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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Argentiera

 

(Argentiera - I Quattro Metati (a SO) - Monte Rocca (a N))

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    ARGENTIERA (Cast. de Argenteria). Castellare distrutto nel Monte omonimo del Pietrasantino. Del qual castello si trova fatta menzione nell’istrumento di divise fra i nobili di Corvaja e quelli di Vallecchia e consorti loro (ann. 1219). – Fra le chiese parrocchiali che esistevano nel piviere di S. Felicita in Val di Castella o di Caporciano, all’anno 1260, non se ne legge alcuna che riferisca al paese così chiamato. Lo che fa dubitare che il castello dell’Argentiera nominato nella carta del 1219 fosse, piuttosto che tale, una mera bicoccuccia, o casa torrita.

    ARGENTIERA, Argenteria. – Tre località montuose e metallifere della Toscana con questo nome vennero distinte nel medio evo; una nel territorio di Batignano sopra l’etrusca città di Roselle, l’altra nel poggio di Montieri alle spalle di Massa marittima; la terza nell’Alpe Apuana del Pietrasantino fra la vallecola della Versilia (canale di Rosina) e Val di Castello; Argentiere tutte situate in mezzo ai terreni cristallini, o in massa, spettanti ai gruppi montuosi che s’innalzano presso al litorale. – Vedere APPENNINO TOSCANO.
    Derivano la loro etimologia dalle cave di argento (
    Argenteriae) state aperte nei suddetti luoghi in tempi assai remoti.
    Parlano dell’Argentiera di Batignano e di Montorsajo pochi istrumenti del secolo XII. Uno di questi pubblicato dal Muratori (
    Ant. M. Aevi) riferisce a un conte Ildebrando degli Aldobrandeschi di Sovana e Grosseto, il quale rilasciò con titolo di enfiteusi ai Visconti di Batignano questo paese con le sue appendici e possessioni, fra le quali le miniere di argento e di piombo; miniere di cui godeva porzione il Visconte Ugolino di Scolaro, allorchè nel 1147 dandosi in accomandigia le rinunziò alla Repubblica senese.
    Vi sono memorie dell’
    Argentiera di Montieri sino dal secolo IX, quando spettavano al patrimonio Regio, amministrato, goduto
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    e bene spesso alienato dai marchesi di Toscana. In fatti uno di essi (Adalberto il Ricco) le donò ad Alboino vescovo di Volterra, e ai suoi successori, i quali ne fecero parte in seguito ai parenti loro de’Pannocchieschi, de’Belforti ec. o ai protetti (e fra questi i monaci di S. Galgano), e talvolta i vescovi medesimi tali cave in altri effetti permutarono e per debiti o per debolezza di mezzi oppignorarono e infine perderono. – Trovasi una qualche conferma di ciò in un istrumento del novembre 1137, esistente nell’Archivio dello spedale della Scala di Siena, in forza del quale Adimaro vescovo di Volterra permutò con Ranieri vescovo senese la metà dell’Argentiera, del castello e borgo di Montieri; essendo che tali proprietà e diritti erano stati dal suo predecessore Crescenzio ricomprati dalle mani del conte Ranuccino Pannocchia. In compenso della quale permuta la chiesa senese rilasciò tutto quanto essa possedeva nel territorio di Scorgiano sulla Montagnola (ANNAL. CAMALD.).
    Dopo la metà del secolo XIII Ranieri vescovo eletto di Volterra creò un debito di 6600 lire con la famosa banca senese de’Buonsignori e C.C. per l’oggetto di portarsi a Roma, oppignorando (15 Marzo 1252) le
    miniere e vene di argento insieme col borgo e castello di Montieri. (ARCH. DIPL. FIOR. Convento di S. Francesco di SIENA)
    Assai più famigerato e dovizioso in metalli è l’altro monte dell’Argentiera sopra Pietrasanta. Questo fa parte di un contrafforte occidentale dell’Alpe di Farnocchia, propaggine dell’Alpe Apuana che scende fra i valloncelli di Rosina e di Val di Castello, anticamente di
    Val bona.
    L’ossatura visibile di esso monte consiste in un calcareo cristallino e sublamellare che termina nei sui fianchi in calcareo cavernoso e ruvido, in cui trovansi penetrate masse di steaschisto argentino e
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    lucente a grana minuta, che prende bene spesso la fisionomia del gnéis. È questi filoni che corrono generalmente nella direzione del gruppo di quest’Alpe, cioè, da maestro-ponente a scirocco-levante; è là dove furono aperte e dove si vanno oggi giorno con impegno a riattivare da due Società Montanistiche le miniere di piombo argentifero del Pietrasantino. Quelle che guardano la faccia meridionale si appellano dell’Argentiera, l’altre al settentrione del monte medesimo portano il nome di Gallena e del Bottino. Alcuni di essi filoni continuano dalla parte di Val di Castello anche nel Monte S. Anna e in altri contrafforti inferiori all’Argentiera, penetrati attraverso il calcareo granoso e bolloso. Vero è che qua più che altrove predominano i filoni di ferro in stato di solfuro, di ferro oligisto e ossidato, mentre nei filoni schistosi dell’Argentiera, tanto nell’uno che nell’altro fianco, abbonda il solfuro di piombo argentifero accompagnato da zinco, da antimonio, e qualche rara volta da altri metalli, non che dalla barite solfata.
    Le dispendiose e profonde gallerie, o cunicoli scavati nei tempi trascorsi senza i sussidii che fornì poscia all’arte dei minatori la scoperta della polvere da cannone, mostrano la potenza di chi le une e gli altri ordinò. Con tutto ciò mancano dati da assicurare se tali antiche escavazioni ripetere si debbano dai re Longobardi o dai governi che prima di essi dominarono nel paese in questione.
    Comunque vadano le bisogna, l’epoca meno dubbia, rapporto all’attività in cui furono le miniere argentifere del Pietrasantino, è quella dei primi secoli dopo il mille, mentre una consorteria di nobili Longobardi signoreggiavano nella contrada sino da quel tempo denominata
    Versilia, dal fiume che si disse più tardi di Serravezza. Erano i più potenti fra questi Valvassori coloro che tennero sede nelle distrutte rocche di Corvaja e di Vallecchia.
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    Il documento più vetusto su tal rapporto, pervenuto sino alla nostra età, è un Lodo pronunziato a Terra Rossa nel 13 maggio 1203 sopra alcune liti vertenti tra il vescovo di Luni e i marchesi Malaspina contro i signori di Vezzano, quelli di Versilia e i loro consorti, col quale Lodo al vescovo e ai marchesi fu riservata la terza parte del prodotto dell’Argentiera. (MURAT. Ant. Estens.)
    L’altro documento è un contratto di concordia del dì 9 ottobre 1219 sulla demarcazione dei confini e respettivi diritti baronali fra i nobili di Vallecchia e quelli di Corvaja. Ivi si dichiara, che le miniere dell’Argentiera di
    Valle bona e di Galleno, tanto quelle in attività, quanto altre che ivi apparivano, dovessero appartenere ai signori di Vallecchia; o che le altre situate nel lato opposto del monte verso Stazzema fossero di libera proprietà dei nobili di Corvaja: “Argentariae vero de Vallebona, et de galleno, quae nunc sunt, et nunc ibi apparent sint Dominorum de Vallecchia. Argentariae de Stazzema, quae nunc sunt, et nune ibi apparent sint Dominorum de Corvaria et ad eos pertineant, ec. (MEMOR. LUCCH. T. III) Nello stesso documento si fa menzione della Villa di Galleno e del Castello di Argentiera, da lunga pezza annichilato sul poggio che porta il nome di S. Anna. – Nel 1348 la Repubblica pisana avendo esteso il suo dominio nella Versilia, mentre rilasciava alcuni diritti baronali ai nobili di quella valle, erogava a favore dello Stato la Regalia delle miniere del Pietrasantino (DAL BORGO, Docum. Pis.) Erano le miniere dell’Argentiera, già abbandonate quando il paese passò sotto la giurisdizione della Repubblica di Firenze (ann. 1515), e finalmente sotto i Granduchi di Toscana.
    Devesi al genio intrapendente di Cosimo I che ambiva, dove un qualche plausibile
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    indizio si presentava, di fare rintracciare le ricchezze minerali nascoste nelle viscere dei monti toscani, devesi, diceva, al Gran Duca la riattivazione di tali opere, le quali furono argomento di lode non solo ai cortigiani di Cosimo (Serguidi, Angelo da Barga e Sanleonino); ma ancora due distinti naturalisti (Aldovrando e Andrea Bacci) segnalarono l’Argentiera Pietrasantina fra le miniere più singolari della Toscana.
    Escavazioni siffatte furono continuate anche sotto il regno dei due Granduchi suoi figli, Francesco I e Ferdinando I, sino al 18 settembre 1592.
    Le più rinomate e copiose vene di piombo argentifero estraevansi dalle cave del Bottino e da quelle dell’Argentiera. – Sotto Cosimo I non si lavorò che alle vene di solfuro di piombo argentifero, eccettuata una di
    arsenico argentale, nella quale per qualche anno scavarono esclusivamente due Canopi tedeschi a lire sei per ciascuno la settimana. Oltre le gallerie dell’Argentiera e del Bottino, sotto il primo Gran Duca si aprirono nel monte medesimo quelle denominate del Boddajo e di S. Cristofano. Sotto Franceso I furono ricercati i filoni metalliferi del Zolfello,della Castagnola, e di Canal bujo; mentre ai tempi di Ferdinando I si aprirono altri cunicoli nei luoghi di Rovinucchia, della Compagnia, e del Pestone; ma tutti questi scavi appena fornivano in una settimana altrettanto minerale, quanto quello che traevasi in un giorno dalle miniere del Bottino e dell’Argentiera.
    In quest’ultima vi lavoravano quasi costantemente 12 minatori; in quella del Bottino il numero dei lavoranti non fu mai minore di 22 sino a 35 fra tedeschi e italiani, assistiti e diretti da uno o due soprintendenti alemanni. Il numero totale dei minatori sotto
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    il governo Mediceo impiegati alle miniere sopraindicate, era di circa 70: tra i quali due fonditori e un partitore, dipendenti da un maestro generale Giovanni Giegglez. L’amministrazione economica era affidata a un provveditore e a un camarlingo residenti a Pietrasanta.
    Il combustibile traevasi in gran parte dalle selve del Pietrsantino e dei monti o luoghi contermini. In Rosina presso il canale dello stesso nome (l’antica Versilia) esistevano due forni destinati alla fusione del minerale e alla raffinazione dell’
    opera, ossia del piombo ricco; il quale ultimo soleva rendere all’Amministrazione mezza libbra di argento per ogni quintale.
    Il prospetto qui annesso dell’Entrata e dell’Uscita di queste miniere, preso negli anni della loro più prosperosa lavorazione, giova a confermare quanto fossero veritieri il
    Segni e il Tebalducci, sul rapporto alle spese fatte dai due primi Gran Duchi per le miniere in questione, benchè, o sia per malizia, o sia per l’ignoranza dei Montanisti che vi presedettero, il frutto non compensava mai la spesa.
    Per la qual cosa Ferdinando I, avendo dubitato che il minor prodotto derivasse per difetto di metodo o per negligenza dei fonditori e raffinatori, con Rescritto del 26 settembre 1588 comandò al camarlingo di Pietrasanta, Marcello Strozzi, che si dismettesse di fondere sino a che non fosse arrivato di Lamagna un sommo perito dell’arte. Il qual sommo maestro Carlo Todesco, giunse poco appresso alle Argentiere Pietrasantine, nel dì 28 gennajo 1589, con ordine di Sua Altezza Serenissima ch’egli vegga tutte le miniere, e si fonda e faccia quanto commette. – In fatti trovasi nei libri di tale Amministrazione, che fu ripreso il lavoro della fusione e raffinazione sotto il dì 10 febbrajo di detto anno 1589 stile fiorentino equivalente al febbr. 1590. Ma non vedendo
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    quel Regnante gran fatto migliorate le bisogna; o che si volesse addebitare ciò all’impoverimento della miniera, o che egli restasse convinto, siccome sembra più plausibile, dell’infedeltà o ignoranza dei lavoranti, fatto stà, che un bel giorno (18 settembre 1592) fu fatto smettere e abbandonare in tronco ogni miniera del Pietrasantino.
    Gli arnesi ritrovati nelle galleria dell’
    ARGENTIERA dai nuovi impresari di questa abbandonata risorsa mineralogica, e l’ubertoso prodotto dei filoni metallici ivi recentemente riscontrati, giustificano a sufficienza il sospetto, che il decreto del settembre 1592 venisse fulminato piuttosto contro l’avidità degli uomini, che contro la sterilità della natura. – Vedere MINIERE DELLA TOSCANA, PIETRASANTA, e SERAVEZZA.
Localizzazione
ID: 245
N. scheda: 3080
Volume: 1
Pagina: 128 - 131
Riferimenti:
Toponimo IGM: Argentiera - I Quattro Metati (a SO) - Monte Rocca (a N)
Comune: STAZZEMA
Provincia: LU
Quadrante IGM: 104-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1601853, 4870228
WGS 1984: 10.27076, 43.9797
UTM (32N): 601917, 4870403
Denominazione: Argentiera
Popolo:
Piviere: (S. Giovanni e S. Felicita di Val di Castello)
Comunità: (Stazzema) Pietrasanta
Giurisdizione: Pietrasanta
Diocesi: Pisa
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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