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Mangona, Mangone (S. Bartolommeo)

 

(Mangona)

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    MANGONA o MANGONE in Val di Sieve. – Castello con sottostante villaggio che diede il titolo e fu capoluogo di un’antica contea, la cui contrada diede e conserva tuttora il vocabolo a due popoli (S. Bartolommeo e S. Margherita a Mangona) appartenuti alla pieve di S. Gavino Adimari, o rassegnati a quella di Barerino di Mugello, che è 3 in 4 miglia toscane al loro ostro-scirocco di questa stessa Comunità e Giurisdizione Diocesi e Compartimento di Firenze.
    Il castello di Mangona, ora in gran parte diroccato, è situato sopra la cresta di uno sprone meridionale che staccasi dall’Appennino di
    Monte piano, il quale sprone divide la valle superiore della Sieve da quella del Bisenzio. Alla base del poggio di Mangona lambisce verso libeccio il torrente Lora, e dalla parte di levante il torrente Magio che versa le sue acque sotto la villa di Cirignano della fiumana Stura e questa con il Lora poco lungi di là si perdono insieme nel fiume Sieve.
    Dell’origine del castello di Mangona ora sarebbe inutile cosa andare in traccia; gioverà piuttosto alla storia il riprendere qui le memorie dei varii dinasti che dopo il mille fino al secolo XV in Mangona con mero e misto impero dominarono, voglio dire dei conti Cadolingi, dei C. Alberti loro consorti, di un Salimbeni di Siena come marito di una contessa Alberti erede, e finalmente dei conti Bardi che a titolo oneroso le contee di Vernio e di Mangona dal Salimbeni acquistarono.
    – Vedere ABAZIA a SETTIMO, ADIMARI (S. MARTINO) BADIA di MONTE PIANO, MONTE CARELLI e VERNIO.
    Basti il dire che la contea di Mangona con quelle di Vernio, dello
    Stale, di Castiglion de’Gatti nell’Appennino bolognese, ecc. dipendevano da una sola consorteria di magnati,
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    i quali dal secolo X in poi divisero i loro feudi e suddivisero la stirpe medesima in più branche, e famiglie di conti.
    Sino dal secolo XII la contea di Mangona era toccata a un ramo della casa Alberti, detti i conti di Prato, siccome tale lì appalesava un diploma dell’Imp. Federigo I spedito nell’agosto 1164 da Pavia a favore di un conte Alberto figlio di altro conte omonimo, e nipote di un terzo conte Alberto, il quale conte, avo del privilegiato Alberto, aveva ottenuto dai re d’Italia una investitura consimile a quella che Federigo I nel 1164 rinnovò al C. Alberto di lui nipote, investitura in cui trovasi specificato non solamente Prato con molte altre castella di Val di Bisenzio, di Val d’Elsa di Val di Pesa, e della Maremma di Massa, ma ancora questo di Mangona con il contiguo paese di Cirignano e sue pertinenze. Comecchè questo non sia luogo opportuno da dovere indagare quali fossero di autori del conte Alberto di Mangona giuniore stato beneficiato da Federigo I, giova però che io qui rammenti un altro privilegio concesso fino dal 1155 allo stesso C. Alberto di Mangona da Arnaldo arcivescovo di colonia e arcicancelliere del regno d’Italia per Federigo I; col quale privilegio al giovinetto conte Alberto, sopracchiamato
    Nottigiova, furono confermati tutti quei feudi che aveva ottenuti in dominio il padre e l’avo di lui con i medesimi titoli ed esenzioni. (ARCH. DIPL. SANES. Carte della città di Massa).
    Inoltre dirò, che all’avo del conte Alberto, stato privilegiato da Federigo I, debbono riferire due pergamene della badia di Passignano ora nell’
    Arch. Dipl. Fior. scritte nell’ottobre e dicembre dell’anno 1098; le quali vertono intorno a una rinunzia fatta dall’abate del Mon. di Passignano di una porzione del castello della Ripa in Val di Pesa
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    a favore del C. Alberto figlio di altro C. Alberto ivi presente con un suo figliuolo dello stesso nome. In ricompensa di che i due conti, padre e figlio, promisero all’abate e ai monaci di Passignano di non recar loro molestia e di lasciarli tranquilli possessori dei beni spettanti alla loro abazia, purchè questi fossero situati dentro i confini della giurisdizione baronale dei conti medesimi. Arroge a tutto ciò, che nell’anno 1075, di marzo, un conte Alberto figlio del fù conte Ildebrando dava a livello terreni posti nei contorni di Cojano presso il fiume Bisenzio contro un convenuto canone annuo da recarsi alla corte dello stesso conte nel suo castello di Prato. – Parimente in Prato risiedeva nell’anno susseguente (10 gennajo 1076) la contessa Lavinia moglie del suddetto conte, la quale insieme con i suoi figli, conte Alberto e conte Ildebrando, offrì in dono alla ch. plebana di S. Stefano a Prato un pezzo di terra posto ad Agliana. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Prepositura di Prato).
    Ed eccoci frattanto giunti a scoprire nei figlioli del conte Alberto e contessa Lavinia due magnati segnalati dalla storia fiorentina, perchè uno di essi fu genitore di altro C. Alberto e di quel Gottifredo che poi divenne vescovo di Firenze, mentre nell’altro fratello, il conte Ildebrando, troviamo il padre di quella Berta che nel 1142 era badessa nel Mon. di S. Tommaso a Capraja. Dondeche può credersi che dal preaccennato C. Ildebrando sia incominciata la prima diramazione dei conti Alberti di Capraja derivati da quelli di Mangona e di Vernio.
    – Vedere CAPRAJA nel Val d’Arno inferiore.
    Del conte Alberto padre di Gottifredo che sedè fra il 1113 e il 1143 nella cattedra fiorentina, tornano a far menzione le carte della prepositura di Prato, sotto gli anni 1090, primo maggio; 1100,
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    15 aprile, e 1101, 1 settembre; nella prima delle quali trattasi di alcune donazioni fatte alla stessa pieve di S. Stefano da varii popolani, previo il consenso del dinasta del luogo, cioè del conte Alberto, e della contessa Lavinia figlia del fù Gherardo. – Codesta donna sembra che dopo il 1090 perdesse il marito, avvegnachè in un istrumento della stessa provenienza, rogato in Prato nel 5 marzo 1092 (1093 stile comune), essa dichiarasi vedova del suddetto conte Alberto, allorchè un figliuolo, di nome egli pure Alberto, sentesi già maritato alla contessa Sofia figlia del fù C. Bernardo. Nello stesso istrumento del 5 marzo 1092 è rammentato l’altro fratello Gottifredo figlio del fù C. Alberto e della medesima contessa Lavinia, quel Gottifredo che nel susseguente secolo fu, come dissi, vescovo in Firenze. (Carte del Capitolo Fiorentino copiate da Vincenzio Borghini in un Zibaldone istorico segnato N° 121 esistente nella Libreria Renuccini a Firenze).
    All’Articolo LUCIA (S.) in MONTE è citato un contratto del settembre 1129, dove figurano due fratelli germani, uno dei quali appellato Bernardo, e per aggiunta
    Nottigiova, l’altro chiamato Malabranca, entrambi figli del conte Alberto di Prato; il quale C. Alberto nel 1124 aveva ceduto al preposto della pieve di Prato la corte di Fabio ch’gli teneva ad enfiteusi dall’abate di S. Miniato al Monte del re sopra Firenze. – Vedere FABIO.
    Una riprova di civile giurisdizione fu quella data dai suddetti di CC. Bernardo e Malabranca, sotto il 25 agosto 1133 a favore della chiesa prepositura di Prato, allorquando promisero di non concedere licenza ad alcuno che volesse fabbricare chiese e oratorii dentro il distretto della pieve di Prato senza prima ottenere il consenso del preposto e del suo capitolo.
    Dal conte
    Nottigiova prenominato penso che nascesse quel conte Alberto, cui
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    da giovinetto fu concesso un diploma di investitura dall’arcicancelliere del regno d’Italia, confermatogli 9 anni dopo dall’Imp. Federigo I. Era quello stesso C. Alberto, il quale stava in Firenze nel febbrajo del 1197, stile fiorentino, quando giurò i patti fissati dalla lega guelfa toscana nel borgo di S. Genesio, sottoscrivendosi con l’indicazione di conte Alberto figlio del conte Nottigiova signor di Semifonte.
    Ebbe questo conte Alberto due mogli; dalla prima, la contessa Emilia, nacquero diversi figli maschi e femmine, fra i quali il conte Mainardo e il conte Rainaldo, la seconda, la contessa Tabernaria, che gli partorì il C. Alberto giuniore, il quale per disposizione testamentaria del padre ereditò i feudi di Vernio, di Mangona, ecc., mentre i figli del primo letto divennero capi di due altre diramazioni di conti; cioè il C. Maghinardo, della linea dei conti Alberti di Certaldo e di tutti i luoghi fra l’Arno, la Pesa e l’Elsa; ed il C. Rainaldo autore de’conti di Monte Rotondo, di Scarlino, Gavorrano, Suvereto e di altre castella che a quell’età gli Alberti possedevano nella Maremma massetana. – Vedere GAVORRANO, SCARLINO e MONTE ROTONDO in Val di Cornia.
    Il C. Alberto privilegiato da Federigo I, quello stesso che nel 1197 si chiamava signor di Semifonte, poco dopo (anno 1200) rinunziò i suoi diritti giurisdizionali sopra il castello medesimo di Semifonte a favore della Rep. fiorentina.
    Non si conosce con esattezza l’epoca in cui il suddetto conte mancò ai vivi, sebbene vi sia luogo a credere che ciò non accadesse innanzi il 1212, tostochè il notaro Buonafede, che rogò il testamento del suddetto C. Alberto, si dichiara notaro dell’Imp. Federigo (II). Comunque sia, fatto è, che il C. Alberto padre dei tre figli capi di altrettante consorterie, dettò quell’atto di ultima volontà nel tempo che
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    egli era infermo in una sua casa posta dentro il castello di Mangona.
    Coll’enunciato testamento il prenominato conte istituì il suo figlio minore (Alberto) natogli dalla contessa Traversaria, erede di tutte le terre, castelli, cose mobili e immobili, vassalli e uomini di qualunque condizione soggetti alla sua giurisdizione, purchè compresi fra l’Arno e l’Appennino, a partire da Capraja sino al confine col bolognese; ed anche tuttociò che al testatore apparteneva in Bologna, nel suo distretto e diocesi, come pure nelle varie parti della Romagna. Quindi assegnò a’tutori dell’erede pupillo tutti i consoli
    pro tempore del Comune di Firenze, finchè il detto figliuolo non fosse pervenuto alla maggiore età. Finalmente dichiarò la contessa Tebernaria usufruttuaria sua vita durante di tutti i feudi designati al loro figlio comune. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di regio acquisto.)
    In quanto ai castelli, e beni che lo stesso conte possedeva fra l’Arno e la Maremma, in Val di Pesa, in Val d’Elsa, in Val di Cornia, questi erano già stati ceduti e repartiti fino dal febbrajo 1209 fra il C. Maghinardo e il C. Rainaldo nati dal predetto C. Alberto e dalla contessa Emilia. Ciò è reso manifesto da un lodo pubblicato nel Castello di Lustignano in Val di Pesa li 24 febbrajo 1209 (
    stile comune) degli arbitri destinati dalle parti a fare la divisione fra i figli del primo letto del suddetto C. Alberto di Mangona. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dell’ospedale di Bonifazio).
    Già gli antichi storici fiorentini avevano reso conto dell’amicizia sino dall’ottobre 1184 contratta fra la Rep. fiorentina e il conte Alberto, la contessa Tabernaria sua moglie, Rainaldo e Maghinardo di lui figliuoli, e gli abitanti del castello di Mangona; e ciò mercè di un atto col quale i conti e vassalli prenominati si obbligarono davanti ai
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    dodici consoli della Rep. Fior., di far pace e guerra a volontà del Comune, di pagare alla Rep. l’annuo censo di una libbra di puro argento, di offrire un cero alla chiesa di S. Gio. Battista in Firenze, e di disfare entro il mese di aprile susseguente il castello di Pogna tutte le torri di Certaldo, e una di quelle del castello di Capraja a scelta dei consoli fiorentini. Finalmente i conti Alberti medesimi convennero coi reggitori del Comune di Firenze d’imporre un dazio dal primo maggio a tutto luglio sopra le ville, terre e castella che i conti suddetti possedevano fra l’Arno e l’Elsa; il qual dazio doveva esigersi per metà a conto della Repubblica, e per l’altra metà a conto degli Alberti. Quest’ultimo obbligo fu rinnovato nell’anno 1200, allorquando lo stesso C. Alberto con la moglie Tabernaria e con Maghinardo di lui figliuolo promisero a Paganello Porcari potestà di Firenze di comandare ai loro fedeli o vassalli abitanti in Semifonte di uscire da quel castello, inviso ai Fiorentini, ai quali essi conti donarono nel tempo stesso la loro proprietà del poggio su cui risiedeva il Castello di Semifonte. – Vedere SEMIFONTE. – (ARCH. delle RIFORM. di FIRENZE, e AMMIRAT. Istor. Fior. Lib. I).
    Quel C. Alberto che abbiamo trovato pupillo nel 1212, allorchè dal padre fu dichiarato erede di tutti i castelli e poderi degli Alberti posti fra l’Arno e l’Appennino, egli stesso nell’anno 1249 abitava nel suo palazzo di Vernio. Fu costà dove nel di 4 gennajo 1250 (stile comune) il detto conte Alberto fece il suo ultimo testamento col quale dopo diversi legati a varie ch. parrocchiali e badie e segnatamente alle pievi di S. Gavino Adimari, di Barigazza e di Gugiano nella diocesi bolognese, alle badie di Oppleto a Città di Castello,
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    e di Montepiano sopra Vernio, lasciò alla sua moglie contessa Gualdrada l’usufrutto del castello e distretto di Vernio; costituì alla sua figlia Beatrice una dote di lire 900 pisane; all’altra figlia Margherita sole lire cento che aveva dato a Giovanni suo marito; quindi al di lui figlio Napoleone la decima parte dell’asse patrimoniale, et de hoc voluit eum stare contentum; mentre in tutti gli altri beni instituì suoi eredi universali gli altri due figli Guglielmo ed Alessandro. – Furono presenti al rogito fra molti distinti personaggi i seguenti: Iacopo Tornaquinci, e Mess. Odoaldo giudici di Firenze; Mes. Bartolo medico di Prato; Alberto del fu Albertino di Barigazza; Tommaso conte di Panico ed altri testimoni. – Rogò l’atto Ser Guido Not. imperiale.
    All’Articolo CERBAJA in Val di Bisenzio fu fatto avvertire, quanto bene si apponesse Benvenuto da Imola nel suo commentario alla Cantica dell’Inferno di Dante (C. XXXII), allorchè chiosò le due terzine che dicono:

    Se vuoi saper chi son cotesti due
    La valle, onde Bisenzio si dichina
    Del padre loro Alberto e di lor fue.
    D’un corpo usciro e tutta la Caina
    Potrai cercare e non troverai ombra
    Degna più d’esser fitta in gelatina.

    Avvegnachè Benvenuto spiegò la causa del fratricidio fra il conte Napoleone di Cerbaja ed il C. Alessandro di Mangona sorta da discordie domestiche per cagione di eredità; discordie naturalmente derivate dall’ingiusto e finora sconosciuto testamento del 4 gennajo 1250. (stile comune).
    La quali dissensioni sembra che si mantenessero per lunga età, e discendessero dai figli nei nipoti del conte Alberto che repartì ingiustamente i suoi beni.
    Quindi qualche tempo dopo accadde che uno dei conti di Mangona tolse di vita il di lui cugino conte Orso nato dal suddetto Napoleone, e che Dante figurò
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    di trovare nel suo Purgatorio (canto VI) fra le anime degl’innocenti trucidati.
    Ricordano Malespini, che viveva a quella età, nella sua Istoria, al cap. 160 scrisse, e Giovanni Villani nel libro VI cap. 68 della sua Cronaca ripetè: “che, nell’anno 1258, essendo ritornata l’oste fiorentina dall’assedio e conquista del castello di Gressa che in Casentino teneva il vescovo di Arezzo, andò al castello di Vernio de’conti Alberti, e quello per assedio i fiorentini ebbono; quindi disfeciono il castello di Mangone, e i fedeli dei conti feciono giurare all’ubbidienza e fedeltà del Comune di Fiorenza, dando essi ogn’anno al Comune certo censo per la festa di S. Gio. Battista”. – E poco dopo aggiunge: “La cagione fu di ciò, che essendo il conte Alessandro de’conti Alberti, che di ragione n’era signore, piccolo garzone, il conte Napoleone suo consorto e ghibellino, (imperciocchè egli era alla guardia,
    cioè sotto la tutela del Comune di Fiorenza) si gli tolse le dette castella, e guerreggiava i Fiorentini; e per lo popolo di Firenze per lo modo detto furono racquistate. Per la qual cosa rinvestirono poi il conte Alessandro. E quando i Guelfi tornarono in Fiorenza non volendo essere (il C. Alessandro) figliuolo d’ingratitudine, fece testamento intervivos: che se i due suoi figliuoli, Nerone e Alberto, morissono senza figliuoli legittimi, lasciava i detti castelli di Vernio e Mangone al Comune di Fiorenza, e ciò fu negli anni di Cristo 1273”.
    Tale disposizione testamentaria del C. Alessandro degli Alberti posteriormente fu ratificata dai figliuoli di lui i CC. Alberto e Nerone, siccome soggiunse il Villani al lib. IX cap. 313 della stessa Cronaca, quando raccontò: “Come ai 19 di Agosto del 1325 il conte Alberto da Mangone fu morto a tradimento in sua camera per Spinello bastardo suo nipote a istigazione degli Ubaldini, e
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    di messer Benuccio Salimbeni da Siena, che tenea Vernio, e avea per moglie la figliuola che fu del conte Nerone. Per la qual cosa il Castello di Mangone e la sua corte (ossia distretto) fu per lo detto Spinello renduto al Comune di Firenze, ed ebbene per lasciar la rocca 1700 fiorini d’oro, con tutto che di ragione succedea il Comune di Firenze per testamento fatto dal conte Alessandro, e ancora il Comune di Firenze vi aveva sù ragione per censi vacati, i quali dovevano per patti di molto tempo addietro”. – Fin qui lo storico contemporaneo Giovanni Villani.
    Ad acrescere fiducia al fatto concorre una provvisione de’14 settembre 1325 fatta dalla Signoria di Firenze, nella quale si espone, qualmente il castello di Mangone, appartenuto al conte Alberto figlio del C. Alesandro, insieme con gli uomini, fedeli, giurisdizioni e beni situati nella corte di quel castello, come pure dei castelli di
    Migliari, di Casaglia, o di Monte Vivagno, coi popoli di S. Lorenzo a Mozzanello, di S. Niccolò a Migneto, della pieve di S. Gavino Adimari, ed altri luoghi del contado di Mangona, erano prossimi a venire incorporati e riuniti al contado di Firenze con piena ragione di dominio ed assoluta potestà; che perciò con questa provvisione i collegii della repubblica conferivano autorità ai priori delle arti e al gonfaloniere di giustizia di poter nominare e deputare gli uffiziali che avessero creduti opportuni a prendere possesso di detto castello e luoghi di quel distretto, e di ricevere giuramento d’obbedienza dagli uomini stati fino allora vassalli dei conti Alberti. (ARCH. DELLE RIFORMAG. di FIR.)
    Tali deliberazioni però mossero i reclami di Benuccio Salimbeni nobile sanese, come marito della contessa Margherita degli Alberti erede e unica figlia del conte Nerone nato dal
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    C. Alessandro. Il quale Benuccio, non ostante il testamento dell’avo di sua moglie, insisteva per riavere il castello e distretto di Mangona. – Infatti il Salimbeni tanto si maneggiò, e tanto operò, che mosse i suoi concittadini governanti della Rep. di Siena a ordinare delle rappresaglie contro i Fiorentini.
    In vigore pertanto di una provvisione della Signoria di Firenze del 26 febbrajo 1327 (
    stil. fior.), fu conferita autorità a diversi cittadini, affinchè si concertassero con Benuccio Salimbeni e con la contessa Margherita di lui consorte relativamente alla restituzione da farsegli del castello di Mangona e sua corte, nella quale circostanza la Repubblica rilascò ai medesimi coniugi la questionata contea. (loc. cit.).
    Accadde la consegna nel 30 aprile del 1328, siccome ne avvisò il Villani al libro X cap. 83 della sua Cronaca, non senza dispiacere del Comune di Firenze costrettovi (diceva egli) dal male stato degli affari politici e per non recarne i Sanesi ai nemici, nè poter contrastare alla volontà del duca di Calabria, che allora comandava in Firenze.
    Il castello di Mangona insieme con quello di Vernio pochi anni dopo dallo stesso Salimbeni e dalla sua donna fu venduto con tutti i diritti e ragioni a Mess. Andrea di Gualterotto de’Bardi. Se non che questi ben presto videsi obbligato di ricederlo alla Rep. fiorentina, siccome fece per istrumento dei 15 gennajo 1340 (1341 stile comune) mediante il prezzo di 7750 fiorini d’oro, che il governo sborsò per il solo castello di Mangona, iscontando fior. 1700 stati spesi dal Comune di Firenze in racconciarlo innanzi che lo rendesse a Mess. Benuccio Salimbeni. (G. Villani,
    Cronica lib. XI, cap. 119).
    Questa ultima testimonianza del Villani è resa poi infallibile, perchè corroborata da un sindacato fatto per ordine della Signoria, quindi approvato con deliberazione de’29 marzo 1326, sul conto
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    reso da due monaci Cistercensi della badia a Settimo, stati deputati dalla Repubblica ad amministrare il denaro per le fortificazioni del ponte a Cappiano, del Castello di Signa, per far rimurare una porta della città di Firenze, detta di Giano della Bella, siccome ancora per la spesa delle fortificazioni al castello di Mangona. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di Cestello).
    Dappoichè il castello di Vernio s’arrendè al Comune di Firenze, che pagò 4960 fiorini d’oro a Mess. Piero fratello del suddetto Andrea de’Bardi, fu dalla Signoria proposta e approvata una riformagione, per la quale venne vietato a qualunque cittadino fiorentino di potere acquistare, o tenere castello munito, ossia rocca nel contado fiorentino che fosse meno lungi di venti miglia dalla capitale
    Da quel tempo in poi la Rep. Fior. inviò ogni sei mesi un capitano con 12 soldati a piedi alla guardia della rocca di Mangona, siccome per giusdicente vi spediva ogni semestre un potestà destinato a sopravvedere non solo agli uomini di Mangona, ma anche ai popoli di Montecarelli, di S. Gavino, della rocca di Cerbaja e a tutti quelli compresi nella Lega di S. Reparata a Piemonte.
    L’ultimo e più forte castello tenuto dai conti Alberti dentro i confini del territorio di Mangona era quello di Cerbaja posto sopra una rupe che precipita nella valle del Bisenzio.
    Esso apparteneva al conte Nicolao figlio del conte Aghinolfo, e nipote del C. Orso di Napoleone, alla di cui linea non era tornata che la decima parte del patrimonio del C. Alberto, mancato ai vivi nel 1250.
    La qual rocca di Cerbaja fu poi venduta al Comune di Firenze, dal suddetto C. Nicolao ghibellino e ribelle, mediante istrumento del 16 giugno 1361, per il prezzo di 5900 fiorini d’oro, come dichiara il rogito che si conserva nell’archivio delle riformagioni di Firenze; e non
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    già per fiorini 6200 come lasciò scritto Matteo Villani.
    Nel luglio di detto anno seguì la ratifica di vendita e il consenso prestato dai due fratelli CC. Francesco e Ugolino figli del C. Nicolao venditore, da donna Ginevra moglie del detto C. Ugolino, e da Caterina vedova del C. Fazio di Montagnana in Val di Pesa. (ARCH. DELLE RIFORMAGIONI DI FIRENZE).
    Allora il C. Nicolao fu dalla Signoria ribandito ed anche dichiarato non più magnate, ma popolare. Finalmente nelli statuti della Repubblica redatti nel 1381, poi rifusi nel 1415, fu deciso, (
    Tract. IV, Libr. V, Rubr. 95), che gli uomini della curia e castello Cerbaja fossero uniti al contado di Firenze, e che essi insieme al popolo della pieve di S. Lorenzo a Usella, di S. Bartolo di Monteaguto e della villa di Soffignano, posti tutti in Val di Bisenzio, formassero da quel tempo in poi una sola comunità, siccome innanzi allora la formava il castello di Mangona con la pieve di S. Gavino Adimari, e diversi altri popoli sottoposti a questo piviere. – Vedere CERBAJA in Val di Bisenzio.
    A grecale del Castello di Mangona passa la strada regia che da Firenze va a Bologna, dalla quale alla dogana della Futa si stacca una via mulattiera maestra che attraversa l’ex contea dell’Ostale o
    Stale per dirigersi a Bruscoli, e di là alla Madonna del Rio nel bolognese. – Vedere OSTALE, o STALE.
    La chiesa di S. Bartolommeo a Mangona, dopo l’acquisto del castello, fu dalla Rep. ceduta in giuspadronato alla mensa arcivescovile fiorentina, mentre quella di S. Margherita restò in collazione della Signoria di Firenze; in guisa tale che, nel 1342, mentre Gualtieri duca d’Atene era signore della Repubblica Fior., fu nominato il rettore della cura di S. Margherita a Mangona con l’assegnamento
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    di una congrua dote.
    La parrocchia di S. Bartolommeo a Mangona nel 1833 contava 186 abitanti.
    Quella di S. Margherita a Mangona, detta anche in
    Carpineto aveva 255 abitanti.
Localizzazione
ID: 2588
N. scheda: 29730
Volume: 3
Pagina: 42 - 47
Riferimenti: 29731
Toponimo IGM: Mangona
Comune: BARBERINO DI MUGELLO
Provincia: FI
Quadrante IGM: 098-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1676289, 4879359
WGS 1984: 11.20137, 44.04776
UTM (32N): 676352, 4879533
Denominazione: Mangona, Mangone (S. Bartolommeo)
Popolo: S. Bartolommeo a Mangona
Piviere: (S. Gavino Adimari) S. Silvestro a Barberino di Mugello
Comunità: Barberino di Mugello
Giurisdizione: Barberino di Mugello
Diocesi: Firenze
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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