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Marradi - Scuola di Marradi - Romagna Granducale

 

(Marradi)

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    SCUOLA DI MARRADI nella Valle del Lamone in Romagna. – Vedere MARRADI, Comunita.

    MARRADI nella Valle del Lamone in Romagna. Terra cospicua e nobile, capoluogo di comunità come lo fu di capitanato poi di vicariato, ora di potesteria, con antica chiesa plebana arcipretura (S. Lorenzo) nella Diocesi di Faenza, Compartimento di Firenze.
    È situata in un’angusta gola dove il fiume Lamone si è aperto il varco fra due opposti sproni che scendono

    in ver levante
    Dalla sinistra costa d’Appennino,

    là dove confluiscono due torrenti, uno a destra, il rio Salto, e della Badia, l’altro a sinistra, il torrente di Collecchio, nel gr. 29° 16’ 5’’ longitudine e 44° 4’ 8’’ latitudine a 530 br. sopra il livello del mare Adriatico,12 miglia toscane a libeccio di Modigliana, 14 a levante-scirocco da Firenzuola, altrettante a ponente della Rocca S. Casciano, e 18 miglia toscane a settentrione-grecale del Borgo S. Lorenzo, mediante il varco dell’Appennino di Casaglia.
    L’origine di Marradi è oscura al pari dell’etimologia del suo nome.
    Nè molto abbiamo da rallegrarci per conto della sua parziale istoria, giacchè a me non è riescito di trovare relativamente a questo luogo un documento più antico di quello del 6 ottobre 1025. Appella ad una promessa che il conte Guido figlio del fu conte Guido Guerra I fece a Donato abate del Mon. di S. Reparata
    a Salto, (detta poi in Borgo) di difemdere e salvare il castello di Marato, nella di cui corte, e distretto esistevano tre mansi ed una casa di pertinenza del prenominato monastero.
    Nel 2 dicembre 1070 Ebulo del fu Bernardo investì Azio
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    abate del Mon. di S. Reparata a Salto di tutti i terreni che possedeva in Campigno mediante il valore di 24 soldi d’argento di mon. lucch. La quale investitura fu fatta alla presenza di Alberto scriba della città di Faenza.
    Un altro istrumento del 6 marzo 1072 tratta di una rinnovazione di livello di 29 in 29 anni per la metà di un manso di terra posto in
    Rio cavo, che Guido del fu Corbulo aveva ceduto al Mon. di S. Reparata, edificato ove era la chiesa in luogo detto a Massa Salto, con l’obbligo all’abate Azio e suoi successori di pagare al patrono diretto l’annuo canone di sette moggia di lino, sette manne, sette brocche di vino, un quarto di grano mondo, un pollo ed altro.
    Nel 1126, 14 anni dopo la riunione dei monaci di S. Reparata alla Congregazione de’Vallombrosani, per atto pubblico del 2 gennajo rogato da Gherardo notaro di Faenza, gli uomini del comune di Populano diedero l’investitura all’abate Domenico ed ai monaci di S. Reparata nel
    Rio Salto del loro borgo, persone, servitù ecc. previe alcune vicendevoli obbligazioni fra le parti contraenti.
    Tanto quest’ultimo, quanto l’atto del 1025, stati da noi citati anche all’Articolo ABAZIA DI S. REPARATA AL BORGO, concorrono a dimostrare, che i monaci di S. Reparata non meno che gli uomini di Marradi e più ancora quelli di Populano dovevano essere prima di quell’epoca indipendenti dal governo baronale dei conti Guidi; che perciò ragion richiede di non dover ammettere la loro servitù e vassallaggio sotto i conti medesimi anteriormente ai diplomi che in grazia di Arrigo VI, e di Federigo II, furono elargiti ai conti Guidi di Modigliana. – Ai quali dinasti apparteneva quel conte Guido figlio del primo conte Guido Guerra, cui l’abate del Mon. di
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    S. Reparata a Salto per atto del 29 ottobre 1025 diede in accomandigia li beni che il suo monastero possedeva nel castello stesso di Marradi; sicchè è assai probabile che in seguito venisse ai CC. Guidi raccomandata dai superiori la protezione della badia medesima e delle sue giurisdizioni, fra le quali quella degli uomini, del borgo e distretto di Populano.
    Quindi non fa meraviglia di trovare, nel privilegio del 25 maggio 1191 spedito dall’Imp. Arrigo VI al suo carissimo Guido conte palatino della Toscana, registrato fra i castelli e luoghi dati a lui in feudo
    Populanum cum tota curte ejusdem, Abbatiam S. Reparatae, etc. Li stessi luoghi vennero confermati dall’imperatore Federigo II ai conti Guido, Tegrimo, Ruggeri e Aghinolfo fratelli nati dal pranominato conte Guido e dalla contessa Gualdrada mediante altro diploma spedito da Sutri li 29 novembre del 1220, e rinnovato 27 anni dopo dallo stesso imperatore a favore del C. Guido Novello, e del suo fratello C. Simone di Poppi, figli entrambi del conte Guido del fu C. Guido Guerra e della contessa Giovanna dei marchesi Palavicino.
    Ma il conte Guido Novello essendosi dichiarato capo dei Ghibellini di Romagna, e l’abate di S. Reparata non potendosi difendere da costoro, che lo travagliavano, ricorse alla protezione del Comune di Firenze, e così per pubblico istrumento del 27 giugno 1258 diede in accomandigia alla Rep. fiorentina quel monastero di Vallombrosani con i suoi beni, persone ed ogni ragione che gli si poteva competere sopra il borgo di Marradi; in ricompensa di che furono sborsati all’abale di S. Reparata mille lire di buoni denari fiorentini. (ARCH. DELLE RIFORMAGIONI DI FIR.)
    Caduta poco dopo Firenze in mano ai Ghibellini, non solo Marradi, ma tutti i paesi dominati o raccomandati dai conti di Modigliana, ritornarono ligii del C. Guido Novello, di quello
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    stesso che nel 1261 fu creato dal re Manfredi suo Vicario generale in Toscana.
    Sotto il dominio de’CC. Guidi, o piuttosto de’Manfredi di Faenza, dovè restare Marradi per fino all’anno 1428, mentre in questo lungo intervallo di 167 anni, se la memoria non mi tradisce, le storie e i documenti della repubblica fiorentina non rammentano più il castello di Marradi, per quanto la sua posizione si riguardasse importantissima per vincerlo nelle guerre che il Comune di Firenze ebbe specialmente tra il 1424 e il 1428 nella
    Valle di Lamone contro le genti del duca di Milano.
    Già si vidde all’Articolo
    Castiglione in Val di Lamone, che questo castellare nel secolo XIII era dominato dagli Ubaldini di Susinana, fra i quali la storia rammenta Pietro e Bonifazio fratelli e figli di Pagano, allorchè nell’anno 1258, in cui l’abate di S. Reparata pose il suo monastero insieme col castello di Marradi sotto l’accomandigia della Signoria di Firenze, quegli Ubaldini dovettero consegnare alle genti della Repubblica anche il loro Castiglione di Val di Lamone.
    Ora aggiungerò; che tanto Castiglione, corrispondente forse a quello chiamato il
    Castellaccio dirimpetto a Biforco, appena un miglio sopra Marradi, quanto ancora il borgo di Marradi, un secolo dopo non erano in potere dei Fiorentini, ma sibbene degli Ubaldini e dei conti Guidi, tostochè nel luglio del 1358 il Comune di Firenze spediva quattro ambasciadori in Romagna alla gran compagnia condotta dal Conte Broccardo e da Amerigo del Cavalletto che domandava il passo per il contado fiorentino per recarsi nel territorio senese; e perseverando quei condottieri in disoneste domande, il comune nostro (scriveva Matteo Villani nella sua Cronica al lib. VIII. cap. 72) s’apparecchiava alla difesa; e per chiudere loro i passi dell’Alpe avea richiesto gli Ubaldini e i conti Guidi e gli amici
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    del Comune che avevano podere nei luoghi onde si temea che potessero passare: e con poco ordine per la fretta mandò la gente sua da cavallo e assai balestrieri nel Mugello alla guardia dei passi.... Giunto da Bologna in Romagna il famoso capo di ladroni conte di Lando, trovò che gli ambasciadori del Comune erano revocati, e volendosi eglino ritornare a Firenze, gli ritenne e disse: che a niuno partito voleva che la compagnia valicasse contra la volontà del Comune, nè per lo suo contado, e concertatisi insieme trovarono la seguente via: che essendo la compagnia in Val di Lamone potesse passare da Marradi, e indi tra Castiglione e Biforco e poi salita pel passo delle Scalette a Belforte, riscendere di là a Dicomano, e da indi a Vicorata, e poi a Isola e a S. Leolino e quindi per la Contea a Bibbiena. Alla Signoria di Firenze non dispiacque l’itinerario progettato, e acconsentì d’inviare lungo quelle tappe la richiesta vettovaglia, pagando, e già era cominciata a mandare a Dicomano. Concertato tutto ciò il dì 24 di luglio la compagnia si mosse, e alloggiò la prima sera nell’Alpe di Marradi tra Castiglione e Biforco; e sarebbe il cammino proceduto quietamente se la temerità dei fanti e de’cavalieri usi a vivere di quel d’altri non avesse messo ogni cosa sopra, togliendosi la roba apparecchiata senza pagarla e oltraggiando i paesani senza alcun riguardo, fino al punto che quelli di Biforco fedeli de’conti di Battifolle, e quelli di Castiglione fedeli di Mess. Giovanni di Albergettino de’Manfredi da Faenza senza perder tempo s’intesero insieme con altri vassalli di Val di Lamone, e concordemente decisero di vendicarsi di quei masnadieri. Dondechè recaronsi di notte tutti armati su per le creste dei poggi e nelle ripe e balzi che sovrastano ad un angusto
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    e malagevole passo, poco più di due miglia sopra a Biforco; e di là rotolando giù per quei burroni grossissime pietre nel fossato della valle di Campigno, fecero pienamente le loro vendette su quelle truppe de’cattivi trattamenti innanzi ricevuti. Trovavasi tra gli assalitori un fedele del conte Guido alla testa di 12 compagni, il quale ebbe animo di assalire, di ferire e far prigione lo stesso conte di Lando; e sarebbesi per avventura in quella fortunata congiuntura spento allora quel morbo di tante mercenarie soldatesche vaganti per l’Italia, se la premura di non veder sacrificati quattro distinti personaggi fiorentini, tenuti in ostaggio dalla compagnia del conte di Lando, non avesse superato il desiderio della pubblica salvezza. Infatti quei quattro ambasciatori, per timore di se medesimi, comandarono ai vassalli del conte Guido, che s’astenessero in grazia della Repubblica di più molestare i soldati della compagnia, trovandosi eglino secoloro non ad altro scopo che per condurre la compagnia in luoghi sicuri. (MATTEO VILLANI, Cronic. Lib. VIII. C. 74, e AMMIRATO, Stor. fior. lib XI.)
    Dall’anno 1358 fino al 1424 la storia politica di Marradi può dirsi quasi ignota.
    Dissi pertanto, che Marradi innanzi il 1424 non doveva essere sotto il dominio diretto del Comune di Firenze, sivvero sotto la sua accomandigia, siccome lo erano in quel tempo i dinasti di una gran parte della Romagna. Fu poi allora quando Filippo Maria Visconti duca di Milano tornò a impacciare dei fatti di questa provincia e specialmente del signore di Furlì, che la Rep. fior., cui era raccomandato, dovè entrare in una dispendiosissima guerra contro quel duca alle cui genti riescì due volte di rompere l’esercito fiorentino.
    Dondechè se in quella guerra il castello di Marradi, com’è da credere, era stato presidiato dalle milizie del governo di Firenze, quelle del Visconti, dopo la
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    vittoria da esse nel 1425 in Val di Lamone riportate, dovettero impadronirsene, siccome di fatto le medesime s’impadronirono di tutte le terre di Romagna già di prima occupate dai Fiorentini, eccetto Modigliana e Castrocaro. (MACHIAVELLI Istor. Lib. IV.)
    Ebbe infatti ragione lo storico Ammirato, quando a proposito di cotesta guerra di Romagna (
    Stor. fior. Lib. XIX) si rammaricava dicendo: che gli scrittori di quei tempi non parlano della guerra di Marradi, come se le cose a loro palesi dovessero in progresso di anni a tutti gli altri essere manifeste; e ciò all’occasione, in cui ricercava la ragione politica, per la quale Lodovico signor di Marradi si trovava nelle stinche prigione de’Fiorentini, aggiungendo che due suoi fratelli tenevano per lui la rocca di Castiglione; ai quali sotto certi patti fu la detta rocca dai Fiorentini tolta, null’altro i nostri storici ne dicono, e il Poggio neppur cosa alcona di questa guerra racconta.
    Ora come e perchè cagione questo Lodovico si trovasse prigione de’Fiorentini, a me (soggiunse l’Ammirato) non è noto; ma tenendo i suoi fratelli la rocca di Castiglione, se gli mandò l’esercito contro, capitanato da Bernardino della Carda, cui fu dato per commissario della Repubblica Averardo di Francesco di Giovanni de’Medici.
    Costoro, avendo più volte battuta la rocca finalmente nel dì 6 settembre del 1428 l’ottennero a patti, fra i quali fu convenuto che mess. Lodovico (già prigione) fosse lasciato andar libero. Ma una tal condizione, soggiunge l’Ammirato sull’asserto di Neri Capponi, contro la fede e lealtà dei Fiorentini non fu poi osservata.
    Alle parole dello storico testè accennato aggiungerò quelle di un’altro scrittore più antico Giov. Cambi, il quale all’anno 1451 delle sue istorie fiorentine racconta, che l’Imp. Federigo III, all’occasione del suo passaggio per Firenze, richiese la liberazione dei prigioni dalle Stinche, e specialmente di Lodovico signor di Marradi, che
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    contava 28 anni di carcere. Alle quali richieste fu risposto, non essere ciò in potere dei Signori, perchè bisognava procedere per via delle leggi loro (G. CAMBI, nelle Delizie degli Erud. Tosc. del P. Ildefonso. T. XX.)
    Che la famiglia Manfredi di Faenza dopo i Pagani di Susinana signoreggiasse in Castiglione di Val di Lamone, lo aveva già indicato Matteo Villani all’anno 1358, quando disse, che cotesto Castiglione apparteneva a mess. Giovanni di Alberghetto della casa Manfredi di Faenza. Arroge a ciò qualch’altro documento, che ne avvisa, come all’arrivo dell’esercito milanese in Romagna (anno 1424), anche Marradi ubbidiva ai discendenti di quella stessa prosapia.
    Infatti l’oste fiorentina appena avuta la rocca di Castiglione di Val di Lamone, si pose a campo a Marradi, il qual castello, dice il Buoninsegni, presesi circa il mese di ottobre dello stesso anno 1428.
    La ragioni poi che i Manfredi di Faenza potevano avere in Val di Lamone si risolverono per la ribellione loro o per quella delle terre e castella ad essi soggette, e datesi alla repubblica fiorentina. Della qual verità ne fornisce la più plausibile prova una riformagione della Signoria di Firenze del 14 ottobre 1428, come quella che sta a confermare le asserzioni dello storico Buoninsegni. Dalla stessa provvisione pertanto risulta, che gli uomini del Castello di Marradi insieme con quelli di
    Acereta, Biforchi, Castiglione, Fiumana, Lutriano e Scuola, già sottoposti (dice il documento) ai fratelli Lodovico, Jacopo e Giovanni di Alberghetto de’Manfredi di Faenza, ottennero favorevoli capitolazioni dai commissarj della Rep. fior. Dondechè fu promesso dalla Signoria di trattare quelle popolazioni al pari degli abitanti del contado fiorentino, col dichiararle esenti dalle imposizioni, gabelle, gravezze e fazioni ordinarie e straordinarie, escluse quelle relative al bestiame da introdursi o da estrarsi dal contado fiorentino, come pure eccettuata la gabella
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    de’contratti che si rogavano per conto di abitanti fuori del distretto. (ARCH. DELLE RIFORMAG. DI FIR.).
    Inoltre fu loro accordata facoltà di poter riformare i statuti comunitativi, previa sempre l’approvazione degli uffiziali della Rep. fior. Al contrario venne dichiarato, che le ragioni dei padronati sui benefizj ecclesiastici dovessero appartenere al Comune di Firenze; e che in verso di esso i popoli capitolati si obbligassero esclusivamente di prendere il sale pel loro consumo al prezzo di soldi venti lo stajo. (
    loc. cit.)
    In tale stato pertanto si trovavano le cose di Marradi, quando la biscia milanese, nel 1440, di nuovo si voltò ai danni del giglio fiorentino. A stimolare questa volta il duca Visconti all’impresa concorrevano anche i consigli di Niccolò Piccinino il quale d’ogni maniera incoraggiva il duca a mandare un esercito in Toscana senza abbandonare l’impresa dei Veneziani, tanto più che il Piccinino indicava essergli cosa facile accostarsi a Firenze per la via del Casentino, dove aveva amicissimo il conte Francesco di Poppi. – Deliberata l’impresa contro la Repubblica, il Piccinino con 6000 cavalli si avviava dal Pò in Romagna, dove attirò i Malatesti al suo partito. Questa novella sbigottì la Signoria di Firenze per timore che Giampaolo Orsini suo capitano non fosse svaligiato nelle terre de’Malatesti, dove allora si trovava con la sua compagnia.
    Già nell’aprile del 1440 Niccolò Piccinino disegnava di penetrare in Toscana; e volendo egli col suo esercito rimontare la valle del Montone, al fine di passare per l’Alpi di S. Benedetto, trovò quei luoghi per la virtù di Niccolò da Pisa capitano della Repubblica in modo guardati, che reputò vano da quella parte ogni suo sforzo. E perchè i fiorentini in questo assalto repentino (dice Machiavelli) erano mal provvisti di soldati e di capi, avevano ai passi di quell’Alpi mandati più loro cittadini con fanterie
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    di subito fatte a guardargli; tra i quali mess. Bartolommeo Orlandini cavaliere fior., cui fu in guardia il castel di Marradi e il passo di quelle Alpi consegnato. Non avendo dunque Niccolò Piccinino giudicato poter superare il passo di S. Benedetto per la virtù di chi lo guardava, giudicò di poter vincere quello di Marradi per la viltà di chi l’aveva a difendere.
    Quindi il segretario fiorentino descrive la topografica posizione del paese con tale vivezza e verità di colorito che sarebbe peccato in chi ardisse di variare o di menomarne parola.
    “È, diceva egli, Marradi un castello posto a piè dell’Alpi che dividono la Toscana dalla Romagna; ma da quella parte che guarda verso Romagna, e nel principio di Val di Lamone. Benchè sia senza mura, nondimeno il fiume, i monti e gli abitatori lo fanno forte, perchè gli uomini sono armigeri e fedeli, ed il fiume in modo ha roso il terreno e ha sì alte le grotte sue, che a venirvi di verso la valle è impossibile, qualunque volta un piccol ponte che è sopra il fiume fusse difeso, e dalle parti dei monti sono le ripe sì aspre, che rendono quel sito sicurissimo. Nondimeno la viltà di mess. Bartolommeo rendè e quelli uomini vili, e quel sito debolissimo. Perchè non prima ei sentì il rumore delle genti nemiche, che, lasciato ogni cosa in abbandono, con tutti i suoi se ne fuggì, nè si fermò prima che al Borgo a San Lorenzo.“
    Dispiacque cotanta viltà a Baldaccio d’Anghiari, uomo in guerra eccellentissimo, stato sempre capo tra le fanterie con sì gran riputazione, che in quelli tempi non era alcuno in Italia che di virtù di corpo e d’animo lo superasse; sicchè egli con parole ingiuriose e con lettere fece noto ai Fiorentini il vile animo di mess. Bartolommeo: di che
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    questi n’ebbe vergogna e sommamente desiderava vendicarsene. E bene aspramente l’Orlandini se ne vendicò tostochè, per opera del vecchio Cosimo, il di cui partito, a quell’epoca dominante in Firenze, diede il gonfalone della giustizia a colui che l’anno innanzi aveva vilmente abbandonato la difesa del suo posto e la bandiera di capitano a Marradi.
    Ma come volle la fortuna della Repubblica e la buona condotta di tanti altri cittadini, l’esercito del Piccinino in quella guerra restò fiaccato e disperso in Val Tiberina alla battaglia di Anghiari (29 giugno 1440), e i paesi non solo della Toscana, ma anche quelli della Massa Trabaria, di Val di Bagno e della Romagna ritornarono ben presto all’obbedienza della Rep. fiorentina; la quale poco dopo ordinò che s’incorporassero al suo distretto tutti i paesi del conte Francesco Guidi di Battifolle ribelle della Repubblica.
    In tale occasione fu anche riconquistato il castello di Marradi con molti luoghi dell’attuale suo distretto, ai di cui popoli dal magistrato dei Dieci di balìa di guerra furono accordate nuove capitolazioni.
    Quindi con provisione del 1447 la Signoria di Firenze concedè facoltà al popolo di Marradi di fare nel suo paese un mercato settimanale. – Un’altra provvisione fu poi emessa nel 1466 relativa alle attribuzioni del giusdicente o capitano di Marradi, in rettificazione di quelle statele accordate sino dal 1428, con alternativa da osservarsi rapporto alla sua residenza fra Marradi e Palazzuolo. Nuove riformagioni finalmente relative al capitanato di Marradi nell’anno 1557 dal governo di Cosimo I vennero ordinate.
    Un’altra sventura, sebbene passeggera, per parte dei nemici di Firenze ebbe a soffrire Marradi, allorchè la repubblica di Venezia (anno 1496), per sostenere i Pisani e l’espulso Piero de’Medici, inviò le sue genti contro i Fiorentini dalla parte di Romagna. Avvegnachè i Veneziani, fra tante strade serrategli dalla sollecitudine dei loro avversarii, trovarono aperto il passo
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    per Val di Lamone; per la qual via essendo penetrati nel territorio della Rep., il primo luogo che occuparono fu il borgo di Marradi. – Avevano frattanto i Dieci di balia comandato a Dionigi di Naldo loro capitano, nativo di Brisighella, che con la sua compagnia di 500 fanti si recasse in fretta a vietare da quella parte il passo a’nemici. Non essendo egli stato in tempo a soccorrere il Borgo, entrò con 150 fanti nella rocca di Castiglion sopra Marradi, ove i nemici s’erano volti con isperanza di averla. Per la qual cosa i Fiorentini, dubitando che i Veneziani non facessero progresso in quei luoghi, vi mandarono sollecitamente con le loro compagnie e lance il conte Rinuccio da Marciano, Giovan Paolo Baglioni, e il Signor di Piombino; sicchè tra la virtù di Dionigi che difese egregiamente la fortezza e tra gli ajuti del cielo, perciocchè quel presidio penuriando estremamente di acqua, piovve abbondantemente intanto che le genti inviate in soccorso per l’alpe del Mugello si appressarono in Val di Lamone e ben presto costrinsero i nemici a ritirarsi quasi fuggendo da Marradi. –(AMMIRATO Stor. lib. XXVII).
    Tali sono le vicende politiche del borgo, ora cospicua terra di Marradi, desunte da pubblici atti e da storici, se non tutti contemporanei, molto istruiti però delle cose politiche di Firenze ai tempi della Repubblica fiorentina; sotto il dominio della quale gli abitanti di Marradi e di tutto il suo distretto d’allora in poi pacificamente si mantennero fedeli, e tali si conservarono durante il dominio della casa de’Medici, e più ancora sotto quello dell’I. e R. dinastia regnante.
    La terra che forma oggetto del presente articolo, oltre ad avere molte decenti fabbriche e qualche palazzo elegante, è decorata da un bel pretorio, da una fonte pubblica, da un teatro, e da un nuovo più comodo
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    fabbricato per uso dell’ospedale.
    Il borgo di Marradi, situato sulla sinistra del fiume Lamone, comunica mediante un ponte di pietra con la terra che è alla destra del fiume. – La chiesa arcipretura di Marradi, situata nel borgo, fu riedificata ed ornata internamente di stucchi nel 1781.
    Marradi ha dato varii uomini illustri sì per la toga che per la spada, ma niuno io credo che eguagli per dottrina e per fama monsignor Angelo Fabbroni nativo di questa terra, elegante latinista e storiografo dell’Università pisana, a cui per molti anni presedè. Scrisse gli elogi e le vite di molti uomini illustri, fra i quali Lorenzo il Magnifico, dove rammenta alcuni ascendenti di sua famiglia e specialmente Niccolò di Giacomo Fabbroni capitano valente e onorato, che perdè la vita nella difesa del suo paese (anno 1478) contro le genti mosse dal Pont. Sisto IV a danno della Rep. Fior. e di Lorenzo de’Medici quasi principe della medesima.
    Marradi può vantarsi ancora di esser stato culla agli avi del celebre fisico Giovanni Fabbroni e la patria del dotto Vallombrosano P. abate Ascanio Tamburini, già rammentato all’articolo ABBAZIA DI S. REPARATA in Borgo.

    MOVIMENTO della popolazione della Terra di MARRADI a tre epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi-; numero delle famiglie 314; totalità della popolazione 1833.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 232; femmine 182; adulti maschi 256, femmine 256; coniugati dei due sessi 474; ecclesiastici dei due sessi 88; numero delle famiglie 412; totalità della popolazione 1577.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 320; femmine 318; adulti maschi 348, femmine 360; coniugati dei due sessi 724; ecclesiastici dei due sessi 37; numero delle famiglie 449; totalità della popolazione 2107.

    Comunità di Marradi. – Il territorio di questa comunità abbraccia una
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    superficie di 45326 quadr. dei quali 952 sono occupati da corsi d’acque e da pubbliche strade. – Nel 1833 vi si trovavano 6634 abitanti, a ragione di 120 abitanti per ogni miglio quadr. di suolo imponibile. – Confina con otto comunità del Granducato, oltre quella di Brisighella spettante allo Stato pontificio.
    Il territorio della Comunità di Marradi dal lato di settentrione tocca la Comunità di Brisighella dello stato estero, a partire dal monte delle
    Salajole, che è a maestro di quello di Gamberaldi, su cui ha origine il grosso torrente Sentria; di là per breve tragitto percorre da libeccio a grecale per poi voltar faccia decisamente a settentrione passando mediante termini artificiali sulle creste dei poggi denominati di Poggionato e dell’Orticaja; quindi piegando nella direzione di scirocco scende nella valle per il borro di Valnera, entra costà nel Riaccio, sino a che al termine della Casanuova sotto la dogana di Popolano arriva sul Lamone. – Mediante l’alveo di questo fiume la Comunità di Marradi continua a fronteggiare dal lato di maestr. con lo Stato ecclesiastico per il tragitto di circa miglia toscane 1 e 1/2, sino al ponte di Marignano. Costà attraversa il fiume, e di conserva col territorio pontificio si dirige a levante nel monte di Budrialto, sulla cui sommità termina il territorio dello Stato papale, sottentrando quello della Comunità di Modigliana nella Romagna granducale. Con questa l’altra di Marradi cammina di conserva dal lato di settentrione passando per il poggio di Cerreto, donde entra ed attraversa la Valle Acereta, varcando il fiumicello omonimo sul ponticino di Campo per risalire l’opposto poggio sino alla così detta bocchetta di Briccola. Su cotesta sommità cessa la Comunità di Modigliana, e piegando nella
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    direzione da grecale a libeccio il territorio comunitativo di Marradi trova di contro quello di Tredozio, col quale fronteggia per una traversa di circa 8 miglia toscane lungo il crine dei poggi di Monsignanello, Monsignano, Cesata, Pojano, Verspignano, le Spaventose, monte del Bufalo e altre montuosità, che separano la valle di Acereta da quella di Tredozio, finchè si arriva alle sorgenti del Valandrone, uno dei più lontani tributarii della fiumana di Tramazzo. A questo punto il territorio di Marradi voltando direzione da libeccio a ponente trova la Comunità di Portico, da primo avendo di contro uno sprone dell’Appennino che scende sopra l’Eremo di Gamogna, poscia passando pel così detto Montebruno, dove entra nella strada pedonale che guida alla villa di Colerata. Mediante cotesta via i due territorii camminano di conserva nella direzione da settentrione a ostro-scirocco per il tragitto di circa mezzo miglio salendo pel monte di Sasso bianco sulla giogana dell’Appennino sino alle balze dei Romiti, dove appunto si trova quel rio

    Che si chiama Acquacheta suso avante
    Che si divalli giù nel basso letto;

    e che poi

    Rimonta là sovra S. Benedetto
    Dall’Alpe
    : (DANTE, Inferno C. 76.)

    Costassò di fronte a ostro, trapassate le balze de’Romiti, sottentra la Comunità di San Godenzo, con la quale l’altra percorrendo insieme traversa sul poggio di Briganzone l’alti-piano dell’Appennino appellato del
    Porcello sino al così detto Terminone. Quà il territorio di Marradi trova sul dorso del monte di Ca Martino la Comunità di Dicomano, e con essa piegando alquanto ad arco seconda la sinuosità della giogana per andare incontro al varco di Belforte,
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    e indi scendere verso il passo delle Scalette per entrare nell’alveo superiore del Campigno sino al fosso tributario di Costamartoli. A questo punto cessa la Comunità di Dicomano ed entra a confine della nostra l’altra di Vicchio, correndo dietro le spalle dell’Appennino di Romagna, cioè fra Belforte e il poggio degli Alocchi, da primo mediante il fosso di Costamartoli, poi per il rio del Monte, col quale ritorna sulla cresta della giogana. Al poggio degli Alocchi sopra le sorgenti del fosso di Martignona sottentra il territorio comunitativo del Borgo S. Lorenzo, che confina con la Comunità di Marradi per il tragitto di circa tre miglia toscane, in guisa che quest’ultima a forma di un arco rientrante piega da ostro a settentrione per varcare il fiume Lamone, e quindi la strada maestra faentina sopra l’antica badia di Crespino. A ponente della strada medesima risale sulla schiena della giogana nella direzione di scirocco a maestr. fino verso le sorgenti del fosso della Benedetta. Costà sul poggio del Prato piano lascia a sinistra la Comunità del Borgo S. Lorenzo e la catena centrale dell’Appennino per scendere di conserva con il territorio comunitativo di Palazzuolo nella Valle del Lamone dirigendosi da ponente a grecale per Prato piano, Prato riccio e Poggio degli aranci, finchè giunge all’osteria di Fantino sulla sponda sinistra del fiume Lamone. Quà prendendo la direzione di settentrione rimonta la forretta del Confine, e sù per il poggio del Goffoletto attraversa la strada del Monte maggiore, poi quella maestra che da Marradi conduce a Palazzuolo. Quindi dirizzando il cammino a settentrione s’inoltra per i poggi del Monte grosso e de’
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    Moricci verso i prati di Gruffieto alle sorgenti del torrente Sentria, e di là presso al termine delle Salajole, dove dopo aver fronteggiato per quasi otto miglia con la Comunità di Palazzuolo ritrova quella di Brisighella.
    Fra i principali corsi d’acqua che attraversano il territorio comunitativo di Marradi avvi il fiume Lamone e la fiumana di Valle Acereta, nota volgarmente sotto il generico titolo della fiumana di
    Valle. – I principali tributarii del Lamone dentro il distretto di Marradi sono, a levante il Campigno e il rio di Salto, ossia della Badia; a ponente i torrenti Crespino, Calzolano, Collecchio e Gamberaldi.
    Parlai altrove della bellissima caduta che fanno le acque del Lamone sopra Valbura dove balzano fra poggio e poggio dalla costa dell’Appennino di Crespino sopra strati di arenaria schistosa posti a scaglioni orizzontali su per quei burroni.
    Eppure la caduta di tanta copia d’acque, capace di animare e di mantenere qualsiasi genere d’industria meccanica, non serve oggi che di mero spettacolo al passeggiero, meno il far muovere al basso qualche meschina macina da mulino.
    Nè sarà più all’industria dei Marradesi un ostacolo la mancanza delle strade dopo che furono aperte, oppure che si vanno costruendo attualmente nuove strade provinciali e comunitative rotabili per facilitare alla popolazione della Valle di Lamone le comunicazioni commerciali con tutte le altre terre e città della Romagna, e perfino direttamente con la capitale del Granducato.
    Innanzi l’anno 1832 la provincia romagnuola del Granducato non contava che due sole strade provinciali mulattiere. Nel 1839 questa stessa provincia, stata finora separata dalla Toscana propriamente detta, mediante l’eminente barriera dell’Appennino, verrà quasi ad amalgamarsi in tutti i rapporti politici, governativi, ecclesiastici ed economici col restante dello Stato da cui dipende, mercè le paterne
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    cure di chi ne regge i destini, e in grazia precipuamente di due grandi strade regie, una delle quali ha già superato e percorso tutta la Valle del Montone, l’altra che in breve dovrà valicare l’Appennino fra la Val di Sieve e la Valle del Lamone, senza dire di tanti bracci di strade rotabili che si vanno approntando per agevolare le comunicazioni ai paesi interposti lungo le valli transappennine della Romagna granducale.
    Le altezze assolute delle montuosità, che furono segnalate dal chiarissimo astronomo P. Giovanni Inghirami dentro il perimetro territoriale di Marradi, sono le seguenti calcolate a
    braccia fiorentine.

    Il
    monte Pollajo sulla catena centrale, la cui cima fu riscontrata sopra il livello del mare all’altezza di braccia 2045,1
    Il
    poggio di Scarabattole sulla sinistra del fiume Lamone, braccia 1372,5
    Il
    poggio di Budrialto, sulla destra del Lamone a confine con lo Stato pontificio, braccia 1161,8
    Il
    Castellaccio di Marradi, corrispondente al Castiglione in Val di Lamone, braccia 949,8
    Marradi, sommità del campanile del pretorio in piazza, braccia 578,4
    Marradi, al pian terreno del palazzo Fabbroni agli Archiroli, braccia 541,7

    Dovendo parlare delle qualità principali delle rocce e della fisica struttura del suolo che cuopre il territorio comunitativo di Marradi, inviterò prima di tutto il lettore a ritornare un momento sugli Articoli BAGNO e DOVADOLA,
    Comunità, (Vol. I. p. 238, e Vol. II. P. 42).
    Dopo aver io percorso molti sproni e contrafforti donde si disserrano le valli subalterne al fianco sinistro dell’Appennino volto verso l’Adriatico, ho dovuto convenire nella sentenza del ch. naturalista Brocchi, quando disse: che le rocce dominanti dell’Appennino che scende in Toscana, sia che si osservi alla proporzione degli elementi, sia ai corpi fossili che rinchiudono, quanto alla maniera di comportarsi sotto l’azione meccanica, differiscono dalle rocce
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    che ricuoprono la schiena dell’Appennino di Romagna. – Infatti l’arenaria macigno di Val di Lamone, di Valle Acereta e di tante altre che scendono verso grecale dalla giogana dell’Appennino, cotesta qualità di macigno non solamente è poco micacea, ma assai meno quarzosa della pietra serena di Fiesole, di quella del Casentino, di Cortona, della Golfolina, del Lucchese, e della Garfagnana; in guisa tale che la roccia arenaria compatta e stratiforme lungo le valli di Romagna offre generalmente una struttura più schistosa, una tinta cenerina più smorta, una consistenza meno dura e compatta, più ricca di argilla, più effervescente cogli acidi e racchiudente spesse volte corpi fossili impietriti della qualità specialmente delle conchiglie univalvi e bivalvi marine.
    Mi parve altresì cosa alquanto singolare quella di non incontrare nelle montuosità della Romagna granducale una decisa formazione di calcarea compatta stratiforme (
    alberese o colombino) subiacente, oppure alternante con gli strati di arenaria e di schisto marmoso, siccome avviene frequenti volte di trovarla in simili giaciture nella parte meridionale della stessa giogana. – Dondechè crederebbesi, che le rocce dell’Appennino volto dal lato dell’Adriatico depositate o solidificate fossero in un’epoca posteriore a quella che costituì l’ossatura dell’opposta pendice della giogana, i di cui contrafforti sono diretti verso il bacino del Mediterraneo. Arroge a ciò, che i componenti generali delle tre prenominate rocce dell’Appennino sembrano dalla parte della Romagna confusi insieme, dirò quasi impastati e pietrificati con i testacei di origine marina per costituire con i citati elementi li strati di arenaria schistoso-calcarea, ossia la roccia predominante delle valli transappennine.
    Quando si reputasse semplicemente congetturale cotesta mia opinione sopra un tema risguardante la fisica costituzione dell’Appennino di Romagna, in ogni caso io penso che non sia da mettersi in dubbio il seguente fatto; cioè, che la roccia testè segnalata comparisce a luoghi più schistosa e
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    tale da dividersi in grosse schegge e in larghe lamine suscettibili a servire alle case rustiche in cambio tegole. Tale, per modo d’esempio, la trovai nei poggi fra le valli del Santerno, del Senio, del Lamone e del Montone sino alla giogana centrale; mentre, le stesse rocce, ogniqualvolta vi predomina la calce carbonata, si rendono suscettibili da essere calcinate per servire ad uso di calcina; siccome è quella che incontrasi sul rio di Campigno nei fianchi del poggio di Scarabattole; mentre poco lungi di là, tra i filoni di spato che attraversano l’arenaria schisto calcarea, geme un bitume viscoso color di granato (pece montana), esalante un odore assai più grave del petrolio. Cotesto fatto, sebbene rarissimo, non è unico nella schiena dell’Appennino; avvegnochè qualche indizio ne trovai anche sul monte Querciolano, territorio di Portico. Altronde è noto che una simile pece montana fu vista dal Brocchi scaturire di mezzo al macigno sopra Terracina, da quello stesso naturalista che trovò la pece montana nelle colline cretose delle miniere solfuree del Cesenate; mentre è noto che da un’areneria micacea effervescente cogli acidi e scistillante sotto l’acciarino emana la nafta, ossia il petrolio a Monte Zibio nel modanese. (BROCCHIO, Dissertaz. sulla costitu. fis. delle colline subappennine nella sua Conchiliol. fossile).
    Fra le singolarità che si presentano all’occhio del geologo nel percorrere le valli transappennine è altresì notabile quella di trovare per fino sulle cime de’monti che fiancheggiano la Valle del Lamone, specialmente sul poggio di Gamberaldi presso la cima di Gruffieto, ecc. delle ostriche, delle came, de’pettini ed altre conchiglie impietrite in una specie di roccia cornea.
    All’Articolo DOVADOLA. (Vol. II. Pag. 42 e 43) accennai alcuni fenomeni che offriva la
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    geognosia di cotesta valle, i quali potrebbero a parer mio servire di appoggio ad altri di simil natura stati segnalati dal prelodato Brocchi nel modanese, nel bolognese, nel cesenale, nei territorii di Urbino, di Montefeltro, nell’Appennino del Furlo,ecc., fatti confacenti tutti a dimostrare, in qual modo nelle diramazioni dell’Appennino voltato verso l’Adriatico le rocce di arenaria argillosa vadano grado a grado modificandosi in marna di tinta grigio-cerulea, quasi a proporzione che gli sproni e i contrafforti si allontanano dalla catena principale, che Italia parte, che s’adagiano umili, e finalmente nascondonsi nella grandiosa pianura della Romagna pontificia. (Vedere APPENNINO TOSCANO, Vol. I pag. 97.)
    In quanto all’inclinazione delle rocce sopraindicate fu già altrove avvertito, che generalmente la loro stratificazione mostrasi inclinatissima e quasi orizzontale, toltone alcune poche e parzialissime eccezioni nell’Appennino di Marradi e altrove. Tale per esempio è quella che si presenta nella Valle del Lamone fra il
    Castellaccio e il borgo della Nunziata, dove il fiume ha solcato il suo alveo fra mezzo alli strati verticali dell’arenaria schistosa. In una simile direzione la roccia si riaffaccia alla Ferriera circa 3 miglia a libeccio della Terra di Marradi. – Nella pendice poi del poggio del Casone sopra il letto dello stesso fiume Lamone, meno di mezzo miglio a ostro-libeccio di Marradi, il terreno stratiforme è ricoperto ed incrostato da un tufo porosissimo, consistente in una impura calcarea concrezionata colore giallo-pagliato. Di egual natura sono gli spugnoni calcarei che incrostano il poggio di Popolano, circa 3 miglia a grecale dello stesso capoluogo lungo la via mulattiera che guida nella valle di Acereto. – Vedere l’Articolo LAMONE.
    Se dopo cotesti pochi cenni geologici dovessi aggiungere qualche cosa sulla coltura della ciampagna di Marradi, direi che questa mostrasi sufficientemente lavorata lungo le anguste pianure e
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    sopra le più docili colline che fiancheggiano l’Acereto ed il Lamone, mentre costà s’incontrano per via coltivazioni a viti basse, a gelsi e a campi seminati a granaglie, fra le quali primeggia il formentone (mais).
    La giogana poi dei poggi interposti fra Palazzuolo e Marradi apparisce tuttora coperta di selve di castagni, di querciuoli e di ontani, comecchè un miglio circa a ponente di Marradi si ritorni nel coltivato, e tra i vigneti. Dal lato poi della valle di Acereto la parte più montuosa è coperta di boschi di alto fusto, di querci, di faggi e di selve di castagni, mentre le inferiori pendici sono state ridotte a poderi ben coltivati a viti, a granaglie, a gelsi, ecc.
    Si fa molto conto della raccolta delle castagne, genere di nutrimento degli abitanti dei luoghi alpestri; e quando cotesto prodotto fallisce, il che suole accadere due o tre volte per ogni decennio, i coloni restano per 4 e 5 mesi a carico dei padroni. Dal bosco, oltre il nutrimento e pastura delle pecore nei tempi estivi, e degli animali neri, si ritrae molto carbone.
    La soppressione delle badie di Valle Acereta di S. Reparata in Borgo, di Crespino e del convento dei PP. Serviti della SS. Nunziata fuori di Marradi, ec., ha fatto sì che un terzo delle possessioni di questa comunità (sopra il valsente di 1,400,000 lire) dalle
    mani morte sia capitato in centinaja di mani vive; essendo che tutti quei beni furono venduti e divisi a una folla di offerenti secolari. – Da cotesta suddivisione pertanto ne nacque un impulso all’industria e alla prosperità della comunità di Marradi la quale non segna che da un mezzo secolo appena le prime mosse al miglioramento dell’agricoltura. D’allora in poi si dissodarono nuovi terreni, si piantarono nuovi vigneti, molti gelsi
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    fornirono cibo ai filugelli, il cui prodotto somministra in tutto il vicariato un 50000 libbre di bozzoli. Frattanto si crearono molti poderi, il capoluogo stesso andò crescendo di popolazione e di fabbricati, in una parola il paese acquistò tutt’insieme un aspetto domestico e novello. È un fatto importantissimo questo, che in tutta la comunità in discorso fino al 1796 non è esistito che un solo macello di carni, in cui appena due o tre manzi si macellavano per anno, mentre oggi non vi è luogo che non abbia macello; e Marradi ne conta parecchi, senza dire che ognuno attualmente ha il diritto di macellare senza tassa e per conto proprio.
    Ma per quanto siasi fatto, i Marradesi confessano nullameno di essere rimasti molto indietro per porsi a livello anche delle comunità della Romagna che sono a contatto della pianura; di che ne addebitano la posizione fisica del loro paese, come una delle cause più potenti di ritardo e di ostacolo non piccolo ai miglioramenti agrarii, e più ancora alle industrie manifatturiere.
    Da cotesta situazione procede che la temperatura del territorio di Marradi, essendo rigida anzi che nò, riesce sfavorevole alle opere agrarie. Avvegnachè ragguagliatamente per due mesi dell’anno le nevi cuoprono l’Appennino di Marradi. – Il freddo umido, e l’incostanza del clima dal novembre a mezzo aprile scoraggisce, intorpidisce l’animo dell’abitante indigeno, e arresta il coltivatore nei suoi progetti agricoli e industriali. È altresì vero che cotesti appenninigeni sono di temperamento robusto, di statura più che ordinaria, ben formati, e di rado afflitti da quelle malattie cacchettiche e glandulari, cui trovansi soggetti gli abitanti della pianura e dei climi caldo umidi. Prova della robustezza e sanità di cotesti abitanti sia la decrepita età, alla quale giungono; giacchè in Marradi e nel distretto si contano molti vecchi di un’età superiore all’ottuagenaria e nonagenaria.
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    Le malattie dominanti costà sono quelle dei climi freddi e rigidi, del genere cioè inflammatorio. Sono già decossi parecchi anni senza che siasi riaffacciato il vajolo arabo, stante la facilità con la quale i genitori si prestarono a fare inoculare il vaccino ai loro figliuoli, e mercè lo zelo dei professori dell’arte salutare che hanno potentemente cooperato a togliere un nocevole pregiudizio. Che se per l’addietro la mancanza di strade rotabili contribuiva a tener quel popolo robusto quasi inattivo, da ora in poi non vi sarà cagione di lamentarsi su tale rapporto.
    Uno de’mestieri principali è quello dei vetturali, il cui numero è di circa 150; due terzi di essi trasportano sopra bestie a soma le granaglie dello Stato pontificio ai mercati di Marradi, e a quelli del Borgo S. Lorenzo. Gli altri 50 provvisti anche di barrocci, sono occupati nell’esportazione del carbone che fornisce il superiore Appennino, e inoltre si recano a caricare i generi coloniali ecc. a Fir. per trasportarli nella Romagna granducale e pontificia.
    Sotto il primo Granduca di casa Medici la comunità di Marradi comprendeva 12 comunelli; cioè: 1. Borgo di Marradi, 2. Marradi capoluogo; 3. Biforco di sotto; 4. Biforco di sopra; 5. Acereta; 6. Cesata; 7. Campigno; 8. Crespino; 9. Fiumana; 10.Gamberaldi; 11.Lutirano; 12.Popolano; 13.
    Scola (S. Adriano e Abeto).
    Sotto il primo Granduca della dinastia attualmente regnante la comunità medesima si componeva di 15 comunelli; i quali dopo il regolamento speciale del 4 dicembre 1774, furono riuniti in una sola amministrazione economica residente a Marradi. Erano quei comunelli repartiti sotto i popoli seguenti:

    Nome dei Comunelli di Marradi all’anno 1774 e Popoli in cui erano compresi in tutto o in parte

    1. nome del Comunello: MARRADI Capoluogo
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Lorenzo Arcipretura
    2. nome del
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    Comunello: Scola
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Lorenzo e S. Adriano
    3. nome del Comunello: Biforco di sotto
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Lorenzo, e in parte nel popolo di S. Antonio a Fantino
    4. nome del Comunello: Boforco di sopra
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Jacopo a Cardeto
    5. nome del Comunello: Briccola
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Cesario in Cesata
    6. nome del Comunello: Badia Acereta ed Eremo di Gamogna
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Gio. Battista e S. Barnaba in Gamogna
    7. nome del Comunello: Bedronico
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): SS. Michele e Lorenzo in Abeto
    8. nome del Comunello: Campigno
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Domenico in Campigno
    9. nome del Comunello: Lujano e Grisigliano
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Michele e Lujano ora a
    Grisigliano
    10. nome del Comunello: Lutirano
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Pietro a Lutirano11. nome del Comunello: Borgo
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Reparata in Borgo
    12. nome del Comunello: Gamberaldi
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Matteo a Gamberaldi
    13. nome del Comunello: Popolano di sopra
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Maria e S. Pietro a Valnera
    14. nome del Comunello: Popolano di sotto
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Adriano
    15. nome del Comunello: Crespino
    popolo in cui era compreso (in tutto o in parte): S. Maria, già badia.

    La comunità di Marradi mantiene due maestri di scuola, un medico e un chirurgo. Le monache Domenicane della SS. Annunziata a Marradi, sebbene non tengano convittrici in educazione,
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    hanno l’obbligo di fare scuola alle povere fanciulle del paese.
    Si tiene ogni settimana in questa terra un grosso mercato di grasce e di bestiami nel giorno di lunedì.
    Vi si praticano inoltre tre fiere annue, la prima delle quali nel lunedì dopo la seconda domenica di luglio, la seconda nel dì 11 agosto, e l’altra nel terzo lunedì di novembre.
    In Marradi risiede un Vicario regio di terza classe, il quale dopo la legge del 7 Settembre 1837 abbraccia nella sua giurisdizione civile anche la comunità di Palazzuolo. Per la giurisdizione governativa e politica in conformità della stessa legge il Vicario di Marradi attualmente dipende dal Commissario R. della Rocca S. Casciano, dov’è il Tribunale di prima istanza civile e criminale. – Anche la cancelleria comunitativa di Marradi serve alla Comunità di Palazzuolo. L’Uffizio di esazione del Registro, e l’ingegnere di Circondario stanno al Borgo S. Lorenzo e la conservazione delle Ipoteche in Modigliana.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di MARRADI a tre epoche diverse.

    - nome del luogo: Abeto, titolo della chiesa: SS. Michele e Lorenzo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza, popolazione anno 1551 n° 362, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 177
    - nome del luogo: Adriano (S.), titolo della chiesa: S. Adriano (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 206, popolazione anno 1833 n° 338
    - nome del luogo: Albero, titolo della chiesa: S. Maria (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 89, popolazione anno 1833 n° 262
    - nome del luogo: Borgo di Marradi, titolo della chiesa: S. Reparata (già Badia), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 481, popolazione anno
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    1745 n° 284, popolazione anno 1833 n° 265
    - nome del luogo: Bulbana, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 84, popolazione anno 1833 n° 103
    - nome del luogo: Campigno, titolo della chiesa: S. Domenico (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 341, popolazione anno 1745 n° 316, popolazione anno 1833 n° 640
    - nome del luogo: Cardato e Biforco di sopra, titolo della chiesa: S. Jacopo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 512, popolazione anno 1745 n° 356, popolazione anno 1833 n° 551
    - nome del luogo: Cesata e Briccola*, titolo della chiesa: S. Cesario (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 401, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 195
    - nome del luogo: Crespino, titolo della chiesa: S. Maria (già Badia), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 226, popolazione anno 1745 n° 194, popolazione anno 1833 n° -
    - nome del luogo: Fiumana, titolo della chiesa: -, diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 72, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 233
    - nome del luogo: Gagliana, titolo della chiesa: S. Ruffillo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 140, popolazione anno 1833 n° 131
    - nome del luogo: Gamberaldi, titolo della chiesa: S. Matteo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 144, popolazione anno 1745 n° 96, popolazione anno 1833 n° 102
    - nome del luogo: Gamogna, titolo
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    della chiesa: S. Barnaba (già Eremo), diocesi cui appartiene: Faenza, popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 204, popolazione anno 1833 n° 332
    - nome del luogo: Grisigliano, titolo della chiesa: S. Michele (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 93, popolazione anno 1833 n° 89
    - nome del luogo: Lutirano, titolo della chiesa: S. Pietro (Pieve), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 239, popolazione anno 1745 n° 134, popolazione anno 1833 n° 157
    - nome del luogo: MARRADI, Scola e Biforco di sotto, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 1393, popolazione anno 1745 n° 1293, popolazione anno 1833 n° 2107
    - nome del luogo: Popolano, titolo della chiesa: S. Maria (Pieve), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 362, popolazione anno 1745 n° 193, popolazione anno 1833 n° 412
    - nome del luogo: Sessana, titolo della chiesa: S. Salvatore (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 49, popolazione anno 1833 n° 70
    - nome del luogo: Valnera, titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 33, popolazione anno 1833 n° 56
    - nome del luogo: Valle Acereta, titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), diocesi cui appartiene: Faenza,
    popolazione anno 1551 n° 553, popolazione anno 1745 n° 251, popolazione anno 1833 n° 265

    - Totale
    abitanti anno 1551 n° 5086
    - Totale
    abitanti anno 1745 n° 4015
    - Totale
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    abitanti anno 1833 n° 6485

    Tutti i popoli di questa Comunità fino ad ora (1839) sono appartenuti alla Diocesi di Faenza, la quale confina con la giogaja centrale dell’Appennino, antico limite fra la Toscana, la Romagna e l’Emilia.

    Una porzione del popolo contrassegnato con l’asterisco *, spetta alla Comunità di Tredozio. All’opposto nel 1833 entravano nella Comunità di Marrani alcune frazioni delle seguenti parrocchie, le cui chiese sono situate fuori di essa Comunità.

    - nome del luogo: Fantino, titolo della chiesa: S. Antonio, Comunità in cui è situata la chiesa: Palazzuolo, numero degli abitanti: 51
    - nome del luogo: Gattara, titolo della chiesa: S. Martino, Comunità in cui è situata la chiesa: Stato Pontificio, numero degli
    abitanti: 8
    - nome del luogo: Trebbana, titolo della chiesa: S. Michele, Comunità in cui è situata la chiesa: Portico, numero degli
    abitanti: 13
    - nome del luogo: Valle Acereta, titolo della chiesa: S. Reparata già Badia, Comunità in cui è situata la chiesa: Modigliana, numero degli
    abitanti: 77
    - Somma
    abitanti delle frazioni di popoli che entravano nella Comunità di Marradi nell’anno 1833: n° 149

    - Totale
    abitanti della Comunità di Marradi nell’anno 1833: n° 6634

    ROMAGNA GRANDUCALE. – Tutta quella porzione della sinistra costa dell'Appennino che acquapende nelle Valli del
    Savio, del Bidente, dei Rabbi, del Montone, del Tramazzo, del Marzeno, del Lamone, del Senio e del Santerno, appellasi ROMAGNA GRANDUCALE, a differenza della porzione più orientale dell’Appennino toscano acquapendente nelle valli superiori della Marecchia, della Foglia, del Metauro e del Tevere, la quale sezione appellasi più propriamente della MASSA TRABARIA e della MASSA VERONA, e a
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    differenza della valle superiore del Reno e dei valloni suoi tributarj, spettanti alla MONTAGNA DI PISTOJA E DI VERNIO.
    Quindi si possono ragionevolmente prescrivere i limiti della ROMAGNA GRANDUCALE, incominciando a scirocco dall'Appennino del
    Bastione sopra Monte Silvestro del Casentino, e di là scendendo per il contrafforte del Trivio dirigersi a settentrione grecale per Monte Coronaro verso quelli della Cella di S. Alberico e del Monte Aquilone, che separano le acque del Savio da quelle della Marecchia e del Tevere, potendo chiamare quelle montuosità le più orientali della ROMAGNA GRANDUCALE, mentre la parte più occidentale termina con la strada regia postale di Bologna, a partire dalla dogana della Futa e lungh’essa inoltrandosi sino alla dogana delle Filigare
    Spettano a cotesta porzione transappennina del Granducato 15 Comunità; quelle cioè di
    Verghereto, Bagno, Serbano, S. Sofia, Galeata, Premilcore, Portico Rocca S. Casciaoo, Docadola, Terra del Spedale, Tredozio, Modigliana, Diarradi Palazzuolo e Firenzuola.
    Tutte le quali Comunità occupano complessivamente una superficie territoriale di quadrati 444746, equivalenti a circa 553 miglia quadrate toscane, pari a 501 miglia geografiche.
    In cotesta superficie nell'anno 1833 vivevano familiarmente 45265 abitanti, a porzione ragguagliatamente di quasi 82 individui per ogni miglio quadrato toscano 802,70 quadrati per ogni miglio.
    Questa non indifferente estensione di paese nel medioevo fu ottenuta in gran parte Mediante imperiali concessioni, dalle Badie Camaldolensi del Trivio, di Bagno e di Verghereto, da quelle Cisterciensi di Galeata di S. Maria in
    Cosmedin e di S. Benedetto in Alpe, o dal priorato Camaldolense della Cella di S. Alberico,e innanzi tutto da conti rurali di Valbona, di Sarsina, di Bertinoro e di Forlì. – Cotesta porzione di Romagna ne’tempi più remoti fu abitata da Liguri, ed in parte dagli Umbri Sarsinatensj. (Vedere APPENNINO TOSCANO); finalmente
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    in età più moderna passò a poco a poco in potere della Repubblica Fiorentina, la quale non mancò di vigilanza per accumulare tutte le ragion possibili onde a buon diritto incorporare a suo distretto ed assicurare, siccome fece cotesta contrarla al suo (ERRATA: distretto) stato.
    Un codice della Biblioteca del Marchese Gino Capponi segnato ZZ contiene il prospetto statistico delle case rovinate nella Romagna granducale, per cagione dei terremoti accaduti nella primavera del 1661, quando nella Rocca S. Casciano e Dovadola rovinarono 80 casamenti, nel suo contado 162 e sei chiese di campagna; in Castro Caro dentro il paese 88 case con due chiese ed in
    campagna 236 fuochi e altre due chiese mentre in Galeata per cagione di quei terremoti caddero 92 case e due chiese, 14 chiese nel contado con 516 case; mentre in campagna rovinarono 1244 case, e 22 chiese

    Case rovinate in Campagna, N° 1244
    Case rovinate nelle Terre, 260
    Chiese rovinate in Campagna, N° 2
    Chiese rovinate nelle Terre, N° 4
    Persone perite in Campagna, N° 161
    Persone perite nelle Terre, N° 73
    Capi di Bestiame grosso morti , 161
    Capi di Bestiame minuto, 244

    MARRADI nella Valle del Lamone in Romagna. – Si aggiunga in fine. – Una quarta fiera annua fu concessa a questa Comunità nel 1843, la quale cade nel primo lunedì di giugno. L'ingegnere di Circondario risiede in Palazzuolo.
    Nel Quadro della popolazione si corregga. La parrocchia riunita di
    Cesata e Briccola con S. Martino in Collina nel 1744 ascendeva a 180 Abitanti e quella della pieve di Valle Acereta nel 1551 contava individui 537.
    Nel 1833
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    la Comunità di MARRADI, comprese sue frazioni, noverava 6634 Abitanti e nel 1845 ne aveva 7229, come appresso:

    Abeto,
    Abitanti N.° 187
    S. Adriano,
    Abitanti N.° 360
    Alberi o Albero,
    Abitanti N.° 312
    Borgo (
    presso Marradi), Abitanti N.° 294
    Bulbana,
    Abitanti N.° 97
    Campigno (
    porzione), Abitanti N.° 624
    Cardeto (
    porzione), Abitanti N.° 580
    Cesata (
    porzione), Abitanti N.° 65
    Crespino,
    Abitanti N.° 303
    Galliana,
    Abitanti N.° 162
    Gamberaldi,
    Abitanti N.° 108
    Gamogna (
    porzione), Abitanti N.° 301
    Grisigliano,
    Abitanti N.° 78
    Lutirano,
    Abitanti N.° 183
    MARRADI,
    Abitanti N.° 2479
    Popolano,
    Abitanti N.° 439
    Sessana,
    Abitanti N.° 74
    Trebbana,
    Abitanti N.° 84
    Valle Acereta,
    Abitanti N.° 291
    Valnera,
    Abitanti N.° 47

    Annessi

    Fantino; dalla Comunità di Palazzuolo, Abitanti N.° 69
    S. Reparata di Valle Acereta;
    dalla Comunità di Modigliana, Abitanti N.° 86

    Da Parrocchie Estere

    Gattara, Abitanti N.° 6
    TOTALE,
    Abitanti N.° 7229
Localizzazione
ID: 2629
N. scheda: 30190
Volume: 3; 4; 5; 6S
Pagina: 86 - 97; 809 - 810; 235; 138
Riferimenti: 6660
Toponimo IGM: Marradi
Comune: MARRADI
Provincia: FI
Quadrante IGM: 099-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1709272, 4883705
WGS 1984: 11.61442, 44.07818
UTM (32N): 709335, 4883879
Denominazione: Marradi - Scuola di Marradi - Romagna Granducale
Popolo: S. Lorenzo a Marradi
Piviere: S. Lorenzo a Marradi
Comunità: Marradi
Giurisdizione: Marradi
Diocesi: Faenza
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana (Romagna Granducale)
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