in Livorno: e ridusse all’uno per cento il diritto sulle mercanzie provenienti di sopra mare.
    Nel settembre del 1809, nella rada di Livorno ancorò una numerosa flotta spagnuola, delineata a imbarcare il re e la regina di Etruria per trasportarli a Barcellona, donde poi ritornarono per la stessa traversa in Toscana innanzi che spirasse quell’anno.
    Fu peraltro troppo funesto a’Livornesi e al loro traffico l’anno 1804, mediante la strage di cui fu cagione un bastimento che da Malaga portò quivi il germe contagioso della febbre gialla ; e che assai danneggiò il paese ad onta delle misure prese fra il dì 2 novembre del 1804, e il 19 genn. del 1805, giorno in cui la regina reggente per suo figlio emanò l’ordine dello scioglimento del cordone sanitario, quantunque la guarnigione francese fosse di già ritornata ad occupare le fortificazioni di Livorno.
    Quando si presero i provvedimenti sanitarj erano passati più di due mesi dalla prima comparsa della febbre gialla, restando quasi tutti fra l’incertezza, Terrore e l’inazione; nel qual frattempo, a proporzione che le comunicazioni crescevano, aumentava ed estendevasi il morbo, il quale nel suo colmo uccise fino a 40 e 50 persone in un giorno.
    Ma dacchè l’interna polizia validamente si oppose per combattere e spegnere quel fuoco micidiale, cioè dal 12 novembre 1804, giorno in cui fu aperto lo spedale provvisorio di S. Jacopo, sino al dì 19 del susseguente mese di gennajo, in cui fu levato il cordone sanitario per la terraferma, non vi rimase vittima neppure la terza
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    parte in confronto di quella perita nei due mesi antecedenti: e tutto computando fino dai primi inosservati momenti dello sviluppo del morbo in Livorno e nei suoi subborghi, vale a dire, in una popolazione di sopra 50,000 abitanti, non morirono di contagio più che 1500 persone.
    La storia medica non dimenticò di tramandare alla posterità, che questa malattia esotica per l’Europa fu portota in Livorno per parziale inosservanza delle regole sanitarie, allorchè si volle dal governo Borbonico togliere l’abituale contumacia prescritta alle provenienze di Spagna ove la febbre gialla all’improvviso era scoppiata.
    Dopo lunghe titubanze, e contradizioni dei medici, come sempre avviene in simili casi, spesso fatali a chi pubblica con franco giudizio una funesta verità, fu con formale processo riconosciuto, e dimostrato qual fosse stato il naviglio che importò a Livorno questo contagio; avutane la confessione, morendo, dal capitano stesso che lo comandava.
    Verificossi che da alcuni marinari del malaugurato naviglio, discesi in terra, tal male ebbe principio nei soli punti e nelle sole case dove alloggiarono (in pescheria vecchia e al mulino a vento). Fu provato che alcuni oggetti levati da bordo, e due dei nostri calafati, che entrarono i primi in quel bastimento, portarono il contagio tropico in altre parti della città, dove certamente nascere non poteva neppur l’idea d’insalubrità e di poca nettezza di case, nè sospettare che fossero troppo anguste e poco ventilate, come nella gran piazza di Livorno: prova evidente, dirò col celebre dottor Palloni, checchè manifesti un diverso parere lo storico Botta, che in qualunque parte di una città marittima, sordida o pulita, salubre o insalubre, può svilupparsi la febbre gialla, o altro male contagioso, ove qualche marinaro ammalato, o delle merci contagiate vi siano depositate.
    E se esso incomincia per lo più nelle strade e nelle case prossime al porto, assai ristrette, popolate e meno proprie, ciò si deve all’esser in queste ricoverati i primi marinari sbarcati, ed alla maggior facilità delle loro comunicazioni col
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    mare; giacché senza aver nulla fatto per variare le condizioni a quelle strade infette, la malattia terminò quasi per incanto appena gli infermi furono separati dai sani, isolando i più aggravati nelle loro abitazioni, e trasportando gli altri in uno spedale espressamente situato lungi dall’abitato e in riva al mare: finalmente spurgando le case infette e portando in Lazzeretto tutti gli oggetti e mobilie suscettibili di contagio.
    Dopo tanto flagello, che decimò la popolazione di Livorno, e che quasi annichilò il suo commercio, non vi furono lunghi giorni sereni, avvegnachè era per volgere al suo termine l’anno 1807, quando ripresentavasi nel mondo politico l’ultima scena del giovane morente regno di Etruria da chi con eguale indifferenza creava repubbliche di nome, dispensava troni e scettri apparenti, e quindi appropriavasi vecchie e nuove corone.
    Veniva a prender possesso del regno d’Etruria a nome di Napoleone il generale Reille, rimpiazzato poco dopo da Menou, capo di una giunta straordinaria, che aveva l’incarico di ridurre la Toscana a regime francese, e di farne tre nuovi dipartimenti pel grande Impero. Allora la città di Livorno, a preferenza di Pisa, fu dichiarata capo‑luogo di uno di essi col nome di dipartimento del Mediterraneo. Da indi in poi mairie, giandarmerie, leggi, tribunali, demanio, diritti riuniti, contribuzioni fondiarie, di porte e finestre, personali, patenti ec., tutto fu montato sul piede francese. Lasciavasi ai Toscani fra i pochi privilegi quello onorevole e singolare di potere usare negli atti pubblici della lingua nazionale in concorrenza con la lingua conquistatrice.
    Pertanto la giunta francese non trascurava ogni via per eccitare i Toscani all’industria, e aumentare il loro commercio interno, giacché quello di importazione ed esportazione all’estero nel porto di Livorno era ridotto quasi a nulla. – Si tentò d’introdurre nelle Maremme la coltivazione del cotone; si propagò in Val Tiberina e in altre parti la sementa del guado; si permise a certe condizioni la piantagione del tabacco; furono incoraggiti i proprietarj di armenti a migliorare le
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    lane; solleticaronsi con premii ed emulazioni le mani fatture toscane per estendere il commercio dei berretti di Prato, dei cappelli di paglia di Firenze, degli alabasiri lavorati di Volterra, delle fabbriche di corallo di Livorno. – Fu domandata grazia al sommo imperante, affinchè permettesse le tratte delle sete nostrali di Livorno per mantenere viva in Toscana la fabbricazione dei drappi e la coltivazione dei gelsi.
    Fu contemplata poi dagli adulatori come una distinzione segnalata verso di noi, quando Napoleone, nell’alto di restituire alla Toscana il nome, non l’esistenza politica di granducato, nominò a questa nuova gran dignità dell’Impero la sua sorella Elisa, già principessa di Lucca e di Piombino.
    Per tal guisa la miseria del popolo veniva abbagliata dallo splendore di una elegantissima corte, da ampollosi titoli, da imponenti parate ed esercizj militari.
    Frattanto si avvicinava a gran passi il tempo in cui parve che nulla più resistesse alla volontà dell’uomo straordinario. Solamente gl'Inglesi fra tante potenze abbattute, fra tante battaglie ordinate e vinte, soli essi ricusavano ancora di porgere incensi all’ara dell’altissimo e potentissimo Imperatore; ed i porti dell’Europa napoleonica trovavansi chiusi al suo commercio dai numerosi navigli della Gran Brettagna. In conseguenza di ciò Livorno, dopo essere stato spogliato di merci e di denaro, restò per più anni deserto di bastimenti mercantili e privo di quel traffico, da cui aveva ricevuto tanta vita e prosperità.
    Inebriata la Francia, abbattuta la Germania, doma l’Italia, sembrava strano al vincilore di tanta parte di Europa che il fiero Spagnuolo ed il superbo Inglese gli amareggiassero si gloriosi trionfi.
    Ma già i fati del gran capitano erano giunti al suo opogeo; già la capricciosa fortuna lo rovesciava dall’ altissimo seggio, e ciò all’istante in cui egli meditava dilatare il suo dominio dalle cocenti arenc Gaditane fino al mar Caspio e alle desertiche regioni della Moscova.
    Era segnato nei destini, che nel settentrione dell’Europa perissero le speranze di Napoleone, che colà si cambiassero
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    le sorti del mondo, colà dove il sarmato gelo intirizzì, assiderò, spense in pochi giorni un esercito numerosissimo, il più bel fiore della parte più popolosa più colta e più bella dell’Europa, un esercito capace di vincere gli uomini, non mai di vincere il cielo,
    All’annunzio sussurrato di tanto flagello i popoli da ogni lato insorgevano, i fautori, di stessi amici di Napoleone maravigliati, commossi, intimoriti piegavano i loro animi a salvare le accumulate ricchezze sino al punto di scuoprirsi mal contenti di lui ed anche suoi nemici.
    Di cotal tempra mostrossi il re Gioacchino Murat, quando, vedute le cose di Russia, e poi quelle di Germania andare in fascio, egli si voltò alla corte di Vienna, sperando in tal modo di assicurare con la disgrazia di Napoleone quel real seggio che la buona fortuna di Napoleone avevagli apportato.
    Infine il re Giovacchino, fermati i suoi casi con l’Imperatore Francesco, si obbligò di far operare l'armi napoletane di concerto con quelle imperiali e con le truppe che andavano raccogliendo gl’Inglesi per tempestare l’alta Italia. – Infatti poco innanzi che Murat spingesse le sue genti sino al Taro per misurarsi contro l’esercito del principe Eugenio, compariva alla vista di Livorno una flotta brittannica convogliata da qualche migliajo di soldati, da seducenti proclami, da bandiere esprimenti in parole, indipendenza italiana ; e portanti impresse due mani giunte, con l’idea di annunziare e di far credere nei nuovi conquistatori solida amicizia e sincera fratellanza.
    Ma i Toscani al pari, se non più degli altri Italiani, scotti da ripetuti esempj di simili allettative non si fidarono nè del variabile re Giovacchino, nè del poco generoso lord Bentink.
    Era sul terminare dell’anno 1813 quando un migliajo di truppe collettizie sbarcava alla spiaggia di Viareggio per muovere verso Lucca e Livorno, nel tempo che Bentink, veleggiando con i suoi vascelli da guerra davanti a quel littorale, aspettava che il popolo cooperasse al suo scopo. Non molto dopo, entrarono
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    in Firenze i soldati napoletani, una parte dei quali nel dì 18 di febbrajo 1814 occupò senza ostacolo la città di Livorno, e due giorni dopo ricevè pacificamente la consegna delle fortezze dalla guarnigione francese.
    Comunque andasse, fatto e che per tali malagevoli vie si liberò la Toscana da uu dominio più odiato che dispotico; si liberò Livorno da un blocco troppo lungo e alla sua fortuna rovinoso; si liberò l’Italia, già mente e maestra d’Europa, dallo strazio, dal vilipendio, dal timore di un potente conquistatore che tripartitala fra l’impero gallico, il regno italico ed il siculo, a suo arbitrio, solo per ammaestrarla, per felicitarla, qual inesperta pupilla la dirigeva, la comandava.
    Così la più bella parte della nostra Penisola dopo una varia luttuosa catastrofe di tre lustri, dopo fortunosi eventi non previsti nè da prevedersi dalla politica più recondita, e dalle menti più perspicaci, con maraviglia pari al lungo desiderio si ricompose al pacifico regime del suo benamato Ferdinando; sicché ad un’ostinata sanguinosissima guerra terrestre e marittima succedendo giorni di calma e di serenità, Livorno vide aprirsi davanti ed ampliare latamente gli sbocchi per offrire varie immense e durevoli risorse; al suo commercio.
    Fra le prime misure governative di Ferdinando III, dopo il suo ritorno al trono avito, essenzialissima per i negozianti livornesi fu quella dettata dal Motuproprio dei 13 ottobre 1814, allorchè il tribunale di commercio, stato eretto in Livorno sotto il governo napoleonico, fu rimpiazzato dal magistrato civile e consolare, traslatatovi da Pisa, dove sino dai tempi della repubblica era stabilito.
    Devesi a Ferdinando III l’attivazione del regolamento della camera di commercio di Livorno, ordinata con editto degli 8 aprile 1815; siccome è opera dello stesso Granduca (7 aprile 1818) l’istituzione di due commissarj di polizia in quella piazza, uno per l’interno e l’altro per i popolosi subborghi della città.
    Una prova solenne della premura di quel sovrano nel favorire e proteggere il traffico di Livorno fu quella di esentare nel 1822
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    con apposito motuproprio le merci venute di sopra mare, che si rispedivano per terra all’estero, dal diritto dell’uno per cento. – Frutto della munificenza sua è pure uno dei più eleganti, se non più comodi edifizi i moderni che adornano Livorno, voglio dire la fabbrica marmorea dell’ufizio di sanità che fu alzato sull’ingresso del molo alla bocca del porto.
    Finalmente Livorno da lungo tempo scarseggiante di buone fonti e di acque salubri deve a Ferdinando III l’immenso benefizio di possedere una copiosa quantità di acque perenni (circa 18,000 barili per giorno) che divise in diversi getti fra poco scatoriranno in tutte le piazze, e nei principali quadrivj della città. Avvegnachè, se la città di Livorno fu provveduta nella sua prima fondazione di una sufficiente quantità di acqua per gl’indispensabili usi della vita, mediante le pubbliche cisterne e le sorgenti tartarose di Limone che vengono per i condotti vecchi sino alla città, ora non erano più queste nè quelle bastanti a dissetare una sempre piu numerosa popolazione.
    Furono esaminate le sorgenti migliori e più copiose dei monti livornesi, e fu rappresentato al governo, che le sorgenti di Popogna gettavano a ragione di barili 156 l’ora; e quelle di Colognole nei mesi di maggiore arsura fornivano 400 barili per ora. Col motuproprio del dì 7 novembre 1792 Ferdinando III ordinò la costruzione del nuovo acquedotto di Livorno, affidandone l’esecuzione al R. ingegnere Giuseppe Salvetti; e con altro motuproprio degli 11 nov. 1797 furono date ulteriori disposizioni per la continuazione degli acquedotti di Colognole che camminavano circa 11 miglia, e pei quali erano spesi 200,000 scudi la metà a carico del R. erario e l’altra metà a carico della comunità di Livorno. – Vedere l’Art, Comunità di Livorno.

    LIVORNO SOTTO LEOPOLDO II
    FELICEMENTE REGNANTE

    Eccoci giunti all’epoca più brillante, al momento più fortunato che la citta di Livorno offra alla storia dopo la sua prima
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    fondazione.
    Imperocchè, se fu grande la celerità per la quale molo, darsena, canali navigabili, mura, bastioni, fortezze, chiese, palazzi pubblici, stabilimenti, magazzini, strade, fonti e piazze se tutto ciò quasi per incanto sul finire del secolo XVI dal Granduca Ferdinando I si ordinò e restò vivente lui presso che compito, non recherà ai posteri minor maraviglia quando sapranno la prestezza con la quale Leopoldo II meditò, decretò nuove cose, e come tosto incoraggi migliaja di operaj, intenti a far sorgere intorno a Livorno un nuovo cerchio di mura della periferia di circa quattro miglia, una più comoda e piu grandiosa darsena per i navicelli, ampie piazze, lunghe strade, deliziosi passeggi, porte, ponti, dogane, superbi edilizi sacri e profani, in guisa che bellezza, prontezza e comodità si diedero scambievolmente la mano per far nascere a contatto della vecchia una nuova città.
    Oltre a ciò non è cosa meno degna di essere tramandata alla posterità, che come il Granduca Ferdinando I, mentre fabbricavasi la nascente città, cercò di popolarla coll’ampliare le immunità a favore di chi vi concorreva, all’opposto l’Augusto Leopoldo II, dopo compite tante opere portentose, quella legge stessa ha voluto abolire, affinchè nella sua bella e illustre città marittima non venisse, come a deturparla, gente vagabonda ed immorale. Tanto cangiossi in meglio e progredì col pubblico costume la moderna civiltà!
    Fra le prime benefiche disposizioni da Leopoldo II ordinate a favore dei Livornesi favvi quella di compire la volontà del suo benamato Genitore, allorchè in sgravio del commercio, ed in parte anche dei possessi fondiarii, dichiarò di portare a carico del governo il pagamento del debito creato dalla comunità di Livorno per contribuzioni di guerra sotto il regime francese. Al quale oggetto nei primi giorni del 1845 furono posti all’incanto e respettivamente aggiudicati tanti stabili e canoni, di pertinenza del R. erario, per la somma di lire 270,000, da pagarsi in tante azioni di quei creditori.
    Già la popolazione di Livorno, aumentata di un
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    terzo nel breve periodo di 20 anni, traboccava da ogni parte fuori delle mura di Livorno, ed i subborghi de’Cappuccini e di Acquaviva fabbricati dal Granduca Francesco II, quello amplissimo e popolatissimo del Borgo Reale cresciuto sotto l’immortale Avo del Granduca regnante, erano tutti pieni di popolo e di case, allorchè in mezzo a sì care memorie, davanti alla più elevata, più ridente e più salubre pianura, Leopoldo II decretava, nel 28 nov. 1828, nuove opere edificatorie grandiose e regolari, nuova porta della città, nuovi ponti sui fossi, e tanti altri magnanimi provvedimenti.
    Era già vicina al suo termine la bella strada che innoltrare dovevasi a levante della città per il nascente subborgo della porta nuova di S. Leopoldo , quando si pubblicava l’ordine sovrano dei 30 ottobre 1829 per alienare circa 25,000 braccia quadre di terreno rasente gli antichi spalti del Casone e di S. Cosimo , spettanti al dipartimento delle RR. fabbriche, del valore di 84418 lire toscane.
    Non dirò dell’istantaneo acquisto di tali fondi, non dirò della metamorfosi accaduta in cotesta parte di città fin’allora lasciata al riposo dei morti, o alla cultura degli orti, e che attualmente vedesi convertita in uno dei più ridenti e meglio fabbricati quartieri; dirò bensì che la celerità, con la quale tanti e così vaghi edifizj sono stati innalzati e compiti, fu tale da dovere sorprendere chiunque da quattr’anni non vide, e che ora torni a rivedere Livorno; dirò che tanta operosità e tanta smania di fabbricare, avendo mosso i Livornesi quasi a nuova speculaziane commerciale, fissò sempre più le vigili cure del Principe. Quindi calcolando Egli il bene che doveva produrre al commercio di Livorno in particolare, ed alla Toscana in generale, la magnanima idea di concedere una piena ed assoluta franchigia a tutta la città, con estendere i privilegj di porto‑franco a tanta e si bella parte di Livorno situata fuori delle antiche, e già troppo anguste mura
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    urbane; e convinto, che tale suo provvedimento dovesse efficacemente contribuire ad accrescere con le industrie nazionali il commercio locale, emanò il memorando motuproprio dei 23 luglio 1834, che fu per i Livornesi il fausto annunzio di un’Era novella. Imperocchè con quella legge venivano tolti di mezzo i diritti di stallaggio , quelli dell’uno per cento sulle merci, le tasse dei mezzani, sui caffettieri, locandieri, osti, ec. e fu levato l’onere di servirsi dei pubblici pesatori. del tempo che tutti questi aggravi, questi ostacoli si andavano ad abolire, lo stesso Legislatore annunziava, che ben presto i numerosi abitanti dei subborghi, sino allora contemplati come affatto staccati da quelli della città, avrebbero partecipato delle franchigie di quel porto‑franco, e sarebbero parificati ed amalgamati coi primi, mercé di una più larga circonvallazione, di un nuovo giro di mura che abbracciasse il fabbricato dei tre grandi subborghi della città (dei Cappuccini, del Borgo Reale, e del Casone); e che tutte queste operazioni si sarebbero eseguite a carico del R. erario.
    A ciò si aggiunga l’indennità che il governo s’impegnava di dare ai possidenti dei campi, dei giardini, degli orti, per i quali dovevano attraversare le designate mura, i contigui fossi ed il pomerio della città.
    Da un calcolo approssimativo, fatto allo spirare del 1826, resultò, ( ERRATA: che il valore delle merci importate in detto anno a Livorno, e consegueutemente sottoposte al pagamento dei dazj, che toglievasi dalla legge del 23 luglio 1834, ammontarono a 6,000,000 di pezze da otto reali, pari a 34,500,000 lire toscane), che i dazii sul valore delle merci importate nel 1826 calcolaronsi per circa 9,000,000 di pezze da otto reali, pari a 52,000,000 di lire. Sulla qual somma la dogana avrebbe dovuto percepire per stallaggio e diritto dell’uno per cento , corrispondenti cumulativamente al ( ERRATA: 3) due per cento,
    la somma di L. 1,035,000
    Per diritti dei pesatori L.
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    165,000
    Totale dei diritti condonati L. 1,200,000

    A compensare il R. erario di tanto sacrifizio, veniva dall’altra parte il dazio consumo da pararsi dalla numerosa popolazione di circa 35,000 abitanti dei subborghi che restavano inclusi nel nuovo perimetro della città. ( ERRATA: Aggiungevasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, che la Camera del Commercio si obbligava a pagare per le generose franchigie accordatele; e finalmente l’aumento della tariffa sopra i cereali) Aggiungasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, imposta a loro indicazione al commercio in correspettività delle generose franchigie ad essi accordate; fra le quali era quella che concedeva Porto-franco anche per i cereali esteri da introdurre in Toscana, o che fossero per attraversare il territorio del Granducato.
    Oltre a ciò importava anche riflettere al maggiore incasso doganale che doveva accedere, dopo che per tali provvedimenti restavano precluse molte vie e tolti i mezzi a tanta gente, la quale da lunga mano era abituata a vivere di contrabbando a scapito del R. erario, a grave nocumento degli onesti negozianti, e a somma vergogna della pubblica morale.
    Inoltre avendo S. A. I. e R rivolto le sue cure al miglioramento dei sistemi sanitarj, nel pensiero di mitigar le spese delle quarantene e il tempo delle contumacie, con lo stesso motuproprio del 23 luglio ordinò la redaziene di una nuova tabella per la contumacia delle mercanzie e per rendere proporzionata ai valori correnti delle merci anche la tassa dei diritti di purga da percipersi nei tre diversi Lazzeretti di Livorno, fu comandata nel tempo stesso la compilazione di una tariffa più confacente sopra tali diritti da doversi rinnovare ogni anno.
    Per tante elargità che onoreranno sempre mai la munificenza dell’Augusto Principe e la sapienza del suo governo, per tanta prontezza di numerose ed importantissime disposizioni tendenti tutte ad agevolare le transazioni commerciali, ed a sospingere di bene in meglio la prosperità di Livorno, la Camera di
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    Commercio di questa stessa città volle con atti di beneficenza verso la classe degli indigenti dimostrare il giubbilo che risentiva da si generose concessioni. E però, appena divulgato l’editto del luglio 1834, essa per collegiale determinazione decise di prelevare lire 7oo dai fondi destinati per le spese impreviste, e inoltre si esibì di accettare quelle offerte, che per spontanee sottoscrizioni venissero fatte dai negozianti, per destinarne l’ammontare all’istesso scopo. Tale infatti e tanta fu la spontaneità dei generosi soscrittori, che in meno di sei giorni le somme raccolte a benefìzio dei poveri ammontarono a circa mille scudi.
    Allo studio importantissimo del modo il più opportuno per recingere il nuovo porto‑franco di Livorno, prese parte l'ottimo Principe che ne governa, recandosi più volte in persona a visitare i luoghi, sui quali erano stati segnati i progetti dei di versi perimetri di questa grand’opera, la direzione della quale venne affidata al commendatore Alessandro Manetti direttore del Corpo degl’ingegneri e del bonificamento idraulico delle Maremme.
    Dovevasi alla città lasciare proporzionata ampiezza anche sulla fondata speranza dei futuri incrementi, circondarla con un perimetro regolare, avere il maggior possibile rispetto per le proprietà, mantenere le comunicazioni di terra e d’acqua esistenti fra la campagna e i subborghi, i quali tutti dovevano includersi, tranne il più lontano della città, quello di S. Jacopo d’Acquaviva. – Vedere COMUNITA’ DI LIVORNO, Cerchi diversi della città .
    Era già condotto a termine nel breve periodo di due anni, non ostante le triste vicende frappostesi, il latoro del più ampio perimetro della città e porto-franco di Livorno, allorché Leopoldo II con motuproprio del 7 marzo 1837 dichiarò, che fossero aperte per l’imminente aprile le nuove barriere.
    Mentre da un lato cresceva di edifizj e di spazio Livorno, dall’altro lato si provvedeva ad uno fra i maggiori bisogni della popolazione, alla bonificazione cioè della Paduletta fuori di Porta S. Marco, fomite inesausto di esalazioni perniciose, e aumentavano le opere dei nuovi
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    acquedotti per fornire di fonti tutto l’ampio recinto della città. Già si disse, che sul declinare del secolo XVIII Ferdinando III faceva per mano dal R. ingegnere Salvetti agli acquedotti di Colognole, e di là pure derivano diverse fonti di quelle acque limpidissime e salubri per dissetare Livorno. Dopo molti anni di sospensione fu ripresa la grandiosa opera dal R. ingegnere attuale, cav. Poccianti, ne molto tempo andrà, che ultimati i desiderati lavori, si vedranno fluire tutte le sorgenti di Colognole nel magnifico e sorprendente edifizio del gran Cisternone, onde farne di là una regolare e perenne distribuzione in tutte le parti della città e porto franco.
    Erano inoltre con tanti accrescimenti rimaste insufficienti ai bisogni della popolazione le poche e non molto vaste chiese di Livorno; la onde per provvedere al servizio spirituale, fu dal religioso Principe nel dì 22 giugno del 1836 segnato un motuproprio, col quale venne disposto, affinchè venissero edificate dentro Livorno quattro nuove chiese, compresa la maggiore, attualmente in costruzione a levante della città; e che tutte queste, come quella dei Cappuccini, di S. Benedetto e dei SS. Pietro e Paolo, dovessero erigersi in parrocchie assolute.
    Sono accessorj all’incremento in tal guisa dato all’attuale cerchio di questa città marittima molte altre opere edificatorie, fra le quali la piazza e passeggio di S. Benedetto, e quello più lontano dell’Ardenza. – Entrano, nel numero delle sopraccennate, varie imprese della Comunità, il palazzo del Governatore, le nuove strade fognate, lastricate e illuminate; mentre ai privati appartengono moltissime bene architettate, comode ed eleganti abitazioni, che quasi per incauto da una stagione all’altra si veggono sorgere dai fondamenti, abbellirsi e senza riposo nè scrupolo da distinte classi di persone tosto abitarsi.
    Finalmente l’istituzioni recente della Banca di Sconto (25 gennajo 1837), è divenuta per sua natura la moderatrice dei scontisti, nel tempo che giova moltissimo al maggior disbrigo degli affari commerciali, e all’onore della fede mercantile.

    Movimento della popolazione di LIVORNO dentro
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    le antiche mura a tre epoche diverse, divisa per famiglie, esclusi i forestieri e la popolazione avventizia del Porto.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; eterodossi ed ebrei -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 749.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 1320; femmine 1259; adulti maschi 6005, femmine 6095; coniugati dei due sessi 2880; ecclesiastici 327; eterodossi ed ebrei 10154; totale delle famiglie 4862; totale della popolazione 28040.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 3807; femmine 3935; adulti maschi 6158, femmine 5907; coniugati dei due sessi 9665; ecclesiastici 175; eterodossi ed ebrei 5771; totale delle famiglie 5882; totale della popolazione 35418.

    COMMERCIO DI LIVORNO DOPO L’ABOLIZIONE DEI DAZJ

    Economisti, calcolatori, negozianti, dotti ed eruditi scrissero, predissero, sentenziarono, chi prò, chi contra la fortuna commerciale di Livorno, e certo al dire degli uni e degli altri non mancava materia; cosicchè se da un lato i primi preconizzavano Livorno, in grazia delle larghe franchigie, in virtù della geografica posizione o per effetto delle molte ed importanti cose in poco tempo fatte, destinata a diventare, se non lo è, il primo porto d’Italia; al contrario i secondi, contemplando e protestando di possedere una conoscenza intima della pubblica economia, predicevano dello stesso porto-franco meno lusinghiere speranze.
    Era fra quest’ultimi l’anonimo autore di un elaborato articolo sul commercio di Livorno, stato inserito negli Annali universali di Statistica a Milano nell’ultimo mese dell’anno 1837. (Vol. 54 pag. 350 e segg.)
    Vero e, che quando nascono controversie, sopra circostanze complicate, come quelle chc costituiscono il commercio di una piazza, non servono ragionamenti ipotetici, coi quali non fia difficile poter scendere a conclusioni tanto in favore, come in disfavore del quesito che ognuna delle due parti opinanti và facendosi, quello cioè: Se il commercio di Livorno sia in via di accrescimento o di deperimento? – Quesito difficile a risolversi in modo, se non positivo, almeno persuasivo;
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    poichè chi sostiene la prima opinione si sentirà rinfacciare i tempi passati, e chi produce la seconda non vorrà tener esatto conto della posizione attuale delle cose commerciali di questo nostro emporio.
    Si predicava decadenza al commercio di Livorno sino dal 1758, quando il governo di quel tempo interpellava i negozianti più solidi di varie origini a rispondere conscienziosamente a varj quesiti; fra i quali eravi quello di accennare le cagioni della decadenza del commercio marittimo di Livorno e il modo migliore di ripararvi. Eppure da quell’epoca in poi, ad eccezione dei casi di emergenze fisiche o politiche impreviste, Livorno andò quasi progressivamente prosperando in popolazione, in ricchezza, in attività commerciale.
    Nel 1758 i negozianti livornesi tremavano per le franchigie state concesse ai porti di Nizza, di Civitavecchia, di Napoli e di Ancona; adesso si trema per il deviato commercio di deposito e di commissione, l’unico lucro che dava da vivere a Livorno 80 anni fa. – (Vedere una memoria dei negozianti Olandesi stabiliti in Livorno posta tra i MSS. della biblioteca Marucelliana. A. CCXX. 23 )
    Debbo qui esprimere la mia riconoscenza al sig. Console C. A. Dalgas, che figura fra i negozianti più sperimentati di Livorno, ed al sig. Eduardo Mayer Direttore della Banca di Sconto di detta città, i quali si sono compiaciuti rispondere a vari miei quesiti, e comunicarmi diversi appunti di statistica interessanti sul commercio attuale di quella istessa piazza.
    Diversamente vi fu un tempo rispondeva uno di essi al proposto quesito in cui moltissimi affari si operavano da pochi e con quasi niuna briga. Ogni anno, per esempio, nelle debite stagioni venivano gli ordini dal Nord per i prodotti del Levante, e contemporaneamente arrivavano i carichi dei generi richiesti. I mezzani di mercansie ne facevano la repartizione fra le diverse case esportatrici. I mezzani di caricazione assegnavano ad ognuna il posto sulle navi caricatrici; in guisa che vendita, compra,
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    spedizione, tutto si eseguiva nella santa pace del monopolio. Così andavano allora le faccende; ma quei tempi passarono e non si rividero più.
    Venne altra epoca; la guerra desolava l’Europa, e pochi erano i luoghi privilegiati che fossero rispettati da questo flagello; Livorno era uno di questi, ed ivi affollavano le navi americane con i loro carichi. Le case di commercio in quel ramo di affari poterono contare alla loro consegna in una volta 8, 10, 12 e perfino 15 carichi di generi coloniali, e questi venderli tutti in pochi giorni a due o tre soli speculatori ...... Quei tempi non sono più. – Furono bei momenti per pochi, seguitati peraltro da lunga e crudele copiazione per l’intiera città. Chi potrebbe desiderarne il ritorno?
    Dacchè alle spaventose guerre desolatrici, alle maravigliose battaglie di centomila combattenti alle grandi commozioni politiche sottentrarono giorni più tranquilli, in cui gli studii delle scienze, gli esperimenti dell’industria, i calcoli del commercio poterono riprendere il loro posto, anche Livorno svelò tra le città d’Italia tale movimento materiale, morale, manifatturiero e commerciale da sorprendere non solo l’economista e il calcolatore, ma il filosofo e chiunque altro senta nell’animo il pregio del progresso, sicchè ognuno di essi dovrà alla fine dei conti concludere, che di tutti quei prodigj è stato opera il commercio.
    Non evvi più per dir vero quella regolarità di una volta negli arrivi dei diversi prodotti; saranno anche, se si vuole, più incerti gli affari; le comunicazioni dirette fra le diverse contrade del mondo avranno tolto a Livorno il privilegio di esser piazza di deposito; ed oltre a ciò bisognerà attualmente competere con gli altri porti‑franchi del Mediterraneo e dell’Adriatico; in generale le circostanze saranno, e sono di fatto diverse da quelle di una volta, quando le cose camminavano da sè. Oggi pertanto governo e commercianti debbono stare all’erta per riparare cantamente e solidamente gli argini di un fiume che fattosi gonfio minaccia di deviare dal suo letto per mille
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    canali.
    Non più circostanze fortuite favoriscono i porti di mare; conviene gareggiare con i porti rivali, ed attirare a sè quel maggior traffico possibile, mediante franchigie, mercè delle facilità nelle transazioni, nelle comunicazioni. Non bisogna oggigiorno addormentarsi neppure un’ora per non andare a rischio di svegliarsi miseri il giorno dopo. Ognuno deve aver presente la massima della più ricca casa mercantile della Rep. Senese (la casa Salimbeni), che portava per insegna della sua fortuna questo motto: PER NON DORMIRE. Che se l’attività dell’uomo è quella che adesso vien chiamata a far bella mostra di sè, non vale essa meglio dell’incertezza dei trambusti politici, o dell’apatia dei tempi passati?.... Se ne giudichi dallo stato attuale del commercio di Livorno, nei diversi quadri sinottici che si pongono in calce al presente articolo.
    La posizione geografica di Livorno é senza dubbio fra le più felici e favorcevoli del nostro Mediterraneo, perché essa trovasi la più centrale delle coste italiane, ed anche perché havvi costà tal varietà di generi di esportazione, che molte navi estere, dopo avere scaricato in altri porti, bene spesso vengono a Livorno in zavorra per prendervi mercanzie da portarle in patria. Che se per il passato molti navigli scansavano questa piazza per i carichi d’imporlazione, sul riflesso di non soggiacere ai dazii ed alle vistose spese delle lunghe quarantene, adesso che un provido governo ha tolto i primi e modificato le seconde, è ben ragionevole il supporre, che le navi mercantili siano per approdare, a preferenza di molti altri, nel porto di Livorno, dove troveranno sempre grandi magazzini pubblici da depositarle e sempre pronto il loro carico di ritorno.
    Dato, e concesso per fatto positivo, che il commercio di deposito non si possa mai più riprodurre in Livorno, meno che per impreviste e passeggere cause politiche, in quella grande estensione com’era nei tempi passati, quando infondeva tanta vita e moto a quel mercato; non ne consegue perciò, che il suo traffico debba andare
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    decrescendo nella guisa che si prevedeva dall’aulore dell’articolo poco sopra citato.
    Ammesso anche per vero, che le comuicazioni dirette tra i paesi di produzione e quelli di consumazione vadano sempre più prendendo piede, non per questo un tal fatto potrebbe estendersi al di la dei suoi giusti limiti; dovendosi riflettere, che in molti casi da un simile sistema non si ricaverebbero i vantaggi che al primo aspetto sembrar potessero tali quali si desiderano; avvegnachè non sarebbe difficile dimostrare, che spesse volte ciò risulta a danno degli stessi speculatori.
    Citerò fra i molti un esempio. Dacchè gl’Inglesi vanno direttamente alle Isole ioniche a cercare le uve passoline, essi ne hanno aumentato il prezzo di gran lunga superiore a quello del tempo in cui quegl’isolani mandavano lo stesso prodotto a vendere per loro conto a Trieste, a Livorno e a Marsiglia; mentre ora gl'Inglesi colla veduta di lucrare sulle proprie manifatture per pagare la passolina; ve le spediscono di quelle molto al di la del consumo delle Isole stesse; in guisa che, o ne resta incagliata la vendita, oppure oltre modo avvilito il prezzo.
    La stessa cosa accade quando si voglion mettere in comunicazione diretta i paesi che non hanno prodotti capaci di scambio; perchè se lo stoccafisso, per esempio, della Norvegia, le aringhe dell’Olanda, gli abeti di Moscovia ec. possono essere generi di consumo nella Grecia, non saprei qual prodotto ellenico fosse convenevole per un carico di ritorno al Nord; ed in conseguenza, o bisogna che i navigli che portarono simili merci ripartano dalla Grecia vuoti, oppure che corrano il rischio di perdere sul carico di ritorno più di quello che non guadagnarono sul carico di andata.
    Quindi è che in molti casi trovansi utilissime al commercio certe stazioni di mercato, certi porti di deposito intermedio, onde facilitare le operazioni tra tutti quei paesi che non hanno generi atti ad uno scambio: talchè rendesi moralmente impossibile di poter supplire direttamente con vantaggio ai bisogni di ogni
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    paese.
    Senza dubbio per gli articoli principali e di generale necessità, come sono i commestibili, i generi coloniali, cotoni ec. a lungo andare il commercio diretto dal luogo di produzione a quello di consumo deve riescire più vantaggioso di quello indiretto; ma anche un simil traffico va soggetto a delle eccezioni; e l’americano che imprende a fornire di caffé e zucchero il mercato di Nauplia, o di Atene, spesse volte ne ricaverebbe miglior costrutto se si fermasse a Livorno. Imperocchè, se ai bisogni di quelle parti fosse stato supplito da qualcuno che lo precedè, l’arrivo di un nuovo carico deve produrre tale dopressione in quel mercato da non porsi a confronto con le vicende del mercato di Livorno; nel quale, essendo solito trovarsi un continuo deposito di generi coloniali, l’arrivo di alcuni carichi più o meno non influisce materialmeute sul prezzo della mercanzia che vi si porta.
    Che più dev’entrare sempre nei calcoli del capitano americano che viene con le sue merci nel Mediterraneo, non solo la vendita delle proprie derrate, ma anche la compra di quelle che dovrà riportare nell’Oceano, e bene spesso fisserà, secondo lo stato del mercato, lo scopo principale della sua speculazione. In simili casi egli preferirà molte volte il porto di Livorno a quello di Trieste, nonostante lo sfogo maggiore che offre quest’ultimo. Avvegnachè la posizione geografica di Livorno assicura maggiormente al mercante americano il buon esito della sua impresa, e costà essendo sicuro di trovare tutti i prodotti più utili alla sua imbarcazione, ed una varietà di generi assai superiore a quella di altri scali del Mediterraneo, eviterà un più lungo viaggio sino al fondo dell’Adriatico, sul riflesso che tale ritardo possa dar luogo ad altro competitore di sopplire prima di lui a quei bisogni del paese dove egli aveva divisato di approdare.
    Non credo poi vero, che Livorno sia destinato a procedere da qui avanti, come disse l’autore del citato articolo, unicamente ai bisogni del Granducato, di Lucca,
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    Massa e Carrara, perchè una gran parte della Romagna provvede a Livorno nei suoi bisogni; e di qua si fa un traffico di qualche conseguenza per contrabbando colla Sicilia, con Napoli, col Genovesato, con la Francia con la Spagna, e più ancora con la Sardegna e la Corsica. E comecché gl’Inglesi mediante Malta e le Isole ioniche, gli Austriaci per la via di Trieste e di Venezia, i Francesi con l'emporio di Marsiglia, i Piemontesi col porto di Genova abbino assorbito una grandissima parte del commercio di Levante, dell’Egitto e della Barberia, pure è rimasta ancora una porzione non indifferente ( ERRATA : di questi traffici, alle case commerciali) di questi traffici, specialmente con la Siria, Cipro e l’Egitto, alle case commercianti stabilite in Livorno.
    L’autore dell’articolo piu volte rammentato si appoggia molto sull’ostacolo che presenta la catena dell’Appennino al commercio livornese, a motivo della maggior spesa di trasporto; nè alcuno potra contradirglielo, specialmente quando trattasi di generi voluminosi, pesanti e di poco prezzo; ma per quelli di maggior valore la differenza della condotta si riduce ad un’inezia tale, o da non meritare attenzione, o da doversi contemplare come bilanciata dai vantaggi che offrono la vicinanza dei luoghi e il risparmio del tempo per averla.
    E qui cade in acconcio il fare osservare, ehe in Livorno, oltre i generi che vi s’introducono di sopra mare, si riunisce un deposito di prodotti indigeni assai superiore a quello di Genova, e di altri porti del Mediterraneo, anche senza voler contare l’importazione delle granaglie valutata negli ultimi due anni sopra 30 milioni di lire. – Vedere il Quadro di N.º II.
    In quanto all’arrivo dei principali articoli coloniali, dal 1833 a tutto il 1837, i quali generi importarono il valore approssimativamente calcolato di 38,500,000 lire toscane, indicherò al lettore il Quadro di N.º III.
    Vero è che in Livorno non si posseggono dati
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    officiali per stabilire calcoli precisi di una statistica commerciale, laonde non vi resta altra via da argomentare se non quella per induzione, qualora da questa via si dovessero eccettuare le merci d’importazione, giacchè per queste vi è il dato dei manifesti dei carichi.
    Gioverà per conoscere a un di presso la quantità dei generi di esportazione un calcolo fatto dai tassatori della Camera di commercio; il quale nel 1835, diede per approssimazione la cifra di circa 50 milioni di lire di valuta di mercanzie esportate, e di 70 milioni di lire per quelle introdotte in Terraferma; di modo che l’esportazione sarebbe stata minore circa dell’importazione.
    Si noti che tanto la quantita, come le valute dei generi importati, distribuiti dei sei gruppi della Tavola di N.ºV, vanno naturalmente soggette ad oscillazione per circostanze speciali; comecché aperti ne, ozianti livornesi abbiano osservato, che la diminuzione di un anno venga tosto compensata dall’aumento dell’anno seguente.
    Qual sia lo sfogo di quest’annua quantità di generi portati al mercato di Livorno, si rileva da un breve ragguaglio che qui riportasi per gli articoli principali.

    RAGGUAGLIO SUL COMMERCIO DI LIVORNO

    PRODOTTI IMPORTATI DAL LEVANTE

    I Cotoni sodi dell’Egitto . – Si spediscono nella Svizzera, in Iughilterra, in Francia e nel Belgio.
    Le Lane . – Un terzo dell’importazione si consuma in Toscana, gli altri due terzi passano in Francia, Inghilterra e Piemonte. –
    Le Sete . – Oltre i bisogoi della Toscana se ne fanno delle spedizioni dper Genova, e qualche volta vengono richieste per la Barberia.
    Le Cere . – Gran parte se ne consuma nel Granducato e molta se ne spedisce in Sicilia.
    I Lini . – Si consumano per la maggior parte in Toscana. Le Galle, Gomme, Sena, Zaffrone ec. – S i esportano per l’lnghilterra, per l’Olanda, il Belgio e la Germania.
    L'Oppio
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    . – Si spedisce in Francia, Inghilterra, America ec.

    PRODOTTI IMPORTATI DAL PONENTE
    E DAL NORD

    Coloniali . – Un gran consumo ne fa la Toscana; quantità imponenti vengono spedite nella Romagna non solo per i suoi bisogni, quanto per quelli degli Abruzzi.
    Livorno inoltre supplisce alle richieste del Lucchese, a una parte del Modenese e della Sicilia. Spedizioni Assai rilevanti se ne fanno pure per le Isole Ioniche, per il continente della Grecia, per la Barberia, Soria, Costantinopoli e Odessa.
    Manifatture Inglesi, Svizzere, Francesi ec. – Si può calcolare che (ERRATA: 3/4) circa la metà delle importazioni di questo ricco ramo di mercatura venga rispedito principalmente per l’Egitto, per la Barberia e per la Soria. L’altro quarto si consuma in Toscana e in altre parti dell’Italia.
    Salumi . – Quasi tutta l’imporlazione si consuma nello stesso Granducato, nel Lucchese, e una porzione passa in Sardegna, all’Isole Ioniche ec.
    Metalli, Legnami, Catrame e Pece . – Prelevato il consumo locale e della Toscana, il restante si esporta per la Romagna, Napoli, Sicilia,Egitto e Levante.
    Vacchette di Russia . – Molte consumansi nello Stato, e altre se ne spediscono in Romagna, nel Modenese ec.
    Lini . – Servono per il consumo della Toscana.
    Fin qui degli articoli principali ed esotici all’Italia ed alla Toscana. Ora parlando del ramo di esportazione dei generi greggi e manifatturati indigeni che provengono dalla Toscana, o che si fabbricano in Livorno, limitandoci ai principali, possono ridursi ai qui appresso registrati. ( Vedere il Quadro N.º VI e VIII.)
    Che se oltre al traffico nei sopranominati articoli si voglia aggiungere la somma di molti altri, come vini forestieri, oggetti di mode, perle, gioje, chincaglierie, bigiotterie ec. così pure il ramo bancario in verghe di oro e di argento, o in monete estere ec. ec. noi avremo in essi altrettanti elementi d’industria commerciale
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    per il Porto‑franco di Livorno da rincorare anche i più meticolosi.
    E se a taluno sembrasse travedere parzialità in questa esposizione, ne appelliamo al giudizio degli esteri, fra i quali vorremmo contare il redattore del giornale di Marsiglia, il Semophore , dove sotto la data del 20 gennajo 1838, può leggersi un articolo sul commercio di detta città col Levante, dal quale apparisce: che durante l’ultimo semestre del 1837 della provenienza dal Levante entrarono:

    Nei porti dell’Inghilterra, Bastimenti Numero 388; dei quali un 3/4 delle Isole Ioniche
    Nel porto di Genova, N.º 392
    Nel porto di Livorno, N.º428; dei quali (bastimenti entrati nei porti di Genova e Livorno) 3/4 dal Mar Nero
    Nel porto di Marsilia N.º 350

    ( Va aggiunta l’osservazione del Semophore medesimo : “Marsilia è dunque per questo lato in ultima linea. Ma non si possono negare i progressi rimarchevoli di Trieste, Livorno e Genova che rapidamente crebbero all’ombra delle loro franchigie” - Semophore - ).

    Ciò nonostante a lode della verità dobbiamo convenire, che il porto di Marsiglia a’nostri giorni si è reso il primo mercato del Mediterraneo compresi i mari dipendenti, e che il porto di Livorno nel prospetto comparato del movimento commerciale, stato di recente redatto, dei 15 principali porti del Mediterraneo, Adriatico, Arcipelago, e Mar Nero, viene al certo collocato nel quinto posto: cioè, dopo quelli di Marsiglia, di Trieste, di Costantinopoli e di Genova.
    Mi si domanderà ora: da chi si fa, e nelle mani di chi passa il commercio d’immissione e di estrazione di Livorno? al che risponderò; che quasi tutto il suo commercio, se si eccettuano le manifatture, i grani e poco altro, suol farsi per conto d’amici, cioè per interesse degli esteri.
    Accade peraltro nou di rado, che le case dei ricevitori stabilite in Livorno prendono interesse nelle consegne di America e d’Inghilterra. Vi
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    sono pure dei negozianti di seconda mano che elle volte fanno venire dei generi per loro conto da Trieste, da Marsiglia e da Genova. Ciò ha luogo per esempio in questo momento in cui, mancando di arrivi diretti, si ricevono da Marsiglia Zuccheri, Caffè, Pimenti e Campeggio in gran quantità. In conseguenza di ciò vi é stato nell’Inverno del 1838 molta esportazione di numerario in oro per la Francia, e in francesconi per Genova, appunto per bilanciare il volore di tali importazioni. ( Si aggiunga : E ciò a cagione della crisi americana, per la quale diminuì molto l’esportazione dei Prodotti toscani, mentre dall’altro canto gli arrivi delle granaglie dal Mar Nero, essendo stati assai numerosi, vi fu nell’inverno e nella primavera decorsa molta esportazione).
    Per la statistica degli stabilimenti commerciali esistenti in Livorno nel principio dell’anno corrente 1838, vedasi il Quadro qui appresso segnato di N.º I.
    Dal prospetto del N.ºIV, indicante il numero dei fallimenti accaduti fra le case di commercio di Livorno di prima, seconda e terza classe, a cominciare dal 1822 sino al 1838, si rileva che la media proporziale dei fallimenti non supera, per le case di prima classe, l’1 e 4/5 per anno, il 4 per le case di seconda classe, e il 5 e 8/15 per quelle di terza classe. Nel totale pertanto 1a misura media corrisponderebbe al discretissimo numero di 11 e 1/3 per anno in tutto il commercio di Livorno.

    Buoni effetti del Vapore per le pronte
    comunicazioni commerciali

    Io non parlo dei pericoli e del rischio cui i porti andarono soggetti dopo messa in pratica la corriera velocissima del vapore, poichè Marsiglia, Genova, Napoli e pur troppo il nostro Livorno ne provarono lacrimevoli effetti; dirò solamente, che tutto ciò che accelera e facilita il consorzio commerciale, infondendo nuova vita e maggior vigoria ad ogni sorta d’umana industria, produrrà sempre un buon effetto,
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    siccome lo ha risentito Livorno dal commercio acquatico spinto dal fuoco.
    Per dirne poche fra molte, le sete di Spagna prima dei battelli a vapore difficilmente giungevano a Livorno, adesso per la via di Marsiglia ne arrivano continuamente per alimentare le fabbriche di Toscana, mentre le sete nostrali di qualità più fina e pregiata si spediscono in Inghilterra. – Le manifatture del Nord della Francia, della Prussia Renana e della Svizzera arrivano a Livorno con la massima facilità e sollecitudine. Serva questo solo esempio. Una spedizione di manifatture d’invio dalla Svizzera giunse in Livorno e fu venduto il carico, e rispediti i conti con le rimesse del prodotto al fabbricante dentro il brevissimo periodo di un mese, dal giorno ch’egli ne fece la spedizione suddetta.
    Il vapore per via di mare tiene Livorno in continua relazione con Marsiglia, Genova,Civitavecchia e Napoli; il vapore per via di terra, tracciata che sarà la strada di ferro progettata da Livorno a Firenze, aumenterà senza dubbio il movimento del commercio e delle industrie fra Livorno, Lucca, Pescia, Pistoja, Prato e la Capitale della Toscana, e via facendo altrettanti bracci secondarii, questi agevoleranno e renderanno più economiche e quindi più copiose le comunicazioni con Bologna, con Modena, Parma, la Romagna ec.
    Il passaggio frattanto dei forestieri per Livorno in grazia del vapore marittimo si è accresciuto in guisa che, nel 1836, non meno di 26000 furono quelli che transitarono di costà.
    Il numero delle corse dei battelli a vapore nel 1836 fu di 322, ma nel 1837 per causa del ritornato, sebbene meno micidiale cholèra, vi fu lunga interruzione.
    La Nota Sommaria del Quadro statistico N.ºX, indicante la quantità dei bastimenti arrivati in Livorno da un buon secolo a questa parte, sebbene non qualifichi la loro portata, nè le bandiere sotto le quali veleggiarono, nè tampoco le merci che conducevano, o che venivano a caricare, tuttavia può dare un’idea della frequenza progressiva dei navigli a questo
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    emporio.

    Bastimenti a vela quadra arrivati coi loro carichi in Livorno negli anni 1836 e 1837, esclusi i battelli a vapore

    Inglesi, anno 1836 Nº 156, anno 1837 Nº185
    Francesi, anno 1836 Nº15, anno 1837 Nº 40
    Russi, anno 1836 Nº46, anno 1837 Nº 96
    Svedesi, anno 1836 Nº14, anno 1837 Nº 23
    Danesi, anno 1836 Nº 11, anno 1837 Nº 4
    Americani, anno 1836 Nº 32, anno 1837 Nº 18
    Spagnuoli, anno 1836 Nº 12, anno 1837 Nº 13        
    Jonici, anno 1836 Nº 11, anno 1837 Nº 22
    Ellenici, anno 1836 Nº 55, anno 1837 Nº 104
    Austriaci, anno 1836 Nº 55, anno 1837 Nº 139
    Napoletani, anno 1836 Nº 98, anno 1837 Nº 80
    Sardi, anno 1836 Nº 191, anno 1837 Nº 184
    Toscani, anno 1836 Nº 114, anno 1837 Nº140
    Belgi,Olandesi, Anoveresi, Prussiani, Ottomanni e Romani, anno 1836 Nº 23, anno 1837 Nº 27
    Totale anno 1836 Nº  831
    Totale anno 1837 Nº 1075

    Alle quali due cifre qualora si aggiungono quelle dei bastimenti di vela latina, i vapori ed altri navigli che fanno il cabotaggio, noi avremo per l’anno 1836 un totale di 5503, e per l’anno 1837 di 5897 arrivi.
    Fra i 1075 bastimenti di varie nazioni che dopo lunghi viaggi, approdarono nel 1837 a Livorno, quelli toscani figurano per N.º140. –
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    La bandiera toscana frattanto intraprende precipuamente i viaggi d’Alessandria, di Barberia e di Soria. Pochissimi passano nel Mar Nero, poichè di 351 arrivi in detto anno da quelle parti, Livorno ne conta solamente undici toscani. Troppo poco per un commercio cotanto utile per la Marina!
    Mancava a questa piazza per il maggiore disbrigo degli affari una Banca di Sconto, e questa fu aperta ed istantaneamente coperta di azionisti, emanata la notificazione dei 25 gennajo 1837, che approvò la Società anonima e gli statuti proposti per sì buona istituzione. La Banca di Sconto di Livorno ha un capitale di due milioni effettivi, con la facoltà di potere emettere fino a sei milioni di lire in cedole.
    L'interesse del denaro in Livorno, presa la rata media, si può stabilire al 5 per cento l’anno. Se desso è maggiore di quello che praticasi in altre piazze ciò dipende dalla specialità delle circostanze che determinano il prezzo del denaro più o meno caro.
    Infatti dal Prospetto delle società mercantili e delle case di commercio, che può vedersi nel quadro qui appresso N.º I, non apparisce che vi sia in Livorno sovrabbondanza di numerario proporzionatamente alle operazioni che vi si fanno. ma vi supplisce una grande attività, e la somma diligenza nelle transazioni.
    La regolarità in generale di queste operazioni è tale che Livorno a buon diritto passa per una delle piazze più solide ed è appunto una siffatta attività quella che mantiene l’interesse dentro il suddetto limite. La Banca di Sconto, il di cui studio fu di seguitare l’andamento della piazza medesima, ha finora regolato i suoi sconti nel modo seguente:

    Fino al 3 sett. 1837; 5 per % massimo
    Dal 4 sett. al 29 ottobre; 4 e 1/2 per %
    Dal 30 ott. al 1 febb. 1838; 4 per %
    Dal 19 febb. al 1 marzo detto; 4 e 1/2 per %
    Dal 2 marzo in poi fu
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    rimesso al 5 per %

    Dal fin qui detto, dai confronti fatti, dalle cifre officiali riportate, dalle molte industrie, arti e mestieri specificati nel Prospetto qui appresso di Nº. IX, dai pro'vvedimenti governativi recentemente emanati, sarà facile argomentare e definire, se il commercio di Livorno sia nella decadenza, oppure nella via del rialzamento.

     N° I QUADRO STATISTICO degli STABILIMENTI COMMERCIALI DI LIVORNO desunto da Note ufficiali dell’anno 1838.

    1. Genere di Stabilimenti e Negozii:
    ( ERRATA : Case di Commercio di prima classe) Case di Commercio e fra queste Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a -
    Specie e Quantità: Israelitiche N° 100, Nazionali N° 95, Inglesi N° 25, Greche N° 23, Tedesche, Svizzere e di altre Nazioni N° 50
    ( ERRATA: Numero complessivo: N° 293) : in tutto N° 293)
    Quantità dei Capitali rispettivi: ( ERRATA: da mezzo) da 50,000 sino a tre milioni di Lire toscane circa per casa
    ( ERRATA: 2. Genere di Stabilimenti e Negozii: Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a - )
    Specie e Quantità: Collettive N° 40, Accomandite N° 40, (ERRATA: Anonime, tra le quali) Anonime N° 5, tra le quali la Banca di Sconto
    ( ERRATA: Numero complessivo: N° 85)
    Quantità dei Capitali rispettivi: Capitale incalcolabile (per le Collettive), Capitale incalcolabile (per le Accomandite), 2,000,000 in effetttivo (N.B. Questa cifra riferisce unicamente alla banca di Sconto) e 6,000,000 in cedole (per le Anonime)
    Osservazioni: - a - Nel 1835 in Livorno contavansi 44 scontisti con un capitale effettivo di 12,000,0000 di lire toscane. ( ERRATA: La Banca di Sconto) Lo sconto era molto variabile, la Banca però recentemente
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    stabilita, mercè la quale il massimo sconto valutasi al 5 per % è divenuta di sua natura la moderatrice sotto questo importantissimo rapporto commerciale.

    3. Genere di Stabilimenti e Negozii: Commercianti in dettaglio, Bottegai e Fabbricanti
    Specie e Quantità: Nazionali N° 450, Israeliti N° 110, Forestieri N° 71
    Numero complessivo: N° 631
    Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale

    4. Genere di Stabilimenti e Negozii: Mezzani maggiori
    Specie e Quantità: Nazionali N° 230, Israeliti N° 115
    Numero complessivo: N° 345
    Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale

    5. Genere di Stabilimenti e Negozii: Osti, Caffettieri
    Numero complessivo: N° 269
    Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale

    Totale dei tassati N° 1538

    Piccoli Commercianti, Mezzani minori ed altre industrie non tassate dalla Camera di Commercio ( b ) N° 226
    Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale
    Osservazioni: ( b ) Le sole cinque classi segnate sopra con i numeri da 1 a 5 sono tassate dalla Camera di Commercio.

    TOTALE   N° 1800

    N° II QUADRO STATISTICO dell’IMPORTAZIONE dei CEREALI arrivati a LIVORNO negli anni 1836 e 1837, e loro medio valore.

    - qualità dei cereali:
    Grano
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1836: N° 929,372
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1837: N° 1,867,169

    - qualità dei cereali: Orzo
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1836: N° 151
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1837: N° 32,290

    - qualità dei cereali: Fave
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1836: N° 36,693
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    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1837: N° 35,902

    - qualità dei cereali: Vettovaglie diverse
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1836: N° 81,452
    quantità respettiva della Sacca nell’anno 1837: N° 171,456

    - Totalità della Sacca nell’anno 1836: N°1,047,668
    - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L. 10,476,680

    - Totalità della Sacca nell’anno 1837: N°2,106,817
    - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L. 21,068,170

    - TOTALE Sacca nell’anno 1836: N° 1,047,668
    - TOTALE Sacca nell’anno 1837: N° 2,106,817
    - TATALITA’ della Sacca : N° 3,154,485
    - TOTALE Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L. 31,544,850

    N° III QUADRO STATISTICO dei PRINCIPALI ARTICOLI COLONIALI importati a LIVORNO dall’anno 1833 a tutto il 1837, e loro valore approssimativo.

    Qualità precipue dei Generi coloniali e dei loro recipienti
    e Arrivi o Importazioni ( con quantità rispettiva dei recipienti )

    ZUCCHERI
    Casse: nel 1833 n° 2,650; nel 1834 n° 8,140; nel 1835 n° 4,770; nel 1836 n° 10,660; nel 1837 n° 5,700
    Cassoni: nel 1833 n° 450; nel 1834 n° 620; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 250; nel 1837 n° -
    Mezzi cassoni: nel 1833 n° -; nel 1834 n° 100; nel 1835 n° -; nel 1836 n° -; nel 1837 n° -
    Botti, barili e sacca: nel 1833 n° 5,550; nel 1834 n° 4,800; nel 1835 n° 5,300; nel 1836 n° 23,930; nel 1837 n° 14,670

    CAFFÈ
    Sacca: nel 1833 n° 12,500; nel 1834 n° 16,400; nel 1835 n° 1,400; nel 1836 n° 19,300; nel 1837 n° 16,750
    Botti: nel 1833 n° 30; nel 1834 n° 250; nel 1835 n° 260; nel 1836
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    n° 40; nel 1837 n° 240
    Barili: nel 1833 n° 85; nel 1834 n° 260; nel 1835 n° 550; nel 1836 n° 560; nel 1837 n° 550
    Fardi: nel 1833 n° 200; nel 1834 n° 720; nel 1835 n° 110; nel 1836 n° 190; nel 1837 n° 150

    CACAO
    Sacca: nel 1833 n° 1,700; nel 1834 n° 3,080; nel 1835 n° 3,250; nel 1836 n° 3,450; nel 1837 n° 1,800

    PEPE
    Sacca: nel 1833 n° 2,200; nel 1834 n° 7,050; nel 1835 n° 920; nel 1836 n° 6,300, nel 1837 n° 6,600
    Sciolto in libbre: nel 1833 n° 1,800,000; nel 1834 n° 1,600,000; nel 1835 n° 1,200,000; nel 1836 n° 1,100,000; nel 1837 n° 1,000,000

    PIMENTI
    Sacca: nel 1833 n° 860; nel 1834 n° 300; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 1,680, nel 1837 n° 1,600

    Valore totale approssimativo in Lire toscane: nel 1833 L. 5,600,000; nel 1834 L. 8,100,000; nel 1835 L. 6,200,000; nel 1836 L. 9,800,000, nel 1837 L. 8,600,000
    N° IV PROSPETTO dei FALLIMENTI o SOSPENSIONI di Case di Commercio nella Piazza di LIVORNO dall’anno 1822 a tutto il 1837.

    - Anno
    1822: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 2; totale n° 8
    - Anno 1823: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° -; totale n° 2
    - Anno 1824: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° -; totale n° 5
    - Anno 1825: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° -; totale n° -
    - Anno 1826: case di 1a classe n° 1; case di 2a
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    classe n° 3; case di 3a classe n° 2; totale n° 6
    - Anno 1827: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° 2; totale n° 3
    - Anno 1828: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5; totale n° 11
    - Anno 1829: case di 1a classe n° 6; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 21; totale n° 33
    - Anno 1830: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° 5; totale n° 6
    - Anno 1831: case di 1a classe n° 5; case di 2a classe n° 10; case di 3a classe n° 5; totale n° 20
    - Anno 1832: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 12; totale n° 18
    - Anno 1833: case di 1a classe n° 4; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 3; totale n° 10
    - Anno 1834: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 2; case di 3a classe n° 7; totale n° 9
    - Anno 1835: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 3; totale n° 9
    - Anno 1836: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 5; totale n° 8
    - Anno 1835: case di 1a classe n° 3; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 10; totale n° 18
    -
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    TOTALE
    : case di 1a classe n° 27; case di 2a classe n° 60; case di 3a classe n° 83; totale n° 170
    - Media annua : case di 1a classe n° 1 e 4/5; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5 e 8/15; totale n° 11 e 1/3

    OSSERVAZIONI: Prova positiva della solidità del commercio di Livorno è il piccol numero de’fallimenti. Inoltre molti di questi furono piuttosto sospensioni di pagamenti, qualora non siano provocati da straordinaria calamità. E poi un fatto che onora la Fede mercantile dei Livornesi quello di aver dato un regolare sfogo nell’anno calamitoso del 1835 a tutte le transazioni in corso. Nessuna proroga per i pagamenti delle cambiali, o pagherò di Piazza fu necessaria, come si dovè praticare altrove. Soltanto in linea di precauzione le operazioni delle stanze dei pagamenti furono trasferite con metamorfosi singolare nella sala del nuovo teatro Carlo Lodovico.

    N° V QUADRO STATISTICO approssimativo del Valore medio annuo del Commercio di LIVORNO.

    Qualità delle Merci che annualmente arrivano distribuito in sei gruppi e Valore in Lire toscane delle Mercanzie annualmente importate

    1. Generi coloniali: valore minimo Lire 8,000,000; valore massimo Lire 11,000,000; valore medio Lire 9,500,000
    2. Salumi, Prodotti del Nord e Metalli: valore minimo Lire 5,500,000; valore massimo Lire 8,000,000; valore medio Lire 6,750,000
    3. Manifatture Francesi, Inglesi, Svizzere, Tedesche, ec.: valore minimo Lire 20,500,000; valore massimo Lire 25,500,000; valore medio Lire 23,000,000
    4. Cereali: valore minimo Lire 10,000,000; valore massimo Lire 20,000,000; valore medio Lire 15,000,000
    5. Prodotti del Levante: valore minimo Lire 6,000,000; valore massimo Lire 7,000,000; valore medio Lire 6,500,000
    7. Prodotti della Toscana e d’altri stati d’Italia: valore minimo Lire 33,000,000; valore massimo Lire 37,000,000; valore medio Lire 35,000,000

    Valore degli articoli di diretta esportazione, in Lire toscane : 20,000,000
    Valore degli articoli che restano
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    per importazione, in Lire toscane
    : 75,750,000

    TOTALE : valore minimo Lire toscane 83,000,000; valore massimo Lire toscane 108,500,000; valore medio Lire toscane 95,750,000
    TOTALE Valore degli articoli di diretta esportazione , Lire toscane: 20,000,000
    TOTALE Valore degli articoli che restano per importazione (*), Lire toscane: 75,750,000

    N. B. Gli articoli segnati con l’asterisco (*) , venduti per estrazione, ne raddoppiano il movimento, in guisa che Lire 75,750,000 possono crescere nel commercio annuo sino a Lire 151,500,000. – Si avverta ( ERRATA: che questo valore di Lire 151,500,000 ) che il valore delle importazioni e delle esportazioni non comprende il movimento delle verghe e delle monete d’oro e d’argento che montano a più milioni, mentre dal solo Levante arrivano di tempo in tempo dei gruppi di Lire 400,000 per volta.

    N° VI QUADRO dei PRODOTTI LIVORNESI che si esportano all’Estero.

    1. qualità dei prodotti : Cuoja conce; luoghi principali dove si esportano : molto ricercate in Levante
    2. qualità dei prodotti : Cremor di tartaro; luoghi principali dove si esportano : per Inghilterra e Nord d’Europa
    3. qualità dei prodotti : Saponi e Candele di sego; luoghi principali dove si esportano : per America principalmente
    4. qualità dei prodotti : Cordaggi; luoghi principali dove si esportano : per Egitto
    5. qualità dei prodotti : Coralli lavorati; luoghi principali dove si esportano : per Inghilterra, Prussica, Russia, Indie, ec.
    6. qualità dei prodotti : Polvere da botta; luoghi principali dove si esportano : per il Levante, l’Egitto, la Grecia e altrove
    7. qualità dei prodotti : Paste da minestra, Giulebbi, Rosolj, Biacca, Mobili, Pettini, Cristalli, ec.; luoghi principali dove si esportano : per
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    il Levante, l’Egitto, la Grecia e altrove

    OSSERVAZIONI: Questa gran varietà di articoli è uno dei precipui vanti di Livorno, e vi richiama annualmente un commercio attivissimo. Per esempio, le 5 fabbriche dei Coralli lavorati somministrano settimanalmente il traffico a 250 persone con una spesa di circa Lire 9500. _ La vendita dei coralli lavorati che da Livorno si esportano all’Estero, può approssimativamente valutarsi 2000,000 di Lire per anno.

    N° VII QUADRO STATISTICO delle FABBRICHE MANIFATTURIERE esistenti in LIVORNO nell’anno 1838.

    Numero e qualità delle manifatture.

    Fabbriche del Corallo lavorato n° 5
    Fabbriche del Sal Borace n° 1
    Fabbriche di Paste n° 8
    Fabbriche di Liquori e Rosolj n° 10
    Fabbriche di Sapone sodo n° 4
    Fabbriche di Cera n° 3
    Fabbriche di Caratteri da stampa n° 2
    Fabbriche di Fonderie di rame e bronzo n° 2
    Fabbriche di Cappelli di Paglia n° 2
    Fabbriche di Candele di sego n° 4
    Fabbriche di Birra n° 2
    Fabbriche di Amido n° 2
    Fabbriche di Berretti ad uso di Levante n° 2
    Fabbriche di Biacca n° 2
    Fabbriche di Cremor di tartaro n° 1
    Fabbriche di Munizioni da caccia n° 5
    Fabbriche di Scagliola n° 1
    Fabbriche di Carta colorata n° 1
    Fabbriche di Cartoni e Carta straccia n° 1
    Fabbriche di Tappi di sughero n° 1
    Fabbriche di Vetri n° 2
    Fabbriche di Lastre di cristallo n° 1
    Fabbriche di Conce di cuojo e pelli n° 8
    Fabbriche di Cordami n° 9
    Fabbriche di Chiodi n° 5
    Fabbriche di Tele da vele n° 6
    Fabbriche di Polvere da botta n° 4
    Fabbriche di Pettini d’avorio n° 2
    Fabbriche di Lavori di cotone a maglia n° 1
    Fabbriche di Raffinerie da olio n° 4

    Vi sono inoltre

    Mulino a vapore che manda 14 macine fuori della Porta
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    S. Marco n° 1
    Mulini a vento nelle adiacenze di Livorno n° 3
    Bagni pubblici n° 8
    Alberghi principali n° 10
    Teatri n° 2

    N° VIII QUADRO dei principali PRODOTTI GREGGI e MANIFATTURATI TOSCANI che si esportano all’Estero per la via di Mare.

    1. qualità dei prodotti : Olij fini, Salumi nostr. e lardoni; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra, Francia, America, Germania, Danimarca e Russia
    2. qualità dei prodotti : Sete grezze; luoghi dove si esportano : per Inghilterra
    3. qualità dei prodotti : Seterie di Firenze; luoghi dove si esportano : per l’America e l’Egitto
    4. qualità dei prodotti : Cappelli di Paglia; luoghi dove si esportano : per la Svezia, Norvegia e Russia
    5. qualità dei prodotti : Paglia per detti; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra, Francia e America
    6. qualità dei prodotti : Potassa; luoghi dove si esportano : per la Francia, Olanda e Piemonte
    7. qualità dei prodotti : Scorza di sughero; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra e l’Irlanda
    8. qualità dei prodotti : Acido borico e Borace raffinato; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra, Francia, Belgio e Olanda
    9. qualità dei prodotti : Marmi, Alabastri e Zolfo; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra, America, Egitto, Francia, Belgio e Russia
    10. qualità dei prodotti : Tartari; luoghi dove si esportano : per l’Inghilterra e Nord d’Europa
    11. qualità dei prodotti : Sego, Lana e Canapa; luoghi dove si esportano : per Francia e Inghilterra
    12. qualità dei prodotti : Carta da scrivere; luoghi dove si esportano : per il Levante, Egitto, Grecia e America
    13. qualità dei prodotti : Berretti rossi
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    di lana; luoghi dove si esportano : per il Levante, Egitto, Grecia, Turchia, ec.
    14. qualità dei prodotti : Stracci lini; luoghi dove si esportano : per Inghilterra e America
    15. qualità dei prodotti : Coccole di Ginepro e Giaggiolo; luoghi dove si esportano : per America, Inghilterra e Olanda
    16. qualità dei prodotti : Dogarelle; luoghi dove si esportano : per Francia e Spagna
    17. qualità dei prodotti : Pelli agnelline; luoghi dove si esportano : per Francia, Inghilterra e Svizzera
    18. qualità dei prodotti : Legname da costruzione; luoghi dove si esportano : per Inghilterra, Egitto, ec.
    19. qualità dei prodotti : Carbone; luoghi dove si esportano : per Genova, Malta, ec
    20. qualità dei prodotti : Ferro lavorato; luoghi dove si esportano : specialmente in lastre, per l’Egitto

    N° IX QUADRO STATISTICO approssimativo degl’INDIVIDUI occupati nel COMMERCIO e nella MARINA DI LIVORNO.

    1. Classe degl’Impieghi : Case di Commercio tassate in n° di 293 come dal quadro n°I
    qualità degli Impiegati : Soci e commessi per ogni Casa
    n° degli Impiegati : 1465
    Onorarj o Salarj rispettivi : per i commessi da Lire 100 a Lire 250 al mese
    2. Classe degl’Impieghi : ( ERRATA: Negozianti) Commercianti e Fabbricanti tassati in n°di 631 come sopra
    qualità degli Impiegati : Tre individui per ogni Casa di negozio
    n° degli Impiegati : 1893
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 80 alle 150 al mese
    3. Classe degl’Impieghi : Mezzani tassati in n°di 345 come sopra
    qualità degli Impiegati : Un individuo aiuto a ciascun Mezzano
    n° degli Impiegati : 690
    Onorarj o Salarj rispettivi
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    : da Lire 100 alle 200 al mese
    4. Classe degl’Impieghi : Caffettieri, Osti, ec. tassati in n°di 269 come sopra
    qualità degli Impiegati : Tre individui per Taverna
    n° degli Impiegati : 807
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 60 alle 120 al mese
    5. Classe degl’Impieghi : Negozianti subalterni delle tre ultime categorie non tassati
    qualità degli Impiegati : Un solo individuo per negozio
    n° degli Impiegati : 260
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 60 alle 120 al mese
    6. Classe degl’Impieghi : Cassieri delle Stanze dei pagamenti
    qualità degli Impiegati : Cassieri e loro aiuti
    n° degli Impiegati : 60
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 80 alle 150 al mese
    7. Classe degl’Impieghi : Navicellai
    qualità degli Impiegati : Compresi gli addetti ai navicelli
    n° degli Impiegati : 200
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 alle 3 per giorno
    8. Classe degl’Impieghi : Custodi dei grani
    qualità degli Impiegati : Compresi i facchini addetti
    n° degli Impiegati : 150
    Onorarj o Salarj rispettivi : a Lire 2.13.4 per giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Compagnia di Facchini Bergamaschi di Dogana
    qualità degli Impiegati : Individui determinati dalla legge
    n° degli Impiegati : 50
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro indeterminato
    9. Classe degl’Impieghi : Facchini di banco
    qualità degli Impiegati : Impiegati ai banchi e ai magazzini dei Negozianti
    n° degli Impiegati : 368
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2.13.4 alle Lire 5 il giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Caravana de’Facchini a manovella
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli
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    Impiegati
    : 160
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Caravana de’Saccajoli
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 180
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Caravana de’Baccalaraj
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 60
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Caravana de’Carbonaj
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 300
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    9. Classe degl’Impieghi : Facchini per trasporti de’legnami
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 43
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    10. Classe degl’Impieghi : Imballatori
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 54
    Onorarj o Salarj rispettivi : a Lire 4 per giorno
    11. Classe degl’Impieghi : Bottaj
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 40
    Onorarj o Salarj rispettivi : a Lire 3.6.8 per giorno
    12. Classe degl’Impieghi : Stivatori di bastimenti
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 66
    Onorarj o Salarj rispettivi : a Lire 4 per giorno
    13. Classe degl’Impieghi : Maestri d’ascia
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 110
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 4 a Lire 5 al giorno
    14. Classe degl’Impieghi
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    : Costruttori di bastimenti
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 7
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro indefinito
    15. Classe degl’Impieghi : Costruttori detti per restauramenti
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 6
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro indefinito
    16. Classe degl’Impieghi : Calafattari e Tintori di bastimenti
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 66
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 4 a Lire 5 al giorno
    17. Classe degl’Impieghi : Legnajoli, Intagliatori e Torniaj
    qualità degli Impiegati : Maestri e aiuti
    n° degli Impiegati : 23
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2.13.4 a Lire 4 per giorno
    18. Classe degl’Impieghi : Lavoranti delle 5 fabbriche di chiodi
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 40
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 3 a Lire 4 per giorno
    19. Classe degl’Impieghi : Lavoranti in 5 officine di fabbri
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 32
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 3 a Lire 4 per giorno
    20. Classe degl’Impieghi : Lavoranti in 5 fabbriche di Coralli
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 80
    Onorarj o Salarj rispettivi : a Lire 3.6.8 per giorno
    21. Classe degl’Impieghi : Lavoranti in 2 fonderie di rame e bronzo e in 2 di caratteri
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 12
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2.6.8 a Lire 3.6.8 per giorno
    22.
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    Classe degl’Impieghi : Lavoranti in 9 fabbriche di cordami
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 110
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3 per giorno
    23. Classe degl’Impieghi : Lavoranti in 6 botteghe di velai
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 20
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3 per giorno
    24. Classe degl’Impieghi : Venditori di attrazzi per bastimenti
    qualità degli Impiegati : Compresi i Maestri
    n° degli Impiegati : 24
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro incerto
    25. Classe degl’Impieghi : Spenditori, Bottaj ed altri mestieranti
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 32
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno
    26. Classe degl’Impieghi : Zavorranti e Veneziani per portare ajuto ai bastimenti
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 100
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro incerto
    27. Classe degl’Impieghi : Barchettajoli
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 100
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro incerto
    28. Classe degl’Impieghi : Baroccianti
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 200
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro incerto
    28. Classe degl’Impieghi : Guardie di Sanità
    qualità degli Impiegati : -
    n° degli Impiegati : 200
    Onorarj o Salarj rispettivi : Lucro incerto

    TOTALE degl’Impiegati: N° 8008

    30. Popolazione avventizia del Porto di Livorno: N° 3000

    TOTALE degli Uomini:
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    11008

    DONNE LAVORANTI IMPIEGATE

    1. Alla scelta de’Cenci, Gomme, Sena, Giaggiolo, Tartaro, ec. N° 460
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno
    2. Lavoranti alle 5 fabbriche di Coralli ( ERRATA: N° 170) N° 450  più uomini N° 250
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno
    3. Per cucire le vele ed altro alla Marina N° 75
    Onorarj o Salarj rispettivi : da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno

    TOTALE delle Donne N° 705

    N. B. Se al N° degli 11008 che resulta dalla somma degl’Individui occupati nel Commercio di Livorno si accorda una metà almeno di capi di famiglia, avremo con l’aumento di soli tre Individui per ogni padre di famiglia circa 27500 persone, che ricevono la sussistenza direttamente dal Commercio e dalla Marina di Livorno.

    N° X NOTA SOMMARIA dei BASTIMENTI a VELA QUADRA e LATINA entrati nel Porto di Livorno dall’anno 1766 a tutto il 1837, non compresi i Battelli a Vapore.

    Negli ultimi 34 anni del secolo XVIII

    - anno dell’arrivo:
    1766
    n° bastimenti a vela quadra:
    173
    n° bastimenti a vela latina:
    472
    - anno dell’arrivo:
    1767
    n° bastimenti a vela quadra:
    462
    n° bastimenti a vela latina:
    1686
    - anno dell’arrivo: 1768
    n° bastimenti a vela quadra:
    ignoto
    n° bastimenti a vela latina:
    ignoto
    - anno dell’arrivo:
    1769
    n° bastimenti a vela quadra:
    ignoto
    n° bastimenti a vela latina:
    ignoto
    - anno dell’arrivo:
    1770
    n° bastimenti a vela quadra:
  •    pag. 114 di 194
    378
    n° bastimenti a vela latina:
    1694
    - anno dell’arrivo:
    1771
    n° bastimenti a vela quadra:
    380
    n° bastimenti a vela latina:
    1795
    - anno dell’arrivo:
    1772
    n° bastimenti a vela quadra:
    403
    n° bastimenti a vela latina:
    1717
    - anno dell’arrivo:
    1773
    n° bastimenti a vela quadra:
    383
    n° bastimenti a vela latina:
    1761
    - anno dell’arrivo:
    1774
    n° bastimenti a vela quadra:
    529
    n° bastimenti a vela latina:
    1587
    - anno dell’arrivo:
    1775
    n° bastimenti a vela quadra:
    384
    n° bastimenti a vela latina:
    1659
    - anno dell’arrivo:
    1776
    n° bastimenti a vela quadra:
    371
    n° bastimenti a vela latina:
    1755
    - anno dell’arrivo:
    1777
    n° bastimenti a vela quadra:
    375
    n° bastimenti a vela latina:
    1695
    - anno dell’arrivo:
    1778
    n° bastimenti a vela quadra:
    347
    n° bastimenti a vela latina:
    1591
    - anno dell’arrivo:
    1779
    n° bastimenti a vela quadra:
    373
    n° bastimenti a vela latina:
    1430
    - anno dell’arrivo:
    1780
    n° bastimenti a vela quadra:
    345
    n° bastimenti a vela latina:
    1567
    - anno dell’arrivo:
    1781
    n° bastimenti a vela quadra:
    341
    n° bastimenti a vela latina:
    1508
    - anno dell’arrivo:
    1782
    n° bastimenti a vela quadra:
  •    pag. 115 di 194
    435
    n° bastimenti a vela latina:
    1702
    - anno dell’arrivo:
    1783
    n° bastimenti a vela quadra:
    480
    n° bastimenti a vela latina:
    1519
    - anno dell’arrivo:
    1784
    n° bastimenti a vela quadra:
    434
    n° bastimenti a vela latina:
    1299
    - anno dell’arrivo:
    1785
    n° bastimenti a vela quadra:
    404
    n° bastimenti a vela latina:
    1495
    - anno dell’arrivo:
    1786
    n° bastimenti a vela quadra:
    553
    n° bastimenti a vela latina:
    1527
    - anno dell’arrivo:
    1787
    n° bastimenti a vela quadra:
    485
    n° bastimenti a vela latina:
    1749
    - anno dell’arrivo:
    1788
    n° bastimenti a vela quadra:
    477
    n° bastimenti a vela latina:
    1958
    - anno dell’arrivo:
    1789
    n° bastimenti a vela quadra:
    461
    n° bastimenti a vela latina:
    1852
    - anno dell’arrivo:
    1790
    n° bastimenti a vela quadra:
    484
    n° bastimenti a vela latina:
    1746
    - anno dell’arrivo:
    1791
    n° bastimenti a vela quadra:
    530
    n° bastimenti a vela latina:
    1728
    - anno dell’arrivo:
    1792
    n° bastimenti a vela quadra:
    661
    n° bastimenti a vela latina:
    1951
    - anno dell’arrivo:
    1793
    n° bastimenti a vela quadra:
    546
    n° bastimenti a vela latina:
    1925
    - anno dell’arrivo:
    1794
    n° bastimenti a vela quadra:
  •    pag. 116 di 194
    1211
    n° bastimenti a vela latina:
    1879
    - anno dell’arrivo:
    1795
    n° bastimenti a vela quadra:
    1091
    n° bastimenti a vela latina:
    1260
    - anno dell’arrivo:
    1796
    n° bastimenti a vela quadra:
    535
    n° bastimenti a vela latina:
    915
    - anno dell’arrivo:
    1797
    n° bastimenti a vela quadra:
    719
    n° bastimenti a vela latina:
    1773
    - anno dell’arrivo:
    1798
    n° bastimenti a vela quadra:
    608
    n° bastimenti a vela latina:
    1664
    - anno dell’arrivo:
    1799
    n° bastimenti a vela quadra:
    417
    n° bastimenti a vela latina:
    1224
    - anno dell’arrivo:
    1800
    n° bastimenti a vela quadra:
    1003
    n° bastimenti a vela latina:
    905

    TOTALE bastimenti a vela quadra negli ultimi 34 anni del secolo XVIII:
    16778
    TOTALE bastimenti a vela latina negli ultimi 34 anni del secolo XVIII:
    51978

    Nei primi 37 anni del secolo XIX

    - anno dell’arrivo:
    1801
    n° bastimenti a vela quadra:
    320
    n° bastimenti a vela latina:
    1276
    - anno dell’arrivo:
    1802
    n° bastimenti a vela quadra:
    1017
    n° bastimenti a vela latina:
    1945
    - anno dell’arrivo:
    1803
    n° bastimenti a vela quadra:
    637
    n° bastimenti a vela latina:
    1734
    - anno dell’arrivo:
    1804
    n° bastimenti a vela quadra:
    914
    n° bastimenti a vela latina:
    2021
  •    pag. 117 di 194

    - anno dell’arrivo:
    1805
    n° bastimenti a vela quadra:
    712
    n° bastimenti a vela latina:
    1578
    - anno dell’arrivo:
    1806
    n° bastimenti a vela quadra:
    590
    n° bastimenti a vela latina:
    1896
    - anno dell’arrivo:
    1807
    n° bastimenti a vela quadra:
    454
    n° bastimenti a vela latina:
    2065
    - anno dell’arrivo:
    1808
    n° bastimenti a vela quadra:
    134
    n° bastimenti a vela latina:
    1699
    - anno dell’arrivo:
    1809
    n° bastimenti a vela quadra:
    118
    n° bastimenti a vela latina:
    1440
    - anno dell’arrivo:
    1810
    n° bastimenti a vela quadra:
    139
    n° bastimenti a vela latina:
    1411
    - anno dell’arrivo:
    1811
    n° bastimenti a vela quadra:
    81
    n° bastimenti a vela latina:
    1144
    - anno dell’arrivo:
    1812
    n° bastimenti a vela quadra:
    89
    n° bastimenti a vela latina:
    1242
    - anno dell’arrivo:
    1813
    n° bastimenti a vela quadra:
    95
    n° bastimenti a vela latina:
    2902
    - anno dell’arrivo:
    1814
    n° bastimenti a vela quadra:
    422
    n° bastimenti a vela latina:
    4552
    - anno dell’arrivo:
    1815
    n° bastimenti a vela quadra:
    943
    n° bastimenti a vela latina:
    4396
    - anno dell’arrivo:
    1816
    n° bastimenti a vela quadra:
    1124
    n° bastimenti a vela latina:
    4088
  •    pag. 118 di 194

    - anno dell’arrivo:
    1817
    n° bastimenti a vela quadra:
    1078
    n° bastimenti a vela latina:
    3004
    - anno dell’arrivo:
    1818
    n° bastimenti a vela quadra:
    1047
    n° bastimenti a vela latina:
    3984
    - anno dell’arrivo:
    1819
    n° bastimenti a vela quadra:
    947
    n° bastimenti a vela latina:
    3909
    - anno dell’arrivo:
    1820
    n° bastimenti a vela quadra:
    847
    n° bastimenti a vela latina:
    4397
    - anno dell’arrivo:
    1821
    n° bastimenti a vela quadra:
    945
    n° bastimenti a vela latina:
    3674
    - anno dell’arrivo:
    1822
    n° bastimenti a vela quadra:
    869
    n° bastimenti a vela latina:
    4308
    - anno dell’arrivo:
    1823
    n° bastimenti a vela quadra:
    780
    n° bastimenti a vela latina:
    4450
    - anno dell’arrivo:
    1824
    n° bastimenti a vela quadra:
    940
    n° bastimenti a vela latina:
    4631
    - anno dell’arrivo:
    1825
    n° bastimenti a vela quadra:
    907
    n° bastimenti a vela latina:
    4969
    - anno dell’arrivo:
    1826
    n° bastimenti a vela quadra:
    903
    n° bastimenti a vela latina:
    5141
    - anno dell’arrivo:
    1827
    n° bastimenti a vela quadra:
    1060
    n° bastimenti a vela latina:
    4847
    - anno dell’arrivo:
    1828
    n° bastimenti a vela quadra:
    986
    n° bastimenti a vela latina:
    4598
  •    pag. 119 di 194

    - anno dell’arrivo:
    1829
    n° bastimenti a vela quadra:
    964
    n° bastimenti a vela latina:
    4465
    - anno dell’arrivo:
    1830
    n° bastimenti a vela quadra:
    1101
    n° bastimenti a vela latina:
    4619
    - anno dell’arrivo:
    1831
    n° bastimenti a vela quadra:
    1033
    n° bastimenti a vela latina:
    4232
    - anno dell’arrivo:
    1832
    n° bastimenti a vela quadra:
    1266
    n° bastimenti a vela latina:
    4390
    - anno dell’arrivo:
    1833
    n° bastimenti a vela quadra:
    1150
    n° bastimenti a vela latina:
    4488
    - anno dell’arrivo:
    1834
    n° bastimenti a vela quadra:
    1211
    n° bastimenti a vela latina:
    4442
    - anno dell’arrivo:
    1835
    n° bastimenti a vela quadra:
    1234
    n° bastimenti a vela latina:
    3986
    - anno dell’arrivo:
    1836
    n° bastimenti a vela quadra:
    831
    n° bastimenti a vela latina:
    4509
    - anno dell’arrivo:
    1837
    n° bastimenti a vela quadra:
    1075
    n° bastimenti a vela latina:
    4356

    TOTALE bastimenti a vela quadra nei primi 37 anni del secolo XIX: 28943
    TOTALE bastimenti a vela latina nei primi 37 anni del secolo XIX:
    126788

    COMUNITA’ DI LIVORNO

    Il territorio della terraferma di questa Comunità, esclusi cioè gli scogli della Meloria, del Fanale e l’isola della Gorgona, abbraccia una superficie di 27879 quadr. agrarii, equivalente a miglia 34 e 2/3 toscane, dei quali
  •    pag. 120 di 194
    quadr. circa 872 e sono occupati da corsi di acqua e da pubbliche strade.
    Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 71685 abitanti, escludendo da questa cifra 3060 fra passeggeri, marinari avventizii del porto, ed i pochi abitanti della Gorgona. Dondechè, prendendo la popolazione in massa, la Comunità di Livorno contava allora 2134 abitanti per migl. quadr. del suo territorio imponibile.
    Essa dalla parte di terra confina con due comunità del Granducato, mentre da maestro e scirocco ha per limite il mare. – Si tocca con il territorio della nuova comunità di Colle Salvetti, a partire dal lembo occidentale della spiaggia, nel punto dove sbocca il torrente Ugione. Di costà piegando nella direzione da ponente a grecale passa per le colmate paduli; quindi, dopo attraversato il fosso dei Navicelli, seguitando contro corrente l’ Ugione , arriva al primo ponte di Stagno, dove taglia la strada R. postale pisana. Di là mediante lo stesso torrente sale a levante il poggio di Monte Massi, quindi rasentando il fu convento della Sambuca s’innoltra sulla cima dei Monti livornesi agli abbandonati Mulini a vento di Val Benedetta. Costà incamminandosi verso la direzione di scirocco, entra nella via comunitativa del Gabbro, finchè trova le prime sorgenti della piccola fiumana Chioma , lungo il cui alveo per breve tragitto questa di Livorno seguita a confinare con la Comunità di Colle Salvetti. Poco lungi da Popogna sottentra alla Comunità prenominata quella di Rosignano, dove la prima di queste, voltando faccia a ostro, cammina sempre di conserva con l’altra di Rosignano mediante l'alveo della stessa Chioma sino al suo sbocco in mare.
    Due strade R. attraversano questo territorio; la grande strada postale di Pisa e l’altra del littorale. Quest’ultima, finora troppo angusta e malamente rotabile, sta attualmeute ricostruendosi, a spese della provincia, più comoda e più spaziosa: per la qual opera il governo ha assegnato la somma di lire 400,000 toscane.
    Non s’incontrarono, ch’io sappia, tracce di vie
  •    pag. 121 di 194
    romane nel perimetro del territorio Livornese. – Vedere Via Emilia di Scauro. – Le altre vie sono comunitative, fra le quali frequentatissima è quella che sale al santuario di Monte Nero; ad essa viene seconda la strada provinciale maremmana, che staccasi da Livorno dalla Porta di questo nome, e di là per Salviano dirigesi sui monti livornesi per Val Benedetta e Gabbro, donde scende in Val di Fine per unirsi alla strada regia delle Maremme, già Emilia di Scauro.
    Piccoli e brevi corsi d’acqua nascono e non oltrepassano il territorio di questa comunità. Tali sono il Chioma , l’Ardensa, l’ Ugione e, il Cigna ; i primi due portano direttamente il loro tributo al mare nel littorale a ostro di Livorno, e di altri due, che scendono dai monti medesimi verso settentrione, attraversano mediante fossi la paduletta a settentrione di Livorno, finchè per il colmato seno del Porto Pisano le loro acque si mescolano coi flutti marini all’ingresso, oppure assai d’appresso alla foce stessa di Calambrone.
    L’istituzione della giurisdizione comunitativa di Livorno si perde nella storia di Porto Pisano, o per dir meglio, una comincia quando l’altra finisce.
    Infatti il primitivo distretto territoriale di Livorno sembra corrispondere a quello che portò il nome di plebanato di Pian di Porto. Avvegnachè alla giurisdizione civile di Livorno sino dai primi tempi della repubblica pisana appartenevano tutte quelle chiese battesimali che furono qualificate sotto la denominazione di Piviere del Pian di Porto , per quanto con una tale indicazione s’intendesse compreso il distretto spirituale di più chiese plebane. – Quindi è che il plebanato, o giurisdizione del Pian di Porto , abbracciava 4 pievi; cioè da quella de’SS. Stefano e Cristofano di Carraja, posta presso il lembo orientale del Seno pisano poco lungi dal luogo detto tuttora la Fonte di S. Stefano ; e il piviere di S. Giulia di Livorno
  •    pag. 122 di 194
    ; e quello di S. Paolo di villa Magna , il quale corrisponde alla chiesa parrocchiale dell’ Ardenza ; la pieve di S. Andrea di Limone , stata unita a quella di S. Martino a Salviano .
    Il distretto territoriale qui sopra designato coincide a un dipresso con quello ceduto nel 1405 dal Visconti signor di Pisa a Buccicaldo governatore di Genova pel re di Francia, stato poi nel 1421 venduto alla repubblica fiorentina. E siccome fino dai tempi della Rep. di Pisa soleva risiedere in Livorno un giudice col titolo di capitano, così il territorio della sua giurisdizione appellosi Capitanato del porto pisano ; quindi, dopo il 1606, Capitanato vecchio di Livorno.
    Che sulle tracce del Capitanato vecchio fossero apposti i termini di confine all’antico territorio comunitivo di Livorno, ce ne fornisce un documento palpabile la convenzione di Lucca dei 27 aprile 1413, stata da noi riportata al principio di quest’articolo (a pag. 724); dalla quale apperisce, che il distretto livornese, già di Pian di Porto , terminava, dal lato di settentrione, con lo Stagno, e di là fino alla foce dell’Unione nel seno di Porto Pisano; dal lato di ostro, sulla sommità dei Monti livornesi scendendo per il torrente Chioma ; verso ponente e libeccio, lungo il littorale; finalmente verso levante e scirocco, dalle fonti del torrente Chioma scendeva sulla schiena dei Monti livornesi, passando presso S. Lucia del Monte, la Sambuca e i muri di Monte Massimo, o Monte Massi .
    Tale era il distretto livornese quando il Granduca Ferdinanto I, con motuproprio dei 14 aprile 1606, ne dilatò notabilmente i confini dalla parte di levante, dando a quel Capitanato una più estesa giurisdizione, per cui il suo territorio appellossi da indi in poi Capitanato nuovo di Livorno a distinzione del vecchio , ossia
  •    pag. 123 di 194
    di quello che ha costituito per lungo tempo il perimetro della sua comunila.
    I confini pertanto del Capitanato nuovo erano i seguenti. “partire verso settentrione dal littorale, e precisamente dall’antico ingresso del seno di Porto Pisano, passando davanti al Marocco sino alla foce di Stagno. Costà piegava dentro terra per avviarsi al primo Ponte di Stagno, avendo a confine il territorio di Pisa, col quale continuava rasente la gronda chiamata di Sovese ; quindi attraversando lo Stagno arrivava al Fosso Reale , il cui alveo serviva di linea di demarcazione fino alla strada di Collina. Per mezzo di questa dirigendosi a Vicarello ne abbracciava tutta la contrada e la vicina tenuta di Colle Salvetti, attualmente capoluogo di comunita' di la per la via di R. maremmana, o Emilia, seguitava fino alla Casa Bianca ; quindi passava il fiume Tora sul ponte Santoro per innoltrarsi alla sua destra verso le vallate di Crapina, Fauglia, Tremoleto, Lorenzana, i di cui territorii vennero compresi nel nuovo Capitanato. Dalla chiesa di S. Biagio a Saletto , ritornando nella Tora, arrivava alla Pievaccia di Colle Pinzuti ; poscia avanzandosi a scirocco perveniva nel borro, che porta il nomignolo della valle , e con esso entrava nel fiume Fine , lungo il quale continuava sino alla sua foce in mare.
    In questo circondario erano compresi i Monti livornesi ed il littorale, a partire dalla foce del fiume Fine sino a quella di Stagno, il porto di Livorno, lo scoglio della Lanterna, ed allargandosi in mare, anche la secca della Meloria con l’isola della Gorgona. – Peraltro, mentre ampliavasi cotanto la giurisdizione civile e politica del Capitanato nuovo di Livorno, quella economica della sua comunità conservavasi a un di presso al pari del suo Capitanato vecchio ; e ciò, fino a che nel 1810 essa dovè cedere una porzione del di lei territorio alla
  •    pag. 124 di 194
    nuova comunità di Colle Salvetti. – V edere l’Articolo COLLE SALVETTI, Comunità .
    Con il regolamento del 20 marzo 1780 relativo all’organizzazione economica del corpo comunitativo di Livorno, il Granduca Leopoldo I dichiarò, che i confini del Capitanato vecchio dovessero d’allora in poi costituire la nuova Comunità di Livorno. Nella qual congiuntura, volendo quel Legislatore usare di un favorevole riguardo alla nazione ebrea, in vista della considerabile qualità di stabili, che gl’individui della medesima possedevano nella suddetta comunità, ordinò, che uno della nazione giudaica potesse intervenire e risedere in qualità di deputato, o reppresentante, tanto nella magistratura civica, quanto nel consiglio generale, con voto e con lucco senza alcuna disparità dagli altri priori.
    Clima di Livorno e della sua campagna . – Dalle meteorologiche, fisiche e mediche osservazioni in varii tempi effettuate, resulterebbe, che quando era in fiore il Porto Pisano, di cui Livorno, come più volte si é ripetuto, ha fatto parte integrante, il clima non doveva essere malsano, siccome tale divenne nei secoli successivi, allora quando andò grado a grado ostruendosi quel seno di mare, sino a che si convertì in altrettanti pestilenti marazzi. Dondeché, ad onta delle grandi spese e delle franchigie state dalla Rep. fiorentina concesse a coloro che si fossero recati a stabilire in Livorno o nel suo distretto, ad onta dei provvedimenti presi per correggere la cattiva disposizione dell’aria e del crescente impadulamento del littorale a settentrione di Livorno, non ostante tuttociò nel clima di Porto Pisano più presto i cittadini mancavano, o infermi vivevano. – Infatti non era ancora passato il primo decennio, dacché i Fiorentini ebbero acquistato Livorno, che i rappresentanti di questa comunità, nell’atto di domandare alla Signoria di Firenze la conferma delle triennali esenzioni, esponevano, come, in vista dei diminuiti abitanti, la quantità del sale, di cui erano obbligati a provvedersi, era divenuta di una terza parte soperiore al loro consumo, e perciò chiedevano di ridurre a sole cento staja l’annua partita
  •    pag. 125 di 194
    del sale da acquistare. ( Vedere in questo Vol. a pag. 728).
    Non era frattanto nè punto nè poco migliorato lo stato fisico del paese all’avvicinarsi alla metà del suo corso il secolo medesimo XV, tostochè i Livornesi, nell’anno 1449, domandavano alla Signoria di Firenze che volesse esonerarli, non solo dall’annua imposizione di 630 fiorini d’oro, ma ancora dal debito arretrato. La quale inchiesta fu dalla Rep. fiorentina accordata, lasciando fermo il quantitativo delle cento staja di sale per l’annuo consumo di quella scarsa popolazione. ( 1oc. cit. pag . 729)
    Così ai tempi del duca Alessandro dei Medici e dei primi granduchi, che tanti indulti andarono concedendo a chi voleva recarsi ad abitare familiarmente in Livorno o nel suo capitanato, sembra che ben pochi di tanta elargità profittassero, nè volessero, in grazia di tali allettative, preferire alla loro prospera salute una vita più breve, o almeno infermiccia per giovare alle generazioni future.
    Può servire di prova della scarsa popolazione di Livorno quella dell’epoca di Cosimo I, quando tutto il Capitanato vecchio , vale a dire la Comunità nei limiti che aveva innanzi il 1810, non contava più di 1562 abit. repartiti in 194 famiglie. – ( Vedere il Quadro del Movimento della Popolazione della Com unità di Livorno a pie del presente articolo. )
    Lo disse poetando uno dei ( ERRATA: giusdicenti di quell’età, il capitano di Livorno) medico-fisici di quell’età, il dottore Orsilago, quando paragonava il suo clima ad una vera bolgia dell’Inferno. – Lo dimostrò costantemente la premura del governo nel far cambiare di frequente la guarnigione militare di Livorno, stantechè quei soldati trovavansi afflitti da febbri intermittenti, 6 da quella specie di maremmana, che sino ai tempi nostri fu contrassegnata col nome topico di Livornina.
    Giova peraltro avvertire, che coteste febbri e cotesta malignità di clima provenivano dai ristagni palustri della campagna situata a sett.
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    di Livorno, e dalla troppa aillueara delle alghe e di altri corpi organici, i quali spinti dalle maree, abbandonati si lasciavano imputridire sulla spiaggia; finalmente dal difficile scolo dei fossi e dalle fogne della città. Tali erano le cause principali che concorrevano ad infettare l’aria di Livorno, cause tutte che vanno ora gradatamente distruggendosi dalle incessanti cure del governo, dalla vigilanza del magistrato civico, e dall’interesse comune di una sempre crescente, sempre più ricca ed istruita popolazione.
    Dalle Ricerche di statistica medica , intraprese nel corso continuo di sette anni (dal 1818 al 1825) dai sigg. dott. Giuseppe Gordini e Niccola Orsini, medici degli ospedali di Livorno, è resultato, che la mortalità in essa città, da 50 e più anni, proporzionalmente alla popolazione, era considerabilmente diminuita; lochè essi ripetevano, se non in tutto, almeno in gran parte, dal miglioramento dell’aria, mercè la progressiva bonificazione dei marazzi in prossimità del lido e della contigua campagna posta al settentrione di Livorno.
    Ciò nonostante le malattie, che si osservarono più spesso negli ospedali di questa città, furono le febbri intermittenti; per modo che dai 24002 malati, capitati agli ospedali nel giro di quel settennio, 3751 erano stati colpiti da simili febbri. Dopo le intermittenti, andando per ordine di numero, vengono le febbri reumatiche, malattia comunissima in Livorno per il cambiamento istantaneo della temperatura: non essendo raro il caso di sentire caldo e freddo in un’ora medesima. Inoltre Livorno, stante la sua posizione marittima, non avendo quasi alcun riparo dai monti che l’avvicinano dal lato di levante, e trovandosi sul lembo di un’aperta campagna, resta straordinariamente esposto ai venti, specialmente a quelli che derivano dal mezzogiorno, da tramontana e da libaccio. L’ultimo dei quali suole talvolta soffiare con tale gagliardia da alzare l’acqua del pelago e convertirla in una nebbia assai umida, cui suol designarsi costà con il vocabolo di spolverino.
    La acque che in gran copia circondano il paese, osservava nel 1827 il dott. G. Palioni,
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    primo medico dell’ufizio di sanità, rendono sempre un poco unita l’aria di Livorno,quand’è tranquilla, al tramontare del sole, con precipitarsi dei vapori innalzatisi nel giorno. Ciò rende forse (diceva egli) ragione del predominio, cui sulle altre malattie febbrili, che sporadicamente si mostrano fra noi, tengon le intermittenti. ( Memoria sulle costituzioni epidemiche e sui mali endemici del cav. dott. G. Palloni. – L ivorno 1827).
    La stessa incostanza di clima rende assai frequenti e molto pericolose le pleuritidi e le peripneumonie; avvegnachè nei soli due spedali della città, fra uomini e donne, i sopranominati due medici, in un settennio, ne osservarono 1186, con una mortalità del 22 per cento.
    Una infermità molto comune, e più delle altre di sinistro successo, è la tise: della quale malattia negli ospedali di Livorno iu sette anni furono curati 800, e morirono 421 individui: benchè tra questi alcuni vi fossero tornati per la seconda volta, onde essi figurarono doppiamente nelle cifre qui sopra accennate.
    La frequenza delle scrofole e dei morbi venerei, il poco riguardo nelle tossi, l’abuso dei liquori, l’esercizio di ulcune professioni e la costituzione ereditaria si reputano le cause più palesi e più frequenti della tise in Livorno, ma forse vi concorre eziandio, almeno per le malattie scrofolose, la troppa confìdenza che i Livornesi hanno di abitare le case appena fabbricate, nella fiducia che la loro pietra tufacea assorbisca in guisa l’umidità della calcina da non nuocere alla salute, senza calcolare il mattonato.
    Struttura fisica del suolo livornese . – La struttura geognostica del terreno di questa comunità presenta delle varietà singolarissime, massime dalla parte dei suoi monti. Al contrario la pianara, che stendesi di là fino alla riva del mare, mancante di tomboli o dune, sembra quasi divisa dal littorale contiguo mediante una specie di Gronda, la quale principia dal luogo delle fornaci sino al ponte d’Arcione. La panchina, che dal lato di scirocco costituisce la base apparente in un
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    livello alquanto superiore alla pianura situata a ponti di Stagno, consiste in un tufo arenario ricco di resti organici palustri e marini, tanto animali, quanto vegetali.
    Questo terreno che incomincia a vedersi nei contorni di Antignano, e di là dirigendosi per l’Ardenza e Acquaviva, serve di base alla città di Livorno, costituisce non solamente una specie di cornice, incrostando i lembi di detta spiaggia, ma pare che si vada costantemente formando sott’acqua nel continuo littorale. Esso appartiene ad una grossolana lumachella spugnosa, conchiglifera: e mostra chiaramente di essere un prodotto del periodo attuale.
    I frammenti di terra cotta, scoperti ultimamente in cotesto tufo presso al Lazzeretto di S. Rocco, hanno fornito argomento al naturalista pisano Paolo Savi per assegnargli il giusto posto che conviene a questa roccia tufacea, ponendola cioè fra quelle formate da cause che sono anche ai tempi nostri in azione.
    Quanto alla sua giacitura, e alle rocce che gli servono di base, possono darne un indizio alcuni scavi stati aperti presso l’Ardenza, dove si vede che il tufo arenario conchiglifero sovrappone a strati di calcareo compatto (alberese) della natura medesima di quello che scuopresi presso alle falde dei Monti livornesi.
    In quanto all’ossatura apparente dei monti livornesi, la parte inferiore sembra coperta in molti luoghi da un banco di ghiaje e ciottoli di calcareo ceruleo compatto, la qual roccia è traversata da grossi filoni di spato bianco. – Ad esso banco sottentrano strati di calcareo argilloso, o di galestro fissile color laterizio; finalmente, salendo ai Mulini a vento di Val Benedetta, si affacciano masse serpentinose imprigionate nel calcareo compatto alterato, ma più spesso nel galestro. Tale alterazione di suolo si riscontra specialmente intorno al paese che porta il nome topico della pietra sulla quale esso è fabbricato. – Vedere Gabbro dei Monti livornesi.
    Da un consimile terreno scaturiscono le limpide copiose polle di Camorra sopra Colognole, mezzo miglio a levante delle masse stratiformi di Vallore, dove si
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    cavano pietre arenareo‑micacee di grana compattissima, di elementi minuti, e di qualità non inferiore alla pietra serena, ossia macigno di Fiesole.
    Scendendo di lassù verso le pendici che guardano maestro, continua ad affacciarsi l’arenaria, sebbene più grossolana di quella di Vallore , e sotto di essa il calcareo compatto alquanto argilloso, alternante con strati di schisto marnoso. – Nelle colline di Monte Massi e di Limone alle rocce testé accennate sottentrano quelle meno antiche di marna orgillosa e di calce solfata: e questa talora laminare e fibrosa ( Specchio d’asino ) ora granosa e candida, ( Alabastro ) più spesso compatta e grigia ( Gesso ). È in mezzo a cotesta formazione argillo‑gessosa, donde pullula qualche vena di acqua salina e di acqua solforosa epatica di qualità consimile a quella puzzolente di Limone.
    È forse da un consimile terreno terziario donde scaturisce altr’acqua minerale salina di recente stata scoperta in un pozzo dei bagni di S. Rocco a Livorno, sulla quale il Prof. Antonio Targioni Tozzetti ha istituito e pubblicato nel 1838 un’esatta analisi chimica.
    Al Rio maggiore, e sull’Ardenza torna a mostrarsi allo scoperto il calcareo compatto attraversato da larghi filoni di spato, cui sta a ridosso, nella parte inferiore, un banco di ghiaja conglomerata.
    Se poi si esamina la natura del suolo di questa comunità dal lato di scirocco, dove i Monti livornesi scendono verso il littorale, veggonsi quelle pendici per la massima parte coperte di macigno grossolano, bene spesso associarsi a schisti calcarei colorati in rosso e in verde con vene di manganese ferrifero. Del qual ultimo minerale trovasi un potente filone nel fianco opposto, dei Monti medesimi. – Tali varietà di arenarie e di schisti calcarei, anche costà come al Gabbro e ai Mulini a vento, furono alterate e semi‑plutonizzate dalle masse serpentinose che le avvicinano; cui fra le altre appartengono le grandi rupi e le scogliere della Torre al Romito,
    Il
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    suolo della Comunità di Livorno ha richiamato in più tempi le attenzioni di celebri naturalisti, sia per esaminare le piante più rare dei suoi monti, come per le rocce e i resti organici che in essi racchiudonsi. Conterò tra i più noti, nel secolo XVII, Cesalpino e il livornese Giacinto Cestoni; nel secolo XVIII, Vallisnieri, Micheli, Targioni e Giovanni Plancho, senza dire di tanti altri dotti che ai tempi nostri questa stessa contrada hanno già, o vanno tuttora perlustrando.
    Il mare di Livorno e ricco di ogni sorta di pesce, dall’acciuga sino allo storione; talchè la pescagione dei suoi paraggi provvede costantemente, oltre la vicina popolosa città, quelle di Pisa e di Firenze, con moltissime altre terre e paesi intermedii.
    Ciò che si ritrae dalla pesca delle acciughe nel mare della Gorgona, fu già avvertito all’articolo di quest’Isola.
    Il passo dei muggini ha dato luogo a stabilire lungo le scogliere dei Monti livornesi due mugginaje, una delle quali alla Torre del Romito, l’altra sulla punta di Castiglioncello. Sotto le scogliere di Monte Nero si pescava anche il corallo, ma da qualche tempo siffatta pescagioine: fu abbandonata per non trovarvisi corallo, nè molto grosso, nè di colore acceso, in confronto di quello delle coste d’Africa e della Sardegna.
    L’agraria del territorio livornese, per quanto essa, dopo gli eccitamenti promossi dalle leggi Leopoldine, sia andata alzandosi, pure non si può dire che ti abbia fatto quei grandi progressi che dalla ricchezza e intelligenza dei possidenti, e dall’aumentata popolazione si potevano sperare. – Ma, o sia che i Livornesi rivolgevano quasi tutte le loro cure e la maggior parte dei capitali nella branca più lucrativa, ad onta del maggior rischio che essi corrono, del commercio; o sia che la natura del terreno si appalesi alquanto ingrata; fatto è che troppo arido ed arenoso apparisce il suolo posto fra i monti e Livorno, mentre troppo umido mantiensi quello situato a settentrione della stessa città; finalmente la
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    qualità del terreno dei suoi monti, comparendo d’indole in generale galestrina, gessosa o serpentinosa, riesce per lo più sterile e in grato alle cure del suo cultore. Dondeché quasi una metà del territorio in discorso è rimasta per lo più coperta dì mortelle, di albatri, di sondri, di lecci, e di altre piante silvestri: oppure vedesi sparsa di rari e sterili pascoli, come sono precipuamente quelli dei terreni metalliferi. – L’altra metà poi della campagna livornese è dissodata e coltivata a viti, a ulivi, a granaglie e a ortaggi con frutta saporitissime.
    Cerchi diversi delle mura di Livorno . – Innanzi il 1421 Livorno, come è stato avvertito qui sopra, era un paese aperto. Il primo giro di mura merlate fu opera dalla Rep. fiorentina, che lo aveva compito alla metà del sec. XV. A quell’epoca la Terra di Livorno fu rinchiusa in un perimetro di circa due terzi di miglio con sole due porte, una delle quali, verso Terraferma, difesa di un torrione, e l’altra verso il mare, dirimpetto a un piazzale fornito di comodo loggiato, dove ora corrisponde la fortezza vecchia e la darsena,
    Il secondo cerchio della città di Livorno ebbe principio nel 1577 sotto Cosimo I, quamlo l’arcivescovo di Pisa, Bartolommeo Giugni, benedì la prima pietra, nel giorno 28 marzo dell’anno anzidetto. – Ma quella cinta di mura, restò lunghi anni sospesa sino a che Ferdinando I, fra lo spirare del sec. XVI e il sorgere del XVII, vi fece lavorare con tanto impegno, che il nuovo giro di muraglie, i fossi che le contornavano, i baluardi, i rivellini, le batterie e fortezze furono innalzate e compite, nel periodo di un decennio. – Questo secondo cerchio della città aveva una periferia di braccia 10.500, corrispondente a circa miglia toscane 3, 71. L’area del suolo compreso nel secondo cerchio occupa una superficie territoriale di circa un terzo di miglio quadro toscano.
    Il terzo, ultimo e più grandioso cerchio fu
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    decretato nell’anno 1835 dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante, e questa grand’opera si è veduta cominciare, progredire e restare compita nel breve spazio di due anni.
    “A secconda dell’andamento definitivamente adottato, e dopo le disposizioni generali con notificazione del 6 marzo l835 ordinate per l’esecuzione della nuova cinta di Livorno (la direzione della quale venne andata al Commend. Alessandro Manetti direttore del corpo degl’ingegneri, e del bonificamento idraulico delle Maremme) si cominciarono i nuovi fondamonti, a partire dal Bastione chiuso di S. Pietro, situato a settentrione delle vecchie mura, e di là dirigendosi verso grecale per il tenimento dell’antica Bastia di Porto pisano , fu tagliata la strada regia di Pisa presso l’oratorio di S. Antonino . Ma questo punto, volgendo il cammino da grecale a scirocco, si andò a trovare l’altra via rotabile di Salviano, quindi al bivio detto del Fanale , e in ultimo, costeggiando il canale dei Lazzeretti, arrivossi al Mulinaccio , dove il nuovo recinto va a terminare per quella parte nel littorale presso i fossi del Lazzeretto di S. Rocco.
    Tre porte e due barriere interrompono il nuovo cerchio per dare il passo alle comunicazioni di terra; cioè, la prima barriera con triplice cancellata alla via R. fiorentina; l’altra barriera alla via provinciale maremmana.
    Le tre porte sono state aperte in tre diversi lati della città. Guarda il lato orientale la porta S. Leopoldo dalla quale esce la via di Salviano. Apresi dal lato meridionale la porta a mare, fuori della quale si cavalca un nuovo ponte di pietra verso il Mulinaccio, per la via che guida al ridente popoloso littorale di Acquaviva, dell’Ardenza e di Antignano. – È volta a settentrione la porta S. Marco , ricostruita d’appresso, e sotto il nome che portava quella di Venezia nuova . Essa è situata fra la Bastia di Porto
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    pisano
    e la nuova Darsena de’navicelli.
    Sono conservate sulle antiche mura la porta Colonnella e quella di S. Trinita, per le quali si esce alla darsena e al molo.
    All’ingresso ed all’egresso di ogni porta o barriera havvi un ampio piazzale, intorno al quale è vietato di edificare, come pure è vietato d’innalzar case o aumentare le esistenti ad una distanza minore di cento braccia dal pomerio, ossia dal confine del suolo che fiancheggia la nuova cinta di Livorno.
    La principale fra le diverse barriere, o porte, è quella sulla strada R. fiorentina.
    Quivi sono due edifizii doganali, uno per la gabellazione delle merci che s’introducono nel Granducato, l’altro per quella della maggior parte dei generi di consumo di città e delle produzioni che si estraggono dalla Terraferma per via di mare. La distribuzione dei suddetti edifizii, stati eretti coll’opera dell’architetto fiorentino Carlo Reishamer, presenta i comodi più opportuni, specialmente per essere stato separato l’ingresso dall’egresso, e per trovarvisi costruiti due vasti locali coperti, nei quali possano ricoverarsi durante le visite doganali, barocci, e vetture.
    La superficie quadrata della nuova cinta occupa braccia cube fiorentine 801, 421 equivalenti quasi a miglia 1 e 3/4 quadrate.
    Cotesto terzo cerchio non presenta, ne più gli conveniva come alle precedenti mura, l’aspetto di un’opera di fortificazione; imperocchè, destinato com’è a recingere una città popolosa, un porto‑franco neutrale di uno stato e di un principe pacifico, era necessario che esso ne portasse l’impronta, senza che pertanto fosse omesso quel carattere di edificatoria corrispondente all’oggetto: cioè, di uno stile rustico e a bozze di breccia e di tufo rozzamente tagliate nella faccia, ed in guisa tale che apponesse ai frodatori un ostacolo, sicchè la vigilanza di poche guardie bastasse per impedire il contrabbando.
    Tutta l’altezza del muro è di braccia 13 e 1/2, le prime otto delle quali hanno di grossezza, in base braccia 2 e un sesto con scarpata solamente esterna di
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    un decimo a braccio. All’altezza delle braccia otto avvi una modinatura di pietra, consistente in un cordone che ricorre andante all’esterno, sopra il quale innalzasi altra porzione di muro a piombo alta braccia 5 e 1/2.
    Dove ha ingresso in citta il canal navigabile, ossia il Fosso dei navicelli che congiunge Pisa con Livorno, stà costruendosi un altro importante ufizio doganale. È stato pur esso architettato dal Reishamer, in guisa tale che l’ingresso dei Navicelli resta separato dall’egresso, ed i navigli hanno ricetto in uno spazio coperto durante le doganali operazioni. Cotest’ufizio posa nel centro di un’ampia darsena che ha una superficie di braccia 886,000 quadre.
    Le mura della nuova cinta gli passano in mezzo, e dividono il bacino interno dall’esterno. Tanto in questo, quanto in quello possono in gran numero aver stazione le barche che introducono, o che escono dal porto-franco. Un nuovo canale per porre in comunicazione il bacino interno della stessa Darsena col fosso del Rivellino offre una comoda circolazione ai navicelli; e quelle acque, per lo dinanzi stagnanti ed infette, attualmente partecipando al moto del riempifondo sonosì efficacemente ravvivate al pari di quelle del fosso reale, che è situato alla base delle fortificazioni.
    La muraglia della nuova cinta si estende nei preaccennati limiti per miglia tre e tre quarti in lunghezza senza però calcolare quella estensione che è posta lungo il littorale, cioè, dalle antiche fortificazioni di porta-murata sino al bastione chiuso di S. Pietro, la quale può valutarsi della lunghezza di quasi un altro miglio.
    I fondamenti delle mura posano sopra uno stabile terreno, o panchina di tufo pietroso, meno che dalla parte del seno di Parto pisano fra il fosso dei navicelli e la bastia, dove i suoi fondamenti, per un tratto lungo 500 braccia, sono piantati sopra palafitte con reticolato di legname.
    Le bracciature cubiche di tali lavori, eseguiti fino al luglio del 1838, per
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    la costruzione della nuova cinta di mura delle sue dipendenze, ammontano a braccia cube fiorentine 452,612; le quali sono da ripartirsi come appresso;

    Il movimento, sul quale é fondata la muraglia di cinta della città e porto‑franco di Livorno, ascende a Braccia cube 160,816
    Le chiaviche e ponti Braccia cube 8,412
    I muri a rivestimento della darsena per i navicelli e annessi Braccia cube 11,607
    I muri di cinta sopra terra Braccia cube 217,882
    Le fabbriche sinora costruite per
    le porte, per le barriere e la dogana d’acqua Braccia cube 52,895
    Totale Braccia cube 452,612

    Dopo compito il nuovo recinto delle mura urbane di Livorno, sono state demolite alcune tra le porte del secondo cerchio, come inutili ed imbarazzanti il pubblico transito. Contansi fra queste la porta a Pisa , quella del Rivellino di S. Marco , ed anche la più moderna del Casone . La loro distruzione ha giovato, non tanto sotto il rapporto della salubrità, quanto sotto quelle di ornato pubblico, alle vicine fabbriche e alle strade.

    Numero delle case che costituivano il vecchio Livorno, N° 1459
    Case riunite alla città di Livorno nell’ultima circonvallazione, N°  1477
    Totale delle case nel 1837, N° 2936

    Stabilimenti Sanitarii . – Livorno sotto questo rapporto non ha che insidiare alle principali città marittime del Mediterraneo e dei mari dipendenti, poichè il suo porto fu provvisto di tre grandi Lazzeretti, e questi collocati a diverse distanze in riva al mare, tutti sulla spiaggia meridionale del porto; vale a dire, nella pianura più salubre livornese. Furono essi eretti l’uno dopo l’altro da tre Granduchi, e quindi destinati appositamente, secondo i gradi del pericolo, ai diversi bastimenti che venivano accompagnati da patente, così dette, netta,
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    tocca , e brutt a; in guisa che ciascuno di quei tre locali veniva governato con regole efficaci sanitarie, e con discipline proporzionate all’oggetto della loro destinazione.
    Così il Lezzeretto di S. Rocco , il primo per antichità, perchè edificato nel 1604 sotto Ferdinando I, è il più vicino al porto, anzi quello che solo da un largo fosso viene isolato dalla città. – Dall’epoca dell’erezione del terzo Lazzeretto, di S. Leopoldo, sino a questi ultimi tempi il più antico di S. Rocco servì alle provenienze con patente netta ; ma, in grazia dei più recenti provvedimenti sanitarii (anno 1834), esso attualmente è destinato a ricevere, oltre le merci e le persone delle provenienze suddette anche quelle con patente così detta tocca. Dentro lo stesso locale, sul declinare del secolo passato, per le cure di Ferdinando III fu aperto un piccolo porto ad oggetto di servire alla contumacia delle feluche coralline e di altri piccoli navigli.
    Il Lazzeretto di S. Iacopo , distante quasi un miglio dalla città, fu fabbricato nel 1643 sotto Ferdinando II col disegno dell’architetto Antonio Cantagallina.
    Esso prese il nome di S. Jacopo dal soppresso vicino convento dei Frati di S. Jacopo in Acquaviva, dov’é rimasta la chiesa parrocchiale.
    Questo secondo Lazzeretto si riservò ai bastimenti con patente brutta , e specialmente a quelli provenienti da paesi, dove soleva dominare la peste bubbonica. Nel Lazzeretto di S. Jacopo , l’anno 1754, per ordine dell’Imperatore Francesco I, secondo Granduca di questo nome, vennero eseguiti grandi accrescimenti in fabbriche, in logge e fontane con un recinto di fossi, oltre un canale navigabile destineato a condurre dentro Livorno le merci, dopo essere state ammesse alla pratica. Fu quest’edifizio nella stessa occasione circondato e chiuso da una circonvallazione regolare e quadrilunga di mura con porta maggiore davanti a un ponte levatojo, sopra la quale fu apposta l’arme imperiale con
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    la seguente iscrizione, dettate dal celebre letterato Antonio Cocchi:

    Imp. Caes. Franciscus. Augustus.
    Dux. Lothar. M. D. Etr. Ut Liburni.
    Portu. Pestilentiae. Contagia. Quam.
    Tutissime.
    Arceantur. Insulam.
    purgationibus.
    Hominum.
    Et. Marcium. Habendis.
    Restituit. Ampliavit.
    Instruxit,
           anno MDCCLIV

    Dopo compito il terzo Lazzeretto, questo di S. Jacopo venne destinato alle sole provenienze con patente tocca; e ciò finchè, per sovrana disposizione di Leopoldo II, fu ripristinato l’antico sistema di accogliervi tutte le merci e persone portate sopra navigli con patente brutta .
    Finalmeale il Lazzeretto di S. Leopoldo, il più distante di tutti (circa un miglio e mezzo dalla città) rammenta una delle più grandi opere edificatorie, e uno dei tanti benefizj fatti da Leopoldo I a favore del commercio e della salute pubblica dei Livornesi. – Era esso in origine destinato allo sciorino e alla contumacia di merci e di passeggeri provenienti da paesi appestati: essendochè il fabbricato fu disposto in modo che nel suo interno contiensi un altro Lazzeretto con un giro di mura isolato da quello esterno che lo racchiude. Nel qual secondo recinto venivano perfettamente isolati tutti gli appestati, per modo che il contagio bubbonico rimaneva costà obbligatamente estinto.
    Framezzo ai due primi Lazzeretti, di S. Rocco e di S. Iacopo, e parimente in riva al mare, esiste lo spedale di Osservazione , il quale può isolarsi al momento che si vuole dalla Terraferma, e mettersi tosto in una specie di quarantina. Fu eretto provvisoriamente all’epoca della comparsa in Livorno della Febbre Gialla (anno 1804); poscia venne perfezionato e reso più confacente allo scopo nei casi di sopravvenienza di malattie contagiose, come accadde nel 1817 per il tifo petecchiale, e negli anni 1835 e 1837 per l’infausta comparsa del morbo asiatico.
    Esposto tutto l’edifizio ad una libera ventilazione, è anche suscettibile di suddivisione per i diversi gradi di una stessa malattia
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    contagiosa, in guisa che questo spedale può riguardarsi come uno degli stabilimenti in simil genere che onorano l’umanità, la saviezza e la previdenza dal governo toscano.
    A maggior comodità degli ufiziali di sanità, dopo il ritorno del Granduca Ferdinando III, fu innalzata alla bocca del porto di Livorno una elegante, se non bastantemente comoda, palazzina di marmo, appellata l’Ufizio della Sanità .
    Tempii sacri al culto Cattolico . – La città di Livorno proporzionatamente alla sua popolazione ed al suo lustro scarseggia anzi che no di chiese; e quelle che vi esistono non può dirsi che siano di una grande capacità. In vista di ciò il Granduca Leopoldo II ha decretata la fondazione di quattro nuove chiese da doversi erigere in parrocchie assolute, fra le quali la maggiore sta attualmente edificandosi in spaziosa area, a tre grandi navate, per destinarla a nuova più dignitosa cattedrale.
    Il duomo attuale, dedicato a S. Maria Assunta e a S. Francesco e tuttora l’unica parrocchia plebana, siccome lo fu fino da quando Livorno non contava che poche centinaja di abitanti.
    Alla chiesa plebana di S. Giulia di Porto Pisano, ossia di Livorno, la quale in origine esisteva fuori del primo cerchio, fu sino dal secolo XVI aggregata un’opera, con altra chiesa sotto il titolo di S. Maria, situata dentro Livorno. Quindi la chiesa plebana associò all’antico titolo quello di S. Maria, finché nell’occasione forse della consacrazione del duomo attuale, fu preso per contitolare del nuovo tempio e per santo compatrono di Livorno, S. Francesco d’Assisi.
    Il pieveno di Livorno venne decorato del titolo di preposto nell’anno 1632, All’epoca stessa in cui la pieve di S. Maria, di S. Giulia e d; S. Francesco fu eretta in insigne collegiata.
    Il titolare della prima parrocchia di Livorno è stato conservato alla compagnia di S. Giulia, che é un pubblico oratorio molto ornato situato di fianco al duomo, devotamente frequentato ed ofiziato.
    A proporzione che Livorno andò
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    accrescendo di popolazione, prestarono ajuto al preposto pievano diversi cappellani curati di alcune chiese che di mano in mano si eressero in Livorno, le quali divennero perciò altrettante cappelle succursali. Tali sono le cure della Madonna, di S. Giovanni, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S. Ferdinando, ec.
    Il duomo è a croce latina di una sola navata con altar maggiore isolato e una grandiosa apside o tribuna. Evvi un capitolo composto di venti canonici, fra i quali cinque dignità, e di altrettanti cappellani con un sufficiente numero di chierici. Mancavi tuttora un seminario.
    Il duomo ha buoni a fresco nelle soffitte e quadri di pittori rinomati alle pareti ed agli altari. La vasca del battistero è un lavoro di marmo bianco di qualche merito per i tempi in cui fu fatto. Sono pure di marmo diversi mausolei, comecchè troppo gretto apparisca, in confronto del merito e di quanto per Livorno operò, quello ivi innalzato al governatore marchese Carlo Ginori.
    La Madonna (SS. Concezione, de’frati Minori osservanti), è dopo il duomo la chiesa più grande, la più centrale e la meglio uffiziata di tutte. Conta l’epoca stessa della chiesa maggiore, stantechè la sua fabbrica incominciò nell’anno 1598. Ha una sola navata, con l’aggiunta posteriore di un cappellone a cornu epistolae . I cultori di belle arti vi troveranno due eccellenti quadri di Matteo Rosselli, e uno dipinto dal Franceschini, detto dalla sua patria, il Volterrano.
    La chiesa di S. Caterina, dei frati Domenicani Gavotti, venuti a Livorno dal convento di S. Marco di Firenze, fu edificata insieme col claustro fra il 1704, e il 1716. La forma del tempio è ottangolare, ornato a stucchi con una cupola grande a proporzione del vaso. All’incontro piccolissima e sproporzionata é la cupola nuova di una più vasta chiesa, S. Benedetto, stata innalzata con i fondi a tal uopo destinati dalla pietà del negoziante livornese Benedetto Fagiuoli.
    La
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    chiesa ed il collegio di S. Sebastiano furono edificati dopo il 1633 a spese della comunità. Nel quartiere di Venezia nuova esiste la chiesa dei soppressi religiosi Trinitarj Scalzi, edificata ed arricchita da un capitano delle galere granducali.
    Dei conventi superstiti fuori della città di Livorno si conta attualmente il solo monastero della Madonna di Montenero. con meno di quattro altri conventi esistevano nel capitanato vecchio, oltre il vetusto spedale di S. Leonardo di Stagno; cioé, il convento di S. Jacopo d’acquaviva, degli Agostiniani Romitani; la Badia de’SS. Apostoli di Nugola, dei Monaci Maurini; il piccolo claustro di S. Maria della Sambuca , dei PP. Gesuati, ed il monastero di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta, dei Vallombrosani. – V edere Acquaviva (S. Iacopo di)badia di Nugola Val benedetta, Monte nero di Livorno e Sambuca nei monti livornesi.
    Altri culti praticati, o tollerati in Livorno . – Io non starò a porre in campo la questione, se debbasi alle larghe franchigie civili della Livornina , o piuttosto ai provvedimenti che accordarono una tolleranza religiosa, il maggior concorso di gente e di ricchezze derivato a Livorno; ne giova bensì far rilevare, che le più forti case di commercio livornesi appartennero a famiglie professanti culti non cattolici, e che la massima fortuna mercantile sembra importatavi dallo spirito di tolleranza, stato costantemente mantenuto da due e più secoli in questa città. Checchè ne sia, dirò che, dopo il culto dominante cattolico apostolico romano, si esercitano pubblicamente in Livorno tre riti ortodossi, e sono tollerati privatamente altri tre culti eterodossi, oltre il maomettano e l’ebraico. Essi riduconsi ai seguenti.
    1. I Greci uniti , quelli cioè di rito ortodosso, i quali professano obbedienza al pontefice romano. – La loro chiesa, dove si esercita il culto in lingua greca letterale, è dedicata all’Annunziazione di Maria. Fu fondata fino dal 1601, quando i Greci vennero chiamati a Livorno
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    da Ferdinando I per impiegarli nel servizio delle galere. La suddetta chiesa è uffiziata da due preti nazionali, uno parroco l’altro cappellano; ma non vi si potendo celebrare, a forma di quel rito, più d’una messa per giorno, havvi una cappella nel chiostro del locale medesimo per comodo del cappellano e dei sacerdoti forestieri dello stesso rito.
    Concorrono pure a delta chiesa i preti arabi, chiamati Melchiti, i quali professano un culto consimile, e solo differiscono dai Greci uniti in quanto che i Melchiti usano della litargia in lingua araba, celebrano la messa con pane fermentato, e si comunicano con le due specie.
    2. Gli Armeni cattolici . – Essi professano la religione cattolica romana con cerimonie diverse dal rito latino; usano della lingua armena, e consacrano in pane azimo. – La loro chiesa, dedicata a S. Gregorio, è uffiziata da tre sacerdoti, due dei quali fanno le veci di parroco; contuttociò si possono celebrare le messe latine anche i sacerdoti della città.
    3. Gli Arabi maroniti . – Esiste in Livorno espressamente per gli Arabi maroniti un monaco sacerdote del Monte Libano, che ha una cappella nel convento della Madonna dei frati Minori Osservanti. Egli dovrebbe celebrare la messa e gli uffizj divini in lingua siriaca; ma per comodo degli Arabi maroniti, che non la intendono, celebra parte della messa in Siriaco, e parte in Arabo.
    4. I Greci non uniti , altrimenti detti Greci orientali , o scismatici . – Nella loro chiesa, che è sotto l’invocazione della SS. Trinità, si pratica il rito della chiesa greca scismatica, sebbene esteriormente la loro liturgia armonizzi con quella dei Greci uniti , meno che nel simbolo della messa si omette la parola filioque . Essi dipendono dal patriarca greco eterodosso di Antiochia; quindi il loro culto è privato.
    Quantunque la religione dei Russi differisca alcun poco dalla
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    Greca orientale, entrambe però si assomigliano perfettamente nelle cerimonie, ancorchè la loro liturgia sia per lo più praticata in lingua russa, o Rutena. Quindi è che della chiesa medesima della SS. Trinita concorrono, oltre i Greci orientali, anche i Russi, il di cui Autocrate ne è il capo e protettore.
    I Greci scismatici hanno il loro speciale cimiterio dentro la nuova circonvallazione della città, fra il camposanto vecchio ed il nuovo cisternone.
    5. Gli Anglicani, o Episcopali . – Nella cappella degl’Inglesi, nella quale si usa la lingua nazionale, si esercita privatamente il culto dominante in Inghilterra, ossia l’ Episcopale . Havvi un ministro stipendiato dal loro governo, comecchè in essa cappella concorrino tutte le altre sette e riti soliti professarsi dagl’Inglesi, come: Presbiterani, Metodisti ec. – Nel modo che gl’Inglesi si servono a comune di uno stesso tempio, così hanno in comune un cimiterio, situato fuori degli spalti della distrutta porta del Casone; cioè, nella parte più ridente e forse la meglio fabbricata della nuova Città.
    6. I Luterani e Calvinisti . – La nazione Olandese‑Alemanna ebbe origine e cappella propria sotto il regno di Ferdinando I, dal quale ottenne, nel 1607, per mezzo del console della nazione Fiamminga residente in Livorno, la facoltà di erigere nella chiesa della Madonna una cappella con altare sotto l’invocazione di S. Andrea; e costà la nazione stessa ebbe anco sepoltura. Ciò dà ragione di credere, che gl’individui Olandesi‑Alemanni, stabiliti nei primi tempi in Livorno, professassero la religione cattolica, e non la protestante. – Fra i varj provvedimenti stati presi da quella casta, merita particolare menzione uno del 5 dicembre 1679, per essere quello forse il primo documento che dia a conoscere, come si associassero alla università Olandese‑Alemanna , persone attinenti e diverse confessioni eterodosse. Tale fu la deliberazione di acquistare un altro luogo conveniente ad uso di cimiterio, oltre la sepoltura che l’università stessa
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    aveva nella cappella di S. Andrea alla Madonna. Infatti il giardino ch’essa comprò nel nov. del 1683, fu ridotto a camposanto, dopo che Cosimo III, con sovrano rescritto del 18 febb. 1695, ne approvò l’uso. I membri della nazione Olandese, Alemanna goderono in passato diversi privilegii, ed il governo soleva dirigerle anco dei quesiti relativi al commercio. –( Vedere i Regolamenti di detta nazione stampati in Livorno nel 1832, e l’Articolo Commercio di sopra riportato). Attualmente nella sala, o cappella della nazione Olandese‑Alemanna , si pratica in privato il culto protestante, tanto di rito luterano, quanto calvinista e di tutte le numerose diramazioni di queste due riforme; le quali, sebbene in molti paesi disunite e avverse, in questa sala sembrano fra loro perfettamente concordi. La liturgia è praticata in lingua tedesca, e ne ha la cura un loro predicatore o ministro. – Anche gli Olandesi hanno a comune con tutti gli altri protestanti Tedeschi, Svizzeri ec. il loro camposanto, il quale è situato in fondo al Borgo reale presso il quadrivio delle Spianate.
    7. I Maomettani . – Benchè i Turchi non abbiano in Livorno una moschea, ne alcuna sala destinata al loro culto, pure anche a questi il tollerante governo toscano si degnò concedere un cimiterio murato, che può vedersi fuori della nuova porta a Mare, in luogo detto il Mulinaccio.
    8. Gli Ebrei . – L’università, o nazione degli Israeliti è la più ricca e più numerosa fra le credenze tollerate in Livorno; ed è costà dopo quella di Amsterdam la più decantata sinagoga. – Mentre si agita ancora in Francia, in Inghilterra e in qualche altra parte di Europa la questione, se convenga conferire agli Ebrei i diritti civili, essa fu già da gran tempo risoluta e stabilita in Toscana da Cosimo e da Ferdinando I, convalidata poi dai Granduchi successori, specialmente in favore degli Ebrei che
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    venivano ad abitare familiarmente a Pisa e a Livorno.
    Non vi fu per questi ultimi un ghetto proprio, ma sivvero un quartiere sugli spalti meridionali, non però circoscritto nè disgiunto dal restante della città, non ostante che da gran tempo sia stato loro concessa facoltà di acquistare e abitare case in altre strade. Solamente nella prima epoca venne loro interdetto di avere abitazione nella gran via Ferdinanda, come quella che può considerarsi fra tutte le altre la strada più nobile di Livorno.
    Col volgere però degli anni, si affievolirono e quindi svanirono le cause, per le quali anche costà erano state poste alcune interdizioni agl’Israeliti. L’elemento del commercio, assorbendo in Livorno tutti gli altri elementi, ve le ha quasi affatto distrutte.
    L’interdizione maggiore che colpiva in Livorno l’università giudaica era quella di non includere nella borsa del magistrato civico, fra i nomi dei benestanti, i mercanti o possidenti ebrei; talchè questi ultimi nou potevano essere eletti in rappresentanti il corpo decurionale, siccome non solevano tampoco essere ammessi alle civiche stanze della città. Ma la prima interdizione fu tolta dalla saviezza di Leopoldo I, la seconda dalla cittadinanza francese; il di cui governo favorì tanto gli ebrei di Livorno da non applicare a danno loro il decreto napoleonico dei 17 marzo 1808, col quale si sottoponevano gl’israeliti dell’impero francese a certe misure per frenare i poco caritatevoli usurai della nazione.
    Del resto, dopo la distruzione del tempio, e dacchè il popolo d’Israello divenne vagante, forse da credersi che non vi sia paese al pari di Livorno, in cui l’università ebraica abbia goduto mai più di una migliore esistenza civile, di una maggior quiete pubblica, di più estese onorificenze e favori. In una parola agli israeliti di questo paese non è testata preclusa altra via fuori di quella militare e del foro.
    La corporazione israelitica di Livorno fino all’anno 1625 fu soggetta a quella di Pisa; dalla quale chiese ed ottenne indipendenza per sovrano rescritto
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    del Granduca Ferdinando II. D’allora in poi i capi di famiglia raccolti in sinagoga procedettero all’elezione di 5 massari, sorta di magistrato, il quale presiede per l’economico al culto, che ha la gestione delle pubbliche aziende, che una volta conosceva delle cause civili e criminali, le quali insorgevano tra i loro nazionali, eccettuate peraltro quelle che portavano alla pena capitale, o a punizioni infamanti, e le cause dove intervenivano come parte individui di altra religione. Ma questo privilegio di fare gli ebrei da giudici nelle cause criminali fu tolto dal Granduca Leopoldo I, che limitò le attribuzioni dei massari ai giudizj civili e commerciali con l’appello all’auditore del governo, finchè tal privilegio fu abolito dal governo francese.
    La popolazione dei sette culti qui sopra nominati non figura in Livorno, appena per una quarta parte in paragone di quella israelitica; la quale ultima sta attualmente in confronto della popolazione cattolica livornese, come uno a dodici.
    Nella statistica della popolazione del Granducato redatta nell’anno 1745, quando tutta la popolazione di Livorno, dentro le mura, contava 3836 famiglie con 28040 abitanti, la cifra degli ebrei figura per 993 famiglie contenenti 8988 individui, nel tempo che gli eterodossi non erano più che 166 abitanti ripartiti in 33 famiglie.
    Inoltre dallo stato dell’anime del 1790 apparisce, che la popolazione della città di Livorno, esclusi i passeggieri, e i condannati ai pubblici lavori, nello stesso anno non superava 30349 abitanti, quando di questa stessa cifra facevano parte 8800 tra ebrei ed eterodossi.
    Finalmente nell’anno 1837, essendosi numerata la popolazione di Livorno dentro la nuova circonvallazione, senza far conto dei forestieri e dei forzati, ascendeva essa a 59564 abitanti, mentre quella della università israelitica non appariva più che di 4497 ebrei. Il qual ultimo numero d’israeliti trovavasi ripartito in 1350 fuochi, tra i quali si noveravano 68 famiglie miserabili, sussidiate dall’università o da sovvenzioni private.
    Se da un lato non dobbiamo avventurarci in ipotesi sul numero degl’israeliti primitivi venuti familiarmente a Livorno, dall’altro
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    lato non possiamo negare il loro vistoso e progressivo aumento nella prima metà del sec. XVII, tostoché nell’archivio della Comunità di Livorno ( Filza I a pag . 812) esiste la seguente nota delle bocche di quella città.

    - Anno 1633

    Bocche di Livornesi non Ebrei Compresi dentro la città di Livorno nell’anno 1633, Abitanti 7942
    Bocche di Ebrei nell’anno stesso, 700
    Totale Abitanti 8642
    - Anno 1642

    Bocche esistenti in Livorno nel marzo dell’ anno fior . 1642, Nº 10326
    Ebrei non compresi in detta nuaerazione, Nº 1175
    Parte della soldatesca della guarnigione
    sparsa per la città, escluso il presidio delle fortezze, Nº 645
    Forzati nel Bagno ( ne può dar nota lo serivano di quello ), N° -
    Nel nuovo accrescimento di Livorno, Nº 156
    Persone che sono nel Porto sopra i vascelli: ( non si sono numerate perché vanno e vengono ), Nº -
    Totale degli abitanti in Livorno e borghi, Nº 12302
    Fuori di Livorno, nel Capitanato vecchio ( anno medesimo 1642), N° 827
    Totale degli abit. Della Com. di Livorno nel 1642, Nº 13129

    Nella filza dell’archivio medesimo fu notato il numero degli ebrei stabiliti in Livorno nel 1645, i quali ascendevano gia a 1250 persone; sicchè dal 1633 al 1645, vale a dire nel breve periodo di 12 anni, la popolazione israelitica di questa città si sarebbe aumentata quasi del doppio.

    CENSIMENTO degli ebrei di Livorno eseguito in diverse epoche, estratto dalle note ufficiali di quella cancelleria israelitica.

    Ad anno compito 1738
    ebrei nati: 91, ebrei morti: 72, matrimoni di ebrei: 45, totale della popolazione: 3476

    Ad anno compito 1758
    ebrei nati: 84, ebrei morti:
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    149, matrimoni di ebrei: 39, totale della popolazione: 3687

    Ad anno compito 1784
    ebrei nati: 75, ebrei morti: 79, matrimoni di ebrei: 37, totale della popolazione: 4327

    Ad anno compito 1806
    ebrei nati: 105, ebrei morti: 131, matrimoni di ebrei: 36, totale della popolazione: 4697

    Ad anno compito 1808
    ebrei nati: 121, ebrei morti: 111, matrimoni di ebrei: 53, totale della popolazione: 4963

    Ad anno compito 1817
    ebrei nati: 105, ebrei morti: 124, matrimoni di ebrei: 43, totale della popolazione: 4633

    Ad anno compito 1833
    ebrei nati: 116, ebrei morti: 117, matrimoni di ebrei: 42, totale della popolazione: 4701

    Ad anno compito 1836
    ebrei nati: 134, ebrei morti: 107, matrimoni di ebrei: 30, totale della popolazione: 4497

    La superiore tabella pertanto ci darebbe a divedere, che la popolazione israelitica in un secolo non si accrebbe appena di una quarta parte, mentre nel periodo medesimo la popolazione cattolica quasi triplicò la sua cifra. Resterà a sapere se i calcoli sono stati in ogni tempo esatti, e se chi comandò la formazione dei rispettivi censimenti possa essere stato mai, e per parte di chi, nelle sue aspettative defraudato.

    Prospetto comparativo degli ebrei di Livorno negli anni 1745 e 1837.

    Anno 1745
    liberi: 3250, libere: 3445, coniugati dei due sessi: 2295, famiglie: 993
    Anno 1837
    liberi: 1308, libere: 1214, coniugati dei due sessi: 1975, famiglie: 1106

    Delle 1106 famiglie israelitiche esistenti nel 1837 in Livorno, più di una quarta parte e stata registrata nel ruolo di mendicità, sovvenuta come si disse, da sussidj mensuali o a determinate ricorrenze, nel tempo che una parte delle medesime è soccorsa da beneficenze private.
    Quasi la decima parte degli ebrei possiede beni stabili in Livorno, e circa 4 quinti di loro vi hanno anche domicilio. I tassati dalla camera di commercio, nel 1837 erano 245, e quelli paganti la tassa di
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    famiglia 473. – I negozianti benestanti, i banchieri e quelli esercenti traffici maggiori, o professioni liberali, nel 1837, ascendevano a 486 notabili; gli altri mestieranti ammontavano a 923 persone; fra tutti 1409 individui.
    Nel corso dell’ultimo triennio (dal 1834 al 1837) melgrado l’esempio dato da molti ebrei, nelle costruzione di fabbriche intraprese sotto l’aspetto di speculazione commerciale, il numero dei proprietarii israeliti non si mostra accresciuto, nè in proporzione assoluta, ne in relativa. Trovasi solamente nella loro statistica economica un qualche aumento nella massa generale dell’entrate; ma niun fatto dimostra che l’impiego del denaro in immobili abbia presentato mai agli israeliti delle grandi allettative.
    Minorarono forse alle case di Ebrei stabilite costà i lucrosi affari che esse facevano mediante i banchi di scontisti, parificati dopo l’apertura della Banca di sconto. Alla qual Banca si affrettarono molti Ebrei di associarsi col prendere quante più azioni potevano. Donde ne conseguì, che di 2491 azioni dalla Banca medesima dispensate, ne furono in un, fiat, assorbite 915 dagli israeliti, 445 delle quali spettanti a case livornesi.
    Stabilimenti Pii, e di pubblica carità esistenti in Livorno . – Fra le prime istituzioni di beneficenza sono da noverarsi gli ospedali destinati a prestar soccorso dalla languente umanità. – Livorno non ne contava meno di quattro innanzi che Leopoldo I li riunisse o nei due superstiti, Cui più tardi fu anche aggiunto lo spedale di Osservazione destinato alle malattie contagiose. Del primo spedale di Livorno sotto l’invocazione di S. Ranieri incontransi memorie fino dal principio del secolo XIV. Esso venne accresciuto di beni nel 1671 con quelli del soppresso convento dei Gesuati alla Sambuca, finchè per ordino del Granduca Leopoldo I, nel 1778, fu anch’esso incorporato allo spedale delle donne, sotto il titolo della Misericordia: e ciò nel tempo che l’ospedale di S. Barbera, riservato ai militari, restò riunito a quello superstite di S. Antonio. Quest’ultimo, destinato per gli uomini, fu edificato nel principio del secolo XVII
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    nel bel centro della città, ed ai secondi piani di casa; quindi fu progressivamente accresciuto di altre corsie disposte in differenti direzioni e livelli, nè troppo ventilate. Trovasi assistito fino quasi dalla sua origine dai Benfratelli, istituiti da S. Giovanni di Dio.
    All’ospedale degli uomini precedé di pochi anni quello nominato della Misericordia, perchè deve la sua origine alla pia associazione di questo nome, a quella stessa caritatevole congregazioue, fondata nel 1595 con lo scopo filantropico e con i regolamenti presi dalla madre di tutte le arciconfraternite di carità, da quella cioé della Misericordia di Firenze,
    Questa di Livorno, negli anni 1834 e 1837, acquistò nuovi titoli alla pubblica riconoscenza, e pareggiò in zelo ed in cristiane virtù la Misericordia fiorentina all’epoche delle pestilenze più micidiali.
    Oltre il prestere assistenza ed eccorrere in tutti i casi fortuiti di disgrazia, o di morti improvvise che avvengano nelle pubbliche strade, la stessa confraternita procura soccorsi spirituali o temporali ai carcerati, mediante una deputazione che porta il ben meritato titolo di Buonomini ; e l’unico suo assegnamento per supplire alle spese cansiste nelle questue, erogandone l’avanzo a soccorrere le famiglie bisognose che restano vittime di qualcuno di quei casi disgraziati.
    Monti Pii . – Livorno possiede due ricchi Monti Pii , stati eretti in due tempi diversi; al primo dei quali, fondato nel 1626 dal Granduca Ferdinando II, fu aggiunto nel 1681 un secondo Monte di Pietà per sovrano rescritto di Cosimo III. – Essi trovansi riuniti in un solo e vasto edifizio, appositamente fabbricato in via Borra, ed aperto nel 1708 sotto il duplice nome di Monte Rosso e di Monte Nero . – Furono inoltre instituiti tre vetturini, volgarmente detti Montini , per soddisfare in tutti i giorni anche festivi alle urgenze dei bisognosi.
    Fra gli stabilimenti di pia beneficenza sono pure due Case Pie, che una destinata a sottrarre
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    dalle funeste conseguense della miseria le fanciulle della classe del popolo nel così detto luogo Pio, e l’altra i poveri orfanelli nella Casa del Refugio .
    Alla prima fu dato principio nel 1682 con caritatevoli sovvenzioni dei cittadini. Tre anni dopo Cosimo III, per rescritto del 16 marzo 1685, assegnò al Luogo Pio tutto ciò che avesse potuto fruttare il diritto di registro delle polizze di sicurtà . Nel 1714 restò compita l’ornatissima chiesa contigua, della quale leggesi la seguente iscrizione.
    Pauperum Tempium, Pauperum Patris, qui Deus est, Domicilium venerari, Cosmi III M. E. D. Regii Pauperum Patroni in hoc Templo excitando, et demirare munificentiam, et imitare. – A.D. 1714.
    Nella prima casa ebbero per qualche tempo richiesto i ragazzi poveri dei due sessi, e perciò era chiamata la Casa Pia dei poveri mendicanti, ma in progresso di tempo essa fu limitata alle sole fanciulle povere, oppure orfane.
    Trovavasi di ragazzi oziosi, figli di miserabile gente quasi piena la città, quando il governatore di Livorno, Carlo Ginori, mosse a pietà molti de’principali negozianti, acciocchè concorressero all’erezione di una fabbrica per accogliervi quei garzoncelli, alimentarli ed istruirli nelle arti e mestieri più comuni col precipuo lodevolissimo scopo di destinare poi il maggior numero di essi al servizio della marina toscana.
    Dalla clemenza dell’augusto Granduca Francesco II fu ottenuta la permissione di erigere a tal uopo nel luogo del primo camposanto di Livorno la fabbrica progettata, per la quale fu posta la prima pietra il di 4 maggio 1755, e, dopo compita, datole il nome di Casa del Refugio .
    In questo stabilimento concorse efficacemente la generosa pietà dei Livornesi tanto che, nel 1760, si erano già raccolti e alimentati circa 500 orfanelli e ragazzi del povero; i quali per la maggior parte furono impiegati sulle navi per far da marinaro e il restante per garzoni di bottega.
    Dice
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    tutto l’iscrizione collocata sopra la porta dello stabilimento. Eccone copia:
    Imp. Caes. Francisco P. F. Aug. M. Etruriae Duce, publicae felicitatis Propagatore Adnuente, Pueris, Orfanis et inopibus alendis, vacantibus congregandis, rudibus, instituendis, quo formentur mores, tranquillitas constet, artes, et negotiatio civitatis augeantur, liburnenses, conlata pecunia, procotrophion aedificandum curavere; Anno Cristi ortu 1756.
    Entra finalmente a far parte (sebbene indirettamente) dell’istituto di pubblica beneficenza la cassa di risparmio aperta in Livorno dopo quella di Firenze, il cui scopo economico morale è quello di allettare l’artigiano a depositarvi quell’obola,
    che ai necessarii bisogni nei suoi giornalieri guadagni gli avanza, per riaverlo con frutto al giorno delle più pressanti sue urgenze.
    Stabilimenti di, istruzione pubblica . – Lo stato delle lettere e delle scienze, per verità, non si può dire che nei tempi andati fosse molto florido in Livorno, come non lo è generalmente nelle piazze mercantili, meno il caso che queste siano attualmente, oppure lo fossero una volta, città capitali, come Londra, Pietroburgo, Stocholm, Napoli, Genova, Venezia ec. – I Livornesi peraltro hanno tutte le disposizioni per camminare e progredire col secolo, talché anche in genere di pubblica istruzione sembra ch’essi non voglino restare indietro alle altre più cospicue città.
    Vediamo quello che era Livorno sotto questi due rapporti nei secoli trascorsi, o vediamo quello che é attualmente.
    Le prime scuole pubbliche furono quelle aperte sino dal 1633 in S. Sebastiano a carico della Comunità, la quale, per mostrare la sua gratitudine ai PP. Barnabiti chiamati a Livorno dall’arcivescovo di Pisa Giuliano dei Medici che vi fondò la suddetta chiesa, volle affidare alla loro cura l’istruzione dei giovanetti nella lingua latina, nelle lettere; nella fisica ec. Quindi, nel 1780, tal palazzo comunitativo fu trasportato nello stesso locale la pubblica biblioteca, che conta il suo principio dall’anno 1765, e che va gradatamente accrescendosi a spese della comunità, contandovisi adesso da circa 6000 volumi.
    La Comunità di Livorno oltre le scuole
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    di leggere, Scrivere e abbaco stabilite nel collegio di S. Sebastiano, provvede alla istruzione elementare della popolazione degli antichi subborghi, ora compresi nel nuovo cerchio della città, mediante quattro scuole primarie, due per i maschi e due per le femmine.
    Istituto del Paradisino . – L’origine di questa scuola per le zittelle rimonta solamente all’anno 1746 quando per 1e cure del preposto Alamanni essa fu aperta alle fanciulle di varie classi del popolo.
    Vent’anni dopo il governatore di Livorno, March. Bourbon del Monte, acquistò e ridusse per il nuovo istituto un palazzo in via S. Francesco che portava il distintivo di Paradisino . Soppresso in seguito per debiti l’istituto, fu ripristinato nel 1809 sotto il medesimo nome di Paradisino , coll’addossarsi gran parte del mantenimento la Comunità di Livorno, che gli assegnò, da primo una casa in Venezia nuova, e quindi, nel 1811, una porzione del già convento dei Gesuiti. Nel 1815 il conservatorio ricevè maggiori garanzie dal Granduca Ferdinando III che gli destinò altri soccorsi, affidandone la sorveglianza a una deputazione presieduta dal vescovo. Finalmente l’Augusto regnante, oltre al compartirgli nuovi sussidi, ha fatto ampliare il locale, dopo averlo sgravato della spesa annua della pigione.
    Nell’istituto del Peradisino si raccolgono tre ordini di fanciulle; quelle di prima classe vi hanno convitto; nella seconda classe sono comprese le giovinette civili che pagano un discreto salario
    alle maestre; il maggior numero peraltro spetta alla terza classe delle figlie di artigiani e del povero. Quest’ultime attualmente ascendono a circa 300, quelle di seconda classe sono poco più di 40, e sole cinque si contano di fanciulle a convitto.
    Scuole di carita de’SS. Pietro e Paolo . – Poco diverso dal precedente, e con lo scopo medesimo d’istruire cristianamente e civilmente le figlie dei Livornesi di tutte le classi, fu fondato da un ecclesiastico pieno di zelo e di carita, con le elemosine da esso raccolte nelle predicazioni, con
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    i larghi sussidii ottenuti dalle Granduchesse Maria Anna e Maria Ferdinanda, e con l’assegno annuo di 2300 lire, concesso dal Granduca regnante alle istanze del suo fondatore. In questi il prete Giovan Battista Quilici, il quale nel 1828 fuori degli spalti orientali, previa sacra solenne funzione, pose mano all’edificazione del locale, il quale già da un anno trovasi aperto al caritatevole asilo.
    Lo scopo delle scuole di carità consiste nel fare apprendere alle fanciulle di ogni condizione ed età un’educazione religiosa e letteraria, ma specialmente nell’addestrarle a seconda della loro classe nei lavori femminili. – L’istruzione è gratuita; bensì le figlie dei benestanti retribuiscono una mensuale spontanea oblazione, la quale viene impiegata (come nei conservatorj delle Salesiane) per dispensare giornalmente il vitto alle povere fanciulle, o a quelle di civile condizione decadute. Attualmente il numero delle alunne giunge quasi a 300, delle quali contansi un cento fra benestanti e artigiane, e 200 della classe povera. Le maestre che le assistono attualmente non sono più di dieci.
    Istituto per la marina e per i cadetti di artiglieria . – L’istituzione delle guardie marine nel bagno vecchio di Livorno porta la data del 1766, quando Leopoldo I, con rescritto dei 25 marzo, ordinò la scelta di 12 giovani di famiglie distinte da impiegarli nel servizio della marina di guerra della Toscana, farli esercitare sulle navi armate in tempo di campagna, e in tempo del disarmo poterli istruire nella matematica, nella nautica teorica, nella storia, geografia, disegno di fortificazioni, lingua francese e inglese, come anche nel maneggio delle tele e del cannone. Oltre a ciò, nel 1769, lo stesso Granduca ordinò l’istituto per i cadetti militari in apposito locale, nella Fortezza vecchia di Livorno. – Essendo stati col variare dei tempi soppressi entrambi cotesti istituti, essi vennero in qualche modo da Ferdinando III ripristinati, quando nei 1816 fu assegnato ai cadetti asseriti al battaglione di artiglieria l’antico locale della Fortezza vecchia, mentre le
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    guardie marine, senza obbligarle a timorare in Livorno, ebbero facoltà d’iniziarsi nelle dottrine opportune nei vari collegi e licei del Granducato e quindi completare il loro corso teorico della nautica e della matematica in Livorno.
    Scuola di architettura ed ornato del cav. Carlo Michon . – Ecco un’altra utile istituzione degna del secolo XIX, istituzione la quale onora il cuore e la mente dell’uomo benemerito che nel 1825 la fondò e che a tutto suo carico la mantiene, mediante l’assegno di un capitale fisso di lire 34500, oltre la gratificazione annua di lire 700 ch’egli stesso, in aumento: alla prima, và comprtendo agli zelanti maestri del suo istituto.
    È una scuola tutta destinata ad istruire i giovinetti ed a perfezionare gli artigiani nei mestieri meccanici, siano maestri muratori e ebanisti, legnaiuoli, scarpellini, cesellatori, pittori di riquadrature, tappezzieri, agrimensori, ec. Al qual fine ricevono gli alunni in questa scuola lezioni di geometria teorica e pratica in quella parte che riguarda direttamente l’architettura e l’agrimensura, e più lezioni di disegno, di ornato, di architettura, di agrimensura ec.
    Il numero degli scolari fu in origine limitato tra i 12 e i 18 giovanetti, dell’età almeno di 12 anni, purchè nativi o domiciliati in Livorno e suo distretto; ma il numero che vi concorse non fa mai minore di 28 a 30 alunni.
    La scuola e provvista non solo di arnesi necessarj per le lezioni di agrimensura e le livellazioni, ma possiede libri disegni, stampe e bassirilievi confacenti allo scopo.
    Alla fine di ogni biennio il maestro di ornato presenta al fondatore e direttore dell’istituto, cav. Michon, la nota degli alunni capaci di concorrere ai premj consistenti in una medaglia di argento del valore di 40 paoli fatta coniare espressamente. – Livorno già risente l’utilità di questa istituzione, avvegnachè più di cento allievi sono oggi in grado di esercitare con gusto e capacità le arti e mestieri di sopra accennati.
    Insegnamento mutuo . –
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    Questo istituto di carità reciproca può dirsi a buon diritto il modello delle scuole primarie dell’insegnamento infantile, sia per la generosa concorrenza di coloro che lo mantengono, sia per la buona disciplina che vi si pratica, come anche per il numeroso concorso dei figli più poveri del popolo, e per la proprietà e comodità dello spazioso locale a tal effetto nel 1836 edificato.
    Dei progressi di cotesto istituto, dello stato suo economico, e dei provvedimenti che si vanno prendendo da una società composta di circa 140 individui, rende conto annualmente nel giorno della distribuzione dei premj agli alunni meritevoli il segretario della stessa società, mediante un discarso che suole darsi alle stampe.
    Asili infantili . – Anche questo moderno ricovero dell’infanzia indigente va facendo vistosi progressi, mercè lo spirito di filantropia, gli ottimi sentimenti di alcuni cittadini ed una esemplare carità di molte signore, le quali in numero di 120 concorrono ad alimentare e nobilitare si bella fondazione con sostenerne le spese, provvedere ai bisogni, offrire in dono i lavori delle loro mani, ed assistere a turno le sale di asilo. La prima sala fu aperta nel sett. del 1834, in via S. Carlo dove tuttora esiste. Il metodo che vi si pratica è modellato su quello dell’asilo infantile ch’era già stato aperto in Pisa.
    Nel 1836, fu aperta una seconda sala di asilo in via Erbosa. – Circa 200 sono i fanciulli del povero stati accolti nei due ricoveri di carità, diretti da esperte affettuose e pazienti maestre, intente ad insinuare in quelle innocenti creature buoni principi di educazione, dietro la scorta dell’esperienza e della ragione.
    Istituto dei padri di famiglia . – Nuovissimo e veramente meritevole di elogio è l’istituto letterario che fu aperto in Livorno il primo agosto dell’anno 1833 da una società di padri di famiglia benestanti, con la mira di fere educare nelle lettere e nelle scienze i propri figli, invigilando a turno essi medesimi alla
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    letteraria loro educazione, a cominciare dall’età infantile sino alla loro prima giovinezza.
    Gabinetto letterario . – Fu aperto in piazza d’arme a Livorno nel 1823 dai sigg. prof. Giuseppe Doverj e dott. Giuseppe Gordini, con lo scopo di riunire in un centro comune le notizie dei più lontani paesi, le cognizioni di ogni progresso, i lumi di ogni scoperta, i resultati di ogni ramo scientifico, le cose d’ogni letteratura.
    Cotesto gabinetto letterario divenne infatti per sua natura il nucleo, dal quale germogliarono e sorsero diverse istituzioni filantropiche, le quali sotto i nomi di società medica, di società pel mutuo insegnamento, di quella per gli asili infantili, dei padri di famiglia, e della cassa di risparmio, naquero successivamente ed anche acquistarono forza e vita in cotesto stabilimento.
    Accademia Labronica . – Quest’accademia di scienze, lettere ed arti venne istituita ed approvata con sovrano rescritto dei 19 novembre 1816, ed il civico magistrato l’autorizza tenere le sue pubbliche adunanze nel salone comunitativo. Languiva ancora fanciulla quando, nell’aprile del 1837, credè di rinvigorirsi col rifondere i suoi statuti e ( ERRATA: coll’allargare) col ristringere le sue attribuzioni, proponendosi di promuovere in patria l’incoraggiamento, la propagazione delle cognizioni teoriche e pratiche, scientifiche ed artistiche, riguardanti l’industria, il commercio, l’agricoltura qualunque altro ramo di economia pubblica e privata.
    L’Accademia è fornita di una biblioteca di circa 6000 volumi, dono per la maggior parte de’suoi membri, e precipuamente di due benemeriti socj defunti, il dottor Gaetano Palloni, ed il di lei primo presidente, ( ERRATA: Pietro Carcuti) Pietro Parenti.
    Non dirò delle varie accademie letterarie che sono nate e morte in Livorno in diversi tempi, come quella de’dubbiosi, eretta nel 1644, e l’altra che gli succedè con il nome degli Aborriti, della quale contasi un volume di produzioni in versi, dedicato a Cosimo III sotto il titolo di Gioje poetiche pe’ la liberazione di Vienna.
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    A queste due estinte di languore vennero dietro nel secolo XVIII le accademie dei Compartiti , degli Adeguati , degli Affidati, dei Toscolidi, e infine quella che figurò ai tempi del governatore di Livorno March. Carlo Ginori, e del preposto archeologo FilippoVenuti; la quale accademia prese per titolo i Curiosi tella Natura.
    Finalmente l’unica superstite fra quelle nate nei secoli XVII e XVIII e l’accademia dei Floridi , che ebbe vita dopo l’anno 1797. – Essa é degna di menzione e di lode, perchè fra gli altri oggetti che si propose vi fu quello di stabilire e mantenere a benefizio del pubblico due scuole, una di nautica e l’altra di lingua inglese; di provvedere i migliori giornali politici esteri per comodo del commercio; di dare due volte l’anno accademie di musica o di poesia. – Possedeva a tal uopo un vasto e magnifico locale accanto al teatro nuovo che fu eretto nel 1806. Quello denominato il Giardinetto è stato di recente ricomprato da una nuova Accademia , detta del Casino , che lo fa restaurare e ripristinare all’antico uso.
    Anche l’altro teatro pubblico di Livorno fu eretto nel secolo passato da una società di filodrammatici, denominata gli Avvalorati .
    Il più moderno di tutti è il teatro diurno, o l’Arena, edificato nella parte orientale della città fuori degli antichi spalti.
    Livorno ebbe pure i suoi giornali letterarj. Nel 1752 si diede opera alla mensuale pubblicazione del Magazzino Italiano il quale dopo un anno prese il titolo di Magazzino Toscano , ed ebbe vita fino al 1757. – Sotto nome di il Mercurio delle Scienze mediche compare nel 1823 un giornale bimestrale, compilato e tenuto vivo per cinque anni da un numero di membri della nuova società medica di quella città.
    Finalmente vive e fiorisce in Livorno un giornale ebdomadario che non
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    si occupa di letteratursa né di scoperte, nè di scienze, ma unicamente del commercio. Tale è il titolo di quello compilato sino dal 1822 da Luigi Nardi, che si pubblica sotto la censura della Camera di commercio. Ha per scopo di accennare il movimento di quel mercato, i prezzi correnti di varii generi, il corso de’cambii, il valore delle monete estere e le osservazioni sul deposito, andamento e vendita delle mercanzie diverse nel porto-franco di Livorno, oltre i movimenti dei porti esteri gli avvisi e le leggi sul commercio dei paesi che trafficano con Livorno medesimo, e cose simili.
    Quanto agli uomini scienziati e di lelttere la lista dei Livornesi non é molto lunga, se pure non si voglia riempire di nomi sotto la mediocrità. – Trovansi alcuni di questi negli elogj pubblicati dal P. Giovan Alberto De Soria , livornese egli stesso stato professore di filosofia in Pisa. – Citerò fra i più distinti un Giacinto Cestoni naturalista che meritò l’amicizia e le lodi di Francesco Redi; citerò fra i meno antichi un poeta compito in Salomone fiorentino, un sobrio letterato in Ranieri Calzabigi, un classico cruscante nel bibliografo Gaetano Poggiali , un esimio maestro di violino in Pietro Nardini , un fortunato poeta in Giovanni dei ( ERRATA: Gamura ) Gamerra , succedute nella corte Cesarea al gran Metastasio. Fu un eloquente oratore sacro monsig. Roberto Ranieri Costaguti , vescovo di molte doti fornito; così due Baldasseroni, cioé Pompeo, autore dell’opera sulle Leggi e Costumi del cambio, l’altro, Ascanio, scrittore del Dizionario commerciale e del Trattato delle operazioni marittime. – Vuole la modestia che io non parli di alcuni livornesi viventi, per dottrina e per opere esimie da essi date alla luce, al pari che per azioni, meritevoli di non compri elogj.
    Stabilimenti pubblici relativi al commercio . – Sebbene all’articolo
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    Commercio siasi dato un breve cenno degli stabilimenti pubblici destinati al commercio di Livorno, pure dirò non senza maraviglia che una piazza mercantile, qual’é Livorno, dove il commercio è lo scopo principale, e quasi l’unico pensiero dei Livornesi più facoltosi, fu lungo tempo priva non solo di un tribunale di commercio composto di negozianti, ma ancora lo è di un edifizio destinato alla Borsa; siccome può dirsi, contare essa da pochi anni una Camera di commercio, e da poco più di un anno una Banca di sconto.
    Fa tuttora le veci di Borsa una pubblica strada (via Ferdinanda) nel punto più frequentato della città (la Tromba) in vicinanza della Darsena. Costà nelle ore della mattina si trattano i principali negozii; costà si fanno gl’incanti, costà si fissano le compre, le vendite, i cambj, ec. – Esiste bensì un locale chiamato le Stanze dei pagamenti , stabilimento forse unico nel suo genere, che offre un comodo grandissimo e disbrigativo ai negozianti, perchè vi si eseguiscono tutti i pagamenti di cambiali, di mercanzie, ec. in tre determinati giorni della settimana; ed è costà dove concorrono insieme debitori e creditori, i quali, mediante una reciproca compensazione ai ragionieri e cassieri delle Stanze, trovano gli uni e gli altri facilitate grandemente le operazioni di cassa le più laboriose e complicate, qualora eseguire si dovessero nei respettivi banchi, o individualmente.
    La Camera di commercio, istituita nel principio del secolo corrente, è composta di 12 negozianti, che cambiansi di due in due anni, scelti fra i nobili indigeni e quelli delle varie nazioni, purchè siano di qualche tempo domiciliati in Livorno. Cotesta Camera, che e la rappresentanza legale del commercio, corrisponde col governo per tutti gli oggetti di sua sfera. Ha la soprintendenza alla polizia della Banca o Stanze dei pagamenti , come pure sopra i sensali o mezzani della città e porto di Livorno.
    Attualmente il Tribunale di commercio o formato dall’antico Magistrato consolare di Pisa,
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    che venne nel 1816 traslocato in Livorno. Questo oltre le cause civili, indica in prima istanza quelle di commercio sulle tracce del codice francese, salve alcune modificazioni.
    Inoltre nell’anno corrente 1838, è stato aperto in uno dei tre palazzi della piazza d’arme, di fronte al duomo, un vago casino di commercio che conta 200 mercanti contribuenti. – Si stà pure trattando di erigere una gran società per le assicurazioni marittime, per gl’incendj, e per la vita dell’uomo, alla quale società corre voce che si voglia dare il nome esotico di Lloyd toscano.
    Monumenti d’arte
    . – Per le ragioni di sopra avvertite Livorno conta pochi monumeati di belle arti degni di fissare l’attenzione dei suoi cultori.
    Primo di tutti, e sorprendente monumento, è quello davanti alla darsena fatto innalzare da Cosimo II alla memoria di Ferdinando I suo padre, dove, in una piazzetta troppo angusta ergesi la statua pedestre del fondatore della prima città, scultura in marmo dell’artista fiorentino Giovanni dell’Opera . Alla sua base vi sono incatenati quattro schiavi di bronzo colossali, di età e di atteggiamenti diversi, gettati dallo scultore carrarese Pietro Tacca; e questi soli costituiscono tal monumento che non disdirebbe a una Roma.
    Fra le opere architettoniche contansi gli Acquedotti di Colognole, ed il grandioso Cisternone, entrambe le quali ram. menteranno ai posteri che, se i toscani del medio evo giunsero con le loro opere artistiche quasi a pareggiare gli antichi, i toscani moderni hanno saputo emulare quello della capitale del mondo, quello che a preferenza degli altri popoli si distinse specialmente nella costruzione di anfiteatri, di acquedotti e di strade militari.
    È altresì vero, che mancava a Livorno l’acqua dei pozzi da potersi dire potabile, allora quando nella prima fondazione a un tal difetto fu provveduto, con solamente col raccogliere quelle piovane in pubbliche cisterne, ma col portare in città per mezzo di un acquedotto della lunghezza di circa miglia quattro le acque perenni della collina
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    di Limone. – Ma neppure queste sorgenti riescirono allo scopo che desideravasi, stante la copia del tartaro ch’esse contenevano e che strada facendo depositavano. Quindi è che nel dicembre del 1791, il Granduca Ferdinando III incaricò varii ingegneri di visitare i territorj di Popogna e di Colognole, nel primo dei quali furono trovate sorgenti che gettavano 156 barili di acqua per ora, mentre quelle di Colognole si calcola che avrebbero fornito 400 barili d’acqua per ogni ora. In conseguenza di ciò fu emanato da quel Granduca il motuproprio dei 7 nov. 1792, per l’esecuzione dei nuovi acquedotti e annessi, appoggiandone in seguito la grandiosa spesa (salita a più che 4 milioni di lire toscane) per metà al R. erario, e per l’altra metà alla Comunità di Livorno.
    Potrei annoverare, fra gli stabilimenti di pubblica utilità, i varii edifizi ad uso dei bagni di mare, i quali richiamano Livorno nell’estiva stagione numeroso concorso di gente di vario ceto, di vario sesso e di diversa patria.
    Livorno è residenza di un vescovo suffraganeo dell’arcivescovo di Pisa, di un governatore civile e militare, presidente del dipartimeato di sanità, comandante supremo del littorale toscano dei cacciatori volontarj di costa, e nell’I. e R. marina. Egli è assistito da un auditore di governo faciente le veci di vicario regio. Vi suole stanziare un reggimento di truppe di linea, una compagnia di artiglieri del genio, e una di cacciatori.
    Evvi un ufizio della marina mercantile, un magistrato civile e consolare, una camera di commercio, due commissarii di polizia, un ufizio di esazione del registro, uno per la conservazione delle ipoteche, e vi si trova un ingegnere di circondario.

    DIOCESI DI LIVORNO

    La Diocesi di Livorno non è più antica dell’anno 1806, quando, ad istanza della Regina reggente l’Etruria per S. M. Carlo Lodovico, il pontefice Pio VII, con bolla data in Roma li 25 sett. di quell’anno, eresse il nuovo vescovado di Livorno, distaccando la sua insigne
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    collegista con altre quattordici parrocchie dalla giurisdizione ecclesiastica della chiesa primaziale di Pisa.
    Il perimetro del vescovado di Livorno, se si eccettuino alcune chiese in Val di Tora, come Vicarello e Colle Salvetti, rimaste alla diocesi pisana, può dirsi modellato a un di presso su quello della giurisdizione politica e civile del capitanato nuovo di Livorno; mentre la Diocesi di questo nome oltre il territorio della sua comunità, comprende quello di Rosignano, e una gran parte del distretto comunitativo di Colle Salvetti.
    Appartengono alla comunità di Livorno, dopo la sua chiesa cattedrale, le cure suffraganee della Madonna, di S. Giov. Battista, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S. Ferdinando, di S. Francesco in fortezza, e le 4 nuove parrocchie di S. Andrea, di S. Benedetto, della SS. Trinità, e dei SS. Pietro e Paolo, tutte dentro la città. Sono inoltre della campagna tre parrocchie suburbane; cioè, S. Matteo fuori della barriera fiorentina, S. Martino in Salviano fuori della porta maremmana, S. Jacopo in Acquaviva , e S. Lucia: ad Antignano fuori della porta a mare. Sui monti poi livornesi si contano le parrocchie della Madonna di Monte Nero e di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta. Appartengono, in quanto alla giurisdizione economica, alla comunità di Colle Salvetti, ma per l’ecclesiastica alla Diocesi di Livorno le parrocchie della natività di Maria di Castell’Anselmo , dei SS. Martino e Giusto alle Parrane, de’SS. Pietro e Paolo a Colognole, de’SS. Cosimo e Damiano a Nugola, e di S. Ranieri alle Guasticce ( ERRATA , si aggiunga :) e S. Michele al Gabbro .
    Spettano alla stessa Diocesi le parrocchie di S. Stefano a Castelnuovo della Misericordia e di S. Giavanni a Rosignano, entrambe comprese in quest’ultima comunità.
    La Diocesi di Livorno, dalle sua erezione in poi, è stata aumentata di dieci parrocchie, parte delle quali furono cure
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    succursali della sua cattedrale, mentre alcune altre chiese parrocchiali si vanno attualmente edificando, o già sono state fabbricate di nuovo.

    Prospetto della popolazione della Comunità di LIVORNO a tre epoche diverse.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; non cattolici -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 1562.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 1971; femmine 1807; adulti maschi 6989, femmine 6460; coniugati dei due sessi 3778; ecclesiastici dei due sessi 369; non cattolici 11160; numero delle famiglie 4512; totalità della popolazione 32534.
    ANNO 1837: Impuberi maschi 9777; femmine 14744; adulti maschi 10050, femmine 12109; coniugati dei due sessi 22781; ecclesiastici dei due sessi 306; non cattolici 6419; numero delle famiglie 11658; totalità della popolazione 76186.

    N. 1 PROSPETTO della Popolazione della COMUNITA’ di LIVORNO dell’anno 1833, divisa per Parrocchie.

    -PARROCCHIA: CATTEDRALE
    MASCHI coniugati n° 1145, adulti n° 1105, impuberi n° 954, ecclesiastici secolari n° 36, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 163
    FEMMINE coniugate n° 1233, adulte n° 1683, impubere n° 876, religiose n° -, non cattoliche n° 104
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1540
    TOTALE DEI MASCHI: n° 3403
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3896
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 7299

    -PARROCCHIA: Annunziazione
    MASCHI coniugati n° 19, adulti n° 20, impuberi n° 16, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 7, adulte n° 12, impubere n° 18, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 22
    TOTALE DEI MASCHI: n° 58
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 95

    -PARROCCHIA: La Madonna
    MASCHI coniugati n° 847, adulti n° 706, impuberi n° 578, ecclesiastici secolari n° 8, ecclesiastici regolari n° 15, non cattolici n° 30
    FEMMINE coniugate n° 848, adulte n° 916, impubere n° 562, religiose n° -,
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    non cattoliche n° 68
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1046
    TOTALE DEI MASCHI: n° 2184
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2394
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4578

    -PARROCCHIA: S. Gregorio degli Armeni
    MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 15, impuberi n° 3, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 1
    FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 12, impubere n° 5, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 9
    TOTALE DEI MASCHI: n° 28
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 22
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 50

    -PARROCCHIA: S. Caterina
    MASCHI coniugati n° 382, adulti n° 348, impuberi n° 303, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° 10, non cattolici n° 148
    FEMMINE coniugate n° 355, adulte n° 524, impubere n° 247, religiose n° -, non cattoliche n° 135
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 486
    TOTALE DEI MASCHI: n° 1200
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1261
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2461

    -PARROCCHIA: S. Ferdinando
    MASCHI coniugati n° 473, adulti n° 314, impuberi n° 522, ecclesiastici secolari n° 6, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2
    FEMMINE coniugate n° 474, adulte n° 610, impubere n° 484, religiose n° -, non cattoliche n° 4
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 620
    TOTALE DEI MASCHI: n° 1317
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1572
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2889

    -PARROCCHIA: Fortezza Vecchia
    MASCHI coniugati n° 29, adulti n° 217, impuberi n° 19, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 29, adulte n° 25, impubere n° 16, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 31
    TOTALE DEI MASCHI: n° 267
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 70
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 337

    -PARROCCHIA: Bagno de’Condannati
    MASCHI coniugati n° 69, adulti n° 128, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° -, adulte n°
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    -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° -
    TOTALE DEI MASCHI: n° 197
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° -
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 197

    -PARROCCHIA: S. Gio. Battista
    MASCHI coniugati n° 1051, adulti n° 1294, impuberi n° 852, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 84
    FEMMINE coniugate n° 1074, adulte n° 1580, impubere n° 1019, religiose n° -, non cattoliche n° 20
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1267
    TOTALE DEI MASCHI: n° 3296
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3693
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 6989

    -PARROCCHIA: S. Sebastiano
    MASCHI coniugati n° 725, adulti n° 609, impuberi n° 504, ecclesiastici secolari n° 35, ecclesiastici regolari n° 9, non cattolici n° 48
    FEMMINE coniugate n° 710, adulte n° 924, impubere n° 456, religiose n° -, non cattoliche n° 16
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 791
    TOTALE DEI MASCHI: n° 1930
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2106
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4036

    -PARROCCHIA: Cura Militare
    MASCHI coniugati n° 67, adulti n° 1371, impuberi n° 54, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 67, adulte n° 61, impubere n° 49, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 60
    TOTALE DEI MASCHI: n° 1493
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 177
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1670

    -PARROCCHIA: Spedale della Misericordia
    MASCHI coniugati n° 6, adulti n° 4, impuberi n° 2, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 14, adulte n° 56, impubere n° 3, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 8
    TOTALE DEI MASCHI: n° 14
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 73
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 87

    -PARROCCHIA: Spedale di S. Antonio
    MASCHI coniugati n° 30, adulti n° 27, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 18, non
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    cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 1, adulte n° 4, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2
    TOTALE DEI MASCHI: n° 75
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 80

    -PARROCCHIA: Acquaviva – S. Jacopo
    MASCHI coniugati n° 1817, adulti n° 1718, impuberi n° 1913, ecclesiastici secolari n° 10, ecclesiastici regolari n° 26, non cattolici n° 185
    FEMMINE coniugate n° 1929, adulte n° 2241, impubere n° 2462, religiose n° 1, non cattoliche n° 193
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2479
    TOTALE DEI MASCHI: n° 5669
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 6826
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 12495

    -PARROCCHIA: Antignano – S. Lucia
    MASCHI coniugati n° 141, adulti n° 118, impuberi n° 120, ecclesiastici secolari n° 5, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 141, adulte n° 106, impubere n° 89, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 155
    TOTALE DEI MASCHI: n° 384
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 336
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 720

    -PARROCCHIA: Montenero – S. Maria
    MASCHI coniugati n° 284, adulti n° 261, impuberi n° 242, ecclesiastici secolari n° 3, ecclesiastici regolari n° 6, non cattolici n° 1
    FEMMINE coniugate n° 284, adulte n° 243, impubere n° 240, religiose n° -, non cattoliche n° 1
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 237
    TOTALE DEI MASCHI: n° 797
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 768
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1565

    -PARROCCHIA: Valle Benedetta
    MASCHI coniugati n° 37, adulti n° 52, impuberi n° 55, ecclesiastici secolari n° 4, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 37, adulte n° 37, impubere n° 66, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 48
    TOTALE DEI MASCHI: n° 148
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 140
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 288

    -PARROCCHIA: Salviano - S. Martino
    MASCHI coniugati n° 1683, adulti
  •    pag. 167 di 194
    n° 1618, impuberi n° 1715, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 158
    FEMMINE coniugate n° 1691, adulte n° 1654, impubere n° 1681, religiose n° -, non cattoliche n° 211
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1217
    TOTALE DEI MASCHI: n° 5183
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5237
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10420

    -PARROCCHIA: SS. Matteo e Lucia
    MASCHI coniugati n° 2300, adulti n° 1360, impuberi n° 1601, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 24
    FEMMINE coniugate n° 2576, adulte n° 1465, impubere n° 1644, religiose n° -, non cattoliche n° 10
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1934
    TOTALE DEI MASCHI: n° 5304
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5695
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10999

    -PARROCCHIA: Gorgona
    MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 35, impuberi n° 10, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° -
    FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 6, impubere n° 7, religiose n° -, non cattoliche n° -
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 6
    TOTALE DEI MASCHI: n° 52
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 18
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70

    -PARROCCHIA: Ebrei del Ghetto
    MASCHI coniugati n° -, adulti n° -, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2373
    FEMMINE coniugate n° -, adulte n° -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° 2575
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° -
    TOTALE DEI MASCHI: n° 2373
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2575
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4948

    - La popolazione avventizia del Porto si considera circa
    TOTALE DEI MASCHI: n° 3000
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 3000

    -TOTALE
    MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 11320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217
    FEMMINE coniugate n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n°
  •    pag. 168 di 194
    11958
    TOTALE DEI MASCHI: n° 38372
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273

    N° II PROSPETTO STATISTICO della Popolazione della COMUNITA’ DI LIVORNO dal 1814 sino all’anno 1837

    -ANNO 1814
    MASCHI coniugati n° 8032, adulti n° 6408, impuberi n° 6928, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 46, non cattolici n° 2459
    FEMMINE coniugate n° 8535, adulte n° 8102, impubere n° 6668, religiose n° 16, non cattoliche n° 2571
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10532
    TOTALE DEI MASCHI: n° 24050
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 25892
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 499942

    -ANNO 1815
    MASCHI coniugati n° 8894, adulti n° 10161, impuberi n° 7186, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 59, non cattolici n° 2550
    FEMMINE coniugate n° 9337, adulte n° 8449, impubere n° 6889, religiose n° 18, non cattoliche n° 2628
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11322
    TOTALE DEI MASCHI: n° 29012
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27321
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56333

    -ANNO 1816
    MASCHI coniugati n° 8745, adulti n° 7892, impuberi n° 7445, ecclesiastici secolari n° 153, ecclesiastici regolari n° 65, non cattolici n° 2551
    FEMMINE coniugate n° 9489, adulte n° 8263, impubere n° 6996, religiose n° 20, non cattoliche n° 2577
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10398
    TOTALE DEI MASCHI: n° 26851
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27345
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 54196

    -ANNO 1817
    MASCHI coniugati n° 9415, adulti n° 9143, impuberi n° 7347, ecclesiastici secolari n° 167, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolici n° 2688
    FEMMINE coniugate n° 9770, adulte n° 8756, impubere n° 6852, religiose n° 21, non cattoliche n° 2626
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11787
    TOTALE DEI MASCHI: n° 28859
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 28025
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56884

    -ANNO 1818
    MASCHI coniugati n° 9669, adulti n° 8942, impuberi n° 7573, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 2806
    FEMMINE coniugate
  •    pag. 169 di 194
    n° 10036, adulte n° 9196, impubere n° 7347, religiose n° 17, non cattoliche n° 2739
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11373
    TOTALE DEI MASCHI: n° 29263
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29335
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 58598

    -ANNO 1819
    MASCHI coniugati n° 9622, adulti n° 12274, impuberi n° 7487, ecclesiastici secolari n° 172, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolici n° 2811
    FEMMINE coniugate n° 10146, adulte n° 9507, impubere n° 7214, religiose n° 20, non cattoliche n° 2780
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10596
    TOTALE DEI MASCHI: n° 32465
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29647
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62112

    -ANNO 1820
    MASCHI coniugati n° 9823, adulti n° 12026, impuberi n° 7766, ecclesiastici secolari n° 173, ecclesiastici regolari n° 82, non cattolici n° 2839
    FEMMINE coniugate n° 10189, adulte n° 9320, impubere n° 7618, religiose n° 34, non cattoliche n° 2830
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10575
    TOTALE DEI MASCHI: n° 32709
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29991
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62700

    -ANNO 1821
    MASCHI coniugati n° 10672, adulti n° 11673, impuberi n° 7720, ecclesiastici secolari n° 144, ecclesiastici regolari n° 83, non cattolici n° 2815
    FEMMINE coniugate n° 11207, adulte n° 9082, impubere n° 7673, religiose n° 28, non cattoliche n° 2794
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11123
    TOTALE DEI MASCHI: n° 33107
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 30784
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 63891

    -ANNO 1822
    MASCHI coniugati n° 10726, adulti n° 12007, impuberi n° 7991, ecclesiastici secolari n° 163, ecclesiastici regolari n° 92, non cattolici n° 2737
    FEMMINE coniugate n° 11413, adulte n° 9033, impubere n° 7791, religiose n° 18, non cattoliche n° 2856
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11275
    TOTALE DEI MASCHI: n° 33716
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31111
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 64827

    -ANNO 1823
    MASCHI coniugati n° 10744, adulti n° 12308, impuberi n° 7849, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 90, non cattolici n° 2873
    FEMMINE coniugate
  •    pag. 170 di 194
    n° 10927, adulte n° 9736, impubere n° 7795, religiose n° 26, non cattoliche n° 2928
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11400
    TOTALE DEI MASCHI: n° 34020
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31412
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 65432

    -ANNO 1824
    MASCHI coniugati n° 10784, adulti n° 12480, impuberi n° 8040, ecclesiastici secolari n° 151, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 2984
    FEMMINE coniugate n° 11150, adulte n° 9807, impubere n° 7937, religiose n° 18, non cattoliche n° 3026
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11509
    TOTALE DEI MASCHI: n° 34526
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31938
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 66464

    -ANNO 1825
    MASCHI coniugati n° 10530, adulti n° 12653, impuberi n° 8640, ecclesiastici secolari n° 146, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 3005
    FEMMINE coniugate n° 10973, adulte n° 10294, impubere n° 8181, religiose n° 18, non cattoliche n° 3035
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11498
    TOTALE DEI MASCHI: n° 35064
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 32501
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 67565

    -ANNO 1826
    MASCHI coniugati n° 10417, adulti n° 12913, impuberi n° 8247, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 91, non cattolici n° 2982
    FEMMINE coniugate n° 10860, adulte n° 11087, impubere n° 8688, religiose n° 18, non cattoliche n° 3033
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12057
    TOTALE DEI MASCHI: n° 34812
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 33686
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 68498

    -ANNO 1827
    MASCHI coniugati n° 10373, adulti n° 12849, impuberi n° 8543, ecclesiastici secolari n° 258, ecclesiastici regolari n° 106, non cattolici n° 3037
    FEMMINE coniugate n° 10652, adulte n° 11335, impubere n° 9047, religiose n° 18, non cattoliche n° 3095
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12080
    TOTALE DEI MASCHI: n° 35066
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34147
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 69213

    -ANNO 1828
    MASCHI coniugati n° 10673, adulti n° 12901, impuberi n° 8729, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 109, non cattolici n° 3040
    FEMMINE coniugate
  •    pag. 171 di 194
    n° 11081, adulte n° 11364, impubere n° 9118, religiose n° 17, non cattoliche n° 3153
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12100
    TOTALE DEI MASCHI: n° 35620
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34733
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70353

    -ANNO 1829
    MASCHI coniugati n° 10948, adulti n° 13742, impuberi n° 8902, ecclesiastici secolari n° 184, ecclesiastici regolari n° 104, non cattolici n° 3097
    FEMMINE coniugate n° 11264, adulte n° 11558, impubere n° 9203, religiose n° 18, non cattoliche n° 3183
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12374
    TOTALE DEI MASCHI: n° 36977
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35226
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72203

    -ANNO 1830
    MASCHI coniugati n° 10929, adulti n° 13484, impuberi n° 9212, ecclesiastici secolari n° 183, ecclesiastici regolari n° 100, non cattolici n° 3081
    FEMMINE coniugate n° 11358, adulte n° 10967, impubere n° 9463, religiose n° 30, non cattoliche n° 3117
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12415
    TOTALE DEI MASCHI: n° 36989
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35935
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72924

    -ANNO 1831
    MASCHI coniugati n° 10978, adulti n° 13823, impuberi n° 9303, ecclesiastici secolari n° 140, ecclesiastici regolari n° 119, non cattolici n° 3171
    FEMMINE coniugate n° 11562, adulte n° 11695, impubere n° 9636, religiose n° 16, non cattoliche n° 3187
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12519
    TOTALE DEI MASCHI: n° 37534
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36096
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 73630

    -ANNO 1832
    MASCHI coniugati n° 11125, adulti n° 13629, impuberi n° 9345, ecclesiastici secolari n° 147, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 3205
    FEMMINE coniugate n° 11639, adulte n° 12199, impubere n° 9698, religiose n° 18, non cattoliche n° 3271
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12782
    TOTALE DEI MASCHI: n° 37552
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36825
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74377

    -ANNO 1833
    MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 14320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217
    FEMMINE coniugate
  •    pag. 172 di 194
    n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11958
    TOTALE DEI MASCHI: n° 38372
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273

    -ANNO 1834
    MASCHI coniugati n° 11077, adulti n° 13871, impuberi n° 9314, ecclesiastici secolari n° 154, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 2872
    FEMMINE coniugate n° 11710, adulte n° 11711, impubere n° 10340, religiose n° 18, non cattoliche n° 2974
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13247
    TOTALE DEI MASCHI: n° 37389
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36753
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74142

    -ANNO 1835
    MASCHI coniugati n° 11400, adulti n° 14229, impuberi n° 9766, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 3052
    FEMMINE coniugate n° 11876, adulte n° 11967, impubere n° 10436, religiose n° 16, non cattoliche n° 3255
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13146
    TOTALE DEI MASCHI: n° 38708
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37550
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76258

    -ANNO 1836
    MASCHI coniugati n° 11174, adulti n° 14849, impuberi n° 9838, ecclesiastici secolari n° 174, ecclesiastici regolari n° 116, non cattolici n° 3268
    FEMMINE coniugate n° 11773, adulte n° 11628, impubere n° 10121, religiose n° 16, non cattoliche n° 3440
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13389
    TOTALE DEI MASCHI: n° 39419
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36978
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76397

    -ANNO 1837
    MASCHI coniugati n° 11164, adulti n° 14744, impuberi n° 9777, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 114, non cattolici n° 3137
    FEMMINE coniugate n° 11617, adulte n° 12109, impubere n° 10050, religiose n° 15, non cattoliche n° 3282
    NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 14596
    TOTALE DEI MASCHI: n° 39113
    TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37073
    TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76186

    N° III MOVIMENTO della Popolazione della COMUNITA’ DI LIVORNO dall’anno 1818 al 1837.

    -ANNO 1818
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno:
  •    pag. 173 di 194
    n° 58,598
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1264, femmine n° 1210, totale n° 2474
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 960, femmine n° 851, totale n° 1811
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 586
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 163
    CENTENARJ: n° 2

    -ANNO 1819
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 62,112
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1276, femmine n° 1270, totale n° 2546
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 810, femmine n° 864, totale n° 1674
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 532
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 194
    CENTENARJ: n° 2

    -ANNO 1820
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 62,700
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1318, femmine n° 1300, totale n° 2618
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1012, femmine n° 984, totale n° 1996
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 601
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 177
    CENTENARJ: n° 1

    -ANNO 1821
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 63,891
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1366, femmine n° 1260, totale n° 2626
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 854, femmine n° 918, totale n° 1772
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 526
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 192
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1822
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 64,827
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1373, femmine n° 1225, totale n° 2598
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 774, femmine n° 800, totale n° 1574
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 544
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 170
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1823
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 65,432
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1348, femmine n° 1230, totale n° 2578
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 822, femmine n° 799, totale n° 1621
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 486
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 156
    CENTENARJ:
  •    pag. 174 di 194
    n° -

    -ANNO 1824
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 66,464
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1311, femmine n° 1274, totale n° 2585
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 895, femmine n° 835, totale n° 1730
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 535
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 227
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1825
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 67,565
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1326, femmine n° 1302, totale n° 2628
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1193, totale n° 2313
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 537
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 173
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1826
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 68,498
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1351, femmine n° 1347, totale n° 2698
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 908, femmine n° 994, totale n° 1902
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 531
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1827
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 69,213
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1356, femmine n° 1313, totale n° 2669
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 941, femmine n° 988, totale n° 1929
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 585
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 152
    CENTENARJ: n° 2

    -ANNO 1828
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 70,353
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1429, femmine n° 1290, totale n° 2719
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 840, femmine n° 915, totale n° 1755
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 552
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 162
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1829
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 72,203
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1386, femmine n° 1278, totale n° 2664
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1267, femmine n° 1309, totale n° 2576
    NUMERO DEI
  •    pag. 175 di 194
    MATRIMONJ: n° 533
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 160
    CENTENARJ: n° 1

    -ANNO 1830
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 72,924
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1367, femmine n° 1380, totale n° 2747
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1078, femmine n° 1070, totale n° 2148
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 542
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1831
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 73,630
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1399, femmine n° 1336, totale n° 2735
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1081, femmine n° 1078, totale n° 2159
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 530
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 146
    CENTENARJ: n° 1

    -ANNO 1832
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 74,377
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1352, femmine n° 1338, totale n° 2690
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1133, femmine n° 1092, totale n° 2225
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 524
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1833
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 75,273
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1390, femmine n° 1317, totale n° 2707
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1126, totale n° 2244
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 557
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 155
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1834
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 74,142
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1450, femmine n° 1417, totale n° 2867
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1057, femmine n° 1009, totale n° 2066
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 590
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 149
    CENTENARJ: n° 1

    -ANNO 1835
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 76,258
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1324, femmine n° 1295, totale n° 2619
    NUMERO DEI
  •    pag. 176 di 194
    MORTI: maschi n° 1732, femmine n° 1704, totale n° 3436
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 510
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144
    CENTENARJ: n° -

    -ANNO 1836
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 76,397
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1384, femmine n° 1305, totale n° 2689
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1056, femmine n° 1019, totale n° 2075
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 679
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 134
    CENTENARJ: n° 1

    -ANNO 1837
    POPOLAZIONE di tutta la Comunità di Livorno: n° 76,186
    NUMERO DEI NATI: maschi n° 1401, femmine n° 1298, totale n° 2699
    NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1410, femmine n° 1448, totale n° 2858
    NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 583
    NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 136
    CENTENARJ: n° -

    N° IV RISTRETTO dei BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nell’anno 1837.

    NEL MEDITERRANEO

    - PROCEDENTI dai PORTI
    della TOSCANA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 1
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 35, pollacche e bombarde n° 10, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 22, feluche n° 32, leuti n° 904, navicelli n° 1133

    - PROCEDENTI dai PORTI dello STATO PONTIFICIO
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 1, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 61, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° 6, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 151, navicelli n° 44

    - PROCEDENTI dai PORTI di NAPOLI, SICILIA e MALTA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 2, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI:
  •    pag. 177 di 194
    pacchetti a vapore n° 54, navi e brigantini n° 95, pollacche e bombarde n° 19, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 18, feluche n° 24, leuti n° 222, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI del MAR NERO e COSTANTINOPOLI
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 16, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 347, pollacche e bombarde n° 31, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’ADRIATICO
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 45, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dia PORTI dell’ARCIPELAGO, sue COSTE e ISOLE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 34, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’EGITTO, CIPRO e COSTA d’ASIA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 38, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI della BARBERIA e MAROCCO
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n°
  •    pag. 178 di 194
    -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 55, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 3, feluche n° 1, leuti n° 76, navicelli n° 1

    - PROCEDENTI dai PORTI della SPAGNA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 28, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 1, leuti n° 22, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA MERIDIONALE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 26, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 101, navi e brigantini n° 54, pollacche e bombarde n° 21, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 46, navicelli n° 3

    - PROCEDENTI dai PORTI di GENOVA, sua RIVIERA, NIZZA ec.
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 2, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 85, pollacche e bombarde n° 50, tartane n° 24, barche e sciabecchi n° 136, feluche n° 162, leuti n° 494, navicelli n° 59

    - PROCEDENTI dai PORTI della CORSICA, SARDEGNA ed ELBA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° 6
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 30, navi e brigantini n° 11, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 15, feluche n° 42, leuti n° 611, navicelli n° 21

    OLTRE LO STRETTO

    - PROCEDENTI dai PORTI del PORTOGALLO
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -,
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    navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA SETTENTRIONALE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’OLANDA, AMBURGO ec.
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’INGHILTERRA, SCOZIA, IRLANDA ec.
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 101, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dalla SVEZIA, DANIMARCA, RUSSIA, ec.
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 39, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’AMERICA
    da GUERRA: pacchetti a vapore
  •    pag. 180 di 194
    n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 37, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - PROCEDENTI dai PORTI dell’INDIE ORIENTALI
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - TOTALE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261

    RICAPITOLAZIONE DEI BASTIMENTI
    da GUERRA N° 67
    MERCANTILI N° 5907
    TOTALE N° 5974

    N° V BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nell’anno 1837 con la distinzione delle rispettive Bandiere

    NEL MEDITERRANEO e OLTRE LO STRETTO

    - Con Bandiera TOSCANA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 83, navi e brigantini n° 129, pollacche e bombarde n° 30, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 36, feluche n° 55, leuti n° 1354, navicelli n° 888

    - Con Bandiera PONTIFICIA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi
  •    pag. 181 di 194
    n° -, feluche n° -, leuti n° 16, navicelli n° -

    - Con Bandiera NAPOLETANA e SICILIANA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 81, navi e brigantini n° 80, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° 4, barche e sciabecchi n° 24, feluche n° 37, leuti n° 253, navicelli n° -

    - Con Bandiera AUSTRIACA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 134, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera ELLENICA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 93, pollacche e bombarde n° 12, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera OTTOMANNA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera BARBERESCA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 1, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° -

    - Con Bandiera SPAGNUOLA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi
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    e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 10, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 2, leuti n° 28, navicelli n° -

    - Con Bandiera FRANCESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 6, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 31, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° 25, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 106, navicelli n° 1

    - Con Bandiera SARDO e PIEMONTESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 82, navi e brigantini n° 183, pollacche e bombarde n° 63, tartane n° 40, barche e sciabecchi n° 144, feluche n° 177, leuti n° 493, navicelli n° 85

    - Con Bandiera JONICA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 21, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera PORTOGHESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera OLANDESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 11, pollacche
  •    pag. 183 di 194
    e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera AMERICANA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera INGLESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 190, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° -

    - Con Bandiera SVEDESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 22, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera DANESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera RUSSA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 88, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera ANNOVERESE
    da
  •    pag. 184 di 194
    GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera PRUSSIANA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera CITTA’ ANSEATICHE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera BELGIA
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 4, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° -

    - Con Bandiera LUCCHESE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° -
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° 3, barche e sciabecchi n° -, feluche n° 274, leuti n° -, navicelli n° 287

    - TOTALE
    da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7
    MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e
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    brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261

    LIVORNO ecc. – Da aggiungersi al suo luogo. – Fra le membrane dall’ Archivio Generale de’Contratti riunite a quello DIPLOMATICO FIORENTINO havvene una del 31 gannajo 1423 ( stile fiorentino ) con la quale Neri di Francesco pagò ai camarlinghi del Comune di Firenze fiorini 216, soldi 13 e denari 4 in conto della prima paga del terzo anno che il Comune di Livorno e del Porto Pisano doveva in compensazione della gabella,m, come ancora in sussidio del salario che riceveva il capitano della Terra di Livorno .
    Inoltre citerò due riformagioni decretate dalla Signoria di Firenze nel 7 dicembre 1439, e nel 27 agosto 1460, relative ai lavori ordinati intorno al Porto Pisano , le quali possono leggersi nell’opera del GAYE, ossia nel Carteggio di Artisti inedito , conservandosi le sue originali nell’Archivio delle Riformagioni di Firenze. ( Provvis. Filza 132).
    Dicasi inoltre che l’ospedale attuale della Misericordia di Livorno conta la sua esistenza, anziché dal 1595, da un rescritto del Granduca Ferdinando II, col quale nell’8 gennajo del 1629 ( stile fiorentino ) fu accordata ai fratelli della Compagnia della Misericordia la facoltà di fabbricare in Livorno uno spedale per 40 letti nel luogo dove allora si segavano i diaspri per la real cappella di S. Lorenzo a Firenze.
    Difficilmente poi si tiene dietro agli accrescimento vistosi ed alle opere pubbliche, senza dire delle fabbriche private che s’innalzano giornalmente in Livorno. Oltre ciò che in succinto fu accennato a quell’articolo pubblicato nel 1837 aggiungerò, che si sono costruite cinque fra barriere e nuove porte: si sono aperte molte ed ampie strade urbane e suburbane; si sono edificati altri bagni pubblici, teatri diurni e notturni; nuovi tempj, nuovi campisanti per i protestanti di
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    varie nazioni, ed un seminario vescovile per i chierici della Diocesi la cui costruzione è assai innoltrata. Si è aperta una casa di mendicità; l’istruzione pubblica trova adesso una biblioteca nel locale dell’Accademia Labronica; l’illuminazione a gas anderà a rimpiazzare nell’anno 1846 quella aa olio; la strada ferrata che già da qualche tempo è in attività fra Pisa e Livorno arriva a Pontedera, è sperabile che fra due anni conduca a Firenze popolazioni ambulanti e merci. È stato innalzato sull’ingresso della via Ferdinanda un bellissimo castello d’acque denominato il Cisternino ; si sono abbattuti molti bastioni sulle mura del vecchio recinto che furono pareggiati al suolo; si atterrarono dalla parte della Darsena la porta Colonnella e quella della SS. Trinità, per le quali si esciva da Livorno al Molo, è stato coperto con spesa immensa una parte del Canale de’ Navicelli fra l’antico Borgo Reale e l’ingresso della Via Ferdinanda, monde ampliare vistosamente un vasto piazzale, che si appella del Voltone .
    All’Articolo poi DIOCESI DI LIVORNO sia aggiunto fra le sue chiese parrocchiali di campagna quella di S. Michele al Gabbro che trovasi in Comunità di Colle Salvetti, e la cura dell’ Ardenza , oltre le cinque nuove parrocchie dentro la città, cioè, di S. Andrea, S. Benedetto, S. Giuseppe, SS. Pietro e Paolo, e SS. Trinità.
    Nel 1833 la Comunità di Livorno contava una popolazione di 75273 Abitanti, en nel 1845 era salita a 80195 persone, cioè:

    POPOLAZIONE della COMUNITà DI LIVORNMO nell’anno 1845.

    Acquaviva, Abitanti N.° ( ERRATA : 1552) 1852
    Antignano, Abitanti N.° 905
    Ardenza ( cura nuova ), Abitanti N.°   695
    Gorgona (Isola della), Abitanti N.° 46
    LIVORNO, Cura militare della Madonna, Abitanti N.° 1547
    LIVORNO, S. Andrea, Abitanti N.° 7360
    LIVORNO, Annunziazione di Maria, Abitanti N.°
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    89
    LIVORNO, SS. Pietro e Paolo ( cura nuova ), Abitanti N.° 6353
    LIVORNO, S. Benedetto ( cura nuova ), Abitanti N.°   10039
    LIVORNO, S. Caterina, Abitanti N.° 4291
    LIVORNO, Cattedrale, Abitanti N.° 9116
    LIVORNO, S. Ferdinando, Abitanti N.° 2479
    LIVORNO, S. Francesco alla Fortezza, Abitanti N.°   349
    LIVORNO, S. Giuseppe ( cura nuova ), Abitanti N.°   6200
    LIVORNO, S. Giovanni Battista, Abitanti N.°   5553
    LIVORNO, S. Gregorio degli Armeni, Abitanti N.°   51
    LIVORNO, La Madonna, Abitanti N.°   4017
    LIVORNO, S. Martino in Salviano, Abitanti N.°   1204
    LIVORNO, SS. Matteo e Lucia ( porzione ), Abitanti N.°   1823
    LIVORNO, S. Sebastiano, Abitanti N.° 4006
    LIVORNO, SS. Trinità ( cura nuova ), Abitanti N.°   6600
    Spedale di S. Antonio, Abitanti N.° 223
    Spedale detto della Misericordia, Abitanti N.° 153
    Popolazione del Porto, Abitanti N.°   3000
    Bagno de’Condannati, Abitanti N.° 233
    Monte Nero, Abitanti N.° 1654
    Valle Benedetta ( porzione ), Abitanti N.°   357
    TOTALE Abitanti N.° 80195

    N.B. I molti Israeliti di Livorno sono stati compresi tra gli abitanti delle rispettive cura di Livorno.

    VIA REGIA SUBURBANA DI LIVORNO. È quel tronco di strada che rasenta le nuove mura dalla Barriera Fiorentina fino alla Barriera Maremmana per la lunghezza di miglia toscane 1, 75.

    VIE, o STRADE FERRATE APERTE o PER APRIRSI NELLA TOSCANA
    Ora che quasi tutto finisce in vapore, non solamente le Vie di mare, ma quelle ancora di terraferma si vogliono far correre da legni a vapore come mezzo più sollecito e più economico
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    di quello che offrono le vetture per le Vie regie, per le provinciali e comunitative praticabili dalle ruote, persuasi i più che nel risparmio del tempo l’uomo trova il vero guadagno.
    La Toscana sebbene siasi mossa con qualche lentezza, non ha voluto per altro essere delle ultime in Italia a procurare all’industria ed al commercio la risorsa modernissima di avvicinare dirò così fra di loro per mezzo delle Strade Ferrate le varie città di cotesta bella porzione d’Italia.
    Non starò a ripetere la lunga lista notificata dai fogli pubblici de’varj Battelli a Vapore che trasportano merci e passeggeri a Livorno, o che da Livorno conducono in brevi ore quelle e questi a Genova, a Marsilia, a Civitavecchia, a Napoli, a Palermo ecc. Né parlerò in anticipazione delle piccole barche a vapore che pure è da prevedersi un giorno saranno per correre nei canali e nei fiumi della Toscana in luoghi ed in stagioni più propizie a renderli navigabili. Né tampoco mi fermerò a enumerare quanti progetti si stanno facendo per aprire delle Strade a rotaje di ferro più o meno piane per l’Appennino toscano;e se poi tutti cotesti progetti siano suscettibili di essere dalla saviezza del Governo per il bene pubblico approvati, dondechè mi limiterò per ora a indicare, che previa l’approvazione sovrana si accorderà facoltà a varie Società Anonime di aprire nella Toscana le seguenti sette Strade Ferrate . – Vedere il SUPPLEMENTO alla presente Opera.

    VIA, o STRADA FERRATA LEOPOLDA. – Questa Strada destinata a ravvicinare in certo modo Livorno con tutti i paesi interposti alla capitale della Toscana fu approvata fino dal 1839, e sebbene dopo quasi 5 anni sia stato compito il primo tronco da Livorno a Pisa, vi è luogo a sperare che l’impresa essendo affidata ad una società anonima di proposito, vada essa con minore lentezza occupandosi della sua desideratissima continuazione. Il
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    grande concorso giornaliero delle persone, se non ancora delle merci, che per cotesto nuovo mezzo si recano da Pisa a Livorno, e viceversa, senza il minimo sinistro, fu talmente numeroso, e per gli azionisti soddisfacente, che a molti è venuta la smania di associarsi per via di azioni ai progetti di altre Strade ferrate della Toscana, senza calcolare se il tragitto sia troppo corto, o vicino ad altre Vie a rotaje di ferro. Una simile frenesia di speculare sul gioco che si fa attulmente in Inghilterra colle azioni per le Strade Ferrate da aprirsi in quel regno, fece dire a Lord Brougham nel Parlamento del 7 aprile 1845 parole poco favorevoli a cotesto nuovo mercimonio.

    VIA, o STRADA FERRATA LITTORANEA. – Ecco il progetto più grandioso, ecco la Strada a rotaje di ferro la più lunga, più aperta e più pianeggiante, qualora si eccettuino le due prime, di quante progettate furono finora in tutta la gibbosissima superficie della Toscana. La notificazione stessa che accorda gli studi per la Strada ferrata da Pescia a Pistoja , e per l’altra da Pistoja al Reno bolognese , ha conceduto facoltà ad una commissione sociale di effettuare frattanto gli studi preparatorj alla buona riescita della loro impresa onde poter costruire una Strada Ferrata che lambendo sempre il littorale della Maremma riesca per tal mezzo ad avvicinare Livorno, Pisa, Lucca, ecc. a Civitavecchia, a Roma, ed alla popolatissima città di Napoli.

    Alla Classe V. (ivi pag. 738) dove si parla delle VIE o STRADE FERRATE aperte o per aprirsi in Toscana , si aggiunga, che oltre le 7 Vie concesse dalla munificenza sovrana a varie società anonime , previa l’approvazione degli studi che si progettavano, ve ne sono tre altre, una detta Carbonifera di Massa Marittima , destinata a
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    recare il combustile fossile che escavasi in Montebamboli sino alla spiaggia del mare presso Follonica : una seconda da Seravezza al mare, e la terza da Prato a Firenze ,si può aggiungere, che alcune di esse non escono dalla categoria de’ progetti, mentre ad altre, non solo si è posto mano, ma si proseguono con molta attività.
    Fra le più antiche, e forse anche fra le più importanti, è la STRADA FERRATA LEOPOLDA, il cui lavoro ripartito in quattro sezioni attualmente si prosegue con grande impegno intorno alla terza sezione fra Pontedera ed Empoli. – Le due prime sezioni, che una da Pontedera a Pisa, l’altra da Pisa a Livorno, per il cammino di miglia 22 1/5 si trovano da qualche tempo in piena attività.
    Sono attualmente impiegati alla costruzione della terza sezione n° 3600 lavoranti.
    Il terrapieno è ultimato oggi (20 aprile) fino a Roffia, fra la posta della Scala e l’Arno, distante da Empoli miglia 4 _ circa, e può tenersi per fermo che i terrapieni della STRADA FERRATA LEOPOLDA (meno i ponti sui torrenti e fiumane) nel corrente mese di aprile giungeranno a Empoli.
    Terminati i terrapieni della terza sezione, verrà posto mano a quelli più importanti della quarta, cioè da Empoli a Firenze, e ci gode l’animo nel sentire, che l’ingegnere delegato sig. W.B. BRAY non vegga ostacolo nei lavori d’arte, talchè tutta la linea della STRADA FERRATA LEOPOLDA da Livorno a Firenze potrà essere posta in attività verso la fine dell’anno 1847. Faxint superi ut res cedat ex votis .
    Frattanto gioverà un confronto statistico fra i primi due tronchi della STRADA FERRATA LEOPOLDA, da Pontedera a Livorno, che corre come dissi miglia 22 1/5  con la STRADA FERRATA FERDINANDEA, che da Venezia a Padova corre quasi un’egual distanza, cioè, di miglia 22 _.
    Per questo confronto prendonsi per la LEOPOLDA i mesi di
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    novembre, dicembre, gennajo e febbrajo 1845 e 46, e per quella da Venezia a Padova gli stessi mesi, ma dell’ anno 1844 e 45, atteso che la linea da Pisa a Pontedera fu attivata soltanto il 19 ottobre 1845; e per la FERDINANDEA non si conosce ancora il bilancio di quei 4 mesi.

    MOVIMENTO

    La STRADA LEOPOLDA nei 4 mesi sopra indicati ha avuto un movimento di passeggeri 182,610. – La FERDINANDEA negli stessi mesi dell’ anno 1844 e 45 ha avuto un movimento di passeggeri 81,634; vale a dire in meno dell’altra, passeggieri 100,976.

    COSTO

    Nel piano stradale e armamento dei due tronchi della LEOPOLDA finora attivati, sono state spese lire 4,430,000 toscane, che ragguagliano a circa lire 200,000 per miglio toscano.
    Nel piano stradale della FERDINANDEA da Venezia a Padova sono state spese lire 7,059,010 che ragguagliano a lire 362,000 circa per miglio; dato allo spazio del lungo ponte sulla Laguna, che nel rendiconto è portato a lire 4,270,000.
    La valutazione di sole lire 660,000 ragguagliandolo sul prezzo di costo della STRADA FERRATA di Terraferma.

    INTROITO LORDO

    La SRADA LEOPOLDA ha incassato nei suddetti quattro mesi lire 8170 per miglio toscano
    La STRADA FERDINANDEA da Venezia a Padova nei quattro mesi sopra indicati lire 7830 per miglio.

    INTROITO NETTO

    La SRADA LEOPOLDA ha reso lire 5400 per ogni miglio.
    La FERDINANDEA ha reso lire 590 per ogni miglio.

    SPESE DEL SERVIZIO ATTIVO

    La STRADA LEOPOLDA ha speso il 58 1/3 per cento dell’incasso.
    La STRADA ha speso il 95 47/100 per cento dell’incasso.

    TARIFFE

    Sulla STRADA FERDINANDEA da Venezia a Padova.
    Per un posto di prima classe Lire, 4, 50 cent.
    Per un posto di seconda classe, Lire 3, 50 cent.
    Per un posto di terza classe, Lire 2
    Sulla STRADA LEOPOLDA da Livorno a Pontedera
    Per un posto
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    di prima classe, Lire 4
    Per un posto di seconda classe, Lire 2, 13, 4
    Per un posto di terza classe, Lire 1, 6, 8


    ACQUEDOTTI DI LIVORNO. Questo grandioso monumento di sommo benefizio alla popolosa città e borghi di Livorno renderà sempre cara la memoria di Ferdinando III che l'ordinò ed il governo di Leopoldo II che lo compì. Fu l'opera incominciata sul cadere del secolo XVIII sotto la direzione del celebre architetto Giuseppe Salvetti, a partire dalle copiose sorgenti di Camorra presso al villaggio di Colognoli sul dorso dei monti di Livorno, a undici e più miglia toscane all'oriente di questa città.
    Gli Acquedotti attraversano da uno ad altro colle per mezzo di ponti a doppie arcate, e s'internano nei poggi più elevati per via di spaziose gallerie sostenute da solidi pilastri di arenaria lumachella, che somministra la località, sino a che arrivati alle pendici delle colline di Limone sopra magnifiche arcate si dirigono ( ERRATA : borgo reale) per il passeggio nuovo di Porta Leopolda al grandioso Cisternone, recentemente compito col disegno del valente architetto Regio cavaliere Pasquale Poccianti. Quest'opera colossale che non invidia la magnificenza dei Romani, e che deve ricevere ogni giorno 18000 e più barili d'acqua, è divisa in due parti principali, in purgatojo, cioè, e in cisterna propriamente detta, destinata questa a ricevere le acque purgate, e trasmetterle per appositi orifizi e condotti di ferro fuso in vari punti della città e ne'suoi vasti annessi. È doppiamente coperta di volte e di tetto, sostenuto da 41 pilastri. Una galleria praticabile sotto il livello del suolo esterno giova a rendere più solidi i muri dell'edifizio, cui serve di nobile ornamento una elegante facciata con portico e ( ERRATA : cupola) gran nicchia, che da a questo sontuoso monumento un sempre più imponente e gradevole aspetto.


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati;
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    dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i
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    Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l'amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.
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Localizzazione
ID: 2445
N. scheda: 28170
Volume: 1; 2; 5; 6S
Pagina: 42; 717 - 793; 210, 705, 729, 738, 739 - 740; 123 - 124, 274 - 275
Riferimenti:
Toponimo IGM: Livorno - Acquedotto (a E)
Comune: LIVORNO
Provincia: LI
Quadrante IGM: 111-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1606022, 4823201
WGS 1984: 10.31343, 43.5558
UTM (32N): 606086, 4823376
Denominazione: Livorno (Cattedrale) - Vescovati della Toscana (Livorno) - Acquedotti di Livorno - Via Regia suburbana di Livorno - Via, Strada Ferrata Leopolda - Via, Strada Ferrata Littoranea
Popolo: (S. Giulia a Porto Pisano in) S. Maria Assunta e S. Francesco a Livorno
Piviere: (S. Giulia a Porto Pisano in) S. Maria Assunta e S. Francesco a Livorno
Comunità: Livorno
Giurisdizione: Livorno
Diocesi: Livorno
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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