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Monte Pulciano, Montepulciano, Monte Policiano - Gavina, Gavinea - Vescovati della Toscana (Montepulciano) - Via, Strada Traversa di Montepulciano

 

(Montepulciano)

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    MONTE PULCIANO, MONTEPULCIANO, già POLICIANO ( Mons Politianus ) nella Val di Chiana. Città nobile decorata della residenza vescovile, e di un tribunale collegiale di Prima Istanza, capoluogo di Comunità, di Vicariato Regio e di Circondario nel Compartimento di Arezzo. Risiede sulla cima di un monte omonimo facente parte della giogana che divide la Val di Chiana dall’opposta Valle dell’Orcia. Scaturisce dalle sue spalle verso ostro il torrente Tressa dell’Orcia, mente nel fianco volto a maestro sorge per varii rivi il Salarco , e scende dalla faccia dirimpetto a grecale e a levante il Salcheto , due torrenti tributarii della Chiana. Misurata la sua altezza dalla torre del palazzo pubblico fu segnalata dal P. Inghirami a braccia 1076,7 superiore al livello del mare Mediterraneo. Trovasi fra il grado 39° 43’ di longitudine e 42° 30’ di latitudine, circa 11 miglia a maestro di Chiusi, 7 miglia a levante di Pienza, 18 a libeccio di Cortona, e 30 miglia a ostro di Arezzo. La città di figura bislunga è situata presso la sommità del monte omonimo, dalla parte però che guarda grecale acquapendente in Val di Chiana; è circondata di mura castellane che girano circa un miglio con 4 porte e due postierle, una fortezza diruta nella parte superiore, e un’altra nella parte inferiore. Da questa eminenza dove si respira aria salubre, e donde l’occhio si spazia sopra una grande estensione di paese, noi non salutammo, comecchè altri salutassero, Montepulciano fondato dall’etrusco re Porsenna, nè tampoco ci unimmo di animo a coloro che posero in questo monte l’ Arretium fidens , o agli altri che vi collocarono il Clusium novum di Plinio; essendochè le cose troppo antiche basta che abbiano un poco del verosimile, ancorchè nol siano, sogliono accettarsi generalmente per vere. Per altro la scoperta fatta nel distretto di Montepulciano di molti oggetti etrusco-romani concede a buona ragione il diritto di credere che l’origine
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    di questa città, qualunque fossero i nomi che ad essa si diedero, risalire debba ad un’epoca assai remota. Infatti tuttora s’ignora il nome di questo paese da’tempi Etruschi e Romani sino a quelli dei barbari scesi in Italia ed in Val di Chiana; conciosiacchè il suo nome si scuopre la prima volta (se io non erro) nel principio del secolo VIII. E ciò apparisce dal processo fatto in Siena nell’anno 715 per ordine del re Liutprando a cagione di molte chiese della diocesi aretina pretese dal vescovo sanese come state di sua giurisdizione, nella quale controversia, fra le pievi che rivendicare voleva Siena, vi era annoverata la battesimale, ora cattedrale di S. Maria di Montepulciano, cioè, S. Matris Ecclesiae in castello Politiano . A questo documento tengono dietro quattro altri, tuttora inediti, appartenuti all’Abbazia del Mont’Amiata, scritti sotto i primi re Carolingi nei quali viene rammentato il castello con la pieve di Politiano , o di Montepulciano. Il primo di essi, rogato nel novembre del 790, tratta di un’offerta alla chiesa di S. Silvestro a Lanciniano manuale della badia Amiatina, fatta dal chierico Arnipert , di un pezzo di terra con vigna posta nel castello Policiano sotto la via pubblica in luogo chiamato Subrupina (forse Le Balze ,) con una casa situata nel casale Feroniano . – Vedere MONTE FOLLONICA. Col secondo documento dell’agosto 793, scritto presso la Santa Madre Chiesa del castel Policiano , due fratelli vendono per un soldo d’oro a Grossolo primicero una vigna posta nel castel di Policiano , nel vocabolo Ardene . Col terzo istrumento stipulato da Teudilary notare e cittadino aretino di maggio dell’806 nella S. Madre Chiesa al castel Policiano , Cuniperto del fu Teudilary nativo del castel Policiano dona ad uno de’suoi tre figli, Agiprando, un campo con una
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    casa situato nel casale Ovile , cui era a confine di sopra, la casa del donatore, e di sotto, la basilica di S. Stefano, da un lato le terre del Re, dall’altro lato i beni della S. Madre Chiesa di Policiano ; dal terzo lato le terre di Agiperto e di Orso nipoti del donatore, e dal quarto lato la via pubblica. Avvertirò inoltre che fra i testimoni sottoscritti a quell’atto si legge il nome di Petrone orefice . Con un quarto istrumento, rogato nella corte di Policiano di febbrajo dell’827, Gismari, uomo libero, insieme con Aggiperga sua moglie ottiene a livello dal prete Ansari una terra della pieve di S. Salvadore, la quale già teneva a fitto Gisperto genitore di detto Gismari, con patto di fabbricarvi sopra una casa, e di pagare annualmente alla detta pieve una pensione di tre denari d’argento con cinque congi di vino per la festa di S. Martino. Fra i testimoni si trova un tal Sasso chierico e medico . Pertanto dai documenti qui accennati resulta, che in Montepulciano sino dall’800, abitavano orefici e medici, e che nel suo territorio si coltivavano le viti, il di cui liquore nei secoli successivi divenne famoso cotanto da qualificare questo di

    Montepulciano d’ogni vino il re .

    Non meno importanti per la storia ecclesiastica civile di Montepulciano sono le pergamene pervenute da quell’archivio comunitativo nel Regio diplomatico di Firenze; la più antica delle quali risale al 25 febbrajo dell’anno 1055. Con tuttociò s’ignorano i fatti bellici guerreggiati dai Montepulcianesi anteriormente all’anno 1154, giacchè niun’altro autore per avventura li tramandò ai posteri innanzi di Ricordano Malespini. Il quale al capitolo 80 della sua istoria fiorentina racconta per qual modo si cominciò a guerreggiare nel 1154 fra i Fiorentini e i Sanesi per cagione delle castella che confinavano fra i due contadi nel Chianti; dondechè i Fiorentini presono a difendere
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    dai Sanesi quegli di Montepulciano, e andarono per fornire il loro castello. Ma nel 1202 la popolazione di Montepulciano, dubitando dell’animo e delle forze de’Sanesi, inviò un suo ambasciadore a Firenze per giurare e protestare nelle mani di uno dei consoli di detta città che il suo distretto non faceva parte nè del vescovado, nè del contado di Siena. Con egual sicurezza furono ricevuti in protezione della Repubblica Fiorentina i Montepulcianesi, con la promessa questi di non imporre gabelle alle merci de’Fiorentini; di offrire ogn’anno il dì della festa di S. Giovan Battista in Firenze un cero di libbre 50; di pagare a titolo di tributo dieci marche d’argento, ovvero un equivalente di 50 lire di buoni denari pisani, e di far guerra e pace a piacere de’Fiorentini, oltre l’obbligo di rinnovare ogni dieci anni un simile giuramento davanti ai rappresentanti del Comune di Firenze. – (AMMIRATI Istor. fior . Lib. I). All’annunzio di cotesto trattato i Sanesi reclamarono le loro ragioni sopra Montepulciano davanti a una dieta composta di nobili di contado, e di rappresentanti delle città di Toscana, la quale fu convocata nell’aprile dell’anno 1205 nel castello di S. Quirico in Ossena (in Val dOrcia) dopo l’esame dei testimoni per decidere, se il Castello col territorio di Montepulciano era o no del contado sanese. Infatti da quel deposto appariva, che da quaranta e più anni indietro non solo Montepulciano era contemplato come parte del distretto di Siena, ma che ivi in quel tempo dominarono alcuni conti teutonici del contado sanese, come in un loro proprio castello. – (MURATORI Ant. Med. Aevi Dissert.50). – Vedere AGELLO DI CHIUSI in Val d’Orcia. Avvenne però che nell’anno 1207 i Sanesi avendo mosso la loro oste contro Montepulciano, i Fiorentini mandarono un esercito a guerreggiare nel contado di Siena; e fu allora che si prese e si disfece il Castello di Montalto della Berardenga in guisa che i Montepulcianesi
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    per quella volta furono liberati dal timore di dovere piegare il collo a Siena. Ma non erano appena scorsi quattro lustri, che dopo aver osteggiato e quindi nel 15 febbrajo 1229, (stile comune) aperte delle trattattive presso il torrente Salarco sul confine del territorio di Montepulciano, venendo queste dai Montepulcianesi rifiutate, nel successivo mese di giugno la Signoria di Siena comandò nuova oste contro quel paese. Allora i magistrati di Montepulciano d’accordo ai sindaci di Firenze contrassero amicizia con il Comune di Orvieto, sicchè per atto pubblico del 13 giugno anno 1219, gli ambasciatori Orvietani trovandosi negli accampamenti di Montefiascone, promisero a nome del loro Comune difendere il castello di Montepulciano ed i suoi abitanti da chiunque gli muovesse guerra, meno che contro il Papa, l’Imperatore, i Fiorentini, gli Aretini ed i Romani. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Comunità di Montepulciano ). Quindi nel successivo mese di settembre i Fiorentini inviarono nuove genti a’danni di Siena, le quali diedero il guasto intorno a venti loro castella. Contuttociò tre anni dopo i Sanesi, avendo raccolti (1232) molti fuorusciti ghibellini di Montepulciano corsero insieme ad assediare questa terra. Per la qual cosa si mosse da Firenze nuovamente l’oste verso il Chianti sanese prendendo di mira i castelli di Selvoli e di Querciagrossa, i quali a forza dovettero darsi ai Fiorentini che li feciono atterrare. Allora il governo di Siena essendosi alleato co’Chiusini (16 ottobre 1232) fu posto in grado di riunire un poderoso esercito, col quale assediò, assalì, e nell’ottobre stesso s’impadronì di Montepulciano, e tosto la sua rocca con le mura castellane guastò e demolì. Non corse gran tempo però senza che i Fiorentini tornassero in campo per assistere i loro amici dalla parte di Siena, dove si recarono armati; poichè nel giugno del 1234 ebbono vettovagliato Montalcino, scorsero con grandissimo danno del nemico pel contado di Siena. Dondechè i Sanesi nel 1235 vedendosi esposti a incursioni continue, e le loro forze dopo
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    sei anni di guerra trovandosi indebolite, ricorsero alla mediazione del Legato pontificio per venire a qualche trattativa di pace co’Fiorentini. La quale fu ferma a patti, che il Comune di Siena a sue spese rifacesse le mura di Montepulciano, che non molestasse più Montalcino, e che rendesse tutto ciò che le sue genti avevano tolto agli Orvietani. All’incontro i Fiorentini dovevano restituire ai Sanesi i loro prigioni appena che le mura di Montepulciano fossero state rifatte. Ad accrescere la quiete e la sicurezza politica ai Montepulcianesi giovò grandemente un privilegio spedito da Grosseto nel febbrajo 1243 dall’Imperatore Federigo II, col quale gli accoglieva sotto la protezione imperiale, confermando loro i privilegi e le esenzioni che erano soliti godere. – Vedere GROSSETO. Di quelle cose che succedettono in Montepulciano dalla pace del 1235 alla battaglia di Montaperto, dove restò fiaccata ed oppressa la parte Guelfa allora predominante in Toscana, non abbiamo alcuna memoria del tempo che lo dica, seppure non si voglia calcolare una fazione accaduta nel 1253 fra alcuni militi sanesi che da Montefollonica vennero alle mani con altri di Montepulciano. Ma dopo la vittoria di Montaperto anche questa Terra dovè soggiacere alla sorte e sottoporsi ai Ghibellini sanesi permettendo ai vincitori di edificare costà una fortezza; il cui presidio fu cacciato ben presto dall’opposto partito dopo la notizia avuta (anno 1267) della morte del re Manfredi alla battaglia di Benevento. Fu allora che i Montepulcianesi veggendo che per la vittoria del re Carlo d’Angiò gli affari de’Ghibellini andavano per le rotte, mandarono i loro sindaci a raccomandarsi a quel re protettore della parte Guelfa, onde liberarsi in tutto dal dominio della fazione contraria. Infatti nel 24 giugno del 1267 Bartolommeo del fu Viviano giudice e sindaco del Comune di Montepulciano si presentò in Monte Fiascone per prestare giuramento di fedeltà in nome del Comune medesimo davanti a Carlo I re di Napoli, il quale prese sotto la sua protezione la comunità, uomini e
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    beni de’Montepulcianesi, accordando loro alcuni nuovi privilegi e confermando gli antichi. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Comunità di Montepulciano ). Mercè tali riforme politiche e favori Montepulciano andava ogni dì più acquistando mezzi di potenza e prosperità, siccome lo danno a divedere le deliberazioni prese da quella popolazione all’anno 1281, poichè per conto del Comune di Montepulciano si acquistavano beni presso il Bagno di Sellena (ora di Chianciano) ed un suo ricco abitante, Angelo di Danese o Danesi , fondava lo spedale di S. Pietro, fuori della porta alle Farine . Correva l’anno 1294 quando il popolo di Montepulciano, avendo per suo potestà Alessandro di Bandinello cittadino di Siena, e per capitano Spinello de’Gianfigliazzi di Firenze, procurò di rimettersi sotto l’accomandigia della Signoria di Siena, con la quale per trattato del 13 giugno di detto anno convenne nelle principali condizioni seguenti:1° l’offerta da farsi alla cattedrale di Siena per la festa di S. Maria Assunta di un cero fiorito di libbre 50; 2° di mandare quando fosse richiesto due distinti cittadini al parlamento a Siena; 3° che i Montepulcianesi dovessero eleggere fra i cittadini sanesi il loro potestà e capitano con salario per sei mesi di 400 lire corlonesi; 4° che i detti ufiziali governassero a seconda degli statuti di Montepulciano, purchè in essi non vi fosse cosa contraria agl’interessi de’Sanesi; 5° che il Comune di Montepulciano tenesse per amici gli amici del Comune di Siena e viceversa, e dovesse far pace e guerra con esso; 6° che i Montepulcianesi non potessero percipere nel loro distretto, nè imporre dazi, gabelle e altre gravezze ai generi e uomini della città e contado di Siena, il tutto con la penale mancando di mille marche d’oro. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Comunità di Montepulciano ). Un effetto delle convenzioni premesse fu la riforma del governo municipale di Montepulciano, il quale consisteva in cinque governatori col titolo
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    di difensori del Comune . Infatti mercè una deliberazione del 28 agosto 1397 fatta nel palazzo comunitativo, il consiglio generale di Montepulciano col consenso de’ cinque governatori e difensori del Comune, e del loro potestà Mino de’Malavolti sanese, incaricò un sindaco di recarsi a presentare al Vescovo di Chiusi il nuovo parroco eletto della pieve di S. Giovanni da Villanuova del distretto di Montepulciano, come parrocchia di giuspadronato della stessa comunità. – ( loc. cit .). A questa suddetta epoca, quando già esisteva il palazzo pubblico, risale la costruzione della chiesa e convento dei religiosi Domenicani di Montepulciano, dopo cioè di aver essi ottenuto una bolla dal Pontefice Bonifazio VIII spedita da Roma li 13 febbrajo del 1296, che concedeva facoltà al priore provinciale de’frati Predicatori di erigere un convento in Montepulciano nella casa che fu di Francesco, appellato Cisporo , la quale era stata confiscata d’ordine della S. Inquisizione di Roma, per avere il proprietario della medesima ivi ricevuto e protetto gli eretici. – ( loc. cit. Carte de’Domenicani di Montepulciano ). Siamo alla fine del secolo XIII, quando in Montepulciano incominciò a preponderare per le sue ricchezze la famiglia del Pecora, i di cui individui nel secolo susseguente tiranneggiarono nella loro patria. – Il primo a figurarvi fu un Corrado figlio del fu Pecora , il quale per deliberazione comunitativa del 29 maggio 1304 fu eletto delegato insieme con altri Montepulcianesi per accomodare alcune vertenze insorte tra il comune di Montepulciano e quello di Chiusi. Di un Guglielmo fratello di Corrado del Pecora fanno più volte menzione le carte di questa comunità, sia quando egli nell’11 settembre 1305 fu nominato procuratore della popolazione di Montepulciano, sia quando nel 30 maggio 1307 per il Comune medesimo egli prese a mutuo divesre somme di denari, sia allorchè per atto del 19 febbrajo 1310 il Comune predetto si dichiarò debitore di mille fiorini d’oro ricevuti a mutuo da Guglielmo del
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    fu Pecora . – Il qual Guglielmo del Pecora per contratto del 18 settembre 1301 aveva acquistato per lire 90 una casa situata nel prato ( Ascio ) davanti la pieve, ora cattedrale di Montepulciano, e che poco dopo cangiata in palazzo servì di abitazione ai suoi discendenti innanzi che divenisse dello stato. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte de’Crociferi di Firenze ). Nipote di esso Guglielmo del Pecora sembra che fosse quel cavalier Guglielmo Novello da Montepulciano, che nel 1338 fu scelto in capitano generale dell’armata guelfa dalla Lega dei Comuni della Toscana. – (AMMIR. Istor. Fior. Lib. VIII ). Nato da Guglielmo seniore dubito che fosse quel Ranieri del Pecora, stato eletto nel 1312 vescovo di Chiusi. E fu ad oggetto di favorire una tale elezione, che i cinque governatori del popolo di Montepulciano con deliberazione del 6 gennajo del 1312 si determinarono ad assistere in tutte le maniere il nuovo eletto vescovo acciò potesse realmente conseguire tale dignità. La qual cosa ci richiama alle discordie del capitolo di Chiusi, dove due altri vescovi intrusi contemporaneamente al sopra nominato si contendevano la stessa cattedra, finchè Ranieri restò solo fra i tre concorrenti; e ad esso poi succedè un altro vescovo per nome Angelo della stessa famiglia del Pecora. Non solo il Comune di Montepulciano fu costretto di aprire alcuni imprestiti con i nobili del Pecora, ma ancora con altre case mercantili di Siena, nel mentre che i suoi abitanti per dare aiuto ai Fiorentini, allora in guerra con gli Aretini, attiravano contro le censure papali, censure che poi nel 28 settembre del 1307 di commissione del legato pontifìcio Cardinale Napoleone Orsini vennero cancellate. – (ARCH. DIPL. FIOR. loc. cit. ). Anche nelle guerre contro Castruccio signor di Lucca il Comune di Montepulciano inviò la sua oste a sostegno della Fiorentina. – Che però i signori del Pecora cominciassero presto ad
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    agire con qualche arbitrio in Montepulciano, incoraggiati forse dall’esempio deplorabile del duca di Atene, non ne lascia dubbio un documento del 10 luglio 1348 scritto davanti i priori e capitani della parte Guelfa di Montepulciano, quando messer Bertoldo Novello figlio del fu Bertoldo del Pecora si confessava debitore del Comune più volte nominato di 400 fiorini d’oro, che disse di avere indebitamente percetti per cause ivi specificate, promettendo di rimborsarne la comunità ad ogni richiesta. Ciò accadeva l’anno innanzi che Niccolò figlio del prenominato Bertoldo (24 maggio 1349) contraesse matrimonio con donna Fiesca figlia del Marchese Moroello Malaspina di Mulazzo e di donna Alagia del Fiesco, rimasta vedova del conte Marcovaldo di Dovadola. – Vedere DOVADOLA. A maggiori cose peraltro miravano i del Pecora, resi ormai potenti per ricchezze e per illustri parentele, siccome lo dimostrano i fatti dopo il 1348 da Matteo Villani nella sua cronaca fiorentina registrati. Ardeva nel 1351 in Toscana la guerra fra i Fiorentini e l’Arcivescovo Visconti di Milano, quando Jacopo del fu Bertoldo del Pecora, avendo dato segni manifesti di tirannia verso i suoi concittadini, trovavasi con altri esuli fuori di patria; e ciò nel tempo stesso che da Niccolò del Pecora altro di lui fratello si riformava la Terra di Montepulciano, e si escludevano dal regime gli amici ed i partitanti di messer Jacopo. Il quale ultimo signore essendo allora in Siena, ordinò grandi novità a scandalo e suggezione (dice il Villani) della sua patria. Conciosiacchè Jacopo del Pecora d’accordo con Saccone Tarlati raccolse un cento di cavalieri dell’armata del Visconti ch’era in Val di Chiana, cui ne accoppiò altri a cavallo e a pie de’suoi amici; quindi corrotte per moneta alcune guardie di Montepulciano, la notte del 2 novembre 1352 avendo spezzata una delle porte, entrò dentro con tutta la sua gente: e levato il rumore, gli fece tosto fronte Niccolò, suo animoso rivale, il quale montato a cavallo con pochi compagni armati subitamente senz’attendere aiuto andò
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    incontro ai nemici, che avviliti si volsero ben presto in fuga, e la maggior parte errando per la Terra, essendosi desto il popolo, furono presi, e ben presto impiccato un notaro con i soldati ch’erano alla guardia della porta donde Jacopo era passato, e che avevano tradito. Ma se Montepulciano per questa volta restò libero dai suoi tiranni, poco era lungi il tempo di una schiavitù più decisa. Avvegnachè dei signori del Pecora, divisi per ambizione e per partito, cacciati l’un l’altro di patria e seggio, quelli ch’erano rimasi fra i vincitori tenevano l’amistà de’Perugini, mentre gli espulsi erano protetti da’Sanesi. Quindi avvenne che ben presto il governo di Siena comandò l’oste contro Montepulciano, stato già soccorso e presidiato dalle genti che in quell’anno tenevano i Perugini in Val di Chiana; per modo che i Montepulcianesi con l’aiuto di questi ultimi e con i loro soldati francamente difendendosi facevano vergogna alla cavalleria degli avversari. Cosicchè a tanta altezza montò lo sdegno de’Sanesi che appena ebber raccolto un maggior numero di fanti e cavalli, tornarono sotto Montepulciano, e quello di continuo assediarono infino al maggio del 1353. In questo mezzo tempo Fiorentini e Perugini mandarono i loro ambasciatori nel campo degli assedianti e agli assediati in Montepulciano per trovar modo di pacificare le parti. Lo che accadeva nel tempo stesso che dal consiglio generale del Comune di Montepulciano, nel 2 maggio 1353 si nominava un sindaco per assolvere e quietanzare i fratelli Bertoldo Novello e Niccolò, figli del fu Bertoldo del Pecora, e tutti gli altri di quella consorteria per cagione de’beni e sostanze pervenute nelle mani loro di pertinenza del Comune e uomini di Montepulciano, per cui dal sindaco del Comune fu rilasciato ai prenominati signori del Pecora un atto pubblico di quietanza. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dei Crociferi di Firenze ).
    Dopo lunghe pratiche i Sanesi nel 21 aprile 1353, erano venuti a questa concordia; cioè, che la Terra di Montepulciano rimanesse
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    al governamento del popolo, e stasse vent’anni presidiata dal Comune di Siena, il quale vi avrebbe tenuto un capitano con 15 cavalieri, e 20 fanti; che i Sanesi sarebbero sempre padroni di una delle porte della Terra e di una campana; che essi fra un determinato tempo avrebbero pagato a messer Niccolò del Pecora fiorini 6000 per le spese fatte, accordando al medesimo dieci anni d’immunità personale e reale nella sua patria; e che a messer Jacopo del Pecora fuoruscito i Sanesi avrebbero sborsato tremila fiorini d’oro e fattogli avere le rendite de’suoi beni.
    In conseguenza di tale accordo, concluso con la mallevadoria dei due Comuni di Firenze e di Perugia, i Sanesi a dì 2 di maggio del 1353 presero la guardia ordinata, e levato il campo da Montepulciano, tornarono con l’oste a Siena.
    Matteo Villani che registrò cotesti fatti provò risentimento e dispetto verso i Senesi per la poca fede che, al dire di lui, fu da essi tenuta. Avvegnachè raccontando nella sua cronica del modo col quale furono rotti i patti, egli scriveva in questa sentenza: Potendosi cadauno dolere con ragione in se della corrotta fede odiosa ai popoli, mercatanzia de’tiranni, cagione nascosa di gravi pericoli, ci muove a dire con vergogna, come reggendosi il Comune di Siena sotto il governamento occupato dall’ordine de’Nove, questi ruppero la fede promessa ai signori (priori del Comune di Montepulciano) essendone stati mezzani i Fiorentini e Perugini.
    E per giustificarsi della corrotta fede, aggiunsono una corrotta dannagione, mettendo il detto messer Niccolò de’Cavalieri, ossia del Pecora, senza colpa in bando per traditore, acciocchè non paressero tenuti a dargli fiorini 6000 d’oro che promessi gli avevano quando diede loro la signoria di Montepulciano. Della qual cosa turbati i due Comune di Firenze e di Perugia, furono mandati ambasciadori a Siena per far loro con preghiera addirizzare questo torto. Ma avuto sopra di ciò più volte udienza e menati lungamente per parole, non solo fu mostrato con l’opere
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    per lo detto ordine de’Nove la corruzione conceputa, ma agli ambasciadori di cadaun Comune fu fatta vergogna e villania. E questo avvenne nel mese di febbrajo dell’anno stesso 1353 stile fiorentino, vale a dire nove mesi dopo la concordia stabilita. – (M. Villani, Cron. Lib. III Cap. 88).
    Ma non era ancora compito l’anno dell’esilio di Niccolò, che a questi, avendo tenuto pratiche con i suoi amici e concittadini, nella notte del 21 gennajo 1354 (1355 a stile comune) riescì d’introdursi in Montepulciano per una delle porte della Terra avendo un seguito di 200 cavalieri e di 500 fanti. I Senesi che tenevano la rocca, sentendo mess. Niccolò entrato dentro, si unirono a certi terrazzani che non erano a parte del trattato, e sbarrando le strade, intendevano francamente alla difesa; ma poco sarebbe loro valuto ciò senza il caso, che in Monte Follonico ivi vicino erano di fresco arrivate alcune bande di Senesi; le quali sentendo lo stormo di Montepulciano, corsero tosto al soccorso di quel presidio. La mischia tra i fuorusciti e i Senesi si sostenne tutta una giornata in fino sul vespro, ma vedendo mess. Niccolò e quelli ch’erano con lui, che non potevano rompere gli avversarj, e che si avvicinava la notte, e temendo che nel soprastare maggior gente de Senesi non lo soprendesse, presono il partito d’ardere la Terra e andarsene; in guisa che mettendo prima cadauno il fuoco alla sua casa, e appresso alle altre, quand’era incendiata ogni cosa, abbandonarono il paese, sicchè quei di dentro intrigati ad estinguere le fiamme non li poterono seguire e per l’abbondanza del fuoco messo in molte parti arse senza potersi riparare tutta quanta la Terra dalla rocca del Sasso in giù. – ( Oper. cit. Lib. IV Cap. 50.)
    Essendosi per lunga esperienza messo Niccolò e mess. Jacopo de’Cavalieri certificati, per la stessa cagione ma per diverso partito entrambi fuorusciti della patria, che la discordia gli aveva sbalzati dalla signoria, e
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    cacciati in esilio da Montepulciano ed anche dalla città di Siena, si riunirono d’animo fra loro e ridussosi a pace e concordia. Cosicchè appena alla fine di marzo del 1355 si mutò in Siena l’ordine de’signori Nove, innanzi che nel bollore quel popolo si armasse, mess. Niccolò di consenso con mess. Jacopo de’Cavalieri tornò in Montepulciano, accolto con allegrezza dai suoi concittadini, desiderosi di liberarsi dalla soggezione de’Senesi, dagli ordini de’quali dipendevano il presidio e il castellano della rocca di Montepulciano.
    Frattanto che si operava ciò, mess. Jacopo de’Cavalieri patrocinava in Siena davanti all’Imp. Carlo IV la causa del consorto, che era pure la sua propria, informando S. M. del torto che il governo di Siena aveva fatto ad entrambi. Anche i grandi cittadini ch’erano con mess. Jacopo feciono chiaro l’imperatore che quella era la verità; e però nell’istante sua maestà manifestò esser contento che i signori del Pecora tenessero la Terra di Montepulciano come suoi vicarii. Quindi tre giorni appresso l’Imp. Carlo IV cavalcando verso Roma volle passare da Montepulciano, dove dai nobili Jacopo e Niccolò del Pecora fu festeggiato e magnificamente trattato, dopo di che entrambi gli ospiti accompagnarono l’Imperatore a Roma, lasciando in Montepulciano altra gente oltre la sanese che era alla guardia della rocca. – ( Oper. cit . Lib,. IV Cap. 85).
    Ma appena si seppe la nuova della sommossa fatta dal popolo senese, che obbligò il patriarca lasciatovi dall’Imp. Carlo IV a rinunziare al comando di Siena, Niccolò e Jacopo del Pecora ritornarono tosto da Roma a Montepulciano, dove avendo raccolto una mano di soldati, con questi e con l’aiuto degl’abitanti non solo assediarono le truppe senesi ch’erano nella rocca, ma ributtarono con danno quelle che vennero costà inviate da Siena in soccorso del presidio.
    Dondechè gli assediati dovettero rendere la fortezza ai Montepulcianesi, dai quali fu ben tosto deliberato di fortificare per ogn’intorno le mura della Terra, unanimamente decisi di difendersi contro ogni dimostranza ostile che far volesse
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    Siena. – ( Oper. cit . Lib. V Cap. 44).
    Nè per questo i Senesi erano meno animosi per riacquistare d’ogni maniera la Signoria perduta; sicchè inviarono poderosa oste contro Montepulciano, i di cui abitanti vedendosi per se soli impotenti da resistere a tanto impeto, innanzi che terminasse l’anno 1355, inviarono sollecitamente sindaci per concludere, siccome fu concluso, un trattato coi Perugini. Quest’alleanza conturbò il governo di Siena, al segno che ricusò di far parte della lega che si strinse poco appresso fra i Fiorentini i Pisani e Perugini contro la compagnia del conte Lando. Sennonchè potendo ciò tornare a pericolo della loro repubblica, i di lei rappresentanti in seguito aderirono alla proposta col pigliare la loro taglia della lega.
    Venuto il tempo in cui l’oste di Perugia si era posta all’assedio di Cortona, i Senesi (anno 1357) gravandosi de’Perugini che avevano aiutato a loro dispetto gli abitanti di Montepulciano, furono contenti di aver cagione di soccorrere i Cortonesi. Per la qual cosa i Signori della Balia di guerra di Siena assoldarono per un determinato tempo la compagnia de’Tedeschi capitanata da Anichino di Mongardo ch’era in Lombardia; e fatta lá venire in Toscana, a questa si unì l’oste senese; sicchè nel di 18 marzo 1358 (stile comune) si mosse dai contorni di Siena l’esercito composto di 1200 barbute, e di gran masnade assoldate, oltre quelle del contado, per andare a soccorrere Cortona, e intanto strada facendo dare il guasto al territorio di Montepulciano, ove quell’esercito stette 4 dì. Obbligati pertanto i Perugini di ritirarsi per poco dall’assedio, di Cortona, vi tornarono dopo aver messo insieme un buon numero di soldatesche; quindi nel di 8 aprile del 1358 valicarono la Chiana con 1800 barbute, e molta fanteria, e si accamparono a Gracciano in sul territorio di Montepulciano nel tempo che i Senesi si stavano di contro in Torrita con 1600 barbute, masnadieri e fanti assai. Il dì seguente e poi quello appresso i Perugini richiesono i
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    Senesi di battaglia drizzandosi con tre schiere dei loro da Gracciano verso Torrita. I Senesi fidandosi della fortezza del luogo, e delle spalle naturalmente difese dalla Terra, uscirono fuori con poco ordine e senza il loro capitano Anichino di Mongardo, il quale o per sdegno o per malizia co’suoi Tedeschi non prendeva parte, cosicchè le schiere de’Senesi furono investite infino alle barre del borgo di Torrita. Veggendo ciò l’Anichino, allora escì in campo disordinatamente co’suoi, talchè nella mischia venne fatto prigione dal nemico insieme col maliscalco dell’oste e cinquanta cavalieri. Dopo di che i Perugini rubando e ardendo il borgo tornaronsi co’prigioni, con la preda e colle bandiere dei conestabili al loro campo di Gracciano. Finalmente dopo avere le milizie dei due avversarj acerbamente osteggiato insieme, mediante un lodo pronunziato nell’ottobre del 1358, essendo fatti arbitri delle parti i Fiorentini ed il legato pontificio di Romagna, si venne alla conclusione di buona e ferma pace. Fra le condizioni della quale una era questa: che i Perugini dovessono lasciare libera ai suoi terrazzani Montepulciano, e che i Senesi per cinque anni non potessono mettere potestà in detta Terra, ma lasciarla in sua balia, e solamente dai cinque anni in là vi dovessono inviare podestà, ed avere il censo usato. – (M. VILLANI, Oper. cit . Lib. VIII Cap. 41 e 102).
    Avvenne in questo frattempo che mess. Niccolò del fu Bertoldo del Pecora era restato vedovo ed erede della sua moglie donna Fiesca de’Marchcsi Malaspina, a tenore del testamento di lei del di 13 settembre 1338 scritto nella casa del marito in Montepulciano. Arroge che lo stesso Niccolò fu sommamente favorito dalla Signoria di Perugia, dalla quale, oltre di essere stato fatto cavaliere, riceve in dono il paese del distretto di Valiana, o Valiano,sulle Chiane, dove il del Pecora traeva sua vita assai onorevolmente.
    Ora sentendo Niccolò di costà il mal contento de’suoi concittadini, per sdegno loro contro il reggimento de’Senesi, e la disposizione
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    che avevano a fare novità, gli cercò modo per mezzo de’suoi amici di tornare in Montepulciano.
    E trovando la materia disposta all’intendimento, Niccolò raccolse segretamente brigata, e di maggio 1359, senza ostacolo entrò nella Terra, dove fu ricevuto lietamente, avendo mostrato di trattare tutti como fratelli, o ricordato loro, che la rivalità fra esso lui e Jacopo del Pecora suo fratello era stata la cagione principale dell’esilio e della perduta signoria di Montepulciano.
    Quasi nell’occasione medesima che i due del Pecora tornavano a rappacificarsi ed a collegarsi insieme per tiranneggiare d’accordo i loro concittadini, il Com. di Perugia inviava un ambasciatore a Montepulciano, affinchè davanti al consiglio generale in nome del popolo e Comune di Perugia rinunziasse, siccome infatti a dì 15 luglio 1359 fu rinunziato ad ogni ragione, giurisdizione e dominio che i Perugini in qualsivoglia modo nella Terra di Montepulciano e suo distretto avessero potuto pretendere, lasciando in tal maniera questo popolo libero di sè, in piena potestà e balia. – (MALAVOLTI, Istor. San. P. II.)
    Intanto mess, Niccolò del Pecora erasi come dissi riavvicinato con mess. Jacopo, il quale, data che ebbe la promessa di perdonare a chiunque offeso l’avesse, e di stare insieme uniti al beneficio e stato comune della patria, fu accolto con festa grande e buona volontà de’Terrazzani che proclamarono entrambi i del Pecora signori e difensori di Montepulciano. Nel bel principio essi con molta concordia si diedero a ben governare il paese mantenendosi amici, i Perugini, e facendo onore più che potevano ai Senesi. – ( Oper. cit. Lib. IX Cap. 24).
    Ma le promesse di chi è uso a tirannia malamente e per corto spazio si mantengono; avvegnachè cinque anni dopo cotesta società di due persone al governo di uno stesso paese si ruppe per effetto dei maneggi segreti che mess. Jacopo teneva coi magnati di Siena; Dondechè egli con le forze inviategli da Giovanni di Agnolino Bottoni della casa Salimbeni,
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    Signor. del vicino castelluccio di Chiarantana nell’aprile del 1364 cacciò dal seggio e dalla patria il collega Niccolò, che poi, al dire del Villani, si ridusse in Perugia in assai debole stato, e i Perugini per non ricominciar guerra coi Senesi passarono la vergogna a occhi chiusi. – (FILIPPO VILLANI Continuazione della Cronaca di Matteo. Lib. XI Cap. 17.)
    Non per questo fece un miglior fine l’altro fratello mess. Jacopo che aveva donna Caterina sorella del conte Antonio di Palagio de’conti Guidi, tostochè nel 1368, i fuorusciti di Montepulciano, i quali tenevano intelligenza con quelli di dentro malcontenti del procedere del loro signore, introdottisi armati dentro la Terra, presero e carcerarono mess. Jacopo del Pecora. Peraltro la plebe piena d’ira e di voglia di vendicarsi dell’ingiurie ricevute dal suo tiranno, non si limitò a derubargli e metter fuoco alle sue case, ma il di seguente al di lui arresto, corse alla carcere, e ivi fu riformato il governo di Montepulciano barbaramente lo massacrò; dopo di che a stato popolare sotto la protezione di quello di Siena. – (MALAVOLTI Op. cit. )
    Che i Montepulcianesi però così per fretta non si acquietassero, e che i Fiorentini non li lasciassero totalmente all’arbitrio del governo di Siena, lo dice una provvisione del 15 giugno 1369, con la quale i priori, i collegi e consiglieri del Comune di Firenze elessero in giusdicente e governatore di Montepulciano Bernardo d’Jacopo Beccanugi cittadino fiorentino, cui nel tempo medesimo si accordava uo giudice assessore col notaro, donzelli, cavallo e congruo onorario. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Montepulciano ) .
    Appella a questo stesso periodo l’uso introdotto in Montepulciano del postribolo delle donne pubbliche, che il cancelliere di esso Com., con atto del 19 novembre 1370, affittò per un anno ad una tale Franceschina di Martino da Milano, per il prezzo di 40 lire cortonesi, oltre la tassa solita pagarsi dalle donne di
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    partito. – ( loc.cit. )
    L’anno dopo il Com. medesimo concesse al castellano, della rocca di Montepulciano, in soddisfazione di un suo credito ascendente a 146 fiorini d’oro, la metà dell’incasso che si faceva per interesse del detto Comune al pedaggio di Val di Chiana. Finalmente un Giovanni di Niccolò da Montepulciano, ch’io credo della nobil casa del Pecora, nel 1377 fu eletto dalla Rep. Fiorentina all’onorevole incarico di podestà di Firenze.
    Che in seguito si stabilissero capitoli di lega fra il Comune di Siena e questo di Montepulciano, mercè l’influenza di Giovanni figlio di Niccolò, e di mess. Gherardo figlio di mess. Jacopo del Pecora, concorrono a dimostrarlo i documenti seguenti appartenuti alla stessa Comunità, dei quali si conservano gli archetipi dell’Arch. Dipl. Fior .
    Sono due istrumenti di pagamenti fatti in Siena sotto di 24 agosto e 31 dicembre 1379 nell’alto che il Com. di Montepulciano restituiva al camarlingo di Bicherno 500 fiorini d’oro per una terza, e poi un’egual somma per la quinta ed ultima paga di 2500 fiorini a tenore dei capitoli di una lega, o società stata stabilita tra i due comuni di Montepulciano e di Siena.
    Non lasciano poi dubbio della sottomissione dei Montepulcianesi al governo di Siena, non chè della tirannia dei signori del Pecora testè nominati, molti altri istrumenti dello stesso Arch. Dipl. Fior . Uno dei quali del 23 novembre 1381 ne informa della deliberazione presa dal consiglio generale della Terra di Montepulciano nella sala del nuovo palazzo di residenza de’Priori , per la quale, avuto riflesso alla deliberazione con cui altra volta il Com. aveva conceduto a mess. Giovanni di mess. Niccolò, e a mess. Gherardo di mess. Jacopo della casa del Pecora pienissima autorità e balia per la difesa e conservazione di Montepulciano e del suo distretto, autorità che era per terminare col mese di dicembre dell’anno 1381, fatto il partito nel suddetto dì 23 novembre, venne
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    confermata ai sopraddetti del Pecora la medesima signoria e balia per tutto il tempo della loro vita con la solita provvisione, ecc. – (Arch. Dipl Fior. Carte de’Crociferi di Firenze ).
     Tre altri documenti, rogati tutti nella chiesa maggiore di Siena, sotto uno stesso di, cioè nel 14 ago del 1381, del 1383 e del 1384, trattano dell’offerta che facevasi dai sindaci del Comune di Montepulciano avanti il camarlingo ed i quattro provveditori della città di Siena di un cero fiorito del valore di 82 fiorini d’oro, oltre dieci altri ceri di libbra; e ciò in vigore delle convenzioni fra i due Comuni negli anni decorsi stabilite.
    Lo stesso Arch. Dipl. Fior. possiede un autentico istrumento del 19 aprile 1385 fatto in Siena nel palazzo del concistoro davanti quel senato, col quale furono confermate non solo le condizioni già fissate con il Com. di Montepulciano, ma vennero accordati altri onori e privilegi a mess. Giovanni del fu Niccolò, a mess. Gherardo del fu Jacopo e ad altri consorti della stessa prosapia del Pecora, come uomini benemeriti della patria, obbligandosi i reggitori del governo di Siena difendere la signoria de’medesimi e gli abitanti di Montepulciano.
    Non era ancora compito questo stesso anno 1385 che le ambiziose rivalità e il desiderio di dominare fomentarono ben presto amare discordie fra i due principali signori della casa del Pecora, sicchè i Montepulcianesi intenti facilmente a cose nuove si divisero in due fazioni; una, ch’era la maggiore proteggeva mess. Giovanni di Niccolò del Pecora; l’altra, ch’era la più debole, teneva le parti di mess. Gherardo d’Jacopo suo consorto. – Fu facile dalle contese passare alle armi, sicchè la parte più numerosa del popolo, facendo fazione con mess. Giovanni, cacciò fuori della Terra mess. Gherardo ed i principali di lui fautori nel tempo stesso che si rimandavano col potestà le guardie e gli altri uffiziali senesi stanziati in Montepulciano. Pretendevano quei terrazzani di aver compito il termine delle precedenti convenzioni
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    per non più riconoscere la Rep. di Siena, mentre questa insisteva che al loro governo i Montepulcianesi dovevano restare sottoposti. Fatta arbitra dalle parti la Signoria di Firenze, nel di 29 ottobre dell’anno 1387 con suo lodo si decise che tra ilComune di Siena e la famiglia Salimbeni da una parte, ed il Comune di Montepulciano e mess. Giovanni del Pecora dall’altra, s’intendesse conchiusa buona e vera pace ai patti e condizioni seguenti: 1.° Che il Com. di Montepulciano stesse per 50 anni in accomandigia del Com. di Siena; 2.° Che ogni anno per S. Maria d’agosto i Montepulcianesi dovessero offrire alla cattedrale di Siena un cero del valore di 82 fiorini d’oro, e lire dieci di censo; 3.° Che i Senesi fossero tenuti mandare le genti d’arme a Montepulciano a seconda fosse stato richiesto per guardia della Terra; 4.° Che i Montepulcianesi dovessero eleggere ogni sei mesi per loro podestà un cittadino senese, partecipante de, li uffizi della città; 5.° Che il Com. di Montepulciano si obbligasse a rimettere i fuorusciti nella patria col restituir loro il tolto eccettuati i ribelli mess. Gherardo, Magio d’Jacopo, Orlando di Currado e Jacopo di Bertoldo, tutti della casa del Pecora, con alcuni altri; 6.° Che i signori della casa Salimbeni dovessero far pace col Com. di Montepulciano, oltre diversi altri capitoli. Finalemente dallo stesso lodo restarono annullati tutti i patti e convenzioni passate che non fossero queste concordi. – (Malavolti, Stor. Senesi P. II.)
    A mostrare il buon volere dei Montepulcianesi e il desiderio di eseguire quanto dal lodo dei Fiorentini era stato giudicato, non solamente egli non si elessono per podestà Bonaventura di Pietro Lanzi cittadino sanese, ma i rappresentanti della Comunità parteciparano al Pont. Urbano VI la pace da essi conclusa con il Comune di Siena. A congratularsi di ciò è diretta da Perugia una bolla di quel pontefice agli ufiziali del Comune di Montepulciano sotto di 6 novembre dell’anno X del suo pontificato (cioè del
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    1387). – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Montepulciano ).
    Al dire però dell’Ammirato cotesta pace non fu di lunga durata, essendo che i Montepulcianesi nel mese di maggio dell’anno 1388 si ribellarono affatto dai Senesi, cacciando via il loro podestà, e gridando il nome de’Fiorentini, sicchè questi mandarono a Firenze un nunzio perchè in sudditi li ricevesse. Quindi avendo i Montepulcianesi accolto nel paese trenta lance arrivate dalla parte di Firenze, si accrebbero nei Senesi i sospetti che nella sollevazione di Montepulciano, non fosse nata senza consentimento de’Fiorentini. Per vendicarsi di un tale affronto i Senesi ricorsero u un rimedio peggiore assai del male, come fu quello di dare la città loro, il popolo e tutto il dominio dello Stato senese a Giovan Galeazzo Visconti signor di Milano, anzichè sopportare una maggior grandezza ne’loro rivali. Per la qual cosa furono inviati ambasciato dal comune di Firenze ai governanti di Siena per dimostrare ai medesimi quali e quanti danni verrebbono a tutta Toscana, se il signor di Milano s’impadroniva di Siena, ottenendosi la Signoria medesima a mediatrice per indurre i Montepulcianesi a tornare sotto l’obbedienza de’Senesi. Ma perchè questi ultimi sempre gridavano contro i Fiorentini rispetto a Montepulciano, i Signori spedirono Lionardo Beccanagi a Pisa e a Lucca per dar animo a quei Comuni di voler conservare la libertà che dal Biscione a tutti i Toscani era minacciata e nel tempo stesso per far conoscere a quelle repubbliche, che i Fiorentini facevano quell’invito ai Comuni della Toscana dopo aver tentato inutilmente di pacificare i Montepulcianesi con i Sanesi. Considerando poi quanto importava che il Com. di Siena si riconciliasse con Firenze, e che ciò non poteva accadere se non si operava in maniera che se gli desse Montepulciano, i Priori della Rep. Fior. fecero pregare i Pisani e i Bolognesi a volere entrare eglino mediatori a tal uopo. E perchè i Montepulcianesi non confidassero di troppo nell’appoggio de’Fiorentini, furono mandati a Montepulciano due
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    distinti cittadini ad avvertirli: che potendo ridurre i Senesi all’osservanza del lodo del 29 ott. 1387, la Signoria consigliava gli uomini di Montepulciano a volere stare a quello che su di ciò dagli ambasciatori Bolognesi e Pisani sarebbe dichiarato: altrimenti non si contentando, il Com. di Firenze non poteva più con suo onore aiutarli. Tali avvertimenti servirono di forte impulso per indurre il Com. di Montepulciano ad accordarsi co’Senesi, per modo che nel maggio dell’anno 1389, fu concluso l’atto di pacificazione; in conseguenza del quale il governo, di Firenze richiamò da Montepulciano i prenominati lancieri che vi stavano a guardia.
    Non per questo si addolcì il malumore dei Senesi ostinati a darsi al Visconti, per far onta ai Fiorentini, a danni del di cui contado mossero ben presto le masnade che il conte di Virtù teneva in Siena. Allora i Fiorentini calando la visiera corsero sopra Montepulciano, lietamente accolti dai terrazzani, e tosto comandarono al potestà senese che con le sue robe a casa se ne tornasse.
    Correva l’anno 1390 quando gli uomini di Montepulciano inviarono a Firenze un loro sindaco incaricato di fare a quella Signoria libera e volontaria sottomissione della loro terra, il cui distretto nella stessa circostanza fu per pubblico decreto dichiarato contado fiorentino. Fra le altre condizioni allora stabilite furonvi le seguenti; 1. di levare per Montepulciano e suo territorio 800 staja di sale ogn’anno (in tutto libbre 38400) a lire tre lo stajo; 2. di ricevere da Firenze il podestà, il capitan del popolo e il castellano della rocca; 3. Che le condanne da darsi nella Terra di Montepulciano per causa di ribellione o perturbazione di stato, e i beni che per tal conto venissero confiscati, 4; dovessero applicare in favore del fisco di Firenze.
    Il primo podestà stato inviato dai Fiorentini a prender il possesso di Montepulciano fu Lionardo Frescobaldi, e il primo capitano del popolo fu il Cav. Francesco Rucellai. Inoltre a Giov. del Pecora come fedele de’Fiorentini fu
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    assegnata una pensione annua di trecento fiorini d’oro, in luogo di un fiorino il giorno che gli passava la Repubblica fino da quando egli venne dichiarato cittadino fiorentino, esentandolo nel tempo stesso dalla giurisdizione del potestà di Montepulciano, eccettuati però i casi di omicidio.
    Il prenominato Giovanni del Pecora possedeva il castelluccio di Chiarantana, già signoria de’Salimbeni; tostochè nel 22 marzo del 1391 ( stile comune ) Baccio Galletti di Firenze, uno dei Dieci di Balia, stando in Chiarantana consegnò a nome della Rep. Fior. e dello stesso Giovanni del Pecora la rocca stessa di Chiarantana a due castellani che promisero di restituirla ad ogni richiesta del predetto Giovanni del Pecora suo proprietario. – (Arch. Dipl. Fior . loc. cit .)
    Frattanto in Toscana s’introducevano sotto nome di compagnie di venturieri genti d’arme, di consentimento, se non anche pagate dal signor di Milano, le quali correvano rubando quà e la, arrestando e menando prigioni gli uomini del contado fiorentino.
    Tale si era la compagnia del conte Alberigo di Barbiano passata a Siena con più di 4000 soldati a cavallo, che baldanzosa nella sua prima fazione aveva arso e. rubato il paese della Castellina del Chianti, e di là innoltratasi per Panzano andò saccheggiando il Mercatale di Greve, donde estese le sue rapine per sino ai subborghi meridionali di Firenze.
    Dopo di chè il conte Alberigo con la sua cavalleria ritorse la marcia per venire verso la Val d’Ombrone e di là in Val di Chiana a danni dei Montepulcianesi e del loro contado. Arrivato costì egli divise una parte delle sue masnade fra Asciano, Torrita e altre vicine castella, o quivi campeggiando si trattenne tutta l’estate dell’anno 1397, fino a che dopo la sconfitta di Mantova sofferta dall’armata del Visconti il Barbiano fu richiamato a gran fretta in Lombardia, per dove si avviò col maggior numero de’suoi cavalli, avendo lasciato alla guardia di Siena con 300 lance mess. Brogiole, altro capitano di ventura.
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    – (Ammir. Stor. Fior, Lib,. XVII).
    Aumentavano sempre più nei Fiorentini i sospetti, in cui allora si viveva in Toscana per l’ambizione smoderata, la forza e l’influenza ognor crescente del signor di Milano; il quale nel breve giro di quattro anni (dal 1396 al 1400) delle repubbliche di Siena, di Pisa e di Perugia erasi fatto padrone. A tali cose aggiungeva inquietudine la notizia della pace nel Marzo del 1401 (stile comune) conclusa tra i Veneziani ed i Visconti, nella quale senza chiederlo e senza mandato furono compresi con altri alleati i Fiorentini.
    Imperocchè uno de capitoli di quel trattato stabiliva, che Montepulciano, allora posseduto dai Fiorentini e preteso da’Senesi, e che Lucignano tenuto da’Senesi e preteso da’Fiorentini, stessero per dieci anni come si trovavano. La qual pace nel dì 11 d’aprile seguente, fu poi dalla Signoria senza però alcun segno di festa, per Firenze bandita.
    Finalmente nel 1404 i Senesi essendo ritornati all’antico reggimento di repubblica, dopo aver licenziato il vicario del Signore di Milano, governatore della città e dello Stato, inviarono i loro ambasciatori a Firenze con pieno mandato di fermare la pace fra i due popoli; e questa a di 6 apr. dello stesso anno fu conclusa a condizione, che ai Fiorentini restasse stabilmente Montepulciano, e ai Senesi Lucignano.
    Trovavasi allora castellano della rocca di Montepulciano Brando del fu Guccio della Badessa cittadino fiorentino, il quale prossimo a terminare il suo uffizio, nel febbrajo del 1404 richiese al tribunale de’sei ufiziali delle fortificazioni del Comune di Firenze il residuo dello stipendio dovutogli dal Com. di Montepulciano, consistente in lire 1053; la qual somma fu puntualmente a lui pagata nel di 27 dello stesso mese ed anno.
    Un codice della biblioteca Magliabechiana di Firenze (CI. XXV Num. 170) contiene la lista de’potestà, capitani o commissari di Montepulciano, dall’anno 1390 fino al 1632, raccolta per diligenza di Simone di Giuliano Bagnesi, che nell’anno 1615 fu ivi capitano per madama Cristina di Lorenza
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    Granduchessa vedova, lasciata dal G. D. Ferdinando I signore di Montepulciano sua vita durante la quale lista si riscontra concorde con la storia anche rapporto all’intervallo di tempo in cui Montepulciano, dal 1495 al 1511, tornò sotto il dominio senese.
    Tra il dicembre del 1399 e il luglio del 1400 esercitò in Montepulciano l’ufizio di potestà mess. Jacopo d’Alamanno, del quale fu dalla Signoria di Firenze, nel 15 agosto dell’anno 1404 cassata una sentenza che condannava al taglio della testa un barbiere di Montepulciano per diversi delitti da esso lui commessi. – ( carte della stessa Com .)
    Fra le altre sentenze date dai podestà di Montepulciano, e poi cancellate dalla Signoria di Firenze, una fu per deliberazione del 12 marzo 1419, che assolvè dal pagamento di tremila lire cortonesi Andrea di Salimbene degli Scotti da Montepulciano; e un’altra del 30 settembre 1420, con la quale vennero liberati dalla morte due individui di Montepulciano ch’erano stati condannati alla pena capitale per diversi furti da mess. Bunaccorso Pitti podestà di detta Terra. ( loc. cit .)
    Con deliberazione della Signoria di Firenze del 14 dicembre 1408 fu pure ordinato che il Comune di Montepulciano dovesse retribuire per ogni sei mesi al castellano pro tempore di quella rocca cento fior. d’oro di paga; mentre con provvisione del dicembre 1412 lo stipendio semestrale del podestà di Montepulciano fu determinato dalla Signoria medesima in fiorini 600 d’oro da lire quattro per ciascun fiorino. Ma cotesto salario da altre deliberazioni posteriori Venne sempre più ai podestà di Montepulciano risecato, siccome lo dimostra una provvisione del 16 novembre 1416 della Signoria di Firenze, che lo ridusse a fiorini 550 ogni sei mesi, mentre con altra riformagione dell’ag. 1433 fu nuovamente diminuito sino a fior. 400 d’oro.
    Frattanto il Machiavelli nella sua storia, all’anno 1440, racconta un fatto che mostra la diligenza del governo fiorentino per sorvegliare, scuoprire e punire i suoi nemici. Era di questo numero uno
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    il Card. Giovanni Vitelleschi patriarca Alessandrino, capitano assoluto degli eserciti del Papa Eugenio IV; sicchè a lui solo e non ad altri obbidivano. Occorse che a Montepulciano furono intercettate lettere, le quali il patriarca scriveva senza il consenso del pontefice a Niccolò Piccinino che veniva dalla Lombardia in Toscana per rivoltare il governo di Firenze.
    Che Montepulciano soffrisse nuovi disastri all’occasione della guerra mossa ai Fiorentini da Alfonso d’Ararona re di Napoli,(anno 1447)e più apertamente nel 1479 dopo la malaugurata congiura de’Pazzi dichiarata dal re Ferdinando suo figlio e dal Pont. Sisto IV, lo dimostra non tanto una provvisione della Rep. Fior. del 16 ott. 1483, quando i Signori ordinarono, che per tre anni fosse diminuito il salario ai potestà di Montepulciano a motivo dei danni sofferti dalle guerre passate, quanto ancora lo fa conoscere altra deliberazione del 12 aprile 1481, con la quale la Signoria di Firenze assolveva e liberava dal pagamento di 1500 fiorini d’oro larghi il Comune di Montepulciano, cui furono somministrati a mutuo, a condizione peraltro che la stessa somma nel giro di ott’anni venisse impiegata nel restaurare la rocca e le mura castellane della stessa loro Terra.
    Finalmente con deliberazione del 12 marzo 1493 i capitani della parte e guelfa di Firenze esentarono dalla gabella che gli uomini e le merci del Comune di Montepulciano pagavano al passo del ponte a Valiano sulla Chiana . ( loc. Cit. )
    Non so poi per qual consiglio, se fu la predilezione alla casa de’Medici, o per colpa de’governanti, oppure incoraggiati dal fresco esempio della città di Pisa, o se mossi dagli intrighi degli esuli di Firenze, fra i quali furono primi i figli di Lorenzo il Magnifico, che gli abitanti di Montepulciano, gridando libertà e lupa , alla repubblica fiorentina nel marzo del 1495 si ribellarono. Infatti una deputazione de’Montepulcianesi, alla di cui testa trovavasi mess. Lodovico Paganucci arciprete di quella chiesa collegiata, fu ben accolta in Siena,
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    dove nel di 4 aprile 1495 vennero firmati nuovi capitoli di sottomissione di Montepulciano ai signori di Siena, i quali inviarono in detta Terra per potestà Antonio di Giovanni de’Bichi cittadino senese, che si trovava commissario della Rep. di Siena in Chianciano, a cagione delle tante volte dibattuta controversia dei confini fra le due Comunità limitrofe. – Vedere L’Articolo Com. di Montepulciano.
    Un si fatto accidente promosse nel senato fiorentino l’ordine a Pier Capponi, allora commissario del suo esercito, di staccare una parte di truppe dall’armata di Pisa per inviarla tosto alla volta di Val di Chiana. Frattanto i Montepulcianesi si davano ogni premura d’innalzare uan bastia incontro la torre che i Fiorentini avevano sul ponte a Valiano per bombardarla e insignorirsi di quel passo, da dove però vennero con loro danno ributtati. Quindi le genti armate de’Senesi e de’Montepulcianesi si raccolsero in numero di circa duemila alla villa di Gracciano, che dal ponte di Valiano tre miglia discosto; ma sentendo che i Fiorentini gli andavano a trovare, non gli aspettarono, sicchè presa da questi facilmente la villa, e messole il fuoco, tornarono negli alloggiamenti sulla testata del ponte di Valiano.
    Poco dopo i Montepulcianesi si riaffacciarono una seconda volta avendo alla loro testa il general Giovanni Savello, intenzionati di venire alle mani davanti al ponte suddetto con le genti della Rep. Fior., dalle quali furon nuovamente rotti e rimastovi prigione il Savello loro capitano.
    In questo frattempo peraltro l’oste fiorentina, avendo voluto di notte tempo staccarsi dai suoi ridotti di Val di Chiana per tentare di entrare nella Terra di Montepulciano, dopo breve zuffa rimisero 300 soldati degli assalitori fatti prigioni dagli assaliti. – (Malavolti Stor. San. Part. III)
    In questo mentre Piero de’Medici con le forze dell’Orsini e de’Senesi contava di rientrare in Firenze; sicchè nel 1496 attraversando egli con le sue genti la Val di Chiana, si provò a forzare il ponte a Valiano guardato
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    dai Fiorentini per poi passare a Montepulciano, come paese che sosteneva la sua fazione.
    Dondechè il governo di Firenze ma;ggiormente adontato dal delittuoso ardire, allo spirare di settembre di quell’anno, dopo aver dichiarato Piero de’Medici ribelle, e promesso 4000 scudi di taglia sulla sua vita, mandò il conte Rinuccio da Marciano con mille fanti e 200 uomini d’arme in Val di Chiana per respingere a viva forza ogn’impeto degl’Orsini di Pitigliano e di Piero de’Medici, siccome infatti quel capitano corrispose al desiderio della Rep. con la sconfitta de’faziosi, che fuggirono vituperosamente con perdita di una parte delle loro artiglierie.
    Ma troppi erano i nemici de’Fiorentini, avendo in questo medesimo tempo contro di essi il Papa, i Senesi, i Pisani, il duca di Milano, i Lucchesi, i Veneziani, il partito Mediceo dentro e fuori della città. In vista delle quali cose i Senesi, presa occasione da’travagli che riceveva Firenze da tanta gente volta al suo danno, comandarono alla sua oste di scendere ben provvisti da Montepulciano al ponte a Valiano per battere la bastia guardata dai soldati del Comune di Firenze. In tali frangenti i Fiorentini con poca loro dignità proposero una tregua per cinque anni, promettendo ai Senesi di disfare l’accennata bastia, e permettendo allo stesso nemico di poter edificare qualunque fortezza fra Montepulciano e le Chiane. A queste favorevoli condizioni la Rep. di Siena, che allora era governata da Pandolfo Petrucci, accettò la proposta sospensione d’armi. – (Ammir. Stor. Fior . Lib. XXVII).
    Era già compito da qualche tempo il quinquennio della tregua testè accennata quando Pandolfo Petrucci, parendogli tempo opportuno di cavar qualche frutto da’Fiorentini circondati da tante difficoltà, derivate specialmente dalla guerra di Pisa, nel principio del 1505 mandò un suo confidente al gonfaloniere perpetuo della repubblica, Pier Soderini, proferendosi di ajutare i Fiorentini di cento uomini d’arme per quell’anno e di 50 negli anni seguenti per servirsene nella guerra di Pisa, e di prestar loro ogn’altro ajuto e favore
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    per conto di quell’impresa, purchè il Comune di Firenze si fosse obbligato dopo riacquistata Pisa di rinunziare al governo di Siena tutte le ragioni che aveva sopra Montepulciano. Se la proposta del Petrucci non fu accennata nei termini qui esibiti, ne conseguitò peraltro, che nell’aprile del 1506 la tregua fra i due governi fu per altri tre anni prolungata, obbligandosi i Senesi di non s’impacciare nelle cose di Pisa, siccome il governo di Firenze promise di non volersi più travagliare di quelle di Montepulciano, a costo eziandio che quei Terrazzani di lor proprio e libero movimento cercassero di darsi ai Fiorentini. – (Ammir. Oper. cit. Lib. XXVIII).
    Giunti all’anno 1511, e il tempo della prorogata tregua fra i Senesi e i Fiorentini essendo terminato, non si metteva più in dubbio che questi ultimi, divenuti finalmente signori di Pisa, non rivolessero Montepulciano e già per ordine dei Dieci di guerra si vedeva che molti uomini d’arme dal contado pisano andavano verso i confini di Siena intanto che Niccolò Machiavelli segretario della repubblica Fior. inviavasi a disdir la lega ch’erasi coi Senesi contratta. Dondechè Pandolfo Petrucci signor di Siena per non rendersi inimico il popolo, se trattava egli stesso di cedere Montepulciano ai Fiorentini, interpose il Pont. Giulio II a farsi mezzano di questa restituzione, e insiememente a concludere lega tra l’una e l’altra Rep. a difesa de’due stati. Ma avendo dovuto procedere in simil pratica con molta cautela, acciocchè i Montepulcianesi, risapendo ciò, non facessero da per loro quello che intendevano di fare i Senesi, si perdè oltre un mese nelle trattative. Finalmente nel giorno 3 settembre 1511, secondo l’Ammirato, ma nel mese innanzi, secondo una lettera della Balia di guerra scritta da Firenze nel 26 agosto 1511 a Piero Guicciardini commissario a Montepulciano, restò compito il trattato di alleanza reciproca fra le due repubbliche per 95 anni col patto ivi espresso della restituzione di Montepulciano al Comune di Firenze, e di mantenere Pandolfo Petrucci coi suoi figliuoli
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    al reggimento del governo senese.
    Bentosto il Com. di Firenze fece prendere possesso di Montepulciano da Osmannozzo Deti, avolo materno di Clemente VIII Aldobrandini, il quale si trovava in quel tempo podestà in Arezzo, e fu a lui consegnata la Terra da Jacopo Simonetta auditor di ruota mandatovi a quest’effetto da Giulio II, siccome due giorni dopo il castellano tenutovi da’Sanesi rese la consegna della rocca. – (Ammir. Stor. Fior. Lib. XXVIII. – Riformag. di Fir.)
    Vennero poi a Firenze dieci ambasciadori da Montepulciano per far la sottomissione solenne alla Signoria, dalla quale ottennero onorevoli capitolazioni contenute in 27 articoli relativi alla forma civile ed economica del suo governo. – Il primo potestà de’Fiorentini dopo la suddetta dedizione di Montepulciano è rammentato nel codice della Magliabechiana di sopra citato; il quale fu Lorenzo di Niccolò d’Ugolino Martelli cittadino fiorentino, che dal novembre del 1511 al mese di maggio del 1512 vi fece ragione. Era quello stesso Lorenzo Martelli capitano di Montepulciano cui furono dirette nel 13 e 15 gennajo del 1512 due lettere dai Dieci di balia di guerra di Firenze in risposta ad altre sue circa ai lavori da farsi alla fortezza di Montepulciano secondo anche l’avviso di Antonio da San Gallo, quale dicono (scriveva Lorenzo Martelli nel 5 gennajo suddetto in una delle lettere già annunziate, che fu qui, cioè, in Montepulciano – (Gaye, Carteggio inedito di Artisti T. II. Molini 1840).
    Infatti Antonio da San Gallo era stato il latore della lettera che i Dieci di balia nel 26 ago. 1511 inviarono a Piero Guicciardini commissario di Montepulciano, la quale è pubblicata nel T. II del Carteggio inedito già citato.
    Con essa è avvisato quel commissario che sarà di questa apportatore Antonio da S. Gallo, quale noi mandiamo così a ciò sia teco et li mostri cotesta fortezza, et senza dimostrazione veggiate quello fossi da fare per fortificazione di essa. Et veduto et esaminato bene tutto insieme, lo
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    rimanderai in qua bene informato di quello sarete rimasto d’accordo con fare ne rapporti una bozza, o vero modello.
    Poco dopo peraltro, essendo stati riammessi in Firenze i Medici, e qualche anno appresso salito sulla cattedra di S. Pietro il figlio di Lorenzo il Magnifico col nome di Leone X, si sospesero in Montepulciano le operazioni di guerra, mentre che costà sorgevano opere stupende di arte. Tale riescì il vaghissimo tempio della Madonna di S. Biagio col disegno e direzione del celebre Antonio da San Gallo, nel tempo stesso che si riedificava l’altra devota chiesa di S. Agnese fuori di Montepulciano, e che il Card. Antonio di Monte sul modello dato dallo stesso Antonio da San Gallo faceva innalzare nella parte più eminente della Terra d’avanti la piazza del Duomo di Montepulciano un sontuoso palazzo, poi de’ Pucci , quindi del Granduca Ferdinando I, oggi de’sigg. Contucci, il quale palazzo come opera di buonissima grazia lavorata e finita fu vantato dal Vasari, comecchè rapporto a ciò non tutti aderiscono al parere del biografo aretino.
    E perchè, attesa la grandezza dell’edifizio non che del sito dove il medesimo e fabbricato, era intenzione del cardinale di Monte di congiungere con detto palazzo un portone delle mura della Terra di Montepulciano, e per via di lumaca passare a suo piacere dall’uno all’altro, la Signoria di Firenze nel 17 novembre 1519 scrisse allo stesso Antonio di Monte Card. di S. Prassede una lettera, che fu pubblicata in gran parte nel T. Il N.º XCV del Carteggio di artisti di sopra rammentato.
    Rispetto alle case preesisienti nel luogo dove sorse il palazzo suddetto, e come poi cotesta fabbrica fosse rivendicata da Ferdinando I per esser i Granduchi chiamati eredi di Fabiano di Monte, veggasi una sentenza del Magistrato supremo di Firenze del 10 settembre 1589. – (Arch. della Comunità di Montepulciano, e nel Segreto Mediceo, Filza de’Negozi di Montepulciano dal 1608 al 1613 sotto il governo della
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    granduchessa Cristina madre
    ) .
    Mosse le armi da Clemente VII (anno 1529) contro la patria in tale occasione andarono genti da Siena per occupare Montepulciano; ma la stessa popolazione unita al presidio fece fronte e seppe difendersi tanto che giunse in suo ajuto la compagnia di milizie condotta da Napoleone Orsini, uno de’capitani dell’esercito fiorentino; talchè i Senesi dovettero ritirarsi di là tanto più presto, in quanto che lo stesso Pont. aveva mandato sotto di 24 apr. 1530 un breve ai magistrati di Montepulciano per assicurarli che non sarebbero stati molestati in modo alcano dall’esercito del Principe d’Oranges, che il paese loro sarebbe rimasto esente da qualunque contribuzione a forma de’patti promessi. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com.di Montepulciano ) .
    Ma appena accaduta la resa di Firenze, anche Montepulciano dovè seguitare la stessa sorte, e quindi ricevere l’onore di alloggiare il Pont. Clemente VII mentre si recava al gran matrimonio di Marsilia, siccome fu ricevuto costà 5 anni appresso il Pont. Paolo III nella sua gita al congresso di Nizza, accolto nel palazzo del Cardinale Antonio di Monte. – Qualche tempo dopo visitò Montepulciano il duca Cosimo I, quando si vuole che il Comune, liberato dalle molestie sofferte durante la guerra di Siena, innalzasse a sue spese la bella fortificazione che si vede alla porta di Gracciano; e fu ad istanza dello stesso duca, e per le incessanti premure del cardinale Giovanni Ricci Montepulcianese, che questa da lui benamata patria nell’anno 1561 venne decorata della dignità vescovile, e qualificata nobile città.
    In quella stessa circostanza Cosimo I pare che designasse in Montepulciano due tribunali collegiali per le prime e seconde appellagioni; in vigore della quale determinazione sovrana i magnifici componenti della magistratura civica sarebbero stati i giudici delle prime, e dal consiglio della stessa magistratura si sarebbero eletti i giudici delle seconde appellagioni. – Non meno benevolo verso i Montepulcianesi furono i due figli che succederono nel trono
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    di Toscana a Cosimo I, ma specialmente un favore distinto ottennero dal terzo Granduca. che nel suo testamento destinò i capitanati di Montepulciano e di Pietrasanta al libero governo della Granduchessa Cristina di Lorena sua moglie. La qual principessa essendo stata arricchita da Ferdinando I di un appannaggio assai pingue, ed eziandio di sua natura assai amorevole, potè e volle esercitare molti atti di beneficenza, proteggendo precipuamente gli ecclesiastici, e favorendo tutto ciò che tendeva ad accrescere il culto e decoro della religione.
    Quindi nelle Notizie del cardinal Roberto Nobili di Montepulciano da A. Parigi nell’anno 1836 pubblicate, leggesi un motuproprio dato da quella Granduchessa li 13 ott. 1612 nel tempo che la principessa medesima trovavasi in Montepulciano. Esso è relativo ai provvedimenti ordinati per il sollecito proseguimento della fabbrica del nuovo duomo di Montepulciano; e affinchè si potessero ivi al più presto celebrare i divini uffizj, fu ordinato di chiudere una navata per progettare a terra il vecchio duomo onde ampliar la piazza, e con quei materiali continuare la fabbrica per terminare le altre due navate. Vi si leggono prescritti altri ordini relativi all’amministrazione economica, al cancelliere comunitativo, al consiglio generale della città, al capitan di giustizia, e a Guido de’Nobili soprintendente alla stessa fabbrica, per modo che ognuno dasse aiuto e favore in qualunque siasi interesse gli sì competeva.
    L’autorità sovrana della Granduchessa Cristina sopra Montepulciano era libera ed estesa in guisa che di suo motuproprio nominava il capitano, il cancelliere, il comandante della piazza e della rocca, sino al punto che giunse con l’annuenza del Granduca Ferdinando II suo nipote a far coniare una moneta d’argento in Firenze. Era un testone appellato Quarto di Ducatone , che da una parte aveva una testa muliebre velata e le parole intorno: Chrrist. Loth. M. D. Etrur. D. M. P. cioè, Christina Lotaringia Magna Ducissa Etruriae Domina Montis Politiani.
    Alcuni interpretarono le tre lettere D. M. P. metallis Petraesanctae ,
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    comecchè le miniere argentifere del vicariato di Pietrasanta già da molti anni innanzi per ordine del governo fossero abbandonate. – Nel rovescio della moneta medesima vedevasi l’arme di Lorena inquartata alla Medicea con le seguenti parole intorno: Moneta nova Florent. cusa 1630 . – (Orsini, delle Monete de’Granduchi di Toscana ).
    Mancata nella Granduchessa Cristina (anno, 1636) la protettrice e signora di Montepulciano, questa città con tutto il suo capitanato ritornò sotto il governo immediato de’Granduchi, dai quali al pari degli altri paesi, temporariamente fu separata dalle vicende politiche cui nel principio del sec. attuale la Toscana trovossi avvolta. Nel tempo che cotesta contrada faceva parte del Dipartimento dell’Ombrone, Montepulciano fu dichiarato capo luogo di un circondario di sottoprefettura.
    Finalmente nella stessa città con motuproprio del di 2 agosto 1838 venne eretto un tribunale collegiale di prima istanza, mentre per il corso di quattro secoli e mezzo essa era stata governata nel civile e criminale dai potestà ch’ebbero poi il titolo di capitani, o di commissari, e finalmente di vicarj regj.
    In quanto alla celebrità degli uomini nativi di Montepulciano pochi altri paesi proporzionatamente alla popolazione stanno alla pari di questa Città, donde escirono dodici cardinali, un pontefice, 32 vescovi, oltre molti altri prelati, senza dire dei dotti e letterati più distinti, fra i quali valgono per tutti il cardinal Roberto Bellarmino e Angiolo Cini detto il Poliziano . Di molti altri illustri uomini Montepulcianesi potrà, chi lo voglia, soddisfarsi nelle Notizie del Card. Roberto Nobili e d’altri illustri Poliziani , raccolte da A. Parigi, opera in 8º pubblicata in Montepulciano pel Fumi nel 1836.
    Chiese e Stabilimenti pii di Montepulciano. La prima per ordine di dignità la chiesa cattedrale, fabbrica grandiosa a tre navate con facciata di travertino costruita nel principio del secolo XVII accanto alla vecchia collegiata, che fu demolita per ingrandire la piazza, meno però il suo campanile, il quale
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    fu alzato verso la metà del secolo XV, ed a cui riferisce un breve del Pont. Sisto IV spedito li 22 maggio 1476 a Fabiano Benci arciprete della pieve di Montepulciano. Lo stesso Pont. Quattr’anni dopo dichiarò cotesta chiesa collegiata esente dalla giurisdizione del vescovo di Arezzo, e conseguentemente sotto la protezione immediata della S. Sede, concedendo varj privilegi al suo pievano con titolo di arciprete mitrato non che al suo capitolo.
    Fece il primo disegno della nuova cattedrale Bartolommeo Ammannati, quindi lo Scalzo lo ingrandì, e su quest’ultimo modello più assai dispendioso, e in più ampie dimensioni, se non almeno in migliori forme, fu innalzata la fabbrica, la quale restò compita nel 1680, e consacrata nel 19 giugno 1710.
    Fra le opere di belle arti che adornano questo tempio non vi è cosa, a parer mio, che arrivi in pregio quattro statue e due basso‑rilievi in marmo bianco di Carrara, che formavano parte di più vasto lavoro del celebre Donatello fatto per Mons. Bartolommeo Aragazzi di Montepulciano. Le quali statue sono l’avanzo di un grandioso cenotafio esistito nella disfatta chiesa collegiata, da lunga mano abbandonato, in gran parte rotto e disperso. Due di esse statue veggonsi attualmente all’altar maggiore, e due altre con due bassorilievi furono poste a caso in diversi punti della stessa cattedrale.
    La chiesa della Madonna di S. Biagio, se non è la prima per dignità ecclesiastica, essa lo è certamente per dignità architettonica. È opera sublime di Antonio fratello di Giuliano da Sangallo, che ne fece il disegno sotto il pontificato di Leone X, e che fu il direttore della fabbrica da esso due volte l’anno visitata. Questo tempio, tutto di travertino lavorato, è un giojello, cui forse altro non manca che una custodia, e che sarà sempre riguardato dagl’intelligenti come un modello del più appurato gusto architettonico per la forma, per le proporzioni, e per la grazia di quell’ordine dorico, da cui per ogni
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    lato con tanto gusto e soddisfacente armonia venne dal suo autore decorato. Antonio da Sangallo non, ebbe di questo tempio lavoro che meglio potesse far conoscere la sua virtù; ne edifizio architettonico gli si potrebbe porre a confronto se non il tempio della Madonna delle Carceri a Prato, opera divina del suo fratello Giuliano.
    L’iconografia del sacro edifizio della Madonna di S. Biagio raffigura una chiesa greca con due campanili uniformi in linea alla facciata principale, mentre dal lato della tribuna termina con un semicircolo. I bracci della croce sono forniti di pilastri d’ordine dorico accoppiati a colonne, e fra gl’intercolonii sorgono le cappelle entranti nel muro con sfondo proporzionato. Introducono nel tempio tre porte aperte nelle tre facciate, che due laterali e l’altra di mezzo. La lunghezza e larghezza totale della chiesa e di braccia 55, e 7 soldi; la grossezza de’muri inferiori di braccia 2 e 15 soldi. All’altezza di braccia 16 dal pavimento gira intorno un frontone che viene coronato di una cornice, sulla quale in mezzo alla crociata poggia il tamburo della cupola contornato da 16 pilastri d’ ordine jonico, sopra il quale, s’innalza un’elegante duomo con sua lanterna; per modo che l’altezza totale del tempio dal cupolino a terra è braccia 82.
    Volle il Sangallo che questa chiesa fosse fiancheggiata da due campanili a facce simmetriche uno dei quali fu compito sotto gli occhi del suo maestro, che differenziò ciascun ripiano con un ordine architettonico vario e sempre vago, cioè il primo dorico, il secondo jonico, il terzo e quarto corintio, terminando l’ultimo con una piramide a otto facce, ornata di cornici e riquadrature.
    Nè meno elegante fu con ottimo successo e felicemente eseguita la facciata posteriore, la quale dal Sangallo si volle diversa dalle tre altre, terminandola con un semicircolo adorno di quattro pilastri, che sorreggono un cornicione, sul quale gira una balaustra che serve di parapetto ad una vaghissima terrazza.
    Questo tempio ebbe principio nel 1518 e
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    fu con molta cura e sollecitudine compito e consagrato nell’anno 1537.
    Con lettere patenti del 19 novembre 1519 dirette a Gio. Maria di Monte Arciv. Sipontino (quello stesso che nel 1550 saIì sulla cattedra di S. Pietro col nome di Giulio III, e a Girolamo vescovo d’Ascoli, due delegati pontificii, in aggiunta ad una precedente bolla del 2 apr. 1519, il Pont. Leone X concedè agli operai del Comune di Montepulciano facoltà di erogar nella fabbrica della nuova chiesa di S. Biagio tutte le elemosine fatte e da farsi alla Madonna di quella chiesa per sostituirla all’antica che consisteva in una specie di torre posta fuori delle mura di Montepulciano, torre che per indulto pontificio il Comune medesimo fece abbattere per sostituirvi l’attuale bellissima del Sangallo.
    È un danno che cotesto tempio sia fuori di città e a piè d’una alquanto ripida strada; ma il forestiero che capita a Montepulciano sarà ben contento di far quella gita, dove oltre il soddisfare la sua curiosità per il lato architettonico, troverà pascolo anche per la parte pittorica, massimamente nel contemplare un gran quadro storico rappresentante il martirio di S. Biagio, situato in un altare a cornu epistolae , che è una delle migliori e più ben conservate pitture a olio di Giovanni Mannozzi da S. Giovanni.
    Nella grandiosa chiesa di S Agnese, posta fuori la porta omonima, ossia di Gracciano, sulla strada R. che dalla Val di Chiana sale alla città, si conservano le ceneri della S. Vergine montepulcianese, di cui porta il tilolo; la quale fu eretta nel 1306 sotto l’invocazione di S. Maria Novella con annesso claustro per abitarsi da monache della regola di S. Domenico.
    Nel 1 345 subentrarono costà i religiosi dello stesso ordine, i quali vi restarono fino alla loro soppressione, accaduta nel 1783, per dar luogo ad altri religiosi; cioè a Francescani Riformati, che costà furono traslatati dal loro antico convento di Ponte Castello , posto
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    fuori della porta di Gozzano, una volta Porta Gavina.
    La chiesa di S. Francesco, già di S. Margherita nel Sasso , sorse nel 1269 per le premure di Angelo del fu Danese, appellato anche Danesi da Montepulciano, quindi abitata dai Frati Minori Conventuali, che nel secolo XVII la riedificarono in più ampie e regolari forme col bel convento annesso, dedicandola al Serafico loro padre S. Francesco d’Assisi Soppressa nel 1809 questa famiglia religiosa, nel locale medesimo furono trasferite le monache Francescane dall’antichissimo convento di S. Chiara che era nel suburbio occcidentale della città.
    Infatti le Clarisse erano già stabilite in Montepulciano nel 31 dicembre 1286, quando Fr. Jacopo del fu Bencivenni da Siena guardiano de’Minori di Montepulciano ed altri frati di quel convento, come esecutori lasciati da donna Imelda vedova di Bulgarello conte di Chianciano, per soddisfare alcuni legati lasciati dalla prenominata donatrice, venderono ad Angelo del fu Danese un podere posto a Petrojo e la metà di um mulino, entrambi compresi nel distretto di Montepulciano, per il prezzo di lire 1214 cortonesi. Quindi nel dì due del marzo, successivo, il suddetto Angelo del fu Danese rivendè al Comune di Montepulciano lo stesso podere e la metà, per indiviso di detto mulino, a ragione di lire mille cortonesi per il podere, e di lire 214 per la metà del mulino. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Montepulciano ).
    La prima chiesa de’Frati Domenicani di Montepulciano esisteva sulla fine del sec. XIII nelle vicinanze della pieve, dove in seguito fu eretto un convento nell’area già occupata della casa di un eretico stata data a quei religiosi dal Pont. Bonifazio VIII per bolla del 13 feb. 1296. La qual casa era stata confiscata dalla S. Inquisizione di Roma, a Francesco detto Cisporo, per avere in essa accolto e protetto gli eretici. – (Arch. Dipl. Fior. Carte de’Domenicani di Montepulciano
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    ) .
    La chiesa del Gesù, di figura rotonda, elegante e ornata di stucchi, fu innalzata con l’annesso collegio dai PP. Gesuiti mercè un ricco patrimonio lasciato a quella società da Alessandro Salimbeni nobile polizianese. Appena soppressa la società Gesuitica, l’Immortale Leopoldo I nel 1775 donò con la chiesa il grandioso collegio de’Gesuiti al vescovo di Montepulciano; il quale 10 anni appresso vi trasferì il parroco di S. Bartolommeo, cui assegnò per canonica una parte della fabbrica, mentre la porzione maggiore fu ridotta ad uso di seminario vescovile con un liceo annesso per le pubbliche scuole.
    La chiesa di S. Agostino, già abitata dai religiosi Agostiniani, fu rifabbricata alla fine del sec. XIV, e chiamavasi la Chiesa nuova . Quattrocent’anni dopo venne interamente rifatta più grandiosa da quei religiosi, la cui famiglia restò soppressa sotto il regime straniero (anno 1809), finchè alla ripristinazione fu data ai PP. Serviti, che ritornarono in Montepulciano dopo essere stati espulsi all’epoca della soppressione testè accennata dalla loro che convento di S. Maria, situato nel pomerio superiore della città. – Attualmente in S. Agostino è stata annessa la cura di S. Mustiola.
    Anche questa chiesa di S. Mustiola conta una data piuttosto antica; poichè essa in origine era membro del monastero de’Canonici Regolari Agostiniani di S. Mustiola di Chiusi, cui spettava la nomina del rettore, meno i casi che non lo, avesse nominato il pontefice. Tale caso, per esempio, accadde allorquando il Pont. Eugenio IV con breve del 22 gennajo 1443 conferì a Bartolommeo di Domenico da Siena dell’ordine di S. Agostino la rettoria della chiesa parrocchiale di S. Mustiola in Montepulciano, della diocesi d’Arezzo, di data del proposto e canonici regolari del monastero di S. Mustiola di Chiusi. – (Arch. Dipl. Flor. Carte di S. Agostino di Siena ). Alla suddetta parrocchia di S. Mustiola fu unita nel 1609 l’altra di S. Bernardo, per dare quest’ultima chiesa; alle monache di S. Agnese, e finalmente dopo
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    la metà del passato secolo le stesse parrocchie furono riunite nella suddetta chiesa di S. Agostino.
    Il convento e chiesa della Maddalena de’Padri Cappuccini conta la sua origine dal 1532, quando quei religiosi furono chiamati a Montepulciano alla custodia di un devoto eremo situato nel monte che da esso prese il nome della Maddalena.
    Stabilimenti di beneficenza, ed istruzione pubblica .– Fra i primi stabilimenti di carità si contavano fino dal secolo XIII, oltre l’ospedale, ossia casa della Misericordia della Fraternita , non meno di quattro spedaletti ne’subborghi di Montepulciano; uno de’quali appellossi di S. Giovanni e di S. Martino fuori la porta di Gracciano; 2° un altro era chiamato lo spedale di S. Maria alla porta Gavina , ora porta a Gozzano ; 3° l’ospedale di Fonte del Vescovo , e il 4° l’ospedale di S. Pietro fuori della porta di Cagnano , o delle Farine . – Cotesti spedaletti da lunga mano sono stati soppressi e riuniti al vasto e ben provvisto spedale di S. Cristoforo esistente dentro la città.
    Ai prenominati stabilimenti più ne richiama una provvisione della Signoria di Firenze del 7, agosto 1414, la quale esentò i quattro spedali situati nel territorio di Montepulciano dal pagamento di un’imposizione messa sopra tutti i luoghi pii del territorio fiorentino; ed una consimile esenzione fu rinnovata nel 23 aprile del 1415 rispetto ai danni sofferti dai Montepulcianesi nelle passate guerre, e specialmente dallo spedale di S. Martino e da quello di S. Maria di porta Gavina .
    In quanto all’istruzione letteraria e scientifica, oltre il seminario vescovile, havvi costà un liceo municipale, dove la gioventù secolare e i chierici ricevono l’istruzione scientifica da tre professori, di teologia, cioè, filosofia e istituzioni civili, dopo aver fatto il loro corso di letteratura sotto maestri di lingua latina e di rettorica pagati da una pia eredità a tal uopo lasciata
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    da Niccolò Parri giureconsulto Montepulcianese.
    Un frequentato e ben regolato conservatorio per le fanciulle era in S. Girolamo, traslocato non da molto nella fortezza da basso alla porta di Gozzano . Ivi sono ricevute in convito giovincelle civili, e profittano di quelle scuole anche altre donzelle della città; oltrechè per la classe del popolo vi sono pure le scuole normali, o Leopoldine.
    Non manca tampoco a questa città un elegante teatro, disegnato dal Prof. Castagnoli. L’accademia letteraria degl’intrigati si aduna nelle sale dello stesso teatro.
    Vi è un ricco Monte di pietà, la cui fondazione deve essere posteriore al rescritto del Granduca Cosimo I, quando supplicato dai Montepulcianesi a voler concedere il domicilio nella loro città a un dato numero di ebrei, siccome vi erano ne’tempi andati ricusò di concederlo a motivo della loro fenerazìone.
    Il palazzo di residenza del magistrato civico, che con la eminente torre contasi fra le buone fabbriche della città, esisteva sino dal sec. XIII, non però nella forma grandiosa che ora si vede, perchè riedificato sul declinare del secolo XIV.
    Infatti fu nella sala del nuovo palazzo di residenza de’priori di Montepulciano; dove, che nel dì 23 novembre 1381, venne approvata una riformagione dal parlamento generale che confermava a vita a Giovanni e a Gherardo del Pecora il titolo e le attribuzioni di difensori e conservatori di Muntepulciano e di tutto quel distretto.
    Fra gli edifizj privati noi già abbiamo poco sopra rammentato il palazzo che fu del Card. Antonio di Monte, attualmente della nobil famiglia Contucci, situato pur esso al pari del palazzo pubblico e del Pretorio nella piazza del Duomo. Anche il palazzo Buccelli e quello del pont. Marcello II Cervini, passato ne’suoi eredi, contansi fra le buone fabbriche di Montepulciano. Quest’ultimo è stato acquistato nel secolo attuale dal C. Carradori di Macerata, da cui l’ereditò l’unica sua figlia la duchessa d’Altemps di Roma che passa in Montepulciano
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    qualche mese ad abitarlo.

    CENSIMENTO della Popolazione della città di MONTEPULCIANO a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; numero delle famiglie 780; totalità della popolazione 3750.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 337; femmine 294; adulti maschi 261, femmine 447; coniugati dei due sessi 728; ecclesiastici 247; numero delle famiglie 553; totalità della popolazione 2314.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 321; femmine 421; adulti maschi 441, femmine 563; coniugati dei due sessi 904; ecclesiastici 87; numero delle famiglie 616; totalità della popolazione 2737.
    ANNO 1839: Impuberi maschi 402; femmine 338; adulti maschi 426, femmine 616; coniugati dei due sessi 922; ecclesiastici 110; numero delle famiglie 652; totalità della popolazione 2814.

    DIOCESI DI MONTEPULCIANO. – È uno de’vescovati moderni della Toscana, eretto nel secolo XVI a spese di due altre diocesi limitrofe; cioè di quella dl Arezzo cui apparteneva la chiesa sottomatrice, gia pieve Nullius di Montepulciano, e della diocesi di Chiusi, dalla quale dipendevano varii popoli della stessa Comunità.
    Infatti la cattedrale di questo vescovato corrisponde all’antica Madre Chiesa de Politiano , (S. Maria di Muntepulciano) della quale è fatta menzione nell’esame di testimoni in Siena nell’anno 715, all’occasione della celebratissima causa ecclesiastica allora pendente davanti un tribunale di regio diritto. – Non si conosce l’epoca precisa in cui la chiesa maggiore di Montepulciano fu eretta in collegiata; bensì il di lei pievano fino dal principio del secolo XIII era decorato del titolo arcipretale, siccome apparisce da una bolla dei Pont. Onorio III del di 11 ott. 1217 diretta all’arciprete della pieve di S. Maria di Montepulciano della Diocesi aretina. Anche del suo capitolo si fa parola in una deliberazione del 26 maggio 1318, colla quale quel clero decise, che per l’avvenire il capitolo de’canonici si sarebbe ristretto a sette, compresa la dignità dell’arciprete, e ciò per l’aggravio
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    che risentiva il patrimonio della chiesa medesima dall’eccessivo numero de’canonici che vi si contavano. – (Arch.Dipl.Fior. Carte della Com. di Montepulciano. )
    Accrebbe gli onori all’arcipretura della collegiata predetta un breve del Pont. Bonifazio IX sotto di 9 aprile 1400 diretto all’arciprete Giacomo di Bartolommeo Aragazzi cui fu conferito il titolo abaziale con l’uso della mitra e del baculo. Nel 1478, 23 maggio, alle istanze dell’arciprete Fabiano Benci di Montepulciano, il Pont. Sisto IV accordò l’aumento di due canonici al capitolo della sua chiesa collegiata, e due anni dopo lo stesso pontefice con bolla diretta all’arciprete medesimo, ch’era pure notaro apostolico, dottore di decreti, chierico di Camera e canonico della Basilica di S. Pietro di Roma, dichiarò immediatamente soggetta alla S. Sede apostolica la chiesa arcipretura di Montepulciano col suo piviere, esentandola dalla giurisdizione del vescovo di Arezzo, oltre il privilegio che concedeva a quegli arcipreti facoltà di con ferire gli ordini minori e dare la benedizione episcopale al popolo tanto in chiesa quanto fuori, di usar mitra, pastorale, abito e insegne episcopali; e ciò nel tempo che accordava ai canonici di Montepulciano l’uso degli almuzzi, cappe ed altro nella stessa guisa dei canonici di Firenze e di Arezzo. – Nel 21 febb, 1528 il Pont. Clemente VII con bolla spedita da Orvieto a Vincenzio Aragazzi, altro arciprete della chiesa collegiata di S. Maria di Montepulciano Aretinae , sine nullius Diocesis , gli dava facoltà di accrescere fino a dieci il numero dei canonici del suo capitolo, dove, già sei anni innanzi era stato fondato un canonicato col titolo di prepositura. A queste dignità si aggiunsero in seguito altre due; cioè nel 1561 l’arcidiaconato, e nel 1673 il primicerato.
    A cotante onorificenze della chiesa di Montepulciano, mancava la dignità episcopale, e questa si ottenne per le cure del Granduca Cosimo I e del cardinale montepulcianese Giovanni Ricci, il quale ultimo rinunziò a benefizio della nuova, mensa vescovile la doviziosa commenda
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    che egli godeva della badia di S. Pietro a Ruoti in Val d’Ambra, allora quando nel 1561 la pieve di Montepulciano dal Pont. Pio IV fu eretta in cattedrale immediatamente soggetta alla S. Sede.
    Qualora si eccettui la chiesa parrocchiale della badia a Ruoti, situata in Val d’Ambra in mezzo ai popoli della diocesi aretina, dalla quale fu staccata all’epoca dell’erezione del vescovato di Montepulciano, questa diocesi non oltrepassa i limiti del territorio nella guisa che vengono designati all’Articolo della sua Comunità.
    Dalle indagini che ho potuto istituire per conoscere quali fra le varie chiese parrocchiali furono staccate dalla diocesi di Arezzo, e quali altre appartenevano a quella di Chiusi prima che fossero assegnate alla cattedrale di Montepulciano, mi è sembrato di rilevare che quelle appartenute al vescovato di Chiusi fossero 11, cioè:

    Parrocchie appartenute alla Diocesi di Chiusi

    1. S. Giovanni a Villanuova , o nel peggio di Tolle , fra Montepulciano e Monticchiello, altrimenti detto di Totonella , nel luogo appellato la Pieve (da lunga mano soppressa).
    2. Pieve di S. Vincenzio a Castelnuovo, nel luogo detto la Pieveccia; (riunita alla pieve di S. Egidio a Gracciano vecchio ?)
    3. Pieve di S. Vittorino d ’Acquaviva (esistente).
    4. Prioria di S. Pietro all’Abbadia dei Caggiolari, o a Crepaldo, oggi detta la badia (esistente).
    5. La distrutta pieve di S. Silvestro presso Borgo vecchio sulla Chiana.
    6. La pieve tuttora esistente di S. Albino in Parcia .
    7. La parrocchia di S. Ilario d’ Argiano (idem)
    8. La pieve di S. Lorenzo a Valiano (esistente).
    9. La pieve di S. Egidio a Gracciano vecchio (idem).
    10. La cura di S. Andrea di Cervognano (esistente).
    11.La cura di S. Mustiola a Caggiole (esistente).

    Varie membrane dell’Arch. Dipl. Fior . fra quelle appartenute alla Comunità di
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    Montepulciano rammentano la pieve di S Giovanni a Villanuova nel poggio di Tolle , e l’altra di S. Vincenzo a Castelnuovo , entrambe dipendenti dalla diocesi di Chiusi; mentre delle cure tuttora esistenti nelle ville di S. Albino, di Gracciano, di Cervognano e della vecchia badia de’ Caggiolari ( sic ), appartenute alla stessa diocesi di Chiusi, si fa menzione in un lodo dato in Roma li 6 maggio 1551 da Francesco da Recanati di Arezzo dott. d; legge, referendario dell’una e l’altra segnatura presso la S. Sede, arbitro eletto da Giovanni Ricci Vescovo di Chiusi da una parte, e dagli abitanti delle 4 ville suddette dall’altra parte, per terminare le vertenze insorte a motivo di alcune decime, le quali si credevano dovute alla chiesa ed episcopio di Chiusi,oltre quelle che pagavano alla curia romana i parrocchiani delle quattro chiese preindicate, che fino d’allora erano comprese nel distretto comunitativo di Montepulciano.
    Le parrocchie antiche della diocesi di Montepulciano staccate da quella di Arezzo furono dieci, cioè:

    Parrocchie state della Diocesi d’Arezzo.

    1.Pieve di S. Madre Chiesa di Poliziano (s. Maria),ora Cattedrale di Montepulciano.
    2. e 3. S. Mustiola e S. Bernardo riunite ora in S. Agostino a Montepulciano.
    3. Parrocchia di S. Bartolommeo, ora nel Gesù a Montepulciano
    4. Parrocchia di S. Maria, ora a S. Lucia in Montepulciano.
    5. Parrocchia di S. Bartolommeo a Caselle , ora in S. Biagio (suburbana).
    6. Parrocchia di S. Martino, ora in S. Maria delle Grazie , sotto il borgo di S. Agnese.
    7. Parrocchia di S. Maria a Nottola ?
    8. Pieve della soppressa Badia di S. Pietro a Ruoti in Val d’ Ambra. – Vedere ABAZIA A RUOTI.

    Tutte le suddette parrocchie esistono anche oggidì.

    La Diocesi di Montepulciano è fornita di un
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    buon seminario nell’antico convento de’Gesuiti, stato ampliato e migliorato nel 1831 per le cure e sollecitudini del defunto vescovo Ippolito Niccolai.
    Oltre i molti conventi di religiosi e religiose di varii ordini, rammentati all’articolo precedente, furonvi nel contado di Montepulciano celle, ospizi e badiole di Benedettini, Camaldolensi, Cistercensi ec., in guisa che costà i celibi per voto, e i beni immobili delle mani morte dovevano essere una volta più numerosi e più estesi in confronto di molti altri paesi del Granducato.
    Attualmente vi restano tre conventi di religiosi; cioè, i Serviti dentro la città, i Riformati e i Cappuccini al di fuori; in tutti 44 individui. – De’monasteri di donne esistiti in Montepulciano, oggi è restato quello delle Clarisse oltre un conservatorio di Oblate, entrambi dentro la città, in tutto 82 individui, compreso in questo numero le fanciulle a convitto; mentre all’epoca dell’istituzione della diocesi, di sole monache se ne contavano 105 dentro Montepulciano.
    Non starò ad annoverare gli arcipreti della collegiata di Montepulciano che hanno lasciato un qualche nome nella storia, poichè sebbene fia opera di carità patria, non sarebbe però allusiva all’indole del presente lavoro. Dirò solo che nel numero de’suoi arcipreti Montepulciano conta fra i concittadini un Cervini, che fu innalzato alla somma gerarchia col nome di Marcello II, un Giovanni Ricci, che fu arcivescovo e porporato; un Monsignor Corrado Bellarmino canonico di S. Pietro, abbreviatore sotto PP. Eugenio IV, cameriere segreto di Niccolò V e nunzio pontificio in Germania. Il quale arciprete Corrado, mentre abitava nella collegiata di Montepulciano, venne investito della qualità di giudice ordinario di tutte le cause civili e criminali ecclesiastiche che attitavansi in detto luogo. E fu nella sua qualità di vicario del vescovo di Arezzo, Roberto degli Asini, che nel 17 ottobre del 1443 proferì sentenza contro un tal Domenico di Riguccio da Montepulciano, che lo dichiarava eretico e lo privava della sepoltura ecclesiastica e di tutti i suoi beni. Se non che cotesta sentenza venne poi
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    abolita dal Pontefice Eugenio IV con decreto apostolico del dì 30 dicembre dell’anno 1444. – (ARCH. DIPL. FIOR, loc.cit. ) Anche il Cardinale Antonio di Monte zio del Pontefice Giulio III cuoprì la carica di arciprete in Montepulciano, che riguardò quasi seconda patria. Fra gli uomini più insigni e più benemeriti di questa diocesi citerò il Cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano, alle di cui premure questa città deve l’erezione della sua chiesa in cattedrale, la renunzia a favore della nuova mensa episcopale della doviziosa commenda dell’Abbadia a Ruoti, la fondazione e dotazione del Collegio Ricci in Pisa, destinato all’educazione scientifica, gratuita e continua di otto giovani nativi di Montepulciano.
    Rammenterò Spinello Benci primo vescovo di Montepulciano, che si distinse al Concilio di Trento, e che poi accompagnò il Cardinale di Firenze Alessandro de’Medici nella di lui legazione in Francia dove il Benci morì. Non dirò del cardinale Roberto Ubaldini che fu vescovo di questa chiesa, se non per aggiungere che sotto di lui un cardinale più celebre, Roberto Bellarmino, amministrò la diocesi di Montepulciano sua patria.
    COMUNITA’ DI MONTEPULCIANO. – II territorio di questa Comunità occupa una superficie di 48421 quadrati agrari, dai quali sono da detrarre 1176 quadrati per corsi d’acqua e pubbliche strade. – Vi stanziava nel 1833 una popolazione di 10204 abitanti, a ragione proporzionatamente di circa 175 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
    Confina da tre lati con cinque comunità del Granducato, mentre dalla parte di levante tocca la Comunità di Castiglion del Lago della Legazione di Perugia spettante allo Stato pontificio.
    A partire dirimpetto al Passo detto della Quercia , sulla gronda orientale del Chiaro di Montepulciano, il suo territorio comunitativo passa alla sinistra della Chiana avendo dirimpetto quella di Chiusi, che presto abbandona al mulino del torrente Parcia. Costà sottentra la Comunità di Chianciano, con la quale l’altra fronteggia rasentando la riva sinistra del torrente predetto, che
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    poi oltrepassa davanti al Casale di S. Savino, dove voltando la fronte da levante a scirocco passa per termini artificiali a ostro di S. Albino, taglia la strada maestra che da Montepulciano guida a Chianciano per salire sul monte della Maddalena a ponente del Bagno di Chianciano, o di Sellena, finchè sopra il vertice del monte trova la Comunità di Pienza. Con questa il territorio di Montepulciano cammina dirimpetto a ostro passando per termini artificiali sulla schiena del poggio Totonella presso 1’antica pieve di S. Giovanni di Villanuova, laddove nasce la Treisa o Tressa dell’Orcia, che oltrepassa per ritornare sulla cima del monte. Da questa sommità voltando la fronte a libeccio inoltrasi verso le prime scaturigini del Salarco , dove incontra il territorio della Comunità di Torrita, e con essa scende il vallone omonimo, da primo nella direzione di settentrione, poi di grecale fino a che cavalca il torrente predetto al Mulin vecchio , donde ripiega a ponente lungo il fosso delle Balze. Di là passato il poggio al vento taglia la strada Regia provinciale Longitudinale della Chiana rasentando la villa d’Ascianello; poscia voltando la fronte a maestro, attraversa la pianura percorsa dal torrente Foenna per dirigersi nel Canal maestro della Chiana. Qui sottentra dal lato di grecale il territorio della Comunità di Cortona, da primo mediante il suddetto Canal maestro che rimontano di conserva fino sotto il poggio di Valiano. A questo punto il territorio di Montepulciano lascia alla sua destra il Canale, e voltando faccia per poco da grecale a maestro passa dalla Terra Rossa per poi tornare nella precedente direzione, dopo avere attraversato dirimpetto a settentrione la strada Regia provinciale Lauretana alla base del poggio di Valiano, intorno a cui girando perviene al confine dello Stato pontificio, dove ha di fronte il territorio della
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    Comunità di Castiglion del Lago di Perugia. Con questo l’altro di Montepulciano corre di conserva dirimpetto a levante per termini artificiali finchè arriva sul lembo orientale del Chiaro , o Lago di Montepulciano, sul confine della di cui gronda verso scirocco ritorna a confine la Comunità granducale di Chiusi.
    Tre possono dirsi le montuosità più elevate di questa comunità, cioè, il monte su cui risiede la città; l’altro di Totona , posto nella direzione di scirocco della città fra il poggio di Totonella e Montepulciano, e finalmente il terzo è quello della Maddalena, sulla sommità, del quale s’incontrano i confini comunitativi di Chianciano e di Montepulciano.
    Molte strade maestre e rotabili attraversano in varie direzioni questo territorio comunitativo.
    Alle falde del monte verso la Chiana, a partire dalla Badia sino al Borgo vecchio rasentando il Lago di Montepulciano, percorre la Via Cassia , o la strada Regia provinciale Longitudinale della Chiana . Un’altra, ch’è parimente provinciale, denominata la Traversa di Montepulciano , attraversa la città dopo essersi staccata dalla sottostante Via Cassia presso la villa di Nottola , e di là proseguendo per Pienza, sbocca a S. Quirico nella strada Regia romana . – Anche un tronco della strada Regia provinciale Lauretana , dalla Badia sino al di là di Valiano è tracciato sul territorio comunitativo di Montepulciano.
    Fra le strade comunali rotabili contansi due vie, quella che dal suburbio settentrionale di Montepulciano mena a Torrita, e l’altra che dal suburbio meridionale conduce a Chianciano.
    Rapporto alla designazione degli antichi confini comunitativi fra Montepulciano e il territorio di Monticchiello, ora riunito alla Comunità di Pienza, cioè dalla parte australe della città, si conoscono tre arbitri pronunziati in tempi diversi; il primo nel 13 dicembre. 1297, e gli altri due nel 10
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    agosto 1298, e nel 31 ottobre 1308, dei quali arbitri si conservano gli originali nell’ Archivio Diplomatico di Firenze fra le pergamene della Comunità di Montepulciano.
    Molto più lunga fu la controversia rapporto ai confini fra la medesima Comunità e quella di Chianciano, non ostante il compromesso del 18 agosto 1487, col quale fu destinato arbitro della questione un celebre giureconsulto sanese, Bartolommeo di Mariano di Soccino, ed un giurisperito fiorentino, Antonio di Piero Malagonnelli; e non ostante un lodo nel dì 11 febbrajo del 1491 pronunziato dagli arbitri Niccolò Orsini conte di Pitigliano, e Sinolfo de’conti di Castell’Ottieri Vescovo di Chiusi; mentre un altro arbitrio venne di nuovo emanato nel dì 11 marzo 1494 da Simone del fu Jacopo Ridolfi commissario a ciò designato dalla Repubblica Fiorentina per interesse de’Montepulcianesi, e da Antonio di Giovanni Bichi incaricato dalla Repubblica di Siena per conto de’Chiancianesi.
    In quanto ai maggiori corsi d’acqua spettanti alla Comunità di Montepulciano non rammenterò il Salarco ed il Salcheto se non per avvisare, che di questi si giova tuttora la scienza idraulica per compire il bonificamento della pianura alla sinistra de Canal maestro della Chiana fino alle larghe palustri gronde del Chiaro di Montepulciano comprese in gran parte nella Regia Tenuta di Acquaviva.
    Già all’Articolo ACQUA VIVA. (S. VITTORINO D’) fu accennato un documento scritto nell’agosto dell’anno 8o3, in cui è fatta menzione di terreni di quel distretto posti a confine con la piscina. La quale piscina probabilmente (dissi ivi) riferisce al Padule intorno al Lago di Montepulciano.
    Che la pianura alla sinistra della Chiana, fra il Salarco e il Solcheto , fosse paludosa anche nel secolo XIV lo dichiarano molti documenti istorici, fra i quali citerò per tutti un istrumento del 15 settembre 1327 fatto nella villa di Ciliano, di cui feci parola all’Articolo GUARDAVALLE, e nel quale
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    si tratta della vendita di un pezzo di terra in parte selvoso , in parte prativo e palustre , situato nella contrada di Greppo nel piano detto di S. Vincenzio.
    Non parlerò tampoco, come di cosa ancora incerta, del tempo in cui cominciò l’impaludamento della Chiana, rapporto a che gioverebbe anche consultare un documento del 1195 citato dal ch. conte Vittorio Fossombroni nelle sue Memorie Idraulico-Storiche della Val di Chiana (Parte I. Cap. V.) quando un vescovo di Chiusi voleva recarsi a far pontificale in una sua chiesa di Montepulciano, posto che una delle ragioni fosse quella, che molti Chiusini si erano recati a stabilirsi in Montepulciano per fuggire l’aria cattiva delle paludi intorno a Chiusi.
    Accennerò piuttosto rispetto al pescoso lago di Montepulciano, che la sua superficie da settentrione a ostro si dilunga per circa due miglia e mezzo, e che dilatasi un miglio nella sua maggior larghezza.
    Non parlerò della ubertosa cacciarella dei germani e delle folaghe che fassi intorno al Lago e sopra il Chiaro di Montepulciano, sivvero della sua copiosa pesca, di che abbiamo fino dal medio evo le prove; tostochè il Comune di Montepulciano nel gennajo del 1417 vendè all’incanto per un anno la gabella del pesce del Lago per lire 340 di denari cortonesi. – I pesci che vi si prendono consistono in anguille grosse e delicatissime, in lucci di diversa grandezza, in tinche di pelle bianca e di eccellente sapore, in scalbatri, ecc.
    Chi poi volesse esaminare la natura terreno di questa Comunità, troverebbe la pianura percorsa dal Salarco e dal Salcheto costantemente ricoperta da terra di trasporto e da ghiaja, ma appena salite le prime piagge presso il bivio della strada Longitudinale con quella che mena a Torrita, si entra quasi ex abrupto nella regione delle biancane, ossia del
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    mattajone ch’è una specie di argilla cretosa bigia d’origine marina; le quali bianaone costituiscono quasi per intiero le circostanti colline frastagliate e nude anzichè no di arbusti e d’alberi d’alto fusto, qualora si eccettuino le viti.
    Alla voltata però di Gracciano, e di là salendo verso il monte, alle biancane sottentrano i tufi siliceo-calcarei spesso alternanti con strati di ghiaja conglomerata. I quali strati tufacei sogliono vestirsi di una magnifica vegetazione di scelte viti basse, di castagni e di altri alberi di alto fusto, fra i quali si contano molte annose querci. A proporzione poi che si sale sul monte per avvicinarsi a Montepulciano, il tufo diviene sempre più copioso di conchiglie fossili marine, consistenti in ostriche, in veneri, cardii, murici, neriti, e in pettini di più varietà.
    Il terreno che cuopre la faccia orientale del monte, salendo verso la fortezza, consiste in banchi di calcare tufaceo talmente indurito dal ferro idrato che diviene atto, ed è impiegato con successo nella rifioritura delle strade pubbliche del circostatnte distretto.
    Anche il monte di Totona, il quale si alza a scirocco di Montepulciano a guisa di cono rovesciato, è rivestito di una lumachella tufacea, specie di panchina consimile a quella del monte di Volterra, se non che questa del monte di Totona abbonda maggiormente di ferro idrato, o limaccioso.
    Il monte della Maddalena che sta fra Chianciano e il monte di Totona, e che è diviso fra le due comunità, ha i suoi fianchi rivestiti in gran parte di tufo calcare e di breccia conchigliare, mentre la parte superiore è formata di un calcare semigranoso, che ha l’aspetto, e che porta perfino il nome di marmo, il quale a luoghi è bianco candido, altrove di tinta fegatosa, e talvolta tendente al nero.
    La base settetrionale però di questo monte è coperta di altissime rupi di travertino, di cui ivi sono aperte
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    delle cave. Presso le sue pendici, piegando verso maestro, si trova a ostro della strada rotabile, fra Montepulciano e Chianciano, la villa di S. Albino; dove lungo la strada medesima a settentrione della stessa villa emergono qua e là da un suolo acquitrinoso gorgoglianti zampilli gessosi conosciuti col nome di Acqua Puzzola , o di Mofeta di S. Albino, che costituiscono varie pozzanghere, il cui scarso rifiuto va nel torrente Parcia. Quest’acque emergono fuori da un terreno calcare-cavernoso sparso di potenti incrostazioni di travertini; le quali acque romoreggianti nell’interno, esternamente affacciansi con getti spumosi per la copia del gas acido carbonico che seco portano alla luce, e che all’aria libera svapora.
    L’esperienze chimiche instituite sul posto dal Prof. Targioni-Tozzetti nell’agosto del 1832 sembra che non concordino con quelle state fatte nel 1793 dal Prof. Domenico Batini, e neppur con altre ripetute dal Prof. Giuseppe Giuli di Siena; i quali trovarono l’acqua e il gas di S. Albino più o meno ricchi di gas idrosolforico. E sebbene il Targioni non ottenesse dalle analisi altro che gas acido carbonico e aria atmosferica, ciò non basta, concludeva il Professore fiorentino, per credere meno vere le osservazioni fatte da altri scienziati in epoche e circostanze disparate, le quali debbono influire sul maggiore o minore sviluppo dal seno della terra dei gas acido carbonico e idrogeno-solforato. – (ANT. TARGIONI-TOZZETTI, Analisi chimica delle acque minerali di Chianciano. Firenze 1833 pag. 140 e segg.).
    Il terreno dell’adiacente campagna e della stessa formazione tufacea già di sopra accennata, se non che in vicinanza della Mofeta di S. Albino esistono alcuni strati di terra silicea bianca, ruvida e minutissima, della quale il ch. Giovanni Targioni Tozzetti lasciò ricordo fra i suoi Manoscritti, notificato dal di lui nipote nell’opera testè citata (pag. 137). La quale rena, dice quel Manoscritto, sta vicino alla mofeta di S.
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    Albino nel Montepulcianese; e che quando sia mescolata con stagno è buona per vetrina alle majoliche fini: serve per orologi a polvere e mescolata con olio è più buona che lo smeriglio per pulire armi da fuoco. Anche attualmente si usa di un simile renischio per l’oggetto descritto da Giovanni Targioni; e forse è di quelle impiegata in Montepulciano in una fornace di vetri.
    Se si considerano poi i prodotti di suolo di questa comunità niuno ignora la celebrità del suo vino, del quale vi è memoria che si spediva all’estero fino dal secolo XIV, se non prima. Non però a tutti è egualmente noto, che due dei principali prodotti più proficui del territorio di Montepulciano consistevano una volta nel zafferano e nel guado.
    Fino dalle prime pagine di quest’opera, all’Articolo ASCIANO Comunità (Vol.I pag.154), fu detto che la pianticella, dalla quale si raccoglie lo zafferano, si coltivava con successo nelle crete sanesi, dove soleva seminarsi a campi. Della qual cosa fanno fede molti documenti dei secoli XIII, XIV e XV, e dopo di essi dal botanico Mattioli, il quale nel commento ai Discorsi di Dioscoride, parlando del Croco diceva: “avere il principato a Venezia il zafferano che si porta dall’Aquila, città dell’Abruzzo, ma che ne nasce ancora in Toscana in alcuni luoghi, e massime in quel di Siena dell’ elettissimo, il quale può stare con tutti gli altri al paragone”. Infatti, senza dire dei tributi che un dì si pagavano in zafferano da alcune pievi di Val d’Era ai vescovi di Lucca e di Volterra, le carte della comunità di Montepulciano danno bastantemente a conoscere con quanta attività si coltivassero e si commerciassero costà il croco ed il guado .
    Che nei secoli XIII e XIV esistessero in Montepulciano ricche società di mercanti sanesi, e montepulcianesi, il cui commercio
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    speciale raggiravasi sul guado , sul croco ed altre mercatanzie indigene, lo provano alcuni strumenti del 3 gennajo 1293, 11 febbrajo 1301, 22 giugno 1309, e 17 marzo 1387. Citerò finalmente due altre carte appartenute ai Frati Domenicani di Montepulciano. Nella prima di esse del 12 settembre 1347 trattasi della vendita fatta da una società di mercanti a due negozianti di Valenza di libbre 45.000 di guado a peso pisano pel prezzo di 800 fiorini d’oro fiorentini; mentre la seconda è un contratto del 29 dicembre 1379, col quale il camarlingo del magistrato civico vendè a un Montepulcianese della contrada di Tolosa per un anno il provento della gabella dello zafferano indigeno , per cui questi pagò di appalto lire 240 – (ARCH. DIPL. FIOR. loc. cit. ).
    Che un simil commercio si facesse non solo con la Spagna, ma anche con la Francia, lo da a congetturare l’uso introdotto nel principio del secolo XIV in Siena e a Montepulciano di contrattare in lire tornesi di grossi denari d’argento, moneta più ideale che reale, mentre essa anzichè corrispondere alla vera lira tornese, o franco di Francia, equivaleva talvolta a 17 e perfino a 20 fiorini d’oro per ognuna di quelle lire. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte d ella Comunità di Montepulciano del 30 gennajo 1302, del 13 aprile 1303, 19 marzo e 27 agosto l304, 8 aprile l306, 20 maggio 1307, ecc.).
    Rispetto al commercio del vino squisito di Montepulciano, che questo s’inviasse all’estero da tempi assai remoti, può darne qualche indizio un istrumento del 17 ottobre 1350 scritto in Montepulciano nella casa di Bertoldo Novello figlio che fu messer Bertoldo di Guglielmo del Pecora; il quale mediante quell’atto pubblico stabilì per 5 anni con Jacopo del fu Vanni da S. Fiora una società di mercatura di vino, che lo stesso
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    Bertoldo del Pecora ritraeva dalle sue vigne poste nel distretto di Montepulciano nella contrada de’ Calomelli . – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte de’Crociferi di Firenze ).
    In quanto alla statistica agraria della Comunità di Montepulciano, citerò quella pubblicata nel 1828 dal Prof. Giuseppe Giuli nella sua opera statistica della Val di Chiana. Che se quei calcoli furono prossimi al vero ne risulterebbe, che la parte montuosa, ossia la più elevata del territorio di Montepulciano, corrisponde alla metà circa di tutta la sua superficie.
    Cotesta porzione territoriale era allora quasi tutta coperta di bosco ceduo, e d’alto fusto, di selve di castagni, oppure di sodaglie, ec.; valutandosi circa la sesta parte la porzione montuosa tenuta allora a coltivazione di campi e di vigne.
    La porzione poi del territorio medesimo qualificata sotto il vocabolo di colline , secondo quei calcoli occuperebbe circa 16 miglia quadrate, delle quali 12 miglia erano coltivate a viti piantate a filari, il restante a olivi, oppure sodivo e sterile.
    La pianura fu valutata circa 13 miglia quadrate, defalcate due buone miglia di spazio occupato dal Lago di Montepulciano. Quasi tutta questa porzione di suolo è destinata alla sementa de’cereali, del granturco, della canapa, del lino e dei legumi, quante volte si eccettuino mille stajate di terreno destinate per i prati naturali.
    Le viti secondo un computo approssimativo del Prof. Giuli si crede che siano N° 2.600.000 in collina, e 200.000 in pianura; gli olivi N° 8000, e i gelsi N°4520 in tutta l’area del suo territorio.
    Il bestiame da frutto e da lavoro è assai numeroso in questa Comunità, dove sopratutto grosse e ben nutrite sono le bestie bovine.
    Volendo stare alla statistica fatta nel l825 dal prenominato scrittore, si trovavano allora in questa Comunità 16116 capi di bestiame, distribuiti come appresso:

    Bovi aranti, N° 4000
    Vitelli, N° 2000
    Vacche,N° 3000
    Pecore, N° 1700
    Agnelli, N° 1000
    Capre, N° 206
    Majali, N° 3200
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    /> Cavalli, N° 400
    Somari, N° 400
    TOTALE, N° 16116

    Rapporto poi alle manifatture, in Montepulciano e nel suo distretto si educano molti filugelli con le foglie dei gelsi che vegetano nelle sue campagne, e che danno un vistoso prodotto di seta. – Vi sono in città due tintorie, tre fabbriche assai buone di cappelli di feltro, tre fornaci di vasellami ordinari ed una di vetri, utile specialmente alla fabbricazione de’fiaschi, coi quali s’invia in commercio gran parte del vino che si raccoglie nelle sue colline, e la di cui coltivazione e manifattura offre lavoro a molta gente di campagna e anche di città.
    Nella villa di Acquaviva si fabbricano costantemente de’rozzi cappelli di paglia per uso del contado.
    In Montepulciano ha luogo un mercato settimanale nel giorno di giovedì. – Vi si praticano tre fiere annuali, nel 1 maggio, nel 28 agosto, nel 9 settembre: e due fiere di bestiami d’ogni specie si tengono in Valiano nel giorno 10 agosto e nel lunedì dopo l’ultima domenica di settembre.
    Col motuproprio del 14 novembre 1774 relativo al regolamento economico, ordinato dal Granduca Leopoldo I per le Comunità comprese nell’antico distretto fiorentino, vennero riuniti in una sola amministrazione i popoli della città di Montepulciano e delle ville, già suddivise in 16 sezioni insieme alla soppressa Comunità di Valiana , o Valiano il cui complesso era formato di quattro sezioni; cioè delle ville di Salvagio , di Serraglio , di Strada e di Vilardegna.
    Finalmente non sarà discaro per il confronto della statistica economica della Comunità di Montepulciano conoscere le sue rendite all’anno 1608, sul principio del governo di madama Cristina Granduchessa madre di Cosimo II, di cui riportiamo la nota estratta da copia autentica:

    ENTRATA DELLA COMUNITA’ DI MONTEPULCIANO ALL’ANNO 1608

    - Dalla gabella delle porte della città circa Lire toscane 2690.
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    /> - Dalla gabella del Macinato Lire toscane 1563.
    - Dalla gabella della Carne Lire toscane 1377.
    - Dalla gabella de’Contratti Lire toscane 2700.
    - Dalla gabella della Tratta del grano Lire toscane 380.
    - Dalla gabella della Scannatura Lire toscane 1158.
    - Dalla gabella del Vino Lire toscane 330.
    - Dalla gabella de’Fitti de’Molini Lire toscane 136.
    - Dalla gabella del Ceppo civile Lire toscane 130.
    - Dalla gabella della Stadera Lire toscane 200.
    - Dalla gabella del Sale Lire toscane 3500.
    - Dalla gabella delle Chiane Lire toscane 1400.
    - Dalla gabella del Passo al Ponte di Valiano Lire toscane 200.
    - Dagli Affitti di terre comunali Lire toscane 3400.
    - Da Pigioni di case e botteghe comunali Lire toscane 240.
    - Da Legne e frasche de’boschi comunali Lire toscane 1200.
    - Da Condannagioni criminali (di parte) Lire toscane 230.
    - Dal Monte del debito comune Lire toscane 230.
    - Da Entrate diverse Lire toscane 220.
    - Da Entrate di affitti annui Lire toscane 600.
    - ENTRATA TOTALE Lire toscane 21884.

    L’ Uscita della stessa Comunità ammontava in quell’anno a lire 25842.17.4. E perchè l’ Uscita era superiore all ’Entrata , ogni tre o quattr’anni si bilanciava il deficit con la vendita di una porzione di beni comunali. Fra i salariati e altri oneri della Comunità, sono ivi designati i seguenti:

    - I Signori Magnifici componenti il magistrato civico di Montepulciano e donzelli Lire toscane 3707.12.4.
    - Per salario al Capitano di Giustizia Lire toscane 1168.
    - Per salario ai messi
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    della corte del Capitano Lire toscane 306.
    - Per salario al Cancelliere Lire toscane 1091.6.8.
    - Per salario al Medico fisico Lire toscane 1376.14.
    - Per salario al Cerusico comunale Lire toscane 1247.16.
    - Per salario al Maestro di scrivere e abbaco che si tiene, e che da molti anni non è nativo di Montepulciano Lire toscane 413.
    - Per salario al Maestro di grammatica Lire toscane 1032.10.
    - E perchè i giovani vanno a scuola alli Gesuiti, e tocca al maestro il sabato a ripetere, si è aggiunto Lire toscane 165.4.
    - Per la spesa delle carceri, per gli acconcimi del palazzo de’Sigg. Magnifici e del Capitano di giustizia, ed altre spese Lire toscane 2410.
    - Al Monte delle Graticole di Firenze Lire toscane 630.
    - Ai Consoli dell’Arte de’Mercanti di Firenze Lire toscane 310.
    - Tassa ai Capitani di Parte in Firenze Lire toscane 191.10.
    - Ai Sigg. Nove conservatori del dominio fiorentino Lire toscane 2601.8.
    - Ai medesimi per le tasse de’bargelli Lire toscane 115.8.
    - Ai medesimi per le spese universali Lire toscane 3420.
    - SOMMA Lire toscane 19186.8.4

    Per il servizio della Comunità e dello spedale sono mantenuti in Montepulciano due medici e due chirurghi condotti, ed un terzo chirurgo tiene stanza in Valiano. Risiedono in Montepulciano, oltre il Vescovo, i componenti il tribunale di Prima Istanza, il commissario e il vicario Regio, un ingegnere di Circondario, ed un cancelliere comunitativo, il quale serve a questa sola Comunità. – Vi è pure un’uffizio per l’esazione del Registro, e uno per la conservazione dell’Ipoteche.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di MONTEPULCIANO a quattro epoche diverse.

    - nome del luogo:
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    Acquaviva, titolo della chiesa: S. Vittorino (Pieve), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 316, popolazione anno 1745 n° 320, popolazione anno 1833 n° 857, popolazione anno 1839 n° 981
    - nome del luogo: Argeano (Villa di), titolo della chiesa: S. Ilario (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° 261, popolazione anno 1833 n° 573, popolazione anno 1839 n° 579
    - nome del luogo: Ascianello, titolo della chiesa: SS. Vincenzio e Anastasio (già Pieve), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 339, popolazione anno 1745 n° 244, popolazione anno 1833 n° 579, popolazione anno 1839 n° 411
    - nome del luogo: Badia (già de’Caggiolari) o in Crepaldo , titolo della chiesa: S. Pietro (Prioria), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 327, popolazione anno 1745 n° 470, popolazione anno 1833 n° 949, popolazione anno 1839 n° 1076
    - nome del luogo: Caggiole o Gaggiuole, titolo della chiesa: S. Mustiola (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 521, popolazione anno 1745 n° 242, popolazione anno 1833 n° 293, popolazione anno 1839 n° 347
    - nome del luogo: Caselle, titolo della chiesa: S. Bartolommeo a S. Biagio (Cura con capitolo di cappellani), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 530, popolazione anno 1745 n° 634, popolazione anno 1833 n° 824, popolazione anno 1839 n° 901
    - nome del luogo: Cerliana o Ciarliana, titolo della chiesa: S. Michele (Cura), diocesi
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    cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 407, popolazione anno 1745 n° 243, popolazione anno 1833 n° 359, popolazione anno 1839 n° 382
    - nome del luogo: Cervognano, titolo della chiesa: S. Andrea (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 789, popolazione anno 1745 n° 229, popolazione anno 1833 n° 332, popolazione anno 1839 n° 360
    - nome del luogo: Gracciano, titolo della chiesa: S. Egidio (Pieve), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 669, popolazione anno 1745 n° 460, popolazione anno 1833 n° 840, popolazione anno 1839 n° 933
    - nome del luogo: Grazie (S. Maria delle) o Madonna di S. Martino, titolo della chiesa: S. Martino e S. Maria delle Grazie, diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 372, popolazione anno 1745 n° 440, popolazione anno 1833 n° 644, popolazione anno 1839 n° 619
    - nome del luogo: MONTEPULCIANO (*), titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Cattedrale), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 3750 (con S. Bartolommeo nel Gesù, S. Maria e S. Lucia, S. Mustiola in S. Agostino), popolazione anno 1745 n° 774, popolazione anno 1833 n° 977, popolazione anno 1839 n° 947
    - nome del luogo: MONTEPULCIANO (*), titolo della chiesa: S. Bartolommeo nel Gesù (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 3750 (con S. Maria Assunta, S. Maria e S. Lucia, S. Mustiola in S. Agostino), popolazione anno 1745 n° 418, popolazione anno 1833 n° 486, popolazione anno 1839
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    n° 503
    - nome del luogo: MONTEPULCIANO (*), titolo della chiesa: S. Maria e S. Lucia (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 3750 (con S. Maria Assunta, S. Bartolommeo nel Gesù, S. Mustiola in S. Agostino), popolazione anno 1745 n° 383, popolazione anno 1833 n° 467, popolazione anno 1839 n° 476
    - nome del luogo: MONTEPULCIANO (*), titolo della chiesa: S. Mustiola in S. Agostino (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 3750 (con S. Maria Assunta, S. Bartolommeo nel Gesù, S. Mustiola in S. Agostino, S. Maria e S. Lucia), popolazione anno 1745 n° 739, popolazione anno 1833 n° 807, popolazione anno 1839 n° 888
    - nome del luogo: Nottola, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Arezzo), popolazione anno 1551 n° 170, popolazione anno 1745 n° 196, popolazione anno 1833 n° 240, popolazione anno 1839 n° 259
    - nome del luogo: Parcia, titolo della chiesa: S. Albino (Pieve), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 540, popolazione anno 1745 n° 278, popolazione anno 1833 n° 393, popolazione anno 1839 n° 525
    - nome del luogo: Valiano, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Pieve), diocesi cui appartiene: Montepulciano (già di Chiusi), popolazione anno 1551 n° 388, popolazione anno 1745 n° 440, popolazione anno 1833 n° 784, popolazione anno 1839 n° 800

    - Totale abitanti anno 1551 n° 9125
    - Totale abitanti anno 1745 n° 6771
    - Totale abitanti anno 1833 n° 10204
    - Totale abitanti anno 1839
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    n° 10987

    (*) N. B. La popolazione del 1551 in città è per Contrade, nei subborghi per Camperie, in guisa che quest’ultima delle Camperie l’abbiamo ripartita fra le parrocchie suburbane alla città di Montepulciano.

    MONTEPULCIANO in Val di Chiana. –  Si aggiunga al suo luogo la notizia di una provvisione della Signoria di Firenze del 30 aprile 1390, che ordinava il pagamento di lire 120 a maestro Antonio di Bartolo Malaghigni per spese fatte nella costruzione di due navigli messi nelle Chiane di Arezzo per fare spalla e difesa alla Terra di Montepulciano. –  Con altra provvisione poi del 7 novembre 1392 si ordinò doversi fare dal Comune di Firenze al più presto possibile una fortezza col cassero e fortificazioni opportune nella Terra di Montepulciano, per custodirsi dai soldati della Repubblica Fiorentina a suo onore e buono stato. –  (GAYE, Carteggio inedito di Artisti, Volume 1. Append. 2. ) Dove poi si parla di Donatello che scolpì il bellissimo cenotafio per monsignor Bartolommeo Aragazzi, che fu in più parti disperso e quindi collocatone i membri principali nel Duomo di Montepulciano, si aggiunga la notizia dataci dal Gaye nel citato suo Carteggio di Artisti rispetto ad una denunzia fatta in Firenze nel 1437 da Michelozzo Michelozzi e fratelli agli uffiziali del Catasto, di cui Michelozzo Michelozzi dichiara di essere da due anni incirca compagno di studio di Donatello, insieme al quale teneva per le mani i seguenti lavori, cioè:
    «Una sepoltura per la chiesa di S. Giovanni di Firenze per messer Baldassarre ( Coscia ) ossia Cardinale di Firenze, abbiamo a farla a tutte nostre spese per fiorini 800, ecc.»
    «Una sepoltura per Montepulciano di Messer Bartolommeo da Montepulciano segretario del Papa, ecc.»
    Inoltre è ivi registrato fra i debitori del Michelozzi 20 anni dopo, cioè, sotto l’anno 1457, anco il seguente.
    «Rede di messer Bartolommeo di Francesco da Montepulciano per
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    resto di una sepoltura che gli feci 20 anni pass ati , fiorini 60.»
    «I due bassorilievi di quella sepoltura esistenti nel Duomo di Montepulciano, superano, aggiungeva il dottor Gaye , qualunque sforzo che in tal genere di lavoro, di Donatello e di Michelozzo, si conosca.»
    Dove in fine si rammenta fra le parrocchie della Comunità di Montepulciano la prioria di S. Pietro, oggi detta la Badia , si aggiunga: Probabilmente essa fu quell’Abbadia di S. Pietro a Petrojo , che alcuni confusero con altra chiesa di S. Piet ro a Petrojo nel vallone dell’Asso, Comunità di Trequanda, Diocesi antica di Arezzo, ora di Pienza, mentre questa della Badia a Petrojo nel distretto di Montepulciano fu della Diocesi di Chiusi nella congregazione Vallombrosana. –  A quest’ultima Badia infatti riferivano due bolle pontificie, che una di Bonifazio Vili del 13 febbrajo 1296 diretta al priore di S. Pietro a Petrojo , diocesi di Chiusi, cui ordina di verificare l’istanza fattagli dal Padre provinciale de’Predicatori affinchè S. Santità concedesse facoltà ai medesimi di fabbricare un convento per loro uso in una casa che fu di Francesco, detto Crisporo , confiscata per aver ricevuto in essa e protetto gli eretici. (Arch. Dipl. Fior. Carte de’Domenicani di Montepulciano ). L’altra bolla è del 1480 del Pontefice Sisto IV, quando riunì al capitolo della pieve di Montepulciano i beni del priorato di S.Pietro a Petrojo, districtus Terrae Montispolitiani, Ordin is Vallisumbrosae, Clusinae Dioecesis . Anche l’Ughelli nella sua Italia Sacra rammenta quel Ranieri da Montepulciano priore della Badia Vallombrosana di S. Pietro a Petrojo , quando fu eletto in vescovo di Chiusi. –  Vedere Petrojo di Trequanda in Val d’Orcia.
    In fine si aggiunga alla popolazione della Comunità di Montepulciano del 1833 risultante in 10204 Abitanti quella
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    del 1845, la quale ascendeva a 11167 persone, cioè:

    Popolazione della Comunità di Montepulciano nell’anno 1845.

    Acquaviva, Abitanti N.° 964
    Ascianello, Abitanti N.° 414
    Badia, Abitanti N.° 1070
    Caggiole, Abitanti N.° 318
    Caselle, Abitanti N.° 876
    Cervognano, Abitanti N.° 366
    Ciarliana, Abitanti N.° 383
    Gracciano, Abitanti N.° 962
    S. Martino, Abitanti N.°  676
    Montepulciano, Cattedrale , Abitanti N.° 1017
    Montepulciano, S. Bartolommeo, Abitanti N.° 528
    Montepulciano, S. Maria e S. Lucia, Abitanti N.° 472
    Montepulciano, S. Mustiola, Abitanti N.° 914
    Nottola, Abitanti N.° 270
    Parcia, Abitanti N.° 480
    Vallano, Abitanti N.° 868
    Villa di Argiano, Abitanti N.° 589
    Totale Abitanti N.° 11167


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi
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    tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ ultima delle quali per l'am-ministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.

    GAVINA , o GAVINEA in Val di Chiana. – Nome dato anticamente a una delle porte della città di Chiusi, detta ora porta Lavinia . – Anche
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    una delle porte della città di Montepulciano portava lo stesso vocabolo e lo dava ad un ospedale contiguo, appellato di S. Maria alla porta Gavina . – Vedere MONTE PULCIANO.

    VIA, o STRADA TRAVERSA DI MONTEPULCIANO. – Staccasi dalla postale romana per Siena, alla Terra di S. Quirico passando per Pienza e Montepulciano, donde scende nella Via Longitudinale , o Cassia della Val di Chiana che trova al Casale di Nottola dopo quasi 17 miglia di cammino.
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Localizzazione
ID: 3125
N. scheda: 34170
Volume: 2; 3; 5; 6S
Pagina: 415; 464 - 492; 705, 734; 158 - 159
Riferimenti:
Toponimo IGM: Montepulciano
Comune: MONTEPULCIANO
Provincia: SI
Quadrante IGM: 121-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1726333, 4774840
WGS 1984: 11.78176, 43.09405
UTM (32N): 726396, 4775015
Denominazione: Monte Pulciano, Montepulciano, Monte Policiano - Gavina, Gavinea - Vescovati della Toscana (Montepulciano) - Via, Strada Traversa di Montepulciano
Popolo: S. Maria Assunta a Montepulciano
Piviere: S. Maria Assunta a Montepulciano
Comunità: Montepulciano
Giurisdizione: Montepulciano
Diocesi: (Arezzo) Montepulciano
Compartimento: Arezzo
Stato: Granducato di Toscana
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