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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Micciano

 

(Micciano)

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    MICCIANO in Val Tiberina. – Casale con chiesa plebana (S. Maria) antica matrice della Terra di Anghiari, nella cui Comunità e Giurisdizione è compresa, circa un miglio toscano al suo settentrione, Diocesi e Compartimento di Arezzo.
    È posta sulla strada comunitativa che da Anghiari guida a Caprese, nel fianco orientale dei colli che prolungansi da Anghiari verso i
    Monti Rognosi, fra la fiumana Sovara ed il Tevere.
    Era la pieve di Micciano sino dal secolo XI giuspadronato dei conti Montedoglio e di Galbino; uno dei quali, Bernardo chiamato
    Sidonia, figlio di Ranieri da Galbino, con istrumento del 13 novembre 1083, acquistò dal suo fratello Alberto per il prezzo di lire 300 la porzione del padronato che gli si apparteneva sul castello d’Anghiari, sulla pieve di S. Maria a Micciano, sulle corti di Viajo, (Vivajo) d’Albiano, di S. Croce, del Castel Gilione, del Castello di Caprese, del Monastero di S. Maria a Deciano ecc. ecc.
    All’Articolo ANGHIARI dissi, in qual modo dopo il 1104 il giuspadronato di questa pieve di Micciano passò negli eremiti di Camaldoli, venuti al Monastero di S. Bartolommeo, ch’essi edificarono in Anghiari. Ai quali eremiti per disposizione di Bernardino
    Sidonia furono assoggettati, oltre il castello e uomini d’Anghiari, anche quelli della pieve di Micciano e di altre chiese, corti e castella acquistate dal fratello, o pervenutegli per cause di eredità.
    Nel mese di maggio del 1105 si adunarono nella pieve di Micciano i nobili Ildebrandino di Orlando, e Ugo suo figlio de’conti di Montedoglio con altri magnati di quella consorteria; i quali alla presenza di varj giudici rifiutarono nelle mani di Martino superiore di Camaldoli e della chiesa di S. Bartolommeo di Anghiari tutte le terre, chiese,
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    castelli, uomini e servitù che possedeva Bernardino Sidonia. Per il qual rifiuto quei nobili riceverono nell’atto medesimo del priore de’Camaldolesi e da Imildina vedova del defunto Bernardino Sidonia l’investitura piena di alcune terre appartenenti in parte ai cessionarj.
    La stessa cessione nel settembre del 1136, con breve di Mauro vescovo di Arezzo, fu confermata ad Azzone priore del S. Eremo di Camaldoli, compresa la pieve
    di S. Maria a Micciano con le sue pertinenze, nel modo come fu donata ai Camaldolesi da Bernardino Sidonia, compreso ciò che possedeva in Montedoglio, e in Vivajo. (ANNAL. CAMALD. T. III.)
    Ma cotesta padronanza dei priori di Camaldoli e per essi degli abati di S. Bartolommeo di Anghiari, sopra la pieve di Micciano e le cappelle succursali di Vivajo, ecc. fu frequenti volte occasione di lite tra i vescovi di Arezzo e i superiori dell’Eremo di Camaldoli; dondechè per convenzione fatta il dì primo di aprile del 1169 fra Girolamo vescovo aretino e il priore de’Camaldolensi fu stabilito, che i cappellani della pieve di S. Maria a Micciano di consenso del priore di Camaldoli dovessero eleggere il pievano, e il nuovo eletto; e se questi non era converso, o terziario Camaldolense, fosse tenuto a costituirsi tale; e quindi dal priore veniva presentato al vescovo di Arezzo per averne l’investitura con giurare al medesimo obbedienza nello spirituale, siccome doveva prestarla al priore di Camaldoli nel temporale.
    Ciononostante nel 1207 insorsero nuove controversie fra Gregorio vescovo aretino e Guidone priore del S. Eremo a cagione delle chiese di
    Micciano, Mogiona, Agna, ecc.; i rettori delle quali, essendo ligj del priore di Camaldoli, furono scomunicati dal gerarca aretino. – Anche nel 1215 venne fulminato un simile interdetto da Martino successore del vescovo Gregorio contro
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    i rettori delle chiese soprannominate.
    A estinguere cotesto malumore e sanare l’interdetto contro il pievano di Micciano, e gli altri rettori fu compromesso negli arbitri che si nominarono di concerto delle parti; i quali a dì 21 aprile del 1221 pronunziarono un lodo sopra i controversi diritti del pievano di
    Micciano, e dei parrochi della chiesa di S. Giovanni d’ Anghiari, di quella di Castiglione in Montedoglio, e della cappella di Vivajo, sentenziando: che i detti rettori dovessero corrispondere ai vescovi di Arezzo i tributi del sinodo, della parata, del capitolo, e le collette generali che dalla corte di Roma venissero ordinate. – A corroborare ai Camaldolensi la collazione e il padronato della pieve di Micciano giovarono in seguito le bolle pontificie d’Innocenzo III, confermate da Innocenzo IV nel 29 novembre 1252, da Alessandro IV nel 23 luglio 1258, e finalmente dall’Imperatore Carlo IV con diploma del 16 marzo 1355. (ANNAL. CAMALD. T. IV e V.)
    Nel dì 9 marzo 1243 alcuni nobili della consorteria di Montauto, stando nella chiesa di Micciano alla presenza di
    Mercato pievano della medesima e di due sacerdoti, promisero a Guidone priore di Camaldoli di osservare quanto era stato dallo stesso priore ordinato, di riconoscere cioè per feudatarj sulla metà del castello di Castiglione e sua curia (di Montedoglio), i nobili Alberto, Matteo e un altro Alberto di Galbino da Montauto. (loc. cit.)
    Dopo la famosa giornata di Montaperti anche la chiesa di Micciano, sembra che ne risentisse un tristo effetto, essendochè essa, per cagione probabilmente di partito, fu messa a fiamma e fuoco. Al quale incendio appella un breve emanato nel principio dell’anno 1261 dal Pontefice Alessandro IV, quando decretò, che la pieve di Micciano si riedificasse a spese del Comune di Arezzo.
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    (loc. cit.)
    Essa però era restaurata nel 1266, tostochè nel dì 8 maggio di quell’anno il pievano
    Mercato accolse ivi come patrono della chiesa medesima don Angelo priore di Camaldoli, allorché questi ricevé il giuramento di fedeltà dagli uomini di Castiglion di Fatalbecco. Un simile atto di fedeltà ripeterono nel 20 luglio successivo gli uomini della pieve di Micciano, e quelli di Castiglion di Fatalbecco, recatisi a tal uopo in Arezzo alla presenza di Tarlato da Pietramala capitano del popolo e del Comune, nel palazzo Albergotti, dove quell’ufiziale abitava (loc. cit.).
    Finalmente nel 1266 il vecchio pievano
    Mercato, avendo ricusato di riconoscere in suo superiore il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini, stato eletto priore di Camaldoli contro le costituzioni dell’Ordine, se ne appellò al Pontefice. (loc. cit.)
    Nel secolo susseguente Boso degli Ubertini vescovo di Arezzo tentò di riacquistare i suoi diritti sulla chiesa di Micciano, tostochè nel 1341 egli nominò il nuovo pievano, comecchè l’abate di Anghiari non tralasciasse di protestare sulla nullità di siffatta elezione.
    Qual esito prendesse tale controversia io l’ignoro; solamente mi sembra di travedere che, col progredire del tempo, i conti di Montedoglio rientrassero nel perduto diritto di giuspadronato della pieve di S. Maria a Micciano; avvegnachè dopo la metà del secolo XV, la stirpe di quei conti essendosi residuata in femmine, queste le portarono nelle famiglie dei loro mariti, cioè, negli Schianteschi di Sansepolcro, e nei Lotteringhi della Stufa di Firenze, i quali ultimi conservano tuttora il giuspadronato della pieve di Micciano.
    Benedetto Varchi (
    ERRATA: nel libro XI) nel libro XV della storia fiorentina ci ha tramandato il nome di quel pievano di Micciano, Raffaello Guglielmini, che nei primi anni del governo di Cosimo de’Medici non solamente accettò volentieri e alloggiò un giorno nella
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    sua canonica Filippo figlio di Baccio Valori commissario de’fuorisciti con il suo cancelliere Ser Mariotto di Ser Luca d’Anghiari, ma gli promise dal canto suo di far dar la volta ad Anghiari, tosto che essi avessero avuto dalla loro il Borgo. – Lo stesso autore a proposito della pieve di Micciano aggiunse: essere opinione di molti che costà fusse la magnificentissima villa di Plinio Nipote descritta leggiadramente da lui in una delle sue epistole.
    E poiché altri scrittori hanno creduto di situare la villa di Plinio, chi nelle vicinanze di BORGO SAN SEPOLCRO, e chi in CITTA’ DI CASTELLO (il Tiferno Tiberino), a me sembra che nessuno di questi luoghi della Valle del Tevere si addica la descrizione corografica, fisica e geoponica della regione in cui la villa di Plinio Nipote risiedeva. – Imperocchè, per rapporto alla forma della contrada: immagina, dice Plinio all’amico Apollinare, (Lib. V. Epist. 6.) un qualche immenso anfiteatro, quale può solamente idearsi in natura. “ Coelum est hyeme frigidum et gelidum, myrtos, oleas, quaeque alia estivo tepore laetantur, aspernatur, ac repuìt…. Regionis forma pulcherrima. Imaginare amphiteatrum aliquod imensum et quale sola rerum natura possit effingere. Lata et diffusa planities montibus cingitur. Montes summa sui parte procera nemora et antiqua habent. Frequens ibi et varia venatio: inde caeduae silvae cum ipso monte descendunt; has inter pingues terrenique, colles, neque enim (nota o lettore) facile unquam saxum, etiam si quaeratur occurrit, planissimis campis fertilitate non cedunt, opimamqque, messem, serius tantum, sed non minus percoquunt. Sub his per latus omne vinae porriguntur; unamque faciem longe lateque conexunt; quarum a fine, imoque quasi margine arbusta nascuntur. Prata inde, campique. Campi quos non nisi ingentes boves, et fortissima aratra perfringunt; tantis glebis tenacissimum solum, cum primum prosecatur, assurgit, ut non demum sulco
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    perdometur. Prata florida, et gemmea; trifolium, aliasque herbans teneras semper et melles, et quasi novas alunt. Cuncta enim perennibus rivis nutriuntur. Sed ubi aquae plurimum, PALUS NULLA; quia devexa terra, quidquid liquoris accepit, nec absorbuit, effundit in Tiberim. Medios ille agros secat, navium patiens, omnesque fruges devehit in Urbem hyeme dumtaxat et vere; aestate submittitur, immensique fluminis nomen arenti alveo deserit; authumno resumit…… Villa in colle imo sita prospicit quasi ex summo, ita leviter et sensim clivo fallente consurgit, ut cum ascendere te non putes, sentias ascendisse: A TERGO APENNINUM, SED LONGIUS HABET….Magna sui parte meridiem spectant, etc. etc.
    Chi ha visitato la Valle Tiberina superiore, e specialmente quella fra ANGHIARI, il BORGO e CITTA’ DI CASTELLO, non troverà certamente alcun punto di appoggio per credere che esistesse in questi luoghi il colle cretoso sopra il quale sedeva villa Pliniana, costà dove la valle, anziché essere immensa e lontana dall’Appennino, si mostra angusta e racchiusa fra due altissimi contrafforti, l’Alpe della Luna e l’Alta di Sant’Egidio, costà dove il suolo è formato di duro macigno, dove perfino il terreno di alluvione dell’Angusta pianura è profondamente coperto da ciottoli, anziché da argilla tenace; costà dove il Tevere non è navigabile in alcuna stagione dell’anno, siccome lo era nella valle in mezzo alla quale sedeva sopra dolce collina la villa di Plinio. – A volere pertanto rintracciare la regione corografica e fisica, in mezzo alla quale Plinio Nipote aveva edificato una magnifica villa, tengo opinione che si debba cercare al di sotto piuttosto che al di sopra di CITTA’ DI CASTELLO, dal lato però della TOSCANA antica, vale a dire alla destra del Tevere, là dove questo fiume nell’inverno e nella primavera era ed è tuttora in qualche modo navigabile.
    Che i predj di Plinio nipote fossero dentro gli antichi confini della TOSCANA,
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    innanzi da arrivare a ROMA e a TIFERNO, lo dichiarò lo stesso autore nella epistola prima del libro IV, allorché annunziava (ERRATA: al suocero) al prosuocero l’imminente sua partenza per TIFERNO, dove recavasi a dedicare un tempio da esso edificato in riconoscenza a quel popolo che fino da fanciullo lo aveva eletto in suo patrono.
    Ma per tornare a MICCIANO dirò, che la chiesa è nuda di ornati, però decente, e divisa in tre navate con sette arcate per parte a sesto tondo, le quali posano sopra pilastri di pietrame, che sorreggono la tettoja a cavalletti. Essa fu restaurata dai suoi pievani nel secolo XVII, senza che restasse alterata sensibilmente l’architettura, la quale si richiama al secolo XIII. Attualmente ne è pievano il zelante ed esemplare sacerdote Biagio Lapini, che senza conoscere lo scrivente lo accolse cordialissimamente ad ospizio nella sera del 13 ottobre 1832.
    Dal catalogo delle chiese della diocesi aretina compilato nel 1275 risulta, che la pieve di Santa Maria a MICCIANO aveva allora sotto di sé le seguenti cinque suffraganee; 1. San Paterniano al
    VIVAJO, o VIAJO (esistente); 2. San Leone in PIAN D’ANGHIARI (esistente); 3. San Donato a TUBBIANO (esistente); 4. S. Crescentino (lo ignoro); 5. S. Stefano nel PIAN D’ANGHIARI (riunita a San Girolamo).
    Sulla fine però del secolo XIV il piviere di MICCIANO abbracciava sotto la sua giurisdizione una più estesa contrada, nella quale si trovavano le appresso chiese; 1. S. Martino di
    COLLE (a MONTEDOGLIO); 21. S. Angelo di MONTEDOGLIO; 3. San Donato a TUBIANO; 4. San Girolamo (nel PIAN D’ANGHAIRI); 5. San Crescenzio, o Crescentino (distrutta); 6. San Paterniano al VIVAJO; 7. San Pietro di COLLE (l’ignoro); 8. Santa Croce nel Pian di
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    BORGO SAN SEPOLCRO; 9. Santo Stefano nel Pian d’ANGHIARI; 10. San Leone nel Pian d ‘ANGHIARI; de’Santi Stefano e Girolamo, nel Pian d’ ANGHIARI; 11. San Cristofano della TORRE (diruta); 12. Santa Maria di CORZANO (ignota).
    Comecchè le onorificenze della pieve di MICCIANO siano passate attualmente nella chiesa prepositura di San Bartolomeo d’ANGHIARI, non ostante si possono contemplare sempre come filiali della stessa pieve le chiese di San Martino a MONTEDOGLIO, di San Donato a TUBIANO, di Santa Croce in Pian di BORGO, di San Paterniano al VIVAJO; di San Leone nel Pian d’ANGHIARI; de’SS. Stefano e Girolamo,
    idem.
    La parrocchia della pieve di Santa Maria a MOCCIANO nel 1551 contava 312 abitanti; nel 1745 ne contava 231; nel 1833 aveva 339 abitanti.
Localizzazione
ID: 2711
N. scheda: 31220
Volume: 3
Pagina: 203 - 206
Riferimenti: 1080
Toponimo IGM: Micciano
Comune: ANGHIARI
Provincia: AR
Quadrante IGM: 115-4
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1745634, 4827915
WGS 1984: 12.04236, 43.56529
UTM (32N): 745698, 4828090
Denominazione: Micciano
Popolo: S. Maria a Micciano
Piviere: S. Maria a Micciano
Comunità: Anghiari
Giurisdizione: Anghiari
Diocesi: Arezzo
Compartimento: Arezzo
Stato: Granducato di Toscana
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