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Moje, Saline di Volterra - Via, Strada di Val di Cecina

 

(Saline di Volterra)

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    MOJE (Muriae) o SALINE VOLTERRANE in VAL DI CECINA. –Varie sono nel Volterrano le località dove furono, o dove tuttora esistono e si estraggono dai pozzi delle acque salse, ossiano i fontinai, che forniscono le sottostanti miniere (ERRATA: d’idroclorato di soda, o sal marino) di cloruro di sodio, o sal gemma. – Le attuali esistono nella parrocchia di S. Leopoldo alle Saline, una volta S. Pietro a Fatagliano nella Comunità Giurisdizione Diocesi e 4 miglia a ostro scirocco di Volterra, Compartimento di Firenze.
    I luoghi nei quali furono, o dove sono scavati i pozzi d’acqua salata consistono in una marna argillosa cerulea, sotto la quale s’incontrarono filoni di solfato di calce (gesso, o alabastrite) del zolfo, e idriclorato di soda, (
    sal comune). Sebbene alcuni geologi considerino quest’ultima varietà di terreno distinta da quello terziario marino in mezzo a cui giace, comecchè a giudicarne al primo aspetto taluno probabilmente supporrà, che coteste gessaie, zolfiere e moje siano contemporanee all’epoca della marna cerulea marina; ciò non ostante esaminando l’insieme della valle con occhio diligente, e con mente non preoccupata si aderirà piuttosto all’opinione emessa dal dotto e accurato geologo Prof. Paolo Savi, il quale riguarda cotesti terreni gessosi, saliferi e zolfieri, il resultato dell’azione di cause plutoniane accadute nelle vicinanze di quel suolo.
    Contuttociò lo stesso Prof. pisano conclude, non esser tanto facile il comprendere l’origine del sal gemma, né come egli sia comparso in tanta copia in contesti luoghi donde si scavano i pozzi, che forniscono l’acqua delle Moje Volterrane. (NUOVO GIORNALE DE’LETTERATI DI PISA N. 63. –
    Osservazioni geognostiche del Prof. Paolo Savi).
    La scoperta delle Moje Volterrane, dalla considerazione delle cui acque salate si procura il sale a tutta la
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    Toscana, deve essere antichissima, giacché l’istoria ce ne ha conservata la memoria fino dal principio del secoli XI, se non anche prima; a proposito di chè Gio. Targini nei suoi Viaggi cita un diploma dell’imperatore Arrigo I dato presso Pisa nel 1015.
    Spettano alle moderne e principali saline quelle situate alla base meridionale del monte di Volterra lungo il torrente
    Zambra che si vuota nel fiume Cecina, e che sono quelle denominate Moje di S. Lorenzo, le quali cessarono di lavorare nel 1835.
    Il terreno di coteste pendici, siccome avvertiva Giovanni Targioni-Tozzetti, mostrasi per lo più composto di strati tortuosi ed ondeggianti di solfato di calce (gesso, alabastro ecc.), confermati in tanti arnioni, o
    botriti. Vi ha poi tutta l’apparenza, soggiungeva egli (e ciò fu poi constatato dal Salvi), che sotto i filoni d’alabastro sieno nascosti de’filoni di sal gemma, sopra de’quali passando le acque e disciogliendone porzione, acquistare debbano la salsedine che quei filoni portano seco fin dove comparisce alla luce in forma di Moje.
    Fra le varie
    Moje Volterrane, i pozzi più comodi, più ricchi e attualmente in attività sono sei. I medesimi portano i nomi di pozzo S. Giovanni, di S. Antonio, di S. Maria, di S. Ottaviano, di S. Giusto, e di S. Luca. – Tutti questi pozzi s’incontrano sopra una linea di circa un miglio in direzione da settentrione a levante, a partire dalla fabbrica generale delle Saline di S. Leopoldo, dette le Moje nuove.
    Molti altri pozzi con edifizi per estrarre il sale esistevano a
    Monte Gemoli, a Querceto, a S. Benedetto ed altrove sulla ripa di sinistra del fiume Cecina. Le quali
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    Moje, benché comprese in un diametro non maggiore di tre o quattro miglia, per la lontananza dalla fabbrica delle attuali Saline, o Moje nuove, o sia ancora per essere mancata, o derivata la vena, o per altri inconvenienti, sono state da qualche tempo abbandonate e abolite.
    La fabbricazione del sale alle
    Moje Volterrane si riduce alla semplice evaporazione delle acque salse estratte dai pozzi di quella località, i quali sono profondi circa 40 braccia. Attualmente è stata ordinata la costruzione di un pozzo di dimensioni molto maggiore degli altri, nel quale dovranno imboccare due gallerie sotterranee destinate a raccogliere per via un gran numero di polle di acqua salata. Nei tempi trascorsi si estraeva dai pozzi l’acqua solamente con burbere, cui sono state sostituite le trombe aspiranti e prementi. L’attuale direttore Professor Paolo Savi ha trovato utilissima una tromba a corona, la quale sembra la più adattata all’oggetto per la sua semplicità e piccolo costo; cosicché è improbabile che a tutti i pozzi saranno applicate simili macchine. Innalzata per tali opere l’acqua salsa, questa si versa in acquedotti ultimamente stati tutti rifatti di nuovo, più alti e di un corso più diretto di prima, sebbene alcuni di essi corrono un cammino poco meno lungo di un miglio per trasportare l’acqua nel cisternone contiguo all’officina delle Moje. – Questo cisternone è diviso in due grandissime vasche quadrate di legname di albero e di pino dentro un apposito edifizio, difeso dalle acque piovane, lasciando libera la circolazione all’aria ambiente. La capacità di cotesta gran conserva è tale da contenere acqua salata per più di tre giorni di lavoro. Dalla conserva l’acqua salata entra per canali di piombo nei due edifizi evaporatori, uno dei quali appellasi di S. Leopoldo, l’altro di S.
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    Pietro, dal titolo della vecchia e della nuova chiesa parrocchiale. Ciascuno edifizio consiste in due apparati salinatorj, che costà appellansi Fuochi; ogni Fuoco, o apparato, ha tre grandi caldaje di bandoni di ferro innestati insieme da grossi bullettoni e ciascuna di esse caldaje di forma quadrilunga ha una superficie di circa 132 braccia quadrate. Due di esse destinate a riscaldare l’acqua salsa sono una più dell’altra lontane dalla bocca dei tre fornelli. La prima si riscalda dai 40 ai 45 gradi del termometro di Reaumur; quella di mezzo la porta dai 55 ai 65 gradi, e nella terza la più vicina alla bocca del forno segue l’ebollizione e confezione del sale, giacché sotto questa stanno tre fornelli, ne’quali a seconda del bisogno s’introducono le legna. L’aria riscaldante ed il fumo scorre poi sotto le altre due caldaje, per quindi escire da una cappa di forma cilindrica, ch’è una specie di colonna alta circa braccia 25, la quale è posta dietro la caldaja più lontana dai fornelli. Cotesti fuochi di nuova costruzione accoppiano alla semplicità un grande effetto, sia per il calorico raggiante che non si disperde, sia per l’economia del combustibile che vi abbisogna, come ancora per la disposizione dei vasi salinatori che riscalda. Coteste caldaje sono sorrette sopra il focolare da ben disposti dadi di pietra, in guisa che la prima e più lontana dalla bocca dei tre fornelli di ciascun fuoco trovasi in un piano un poco più elevato della seconda, e questa della terza, tantochè quando estraesi il sale da quest’ultima, tosto mediante un sifone si riempie dell’acqua salsa della caldaja seconda già riscaldata, come si è detto, a 60 e più gradi, e nella stessa guisa si fa passare ad ogni cotta
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    dalla prima nella seconda l’acqua riscaldata a circa 45 gradi. – Avvertasi inoltre che la capacità di queste due caldaje più lontane dalla bocca dei fornelli essendo maggiore dell’ultima, ossia di quella dove l’acqua si condensa in sale, fa si che vi resta costantemente la metà o poco meno d’acqua già riscaldata allorché vi s’introduce la fredda dalla conserva. In ciascuno fuoco si ottiene ogni sei ore una cotta, vale a dire 4 cotte ogni 24 ore, ed in ciascuna cotta si estraggono circa 5000 libbre di sale, consumando a un dipresso ragguagliatamente undici once di legna per ogni libbra di sale.
    Attualmente la fabbricazione del
    Sal da cucina è ridotta, come dissi, alle Moje nuove, o di S. Leopoldo, fatte costruire con magnificenza dal Granduca Leopoldo I insieme col palazzo per i ministri, e la chiesa parrocchiale. – Dall’Augusto Granduca LEOPOLDO II quelle fabbriche sono state aumentate di comodi opportuni per la così detta stagionatura del sale e dei magazzini per conservarlo. Furono dall’attuale direttore ricostruiti tutti gli apparecchi salinatorj sul sistema testé accennato, in luogo di quelli anticamente esistenti di prodotto più dispendioso, ed anche d’imperfetto sistema. Molte delle rammentate Moje appartenevano a dei particolari, o a dei signori dei castelli, dai quali in più tempi le acquistò per via di compre la comunità di Volterra. Che sebbene questa ne restasse spogliata nel 1472, poco dopo le ricevè dalla Repubblica fiorentina in affitto con certi oneri, fino a che nel 1809 ritornarono sotto l’amministrazione diretta del governo che allora dominava in Toscana. La salsedine delle acque nei sunnominati pozzi varia in ciascuno di essi, sebbene molto maggiore nella stagione estiva che invernale. Calcolando i medesimi relativamente alla loro
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    salsedine sono nell’ordine seguente; I° Pozzo di S. Antonio, è il più salato di tutti, poiché in estate segna da 23 a 24 gradi; 2° di S. Ottaviano che segna da 22 a 23 gradi; 3° di S. Giusto da 20 a 22 gradi; 4° di S. Luca da 18 a 19 gradi; 5° di S. Maria da 15 a 18 gradi; 6° di S. Giovanni da 6 a 7 gradi dell’Areometro di B. Appena ridotta l’acqua allo stadio salino, si estrae il sale dalla caldaja conducendolo con uno strumento chiamato Riscio sulla così detta Madiella, la quale consiste in un tavolone a sdrucciolo situato lungo la parete anteriore della caldaja di cristallizzazione, onde possa sgrondare la porzione del sale non solidificato. Fatto ciò, il sale della madiella fino al 1835 soleva travasarsi in una sottostante stufa, riscaldata dai tubi che vi si introducevano dai fornelli dei fuochi, ed ivi si lasciava per sei ore innanzi di trapassarlo per un egual tempo nei cassoni del contiguo magazzino, sotto i quali attraversavano egualmente i conduttori del calorico provenienti dal rifiuto delle caldaje. Ma queste operazioni, per ragioni chimiche trovate affatto inutili, sono state tolte; per modo che dopo il semplice sgrondo del sale, questo si trasporta nei vicini magazzini stati recentemente con intelligenza costruiti di nuovo, o rettificati e amplicati. La caldaja di cristallizzazione è circondata nei quattro lati da pareti di legno, apribili in tanti sportelli, le quali sono connesse ad un ampia cappa piramidale pur di legno. Cotesto meccanismo raccoglie il caldissimo vapore delle caldaje, liberando così da un sommo incommodo e pregiudizio i lavoranti, giacché gli antichi fuochi erano a evaporazione aperta. Il prodotto annuo del sale che
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    forniscono le Moje di S. Lorenzo suole ascendere un anno per l’altro dai 19 ai 21 milioni di libbre; cioè tre in quattro milioni più che nei tempi passati. I boschi di Berignone, e quelli comunali di Decimo e di Stincano riservati a cotesto lavorio, più vari boschi di particolari, come per esempio dei signori conti Guidi di Volterra, somministrano tutto il combustibile necessario. Siccome, a seconda delle ultime discipline stabilite, il combustibile non deve essere adoprato che dopo averlo fatto stagionare per sei mesi al coperto, è stato costruito a tale oggetto un amplissimo magazzino a pilastrate; racchiuso da un recinto di muro, il qual magazzino è capace di contenere la metà delle legna occorrenti per la fabbricazione di un anno. Nel 1831 fu costruita e messa in opera l’ingegnosa bilancia col ponte mobile per pesare i carri che portano legna, e che trasportano il sale, non che molti carri di altri generi sino al peso di 10.000 libbre. Nella manifattura delle saline sono impiegati 24 lavoranti, sei per ciascuno dei 4 fuochi. Il taglio dei boschi occupa da 50, persone oltre gli altri impiegati per guardie, facchini e loro famiglie, ecc.; cosicché in inverno ammontano in tutto a circa 200 persone.
    Da coteste saline prende il nome la vicina chiesa parrocchiale di S. Leopoldo, alla quale fu riunita la soppressa di S. Pietro a
    Fatagliano. – Cotest’ultima cura nel 1551 era ridotta a 50 abitanti e nel 1745 a soli 39 abitanti. – La nuova di S. Leopoldo alle Saline nel 1833 conteneva 336 abitanti. – Vedere FATAGLIANO

    MOJE o SALINE VOLTERRANE in Val di Cecina. – Si aggiunga. – Le
    Saline di Volterra sotto il qualificato di Moje Regie sono rammentate
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    fino dall'anno 974 in un istrumento del 23 ottobre di quell'anno, quando Pietro Vescovo di Volterra donò al suo capitolo fra le altre cose una corte dominicale presso il fiume Cecina et prope Mojas Regis, più una cascina con poderi posta ivi presso in Casa Nuova (ora villa Inghirami) presso Ischeto. – Vedere SCLETO, ISCHETO. ecc.
    Rispetto alle
    Moje vecchie ora dette di S. Lorenzo, esse trovansi circa due miglia toscane a scirocco delle Moje Nuove, ossia di S. Leopoldo, poco sopra la confluenza del torrente Zambra in Cecina.
    In quell'Articolo qualche volta per svista si nominarono le
    Moje Vecchie di S. Lorenzo invece di quelle Nuove di S. Leopoldo, le di cui caldaie di bandoni di ferro hanno una superficie di circa braccia 160 quadrate. Per il restante veggasi l'operetta di CARLO MARTELLI sull'agricoltura, industria e saline Volterrane.

    VIA, o STRADA DI VAL DI CECINA. – Staccasi dalla STRADA TRAVERSA DEL MONTE VOLTERRANO al luogo di
    Rioddi fino all’incontro della Via provinciale da Pontedera a Massa Marittima, e da questa Via fino allo stradone delle Moje S. Leopoldo di dove lungo la Cecina si dirige sulla Via regia Emilia che trova nelle vicinanze, del Ponte del Fitto che attraversa quel fiume dopo miglia 21 e 3/4 di cammino.

    All’Articolo VIA di VAL di CECINA dove dice, si dirige lungo la Cecina sulla VIA R. EMILIA che trova ecc. si dica, che trova al quadrivio di
    Colle Mezzano.
Localizzazione
ID: 2743
N. scheda: 31630
Volume: 3; 5; 6S
Pagina: 244 - 246; 731; 149, 273
Riferimenti: 21200
Toponimo IGM: Saline di Volterra
Comune: VOLTERRA
Provincia: PI
Quadrante IGM: 112-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1647082, 4802461
WGS 1984: 10.81597, 43.36217
UTM (32N): 647145, 4802635
Denominazione: Moje, Saline di Volterra - Via, Strada di Val di Cecina
Popolo: S. Pietro a Fatagliano in S. Leopoldo alle Saline
Piviere: S. Giovanni Battista a Villamagna
Comunità: Volterra
Giurisdizione: Volterra
Diocesi: Volterra
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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