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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Monte Varchi, Montevarchi, Monte Guarchi

 

(Montevarchi)

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    MONTE VARCHI, MONTEVARCHI, già MONTE GUARCHI (Mons Varchi) nel Valdarno superiore.
    Cospicua, regolare e nobil Terra murata, fra le più belle e più popolate della Toscana con prepositura collegiata (S. Lorenzo) capoluogo di Comunità e residenza di un potestà nella Diocesi di Fiesole, Compartimento di Arezzo.
    Situata in pianura presso la sinistra sponda dell’Arno, sulla ripa pure sinistra del torrente
    Rimario, attualmente appellato Dogana da una passaggeria che fu costà sull’estremo confine del contado fiorentino col territorio di Arezzo, essa conta i suoi incunaboli fino al secolo XII, giacchè in questo piano subiacente al castello, lungo la strada maestra Aretina, fu aperto il mercato di Montevarchi.
    Questa Terra è posta fra il grado 29° 14’ 3’’ longitudine e 43° 31’ 7’’ latitudine 18 miglia toscane a ponente-maestrale di Arezzo, migla toscane 2 e 1/2 a ostro di Terranuova, 27 miglia toscane a scirocco di Firenze, 3 miglia toscane da S. Giovanni e quasi 9 nella stessa direzione da Figline.
    Collocata sul confine di due antichi territorj municipali, poi diocesani, di Arezzo cioè e di Fiesole, non sarebbe strana l’opinione di coloro che ripetessero l’etimologia di
    Monte Varchi della sua situazione topografica, per trovarsi esso monte sul Varco, donde dal territorio aretino si passa in quello fiesolano, e viceversa.
    All’
    Articolo LATERINA dissi, qualmente il conte Giorgio Viani nell’appendice alle sue Memorie della famiglia Cybo stampò un diploma attribuito all’Imperatore Ottone I, col quale si vorrebbe dare ad intendere che all’anno 962 i castelli di Monte Varchi, di Laterina, e un altro paese ideale appellato Corsalano, fossero stati concessi in feudo da quell’imperatore a un tal Guido Cybo genovese, ivi quantificato con li speciosi titoli di uomo generoso, Eroe, Tribuno delle Coorti
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    di Nobili e di Cavalieri del Sacro Impero.
    Ma tanti e sì grossolani in quel supposto diploma si mostrano gli errori da non lasciare il minimo dubbio della sua falsità. – V
    edere LATERINA.
    Più veridici appariscono i documenti del secolo posteriore, i quali rammentando il Castello di Monte Varchi, lo indicano come signoria di alcuni marchesi e conti della Toscana, tra i primi de’quali appariscono alcuni marchesi del Monte S. Maria, ossia del
    Colle e di Pierle nel distretto di Città di Castello.
    Infatti all’
    Articolo MONCIONE nel Val d’Arno superiore citai due istrumenti del 1079 e del 1098. Il primo è dato in Monte Varchi, dove allora risedeva la contessa Sofia vedova del Marchese Arrigo de’marchesi di Pierle, la quale erasi rimaritata al conte Alberto di Mangona. Il secondo istrumento è un atto di ultima volontà del Marchese Arrigo nipote dell’altro testè rammentato, col quale atto il testatore assegnò alla di lui ava contessa Sofia la porzione del castello e corte di Monte Varchi, e tutto ciò ch’egli possedeva nei castelli di Levane, di Moncione e del Tasso.
    Molti altri istrumenti degli anni susseguenti appellano al distrutto castello di
    Monte Varchi, ben diverso dall’attuale Terra omonima, la quale fu edificata a piè del poggio sul cui fastigio esisteva, come dissi, il vecchio fabbricato, dove ora risiede il convento e clausura de’Frati Cappuccini. – La prima memoria pertanto a me nota, relativa alla Terra piuttosto che al Castello di Montevarchi mi sembra quella segnalata in una pergamena della Badia di Passignano, ora nell’Arch. Dipl. Fior. È un’atto pubblico rogato li 13 aprile 1207 nel Mercato di Monte Varchi, col quale un Benincasa del fu Alberto donò allo spedale di Ubaldo
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    i suoi diritti e ragioni sopra un pezzo di terra posto nella corte di Pian Alberti (distretto di S. Giovanni).
    Al
    Mercato medesimo di Montevarchi ne richiamano Ricordano Malespini e Giovanni Villani all’anno 1248, nelle loro storie dove scrissero che infra l’anno medesimo avvenne che dei Guelfi cacciati da Firenze, quelli che erano in Montevarchi furono assaliti dalle masnade de’Tedeschi nel Mercatale del detto castello, ecc.
    È noto abbastanza che i
    Mercati, equivalenti ai Fori de’tempi romani, si tenevano lungo le strade più frequentate della provincia, dove di necessità si dovettero costruire case, chiese ed altre fabbriche, in guisa che col progredire del tempo quei luoghi convertironsi in borghi, e quindi in terre murate. – Vedere FORO, e MERCATALE.
    Già all’
    Articolo MONTE MURLO fu detto che i cinque figli del C. Guido Guerra, quinto di tal nome, per contratto dei 24 aprile 1219 ipotecarono alla Signoria di Firenze per sicurezza della vendita di Monte Murlo i loro castelli di Monte Varchi, di Loro, e altri fortilizj situati nel Val d’Arno superiore.
    Non sembra però che quella vendita per allora avesse effetto; sivvero lo ebbe nel 1254 per opera dei nipoti del suddetto C. Guido Guerra V. Avvegnaché un’altro C. Guido Guerra, che fu figlio del C. Marcovaldo di Dovadola, per contratto del 25 marzo 1254 vendè al Comune di Firenze la sua porzione del castello e distretto di Monte Varchi per lire 2500; e per un egual somma la 4° parte del Castello e Territorio di Monte Murlo. – V
    edere DOVADOLA, e MODIGLIANA.
    Cinque giorni dopo un altro suo cugino, il C. Guido figlio di Teudegrimo conte di Porciano, previo il consenso de’suoi genitori, alienò al Comune di Firenze per lire 2500 la quarta parte
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    del castello di Monte Varchi, rinunziando nel tempo stesso ai suoi diritti sopra quello di Monte Murlo. Anche un terzo cugino, il C. Guido di Romena figlio del fu C. Aghinolfo di Guido Guerra V, per atto pubblico del 16 aprile 1254 alienò per il prezzo medesimo la sua quarta parte del castello di Montevarchi e del distretto con la quarta parte del suo Mercatale vecchio e nuovo e della piazza presso la Canonica di detto luogo (S. Lorenzo). Alla qual vendita, nel 17 aprile 1254, consentì eziandio la contessa Maria moglie dello stesso C. Guido di Romena. – Ignoro se la Rep. fiorentina acquistasse dal quarto cugino, cioè dal C. Guido Novello, stipite de’CC. di Modigliana, l’altra porzione del castello con i respettivi diritti sopra Montevarchi, giacché non conosco il documento a ciò relativo. Altronde è bastantemente noto che il C. Guido Novello figliuolo del C. Guido Guerra VI militava contro Firenze nel 1252, quando assalì Figline alla testa dei Ghibellini toscani, sebbene nel maggio dell’anno 1256 egli stesso alienò alla Rep. Fior. la sua quarta parte delle terre e castelli che possedeva nel Val d’Arno inferiore. – Vedere CERRETO GUIDI, EMPOLI, MONTERAPPOLI ec.
    Ci richiama frattanto alla
    Canonica di Montevarchi una particola del testamento della contessa Beatrice figlia del C. Rodolfo di Caprai e vedova del C. Marcovaldo di Dovadola, la quale con quell’atto scritto in lingua volgare nel 18 febbrajo 1278 (stil. fior.) mentre abitava nel palazzo de’conti Guidi in Firenze nella parrocchia di S. Maria in Campo, fra i molti legati, lasciò Lire dieci a la Kalonicha di Monte Varchi, che si debbiano ispendere in un paramento da prete, col quale vi si debba dicere messe per l’anima del C. GuidoGuerra mio figliolo, il quale si
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    seppellio alla detta Kalonicha.
    Di cotesto C. Guido Guerra signore di Montevarchi, figlio del C. Marcovaldo, scrisse l’elogio Filippo Villani, benchè lo dica per madre nato de’Ravignani, creduta forse la bella Gualdrada, mentre la madre di lui si manifesta senza dubbio nel testamento di sopra citato.
    Quel biografo pertanto qualificò il C. Giudo Guerra per uomo di grande animo e de’fatti d’arme peritissimo, talchè egli spesso quasi tolse la vittoria di mano ai nemici. Morì il C. Guido Guerra, soggiunge lo stesso biografo, d’anni 70 nel castello di Monte Varchi ch’egli aveva edificato, e allato alla porta della chiesa maggiore fu seppellito, ponendo alla sua sepoltura questo verso:
    Guido Guerra Comes: sit tibi virgo comes.
    Aggiunge Filippo Villani, che quel C. lasciò erede del suo patrimonio il Comune di Firenze, essendo morto senza figliuoli, sebbene a un figlio di lui (forse naturale, chiamato perciò
    Bastardo lasciò un legato la sua ava contessa Beatrice nel testamento del febbrajo 1278.
    Era nipote del suddetto eroe quel capitano della Lega guelfa di Toscana, il conte Guido Salvatico nato dal conte Ruggero di Dovadola, il quale nell’anno 1273 restituì al Comune di Firenze le castella state vendute alla Rep. medesima nell’anno 1254 dal padre di lui e da altri consorti Guidi; essendoché quei luoghi erano stati ripresi dai primi signori dopo la battaglia di Montaperto, stante la rivoluzione che in Firenze ne conseguitò.
    Il Padre Ildefonso nel T. VIII delle sue Delizie degli Eruditi Toscani riporta copia degl’istrumenti relativi alla redenzione fatta di dette castella, nell’agosto del 1273, allorché la Signoria di Firenze lo ricomprò dal C. Guido Salvatico figlio del conte Ruggero di Dovadola. I quali istrumenti, oltre il somministrarci qualche notizia istorica relativa alla potente ed estesa prosapia de’CC. Guidi servono di norma delle generosità usate in simili casi dal governo della
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    Rep. Fior. verso molti baroni e magnati di contado, e danno inoltre un indizio dei primi catasti.
    Avvegnaché nel 23 agosto del 1273 fu proposta dalla Signoria, e nel 25 detto fu quindi approvata nel consiglio generale de’300, e speciale de’90, mentre era vicario in detta città e Comune di Firenze per il rè Carlo d’Angiò mess. Roberto dei Roberti, la provvisione seguente: «Postochè il C. Guido Salvatico desidera di pagare i molti debiti fatti dal padre suo C. Ruggero e dal di lui zio il fu conte Guido Guerra, non che dallo stesso C. Guido Salvatico, ed essendosi questi deciso riconsegnare al Comune di Firenze gli uomini, le terre e castelli di
    Monte Murlo, di Monte Varchi, di Empoli, Monterappoli e di Creti, cioè, Vinci, Cerreto, Collegonzi, Musignano, e Colle di Pietra, che il detto conte tiene tuttora sotto la sua giurisdizione, fu proposta e approvata all’unanimità de’votanti in redenzione di quelle terre per il prezzo di lire 8000 di fiorini piccioli.
    La qual somma di 8000 lire la Signoria medesima ordinò che dovesse pagarsi dai paesi redenti, lascindo ai magistrati delle respettive comunità la facoltà di repartire fra gli abitanti la rata che loro, toccava in proporzione dell’ammontare della lira, ossia dell’estimo dei loro beni;
    prout unicuique contigit ipsorum (Comunium) per soldum et libram .......
    Quindi sentito il parere degli
    Arringatori (oratori del Consiglio), e fatto il partito, fu deciso di tassare la comunità d’Empoli di sua quota per lire 2165 e i soldi 10 di fiorini piccioli, per esser scontata nella imposizione della Lira, o in altra fazione pecuniaria che gli uomini di quella università dovrebbero in appresso pagare al Comune di
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    Firenze.
    Seguì poco stante l’effettuazione del pagamento per la redenzione delle terre e castella di sopra nominate, mediante una riformagione del 25 ottobre 1273 della Signoria di Firenze, colla quale fu dichiarato, che i figli, parenti, e tutti i fedeli che appartennero ai CC. Guido Guerra e Ruggiero conti Palatini in Toscana, come anche ai loro consorti, restavano liberi e assoluti da ogni fazione, dazio, gravezza ed esazione che fosse stata imposta dalla Rep. Fior. e che in qualche modo il governo avesse potuto da essi pretendere da essi, a partire dal 18 ottobre 1273 in addietro, ecc.
    Cotesta deliberazione fu distesa dal celebre Brunetto Latini, il quale ivi si sottoscrisse così:
    Ego Brunettus de Latinio notarius nec non scriba Consiliorum Comunis Fiorentiae, omnia praedicta a me scripta in libro Stantiamentorum inscripto Ranerio notorio publicanda mandavi.......
    Mi lusingo che non sarà per rincrescere al lettore di aver io qui ecceduto i limiti consueti nel desiderio di render un qualche servigio alla storia connestandola, allorché calza l’occasione, a quella di alcune leggi dei secoli trascorsi, la cui memoria sembra tuttora sepolta frà le membrane degli archivj della Rep. Fior., di quel governo, che, vaglia il vero, tanti altri di quell’età nella scienza dell’economia pubblica precedè.
    Che se la provvisione del 25 ottobre 1273 non facesse altro che destare la curiosità di conoscere quanto l’istituzione del catasto o il sistema d’imporre sui beni stabili, tanto in Firenze come nel suo contado, sia molto più antica di quello che comunemente si crede, e come fino dal 1273 da ciascuna comunità
    ripartivasi, imponevasi, ed esigevasi l’estimo ossia la lira da’suoi amministrati, cotesta curiosità potrà forse servire di sprone ad altri per rintracciare l’origine di molte leggi e regolamenti, modificati bensì rapporto al metodo, ma sempre
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    in vigore alla nostra età. – Anche all’Articolo RICASOLI si vedrà che in quel popolo della Comunità di Montevarchi i beni stabili de’suoi abitanti furono descritti nell’alligazione dell’estimo del 1290, compresivi i possessi della nobil famiglia da Ricasoli che sin’allora erano stati esenti e privilegiati.
    Non solo il governo di Firenze, ma ancora quelli de’Comuni di Siena e Volterra intorno alla stessa epoca avevano una specie di catasto. In prova di un tal vero mi gioverò di una deliberazione dell’8 gennajo 1283 fatta in Monticiano dal camarlingo di quel Comune, il quale come vicario del potestà determinò il dazio da pagarsi da un abitante di Monticiano
    a forma della Lira del Comune predetto, nella qual Lira (dice il documento) sono allibrati i beni di tutti gli uomini della stessa Comunità. – Rispetto poi a Volterra fra le membrane di quella Comunità avvene una del 1288, nella quale a forma degli statuti Volterrani per ordine del potestà e del capitano del popolo fu stabilita la Libra o l’estimo nelle varie comunità di quel distretto.
    Nel quale anno 1288 un
    nuovo estimo fu pur rifatto in Firenze, di che ebbe notizia il Paganini che lo indicò nel Vol. I della sua Opera della Decima. – Dico nuovo estimo, poiché una riformagione della Signoria di Firenze dei 12 dicembre 1293 nell’atto di confermare un privilegio emanato nel 10 febbrajo 1201 a favore degli eredi di diverse persone che avevano contribuito alla presa di Semifonte ordina agli ufficiali e impiegati de’respettivi dicasteri di esimere quegli eredi dall’imposizione della Lira, dalle Prestanze ecc. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Conv. di S. Pietro a Monticiano, della Comunità di Volterra e dello Sped. di Bonifazio.) – Vedere l’Articolo
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    GRANDUCATO DI TOSCANA. Vol. II pag. 496.
    Io non dirò altro della giustizia e della moderazione del governo guelfo di Firenze, che senza ripigliarsi ciò che nell’anno 1254 ai vari rami dei conti Guidi avea pagato, tornò a sborsare al C. Guido Salvatico una vistosa somma per riaverli. Era quell’istesso C. Guido Salvatico, cui fece rimprovero nel testamento sopracitato la sua ava C. Beatrice all’occasione di un legato di lire cento che gli lasciò dichiarando: «E di questo voglio che lo conte Guido Salvatico figlio che fu del C. Ruggeri figlio mio, stia contento, e per niun altra ragione non possa e debba più avere della mia eredità ...... Imperciocché egli non mi ha dati i miei alimenti, siccome dovea, e quando sono stata inferma quasi a morte non mi ha visitato, ne s’è portato da me, sì come dee fare nepote di sua avola.»
    Appellano poi al primitivo castello di
    Monte Varchi molte azioni guerresche ivi presso accadute, sia allora quando l’oste aretina nel 1287 si mosse contro i fuorusciti guelfi stati espulsi da Arezzo, i quali eransi refugiati in Montevarchi presidiato dai Fiorentini; sia allorché nel marzo del 1289 altra mano di soldati mosse d’Arezzo in numero di 300 uomini a cavallo e di 3000 fanti venendo insino a Monte Varchi e guastando intorno il paese; quando arsono il borgo del castello, vale a dire il mercato nuovo di Montevarchi. – (G. VILLANI, Cron. Lib. VIII. Cap. 115 e 127.)
    Il castello col distretto di Montevarchi, alla seconda compra fatta dal governo, fu incorporato al contado fiorentino, e in quanto alla giurisdizione poco tempo dopo fu assegnato al vicario di S. Giovanni, appena stata edificata questa nuova Terra.
    Infatti correva l’anno 1312 quando l’Imperatore Arrigo VII, movendo le sue armate contro
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    Firenze, a dì 12 settembre, entrò nel contado fiorentino; e prima di tutto (dice G. Villani) gli fu renduto il castello di Caposelvole in su l’Ambra, e poi si pose ad oste al castello di Montevarchi, il quale era ben guernito di soldati. Con poca varietà racconta il fatto medesimo uno storico del seguito di quell’Imperatore, cioè, il vescovo di Butrinto, il quale parlando della mossa di quell’esercito da Arezzo, dice, che nella prima notte entrò nel contado fiorentino davanti il castello di Montevarchi. De Arretio recessit Dominus Imperator, circa festum Nativitatis Beatae Virginis, et prima nocte fuit in comitatu florentino ante castrum Montis Varchi. Homines castri mane tortissime defenderunt se contra insultus Teiutonicorum ecc. (NICOLAI EPISC. BUTHRIN in Itin. Henrici VII).
    Non è ben chiaro se i nominati scrittori volessero riferire alla Terra piuttostochè al Castello di Montevarchi, giacchè quella e non questo era situata sulla strada maestra fiorentina; tanto più che il Villani dichiara, che quel Montevarchi aveva le mura basse, in guisa che i cavalieri dell’Imperatore combattendo a piè, e con le scale salendo alle mura non temeano saettamento, ne gittamento di pietre, sicché gli assaliti s’arrenderono al terzo dì, o piuttosto al secondo, come asserì il vescovo prenominato. Favorisce quest’ultima opinione una provvisione della Signoria di Firenze del 19 aprile 1289, colla quale fu deliberato, che si dessero 2000 lire per l’annona da riporsi nella Terra di Montevarchi per il vitto dell’esercito che doveva marciare contro gli Aretini, poco innanzi la gran giornata di Campaldino, la qual circostanza indurrebbe quasi a credere che già il
    mercatale di Montevarchi fosse stato accerchiato di mura, come paese di frontiera verso Arezzo.
    Lascia però la cosa meno equivoca il fatto che accadde nel 1328, altroché il governo di Firenze, ad oggetto di premunirsi contro le
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    armi di Lodovico Bavaro, fece fortificare tutte le terre e castella murate del Val d’Arno di sopra e di sotto, fra le quali furono tra le prime Montevarchi, S. Giovanni, Castelfranco di sopra, ecc.
    Ma l’avvenimento del 1352, quando Pier Saccone con le genti degli Ubertini, e co’Pazzi del Valdarno prese e saccheggiò il borgo di Figline, passando in vicinanza a Montevarchi, darebbe a supporre che quest’ultimo paese fosse stato munito in guisa da non essere sì facilmente sorpreso, siccome fu assalito quello di Figline, sebbene anch’esso circondalo di torri e di muraglie. Comunque sia, può dar qualche segno dell’importanza in cui era già salito questo paese il sapere, che i comunisti di Montevarchi compilarono il loro primo statuto municipale nel marzo del 1325, quando vi risedeva per potestà mess. Niccolò di Lottieri da Filicaja cittadino fiorentino. – (ARCH. DIPL. FIOR.
    Carta del 25 marzo 1376 del Convento dei Minori Francescani di Montevarchi).
    Dopo che la città di Arezzo fu assoggettata e riunita col suo territorio al dominio fiorentino (anno 1338) e dopo che il suo popolo, intesa la cacciata del duca d’Atene, si volle emancipare dalla giurisdizione di Firenze, non è improbabile che volendo provvedere alla sicurezza dello stato, e nel tempo stesso tenere in soggezione gli Aretini, più regolari fortificazioni e più solide mura dalla Signoria intorno a Montevarchi fossero ordinate. Le quali mura compresavi la rocca, sono per avventura le fabbriche più antiche della Terra attuale; avvegnachè gli edifizj tutti tanto sacri quanto profani, tanto pubblici come privati, nel totale appariscono moderni, o modernamente restaurati, ingranditi, nobilitati.
    Che se ciò non ebbe effetto allora, nè quando la repubblica Fior. inviò spaccciatamente nel 1388 il suo generale Giovanni Auguto con 1200 lance a Montevarchi, se non fu in quell’occasione, certamente nel 1452 la Signoria assegnò dalla cassa delle condannagioni
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    del Vicario del Val d’Arno superiore una somma di denaro da impiegarsi nella riparazione delle mura di Montevarchi. – (RIFORMAG. DI FIRENZE).
    Tanto in quello, come ne’secoli posteriori Montevarchi aderì costantemente e si mantennne fedele al governo della Rep. Fiorentina, per cagione di che all’epoca del passaggio dell’esercito Cesareo-Papale comandato dal Principe d’Orange, nel tempo che soprastette (nel novembre dell’anno 1529) a Montevarchi, a S. Giovanni e a Figline, non è possibile a credere, scriveva il Varchi storico contemporaneo, i danni di tutte le sorte che vi fecero così fanti, come cavalli, per modo che gli abitanti s’erano fuggiti a torme senza avere avuto agio di levar via altro che alcuna parte delle robe più sottili. – (VARCHI
    Stor. Fior. Lib. X.)
    Caduta Firenze, gli abitanti di Montevarchi al pari che quelli degli altri paesi della estinta repubblica prestarono obbedienza al governo Mediceo, durante il quale periodo niun importante ricordo ci fornisce la sua storia, se si eccettuino le confische delle possessioni di molti ribelli al Duca Cosimo I, con le quali più tardi fu costituita una vasta fattoria della corona granducale. –
    Vedere l’Articolo seguente Comunità di Montevarchi.
    Questo paese finalmente al pari di tanti altri della Toscana, variando la sua sorte, provò un sollievo grande ed efficace mercé de’saggi quanto magnanimi provvedimenti, coi quali la regnante dinastia Austro-Lorenese ha saputo migliorare lo stato economico e morale di questa bella parte d’Italia.
    Chiese e stabilimenti pii. – La canonica di S. Lorenzo a Monte Varchi, come si è già avvertito, portava questo titolo sino dalla metà del secolo XIII, quando era compresa sotto il pievanato di S. Giovanni a Cavriglia. Della qual cosa fa testimonianza non solamente un istrumento del 1254, ma ancora il testamento della contessa Beatrice madre del C. Guido
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    Guerra già suo patrono. Ai quali due documenti deve aggiungersi una pergamena inedita del 1270, nella quale si tratta della stessa canonica di S. Lerenzo, mentre dal vescovo di Fiesole si erigeva in chiesa battesimale.
    Essendoché in detto anno il prete Farinata priore della canonica di S. Lorenzo a Montevarchi avendo supplicato il Vescovo Mainetto a volersi degnare di concedere alla sua chiesa il sacro fonte per cagione della troppa distanza dalla pieve di Cavriglia, per le pioggie e per le guerre che allora in quelle parti infierivano, il vescovo predetto con decreto del 22 febbrajo 1270 (1271 stile comune) innalzò la prioria di Montevarchi agli onori di chiesa battesimale col concederle tutti i diritti spettanti alle chiese plebane; e nel tempo stesso assoggettava alla nuova pieve le seguenti quattro chiese succursali, cioè, la
    Canonica di S. Tommaso, la cappella di S. Giorgio a Villole, la cappella di S. Maria a Moncione, la cappella di S. Marco a Poce con ogni specie di sottomissione e riverenza, salvo il diritto della madre chiesa fiesolana, e la giurisdizione canonica. Inoltre nello stesso decreto sono designati i confini territoriali della nuova pieve di Montevarchi, a partire dal Monte Asciutto sino al Monte di Sereto, e di la scendendo dal lato di settentrione verso il rio che corre a piè di Limontulo, e quindi per Rimaggio nel fosso di Ricasoli, e di là sino all’Arno. – Dal lato opposto i confini erano determinati dal fosso di Rismazio fino a Rimario, (forse l’attual torrente Dogana) che termina in Arno. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dell’Arch. gener.)
    Che però questo documento archetipo non ottenesse la sua piena esecuzione e che tutto al più si limitasse a erigere un fonte battesimale nella canonica di Montevarchi, lo dà a divedere non solo il catalogo
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    delle chiese della diocesi fiesolana redatto nel 1299, e pubblicato dal Lami (Mon. Eccl. Flor. pag.1500 a 1504), nel quale le chiese di S. Tommaso (S. Tommè) di Moncione, di Poce (S. Marco), di Villole, e la stessa canonica di Montevarchi, anche allora dipendevano dalla pieve di Cavriglia; e lo dichiara il fatto, giacchè la canonica di S. Lorenzo a Montevarchi fino al 1561 portò costantemente il titolo di prioria, e non già quello di pieve; ma sopra tutto lo dimostra lo stato costante dell’antica pieve di Cavriglia che anche attualmente ha sottoposte alla sua giurisdizione le cappelle, o chiese parrocchiali di sopra rammentate.
    Finalmente con bolla del Pontefice Pio IV nell’anno 1561, la prioria di S. Lorenzo a Montevarchi fu dichiarata propositura, ed il primo ad esserne insignito fu il celebre Benedetto Varchi. – (MEMOR. VALDARNESI. Vol. I. pag. 115.)
    Ma ciò che recò gran lustro alla stessa chiesa parrocchiale fu il sacro pegno che chiuso in pisside aureo-vitrea vi recò il conte Guido Guerra figlio di Marcovaldo contenente la reliquia insigne del Latte della B. Vergine Maria; reliquia che si crede donata a quel toparca dal rè Carlo I d’Angiò dopo la vittoria di Benevento. Sulla pia tradizione di quel prezioso pegno diceva un autore distinto fiorentino del secolo XIV
    che la fede è buona, e salva ciascuno che l’ha, e che chi archimia sì fatte cose, ne porta pena in questo e nell’altro mondo.
    La cappella del S. Latte, traslocata, sono circa 130 anni nel marmoreo e insieme pesantissimo altar maggiore, la lunga mano è amministrata con le sue rendite da un’Opera sotto il titolo di fraternita di S. Maria del Latte. – Ad essa appartiene tra i molti arredi sacri un prezioso lavoro d’arte consistente in un reliquiario di
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    argento che dalla forma e da un crocifisso ivi confitto, porta il nome di Croce. – Fu esso da molti tenuto per opera di Benvenuto Cellini; ma in un libro di saldi dal 1526 al 1579 appartenuto a detta Fraternita leggesi, che a di primo giugno 1551 furono pagate a Piero di Martino orafo di Firenze per conto della Croce lire 1288. E nel libro de’Partiti della stessa Fraternita trovasi la conferma dell’artista che la fece sotto l’anno 1551 con le seguenti parole: a recipiendo a Piero Martini de’Spigliati aurifice Crucem cum Crucifixo dict. Confratr. etc. ...
    Risale al principio del secolo XIV, se non prima, la edificazione della chiesa di S. Lodovico coll’annesso convento de’Frati Minori Conventuali in Montevarchi, poichè di una elemosina annua concessa a quei religiosi dalla comunità si fa menzione in una rubrica dello statuto speciale del 1325 di sopra rammentato. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di detto Convento.)
    Soppressa che fu quella famiglia religiosa (anno 1809) venne traslocata costà la sede del parroco di S. Andrea, detta di Cennano da un’antica chiesa situata sopra un poggetto contiguo al paese, quindi trasporta dentro la Terra di Montevarchi allorché nel 1639 ebbe luogo una permuta con la parrocchia di S. Maria a Moncione che il vescovo di Fiesole cedè alla diocesi aretina in cambio dell’altra di Cennano portata in Montevarchi.
    Vedere CENNANO nel Val d’Arno superiore.
    Nel soppresso convento di S. Lodovico, oltre la canonica per l’abitazione del parroroco preposto, furono collocate le pubbliche scuole; ed un’altra porzione della fabbrica venne assegnata al museo fossile nazionale dell’Accademia Valdernese, ossia del
    Poggio, dopo la sua istituzione, o voglia dirsi restaurazione, accaduta nel 1804.
    Il soppresso monastero delle Agostiniane per le cure di alcuni e distinti Montevarchesi, e restauratori
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    a un tempo dell’Accademia Valdarnese, è stato convertito in un utilissimo stabilimento; essendochè fino dal 1825 vi sono state aperte tre scuole Normali per le fanciulle, le quali in numero di circi 170 giornalmente vi sono istruite non solo nelle arti domestiche, ma nel leggere e scrivere, e specialmente nel tessere tappeti, tele operate di ogni qualità, serviti da tavola all’uso di Sassonia, ecc. ecc. mediante telaja opportune, ed un costante zelo di quei cittadini per il bene della propria patria.
    Anche la scuola di reciproco insegnamento, attivata in Montevarchi nel luglio 1819, può dirsi tra le prime aperte in Toscana. Essa è frequentata da oltre 50 fanciulli, tutti della classe degli artigiani.
    Dal prospetto statistico del 1834, redatto e reso di pubblica ragione dal segretario generale di quell’Accademia, resulterebbe, che i giovinetti dei due sessi frequentanti a quell’epoca le scuole pubbliche e private di Montevarchi, ascendevano a 17 fanciulli per ogni cento abitanti dei due sessi e che tre quinti almeno di quelli, i quali ricevevano una giornaliera istruzione, ne traevano buon profitto. Cotesto quadro onora grandemente le cure degli accademici Montevarchesi e la favorevole disposizione del popolo, onde sperare che possano progredire in civiltà e migliorare in benessere e in morale le generazioni che succederanno.
    L’unico convento di religiosi superstiti è quello de’Cappuccini, edificato fino dal secolo XVI nel luogo dove fu l’antico castello di Montevarchi.
    Sebbene manchi attualmente uno spedale per i malati poveri del paese, non mancano però soccorsi caritatevoli per assisterli alle proprie abitazioni. Altronde non meno di quattro spedaletti contava questa comunità, fra dentro e fuori del paese, ne’tempi trapassati. Il primo era situato sul vicino poggetto presso la chiesa di
    S. Michele alla Ginestra; il secondo, che dicevasi di S. Antonio di Vienna, era sulla strada maestra fuori della porta Aretina; il terzo
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    nel popolo di Ricarsoli, e il quarto di S. Maria del Pellegrinaggio dentro Montevarchi.
    Dello spedale di S. Michele alla Ginestra, convertito poi in un Mon. di donne, ed attualmente in una parrocchia portatavi dalla cura di
    Pietravelsa, fu dato un cenno all’Articolo GINESTRA DI MONTEVARCHI.
    L’altro spedaletto per alloggiare i pellegrini sotto il titolo di S. Antonio di Vienna, alla porta Aretina di Montevarchi, fu soppresso nel secolo passato.
    Il titolo che ebbe di S. Antonio di Vienna indicherebbe essere appartenuto in origine ai Canonici Regolari dell’ordine di S. Antonio di Vienna nel Delfinato, i quali possedevano molti altri spedaletti sparsi per la Toscana, dove essi avevano altrettante
    Percettorie. – Vero è che dai documenti del secolo XVI apparisce che l’ospedale di S. Antonio di Vienna presso Montevarchi era pervenuto nella casa Cerrini di detto luogo, almeno dopo che Mariotto di Giuliano di Mariotto Cerrini ne fu investito ospitalario con l’approvazione de’capitani della Compagnia del Bigallo, alla quale Compagnia lo spedale medesimo fino dal 1534 era stato aggregato, e dal cui ufizio i suoi beni furono in seguito amministrati.
    Più remota ancora è la notizia dell’altro spedale esistito a Ricasoli sotto il titolo di S. Maria, mentre trovasene menzione in un atto di ultima volontà rogato in Firenze li 17 marzo del 1399, col quale donna Francesca di Niccoluccio di Arrigo de’nobili da Ricasoli lasciò allo spedale di S. Maria a Ricasoli, un legato perpetuo di staja dieci di grano per anno, ed un altro consimile assegno essa fece a favore de’Frati Minori in Montevarchi. – (
    loc. e carte citate.)
    Un quarto spedaletto doveva trovarsi in Montevarchi nella Compagnia della B. Vergine del
    Pellegrinaggio, dove nel 1551 fu eretto il Monte Pio, l’unico in tutto il Val d’Arno superiore, assegnandogli i capitali
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    di quella e di altre due compagnie laicali, ascendenti attualmente a circa a 250,000 lire fiorentine.
    Ma la pia istituzione, donde il paese attinge i mezzi più confacenti agli attuali bisogni de’poveri della comunità di Montevarchi, può dirsi quella fondata fino dal sec. XVI per disposizione testamentaria di un benemerito concittadino; voglio dire per opera di ser Andrea Bartoli da Montevarchi, il quale lasciò lutto il suo patrimonio a benefizio degl’idigenti della sua patria, affinchè la sua rendita fosse impiegata in tanti sussidj dotali di lire 210 ciascuno a favore di quelle fanciulle oneste, che con la loro buona condotta se ne fossero rese meritevoli.
    Sopra la proposizione fatta al governo nel 1816 dal gonfaloniere di Montevarchi di quel tempo, sig. Francesco Martini, fu adottato il progetto di commutare la volontà testanentaria del Bartoli in altro provvedimento utile, ma più analogo a sollevare gli attuali bisogni del povero; cioè col soccorrere a domicilio i malati indigenti, i vecchi impotenti e mendichi, le famiglie incapaci di provvedersi di sussistenza; col promuovere, mediante l’istruzione, una maggiore attitudine al lavoro nelle fanciulle; col premiare quelle che si fossero distinte con saggia condotta dotandole; e finalmente col provvedere alla sorte di quei giovinetti che dassero buone speranze di profitto negli studj, fondando per essi due posti nell’Università a Pisa, e uno nell’Accademia delle Belle Arti in Firenze.
    Si pratica in Montevarchi nel giovedì uno de’più copiosi mercati. A tale effetto stà costruendosi nella piazza centrale un grandioso loggiato di pietra arenaria lavorato a bozze con nove arcate di fronte che occupano tutta la parete occidentale della lunghezza di braccia 63, nella larghezza di braccia 9 e soldi 4.
    Peraltro provvedimento sovrano si sta pure edificando fuori della porta Aretina sul torrente
    Dogana un nuovo più largo e più comodo ponte di pietra serena.
    Questa Terra è stata
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    culla di molti chiari uomini, tra i quali citerò il sacerdote Raffaello Magiotti, e il di lui fratello Lattanzio dottore in medicina che studiarono Geometria presso Galileo. Il primo di essi inoltre fu scolaro del padre Castelli e autore di una Lettera al Principe D. Lorenzo de’Medici stampata in Roma nel 1648 col titolo di: Renitenza certissima dell’acqua alla compressione, Raffaello Magiotti fu impiegato in qualità di scrittore nella Biblioteca Vaticana, dove lungo tempo dimorò consigliando Galileo a stampare specialmente i suoi Dialoghi, eminente parto di quel divino ingegno. – (NELLI, Vita di Galileo T. II.)
    Rammenterò sopra tutti Benedetto Varchi, il quale se non visse, nacque in Montevarchi patria del di lui padre ser Giovanni notaro, uomo di dottrina e prudenza dotato, siccome tale fu qualificato nelle sue epistole dall’amico don Delfino, Maggior di Camoldoli. Fra gli artisti ebbero origine in Montevarchi Francesco Monchi e Massimiliano Soldani distinti scultori; mentre di altri uomini illustri nativi di questo paese trovasi copioso registro nel Vol. I delle Memorie Valdarnesi, cui per avventura si potrebbe aggiungere quel
    Maestro Francesco Cattani da Montevarchi, a persuasione del quale gli abitanti di Poppi patteggiarono la resa del loro castello assediato nel 1529 dall’oste Cesarea-Papale, a condizione però che essi non farebbero niente più di quello che avesse decretato la Signoria di Firenze. – (VARCHI Stor. fior. Lib X).

    CENSIMENTO della Popolazione della Terra di MONTEVARCHI a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -; femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 479; totalità della popolazione 2002.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 322; femmine 283; adulti maschi 416; femmine 518; coniugati dei due sessi 674; ecclesiastici dei due sessi 76;
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    numero delle famiglie 462; totalità della popolazione 2289.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 515; femmine 499; adulti maschi 432; femmine 573; coniugati dei due sessi 1191; ecclesiastici dei due sessi 29; numero delle famiglie 697; totalità della popolazione 3249.
    ANNO 1839: Impuberi maschi 515; femmine 527; adulti maschi 567, femmine 683; coniugati dei due sessi 1261; ecclesiastici dei due sessi 44; numero delle famiglie 603; totalità della popolazione 3602

    Comunità di Montevarchi. – Il suo territorio occupa una superficie di 15929 quadrati dei quali 593 sono presi da corsi d’acqua e da pubbliche strade. – Nel 1833 vivevano familiarmente costà 8077 persone, a proporzione di circa 425 abitanti per ogni miglio toscano quadrato di suolo imponibile.
    Confina con altre sette comunità. Mediante il fiume Arno fronteggia in faccia a grecale con le Comunità di Terranova e di Castiglion Umbertini, rimotando dirimpetto alla prima il fiume prenominato per il tragitto di circa miglia toscane due e mezzo, a partire dall’estremo punto della strada detta della Gruccia, dove fluisce in Arno il torrente del Quercio, sino allo sbocco del borro Camoni, dove continua per altre due miglia toscane la Comunità di Castiglion Ubertini, la quale lascia sull’Arno alla confluenza del torrente Ricavo. Costì voltando da grecale a scirocco-levante mediante il torrente Ricavo ha di fronte il territorio de’cinque comuni Distrettuali di Val d’Ambra fino alla strada R. Aretina, dove sottentra a libeccio la Comunità del Bucine, colla quale l’altra di Montevarchi rasenta la strada R. medesima dirigendosi da scirocco a maestrale sul ponte di Caposelvi. A questo punto lascia a destra la strada R. per rimontare col torrente di Caposelvi, ossia di Trigesimo, nella direzione di libeccio, sopra la Torre di Mercatale sino al Poggio asciutto. Costà succede il territorio della Comunità di Gajole, mediante il torrente Starda tributario del Caposelvi, con cui la Comunità
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    di Montevarchi piega, da primo a ostro, poi verso libeccio per salire sul fianco meridionale del poggio di Sinciano, e passando fra quest’ultimo casale e l’altro di Starda, prende la via pedonale tracciata sul crine dei Monti del Chianti sino a che oltrepassata la chiesa di Villole entra sulla strada mulattiera che viene da Monte Gonzi. A questo punto discende il monte nella direzione di maestro per andare a trovare le prime scaturigini del borro del Doccio, dove cessa la Comunità di Gaujole e sottentra di faccia a ponente e poi a maestro quella di Cavriglia. Con quest’ultima la nostra di Montevarchi riscende nel Val d’Arno mediante il borro del Doccio, poi per il Rimaggio, in cui il Doccio influisce, e finalmente per la strada denominata della Selva, con la quale le due Comunità vanno a sboccare nel torrente del Quercio. Costì cessa la Comunità di Cavriglia e viene a confine la Comunità di San Giovanni, insieme con la quale l’altra di Montevarchi prende la direzione di libeccio a grecale lungo il torrente del Quercio che le accompagna all’Arno, nella cui ripa opposta ritrova la Comunità di Terranuova.
    Fra i maggiori corsi d’acqua che rasentano, o che passano per la Comunità di Montevarchi, oltre l’Arno che la fiancheggia dal lato di grecale, scorre a levante del capoluogo l’ultimo tronco dell’
    Ambra, cioè dal ponte di Levane sino all’Arno; così il torrente Caposelvi, ossia il Trigesimo, che dal lato di scirocco e levante le serve quasi sempre di confine per il lungo corso di circa sei miglia toscane.
    Anche i torrenti
    Giglio e Dogana, in cui si vuotano molti influenti minori, attraversano per varie miglia, uno a levante l’altro a ponente del capoluogo, la porzione più centrale della comunità, mentre
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    per la cateratta della Nave entra dall’Arno un corpo d’acqua che scorre per la pianura di Montontevarchi mediante un canale artificiale, denominato Berignolo, il quale reca alla pianura di Montevarchi e di San Giovanni un doppio benefizio, sia per i mulini che mette in moto, come ancora per le colmate che porta ai campi, situati a destra e a sinistra della strada regia Aretina.
    Una delle maggiori prominenze del suo territorio può dirsi quella della criniera de’monti del Chianti fra Starda e Villole, la qual criniera costituisce la propaggine a maestrale di Monte Luco della Berardenga, di cui a suo luogo si accennò l’elevatezza ascendente a 1400 braccia sopra il livello del mare.
    L’ossatura di questa giogana consiste per la massima parte di macigno o tufo arenario, composto di più o meno grossi granelli di quarzo, di calce, di allumina e di mica. In alcune insenature dei monti scuopresi sottostante al macigno il calcare compatto (
    alberese), mentre in altre situazioni della pendice orientale e settentrionale di quelle pendici il calcareschistoso compatto visibilmente alterna col macigno, oppure col galestro Generalmente per altro cotesti poggi, spettanti al terreno secondario, nascondono i loro fianchi inferiori sotto un altissimo deposito di terra tufacea argillo-silicea di tinta giallastra, e talvolta cenerognola, il qual deposito costituisce non solo le colline dei distrutti castelletti di Montevarchi e di Cennano fino sul poggio di Rendola, ma ancora i così detti Pianacci sottostanti alla chiesa parrocchiale di S. Marco a Moncioni. È un terreno alluviale, che si alza circa 420 braccia sopra la pianura attuale del Valdarno, e che serve per avventura di criterio onde conoscere a qual livello potè alzarsi la Valle superiore dell’Arno innanzi che questo fiume in tempi remotissimi si scavasse un più depresso passaggio per la gola dell’Incisa.
    Aveva Gio.
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    Targioni-Tozzetti sino dal 1745 con somma avvedutezza nel suo viaggio pel Val d’Arno superiore contemplate cotante dirupate collinette artificiali, che dalla bassa pianura terminano presso che tutte ad una stessa altezza, posando addosso alle incavate pendici de’monti che contornano la Valle, formati, come egli disse, di pietra serena o da calcina in strati diversamente inclinati all’orizzonte con alcuni suoli tramezzo di diverse pietre più tenere. Aveva veduto che quest’alti-piano era composto di creta, di rena o di ghiaja e di diversi corpi organici distribuiti in molti distinti strati costantemente paralleli all’orizzonte. Aveva egli prima di ogni altro osservato, che quest’alti-piano era stato ridotto e convertito in tante colline, perte staccate tra loro, parte continuate per lungo tratto, precipuamente dove esse non furono tanto rose dai torrenti. Aveva visto che là dove coteste colline posano addosso alle pendici de’monti, le loro vette sono perfettamente piane e distese per una medesima linea orizzontale, dimmodochè parecchie delle così dette colline del Val d’Arno superiore, che sono piu a ridosso de’monti fiancheggianti a destra e a sinistra la Valle dell’Arno, pianeggiano nella loro cima per lungo tratto; come, per esempio nè Pianacci sopra Montevarchi, nel Pian d’Avane e Pian Franzese nelle contigue comunità di Cavriglia e di San Giovanni; e nel lato opposto della stessa valle nei così detti Pian Travigne, Pian di Castel Franco, Pian di Scò, Pian di Cascia ecc. A cotesta serie di alti-piani alluviali, che sono per ogn’intorno addosso ai monti facenti corona al Val d’Arno superiore, si confanno mirabilmente le espressioni di Cajo Plinio giuniore, quando descrisse la sua possessione nel territorio Tifernate, cioè: Pingues terrenique colles: neque enim facile usque saxum occurrit, etc.
    In quanto alla coltura agraria di questa Comunità può dare
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    una soddisfacente e giusta idea l’articolo testè pubblicato nel Giornale agrario toscano (N.° 55) dell’agronomo sig. Giorgio Perrin proprietario della fattoria di Petrolo nella parrocchia di Galatrona, la cui contrada è limitrofa alla comunità di Montevarchi. Dal quale scritto si rileva, che la coltura del terreno, costà è tutta nelle mani de’contadini mezzajuoli, e che la rotazione agraria dei campi comunemente suol essere triennale; comecchè il suddetto possidente abbia adottato con buon successo la quadriennale per le terre vitate e olivate; mentre per quelle nude la rotazione è di 12 anni.
    Non vi sono prati naturali, sebbeno molti luoghi vi si presterebbero per le vene d’acqua che scendono perenni dai poggi superiori per irrigarli. I prati artificiali consistono in pochi campi per lo più seminati di trifoglio incarnato, più di rado di trifoglio pratense e di erba medica. La lupinella dai tentativi stati fatti non pare che possa prosperare in questa contrada.
    Un solo possidente da pochi anni fa coltivare con profitto le patate e le barbebietole. – L’orticoltura si pratica lungo il canale
    Berignolo nella più bassa e più pingue pianura, ma non per questo ai soli ortaggi si limita il coltivatore, che vuole ne’suoi campi mietere il grano, raccgliere frutti, legumi, granturco, canapa, lino, e fare anche una copiosa vendemmia, benchè il vino che se ne cava non sia molto generoso, e che non senza rischio arrivi sino all’estate. All’incontro generoso è il vino di collina, sebbene formato di un miscuglio di troppe uve. Ma il prodotto degli olivi, che prosperano non solamente nell’alti-piano, ma anche nei fianchi superiori de’monti situati a ostro e libeccio di Montevarchi, forma una delle principali risorse del possidente terriero e del colono.
    Dopo l’olivo gli alberi da frutto più utili sono i gelsi, stati un dì più abbondanti che ora nol
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    sono nel Val d’Arno superiore, e che forniscono coll’alimento de’filugelli un’eccellente qualità di seta alla Toscana. I loro bozzoli durante la raccolta si portano due volte per settimana a Monte Varchi, dove esistono 52 caldaje, ma nessuna bigattiera, nè alcuna filanda a vapore.
    Le foreste di alto fusto, le selve di castagno, quelle cedue da fascine, da cataste e da palina scarseggiano nell’alti-piano, e sono piuttosto copiose nella parte superiore della Comunità, ma senza una maggior sorveglianza e un qualche provvedimento forestale coteste foreste andranno vieppiù deteriorando, sia per la pastura delle capre che vi pascolano, distruggendo i rampolli, sia per le giornaliere rapine dei pigionali che cresciuti vistosamente di numero e senza trovare lavoro, si gettano sulle foreste che devastano, gli uomini tagliando le querci e i pali, le donne e i ragazzi caricandosi delle legna minute.
    Tanto i boschi dell’alti-piano quanto quella parte olivata e montuosa abbondano specialmente di scope e di ginestre, che i contadini una volta dicioccavano ogni 10 o 12 anni, ed ora ogni tre o quattr’anni, per seminarvi la segale. Nel caso del dicioccamento il possidente fornisce il seme e non lo preleva alla raccolta.
    La coltivazione de’campi nella pianura inferiore è andata aumentando distesamente mediante l’impulso benefico dato dal Gran Leopoldo che creò molti piccoli e laboriosi possidenti nella classe dei contadini, cui fece repartire nel 1783 a titolo di livello perptuo, per un canone mite, l’estesa fattoria di Montevarchi che la Corona granducale vi possedeva fino dai tempi di Cosimo I, formata in gran parte co’beni dei suoi ribelli. La qual fattoria nel 1582, dal G. D. Francesco I fu lasciata a D. Antonio suo figlio naturale, che la godè finchè visse.
    Un altro benefico impulso a migliorare la sorte di questa pianura derivò dal magnanimo motuproprio, col quale Leopoldo I si degnò condonare ai piccoli
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    possidenti del Val d’Arno superiore il vistoso debito che essi avevano col governo per le spese di quel fiume. – Vedere FIGLINE (V. II pag. 137) e SANGIOVANNI, Comunità.
    Ogni podere ha un pajo di bovi, una vacca, un asino o un cavallo, con 20 o 30 pecore e due o tre majali; la mancanza di foraggio non permete di tenervi un maggior numero di bestie da frutto.
    I possidenti e i fattori hanno un cavallo che serve solo alla sella, o al calesse.
    In generale il clima di questa comunità è temperato, l’aria salubre, le malattie epidemiche rarissime, e di frequente gli uomini vi sorpassano 80 anni.
    Le colline e le pendici de’monti su periori sono soggette in estate alla siccità per la scarsezza delle piogge, che sogliono venire respinte di là verso ponente e maestrale da costanti correnti che soffiano dal Monte Luco e dalla giogaja che si distende verso Coltibuono. Altronde cotesta circostanza libera il paese dalla grandine nel tempo che le contrade limitrofe non di rado da quella meteora restano devastate.
    Mediante il regolamento del 23 maggio 1774, col quale il G. D. Leopoldo I organizzò 1’amministrazione economica delle 36 comunità del contado fiorentino, questa di Montevarchi si componeva dei seguenti popoli; 1.° S. Lorenzo in
    Montevarchi; 2.° S. Andrea a Cennano in Montevarchi; 3.° S. Martino a Levane; 4.° S. Lorenzo a Caposelvi; 5.° S. Croce a Pietraversa; 6.° S. Tommaso a S. Tommè; 7.° S. Maria a Moncioni; 8.° S. Marco a Moncioni; 9.° S. Pietro a Sinciano; 10.° S. Maria a Ricasoli.
    Fra le industrie più rilevanti di Montevarchi, dopo quella della trattura della seta, si possono contare le fabbriche di cappelli di feltro
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    che danno occupazione e sussistenza a circa 40 lavoranti.
    Le telaja per tappeti di lana e pelo, e per telerie e tovaglie a opere introdotte nelle scuole Normali, sono altrettanti oggetti d’industria speciale a questo paese.
    Al tempo della Rep. Fior. la filatura della lana si teneva costà per conto dell’Arte di Firenze, siccome lo dichiara una lettera del 18 aprile 1550 scritta da Giovanni Vettori a nome dei conservatori di quell’arte al potestà di Montevarchi.
    Fra le officine di ferro e di bronzo fuso si conta una fabbrica di orologi da torre, e una fonderia di campane.
    La potesteria di Montevarchi dopo la legge dell’ag. 1838 riunì alla sua la giurisdizione civile quella soppressa del Bucine, oltre la giurisdizione che aveva sopra le Comunità di Montevarchi, di Castiglion Fibocchi, ossia de’due Comuni distrettuali di Laterina, e di Castiglion Ubertini. Così la sua cancelleria comunitativa serve alle predette cinque comunità e a quella di Pergine, ossia delle Cinque Comunità distrettuali di Val d’Ambra. – (
    ERRATA: L’ingegnere di Circondario risiede in San Giovanni, l’ufizio di esazione del Registro) Risiede in Monteverchi un ingegnere di Circondario, e vi è pure l’Ufizio di Esazione del Registro, la Conservazione dell’Ipoteche, e il Tribunale di Prima Istanza sono in Arezzo.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di MONTEVARCHI a quattro epoche diverse

    - nome del luogo: Caposelvi, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Arezzo, popolazione anno 1551 n° 439, popolazione anno 1745 n° 356, popolazione anno 1833 n° 362, popolazione anno 1839 n° 256
    - nome del luogo: Giglio (*), titolo della chiesa: S. Maria (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 572, popolazione anno 1839 n° 456
    -
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    nome del luogo: Ginestra e Pietraversa, titolo della chiesa: S. Croce (Prioria), diocesi cui appartiene: Arezzo, popolazione anno 1551 n° 150, popolazione anno 1745 n° 108, popolazione anno 1833 n° 298, popolazione anno 1839 n° 337
    - nome del luogo: Levane, titolo della chiesa: S. Martino (Prepositura), diocesi cui appartiene: Arezzo,
    popolazione anno 1551 n° 343, popolazione anno 1745 n° 595, popolazione anno 1833 n° 1471, popolazione anno 1839 n° 1265
    - nome del luogo: Levanella (*), titolo della chiesa: SS. Andrea e Lucia (Prepositura), diocesi cui appartiene: Arezzo,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 595, popolazione anno 1839 n° 638
    - nome del luogo: Moncioni già
    in Poci, titolo della chiesa: S. Marco (Prepositura), diocesi cui appartiene: Fiesole, popolazione anno 1551 n° 461 (con S. Maria a Moncioni), popolazione anno 1745 n° 259, popolazione anno 1833 n° 316, popolazione anno 1839 n° 309
    - nome del luogo: Moncioni, titolo della chiesa: S. Maria (Prioria), diocesi cui appartiene: Arezzo (già di Fiesole),
    popolazione anno 1551 n° 461 (con S. Marco a Moncioni), popolazione anno 1745 n° 287, popolazione anno 1833 n° 360, popolazione anno 1839 n° 335
    - nome del luogo: MONTEVARCHI, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Collegiata e Prepositura), diocesi cui appartiene: Fiesole,
    popolazione anno 1551 n° 2002, popolazione anno 1745 n° 2289, popolazione anno 1833 n° 2959, popolazione anno 1839 n° 3309
    - nome del luogo: Cennano, titolo della chiesa: S. Andrea a
    Cennano in S. Lodovico (Prepositura), diocesi cui appartiene: Fiesole (già di
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    Arezzo), popolazione anno 1551 n° 233, popolazione anno 1745 n° 663, popolazione anno 1833 n° 290, popolazione anno 1839 n° 293
    - nome del luogo: Rendola (1), titolo della chiesa: S. Donato (Cura), diocesi cui appartiene: Arezzo,
    popolazione anno 1551 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° -, popolazione anno 1839 n° 242
    - nome del luogo: Ricasoli, titolo della chiesa: S. Maria (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole,
    popolazione anno 1551 n° 330, popolazione anno 1745 n° 283, popolazione anno 1833 n° 307, popolazione anno 1839 n° 317
    - nome del luogo: S. Tommè, titolo della chiesa: S. Tommaso (Prioria), diocesi cui appartiene: Fiesole,
    popolazione anno 1551 n° 260, popolazione anno 1745 n° 184, popolazione anno 1833 n° 287, popolazione anno 1839 n° 311

    - Totale
    abitanti anno 1551 n° 4218
    - Totale
    abitanti anno 1745 n° 5024

    Entrano nella Comunità (ERRATA: di Monte Reggioni) di Montevarchi le seguenti frazioni

    - nome del luogo: Galatrona, Comunità donde deriva: Bucine, abitanti anno 1833 n° 62, abitanti anno 1839 n° 64
    - nome del luogo: Monte Gonzi, Comunità donde deriva: Cavriglia,
    abitanti anno 1833 n° 52, abitanti anno 1839 n° 56
    - nome del luogo: Monte Carlo, Comunità donde deriva: Sangiovanni,
    abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1839 n° 9
    - nome del luogo: S. Biagio di Villa d’Ambra, Comunità donde deriva: Bucine,
    abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1839 n° 27
    - nome del luogo: S. Reparata a Mercatale, Comunità donde deriva: Bucine,
    abitanti
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    anno 1833 n° 146, abitanti anno 1839 n° 219
    - nome del luogo: Strada, Comunità donde deriva: Gajole,
    abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1839 n° 18

    - Totale
    abitanti anno 1833 n° 8077
    - Totale
    abitanti anno 1839 n° 8461

    N.B.
    I popoli contrassegnati con l’asterisco (*) non esistevano nelle due prime epoche. Quello di Rendola segnato (1) nel 1834 passò dalla Comunità del Bucine a questa di Montevarchi.

    MONTEVARCHI. – Si aggiunga al suo posto la notizia desunta da una pergamena della Badia di Passionano, ora nell’Arch. Dipl. Fior. del 7 agosto anno 1301, dalla quale apparisce una nuova allibrazione del Catasto, della città e contado fiorentino, compresovi Montevarchi, mentre era potestà Tebaldo da Monte Lupone, succeduto nel secondo semestre di quell’anno a Cante de’Gabbrielli da Gubbio, mentre esercitava l’uffizio di capitano del popolo Otto da Corinalto e di gonfaloniere della Repubblica Fiorentina Lapo da Vinci, talché io dubito che l’estimo deliberato nell’anno 1288 non fosse stato ancora nel contado fiorentino eseguito.
    Relativamente all’istruzione pubblica vi sarebbe da aggiungere l’istituzione di un posto di
    maestro di musica a stipendio della Comunità. – In quanto all’Accademia Valdarnese ad essa con sovrano rescritto del 2 agosto 1844 è stato accordato l’onore d’intitolarsi Accademia I. e R. Una poi delle più utili e caritatevoli istituzioni quell’Accademia promossa può dirsi quella della Compagnia della Misericordia concessa con benigno sovrano rescritto del 10 settembre 1845.
    Rispetto alla stima che in quella età anche gli uomini grandi avevano di Benedetto Varchi, giova qui citare una lettera del divino Buonarroti diretta da Roma a Giovan Francesco prete di S. Maria (
    del Fiore) a Firenze, nella quale si legge quanto appresso: «Raccomandomi a voi, e pregovi
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    che questa, che va a messer Benedetto Varchi luce e splendore dell’Accademia fiorentina, che gliene diate, e ringraziatelo da mia parte pel più che io non fo, né posso far io.» (MS. nella I. e R. Bibioteca Palatina).
    All’Articolo COMUNITÀ DI MONTEVARCHI potrebbe aggiungersi, circa la coltura agraria di quel territorio, contemplandola più generalmente di quanto fu indicato in quell’Articolo quanto appresso: che la rotazione agraria nel territorio di pianura suole praticarsi triennale, ed in qualche luogo di collina quadriennale; che il quantitativo del bestiame che si tiene nei poderi non può generalmente calcolarsi con ciò che fu detto nel n.° 55 del Giornale Agrario Toscano, tostoché anche in collina pochi sono i poderi che non abbiano 4 bestie bovine, oltre i majali e le pecore, mentre nella pianura vi sono poderi che alimentano le 6, e le 8, ed anche le 10 bestie bovine, oltre un numero di pecore, ed altri animali minuti da frutto più confacenti al podere.
    Inoltre vi si conta una bigattiera montata nel 1839 del Marchese Antonio Viviani nella sua villa del
    Pestello vicinissima a Montevarchi, esempio che incoraggisce varj possidenti a costruirne altre. – Alle industrie manifatturiere vi sono da aggiungere le fabbriche di cappelli di feltro che impiegano circa una sessantina di lavoranti, non escluse le donne occupate a tessere le pelli, ed a spelare i cappelli fini, i quali rivalizzano quasi le migliori qualità che vengono dall’estero.
    In fine si corregga. L’ingegnere di Circondario e l’uffizio di esazione del Registro sono attualmente in Montevarchi, dove trovasi pure un uffizio di Posta per le lettere.
    Il vicario Regio di Montevarchi, dopo la soppressione della potesteria di Bucine sopravvede nel civile come nel criminale anche a quella Comunità.
    Nel 1833 la Comunità di MONTEVARCHI contava con i suoi annessi Abitanti 8077 e
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    nel 1845 ne aveva 8670, cioè:

    Caposelvi, (
    Si aggiunga) (porzione) Abitanti N.° 242
    Cennano,
    Abitanti N.° 331
    Giglio,
    Abitanti N.° 535
    Ginestra,
    Abitanti N.° 347
    Levane (
    porzione), Abitanti N.° 1215
    Levanella,
    Abitanti N.° 629
    Moncioni (
    S. Marco), Abitanti N.° 305
    Moncioni (
    S. Maria a), Abitanti N.° 340
    Montevarchi,
    Abitanti N.° 3487
    Rendola,
    Abitanti N.° 251
    Ricasoli,
    Abitanti N.° 310
    S. Tommè,
    Abitanti N.° 311

    Annessi

    Starda; dalla Comunità di Gajole, Abitanti N.° 15
    Galatrona;
    dalla Comunità di Bucine, Abitanti N.° 69
    Monte Carlo;
    dalla Comunità di San Giovanni, Abitanti N.° 11
    Monte Gonzi;
    dalla Comunità di Cavriglia, Abitanti N.° 59
    Mercatale,
    dalla Comunità di Bucine, Abitanti N.° 189
    Torre a Mercatale;
    dalla Comunità di Bucine, Abitanti N.° 21
    TOTALE
    Abitanti N.° 8670
Localizzazione
ID: 3168
N. scheda: 34580
Volume: 3; 6S
Pagina: 537 - 549; 161 - 162
Riferimenti: 15040
Toponimo IGM: Montevarchi
Comune: MONTEVARCHI
Provincia: AR
Quadrante IGM: 114-4
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1707558, 4822164
WGS 1984: 11.56919, 43.52513
UTM (32N): 707621, 4822339
Denominazione: Monte Varchi, Montevarchi, Monte Guarchi
Popolo: S. Lorenzo a Montevarchi
Piviere: S. Lorenzo a Montevarchi
Comunità: Montevarchi
Giurisdizione: Montevarchi
Diocesi: Fiesole
Compartimento: Arezzo
Stato: Granducato di Toscana
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