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Dizionario Geografico Fisico
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Pieve S. Stefano

 

(Pieve S. Stefano)

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    PIEVE, PIEVINA, PIEVE VECCHIA, PIEVACCIA (Plebs). – Nomi generici rimasti a molte chiese battesimali di campagna abbandonate, le quali sebbene mancanti del titolo specifico ci richiamano per avventura, non dirò all’epoca dello stabilimento delle diocesi ecclesiastiche, ma sivvero all’età delle prime chiese sottomatrici, il cui distretto giurisdizionale servì più tardi di modello al perimetro civile delle respettive comunità. – Avvagnachè il pievano, come dissi all’Articolo BOSSOLO (S. PIERO in) era nel tempo stesso il rettore delle anime del suo piviere, ed il sindaco di quella stessa popolazione, ossia comunità. Così la casa di Dio serviva anche di sala comunitativa, e le campane della pieve chiamavano il popolo ad un doppio oggetto, cioè a cantare le glorie di Dio e a salvare nelle occorrenze dai pericoli la patria; Ad Dei gloriam et Patriae liberationem, tale si è il motto costante che leggesi scolpito in quelli strumenti sonori.
    Dondechè potrebbe giovare alla storia il rintracciare nei nomi generici di
    Pieve vecchia i luoghi dove il popolo, ossia la plebe di quel tal distretto soleva riunirsi per adempire ai doveri di cristiano e a quelli di cittadino. Quindi le suddivisioni delle chiese succursali, ossiano parrocchie suffraganee di ciascuna pieve nei secoli posteriori al mille servirono di norma a formare altrettanti comunelli, rappresentati da una di quelle piccole popolazioni, la riunione delle quali costituiva la comunità più o meno vasta a tenore dell’estensione di quel dato piviere.

    PIEVE SAN STEFANO (
    Plebs S. Stephani, una volta OPPIDUM VERONAE) nella Valle superiore del Tevere. – Terra murata che porta il nome dalla sua chiesa arcipretura con insigne collegiata, capoluogo di un’antica comunità (MASSA di VERONA, poi VISCONTADO DI VERONA) (ERRATA: residenza di un Vicario regio) già
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    residenza di Vicario Regio, e ora di un potestà, e di un ingegnere di Circondario, nella Diocesi di Sansepolcro, una volta di Città di Castello, Compartimento di Arezzo.
    Risiede sulla ripa destra del fiume Tevere alla confluenza del torrente (
    ERRATA: Arcione) Arscione che rasenta le sue mura dal lato occidentale mentre il Tevere le bagna dal lato orientale innanzi di passare sotto tre archi di un ponte di pietra, alla di cui testata destra esiste la Terra. Essa trovasi braccia 790 circa sopra il livello del mare, fra il grado di longitudine 29° 42’ 2’ e il grado di latitudine 43° 50’ 3’’, 9 miglia a settentrione-maestro di Sansepolcro, 10 a settentrione di Anghiari, 20 miglia a grecale di Arezzo, 14 a ponente, di Sestino, 7 miglia a scirocco del Sacro Eremo dell’Alvernia, e 12 miglia a ostro dalle sorgenti del Tevere.
    Io non ripeterò la vecchia tradizione invalsa fra molti che cotesto paese sia stato edificato dai Romani nella Massa Trabaria, chiamandolo SUPPETIA
    a suppeditando trabes; nè anche dirò che esso debba la sua origine agli Aretini, siccome altri supposero, appellandolo Castelfranco, cambiategli un secolo dopo il nome in quello di Castel S. Donato, e finalmente di S. Stefano titolare della sua chiesa plebana. Avvegnachè non solo mancano documenti sincroni per trovare a coteste leggende un qualche appoggio, ma è cosa certa che cotesto paese o non ebbe i nomi di sopra immaginati, o se uno ne ebbe, questo risale ad una età assai più antica, quando appellavasi Castel di Verona.
    A conforto di un tal vero prestasi ciò che fu annunziato agli Articoli BADIA TEBALDA e MASSA. VERONA, cui rinvio il lettore; tostochè nel primo rammentai una provincia
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    poco conosciuta nella Corografia italiana del Medio Evo, quella cioè dell’Alpi Appennine, decretata dall’Imperatore Giustiniano e descritta da Paolo Warnefrido nella sua opera De Gestis longobardorum. (Lib.II. cap. 15.). La qual provincia abbracciava la parte più silvestre e più centrale del nostro Appennino circoscritti fra Montefeltro, Urbino, Bagno e Sarsina sino alla foresta del Trebbio e compresovi il Castel di Verona.
    Anco all’Articolo CAPRESE aggiunsi, qualmente i primi dinasti del territorio della Pieve S. Stefano e di Caprese cominciano a comparire in un privilegio di Ottone I del di 7 dicembre dell’anno 967, dato in Ostia presso Roma, col quale furono confermati al nobile Goffredo figlio che fu d’Ildebrando i possessi delle corti d’
    Ivona (sic) posti nel contado aretino, quelli di Vivario, di Compito, di Clotiniano, di Cennina (sic) nel contado di Chiusi (casentinese), la corte di Paterno, la casa maggiore del Trivio posta nel detto contado aretino, e il feudo della Massa di Verona. Il distretto della qual Massa di Verona fu ivi indicato con i confini seguenti: da un lato la foresta che dicesi Caprile, dal secondo lato il territorio di Monte Feltro, dal terzo lato il distretto di Bagno, mentre dal quarto lato percorrono i suoi confini sino in Pietra Verna, e alle Calvane, (due sommità dell’Appennino che stendonsi da Camaldoli all’Alvernia).
    Per la quale descrizione mi sembrò consentaneo al vero ravvisare nel perimetro della
    Massa di Verona il distretto comunitativo della Badia Tedalda, della Pieve S. Stefano e di quello di Caprese.
    Resta
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    soltanto a sapere, se quel Goffredo fedele di Ottone I fu o no discendente de’conti di Galbino, di Caprese, di Chiusi, di Montedoglio, ecc. I quali dinasti si sa che sino dal secolo XI dominavano in cotesta contrada, quando erano patroni della pieve di (ERRATA: Stantino) Stratino, fra Caprese e la Pieve S. Stefano, della badia di S. Maria a (ERRATA: Decciano) Dicciano, e di molte altre chiese della stessa contrada. – Vedere ANGHIARI, BADIA A (ERRATA: DECCIANO) DICCIANO, e TIFI, CAPRESE, ecc.
    In qual modo poi il territorio della Pieve S. Stefano portasse il nome del capoluogo, ossia della
    Massa di Verona, frustanee riescirono finora le ricerche, nè alcuna iscrizione o medaglia, o altra memoria anteriore al secolo XII concorre a schiarirne il dubbio. Infatti, se nelle carte della Badia di S. Maria a (ERRATA: Decciano) Dicciano sotto Caprese sino dall’anno 1080 (22 marzo) e 1082 (12 marzo) rammentano giurisdizioni e diritti che i nobili di Chiusi, di Anghiari o di Galbino avevano in molti luoghi del distretto di Caprese, della Pieve e della Badia Tedalda, dove si parla del padronato della chiesa plebana di (ERRATA: Stantina) Stratina e di altre cappelle, non vi è però rammentato nè il paese nè la chiesa della Pieve S. Stefano. Di questa pieve bensì è fatta parola in un privilegio del Pontefice Innocenzo III del 13 maggio 1198 a favore del Monastero stesso di S. Maria in (ERRATA: Decciano) Dicciano, cui confermò tutte le possessioni e chiese state dagli antichi patroni a prò di quello rinunziate fra le quali è nominata la pieve di S. Cassiano (di
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    Stantina ossia di Caprese) e quella di S. Stefano presso il Tevere con le corti di Pietra Nera, di Mignano e di Siutigliano unitamente alla sua chiesa di S. Giorgio.
    Che poi cotesta Pieve di S. Stefano fino dai primi anni del secolo XIII avesse il titolo di arcipretura, lo dichiara un diploma di Federigo II del novembre 1220 dato in Monte Mario presso Roma, del quale conservasi copia nell’Archivio Vescovile di Città di Castello nel libro detto de’Quinterni a carte 241. Il diploma di che si tratta è diretto a Guido arciprete della Pieve di S. Stefano della diocesi Castellana, col quale volendo l’Imperatore migliorare lo stato di essa chiesa ed i suoi effetti, dichiara di prendere la medesima sotto la protezione imperiale assegnando all’arciprete la terza parte dei proventi del mercato e del pedaggio solito esigersi in qualsiasi luogo del suo pievanato, ec.
    Di epoca alquanto posteriore al diploma suddetto sono i primi statuti della Pieve S. Stefano, e dei castelli e ville della
    Val di Verona, i più antichi dei quali portano la data dell’anno 1269.
    Dai documenti testè citati apparisce che la Pieve S. Stefano probabilmente sino dalla sua origine doveva dipendere per l’ecclesiastico dai vescovi della Città di Castello, mentre dal diploma del 7 dicembre si scuopre che la contrada della
    Massa di Verona era soggetta pel civile e criminale, siccome lo fu nei secoli posteriori, al comune di Arezzo.
    Quindi si spiega la ragione, per la quale i Borghesi uniti con i Perugini signori di Città di Castello nel 1269 assalirono, presero e atterrarono gran parte del castello della Pieve S. Stefano, dondechè gli Aretini nell’anno stesso assistiti dai loro amici corsero in Val Tiberina ad assediare il Borgo S. Sepolcro, in guisa che costrinsero gli assediati a
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    soggiacere a condizioni di pace un poco dure, fra le quali si conta che fosse quella di rifare alla Pieve S. Stefano il ponte e la chiesa principale in gran parte stata da essi poco innanzi disfatta, con obbligo di recare annualmente ad Arezzo il tributo del palio nel giorno della festa di S. Donato. – (ANNAL. CAMALD. T. V)
    Nel tempo stesso gli Aretini concessero agli abitanti della Pieve S. Stefano larghe capitolazioni, e l’approvazione dello statuto parziale che si erano dati.
    Per modo cha si può dire che il territorio della Pieve S. Stefano offre per avventura un esempio simile a quello che si scuopre fino dall’anno 712 nella controversia insorta fra il vescovo di Arezzo e il vescovo di Siena, quando, cioè molte pievi della diocesi aretina facevano parte del contado senese; nella stessa guisa che nei secoli intorno al mille la diocesi di Città di Castello annoverava diverse pievi dentro il contado aretino.
    Era il distretto della Pieve S. Stefano sotto il governo di Arezzo quando Guido Tarlati vescovo e capitano generale degli Aretini unitamente al di lui fratello Pier Saccone s’impadronì di tutti i paesi della Val Tiberina, conquista che quei due valent’uomini, dopo aver soggiogato e oppresso i conti Ubertini, quelli di Montedoglio e Caprese, Neri di Uguccione della Faggiuola e molti altri dinasti di quella contrada, rivolsero a profitto della propria casa. Quindi avvenne che i nobili della stirpe Tarlati divennero signori di un vasto principato. Infatti dall’anno 1325 in poi nella Terra di Pieve S. Stefano risedeva un visconte che, a nome di Pier Saccone Tarlati signore del luogo, faceva ragione sopra gli uomini di tutto il
    Viscontado di Verona o della Val di Verona.
    Allorchè poi Pier Saccone e Tarlato suo fratello col trattato del 7 marzo 1337
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    (stile comune) sottomisero per dieci anni alla Signoria di Firenze Arezzo con tutti i paesi del suo contado, furono eccetuate da quella convenzione le terre e castella di dominio speciale de’Tarlati, le quali non erano meno di 50, col patto espresso che i Fiorentini fossero obbligati a difendere e mantenere a Pier Saccone ed ai suoi consorti tutti i loro castelli e giurisdizioni.
    Ma non corse molto tempo dacchè Pier Saccone in compagnia di altri della famiglia Tarlati tentò di ribellarsi dal Comune di Firenze; e ciò accadde poco prima che arrivasse e fosse accolto dai Fiorentini quasi in loro principe Gualtieri duca d’Atene. Appena che questi fu dichiarato signore generale di quella Repubblica tutti i popoli di sua giurisdizione, compresi quelli dell’aretino contado, dovettero inviare per mezzo dei loro sindaci il giuramento di fedeltà e ubbidienza al duca di Atene; tra i quali furonvi anco i paesi del
    Viscontado di Verona, ossia del territorio della Pieve S. Stefano.
    All’Articolo
    MASSA VERONA furono accennati tre istrumenti del 16 ottobre, 8 e 15 dicembre 1341, coi quali gli uomini de’castelli di Valsavignone, di Calanizza, di Sintigliano, di Cardonico, di Bulciano e Bulcianello compresi nel Viscontado di Verona, contado di Arezzo, nominarono i respettivi sindaci ad oggetto di recarsi a Firenze a giurare per essi fedeltà e obbedienza al duca Gualtieri come signor generale delle città di Firenze e di Arezzo e respettivi contadi.
    Ma dopo la cacciata del duca d’Atene gli Aretini essendosi emancipati dalla dipendenza de’Fiorentini, anche ai Tarlati di Pietramala riescì di riprendere il dominio delle loro terre e castella, fra le quali questa della Pieve S. Stefano. Sennonchè nel 1360 essendo stati i Tarlati potentemente
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    assaliti nei loro castelli dalle armi fiorentine e specialmente in Bibbiena, dove si erano più che altrove fortificati, la caduta di cotesta terra forte portò dietro la rovina di quella potente famiglia aretina.
    Avvegnachè, non solo il castel della Pieve S. Stefano, ma la rocca di Chiusi, dentro la quale era Guido figliuolo di Pier Saccone, e tutti i paesi della Val Tiberina superiore che ubbidivano alla consorteria de’Tarlati si ribellarono da essa per darsi di nuovo al Comune di Arezzo, cui erano stati quei castelli per antico diritto dall’Imperatore Carlo IV con diploma del maggio 1356 confermati.
    Contuttociò riescì ai Tarlati di rientrare al dominio della Pieve S. Stefano, siccome lo dimostra il fatto accaduto nei primi giorni dell’anno 1385, poco dopo cioè che la Repubblica Fiorentina aveva riacquistato per compra la città di Arezzo col suo contado, quando fu cura dei Dieci di Balia di guerra d’inviare nel territorio aretino una mano di gente armata per riconquistare quelle castella che i Tarlati, gli Ubertini ed i conti di Montedoglio occupavano nel contado e giurisdizione di Arezzo, nelle di cui ragioni era sottentrato il Comune di Firenze. Infatti gli uomini della Terra di Pieve S. Stefano nel 6 di gennajo del 1385 (stile comune) si erano dati volontariamente alla Repubblica Fiorentina e nelle capitolazioni concesse loro nel dì 10 del mese medesimo fuvvi la condizione, che niuna persona della famiglia Tarlati, nè di quelle della Faggiuola, nè de’conti di Montedoglio e degli Ubertini, le quali nel tempo indietro ebbero dominio in varie castella della
    Val di Verona, potesse stare e nemmeno entrare nella terra suddetta.
    Non corse gran tempo che la Signoria di Firenze approvò li statuti privati del castello della pieve di S. Stefano, e degli altri luoghi e ville del suo distretto, designato sempre col nome di
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    Val di Verona. Dondechè in alcune rubriche di quello statuto si rammentano gli uomini del Castel di Verona, aut de aliqua terra Veronae, vel alicuius Universitatis in Castro Plebis, et mercatali ipsius Catri; etiam in castris et villis aliis Veronae, ecc. ecc.
    Cotesta unione del territorio di Verona, ossia delle ville e castella del distretto comunitativo della pieve S. Stefano sotto un solo giusdicente o potestà dovè accadere dopo le pratiche seguenti.
    Sotto dì 18 gennajo 1391 (
    stile comune) nel castel della pieve S. Stefano fu stipulato un mandato di procura degli uomini della comunità di Pietra Nera della Val di Verona nella persona d’Jacopuccio di Vaglione di detto comunello affinchè si presentasse in firenze all’uffizio de’Priori delle arti e Gonfaloniere di giustizia per chiedere l’unione del comunello di Pietra Nera alla giurisdizione e comunità della Pieve S. Stefano.
    Anche nel dìì 11 aprile del 1399 il comunello di
    Acqua Fredda nel distretto della Val di Verona, e nel 21 maggio del 1403 gli uomini della Val di Verona abitanti nel castel di Roti, contado di Arezzo, e allora distrettuali di Firenze, adunati in consiglio stabilirono di fare al governo la domanda della stessa unione al capoluogo. – Vedere MASSA VERONA.
    In questo frattempo si era affacciato uno degli antichi pretendenti sopra alcuni paesi della Val di Verona, don Gregorio abate del Monastero di S. Maria del Trivio nella Comunità di Verghereto, Diocesi di Sarsina, il quale con istrumento del 20 dicembre 1392 stipulato nel Castello di Savignone protestò che appartenevano al suo monastero a titolo di reversione alcuni diritti sopra le corti di
    Bulciano e Bulcianello, del Castellare, di Cirignone, Calaniccia,
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    Fratelle, Vol Savignone e altrove.
    Ma simili proteste riescirono senza effetto, tostochè le ville e popolazioni prenominate per deliberazione della Signoria di Firenze del 39 aprile 1399 furono riunite con la denominazion di Val di Verona sotto un solo potestà residente nella Terra di Pieve S. Stefano.
    A cotesta unione dei vari comuni del
    Viscontado di Verona, sono una sola magistrutura civile potrebbe riferire un bel sigillo della Comunità della Pieve S. Stefano, di cui si servono da gran tempo gli arcipreti di quella chiesa collegiata. Avvegnachè esso ha nel mezzo sopra un fiume (il Tevere) la figura in piedi del santo protomartire con banderola nella sua destra, nella quale è scolpito il marzocco, stemma della Repubblica Fiorentina. Sopra entrambe le ripe del fiume figurano due castelli, uno a tre, l’altro a due torri, per dimostrare, io suppongo, il patrocinio del santo Levita sopra tutti i castelli della Val di Verona tanto alla destra, come è quello della Pieve S. Stefano, quanto alla sinistra del fiume, come sono i Castelli di Val Savignone, di Roti ecc. Nel contorno poi del sigillo leggesi in lettere romane di ottima forma la seguente iscrizione:
    S. UNIVERSITATIS VERONE DISTRICTUS ARETII
    Solamente dovrebbesi sostituire
    Comitatus al Districtus Aretii essendochè 1’Università ossia la Comunità di Verona era compresa nel contado di Arezzo, distretto bensì di Firenze.
    In grazia pertanto di cotesta unione il potestà che risedeva nella Terra della Pieve S. Stefano, sino al secolo XVI, esercitò la giurisdizione civile, sopra tutto il territorio della
    Val di Verona, il quale rispetto alla giurisdizione criminale e politica dipendeva dal Vicario d’Anghiari, di che fa fede per tutti lo statuto fiorentino dell’anno 14l5.
    Nel balzello poi che fu imposto dal Comune di
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    Firenze nel 1444 la potesteria, ossia il distretto della Pieve S. Stefano venne gravato nella somma di 90 fiorini d’oro, 75 de’quali toccarono al capoluogo.
    All’occasione della sedizione degli Aretini accaduta nel giugno del 1502 quando fu accolto nella loro città Vitellozzo Vitelli con numerosa oste fra i quali molti fiorentini fuorusciti col pretesto di rimettere la casa de’Medici in Firenze, cotesta ribellione contro il governo della Repubblica si tirò dietro anco la perdita di Anghiari, del Borgo S. Sepolcro, della Pieve S. Stefano, di Caprese e di altri paesi della Val Tiberina, sebbene di li a non molto gli uomini della Pieve e del suo distretto ritornati alla devozione della Signoria di Firenze, rinnovassero l’atto di sottomissione, che fu accettato senza pregiudizio dell’antecedente dominio.
    Di un’azione valorosa fatta dagli abitanti della Pieve parlano le storie del Varchi e del Guicciardini all’anno 1527, quando il duca di Borbone coll’esercito imperiale dirigendosi dall’alta Italia verso Roma attraverso l’Appennino il più malagevole della Toscana, passando per Bagno e Verghereto, di la penetrò nella Valle superiore del Tevere alla Pieve, al di cui castello non trovando facile accesso diede due volte l’assalto. Ma per la virtù di Antonio Castellani che vi era commissario per la Repubblica Fiorentina fu da quegli abitanti animosamente difeso. – (B. VARCHI,
    Istor. fior. Lib. II.)
    Caduta però nel 1530 Firenze in potere dei Medici, anche la Pieve S. Stefano inviò i suoi rappresentanti a giurare obbedienza al duca Alessandro, il di cui successore eresse la Pieve S. Stefano in capoluogo di un Vicariato come dalla legge del 31 dicembre 1545 apparisce. Dopo quell’epoca gli abitanti della Pieve e di tutto il suo vicariato, da cui dipendeva per il criminale la potesteria di Caprese e Chiusi, siccome ora vi dipende unche per il civile
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    la Comunità di Verghereto, da quell’epoca in poi gli uomini di cotesta contrada si sottomisero tranquilli allo Stato politico di Firenze.
    Chiese e Stabilimenti pii. – La chiesa principale, il di cui parroco fino dal secolo XII godeva il titolo di arciprete, fu eretta in collegiata insigne nel 1569 al tempo di Monsignor Niccolò Tornabuoni secondo vescovo della città di San Sepolcro. Il materiale della medesima per verità non corrisponde alla sua dignità, meritando di essere ingrandito ed ornato, molto più che alcuni altari sono forniti di buone pitture. Citerò fra questi un quadro della Misericordia dipinto, al parere dei più, da Piero della Francesca; il quadro della Natività attribuito al Ghirlandajo; le pitture della passione sotto l’immagine del Crocifisso al suo altare, che stimansi di Raffaellino dal colle, ed un quadro di S. Lucia creduto di Luca Signorelli di Cortona.
    Ma una pittura di maggior pregio trovasi nella chiesa della Madonna de’Lumi de’Minori Osservanti fuori della Terra, consistente in due tavole alte circa un braccio e lunghe braccia tre per cadauna rappresentanti una processione di Angeli e dipinte da Santi di Tito; il che potrebbe revocarsi in dubbio per quanto a tergo delle medesime sia stato scritto il suo nome, mentre alcuni periti dell’arte giudicarono quell’opera fatta da un più squisito pennello come fu quello di pierino del Vaga.
    La chiesa della Madonna de’Lumi è a croce greca piuttosto grande e svelta con cupola. Fu edificata con le oblazioni del popolo raccolte dal 1589 al 1625. Vi è annesso un claustro, dove la Comunità chiamò i Frati Cappuccini, cui nel 1783 sottentrarono ai Padri Zoccolanti, i quali vi hanno raccolto una buona biblioteca ricca di varie edizioni del secolo XV.
    Anche nella compagnia di S. Francesco dentro la Terra trovasi all’altar maggiore un gran quadro di terra
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    in vernice bianca e di rara bellezza fatto dai nipoti di Luca della Robbia. Esso rappresenta la Nostra Donna in mezzo ad una gloria d’angeli e più in basso quattro santi con il nome da piedi di tre fratelli Tronconi della Pieve S. Stefano che lo fecero fare nell’anno 1514. Anche la facciata del palazzo pretorio è adornata di molti stemmi di terra della Robbia relativi ai varii giusdicenti fiorentini che vi risederono nei secoli trapassati. Davanti allo stesso pretorio havvi una copiosa fonte con gran vasca, in cui esistono sebbene guaste le due figure di Gesù Cristo e della Samaritana formate pur esse di terra della Robbia.
    Il monastero delle Clarisse soppresso nel 1808, era stato edificato nell’anno 1514 con le oblazioni dei fedeli, e con l’elemosine elargite dalla Comunità della Pieve, la quale donò anco il terreno per fabbricarvi la clausura.
    Gli statuti della Pieve S. Stefano rammentano un ospedale esistito fuori del paese, da lunga mano soppresso.
    Il castellano di cotesta Terra murata nello statuto fiorentino del 1415 è classato fra quelli di secondo grado. (
    Lib. III. Tract. II. Lib. V Rubric. 172).
    Esiste ancora gran parte del recinto delle sue mura corredate di baluardi con qualche torre sopra le quali sono state edificate e appoggiate diverse abitazioni private.
    Il fabbricalo della Terra nella parte superiore è decente anzi che no, le sue strade sufficientemente larghe, ma poco bene lastricate e non molto nette le strade inferiori abitate da povera gente in casupole a scapito della salubrità dell’aria.
    Alla Pieve S. Stefano non mancarono personaggi distinti; il fare però di tutti menzione non consente un articolo di Dizionario. Pure merita di esser nominato un P. Giovan Battista di Lodovico Tavanti nato in cotesta Terra
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    li 14 aprile l547, che di 11 anni entrò novizio fra i PP. Serviti dove si distinse a segno che fu fatto profossore nell’Università di Pisa, poi generale del suo ordine, chiamato per antonomasia il gran teologo dell’Italia. Egli mancò in Pisa li 6 agosto 1607. Furono pure della Pieve un Tronconi medico assai colto, autore di un’opera intitolata De peste et morbo pestilentiali, un Evangelisti che scrisse un opuscolo de Luce nel tempo stesso che Newton ideava teorie affatto conformi; un Ridolfo Cupers arciprete della sua patria e autore di un’opera che ha per titolo: Comment. ad Cap. oportebat. Diss. 79. Di esso fu fatto un breve elogio nel secolo attuale dal suo concittadino canonico Francesco Mercanti nell’Appendice al T. II del Diritto Canonico, opera di quest’ultimo letterato assai presto rapito alla patria. Non starò ad aggiungere un D. Paolo Salvetti archiatro pontificio, un P. Angelo Salvelti generale de’Minori Osservanti, un P. Fortunati Brazzini, un avvocato Alessandro Zabagli e molti altri uomini eruditi che fiorirono in questi ultimi tempi ed ebbero i natali nella Terra della Pieve.

    CENSIMENTO della Popolazione della Terra di PIEVE S. STEFANO a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -; femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 326; totalità della popolazione 1485.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 138; femmine 143; adulti maschi 143; femmine 252; coniugati dei due sessi 324; ecclesiastici dei due sessi 78; numero delle famiglie 229; totalità della popolazione 1078.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 235; femmine 238; adulti maschi 187; femmine 294; coniugati dei due sessi 492; ecclesiastici dei due sessi 24; numero delle famiglie 324; totalità della popolazione 1470.
    ANNO
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    1840: Impuberi maschi 210; femmine 222; adulti maschi 268, femmine 288; coniugati dei due sessi 584; ecclesiastici dei due sessi 25; numero delle famiglie 340; totalità della popolazione 1597

    Comunità della Pieve di S. Stefano. – Il territorio di questa Comunità occupa una superficie di 43944 quadrati dei quali 1561 sono presi da corsi di acqua e da strade. Nel 1833 vi abitavano 3646 individui, a ragione di quasi 70 persone per ogni mikglio quadrato di suolo imponibile.
    Confina con sei Comunità. A partire dalla ripa sinistra del fiume Tevere, a ostro-scirocco del capoluogo, ha di fronte la comunità di Sansepolcro mediante il torrente
    Tignana che rimonta dalla sua foce nel Tevere sino verso l’Alpe della Luna dove lo abbandona per entrare in un suo confluente destro, il torrente Grillana, ch’è dirimpetto a grecale. Giunti con questo presso la cime del monte i due territori entrano in un borro, mercè cui voltando faccia da grecale a maestro arrivano nel fosso del Bagnolo, e di là contr’acqua le due Comunità di fronte a levante e poi a grecale corrono sino alla sommità dell’Alpe della Luna. Costà sopra entra a confine il territorio della Comunità di Badia Tedalda, col quale l’altro della Pieve S. Stefano prende la direzione di maestro lungo il vertice dell’alpe della Luna, e dopo avere attraversato il giogo di Viamaggio, sale i poggi di Cerbajolo e delle Calbane passando sopra le sorgenti del Colledestro, per arrivare sul Poggio della Zucca. In questa sommità il territorio della Pieve S. Stefano piegando la fronte a settentrione percorre la giogana sino al poggio de’Tre Vescovi e di là alla sorgente del fosso dell’Isola. Ivi cessa la Comunità
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    della Badia Tedalda e viene a confine quella di Verghereto, con la quale l’altra della Pieve, mediante il fosso del Pian di Guglielmo, scende nel letto del Tevere. Varcato il fiume il territorio della Pieve si dirige da ponente a maestro per salire sulle spalle del poggio del Trivio e di là presso la sommità dell’Appennino del Bastione. A questo punto le due Comunità prendono la direzione di ostro per correre lungo la criniera dell’Appennino che va dal Bastione verso l’Alvernia, nel cui tragitto viene a confine la Comunità di Chiusi casentinese. Quest’ultima ha dirimpetto a levante la Comunità della Pieve con la quale prosegue a dirigersi a ostro passando sopra le sorgenti della fiumana Singerna, che serve ad entrambe di confine, sino a che il territorio comunitativo della nostra, piegando da ostro a scirocco cavalca la Singerna, sulla cui ripa destra trova la Comunità di Caprese. Con quest’ultima l’altra della Pieve dirigendosi a levante scorre la cima dei poggi posti fra la Singerna e il torrente Ancione fino al poggio della Croce di Stantino dirimpetto e assai da vicino alla Terra della Pieve.
    Allora il territorio di questa Comunità formando un angolo quasi retto da levante a ostro percorre i colli che fiancheggiano la destra del Tevere finchè entra nella strada vecchia aretina; quindi inoltrandosi per la via anzidetta nella direzione di libeccio ritrova la
    Singerna, mediante la quale la Comunità della Pieve continua a fronteggiare con quella di Caprese sino a che attraversata la fiumana sotto Collalto sottentra a confine la Comunità di Anghiari. Con questa la Comunità della Pieve si dirige da libeccio a levante sul Tevere che trova alla confluenza della Singerna, avendo quasi dirimpetto lo
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    sbocco del torrente Tignana, al qual punto ritorna a confine la Comunità della città di San Sepolcro.
    Fra le strade provinciali rotabili che attraversano il territorio della Pieve S. Stefano vi è quella Val Tiberina che scende dall’Alvernia al capoluogo della Comunità e di là lungo la ripa sinistra del
    Tevere si dirige a San Sepolcro.
    Un’altra strada provinciale, la
    Traversa di Sestino è stata decretata, la quale si staccherà dalla prenominata nelle vicinanze della Pieve per cavalcare l’Alpe della Luna e di là per Viamaggio incamminarsi a Sestino fino oltre il Montarone sul confine dello Stato pontificio. – Vedere SESTINO Comunità.
    Tutte le altre vie sono comunitative poco o punto rotabili. Tale mi parve la strada vecchia per Anghiari e per Arezzo; tale è quella che rimonta il fiume Tevere per condurre alle Balze e a Verghereto; tale l’altra che guida a Caprese ecc. Io non farò parola della supposta strada antica che alcuni idearono percorsa da Annibale e dal numerosoo suo esercito innanzi la famosa battaglia del Trasimeno, inviando il curioso lettore alla dissertazione del Guazzesi sulla marcia di Annibale per la Toscana, e all’
    Articolo APPENNINO TOSCANO del presente Dizionario.
    Fra i corsi d’acqua, il maggiore di tutti, è quello del Tevere, per quanto questo fiume nel territorio della Pieve dirizzi il suo povero cal[…]e in guisa da porsi nella classe dei torrenti con precipitose cadute, massimamente nella parte montuosa superiore al capoluogo di quella Comunità. Sono suoi principali influenti, a sinistra i torrenti
    Isola, Colledestro, Canigiola e Tignana; e nel lato destro i torrenti Cananeccia, Ancione e Singerna; senonchè quest’ultimo lambisce interpolatamente i confini occidentali del territorio comunitativo della Pieve.
    Il
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    distretto territoriale di questa Comunità è quasi tutto coperto di montuosità; quelle che lo accerchiano da levante a settentrione e di là verso ponente fanno parte delle più elevate ramificazioni dell’Appennino centrale. Sono di questo numero l’Alpe della Luna che si alza a 2314 braccia sopra il mare Mediterraneo; il Poggio della Zucca, la cui sommità è a 2131 braccia; il Monte Moline a 1988 braccia, e la Penna dell’Alvernia a 2530 braccia. I primi due si alzano a levante, gli altri due a ponente del Tevere, mentre a mezzodì del capoluogo il monte più elevato è quello della Croce di Stantino compreso fra le diramazioni subalterne, il quale non è più di 1232 braccia superiore al mare. – Non si conosce quale sia l’elevatezza del poggio di Tre Vescovi, nè dell’Appennino del Bastione, il primo de’quali è superiore al Poggio della Luna, e l’altro a quello dell’Alvernia.
    Importantissimo per lo studio delle scienze naturali mi sembra il territorio di cotesta parte centrale dell’Appennino toscano, sia che si riguardi alla struttura fisica del suolo, sia alla qualità delle piante alpine che costà vivono e fioriscono.
    Rapporto alla struttura fisica, assai limitata è la linea da me percorsa nel territorio in questione, dove maggior tempo e maggiori lumi vi abbisognerebbero di quelli che io mi avessi, quando nell’ottobre del 1832 trapassando dal Monte Coronaro, da quello della Cella di S. Alberico e dai così detti
    Sassoni dietro il monte Fumajolo, presi breve riposo alle sorgenti del Tevere, fiumicello che nasce fra potenti strati di macigno nella faccia meridionale del monte Fumajolo, circa mezzo miglio a settentrione-maestro dalla pieve delle Balze. – Vedere BALZE (S. MARIA ALLE) e FUMAJOLO (MONTE)
    Proseguendo dalle Balze
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    il cammino nella direzione di libeccio al Poggio de’Tre Vescovi si entra nella giurisdizione della Pieve S. Stefano, dove si toccano quelle ecclesiastiche di tre Diocesi, cioè, di Sarsina, di Montefeltro e di San Sepolcro.
    A cotesto monte si accodano verso ostro il
    Poggio Cerbajolo e quello della Zucca. Costà hanno origine le fonti più remote del fiume Marecchia, e da quella cima l’occhio percorre le valli più alte ed alpestri del Tevere e della Marecchia fino al monte Coronaro, sul cui rovescio settentrionale nasce il Savio. Si vede a maestro l’Appennino del Bastione e di Camaldoli, nella cui faccia occidentale sorge l’Arno. Dal lato poi di grecale sorgono i monti di Carpegna e di Monte Leo a piè de’quali passa la Marecchia. Finalmente vedesi a levante il Sasso di Simone e quello di Simoncino, sui di cui fianchi nasce il fiume Foglia.
    Dal poggio de’
    Tre Vescovi scendesi nella Valle del Tevere per due vie mulattiere, una tracciata lungo il corso del Tevere dopo essersi accoppiato al torrente Rupina, mentre l’altra via passa sul dorso del Poggio della Zucca, donde scende al Casale di Pratieghi spettante alla Badia Tedalda. Io scelsi cotest’ultima strada più elevata ed alpestre tracciata fra potenti strati di arenaria manganesifera color di fumo, a luoghi attraversata da larghi filoni di candido spato (carbonato di calce) in cristalli di figura romboidale, cui sovrappone una marna cerulea friabile.
    Guadata a Pratieghi l’umile
    Marecchia, si rimonta la ripida pendice orientale del Poggio della Zucca, le cui falde sono vestite di selve di castagni, mentre in alto le fanno corona estese macchie di querci, poi di faggete interrotte da praterie naturali. Da questa parte predomina un grès micaceo che dal colore è distinto col nome di tufo
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    castagnuolo. Sul fianco occidentale del Poggio della Zucca sottentra lo schisto calcare marnoso friabile di tinta cerulea, in cui se non mi fu dato di raccogliere conchiglie fossili, non potrei assicurare che quella roccia ne manchi per caratterizzarla terziaria marina. Vidi bensì cotesta marna in molti luoghi cuoprire la calcaria compatta e l’aenaria macigno, ossia pietra serena.
    Sulla pendice occidentale dello stesso
    Poggio della Zucca continuano le macchie di querci in alto, e più in basso selve di castagni, sino a che arrivati nel valloncello di Colledestro, circa tre miglia a grecale della Pieve S. Stefano, incomincia il cammino a farsi più docile e la valle a dilatarsi. Quivi le selve ed i prati sono interrotti da poderi e da campi sativi sopra un suolo avventizio, il quale cuopre quasi costantemente il terreno calcare e il macigno micaceo costituente il fianco destro del valloncello predetto. Ma un miglio innanzi di giungere alla Pieve, il terreno cambia improvvisamente natura, in guisa che la strada che l’attraversa per il tragitto di circa un sesto di miglio è tracciata non più sopra le rocce stratiformi compatte, ma sopra masse ofiolitiche, le quali penetrarono fino costà dall’opposto (ERRATA: Monte Pelato) Monte Petroso, situato nel fianco orientale alla sinistra del torrente di Colledestro. Cotesta formazione ofiolitica sembra emersa fra il macigno e la calcaria compatta, avvegnachè le rocce serpentinose continuano a incontrarsi fino presso alla ripa sinistra del Tevere. – Costà sulla strada esiste una chiesuola ottagona, ne’cui contorni fu scoperta una romana iscrizione di un tale L. Cornelio Supp. che con la sua consorte dedicò qualche edicola o ara al fiume Tevere e alle Ninfe. Eccone la copia:

    TIBERI ET NYMPHIS SANCTISS.
    SACRUM.
    CER. O. M. V.
    L. CORNELIUS. (
    ERRATA
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    : SUPP. ET CALLINA. C.) SULP. ET CELLINA C.

    Proseguendo il cammino sulla ripa sinistra del fiume e lasciata alla sua destra la Terra di Pieve S. Stefano, ritornano a comparire i gabbri e i serpentini sulle pendici estreme del
    Monte Pelato, altrimenti appellato Monte Carlone, il quale scende a guisa di contrafforte dall’Alpe della Luna fra la vallecola del Colledestro, e quella percorsa dal fiume Carnigiola.
    Sotto a questo fosso la Valle maggiormente si dilata, essendochè le diramazioni dei poggi subalterni per quanto siano costà frequenti, non si presentano in mole nè molto estesa, nè molto elevata. – Di faccia al
    Monte Pelato sulla ripa destra del Tevere sorge il Monte Murlo, umile poggio tondeggiante coperto di gabbro e che può riguardarsi una continuazione del (ERRATA: Monte Pelato) Monte Petroso, dal quale non è disgiunto che dal letto del fiume che li attraversa.
    Che cotesto gabbro sia una modificazione della roccia stratiforme di macigno lo dà specialmente a divedere il
    Monte Murlo lungo la destra del Tevere, nella tagliata della strada che guida alla Madonna della Selva, dove il gabbro rosso apparisce quasi stratificato in direzione manifesta da settentrione a ostro è attraversato da filoni di asbesto.
    Giunti però (
    ERRATA: al fosso di Loro) al fosso dell’Otro, alle rocce semimassicce sottentra la calcaria stratiforme compatta, sino a che sul dorso del monte denominato delle Murelle, là dove questo incomincia ad acquapendere nella Singerna, la roccia calcaria siratiforme si vede convertita in masse dolomitiche. Ivi presso incontransi mofete fredde che tramandano del gas acido carbonico solforato, siccome fu accennato all’Articolo CAPRESE Comunità.
    Scesi nel vallone della
    Singerna
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    , si ritrova la roccia calcaria compatta, mentre alla sinistra del vallone lascia la semidiruta Rocca Cignata sulla cima di una piccola prominenza isolata di gabbro emerso di mezzo alle rocce compatte.
    I poggi che corrono alla destra della
    Singerna, e che dividono questo vallone dall’altro della Sovara situato al suo ponente sono coperti di schisto argilloso color ceruleo, cui sottentra l’arenaria macigno, o la così detta pietra tufina. Da quest’ultima roccia scaturisce l’Acqua acidula della Selva sulla ripa di un borro poco lungi dalla pieve della Madonna della Selva da cui prese il nome. A questo punto si affaccia la calcarea schistosa cui presto sottentrano le rocce ofiolitiche dei così detti Monti Rognosi, le quali continuano a trovarsi per qualche miglio fino passato Montauto de’Barbolani.
    In conclusione il terreno generale e appariscente de’monti che circondano da levante a settentrione e di là fino a ponente la parte superiore ed alpestre del vicariato della Pieve S. Stefano consiste in rocce stratiformi secondarie, mentre la parte inferiore al capoluogo dello stesso territorio è attraversata, sebbene interrottamente da rocce massicce di gabbro e di serpentina.
    Comecchè la maggior parte di poggi fra la
    Singerna e la Sovara non spetti alla Comunità della Pieve S. Stefano, io qui gli ho rammentati per dimostrare ciò che di volo fu accennato all’Articolo APPENNINO TOSCANO (Vol. I pag. 97), cioè, che la più potente e più estesa formazione massiccia delle rocce ofiolitiche si è quella che comparisce tra mezzo alle stratiformi dell’Appennino centrale nella direzione di libeccio a grecale fra i monti dai quali schiudesi la valle superiore del Tevere, in un potente filone che corre dalla base meridionale dell’Alpe di Catenaia sino sul dorso settentrionale dell’Alpe della Luna, vale a dire per circa 14
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    miglia di cammino.
    Nella parte occidentale del territorio comunitativo della Pieve S. Stefano, scendendo dall’Alvernia per Compito e Montalone attraverso le vallecole superiori della
    Singerna e dell’(ERRATA: Arcione) Arscione le montagne che le fiancheggiano sono coperte alternativamente di arenaria e di calcaria compatta, quella di color ceruleo, o leonato, questa color di piombo (colombino) o grigio chiaro, entrambe attraversate da filoni di spato e tramezzate da strati di schisto marnoso verdastro.
    Questo territorio per la maggior parte alpestre fornisce folte macchie di faggi, di querci, di lecci, selve di castagni ed estese pasture dove nell’estate concorrono copiose mandre reduci dalla Maremma. Le noci, le nocciuole, i ciliegi, i meli, i lamponi e corbezzoli sono i principali frutti indigeni della montagna alta, donde il Tevere e i suoi confluenti precipitano da balze molto declivi in guisa tale che le sue acque cadendo presentano bene spesso nell’augusto seno di cotesta montagna una veduta romantica senza recare profitto alcuno alle arti.
    Dissi di sopra che la contrada alpestre della Pieve è ricca di piante alpine, delle quali gioverà qui riportare un breve catalogo fornitomi dalla gentilezza del Dott. Gaspare Amidei che erborizzò in più anni nei monti del Vicariato della Pieve e in quelli limitrofi di Bagno e di Sestino:

    CATALOGO
    delle Piante più rare raccolte dal Dott. Gaspare Amidei nell’Appennino centrale compreso dentro i confini del Vicariato della Pieve S. Stefano.

    1. Cardamine trifolia
    2. Hordeum pratense Smith
    3.
    Stellaria Holostea
    Coteste tre piante furono raccolte in Monte Comero dalla parte compresa nella Comunità di Verghereto.
    4.
    Poa alpina
    5. Aquilegia vulgaris
    6. Actaea spicata
    7. Andriala lanata
    8. Chrysosplenium alternifolium
    Le piante dal N°. 4 al N°. 8. inclusive spettano
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    al Monte Fumajolo, Comunità di Verghereto.
    9.
    Lysimachia nemomorum
    10. Gentiana campestris
    11. Convallaria verticillata
    12. Lunaria rediviva
    13. Hesperis matronalis
    Dal N°. 9 al 13 inclusive spettano al Monte della Cella di S. Alberico, Comunità di Verghereto.
    14.
    Cheiranthus erisimoides
    15. Pyrus Amelanchier
    l6. Daphne Mezereum
    17. – alpina
    18. Rhamnus alpinus
    19. Cineraria longifolia
    Dal N°. 14 al 19. inclusive spettano alle Balze del Tevere, Comunità di Verghereto. – NB. Il Dott. Amidei avverte il Botanico a non erborizzare nei contorni delle Balze quando è caduta, o è imminenente la pioggia, poichè allora un gran numero di vipere rosse sbuca dalle fessure di quei macigni, e guizza spaventevolmente per l’erba.
    20.
    Corydalis bulbosa
    21. Cynaglossum officinale
    22. Lathraea squamaria
    23. Carduus personata
    24. Doronicum columnae
    Dal N°. 20 al 24 inclusive spettano all’Alpe della Luna presso la foce di Viamaggio sul confine orientale della Comunità della Pieve con quella della Badia Tedalda.
    25
    . Anemone Ranuncoloides
    26. Impatiens noli tangere
    27. Paris quadrifolia
    28. Cytisus laurnum
    29. Carum Carvi
    30. Bupleurum Junceum
    31. Pimpinella magna
    32. Laserpitium gallicum
    33. Campanula glomerata.
    34. –
    latifolia
    35. Pyrola minor
    36. Oxalis acetosella
    37. Asphodelus albus
    38. Saxifraga Aizoon
    39. Aconitum Lycoctonum
    40. Alchemilla vulgaris
    41. Prenanthès purpurea
    42. Senecio Doronicum
    43. Chrysanthemum atratum
    44. Polypodium lonchites
    45. – dryopteris
    46. Stellaria saxifraga
    47. Rosa villosa Woods, pomifera Gmel.
    48.
    Lunaria annua
    49.
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    Cnicus horridus
    Le piante dal N°. 45 al 49 inclusive furono raccolte in varie parti dell’Alpe della Luna, Comunità della Pieve,
    50.
    Ferela ferulago
    51. Dictamnus albus
    53.ursinum
    Dal N°50 al 53 inclusive spettano al Poggio Cerbajolo, fra l’Alpe della Luna e il Poggio della Zucca, Comunità della Pieve.
    54.
    Tilia europaea
    55. Alyssum utriculatum
    56. Monotropa hypopithys
    57. Babus Idaeus
    58. Anchusa Barrelieri
    59. Ribes Petraeum
    60. Scrophularia scorodonia
    61. Arabis alpina
    61. Leonurus Galeobdolon
    63. Haleopsis Tetrahit
    64. Carlina acaulis comune (I)
    Dal N.° 54 al 64 inclusive spettano al Monte dell’Alvernia dalla parte che acquapende in Val Tiberina, Comunità della Pieve.
    65.
    Tragopogon crocifolium, a Montajone Comunità della Pieve.
    66
    . Echinaria capitata, a Sovaggio, Comunità di Caprese.
    65.
    Hibiscus Trionum
    68. Iberis umbellata
    69. Stipa pinnata
    70. Trinia vulgaris
    71. Tommasinia Verticillaris
    79. Eryngium amaethystinum
    73. Bunium bulbocastanum
    74. Heracleum sphondilium
    75. Brionia alba
    76. Seriola taraxacoides
    77. Galeopsis versicolor
    78. Arenaria laricifolia
    79. Agrimonia agrimonioides
    80. Dianthus monspessulanus
    81. – Cariophyllus
    82. Epilobium angustifolium
    83. Cucubalus bacciferus
    Le piante dal N.° 67 all’83 inclusive vivono e furono raccolte dal Dott. Amidei nei contorni della Pieve S. Stefano, dove esercitava il suo ministero di medico condotto quando io passai di là.

    (I)
    Questa pianta serve di cibo gradito agli abitanti. Il ricettacolo del suo fiore carnoso ed aromatico non ha che invidiare al carciofo.

    Sulle rive del Tevere sotto Val Savignone incominciano a comparire alcune vigne, sebbene l’uva
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    costassù malamente maturi, e solo quando uno si avvicina da quel lato alla Terra della Pieve s’incontrano campi sativi e vigneti, ma la vigna suol dare un miglior prodotto nella porzione inferiore della Comunità, dove quelle piante sono tenute con somma cura.
    Ciò dipende in gran parte dall’essere molto divise le proprietà fra piccoli possidenti che lavorano da se stessi le loro vigne e campicelli.
    Nelle vendemmie si pratica costì l’utile costume di separare l’uve bianche da quelle di colore.
    Hanno però le viti in tutta cotesta Valle superiore del Tevere un formidabile nemico nel bruco della
    Pyralis vitana Fab. Al primo tepore di primavera s’incomincia a vedersi sui tralci l’opera micidiale di cotesti insetti che le distruggono in pochi giorni le gemme ancor chiuse. Nè è da dire che i contadini non le facciano per quanto possono la guerra, ma a dispetto de’loro sforzi accade che in qualche anno cotesti bruci divorano le speranze di più vendemmie.
    Il Tevere discende fino presso alla Pieve per un alveo tortuoso che le sue acque si aprirono nel seno delle montagne fra gli opposti contraffarti dei poggi, i quali raddoppiati a scaglioni gli uni contro gli altri discendono dal lato di levante dal
    Poggio della Zucca, da quello de’Tre Vescovi e dal Cerbajolo; dalla parte poi di ponente dal Bastione, dal poggio Modina, e da altre montuosità, in guisa che esse cuoprono la valle massimamente nella porzione superiore di questa Comunità.
    Nel letto del Tevere superiormente al capoluogo gli abitanti sogliono gettare le travi e i pali, o isolati, o collegati e contrassegnati per riconoscerli, affinchè alla prima piena siano trasportati dalle acque correnti verso la Pieve.
    Cosicchè la risorsa maggiore dei possidenti terrieri di questa Comunità consiste nel legname che ivi abbonda,
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    e che a vil prezzo si smercia, sia per mancanza di mezzi di trasporto, ma per non essere ancora stato introdotto nella valle superiore del Tevere alcun edifizio a acqua per segare il legname cui prestano opportunità le frequenti cascate delle acque del Tevere, il quale sebbene costà sia fiumicello è però costantemente perenne.
    Si conta bensì una cartiera, oltre molti mulini e varie gualchiere.
    Il prodotto dei castagni e le grandi pasture naturali forniscono due altri rami non meno importanti di risorsa, avvegnachè le castagne sono per i montagnoli il loro grano, e tostochè le mandre che si nutriscono costà nell’estate producono un benefizio nella lana, nel cascio e negli agnelli. Anche gli animali neri sono numerosi e fruttano assai per le ghiande dei lecci e dei querci del territorio in questione. Non così le granaglie le quali scarseggiano anzichè no, e per quanto i campagnuoli contino molto sul granturco, il risultato delle loro sementa non può bastare ai bisogni della popolazione.
    Piccolissimo è il prodotto delle industrie manifatturiere, giacchè niun’arte di considerazione vi ha preso piede.
    I mercati settimanali che si tengono nel capoluogo ogni lunedì sono assai frequentati, massimamente nell’inverno, per il commercio de’cereali, del vino, de’bestiami e della lana, i primi due articoli per lo più di commercio passivo, gli ultimi due di commercio attivo.
    Il clima della Pieve è favorevole alla salute ed alla longevità, specialmente per la popolazione che abita la porzione superiore della Terra, ove sono le migliori case e meglio ventilate; non così nella parte inferiore dove sono caselle anguste abitate, come dissi, da povera gente soggetta a malattie glandulari.
    La Comunità mantiene un medico, un chirurgo e due maestri di scuola. Risiede nella Pieve S. Stefano un vicario regio ed un cancelliere comunitativo che servono anche alla Comunità di Caprese e di Verghereto.
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    Vi si trova eziandio un ingegnere di circondario. L’ufizio dell’esazione del registro è nella città di San Sepolcro; la conservazione delle ipoteche e il tribunale di Prima istanza sono in Arezzo.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di PIEVE S. STEFANO a quattro epoche diverse.

    - nome del luogo: Baldignano, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Prioria), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 318, abitanti anno 1745 n° 120, abitanti anno 1833 n° 172, abitanti anno 1840 n° 201
    - nome del luogo: Branciolino, titolo della chiesa: SS. Fabiano e Sebastiano (Cura con fonte), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 190, abitanti anno 1745 n° 139, abitanti anno 1833 n° 148, abitanti anno 1840 n° 130
    - nome del luogo: Bulciano, titolo della chiesa: SS. Trinità (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 280, abitanti anno 1745 n° 171, abitanti anno 1833 n° 178, abitanti anno 1840 n° 198
    - nome del luogo: Cananeccia (*), titolo della chiesa: S. Niccolò (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 105, abitanti anno 1745 n° 72, abitanti anno 1833 n° 109, abitanti anno 1840 n° 115
    - nome del luogo: Castelnuovo, titolo della chiesa: S. Giovanni Evangelista (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 385, abitanti anno 1745 n° 208, abitanti anno 1833 n° 228, abitanti anno 1840 n° 240
    - nome del luogo: Carbajolo, titolo della chiesa: S. Antonio (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 81, abitanti anno 1840 n° 97
    - nome del luogo: Cercetole e Ruoti, titolo della
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    chiesa: SS. Paolo e Giovanni Battista (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° 178, abitanti anno 1833 n° 84, abitanti anno 1840 n° 103
    - nome del luogo: Compito (1) (*), titolo della chiesa: S. Martino (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Arezzo), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° 114, abitanti anno 1833 n° 33, abitanti anno 1840 n°-
    - nome del luogo: Corliano, titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 107, abitanti anno 1840 n° 119
    - nome del luogo: Fratelle, titolo della chiesa: S. Cristofano (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 45, abitanti anno 1745 n° 23, abitanti anno 1833 n° 51, abitanti anno 1840 n° 49
    - nome del luogo: Mignano, titolo della chiesa: SS. Andrea e Vito (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 101, abitanti anno 1745 n° 38, abitanti anno 1833 n° 62, abitanti anno 1840 n° 74
    - nome del luogo: Montalone, titolo della chiesa: S. Jacopo e Cristofano (Cura con fonte), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 307, abitanti anno 1745 n° 160, abitanti anno 1833 n° 148, abitanti anno 1840 n° 146
    - nome del luogo: Pietra Nera, titolo della chiesa: S. Quirico (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° 40, abitanti anno 1833 n° 28, abitanti anno 1840 n° 31
    - nome del luogo: PIEVE S. STEFANO, titolo della chiesa: S. Stefano (Collegiata e Arcipretura), diocesi cui
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    appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 1486, abitanti anno 1745 n° 1078, abitanti anno 1833 n° 1470, abitanti anno 1840 n° 1597
    - nome del luogo: Pratieghi (2), titolo della chiesa: S. Maria (Pieve), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 251, abitanti anno 1745 n° 124, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n°-
    - nome del luogo: Sigliano, titolo della chiesa: S. Maria di Tolena (Pieve), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 217, abitanti anno 1745 n° 81, abitanti anno 1833 n° 80, abitanti anno 1840 n° 83
    - nome del luogo: Sintigliano, titolo della chiesa: SS. Bartolommeo e Giorgio (Prioria), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 339, abitanti anno 1745 n° 152, abitanti anno 1833 n° 100, abitanti anno 1840 n° 130
    - nome del luogo: Tizzano, titolo della chiesa: S. Stefano (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 36, abitanti anno 1745 n° 38, abitanti anno 1833 n° 82, abitanti anno 1840 n° 76
    - nome del luogo: Valle Calda e Rocca Cignata (3), titolo della chiesa: S. Giovanni Evangelista (Prioria), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 174, abitanti anno 1745 n° 28, abitanti anno 1833 n° 78, abitanti anno 1840 n° 101
    - nome del luogo: Val Savignone, titolo della chiesa: SS. Pietro e Paolo (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 122, abitanti anno 1745 n° 61, abitanti anno 1833 n° 70, abitanti anno 1840 n° 73
    - nome del luogo: Villa di Ruoti, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Cura), diocesi cui appartiene: S. Sepolcro (già di
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    Città di Castello), abitanti anno 1551 n° 497, abitanti anno 1745 n° 119, abitanti anno 1833 n° 142, abitanti anno 1840 n° 153
    - Totale abitanti anno 1551 n° 4852
    - Totale abitanti anno 1745 n° 2944

    Frazioni di popolazione provenienti da Comunità limitrofe

    - nome del luogo: Aboca, Comunità donde proviene: San Sepolcro, abitanti anno 1833 n° 120, abitanti anno 1840 n° 154
    - nome del luogo: Succastelli, Comunità donde proviene: San Sepolcro, abitanti anno 1833 n° 44, abitanti anno 1840 n° 167
    - nome del luogo: Villa S. Pietro, Comunità donde proviene: San Sepolcro, abitanti anno 1833 n° 51, abitanti anno 1840 n° 39
    - Totale abitanti anno 1833 n° 3646
    - Totale abitanti anno 1840 n° 4076

    (1)
    Il popolo di Compito dopo il 1833 fu per intero dato alla Comunità di Chiusi.
    (2) Il popolo di Pratieghi nel 1775 fu assegnato alla Comunità della Badia Tedalda.
    (3) Nel 1833 e 1840 esciva dal popolo di Valle Calda una frazione non computata in questo Quadro, siccome furono detratte quelle che escivano nel 1833 dai popoli di Compito e di Cananeccia contrassegnati con l’asterisco (*).

    RESTANO
    - anno 1833 abitanti n° 7772
    - anno 1840 abitanti n° 8539

    PIEVE S. STEFANO in Val Tiberina. – Questa Comunità. che nel 1833 aveva 3646 Abitanti nell'anno 1845 ne contava 4161, cioé:

    Pieve S. Stefano, abitanti n° 1681
    Baldignano, abitanti n° 183
    Branciolino, abitanti n° 147
    Bulcianella, abitanti n° 188
    Cananeccia, abitanti n° 121
    Castel miovo, abitanti n° 238
    Cerbajola, abitanti n° 91
    Cercetole, abitanti n° 106
    Corciano, abitanti n° 112
    Fratelle, abitanti n° 37
    Mignano, abitanti n° 87
    Montalone, abitanti n° 148
    Sigliano, abitanti n° 92
    Rintigliano, abitanti n° 141
    Tizzano, abitanti n° 81
    Valle Calda (
    porzione), abitanti n° 83
    Val Savignone, abitanti n° 77
    Villa di Pietra Nera, abitanti n° 36
    Ville di Ruoti, abitanti n° 173

    Annessi

    Aboca dalla Comunità di S. Sepol-cro, abitanti n°151
    Succastelli
    dalla Comunità di
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    S. Sepol-cro, abitanti n° 128
    Villa
    dalla Comunità di S. Sepol-cro, abitanti n°43
    Pieve di Caprese
    dalla Comunità di Caprese, abitanti n° 10

    Totale abitanti n. 4161
Localizzazione
ID: 3252
N. scheda: 40300
Volume: 4; 6A
Pagina: 237 - 238, 245 - 257; 79 - 80
Riferimenti:
Toponimo IGM: Pieve S. Stefano
Comune: PIEVE SANTO STEFANO
Provincia: AR
Quadrante IGM: 108-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1745221, 4839661
WGS 1984: 12.04257, 43.67104
UTM (32N): 745284, 4839836
Denominazione: Pieve S. Stefano
Popolo: S. Stefano a Pieve S. Stefano
Piviere: S. Stefano a Pieve S. Stefano
Comunità: Pieve S. Stefano
Giurisdizione: Pieve S. Stefano
Diocesi: (Città di Castello) - Sansepolcro
Compartimento: Arezzo
Stato: Granducato di Toscana
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