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Pietra Santa, Pietrasanta - Fosso delle Prata, Fiume Morto

 

(Pietrasanta - Fosso delle Prata (a S))

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    PIETRA SANTA o PIETRASANTA ( Pietrasancta ) nella marina della VERSILIA. Città nobile, testè terra cospicua, un dì castello di frontiera con insigne collegiata (S. Martino) capoluogo di Comunità, di Circondario e di Vicariato regio nella Diocesi di Pisa, già di Lucca, Compartimento pisano.
    Risiede alle falde estreme di un contrafforte che diramasi dai monti di Vallecchia e di Farnocchia fra la Val di Castello e quella di Seravezza, nel grado 37°53’7” di longitudine e 43°57’6” di latitudine, 6 miglia a settentrione di Viareggio, altrettante a scirocco di Massa di Carrara, appena due miglia a grecale dal lido del mare Toscano, 5 miglia a scirocco di Seravezza, 18 miglia a maestro di Pisa, e altrettante a maestro-ponente di Lucca.
    Sebbene le mura castellane di Pietrasanta si estendano verso il monte per abbracciare e servire di cortina alla sovrastante rocca, con tuttociò il principale caseggiato, le chiese, le piazze, le porte della città e le migliori strade sono a piè del monte nella parte pianeggiante.
    Vi si entra da tre porte, a levante dalla Lucchese, a ponente dalla porta di Massa e a ostro dalla Pisana; per le due prime passa la strada regia postale di Genova, attraversando per il lungo la città in ampia e comodissima via ben lastricata e fiancheggiata da decenti abitazioni e da nobili palazzi; mentre dalla porta Pisana che è in fondo alla gran piazza del mercato e della collegiata esce la strada regia che rasenta il littorale, e passando da Motrone e da Viareggio conduce a Pisa. – La porzione pianeggiante di questa città è regolarissima, poichè due grandi strade meno ampie, ma egualmente lunghe e rettilinee fanno ala e fiancheggiano il borgo di mezzo, e tutte tre sono attraversate da settentrione a ostro da più corte vie che dividono il caseggiato di Pietrasanta in altrettante isole di figura parallelepipeda.
    Sull’origine di Pietrasanta e sul primitivo suo nome non si trovano concordi i geografi, mentre alcuni
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    pensano che nel luogo dove poi si edificò Pietrasanta esistesse il Lucus Feroniae , nome stato aggiunto dai commentatori e traduttori della geografia di Tolomeo; avvegnachè cotesto Lucus Feroniae ne’testi greci dell’egiziano geografo non trovasi registrato, siccome cotesto Luco non fu fra Luni e Pisa rammentato nè da Strabone, nè da Plinio, nè da Pomponio Mela, o da altri classici scrittori dell’epoca romana.
    Nè tampoco giovano a dar peso a coteste vaghe ipotesi alcuni istrumenti lucchesi anteriori al mille, nei quali si rammenta più d’un luogo appellato Feroniano nel distretto diocesano di Lucca, stante che uno di essi, sebbene si trovasse nella Versilia, era situato lungi da Pietrasanta nei monti di Camajore, mentre un altro Feroniano trovavasi nel piviere di S. Gervasio in Val d’Era.
    Anche meno plausibili sono la ragioni di coloro, i quali fidandosi dell’editto viterbese credettero che Desiderio ultimo re de’Longobardi avesse riedificato Pietrasanta, olim Fanum Feroniae.
    «È proprio un piacere, scriveva il Pacchi nelle sue Memorie istoriche della Garfagnana, il sentire le varie opinioni di parecchi scrittori intorno al voler essi precisare l’ubicazione del Lucus Feroniae della Geografia di Tolomeo. Per esempio Giuseppe Molezio nella versione latina di quell’opera per istar più sicuro ne assegna due, uno a Motrone , l’altro a Bientina. A Bientina altresì lo aggiudica Raffaello Volterrano nei suoi Commentari. A Lucchio sulle montagne lucchesi lo determinano il Tegrimi nella vita di Castruccio, e Sebastiano Puccini nella sua Cronica MS. di Lucca. Il Paolucci storico della Garfagnana lo colloca a Capraia , castelletto disfatto nella comunità di Pieve Fosciana; e quasi che ciò non bastasse, lo stesso autore assegnava un altro Lucus Feroniae a Vagli di sotto, pure nella Garfagnana. Finalmente il Cavaliere dal Borgo nelle sue Dissertazioni pisane pensava di metter quel Luco nel bosco di S. Rossore
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    o in quello di Migliarino nella spiaggia pisana, ecc.
    In quanto poi al nome dato a Pietrasanta da Guiscardo da Pietrasanta milanese, che al dire di Tolomeo Lucchese fu potestà di Lucca nel 1255, dopo avere nell’anno innanzi esercitato lo stesso uffizio in Firenze, se gli oppone un diploma dell’Imperatore Federigo II dato in Pietrasanta l’anno 1242 nel dì 12 gennajo a favore dei nobili della Garfagnana e della Versilia; comecchè dalle date cronache di quel documento si debba sostituire il gennajo del 1243, in cui cadde l’indizione VIII e l’anno 23 dell’impero, 45 del regno di Federigo II in Sicilia, come fu in quel privilegio indicato, pur nonostante il nome del Castello di Pietrasanta comparisce 12 anni innanzi di quello che si suppone nominato dal podestà milanese.
    Sbrigatici alla meglio da coteste difficoltà, e chiarita qualche dubbiezza presso alcuni rimasta sul Luco di Feronia nella Versilia, e sulla fondazione di Pietrasanta attribuita dai meno a Desiderio ultimo re de’Longobardi, e dai più a Guiscardo Pietrasanta, resterà ora a ricercare nei documenti superstiti ciò che possa riferire alle antiche memorie storiche di questa contrada. Discorrendo della Versilia ai tempi della Repubblica Romana, cioè di quella contrada posta fra il mare ed i monti che da Lucca dirigonsi verso Luni, volgarmente appellati delle Panie , o Alpi Apuane, sembra che essa servisse di confine fra il territorio di Pisa e quello di Luni. Di un tal vero fece testimonianza Tito Livio all’anno 561 di Roma (193 avanti l’E.V.) allorchè Cintio prefetto di Pisa scriveva al senato di Roma, che 20.000 Liguri di varie tribù erano penetrati sino a Luni, e che dopo aver devastato quelle campagne irruppero di là nei confini pisani lungo la spiaggia del mare. – (T. LIVII Histor. Rom. Lib. XXXIV cap. 56).
    A conforto di cotesto fatto, che la provincia di Luni dalla parte del littorale allora confinasse col
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    territorio di Pisa, piuttosto che con l’altro di Lucca, giovano le parole di Plinio seniore, là dove parlando della colonia lucchese la dice discosta dal mare. Finalmente lo dà a congetturare il nome di Pisanica restato tuttora a una porzione di littorale pietrasantino posto fra la città di Pietrasanta e il lido del mare, a ponente del Ponte a Strada sul Fiumetto (antica Versilia ); la quale contrada di Pisanica insieme a un luogo di Pitigliano anila Versilia trovansi l’una e l’altro rammentati in un istrumento del luglio dell’anno 754, pubblicato dall’abate D. Fedele Soldani nella sua Historia Passinianensis.
    All’ Articolo ABAZIA DI MONTEVERDI, ossia di S. Pietro a Palazzuolo fu detto, che nell’anno 754 un nobile pisano, Walfredo figlio del fu Ratgauso, unitamente al di lui cognato Gundualdo di Lucca fondarono due monasteri, uno presso Monteverdi in Maremma in luogo detto Palazzuolo , dedicato a S. Pietro per rinchiudervisi coi loro figli e seguaci, l’altro sopra il fiume Versilia (ora Fiumetto ) intitolato a S. Salvatore, edificato in luogo appellato Pitiliano , quem nos edificavimus (dice il documento) super campo Pisanica et Luniensi per collocarvi le loro mogli e compagne. Sul qual proposito all’ Articolo LUCCA Vol. III. pag. 880 io diceva, che il fiume Versilia per lunga età è servito di confine orientale alla diocesi e giurisdizione lunense, siccome sembra che egualmente lo fosse sotto il dominio romano rispetto al contiguo distretto occidentale di Pisa, poi al contado e diocesi di Lucca.
    Comunque sia la bisogna, certa cosa è che la chiesa di S. Salvatore presso le mura occidentali di Pietrasanta ci ricorda la memoria più antica che conti questo paese; giacchè qualora sia fatta eccezione a un diploma del
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    10 febbrajo 753 del re Astolfo a favore del suo cognato Anselmo primo abate di Nonantola, dove si rammenta il Castello di Aghinolfo nella corte di Lucca (ora di Montignoso) sui confini occidentali della Versilia, si può asserire che l’istoria di questa contrada, di cui è capoluogo Pietrasanta, prima del mille sia quasi del tutto ignota.
    Non dirò di quel nobile personaggio per nome Gandolfo di Arrigo cittadino lucchese, contro il quale un vescovo di Luni reclamò del 1058 davanti la dieta di Roncaglia una parte a lui controversa del castel d’Aghinolfo ; avvegnachè quel castello, sebbene sul confine della Versilia, non appartiene al distretto pietrosantino. Dirò bensì che, a partire dal secolo XII i nobili del castel di Aghinolfo appartenevano ai visconti della Versilia, feudatari in origine dei vescovi di Lucca, nel modo che il nominato Gandolfo era feudatario dei vescovi di Luni. Appartenevano pertanto a cotesta consorteria di nobili quei visconti Uguccione e Veltro, i quali nel 1143 rinunziarono e cederono al governo di Lucca in mano de’suoi consoli la metà di quanto essi possedevano della corte e territorio di Corvaja, a partire cioè da Sala Vecchia sino alla marina della Versilia; e cotesta cessione sembra da essi fatta per timore della guerra accesasi di nuovo fra i Lucchesi e i Pisani, mossi probabilmente dalla lusinga di conservare immune l’altra metà di quel viscontado. Ma nel 1168 essendo ricominciata la guerra tra i Lucchesi e i Pisani, poco dopo quello stesso Veltro di Corvaia coi figli suoi, con quelli di Uguccione ed altri valvassori della Versilia e della Garfagnana si ribellarono al Comune di Lucca, cui avevano giurato fedeltà. Allora i Lucchesi nel dicembre del 1269 corsero in Versilia ad assediare la rocca Fiamminga situata sopra il poggio di Corvaia, e dopo espugnata e fatte prigioni lo masnade che v’erano dentro, si ritennero quel fortilizio bruciando il sottostante borgo di
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    Corvaia. Nell’aprile però dell’anno susseguente i Lucchesi tornarono a devastare la pianura denominata del Fillungo nella Versilia, nella qual circostanza distrussero anco il borgo di Brancaliano.
    Rispetto alla situazione del borgo di Brancaliano , che fosse presso il così detto Ponte Rosso lungo la strada regia di Genova, lo dissi all’ Articolo BRANCALIANO. Meno certa però è l’ubicazione del Fillungo di Versilia, seppure non corrisponde al luogo dove più tardi sorse il Borgo nuovo , detto anche Terranuova di Pietrasanta.
    Al Borgo nuovo di Pietrasanta credo bensì che sia da riferire e che fosse patria di quel testimone del Borgo nuovo che assistè ad un trattato di consorteria fra diversi nobili della Versilia, scritto nel dì 9 ottobre dell’anno 1219 presso la pieve di Corvaia e Vallecchia – (CIANELLI, Memor. Lucch. T. III.).
    Da quel trattato pertanto si rileva che fino d’allora, e forse anche molto innanzi nella contrada della Versilia il distretto del castel di Aghinolfo , ossia di Montignoso, faceva parte ed era compreso nella giurisdizione de’visconti di Corvaia e de’loro consorti; il cui distretto doveva estendersi dal littorale fino sulla schiena del monte di Quiesa, cioè fino al Casale di Piazzano, passato il Castello di Montemagno nella Valle del Serchio, vale a dire: a Plassano usque ad Massam Marchionis, et usque ad mare, et a mari usque ad Alpes sicut sunt, vel fuerunt confines inter dominos de’Corvaria et dominos de Garfagnana, etc. – ( Oper. cit. ).
    Fra i paesi della Versilia spettanti ai visconti di Corvaia, leggonsi in quel trattato nominati i seguenti: i Castelli di , di Vallecchia e dell’Argentiera , le ville di Farnocchia e di Galleno , di Monte Bello , di Pedona
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    , di Lombrici e di Veghiatoia con la metà del Borgo di Brancaliano ; senza che ivi si rammenti il Fillungo , nè il Borgo o Terra nuova di Pietrasanta . – Uno degl’istrumenti lucchesi inediti, in cui si trova indicato il Borgo di Pietrasanta fu rogato in Lucca sotto di 20 dicembre dell’anno 1258 dal notaro Aldibrando di Bonincontro, col quale Alberto del fu Buoventura della corte Balbanese vendè al procuratore di donna Contessa vedova di Paganello di Lotterio da Porcari per conto del figlio suo Rocchigiano la metà di tutte le terre e beni stabili che egli possedeva nel Borgo di Pietrasanta e nel piano di Vallecchia. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Capitolo della Cattedrale di Pistoia .)
    Che però i nobili di Corvaia e Vallecchia fino da quell’era non avessero giurisdizione alcuna in Pietrasanta, lo dà a conoscere una convenzione del 4 dicembre 1254 ( stile pisano ) stabilita fra il governo di Pisa e varie consorterie di nobili della Versilia, i quali non solamente giurarono di far la guerra ai nemici di quel Comune, ma promisero di consegnare in mano degli arbitri le loro rocche e torri di Corvaia e di Vallecchia, oltre diversi altri patti senza che ivi si nomini quella di Pietrasanta. (DAL BORGO, Diplomi pisani ).
    Fu allora, o poco stante, quando il potestà di Lucca con genti armate corse nella Versilia ad assalire e disfare le rocche di Corvaia e di Vallecchia, e fu nel 1255 quando lo stesso potestà riempì il Borgo nuovo di Pietrasanta di vassalli di quei visconti, esentandoli da ogni gravezza e dall’obbligo di servitù personale verso quei nobili già loro padroni; finalmente il governo lucchese rinnovò l’ordine perchè si atterrassero tutti i fortilizi della Versilia, eccettuati quelli che
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    appartenevano al Comune di Lucca.
    Inoltre nell’anno seguente (1256), allorchè fu fatta pace fra i Lucchesi e i Pisani, in conseguenza della quale i Fiorentini restituirono ai Lucchesi la rocca di Motrone che avevano ripreso ai Pisani, vennero esclusi dal benefizio di quella i nobili della Versilia ribelli a Lucca.
    Sennonchè pochi anni dopo in conseguenza della giornata di Montaperto anche i Lucchesi si trovarono costretti a cedere alla forza delle armi ghibelline comandate dal vicario del re Manfredi, alle cui genti consegnarono tutti i fortilizi della Versilia (anno 1264) fra i quali fuvvi l’importante rocca di Motrone. Quindi appena estinto nei campi di Benevento il re Manfredi (anno 1267) gli anziani di Lucca assistiti dalle armi vincitrici riebbero la rocca di Motrone, e tre anni dopo, mentre era vicario nella Versilia per il governo di Lucca Guglielmo de’signori di Maona, questi con gli uomini di Pietrasanta (nel 20 ottobre del 1370) cavalcò nel podere dei Corvaresi per distruggere la villa di Seravezza. Anco nel 2 novembre successivo i reggitori di Lucca rinnovarono gli ordini, affinchè fossero atterrate le risarcite rocche de’signori di Corvaia, e che non si smettesse dall’opera se non quando quelle fossero state sino ai fondamenti distrutte. – (GUID. DE CORVARI. Fragment. hist. pis. in Seript. R. Ital. T. XXIV.).
    Che il vicario lucchese della Versilia risedesse in Pietrasanta lo assicura lo statuto di Lucca nella riforma popolare di quella repubblica fatta nel 1308; dove, al Libro II. cap. 44, si parla delle attribuzioni del vicario di Pietrasanta. Sino d’allora cotesta terra possedeva un regolamento suo proprio, che escludeva dal ruolo dei pubblici funzionari tutti coloro che appartenevano alla consorteria dei Corvaresi, i loro tributari e fedeli abitanti in Corvaia, in Vallecchia, a Castiglione, a Sala, ecc. In secondo luogo si prescriveva il modo di elezione da farsi dagli abitanti della terra e distretto di Pietrasanta per gli ufiziali di detta terra, nella quale si eleggeva un console per ciascuna
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    contrada, e uno per la Terra nuova (di Pietrasanta). Similmente ciascuna contrada e gli uomini della Terra nuova dovevano eleggere per schede 50 consiglieri, e gli uni e gli altri costituivano il magistrato dei Consoli e Ufiziali di Pietrasanta. (CIANELLI, Memor. Lucch. T. I). Era Pietrasanta ridotta a regime perfettamente popolare, e conseguentemente contrario ai nobili della Versilia ed al partito ghibellino e imperiale costantemente dal Comune di Pisa professato, quando nel 1312 arrivò costà Arrigo di Lussemburgo per andare a incoronarsi a Roma. Allora i fuorusciti ghibellini di Lucca, di Pisa e di Toscana tutti pieni di speranza essendo corsi intorno a quella Maestà, poco mancò che non mettessero a soqquadro il governo ed il territorio dei loro nemici. Quindi avvenne, che le soldatesche imperiali unite all’oste pisana corsero anche nella Versilia dove venne fatto loro nel maggio del 1312 d’impadronirsi della Terra di Pietrasanta.
    Questa contrada si mantenne soggetta ai Pisani finchè comandò Uguccione della Faggiuola; nel qual frattempo i nobili della Versilia fecero istanza al giudice del capitano Faggiuolano residente in Lucca (luglio 1314) per essere reintegrati nei beni stati loro usurpati. Dondechè allora fu bandito in Pietrasanta, come residenza del vicario della Versilia, che coloro i quali tenevano beni di quei nobili dovessero comparire alla corte del vicario per esibire le loro ragioni. Ma presto Uguccione fu cacciato da Pisa e da Lucca, e quando i Lucchesi nel 1316 acclamarono in loro capitano Castruccio degli Antelminelli, questi poco stette a impadronirsi della intiera Versilia e di Pietrasanta in particolare, dove già aveva sposato una nobile donna, Pina dei signori di Monteggiori. Apparteneva cotesta donna alla consorteria di quel Perotto dello , cui Lodovico il Bavaro con diploma emanato in Pisa nel 4 marzo 1329 accordava in feudo per esso e suoi eredi il Lago di Porta Beltrame posto nella diocesi lunese, e non lucchese, sui confini
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    occidentali del territorio pietrasantino. Il qual Lago dall’imperatore Carlo IV, con privilegio dato in Pisa nel 1 aprile del 1355, fu confermato ai cinque figli di Perotto dello Strego. Ma innanzi a quest’ultima epoca, e quasi che subito dopo mancato ai Lucchesi il loro capitano Castruccio, Motrone e Pietrasanta, dei quali due posti eglino s’impadronirono, sebbene Pietrasanta nel 1341 fosse loro ritolta dai Fiorentini tornati nuovamente in guerra contro Pisa. Frattanto i Pisani fecero ogni possa per cacciare gli antichi loro nemici da quel baluardo; in guisa che nel febrajo del 1313 (stile comune) per fuoco, che si disse fatto mettere per li Pisani, arse gran parte della Terranuova di Pietrasanta , al punto che gli abitanti volevano abbandonarla, se il duca d’Atene, allora signor di Firenze, non mandava loro denaro e cento moggia di grano per sovvenire le loro necessità. (G. VILLANI, Cronica Lib. XII. cap. 12). Lo storico medesimo poco dopo (cap. 24) soggiunge, come in quell’anno stesso, dopo la cacciata del duca d’Atene e appena che fu riformato lo stato di Firenze, i nuovi governanti consegnarono il castello di Pietrasanta alle soldatesche del vescovo di Luni Antonio del Fiesco, acciocchè coll’aiuto di messer Luchino Visconti su cognato signor di Milano potesse guerreggiare i Pisani, che tenevano sempre presidiata la rocca di Motrone ed altre castella nella Versilia e in Lunigiana.
    Il Visconti infatti di prima giunta mandò in aiuto del vescovo suo cognato cira 1200 cavalieri, i quali bentosto furono rinforzati da altre genti scese dalla Lombardia per far guerra ai Pisani; la cui oste nell’inverno del 1344 con isteccati e bertesche si era barricata fra la marina di Motrone ed i poggi di Monteggiori e Monte Rotajo. – (G. VILLANI. Ivi cap.29).
    A questo fatto appunto riferire volle il Petrarca nelle sue familiari (Lib. V. Epist. 3.) quando scriverà al Cardinale Giovanni Colonna, che avendo egli trovato gli eserciti, milanese e pisano, accampati nei
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    confini di Lavenza, si vide costretto a prendere la via di mare; cosicchè imbarcatosi a Lerici venne ad approdare nella notte seguente presso la rocca di Motrone, che disse validamente difesa dai Pisani. – Vedere AVENZA, LERICI E MOTRONE.
    Ma nella notte del 6 aprile 1344 le genti del Visconti ruppono le fortificazioni fra Rotajo e Monteggiori, e vigorosamente assalendo i Pisani dopo gran battaglia questi ultimi restarono vinti e sconfitti. – (GIOVANNI VILLANI loc. cit. ).
    Contuttociò gli anziani di Pisa non disperavano di riavere Pietresanta; sia perchè nel maggio del 1344 era morto il vescovo di Luni cognato di messer Luchino, a di cui istanza questi manteneva la guerra; sia perchè per la mediazione del Gonzaga di Mantova, in quell’anno stesso, mediante lodo dato in Pietrasanta, era cessata la guerra fra Luchino e i Pisani. In conseguenza della qual pace i Lucchesi, mercè lo sborso di ottomila fiorini d’oro, riebbero le terre che allora si tenevano dalle genti milanesi, compresavi questa di Pietrasanta. – (AMMIR. Ist. Fior. Lib XI).
    Importante per la storia delle arti, non chè per rettificare un passo del Villani, che pone la morte di Antonio del Fiesco vescovo di Luni nel maggio del 1345 invece che fu nel maggio del 1344, giova una lettera scritta dalla Signoria di Firenze nel dì 7 luglio 1344 a Girolamo Colonna succeduto vescovo di Luni al defunto Antonio del Fiesco; con la quale si pregava quel prelato come signore di Carrara a permettere di estrarre da quel paese e imbarcare alla marina i marmi levati a spese dell’Opera di S. Reparata dalle cave di Carrara, perchè dovevano servire ai lavori della cattedrale e della sua nuova magnifica torre. – (GAYE, Carteggio inedito degli Artisti: Vol. I. Appendice ).
    Ma innanzi che Pietrasanta fosse uscita di mano ai Milanesi erasi risvegliata in molti nobili della Versilia l’idea di riacquistare il dominio
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    avito, sicchè questi mossero lite contro il Comune di Pietrasanta procurando di far rivivere certe ragioni sul diritto della pesca, della pastura, di farlegna, ecc. Rimessa la questione all’arbitro eletto dalle parti, questi qualche anno dopo (nel 24 aprile del 1346) proferì sentenza, che tutti i boschi, monti, sodaglie, pagliereti, paduli e pascoli compresi nei confini del territorio di Corvaia e Vallecchia sotto la vicaria e distretto di Pietrasanta, fossero di uso reciproco fra la Comunità di Pietrasanta e i nobili Corvaresi, e che qualora quei terreni, paduli, pagliereti, ecc. si affittassero due terze parti dell’utile si dassero ai nobili e il restante alla Comunità di Pietrasanta. – (TARGIONI, Viaggi T.VI).
    Dopo tale acquisto il governo civile ed economico di Pietrasanta si modellò perfettamente su quello di Lucca sua madre patria, quando ai consoli sostituiti furono gli anziani, e divisa la sua vicaria in contrade ( rughe ) e in vicinanze . – Un codice acefalo e cartaceo posseduto dal sig. dott. Giovan Battista Coletti in Firenze, copiato già da un originale scritto fra il 1352 e il 1357, contiene porzione del registro nominale dei beni e delle persone del territorio pietrasantino, diviso per contrade, (rughe) e vicinanze.
    Fra le contrade vi sono quelle della Terranuova superiore e della Terranuova inferiore dentro Pietrasanta. Si contano fra le vicinanze quelle di Ripa e Strettoia e di Serravezza , le vicinanze di Cerreto , di Vallecchia , di Sala , di Capezzano e di Val di Castello.
    Erano in tale stato le cose quando nel suo passaggio da Pisa l’Imperatore Carlo IV con diploma del 9 marzo 1355 conferì agli anziani di quella città il vicariato imperiale della città di Lucca e suo distretto nel quale erano sempre incluse le vicarie di Pietrasanta
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    e di Massa di Lunigiana. Quindi lo stesso Carlo IV passando da Pietrasanta, nel dì 13 giugno dell’anno medesimo, rinnovò a favore dei nobili di Corvaia e Vallecchia il privilegio di Federigo II, sebbene eglino sbandati in vari paesi non avessero più giurisdizione politica nè civile sui castelli e abitanti della Versilia. Infatti fra le numerose consorterie di quei dinasti sono ivi nominati 5 individui già domiciliati in Massa di Lunigiana, dai quali forse discese la testè estinta famiglia de’ Cattani di quella città, ed altri sei nobili ivi pure sono rammentati di quelli stanziati nel Borgo nuovo , probabilmente discendenti dalla casa dello Strego e ascedenti di quella de’ Tomei di Pietrasanta.
    Infatti che i successori del nobile Perotto detto Strego avessero palazzo e talvolta abitassero in Pietrasanta, lo da a credere un istrumento del 15 agosto 1367 (stile comune) stipulato nel territorio pietrasantino, col quale Niccolò figlio ed erede per la quinta parte d’Jacopo di Perotto dello Strego vendè al nobile uomo Alderico del defunto Franceschino degli Antelminelli cittadino lucchese fra gli altri beni la quinta parte che toccavagli per indiviso di un palazzo merlato a due piani con corte e annesso giardino, oltre una casa contigua, detta la Casa Vecchia il tutto situato in Pietrasanta presso la piazza del Comune nella vicaria della Terra nuova inferiore ; e più lo stesso Niccolò alienava la quinta parte per indiviso di due terzi della pesca nel Lago di Porta Beltrame con la fossa o fossi che da quello scolavano in mare, oltre un isolotto denominato Scannello e quattro barche pescarecce con due capanne. Il qual Lago di Porta Beltrame si dichiara compreso nel territorio di Pietrasanta, ecc.
    Nello stesso palazzo che fu di Perotto dello Strego, nel dì 30
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    giugno del 1392, fu pronunziato un lodo da Niccolò di Poggio cittadino lucchese, arbitro eletto dai sindaci del Comune della Cappella di S. Martino (Serravezza) da una parte, e da quelli del Comune di Pietrasanta dall’altra parte, ad oggetto di determinare i confini controversi fra quelle due Comunità limitrofe. – Vedere SERRAVEZZA.
    A quest’ultima epoca però il palazzo che fu del nobil Perotto dello Strego era divenuto residenza del magistrato comunitativo di Pietrasanta. Ciò lo prova fra le altre una deliberazione per l’elezione trimestrale de’sei anziani della Comunità di Pietrasanta, sanzionata dal consiglio generale del Comune medesimo nel giorno 28 febbrajo del 1384, dopo essere stato convocato a suono di campana. La quale provvisione fu deliberata in sala palatii heredum Perrocti dello Strego de Luca, positi in dicta Terra, ubi fiunt consilia dicti Comunis de mandato prudentis et circumspecti viri Francisci Dati de Luca honorabilis vicarii Vicariae et Terrae Petrasanctae pro Lucano populo et Comuni etc , – ( Cod. cit. ). Finalmente, dopo la terza venuta di Carlo IV in Italia (anno 1368) quel favore che egli aveva compartito nel 1355 ai Pisani, nell’aprile del 1369 lo rivolse a pro degli oppressi Lucchesi, i quali mediante grossa moneta furono liberati, dicevano essi, dalla schiavitù babilonica del giogo pisano. Fu allora che il popolo di Lucca caldo di tal favore innalzando altari alla Libertà , corse nella Versilia a ritogliere ai Pisani Motrone e Pietrasanta con gli altri paesi di loro giurisdizione.
    Tornata Pietrasanta con tutta la Versilia sotto il regime degli anziani di Lucca, tale essa si mantenne sino alla morte di Paolo Guinigi, quando i Lucchesi nel 1430 impegnarono per una somma di denaro alla Repubblica genovese Motrone e Pietrasanta con patto che gli abitanti continuassero ad essere governati dagli ufficiali inviati dal Comune di Lucca.
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    Dalla quale condizione i Genovesi nel 1436 deviarono, allorchè quella guarnigione profittando di una sommossa degli abitanti, a nome del Comune di Genova si fece arbitra di Pietrasanta.
    Da cotesto disordine ebbe origine la guerra che il governo di Lucca mosse ai Genovesi ad oggetto di ricuperare i due castelli impegnati, i quali riguardavansi allora come l’antemurale della Toscana dal lato del Genovesato.
    Frattanto non posavano i Fiorentini, perchè avevano ricevute novelle come nell’ottobre del 1436 Niccolò Piccinino con grosso esercito di fanti e cavalli era arrivato nel contado lucchese mandato in Toscana dal duca di Milano per dare il guasto al territorio fiorentino. Nel mentre che i governanti di Lucca si maneggiavano col Piccinino per riconquistare con le sue genti la Terra di Pietrasanta e Motrone, i Fiorentini dall’altra parte prendevano al loro soldo il conte Francesco Maria Sforza, affinchè con le numerose sue bande accorresse a liberare Pietrasanta assediata dal Piccinino. Da un altro canto i Genovesi avendo messo in mare un’armata, i commissari fiorentini recaronsi ad abboccamento con quell’ammiraglio per consultare da qual parte fosse meglio soccorrere Pietrasanta, e parve a tutti, perchè Motrone era stato acquistato dalle genti del Piccinino, che il luogo più opportuno allo sbarco fosse alla marina di Pietrasanta.
    In breve tempo però le soldatesche dello Sforza riconquistarono Motrone ed altri posti del littorale lucchese, sicchè disperando allora il Piccinino di sottomettere Pietrasanta, nei primi mesi del 1437 si levò da quell’assedio per restituirsi con l’esercito nella Lombardia.
    Veduto i Fiorentini che i Lucchesi erano rimasti senza aiuti esterni, credettero questo il tempo opportuno da tornare contro Lucca; e cului che più degli altri influì a risolvervisi fu quel Cosimo de’Medici il vecchio, ch’era stato poco innanzi richiamato dall’esilio, e acclamato dai Fiorentini qual padre della patria.
    I Lucchesi trovaronsi allora in istrettezze grandi, comecchè niente avessero eglino trascurato per difendersi lungamente nella città, ben disposti generalmente a patire ogni male, salvo quello
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    della servitù fiorentina. Nè gli mancarono amici in tanto bisogno, fra i quali potentemente contribuì a favore loro l’animosità contro i Fiorentini del duca di Milano; per modo che nel 1441 venne concluso un trattato di pace il cui resultato fu, che i Fiorentini restituissero ai Lucchesi tutti i luoghi che appartenevano loro innanzi il 1428, salvo la terra di Monte Carlo e il forte di Motrone con le loro adiacenze; ed esclusa Pietrasanta come paese che continuava ad esser guardato e governato dai Genovesi.
    Accaddero nuovi disturbi nel 1477 per parte de’Pietrasantini, quando essi unironsi ai soldati Genovesi per correre a danno di Camajore. Ciò accese un altro incendio che fu soffocato ma non estinto da un’escursione dell’oste lucchese nel territorio pietrasantino. La qual cosa fece risolvere i governi di Milano, Venezia e Firenze a inviare i loro legati a Lucca per interporsi mediatori fra essi e i Genovesi, sicchè di consentimento delle parti fu eletto in arbitro il Marchese Federigo Gonzaga di Mantova onde decidere tanto sul diritto che i Lucchesi potevano avere sopra Pietrasanta, quanto sui compensi per danni sofferti.
    Il primo lodo pronunziato escluse ogni sorta di compensazione di danni, dovendo solo giuridicamente trattarsi delle ragioni di dominio sulla Terra di Pietrasanta.
    In questo frattempo essendo fallita la congiura de’Pazzi (anno 1478) si accese guerra per parte del Papa, del re di Napoli e dei Sanesi contro i Fiorentini, i quali dovettero creare la balia dei Dieci destinando fra questi Lorenzo de’Medici, cittadino tanto eminente nella repubblica di Firenze che per consiglio suo solevano reggersi le cose di quel Comune, e contro al quale soggetto specialmente quei tre potentati mostravano di avere nimistà.
    I provvedimenti presi dai Fiorentini, come in tanto bisogno si richiedevano, furono diversi, fra i quali fuvvi quello di fortificare e presidiar tutti i castelli di frontiera. Per la qual cosa nell’aprile del 1479 la balia deliberò che uno dei Dieci, Buongianni Gianfigliazzi, che da Pisa passasse a
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    Sarzana, e vi facesse quelle fortificazioni e provvedimenti che l’opportunità esigeva, promettendo mandargli altre genti d’arme oltre quelle del presidio.
    Desideravano pertanto ardentemente i Fiorentini di ricuperare Pietrasanta, e per averne più manifesta cagione contro il governo di Genova mandarono da Pisa a Sarzana un carico di munizioni e di vettovaglie accompagnate da una debole scorta, che fecero passare più d’appresso a Pietrasanta che potevano, acciocchè quei terrazzani allettati dalla preda, in quel passare l’assalissero, e da questo assalto potesse aversi una giusta ragione di guerra perchè Genova la prima avrebbe violata la precedente lega.
    La cosa infatti succedette secondo il disegno divisato. I Fiorentini allora, lasciata Sarzana, si recarono a campo sotto Pietrasanta, e perchè più facile fosse il trarre delle loro artiglierie, occuparono il pendio del colle che, col suo più alto giogo sovrastando alla Terra, torna quindi con placida scesa a pianeggiare: e costà innalzarono una bastia. Ma i Genovesi, mentre i Fiorentini in tal guisa battagliavano Pietrasanta, approdati con una flotta alla spiaggia di Vada misero a terra le loro genti, e poste a ferro e fuoco le circostanti campagne, oltre la molta preda, sparsero in quei contorni gran terrore, per cui corse da Pisa Bongianni Gianfigliazzi con cavalli e fanti a frenare l’impeto de’predatori. I quali rimbarcatisi si avvicinarono a Livorno e presero terra alla Torre Nuova con la mira di espugnarla. In quel mezzo i Fiorentini combattendo pigramente Pietrasanta, le guardie di dentro, mentre gli assedianti non se le aspettavano, fecero una impetuosa sortita, nella quale furono distrutti i lavori dei nemici, prese le munizioni, e i soldati ch’erano a presidio della bastia uccisi; sicchè gli assedianti da tanta paura furono in modo sopraffatti, che se non venivano confortati dai capitani loro e dai commissari, erano in procinto di abbandonare alloggiamenti e bagagli, con grave sciagura della repubblica e con loro ignominia sarebbero essi in mano dei nemici caduti. Nondimeno tanto favorevole era stato il successo per i Pietrasantini, che
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    gli assedianti furono costretti a piantare il campo 4 miglia più indietro. Arroge che non essendosi prima d’allora i Fiorentini impadroniti della valle di Serravezza e di Corvaia, come suggeriva uno del suoi comandanti, il conte di Pitigliano, gli avversari dominavano tutto il monte intorno, sicchè rendevano sempre più difficile l’espugnazione di Pietrasanta. – Correva l’anno 1484 quando s’intese in Firenze cotanto disordine, lo che riempi di sdegno tutta la città: onde la Signoria non volendo che , seguitandosi a far la guerra così male come la si era incominciata e fino allora condotta, avvenisse anco di peggio, elesse due commissari di balia, Bernardo del Nero e Antonio Pucci con ordine di recarsi subito al campo della Versilia.
    Appena arrivati questi all’esercito, confortarono i soldati a ritornare contro Pietrasanta, affinchè la viltà e la turpitudine di quel vergognoso fatto volessero con la virtù cancellare, insinuando loro di riportare gli alloggiamenti intorno alla Terra, e di riacquistare la bastìa che allora da un presidio di Genovesi era guardata. Ondechè da quei commissari con tali e tante esortazioni e conforti furono le genti fiorentine spronate, che esse muovendosi di là per un arduo cammino andarono incontro ad ogni fortuna, nè per dirupato luogo, nè per furia di artiglierie, dai cui colpi restò ucciso il conte Antonio da Marciano loro capitano, in alcun modo gli assalitori trattenuti o respinti, si condussero alla sommità del colle, dove, dopo rovesciati quelli che lo guardavano, piantarono sulla riconquistata bastìa la bandiera del Comune di Firenze. Così voltando faccia la fortuna, cominciarono quelli di dentro a pensare di darsi per vinti e a ragionare di capitolazione. Poichè s’intese ciò in Firenze, fu mandato al campo Lorenzo de’Medici, incaricato di praticare e conchiudere l’accordo.
    Egli la sua propria all’autorità del Comune interponendo, ottenne che quelli del presidio e gli uomini di Pietrasanta non indugiassero ad arrendersi come fecero, sicchè nel di 7 novembre del 1484, per la Terra di
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    Pietrasanta, e due giorni dopo per la rocca, nella quale si erano ridotti molti de’principali con la speranza forse di essere soccorsi dalla parte di Genova, capitolarono.
    Intanto varie malattie entrate nell’esercito lo infermavano, sì perchè grossa ed umida era l’aria di quella Maremma, e sì perchè avvicinandosi l’inverno malagevole sarebbe stata in quel sito per gl’ infermi la guarigione, sia perchè in quell’ assedio ammalarono e morirono due commissari, il Puccì e il Gianfìgliazzi, e un terzo, Bernardo dei Nero, era stato portato a Pisa ammalato; dondechè dove differirsi ad altro tempo l’impresa di Sarzana; e lasciato a comandante in Pietrasanta lacopo Acciajoli, e capitano della rocca Piero Tornabuoni, Lorenzo de’ Medici se ne tornò a Firenze.
    Era ancora la città tutta in gioja per eªessersi le sue genti insignorite di una Terra tanto importante, com’era Pietrasanta, quando vennero a turbarla ambasciatori inviati della Rep. di Lucca; i quali introdotti ebbero udienza dalla Signoria per reclamare la Terra di Pietrasanta edificata dai loro antenati, e un tempo tolta dai Genovesi ai Lucchesi. Essi per ragione allegavano essere fra gli obblighi della nuova lega, nella quale anche Lucca era stata compresa, che tutte quelle terre e castella che fossero state tolte in qualunque modo in tempo della guerra ai collegati, si dovessero restituire al primiero signore. A cotali richieste però risposero i Fiorentini, che, senza negare di avere un tempo Pietrasanta ubbidito a Lucca, non erano eglino tenuti da veruna legge a cederne la possessione a quelli che, quantunque vi avessero ragione più che chiunque altro, tuttavia erano decaduti dai loro diritti; avvegnachè il tempo legittimo di ripetere quella Terra era passato. E senza mettere in campo più gravi riflessi ai rispondeva dalla Signoria, che i Lucchesi considerassero quanto l’acquisto di Pietrasanta era costato ai Fiorentini non solo di spese, ma anche di mortalità di cittadini distinti, e quanti danni erano avvenuti alle loro genti, sicchè quando i Lucchesi avessero il modo di soddisfar
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    la repubblica fiorentina di tutto ciò, allora eglino potevano sperare di riavere Pietrasanta. – (MICH. BRUTI, Istor. Fior. Lib. VIII.).
    Ma ben presto accadde la morte di Lorenzo de’Medici incommoda a Firenze, incommodissima  al resto d’Italia per la riputazione e prudenza sua e per l’ingegno attissimo a tutte le cose della Repubblica; cui riescì di gran lunga diverso il maggiore de’tre figliuoli del Magnifico , quel Piero che, nè per la giovanile età, nè per le altre sue qualità mostrossi atto a reggere un peso sì grave della cosa pubblica, nè capace di procedere con quella moderazione, accortezza e prudenza, con la quale procedeva il di lui padre. Donde consegnì, che, o fosse per tale avvenimento, o per l’innalzamento al trono pontificio dell’ambiziosissimo Alessandro VI, oppure per la poca fiducia che aveva Lodovico il Moro arbitro del suo nipote duca di Milano, fatto stà che all’occasione di stabilire una coonfederazione fra vari governi italiani, il Moro per assicurarsi nel dominio, deliberò di usare medicina più potente che non comporta la natura dell’infermità e la complessione dell’infermo, tentando ogni via per chiamare in Italia le armi forestiere e muovere Carlo VIII re di Francia ad assalire il regno di Napoli, come eredità degli Angioini.
    Tale era la disposizione delle cose; e in tale perturbamento si trovavano i governi d’Italia al principio del 1494. A Firenze, scriveva Francesco Guicciardini, era grande l’inclinazione in verso la casa di Francia per il commercio di tanti Fiorentini in quel reame, per l’opinione inveterata, benchè falsa , che Carlo Magno avesse riedificata quella città distrutta da Totila re de’Goti, per la congiunzione lunghissima de’maggiori loro con Carlo I re di Napoli, e con molti de’suoi discendenti protettori della parte Guelfa in Italia; per la memoria delle guerre che prima il re Alfonso d’Aragona, e di poi Ferdinando suo figlio avevano fatto a quella città, ecc. – Ma Piero de’Medici misurando più le cose con la volontà che
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    con la prudenza, confortato da qualcuno de’ministri suoi, corrotto (come altri dissero) dai doni di Alfonso il giovine re di Napoli, deliberò pertinacemente di continuare nell’amicizia dell’Aragonese. Al che bisognava che per la grandezza sua tutti gli altri cittadini e governanti di Firenze finalmente acconsentissero. Dondechè sdegnato il re Carlo fece cacciare da Lione i ministri del banco di Piero de’Medici, eccettuando gli altri mercatanti fiorentini, acciocchè a Firenze s’interpretasse che il re francese riconosceva l’ingiuria dall’animosità di Piero e dalla sua influenza sul governo di Firenze piuttostochè dall’università de’cittadini. Quindi deliberata la mossa dell’esercito per l’Alpi del Piemonte, questo di là indrizzò il cammino verso l’Appennino di Pontremoli, paese che allora dipendeva dai duchi di Milano; sicchè di là per là Lunigiana e la Versilia penetrò nella Toscana. – Facevano i Fiorentini resistenza principale in Val di Magra a Sarzana, stata da essi a tale effetto fortificata e massisamente difesa dalla rocca di Sarzanello posta sopra un vicino colle isolato. – Più importante ancora per il sito era nella Versilia la posizione di Pietrasanta, la di cui rocca è situata a cavaliere dell’unico passaggio tra il monte il mare che introduca di costà in Toscana. –
    Quando a Firenze s’intese che i soldati francesi avevano incominciato a sfilare per l’Appennino in Lunigiana, ed, in qual maniera crudele era stato inveito contro gli abitanti di Fivizzano sudditi della Repubblica Fiorentina, tali avvisi accrebbero sommamente il timore nel popolo che detestava la temerità di Piero de’Medici per opera del quale con tanta inconsideratezza, e massima sua imperizia nelle cose della guerra, erano state da lui provocate le armi di un re di Francia potentissimo, in tal impresa aiutato dal tiranno della Lombardia. Dondechè Piero spaventato dal pericolo che il bisbiglio universale faceva sempre maggiore, e forse sperando di avere la sorte senza aver la virtù di Lorenzo suo padre, di proprio intuito risolvè di andare in cerca presso i nemici di quella salute, la quale con li svaniti
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    sussidi del Pontefice e del re di Napoli non sperava più dagli amici.
    Arrivato Piero a Pietrasanta e costà ricevuto il salvo-condotto regio, si recò in Lunigiana al quartiere generale dov’era il re Carlo, nel mentre che i Francesi battevano la rocca di Sarzanello, ma non con tale successo da dare a quelle genti grande speranza di espugnarla. Introdotto il Medici innanzi a Carlo VIII, Piero mitigò assai l’indignazione del re francese col consentire che fece di suo arbitrio a tutte le domande, per quanto esse fossero alte e smoderate. Avvegnachè si chiedeva che oltre le fortezze di Pietrasanta, Motrone, Sarzana e Sarzanello, le quali erano da quella parte la chiave del dominio fiorentino, quelle di Pisa e di Livorno, membri importantissimi dello Stato, si consegnassero alle genti del re, promettendo questi di restituirle al Comune di Firenze dopo fatta la conquista del regno di Napoli. – Ma ciò che provò a un tempo stesso l’arbitrio e la pusillanimità di Piero fu di non attendere dal suo governo la ratifica a condizioni di tanta importanza, mentre senza altra dilazione egli fece rimettere alle truppe francesi le fortezze di Sarzana, Sarzanello, Pietrasanta e Motrone, siccome poco di poi furono consegnate quelle di Pisa e di Livorno. In conseguenza Piero de’Medici non solo assicurò ai Francesi la strada della Toscana, ma rimosse del tutto davanti a loro gli ostacoli che gli Aragonesi avevano opposti negli accampamenti di Romagna. Ritornato Piero a Firenze, trovò la maggior parte de’magistrati in grande corruccio e il popolo in tanta sollevazione contro esso lui concitato, che vedendosi respinto dal palazzo de’Signori, da questi anco dichiarato ribelle della patria, con grandissima celerità coi figli suoi da Firenze se ne fuggì.
    All’ Articolo LIVORNO fu già indicato quanto riuscirono poco fedeli alle condizioni scritte i Francesi lasciati alla guardia delle fortezze di Pisa, di Sarzana e Sarzanello, di Pietrasanta e Motrone.
    Avvegnachè dopo il ritorno di Carlo VIII dall’ impresa di Napoli il
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    castellano della fortezza di Pisa consegnò per 12000 ducati quella rocca in mano al popolo pisano, e poco stante Sarzana e Sarzanello furono vendute per prezzo di 24000 ducati ai Genovesi, mentre i castellani che guardavano Pietrasanta e Motrone venderono quelle (anno 1496) ai Lucchesi per 29000 ducati. – Quanto un simile procedere de’Francesi dispiacesse ai Fiorentini ognuno può immaginarlo. Accagionavano essi tuttociò alla malignità di Lodovico Sforza di Milano, il quale frattanto cercava d’indurre i Lucchesi a riconsegnare Pietrasanta e Motrone ai Genovesi, mentre il re di Francia faceva le viste di comandare ai suoi la restituzione delle fortezze medesime ai Fiorentini. – Dondechè appena morto Carlo VIII (aprile 1498) la Signoria di Firenze fu sollecita d’interessare a favor suo il re successore, Lodovico XII, dal qual monarca riescì di ottenere che il governo di Lucca cedesse (anno 1499) Pietrasanta alle truppe francesi a condizione che a nome della Signoria di Lucca si continuasse ad amministrarvi la giustizia.
    Per tal mezzo quei signori tenevano aperta la via alla ricuperazione della rocca di Pietrasanta, la quale mediante 50000 lire tornesi fu di nuovo dai soldati francesi nel 1501 agli anziani di Lucca riconsegnata.
    – Cotesto procedere irritò al sommo gli animi dei Fiorentini, le cui forze principali in quel momento erano rivolte contro i Pisani per sottomettere ad ogni costo quella città. Dondechè appena Pisa dai Fiorentini fu riconquistata, le loro truppe si rivolsero contro Lucca, mettendo in campo la pretensione di un monte, detto di Gragno , posto sulla ripa destra del Serchio dirimpetto a Barga in Garfagnana; e ciò nel tempo stesso che i governanti di Firenze cercavano per amore o per forza di riavere Pietrasanta.
    Arrise la sorte ai Fiorentini quando fu eletto in Papa col nome di Leone X il Cardinale Giovanni de’Medici. Anco i Lucchesi per tal mezzo lusingaronsi di togliere via sul conto di Pietrasanta, di Motrone e del monte di Gragno, ogni motivo di querela. Quindi è
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    che supplicarono quel sommo gerarca ad esser arbitro in cotesta questione. La causa fu evocata al Pontefice, e pronunziata la sentenza nel 28 settembre del 1513 ( ERRATA : dal figliuolo) dal fratello minore di quello stesso Piero de’Medici che 20 anni innanzi aveva consegnato ai Francesi le fortezze della Versilia, della Lunigiana, di Pisa e di Livorno. Con quell’arbitrio pertanto Leone X decise, che Pietrasanta e Motrone con tutto il distretto fossero dati e restassero di piena ragione alla Repubblica fiorentina; mentre rispetto al monte di Gragno si conservava ai Lucchesi l’uso per 50 anni de’suoi pascoli mediante l’annuo censo di cento fiorini d’oro da pagarsi ai Barghigiani. – Vedere BARGA e LUCCA.
    Appena il lodo fu dalle parti ratificato, la Signoria di Firenze nominò in commisari Vieri de’Medici e Paolo Vettori per recarsi a Pietrasanta a pigliare la posessione di quella terra, sue fortezze, territorio e giurisdizione; la qual consegna ebbe effetto nel 12 ottobre del 1513. In conseguenza di tutto ciò sotto dì 19 novembre, dello stesso anno i sindaci del Comune di Pietrasanta e di tutta la sua vicaria stipularono l’atto di sottomissione alla Repubblica fiorentina, dal cui governo ottennero favorevoli capitolazioni, in grazia di che i Pietrasantesi posero lo stemma del Pontefice Leone X sulla facciata della loro chiesa collegiata, nel tempo che innalzavano sulla pubblica piazza il Leone o Marzocco col ciglio, stemma della Repubblica fiorentina. Cosi fu eretta la colonna in mezzo alla stessa piazza adorna nel capitello degli stemmi del Comune di Firenze e di quello di Pietrasanta. Intorno alla stessa epoca risalgono li statuti civili di questa città approvati sotto di 14 dicembre 1516. D’allora in poi del territorio di Pietrasanta fu fatto un capitanato, poscia uno dei vicariati del territorio del Granducato così detto disunito per trovarsi rinchiuso fra lo Stato lucchese, la Garfagnana milanese e il lido del mare. – ( Vedere
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    appresso l’Articolo Comunità ).
    Che se qui si dovesse dire una parola rispetto alla popolazione del Pietrasantino si vedrebbe che se si eccettui l’anno 1551, in cui la parrocchia di Pietrasanta era ridotta a soli 761 abitanti, essa dopo andò sempre più prosperando in grazia delle molte franchigie, delle quali fino ad ora i suoi abitanti hanno costantemente goduto, come ancora per effetto dell’attivazione di molte ricchezze che il suo territorio fornisce tanto sopra terra come dentro terra, e finalmente per la migliorata condizione del suo clima.
    Dalla suddetta epoca, cioè dal 1513 in poi, Pietrasanta seguitò le vicende della Repubblica fiorentina fino a che nel 1529, mentre la città di Firenze era assediata, essendosi perduta la fortezza di Pietrasanta come pure Motrone per poca fede de’provvisionati, si perdè anco la Terra, perchè i Pietrasantesi dubitando, dice il Varchi, di dovere andar a sacco, non avendo chi li difendesse, ed intendendo che Andrea Doria si era mosso con una flotta per venire alla lor volta, mandarono a Lucca ad offrirsi a chiunque volesse in nome del Papa o dell’Imperatore salvargli; e non trovando un conimissario, Palla Rucellai s’offerse egli e v’andò, essendone messer Giannozzo Capponi, il quale v’era commissario per la città di Firenze, rifuggito ai marchesi di Massa. – (BENEDETTO VARCHI Istor. Fior. Lib. X.).
    Così alla caduta di Firenze la Terra di Pietrasanta con tutto il suo vicariato tanto più facilmente passò dal governo della Repubblica fiorentina in quello assoluto della casa de’Medici.
    Appena nella Signoria di Firenze succedè al duca Alessandro Cosimo I, fu prima cura di costui di fortiticare sempre più Pietrasanta, punto importante di frontiera; ed è opera sua la rocchetta posta sopra la Porta pisana munita di due torrioni colle sue feritoie e casematte circondata da un fosso, ora ripieno e ridotto a gelseta. Cosi dobbiamo credere opera di Cosimo I le feritoie e merli aggiunti alle mura
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    castellane fatte ai tempi della Repubblica fiorentina, massimamente dove esse non avevano bastione.
    Cotesto cangiamento avvenne al dire di Giovanni Targioni Tozzetti verso il 1562, menire nel 1645 altre munizioni furono aggiunte alla rocca superiore, come dall’iscrizione che leggesi sopra la porta del suo primo recinto. Nella rubrica 62 del Lib. IV dello Stauto di Pietrasanta, aggiunta nel 1550, e approvata dai deputati del duca di Firenze lì 29 aprile 1551, relativamente agli ufficiali delle acque e strade, si ordina loro, rispetto alle due vie le quali vanno alla rocca di Pietrasanta, che sieno bene acconcie di sorte che l’acqua non le possa guastare, nè tirare abbasso il terreno di esse, comodando bene quelle, acciò che sia facile quanto fia possibile all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Nostro, et alli suoi signori e cortigiani d’andare a detta rocca, nella quale ognuno sa Sua Eminenza Illustrissima esser solita alloggiare quando viene a Pietrasanta.
    In quella stessa rubrica si parla del mantenimento dei lastrici di già esistenti nelle strade di Pietrasanta, mentre la gran piazza fu ammattonata all’intorno sotto il governo dello stesso Cosimo I. Nel secolo susseguente, quando si trasferì a Pietrasanta il Granduca Ferdinando II con la Granduchessa sua consorte, la corte alloggiò nel convento di S. Agostino, di chè ivi si conserva memoria in marmo. Più frequenti volte Pietrasanta fu onorata della presenza dei sovrani dell’attuale dinastia Austro-Lorena e specialmente favorita dal Granduca LEOPOLDO II felicemente regnante, il quale con motu proprio del 22 marzo 1841, valutando il rango distinto che fra le Terre della Toscana per antichità, popolazione, e per famiglie cospicue indigene occupa Pietrasanta, dichiarò la medesima Città notabile.
    Chiese e Stabilimenti pubblici . – La giurisdizione ecclesiastica dell’antica pieve di S. Felicita in Versilia , poi appellata di S. Giovanni in
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    Val di Castello
    , abbracciava sull’estremo confine occidentale della Diocesi di Lucca tutto il territorio della comunità di Stazzema, e gran parte di quello orientale di Pietrasanta.
    Cotesta chiesa ( ERRATA : attualmente profanata) attualmente decadente trovasi sullo sbocco di un valloncello fiancheggiato da due diramazioni di poggi che scendono dall’Alpe di Farnocchia per terminare presso la spiaggia sotto Monte Petri e Monte Rotajo. – La pieve di S. Felicita fu riedificata com’ora si vede nei primi secoli dopo il mille, tutta di pietra concia con finestre anguste a feritoia e ripartita in tre navate. Si fa menzione di essa in varii istrumenti dell’Archivio Arcivescovile di Lucca, molti de’quali sono pubblicati nei Vol. IV e V delle Memorie per servire alla storia lucchese. – Le più antiche pergamene in cui si ricorda la pieve di S. Felicita in Versilia portano la data del 31 agosto 855. Con una del 18 ottobre 886, Gherardo vescovo di Lucca allivellò alcuni beni delle chiese di S. Gemignano a Monte Preti, e di S. Maria a Stazzema, sottoposte alla pieve suddetta di S. Felicita.
    Fra i quali beni si nomina un pezzo di terra posto in luogo detto Barca, ed altro terreno in luogo appellato Castello presso la chiesa di S. Casciano, più due pezzi di vigna con orto, appartenente il tutto alla stessa pieve. – Fra le pergamene del secolo X relative alla battesimale medesima ne citerò tre. La prima del 2 settembre 951 riguarda una permuta di beni fra Rodilando e Corrado vescovo di Lucca suo fratello, il quale ultimo cedè in cambio al primo, fra le altre cose, alcuni effetti di pertinenza della pieve di S. Felicita in Versilia posti nei casali di Griciniano, SalaVecchia , a Castiglione, a Capezzano, a Canuova , nel Cafaggio di Motrone , a Cerreto
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    maggiore, a Monte Preiti
    , ecc.
    La seconda pergamena del 25 settembre 983 appella ad un’altra permuta di beni fatta tra Donnuccio del fu Teudimondo e Teudegrimo vescovo di Lucca, nella qual permuta entrarono dei beni di proprietà della chiesa plebana di S. Felicita di Massa di V ersilia posti in Monte Rotajo presso la chiesa plebana. – La terza carta è un istrumento del 30 agosto 991, col quale Gherardo II vescovo di Lucca allivellò la metà delle rendite e decime dei popoli di Stazzema e di Pomezzina sottoposti alla pieve di S. Felicita e S. Giovanni in Massa di Versilia a due fratelli Ranieri e Fraolmo, previo il consenso del visconte Fraolmo loro padre, uno cioè degli autori dei Visconti o Cattani di Corvaia e di Vallecchia.
    Il piviere di S. Felicita e S. Giovanni in Val di Castello nel 1260 abbracciava le seguenti 16 chiese; cioè: 1. S. Niccola a Sala ; 2. S. Giusto a Sala (chiesina esistente sopra il monte di Pietrasanta); 3. S. Salvatore del Monastero (chiesa parrocchiale fuori le mura occidentali di Pietrasanta); 4. Spedale di S. Paolo fuori di Pietrasanta ; 5. S. Stefano di Monteggiori ; 6. S. Maria di Stazzema (ora pieve); 7. S. Pietro di Retignano (esistente); 9. S. Lucia di Veghiatoia ; 10. S. Martino a Pietrasanta (ora pieve e collegiata)(; 11. S. Martino a Monte Morli ; 12. S. Michele di Farnocchia (parrocchia esistente); 13. S. Stefano di Monte Bello ; 14. S. Niccolò al Pruno (sempre parrocchia); 15. Spedale di Volasco (Forno Volasco); 16. Eremo in Val Bona , altrimenti chiamata in Val di Castello.
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    Una delle chiese più antiche del piviere qui sopra nominato era senza fallo quella di S . Salvatore del Monastero , talvolta detta di S. Salvatore a Capriglia , o fuori di Pietrasanta , mentre essa, come si è detto di sopra, fu fondata nell’anno 754 alla radice del monte lungo il fiume Versilia, in luogo appellato Pitigliano , circa due miglia distante dal mare. Alla stessa epoca fu fabbricato costà un monastero, dove, si racconta da Andrea terzo abate della badia di Monteverdi nella vita di S. Walfredo, che sulla fine del secolo VIII convivevano da 90 monache. – (BOLLANDISTI. Santi del 15 febb. ) .
    Lo stesso Mon. di S. Salvadore sulla Versilia è rammentato in due istrumenti del 25 genn. 804 e dell’828, il primo de’quali fu pubblicato nelle Memorie Lucch. (T. V. P.II.)
    Attualmente la chiesa di S. Giovanni Battista e S. Felicita in Val di Castello è ( ERRATA : profanata) decadente, e la sua canonica ridotta ad uso di stalla, essendo stato il suo popolo ripartito fra due nuove battesimali limitrofe, S. Rocco a Capezzano e S. Maria Maddalena in Val di Castello.
    Fra le chiese però dell’antico pievanato di S. Felicita quella salita in maggior lustro e onorificenza è l’insigne collegiata di S. Martino a Pietrasanta, abusivamente appellata il Duomo , forse per aver molt’apparenza di cattedrale.
    Questo bel tempio, di cui s’ignora l’architetto, fu riedificato nel secolo XIV. – Vi si sale per un vestibulo di 9 o 10 scalini di marmo bianco, del quale è rivestita tutta la facciata.
    Il suo interno è suddiviso in tre navate, ossiano ambulalori, con quattro archi per parte a sesto intero sostenuti da grandiose colonne di marmo brecciato consimile a quello che sotto il Granduca Cosimo I fu trovato appiè del monte di Stazzema.
    A varie epoche riferiscono i
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    suoi principali ornamenti: la prima risale al secolo XIV; della qual verità costituisce riprova un’iscrizione sopra l’architrave della porta di fianco murata, che dice: AD HONOREM S. MARTINI A. D. MCCCXXX. HOC OPUS FACTUM EST in tempore TARI SEPETI ET DONATI UGULINI OPERARII.
    E’ difficile il decifrare il tempo impiegato dopo il 1330 per compire cotesta chiesa, la quale però doveva esser terminata quando il Pontefice Urbano VI a petizione del popolo di Pietrasanta, nel giugno del 1387, la eresse in chiesa plebana, accordando al suo parroco il titolo di Preposto, e quindi nel dicembre dello stesso anno in chiesa collegiata. Lo stesso tempio pochi anni dopo fu consacrato da Nicolao di Lazzaro de’Guinigi vescovo di Lucca.
    Allo stesso secolo XIV ci richiama lo stile della facciata della chiesa di S.Martino fregiata da quattro pilastri che da cima a fondo la dividono ne’tre spazi delle navi. Gli archetti gotici, fatti sotto il cornicione del frontone, furono rialzati nelle parti laterali quando si fecero le volte reali alle interne navate. Un grand’occhio in mezzo di vago stile gotico con minuti dettagli di cornici, di colonnini e di archetti a raggiera intorno, costituisce la principale decorazione della stessa facciata. Tra l’occhio e l’architrave della porta maggiore vi fu posta l’arme del Pontefice Leone X; sopra quelle laterali vi sono, a destra le armi della Repubblica Fiorentina, e a sinistra, lo stemma del Comune di Pietrasanta.
    Sopra gli architravi delle tre porte della facciata esistono tre bassorilievi, lavoro di bello stile del medesimo secolo XIV.
    Ci richiamano alla seconda epoca, che fu dopo la metà del sec. XVI, le colonne di marmo mischio sostituite ai pilastri che reggevano gli archi e le volte.
    All’abbellimento però di questa chiesa sino dal principio del sec XVI avevano contribuito gli Stagi, rinomati artisti nati in Pietrasanta, e massimamente Stadio Stagi che, oltre aver fatto nel 1504 il magnifico pulpito, fu autore di altre opere squisite
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    di scalpello, sia negli specchi di marmo situati a spalliera nel Coro; sia ne’due grandi candelabri del presbitero; sia nelle due pile di acquasanta. – Fu anche l’architetto del grandioso campanile, che si alza da terra sopra 65 braccia, come pure del cimitero esistito ivi presso e della gradinata davanti la stessa collegiata.
    Un atto del 21 febbrajo 1525 (stile fiorentino) rogato in Pietrasanta da ser Tommaso Morrone ci prova che lo Stagi fu scelto dagli operai di S. Martino a stimatore del battistero scolpito allora da maestro Donato Benti di Firenze, e da Niccola di Matteo Civitali di Lucca; il qual battistero sino dal 13 gennajo 1511 era stato allocato al solo maestro Donato Benti, qualificato col titolo di maestro esimio in altro istrumento rogato da Pandolfo Ghirlanda di Carrara, mentre nell’istrumento del 1525 si parla di Eustachio (Stagio) figlio del fu Lorenzo d’Eustachio (Stagi) di Pietrasanta scultore in marmo, peraltro assente, sed tamquam praesens , ecc. – Ignoro se questo fu il battistero ad uso di tabernacolo che vedesi a piè della chiesa collegiata di S. Martino; so bensì che un’opera più insigne di simil genere ammirasi nella chiesa ad uso di compagnia dirimpetto alla collegiata nel borgo di mezzo. È un sacro fonte eseguito nel 1612 da Fabrizio di Agostino Pelliccia, e da Orazio di Francesco Bergamini entrambi scultori e intagliatori di Carrara, siccome risulta dai libri dell’opera di quella collegiata sotto gli operai Lorenzo, Lemmuccio e Francesco Lamporecchi, e Sebastiano Cecchi soprintendente di quell’opera.
    La terza epoca di detta chiesa ci richiama al 1819 quando fu disfatta l’antica cupola per togliere l’ingombro dei piloni che la reggevano, e sostituirvi l’attuale col disegno dell’architetto Lazzarini di Lucca. In quella restaurazione del tempio fu affidata al troppo frettoloso pennello del noto artista fiorentino Ademollo l’esecuzione degli affreschi della navata maggiore e della cupola, dove il pittore in quel suo giudizio universale volle far mostra di un suo troppo
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    fantastico giudizio.
    Non mancano però agli altari buoni quadri dipinti dal Rosselli , dal Passignano , o piuttosto dalla sua scuola e dal Cavaliere Currado . Il gran crocifisso di bronzo all’altar maggiore è opera di Ferdinando figlio di Pietro Tacca, così il calvario appiè della croce e i due angeli sostenenti due candelieri, appartenenti allo stesso fonditore, per i quali lavori l’opera di S. Martino pagò 2000 scudi.
    Seconda per grandezza, se non per antichità, è la chiesa di S. Agostino, opera del secolo XIV avanzato, comecchè per tradizione essa dicasi fondata da Castruccio, un di cui figlio infante ivi fu seppellito. Che però questo tempio debba molto alla famiglia degli Antelminelli di Lucca lo dichiara un’iscrizione posta nella parete sinistra entrando presso l’altare di S. Caterina stato fondato dai due fratelli Alderico e Giovanni figli del fu Franceschino degli Antelminelli di Lucca, il primo dei quali personaggi, nel 1367, acquistò da Niccolò d’Jacopo di Perotto dello Strego la sua quinta porzione del palazzo degli Streghi situato in Pietrasanta, ora palazzo comunitativo.
    Il convento per altro dei Romitani di Pietrasanta fu indicato nei Secoli Agostiniani dal P. Torelli, come esistente nel 1387.
    È a una sola navata con tettoia a cavalletti; la facciata è tutta incrostata di marmi bianchi, ripartita in tre grandi arcate, sopra le quali corre un ordine di archetti gotici con teste sostenute da sottili colonnine; ma il suo timpano non è terminato.
    Entrando a destra trovasi un altare di marmo fatto nel 1519, che credesi opera dello Stagi o del Benti scultori esimii di quel tempo, tanto è squisito il lavoro dei corniciami e de’pilastri. Fu ordinato da una confraternita di donne sotto l’invocazione della SS. Annunziata instituita in quell’anno stesso, come dall’iscrizione che ivi si legge nella tavola dipinta: Auspicato Deo anno virginei partus MDXIX. Dopo il millesimo si trova una cifra interclusa, la quale fece credere a
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    molti che dovesse dire Taddeo e Federigo Zuccheri , due pittori che all’anno 1519 non erano ancor nati. Con più ragione cifra e stile sono stati confrontati sopra altri dipinti di Taddeo Zacchia il Vecchio di Lucca. – È questo forse il più bel quadro di Pietrasanta, che meritava un migliore restauratore. Nell’altare che segue è una tela rappresentante il SS. Crocifisso circondato da varii santi, opea del Cav. Currado che vi scrisse il suo nome. Al terzo altare è un quadro del Tolomei pittore nativo di Stazzema che fu maestro del Tempesti in Pisa dove tenne scuola. Ciò che può interessare le famiglie cospicue di Pietrasanta sono le molte sepolture, di cui è sparso il pavimento di questa chiesa, incominciando dall’anno 1350, tra le quali famiglie si trovano gli Aromatarii , Tomei , Tolomei , Campana , Lamporecchi , Digerini , ecc.
    Nel suo campanile si legge l’iscrizione seguente: PEREGRINI GAMBA EREMITARUM PRIORIS DECRETO; ET NICOLAO EREMITARUM QUESTORE ANNUENTE, TURRIM HANC FIDELIUM PIETATE ERGO AUGUSTINIANOS EREMITAS CONSTRUENDAM CURARUNT. ANNO REP. SAL. MDCCLXXX.
    Frattanto da cotesto campanile dopo la soppressione di quella famiglia di Eremitani passarono nella gran torre della collegiata due di quelle campane che portano impressa la data dell’anno 1280. Al ritorno del Granduca Ferdinando III in Toscana la chiesa di S. Agostino ed il claustro annesso ad istanza delle Comunità di Pietrasanta furono dati ai RR. PP. Scolopi per aprirvi delle scuole pubbliche di abbaco, calligrafia, lingua latina, retorica, filosofia, matematica e morale, siccome sino dall’anno 1821 dai religiosi di quell’utile Istituto fu eseguito.
    Se all’istruzione religiosa e letteraria con l’annuenza del Principe mediante lo stabilimento predetto provvide la Comunità, all’istruzione del disegno supplisce generosamente il nobil uomo Cav. Antonio Digerini pittore con una scuola di disegno e di pittura ch’egli stesso fondò e dirige, spinto da carità verso la patria.
    Un maestro di
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    cappella provvisionato istruisce la gioventù nell’arte armonica, sicchè Pietrasanta anch’essa da qualche tempo conta una banda di volontari.
    All’istruzione delle fanciulle suppliscono le oblate del conservatorio già monastero di S. Leone, fondato nel 1514. Cotesto asceterio è rammentato in una provvisione della Signoria di Firenze del dì 8 luglio 1524 fatta in favore dello spedale laicale di detto luogo contro le Clarisse di S. Leone di Pietrasanta. – (ARCHIVIO DELLE RIFORMAGIONI DI FIRENZE).
    Grazioso è l’oratorio di S. Antonio a tre piccole navate (stato probabilmente spedale) ufiziato da una compagnia. Poco lungi di là havvi un ospizio di PP. Cappuccini fondato dal Granduca Ferdinando II, come un’iscrizione ivi avvisa.
    Del convento dei frati francescani Zoccolanti, esistente fuori della pora occidentale di Pietrasanta alla sinistra del Fiumetto ( Versilia ), si hanno memorie negli annali de’Minori del Vaddingo. Il quale dice, come in origine, nel 1493, nel vicino colle per i Francescani del terz’ordine coi beni lasciati da un’estinta famiglia dei Rossi (altri dicono di un Gamba) fu fondato in luogo salubre ed ameno un eremo con chiesa annessa sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. Ma pochi anni dopo il superiore di quel ritiro cedè i suoi diritti al magistrato comunitativo di Pietrasanta, per conto del quale, dopo essere stato fabbricato con maggiori comodi un convento in altro locale, si chiamarono ad abitarlo i frati Zoccolanti. Ma essendo quel nuovo claustro troppo vicino al fiume e temendo delle sue alluvioni e dell’umidità che quello apportava, i religiosi Zoccolanti riedificarono più lungi di là convento e chiesa, che a S. Francesco d’Assisi dedicarono.
    La chiesa è piccola, ma ricca di marmi; è a tre navate con 9 altari. Bello è pure il chiostro circondato da colonne con pavimento di marmo, dipinto all’intorno dall’Ademollo. Nel convento vi si trova una buona libreria.
    Rispetto allo spedale di S.Paolo di Pietrasanta segnato nel catalogo del 1260 esso esisteva fuori della Terra,
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    mentre dentro vi era quello de’SS. Filippo e Jacopo amministrato dai canonici regolari dell’ordine di S. Antonio di Vienna, dai quali nell’anno 1532 fu chiesto il beneplacito apostolico per allivellare o vendere alcune terre, siccome apparisce da un ordine dato nel 26 agosto dello stesso anno dal Cardinale Antonio de’Santi Quattro al preposto di S. Martino di Pietrasanta e al pievano di S. Stefano di Vallecchia di esaminare la dimanda di quei canonici e darle effetto tostochè avessero riconosciuto esser ciò a vantaggio dell’ospedale de’SS. Jacopo e Filippo di Pietrasanta. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del )
    L’oratorio di S. Francesca Romana della famigliti Masini-Luccetti all’unico suo altare ha una tela dipinta dal noto Carlo Maratta.
    Il Teatro è un piccolo ma grazioso edifizio fatto sulla fine del secolo XVIII da 12 famiglie di Pietrasanta che compongono la così detta accademia degli Acrostatici ; ma che ha bisogno di essere ampliato.
    La fonte pubblica, detta comunemente del Marzocco posta sulla gran piazza, fu rifatta allo spirare del sec. XVIII col disegno del Cav. Giuseppe Carli di Pietrasanta. Mancava a decorarla una statua, e questa si sta scolpendo in Roma dallo scultore pietrasantese Vincenzo Santini per rappresentare il Granduca LEOPOLDO II felicemente regnante, in memoria e riconoscenza di avere innalzato Pietrasanta all’onore di nobile città .
    Il Monte pio esistente in Pietrasanta fu aperto nel 1603 col capitale di lire 28000, capitale che nell’anno 1840 era aumentato sino alla somma di lire 40854.
    Fra le fabbriche pubbliche di Pietrasanta, quella della residenza della magistratura civica posta fra la chiesa collegiata e quella di S. Agostino merita la preferenza per la sua antichità. Già si è detto che questo palazzo era della nobil Famiglia lucchese di Perotto dello Strego, i cui eredi lo alienarono ai terzi, e quindi fu venduto alla Comunità. Nella qual circostanza omisi di annunziare, che nel palazzo d’Jacopo di Perotto dello Strego
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    nell’aprile e maggio del 1346 risedeva il Marchese Filippino Gonzaga quando egli nella qualità di arbitro tra la Repubblica Fiorentina, Luchino e Galeazzo Visconti da una parte e la Repubblica di Pisa dall’altra parte, stando in cotesto palazzo, nel 24 aprile di detto anno vi proferì un lodo, che poi fu pubblicato nel 15 maggio successivo. – (ARCH. DELLE RIFORM. DI FIR.)
    Fra gli uomini celebri Pietrasanta ha dato due egregi artisti in Stagio Stagi scultore esimio del secolo XVI, e in Lorenzo Stagi di lui padre che sotto il cardinale Calandrini nipote del Pontefice Niccolò V fece la facciata di marmo della ( ERRATA : Cattedrale di Pietrasanta) Cattedrale di Sarzana e la Cappella di S. Tommaso nella stessa chiesa. Anco il pittore Giovan Battista Digerini nel sec. XVII lasciò in Bologna qualche pittura che fu poi venduta per opera del Guercino.
    Fra quelli poi benemeriti della patria rammenterò Bartolommeo Righinucci auditore del S. Palazzo Apostolico, e cappellano domestico del Pontefice Leone X, a intuito del quale fu fondato il Monastero delle Clarisse di S. Leone, come da bolla del 1 luglio 1514, e forse anche il Righinucci influì affinchè col lodo del 1513 Pietrasanta restasse alla Repubblica Fiorentina.

    CENSIMENTO della Popolazione della Città di PIETRASANTA a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.
               
    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -; femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 380; totale della popolazione 1644.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 129; femmine 122; adulti maschi 116; femmine 176; coniugati dei due sessi 146; ecclesiastici dei due sessi 72; numero delle famiglie 273; totale della popolazione 761.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 441; femmine 324; adulti maschi 306; femmine 545; coniugati dei due sessi 905; ecclesiastici dei due sessi 56; numero delle famiglie 552; totale della popolazione 2577.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 408; femmine 364; adulti maschi 426, femmine 643; coniugati dei
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    due sessi 945; ecclesiastici dei due sessi 55; numero delle famiglie 618; totale della popolazione 2841

    COMUNITÀ DI PIETRSANTA. – La superficie territoriale di questa comunità occupa 13957 quadrati agrari, dal quali sono da detrarre 552 quadrati presi da corsi d’acqua e da pubbliche strade, come non soggetti ad imposizione prediale.
    Nel 1833 vi abitavano familiarmente 7752 individui, a ragione di circa 466 persone per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
    Questo territorio dalla parte di scirocco fino a grecale confina con quello della Comunità di Camajore del Ducato di Lucca; da grecale a maestro fronteggia col territorio delle Comunità granducali di Stazzema e di Serravezza; se non chè il territorio di quest’ultima interseca quasi di mezzo l’altro di Pietrasanta lungo il vallone inferiore della fiumana di Serravezza sino presso al lido del mare; da maestro poi fino a libeccio ha per limite il territorio lucchese di Montignoso, e finalmente da libeccio a scirocco confina col mare toscano.
    Che però dirimpetto a scirocco a partire dal littorale presso lo sbocco del fosso di M otrone , il territorio comunitativo di Pietrasanta fronteggia con quello di Camajore, da primo mediante il fosso dei Bagnetti , o del Confine col quale attraversa la strada postale di Genova; quindi per termini artificiali sale i poggi che sono a levante della Val di Castello sino alla sommità del monte della Maddalena, dove ha origine il torrente Baccatojo . Costì piegando direzione da grecale a maestro trova la Comunità granducale di Stazzema, con la quale percorre presso il crine del monte Gabbari e di là per quelli di S. Anna, dell’Argentiera e di Vallecchia sino a che sulla cima di quest’ultimo sottentra il territorio comunitativo di Serravezza. Costà l’altro della Comunità di Pietrasanta voltando faccia da grecale a maestro scende nella valle per entrare nella fiumana di Serravezza innanzi che questa si suddivida in
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    due rami, uno de’quali s’incammina a scirocco pel Fiumetto percorrendo l’antico letto della Versilia, mentre l’altro ramo diretto a libeccio conserva il nome di Serravezza . Mediante quest’ultimo, che passa la spiaggia, i territori delle due Comunità testè nominate fronteggiano nella direzione di libeccio fino all’antica via Emilia di Scauro, volgarmente appellata Via del Diavolo che trovano al Ponte di Tavola non molto lungi dal littorale fra il mare e l’attuale strada regia postale. A cotesto punto il territorio comunitativo di Pietrasanta piegando nella direzione di ponente percorre la Via del Diavolo di conserva con l’altro di Serravezza, sino al rio Buanazzara , il quale rimontano nella direzione di settentrione; finchè dopo attraversata la strada regia di Genova salgono sul monte Palatina fra quello di Ripa e il Salto della Cervia posto a ponente del poggio di Strettoia . Arrivati che sono sul fianco del monte Carchio presso una prominenza denominata Viticchio cessa il territorio della Comunità granducale di Serravezza e viene a confine dal lato di ponente-maestro quella lucchese di Montignoso. Con quest’ultima la nostra di Pietrasanta riscende dal monte Carchio nella direzione di libeccio passando per quello del Salto della Cervia , sotto al quale trova la pianura e il Lago di Porta che abbraccia costeggiandone la gronda occidentale finchè pel suo emissario arriva in mare.
    Il littorale fra la foce del Lago di Porta e lo sbocco de’fossi presso il diruto forte di Motrone, cioè per una lunghezza di circa sei miglia, appartiene tutto alla Comunità di Pietrasanta, compreso lo scalo al Forte de’Marmi chè quasi nel suo centro.
    Fra le strade rotabili oltre quella postale di Genova che passa in mezzo alla città di Pietrasanta, rettificata e
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    ampliata nel 1810, oltre la via regia pisana che per Motrone e Viareggio mena a Pisa, della quale fa parte la via nuova , cioè l’ampio stradone che si dirige da Pietrasanta a Motrone, attraversante il Fiumetto o fosso delle Prata sopra un ponte costruito un secolo e mezzo indietro a sbieco consimile a quello più grandioso eretto in questo secolo sulla Dora in Torino; oltre l’antica via Emilia di Scauro, conosciuta sotto il vocabolo attuale di via del Diavolo , che corre parallela al littorale, si contano alcune strade comunitative carrozzabili, come quella che da Pietrasanta guida a Serravezza, l’altra che da Serravezza per Querceta si dirige al Forte de’Marmi sulla spiaggia del mare; quella che staccasi dalla regia postale a Capezzano per entrare in Val di Castello, e qualche altro braccio di strada tracciato in varie direzioni nella pianura fra i monti e il mare.
    Del Lago di Porta ne fu parlato all’ Articolo LAGO o STAGNO DI PORTA, e a MONTIGNOSO Comunità . Forse torneremo a discorrerne al supplemento, se avrà luogo il progetto di una Società anonima per aprire costà presso un canale naviglio e intraprendere sulle limitrofe praterie una coltura speciale.
    All’ Articolo medesimo di MONTIGNOSO furono indicate le principali contese insorte rispetto ai confini territoriali fra la Comunità di Montignoso dello Stato lucchese e questa di Pietrasanta. In quanto poi a quelli dalla parte di Camajore provvide un lodo del Marchese Federico Gonzaga di Mantova del 12 febbrajo 1478.
    Col quale lodo i confini fra i due territorii furono i seguenti. Dal termine di pietra appresso Motrone, in cui è l’arme di Pietrasanta verso ponente e quella di Camajore verso levante e venendo per rettilinea fino alla fonte che esce sotto il Monte di Rotajo . Di
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    là dalla Via Francesca andando verso Pietrasanta fino alla Carraia di Cannoreto , che si chiama la Via Cava . Dopo seguitando la via di Cannoreto verso i monti rasentando la radice del Monte di Rotajo , infino che detta via volta verso il monte di Barga , e seguitando verso Monteggiori per Cannoreto , mediante detta via fino alla cima del monte di Banche . Quindi si scende per detta via verso Val di Castello finchè si discosta dalla radice del monte e ivi si metta un termine a mano destra.
    Fra i vari corsi d’acqua che attraversano il territorio Pietrasantino contasi la fiumana di Serravezza , la quale al luogo detto le Ghiare , per mezzo di pescaia, fu divisa sotto il governo di Cosimo I in due alvei e direzioni diverse, che una verso libeccio conserva il nome di Serravezza alla fiumana fino presso al Lago di Porta, l’altra verso scirocco che porta il vocabolo di Fiumetto , e più sotto di fosso delle Prata . Vi è finalmente il torrente Baccatojo che rasenta dal lato orientale il territorio Pietrasantino, e le cui acque riunite ad altri scoli e fessi di quella pianura venivano spesso a promiscuarsi con i flutti marini, in guisa che rendevano l’aria di Pietrasanta malsana e nociva a chi vi abitava nell’estate. Ma dopo aver nell’anno 1818 provvisto allo sbocco di cotesti scoli d’acque terrestri, mediante le cateratte a bilico costruite al Tonfalo e al fosso di Motrone la malsanìa in Pietrasanta maravigliosamente diminuì. – Vedere MONTIGNOSO e VIAREGGIO.
    Rispetto ai monti situati dietro le spalle di Pietrasanta, quello di Gabbari e del Carchio sono i più
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    elevati di tutti; ma la sommità del primo entra nel territorio comunitativo di Stazzema e quella del secondo spetta alla Comunità di Montignoso. Seguita per ordine d’altezza il monte di S. Anna sopra l’Argentiera, situato fra il Gabbari e il poggio di Pietrasanta a grecale di questa città.
    L’antico statuto di Pietrasanta riporta al libro IV una rubrica, nella quale si tratta di provvedere al fiume del Ponte Strada ( Fiumetto ) e ad altri minori scoli del territorio di Pietrasanta ivi nominati; fra i quali il Canale del Baccatojo quello della Pieve di S. Giovanni (in Val di Castello) la Carraia di Monte Rotajo, il canal di S. Giusto ; ed i rii di S. Salvatore , di Campiglione , di Solajo e di Strettoia . Ivi pure agli ufiziali di acque e strade della Comunità medesima si ordina di fare che sieno nette le pile dove viene nella piazza di Pietrasanta l’acqua di Campiglione ; così quella della fonte di fuori detta della Fontanella , e che le acque vi siano condotte per canali netti.
    Della struttura fisica de’monti del Pietrasantino fu data un’idea generale all’ Articolo ALPE APUANA, e più speciale si troverà agli articoli delle Comunità di CARRARA, MASSA DUCALE, MONTIGNOSO, SERRAVEZZA E STAZZEMA. Qui solamente avvertirò, qualmente sia la parte montuosa del territorio comunitativo di Pietrasanta consta quasi tutta di rocce calcaree in massa, oppure steaschistose, per quanto sembri che esse in origine siano state di natura assai diversa, cioè compatte e stratiformi alterate però e compenetrate da filoni e vene metallifere di ferro solfurato, ossidulato e ossidato, da vene di piombo argentifero, di mercurio solfurato e da molte altre promiscuità di metalli, in guisa che lo schisto
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    marnoso fu costà trasformato in ardesia, in steaschisto più o meno ricco di quarzo e di talco, tale infine da simulare talvolta il micaschisto e lo gneis.
    Così la roccia calcarea mostra di aver provato grandissime alterazioni, a partire dal calcare cavernoso, che costituisce le falde meridionali dei monti più vicini alla pianura, sino al calcare saccaroide, com’è il marmo statuario bianco dei monti più centrali del territorio di Massa, Carrara, Serravezza; ecc. mentre tra questi e quelli s’incontrano alle falde de’monti medesimi marmi meno puri e mischiati, oppure bardigli e brecce di vario colore.
    All’ Articolo ARGENTIERA fu detto, che fra le miniere della Toscana, dalle quali una volta si estraevano minerali di piombo per cavarne l’argento ivi contenuto, forse le piu famigerate erano quelle dell’ Argentiera in Val di Castello , miniere dalle quali prese costà il nome un castelletto distrutto ed una montuosità volgarmente conosciuta dal titolo di una chiesuola sotto il vocabolo di S. Anna. Anche i naturalisti Ulisse Aldovrandi e Andrea Bacci segnalarono l’ Argentiera Pietrasantina fra le miniere più singolari della Toscana, sia per l’antichità delle sue escavazioni, sia per la qualità del metallo; e più che altro per essere state le medesime all’età di que’due scrittori riaperte sotto i primi tre Granduchi di casa de’Medici.
    L’epoca dell’apertura, o dir si voglia della riattivazione delle miniere di argento comprese nel territorio comunitativo di Pietrasanta, risale al secolo XII, se non prima, tosto che di coteste escavazioni trovo fatta menzione in un lodo pronunziato li 13 maggio 1203 per terminare alcune vertenze fra i marchesi Malaspina con il vescovo di Luni da una parte, ed i nobili di Lunigiana e della Versilia loro feudatari dall’altra parte; nel qual lodo ai marchesi e vescovi suddetti fu riservata la terza parte del prodotto dell’ Argentiera della Versilia in Val Bona . Le stesse miniere non
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    meno che le altre del paese di Galleno che trovasi sul rovescio della stessa montagna, sono rammentate in un istrumento di consorteria del 9 ottobre 1219 fra i diversi Visconti di Corvaia e di Vallecchia, nel quale si dichiara che le Argentiere di Valbona e di Galleno toccavano di parte ai nobili di Vallecchia, mentre quelle situate nel distretto di Stazzema dovevano appartenere ai nobili di Corvaia. – Vedere CORVAIA
    A quell’ Articolo medesimo fu avvisato, che le miniere di piombo argentifero dell’ Argentiera fino dal sec. XIV erano state abbandonate, a cagione delle guerre che per l’acquisto di Pietrasanta costantemente agitarono la contrada della Versilia. – Pertanto nuovi e più estesi lavori per cavar minerali e marmi dal territorio pietrasantese si debbono al genio intraprendente di Cosimo I, che pare ambisse di far pompa dei prodotti mineralogici e litologici del suo Stato.
    Non è qui luogo di parlare dei mischi di Stazzema, nè del marmo statuario del Monte Altissimo, nè tampoco delle miniere di Val di Ruosina, e di Ripa , perchè i primi spettano all’articolo STAZZEMA, gli altri tutti a quello di SERRAVEZZA: dirò bensì delle miniere di Val Bona , ossia di Val di Castello, perchè comprese nel territorio comunitativo di Pietrasanta, dove nel secolo XVI risiedeva un provveditore ed un cassiere, o camarlingo, incaricati dell’amministrazione economica di tutti li scavi di quel vicariato, mentre rispetto alla soprintendenza e direzione delle miniere argentifere soprintendeva un maestro generale chiamato dalla Germania.
    Da quel prospetto riportato in quest’opera all’ Articolo medesimo fu indicato sommariamente l’ Entrata e Uscita delle miniere d’argento nel Pietrasantino sotto gli anni di maggiore lavorazione, cioè dal 1565 a tutto il 10 settembre del 1591, che fu l’ultimo di simile impresa. Da quel prospetto pertanto estratto dalle matrici e vacchette originali esistenti nell’Archivio del Monte Comune
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    di Firenze, risulta, che il prodotto maggiore dell’argento estratto in un anno dalle miniere di Pietrasanta fu di libbre 208 e once 10, e quello di piombo di libbre 13263; e che la spesa per ottenere i suddetti due minerali fu di lire toscane 32690.11.11. Altronde il minor prodotto di uno di quegli anni ivi riportato comparisce di libbre 84 e once 7 in argento, e di libbre 5354 in piombo, entrambi ottenuti con la spesa di lire toscane 31096.15.4.
    Calcolando pertanto il valore del piombo a lire 20 il 100 delle libbre, nel primo caso avrebbe dato un rimborso di lire 2652.–.–; mentre le libbre 208 e once 10 di argento, valutato lire 7 l’oncia sarebbero importate.  Lire 17542.–.–
    Totale dell’ Entrata , Lire 20194.–.–
    Totale dell’ Escita , Lire 32690.11.11
    Deficit
    in un anno, Lire 12496.11.11

    Nel secondo caso poi dal prodotto di libbre 5354 di piombo e di libbre 84 e once 7 di argento ottenuto con la spesa di lire 31096. 15. 4. risulterebbe:
    Per libbre 5354 piombo, Lire 1070.8.–
    Per libbre 84 e once 7 di argento, Lire 7105.–.–
    Totale dell’ Entrata , Lire 8175.8.–
    Totale dell’ Escita , Lire 31096.15.4
    Deficit in un’anno, Lire 22921.7.4

    Dopo la metà del sec. XVIII per conto di un colonnello inglese furono riaperte alcune escavazioni in coteste miniere, le quali però non ebbero resultato alcuno.
    All’ Articolo ARGENTIERA fu aggiunto come una società anonima era stata recentemente organizzata per l’intrapresa metallurgica delle miniere dell’ Argentiera e di Val di Castello , sperando che essa col fatto proprio avrebbe deciso, se fu giusta l’opinione invalsa presso alcuni storici del secolo XVI, che le
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    miniere , argentifere del Pietrasantino non corrispondevano col loro prodotto alla spesa.
    Negli statuti vecchi di Pietrasanta in seguito ad un rescritto del Granduca Ferdinando I del 20 gennajo 1590 (stile comune) circa il rinnovare la proibizione di tagliare legna nei boschi di Marina e di Montagna trovasi la seguente osservazione: “La proibizione di tagliar legna in Montagna non si trova, e pure è necessaria sendo vicina alla fabbrica dell’ argento la fabbrica del ferro , ed essendo quest’ultima costantemente condotta da particolari della Magona che cercano avere il carbone più comodo, così che anco di presente la fabbrica dell’ argento verrà a patire assai”.
    Giovanni Targioni Tozzetti nel T. VI de’suoi Viaggi a pag. 353 e segg. indica i luoghi principali donde la compagnia metallurgica del Paci a quella suddetta età cavava in Val di Castello la Vena del Ferro , cioè a Monte Arsiccio sopra i Forni di Vezzaglia , al Pansutero nel Monte di S. Anna, ecc. E giustamente quello scrittore congetturò che quella compagnia doveva fondere la vena di ferro col carbone di castagno “perchè, diceva egli, in cotesta montagna non si trova altro che castani ed alcuni pochi faggi nelle più alte e scoscese Alpi”.
    Ma l’escavazione del ferro nei monti di Pietrasanta è assai più antica, tostochè nel libro di Mercatura scritto nel 1442 da Giovanni di Antonio da Uzzano havvi un capitolo (57) che tratta del Ferro di Pietrasanta contado di Lucca , dicendo, che ivi si vende assai ferro in verghe e in più maniera, secondo a che lavoro lo vuoi, e vendesi a peso di là, cioè a migliajo, il quale torna in Firenze libbre 980. Costa là di primo costo fiorini 12 in 13 il migliajo
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    ecc. – (PAGNINI, Della Decima T. IV).
    Un rapporto generale sulle miniere dell’Argentiera e Val di Castello , accompagnato da 5 tavole litografiche relativamente ai lavori eseguiti in 18 mesi da una società anonima (dal principio del 1833 fino a tutto giugno del 1834) fu stampato in Livorno insieme ad una relazione storico-scientitica del Prof. Antonio Targioni Tozzetti. Cotesto dotto scrittore pertanto in quel libro opinava col dottissimo suo avo, il dott. Giovanni Targioni Tozzetti che niun profitto delle miniere argentifere del Pietrasantino sotto il dominio della casa Medicea non starebbe, a parer suo, a provare la povertà del minerale, mentre sappiamo che l’incapacità, e forse anche la malafede di chi presiedeva ai lavori furono le cause dello scapito che obbligò a dismetterne la lavorazione, tanto più che a questa impresa la scarsità dei lavoranti e dei mezzi impiegati non poteva, dare quel movimento necessario alle imprese grandiose di simil genere. Lo che pur dicasi con più ragione di quei particolari che anche dopo la casa Medicea con meschinissimi capitali di denaro e di sapere si esposero alla riattivazione di tali miniere.”
    Non indagherò il modo per cui la società anonima che nel 1833 imprese a riattivare con non piccola somma le escavazioni in Val di Castello sia cessata con enorme suo scapito. Forse una miglior fortuna saranno per incontrarvi coloro che sono succeduti a quella, se è vero che attualmente quei lavori siano per riescire più felicemente nel loro intento, onde decidere per sempre e senza altro appello sul tornaconto di cotesta industria metallurgica. Maggiormemnte proficue e più costanti sono le produzioni litologiche relative alla pietra brecciata, e al verucano che cavasi per uso di macini da mulini presso la base meridionale del Monte Petri , sotto il Rotajo e a piè di tutti quelli che stendonsi dai monti di Pietrasanta verso la spiaggia del mare.
    Anche più estesi e più generalmente efficaci
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    sono i prodotti sopra suolo che fornisce il territorio pietrasantino, tanto nella parte montuosa come nelle terre avventizie della sottostante pianura. Per quanto la porzione più elevata e più scoscesa dei poggi si trovi coperta e formata di rocce steaschistose, o calcaree massicce e conseguentemente spogliata in gran parte degli alberi e di piante fruttifere, vegetano però nelle sue convalli sopra il calcare cavernoso i castagni, le viti, i gelsi e gli ulivi, quattro varietà d’alberi che prosperano meravigliosamente non solo nella faccia meridionale dei monti del Pietrasantino, ma in tutta la pianura sino presso al lembo del mare. L’ulivo, che fruttificava in Versilia fino almeno dai tempi longobardici, cuopre una gran porzione del territorio di Pietrasanta, di tal maniera che questa pianta costà cresce gigantesca fra i massi pietrosi debolmente coperti da terra ocracea provenient dal loro detritus al pari che nella pianura. In questa contrada si tengono gli ulivi a bosco, o al più se gli fa provare una leggera potatura, stantechè la foltezza dei loro rami serve alquanto di riparo ai venti marini, e specialmente alle libecciate che bene spesso danneggiano e diminuiscono grandemente la maggiore risorsa territoriale di questa Comunità. Il monte sopra Pietrasanta è rivestito per ogni intorno di buone case di campagna, e di folte piante di ulivi riparate dai venti boreali, ma affatto esposte a quelli meridionali. Le vigne per altro se non mancano, sono molto meno frequenti degli ulivi; quelle maritate al pioppo formano festoni intorno ai campi della pianura, dove abbondano praterie naturali per allevare e nutrire vitelli, cavalli e pecore, e costà pure sono frequenti i poderi ed i campi seminati a granaglie, a piante leguminacee e filamentose, tramezzati da erbaggi e da frutta saporitissime.
    Clima di Pietrasanta . – L’aria di Pietrasanta venticinque anni fa era da fuggirsi in estate al pari di quella delle terme etrusche segnalate da Properzio. Le malattie della malaria, dalle quali furono afflitte le truppe
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    fiorentine che assediarono Pietrasanta nel 1484, la spopolazione a cui questa Terra trovossi ridotta sotto il governo Mediceo, e la fuga di costà dei possidenti e degl’impiegati nella calda stagione, fuga che durò fino alla nostra età, tutto ciò è bastato a dichiarare infame l’aria di Pietrasanta. Ma dopo che al ritorno sul trono avito del Granduca FERDINANDO III di concerto col governo lucchese furono fatte costruire le cateratte a bilico presso lo sbocco in mare degli scoli di acque dolci provenienti alla marina di Motrone da fosso del Baccatojo unito alle acque di una parte della fiumana di Camajore, a quelle del fosso del Confine , l’aria di Pietrasanta è migliorata a segno che rare si sono rese le febbri intermittenti, e niuna di quelle famiglie, o de’pubblici impiegati che una volta scasavano da Pietrasanta per andare a statare o nel sovrastante monte di Capriglia oppure a Serravezza, attualmente si muove da questa città potendovisi vivere sani quanto altrove.
    Non così gli abitanti della pianura marittima fra il Lago di Porta e Pietrasanta, giacchè tutti li scoli fra la fiumana di Serravezza ed il Fiumetto posti al di sotto del Ponte Rosso e del Ponte Strada ristagnano insieme con le Polle dette di Vaiana nei bassi fondi del Tonfano , comecchè al suo emissario fossero poste le cateratte a bilico contemporaneamente a quelle del fosso di Motrone. Non so se il male derivi dal difetto materiale delle cateratte che non faccino opportunamente la loro funzione, o se piuttosto dalle putride esalazioni di quei ristagni; so bensì che il Granduca LEOPOLDO I aveva comandato il bonificamento di cotesta contrada mediante le colmate. Della qual novità idraulica non comprendendo quei villici il benefizio, abbassarono tanti reclami al trono che quell’ottimo Principe fece sospendere il bonificamento incominciato, sinchè tornarono costà a infierire le febbri
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    intermittenti come accade nelle peggiori Maremme.
    Non manca in Pietrasanta un mercato settimanale, ( ERRATA : oltre tre principali fiere annuali) oltre quattro fiere annuali, le quali sogliono praticarsi nel 2 febbrajo, 16 giugno e 24 dicembre.
    La Comunità mantiene due medici e un chirurgo. Risiede in Pietrasanta un vicario regio che ha la giurisdizione civile anche sulla Comunità di Stazzema, e criminale sopra le Comunità di Pietrasanta, Seravezza e Stazzema.Vi è una cancelleria comunitativa che serve anche alle suddette tre comunità, un ingegnere di Circondario, un esattore del registro, ed un direttore della Posta delle lettere. Ha pure il suo quartiere in cotesta piazza di frontiera il capitano della prima compagnia del battaglione de’cacciatori di costa, la di cui ispezione si estende luogo il littorale dal forte del Cinquale fino al confine del vicariato e di là da Viareggio sino alla torre del Marzocco fuori di Livorno. – L’ufizio della conservazione delle Ipoteche e il tribunale di Prima istanza sono in Pisa.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di PIETRASANTA a quattro epoche diverse.
               
    - nome del luogo: Capezzano, titolo della chiesa: S. Rocco (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Lucca), abitanti anno 1551 n° 118, abitanti anno 1745 n° 386 (con la parrocchia di Val di Castello), abitanti anno 1833 n° 511, abitanti anno 1840 n° 585
    - nome del luogo: Val di Castello, titolo della chiesa: S. Felicita e S. Giovanni in S. Maria Maddalena (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Lucca), abitanti anno 1551 n° 474, abitanti anno 1745 n° 386 (con la parrocchia di Capezzano), abitanti anno 1833 n° 818, abitanti anno 1840 n° 877
    - nome del luogo: Cavriglia o fuori di Pietrasanta, titolo della chiesa: S. Salvadore (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Lucca), abitanti anno 1551 n° 154, abitanti anno 1745 n° 380, abitanti anno 1833 n° 1061, abitanti anno 1840 n° 1215
    -
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    nome del luogo: Cerreta (1), titolo della chiesa: S. Antonio Abate (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Lucca), abitanti anno 1551 n° 38, abitanti anno 1745 n° 96, abitanti anno 1833 n° 115, abitanti anno 1840 n°-
    - nome del luogo: PIETRASANTA, titolo della chiesa: S. Martino (Collegiata), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Lucca), abitanti anno 1551 n° 1644, abitanti anno 1745 n° 761, abitanti anno 1833 n° 2577, abitanti anno 1840 n° 2841
    - nome del luogo: *Vallecchia, titolo della chiesa: S. Stefano (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già di Luni), abitanti anno 1551 n° 493, abitanti anno 1745 n° 1735, abitanti anno 1833 n° 2914, abitanti anno 1840 n° 3177
    - Totale abitanti anno 1551 n° 1292
    - Totale abitanti anno 1745 n° 3808

    Annessi provenienti da chiese parrocchiali situate fuori della Comunità di Pietrasanta

    - nome del luogo: Querceta (S. Maria Lauretana), Comunità donde proviene: Serravezza, abitanti anno 1833 n° 1375, abitanti anno 1840 n° 1583
    - Totale abitanti anno 1833 n° 9371
    - Totale abitanti anno 1840 n° 10278

    (*) La parrocchia di Vallecchia negli anni 1833 e 1840 mandava nella Comunità limitrofa di Serravezza: anno 1833 n° 1599, anno 1840 n° 1739

    N. B. (1) La parrocchia di Cerreta dopo il 1833 fu assegnata alla Comunità di Serravezza.

    PIETRASANTA DI VERSILIA (città). –  Si aggiunga ai respettivi luoghi; dove si rammenta il Monastero di S. Salvatore fuori di Pietrasanta, ora semplice parrocchia, qualmente esso non era più abitato dalle monache nel secolo XI, tostoché nel diploma del 7 maggio 1040, spedito in Colonia, fra le concessioni date dall’Imperatore Arrigo III al Monastero di Monteverdi, vi si trovano compresi fra i beni di quella Badia anche la chiesa di S. Salvatore di Versilia, senza rammentare fra i possessi né il monastero, né le monache che un dì l’abitarono.
    Dove poi si parla della sentenza pronunziata
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    nel dì 8settembre 1513 rispetto a Pietrasanta dal Pontefice Leone X, si corregga figliuolo , e.si dica fratello di quello stesso Piero de’Medici ecc. Così alla pag. 230 Volume IV (ivi) parlando dei quadri esistenti nella chiesa di S. Agostino di Pietrasanta si corregga il casato del pittore Tolomei che fu un Tommasi da Stazzema.
    All’Articolo PIETRASANTA Comunità si aggiunga la nuova strada provinciale che sta tracciandosi fra Pietrasanta e Seravezza , della quale si tornerà a parlare agli Articoli VALLECCHIA e VIE PROVINCIALI. Fra gli uomini celebri in Belle Arti Pietrasanta ha dato uno scultore e intagliatore famoso in Stagio Stagi che per gusto e diligenza non ebbe pari. Fu figlio di Lorenzo di Stagio architetto e pur esso scultore che sotto il Cardinale Calandrini diresse i lavori della facciata della cattedrale di Sarzana, e l’altare di S. Tommaso dentro quel Duomo. Fra i buoni artisti della stessa famiglia coniasi un Giuseppe di Stagio Stagi che lavorò in Roma nel 1574 e nella Primaziale di Pisa, ed un Francesco Stagi che sotto il Pontefice Sisto V scolpiva un bel presepio in rilievo per la basilica di S. Maria Maggiore. Rammenterò un Fra Giacomo Spina che diresse sul declinare del secolo XV con Sebastiano fiorentino i lavori della chiesa di S. Agostino in Roma: un Domenico Bongi che fu pittore Raffaellesco, lodato dal Morrona; mentre fra i giureconsulti più distinti meritano essere ricordati un Leonardo ed un Pietro Gherardini primo de’quali fu eletto ambasciatore nel 1442 per trattare la pace tra i Genovesi e il re Alfonso di Aragona; ed il secondo più conosciuto dai giurisperiti per la sua Teoria legale .
    Dopo aver nominato fra i personaggi distinti di Pietrasanta quel Bartolommeo Pighinucci, aggiungerei il Cavalier Giov. Battista Nuli, che fu segretario di Stato sotto la
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    Regina reggente di Etruria, ajo del di lei figlio, e nel 1816 spedito a Roma per gli affari ecclesiastici dal Granduca di Toscana FERDINANDO II, che lo creò suo consigliere di Stato.
    Finalmente non debbo passare sotto silenzio la pietà di molti personaggi Pie-trasantesi, come fu quella del Cavalier Ferdinando Carli che nel 1633 assegnò il capitale per 8 doti di 50 scudi l’una da distribuirsi alle oneste e povere zittelle del vicariato. Non meno generoso fu un altro Cavalier Cosimo Carli , che nel 1781 stabilì un fondo di scudi 8000 capace dell’annua rendita di scudi 300 per conferirsi a tre giovani studiosi di Pietrasanta, ad oggetto che si recassero a compire gli studi in una delle città della Toscana fornite di università, e da poterne godere il frutto per il corso di dieci anni.
    Nel 1817 fu pure instituito in Pietrasanta uno stabilimento di beneficenza, il di cui capitale attualmente ascende alla somma di 26000 scudi circa.
    Finalmente Pietrasanta per venerato motuproprio del 12 agosto 1842 conta anch’essa una scuola di scultura; e con altro rescritto sovrano del 9 marzo 1845 si è conceduto alla stessa città una cassa di risparmio di seconda classe, la quale sarà attivata nel corrente anno 1846.
    Si correggano inoltre le fiere di Pietrasanta che sono quattro fisse, le quali cadono nel 17 gennajo, nel 3 febbrajo, nel 13 e 24 giugno, oltre una quinta variabile, che avviene nel sabato della settimana di Passione.
    La Comunità mantiene due medici e due chirurghi residenti tutti dentro la città.
    Ha pure il suo quartiere in Pietrasanta, oltre il capitano de’cacciatori di costa, un comandante della piazza, capitano di artiglieria, la cui ispezione sì estende lungo il littorale a partire dal forte del Cinquale fino al confine del Vicariato pietrasantese, e di là da Viareggio sino alla torre del Marzocco presso Livorno.
    Nel 1833 la COMUNITÀ DI PIETRASANTA noverava 7772
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    Abitanti e nel 1845 era Salita al Num. di 9104 individui, cioè:

    Capezzano, Abitanti N.° 625
    PIETRASANTA (Città), Abitanti N.° 3485
    Salvatore (S. fuori di Pietrasanta), Abitanti N.° 1287
    Val di Castello, Abitanti N.°  966
    Vallecchia (Pieve) ( porzione ), Abitanti N.°  1306

    Annessi

    Querceta; dalla Comunità di Seravezza , Abitanti N.° 1733
    TOTALE Abitanti N.° 9104


    FOSSO DELLE PRATA alla marina di Pietrasanta, altrimenti appellato Fiume Morto . – È un ramo, e anticamente l'unico alveo del fiume Versilia, che staccasi attualmente da quello di Seravezza alla base occidentale del monte di Vallecchia sotto il colle di Capriglia , per dirigersi verso scirocco attraversando la strada Regia di Genova sotto il così detto Ponticino di Pietrasanta.
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Localizzazione
ID: 3247
N. scheda: 40210
Volume: 2; 4; 6S
Pagina: 340; 216 - 237; 182 - 184
Riferimenti: 48000
Toponimo IGM: Pietrasanta - Fosso delle Prata (a S)
Comune: PIETRASANTA
Provincia: LU
Quadrante IGM: 104-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1598869, 4867930
WGS 1984: 10.23313, 43.95942
UTM (32N): 598932, 4868104
Denominazione: Pietra Santa, Pietrasanta - Fosso delle Prata, Fiume Morto
Popolo: S. Martino a Pietrasanta
Piviere: S. Martino a Pietrasanta
Comunità: Pietrasanta
Giurisdizione: Pietrasanta
Diocesi: (Lucca) Pisa
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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