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Pistoja - Vescovati della Toscana (Pistoja) - Via Regia suburbana di Pistoja - Via, Strada ferrata dal confine di Pescia a Pistoja - Via, Strada Ferrata da Pistoja sul Reno Bolognese

 

(Pistoia)

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    PISTOJA ( PISTORIUM ). – Vaga ed illustre città, residenza di un vescovo di due diocesi, di Pistoja e di Prato, e di un Commissario regio, Capoluogo di Comunità e Giurisdizione con tribunale di Prima Istanza nel Compartimento di Firenze.
    Risiede in fertile valle percorsa dal fiume Ombrone pistojese, che le passa un miglio toscano circa a ponente, mentre il fiumicello Brana rasenta le sue mura dal lato di grecale e di levante, nel grado 28°, 34’ longitudine e 43°, 56’ di latitudine, distante appena due miglia dalla falde dell’Appennino che le resta a settentrione, 10 miglia toscane a ponente maestrale di Prato, 20 miglia toscane da Firenze nella stessa direzione; 14 miglia toscane a levante di Pescia; 25 pure a levante di Lucca e 34 a grecale di Pisa per la traversa di Val di Nievole.
    Questa città di figura romboidale, posta circa 110 braccia sopra il livello del mare Mediterraneo, circondata di mura che girano quasi tre miglia toscane è attraversata da strade vaste e regolari, da canali, o gore di acque perenni, con piazze spaziose, ornata di belle chiese, di case assai decenti, e di non pochi palazzi.
    Vi si entra per quattro porte, le quali danno nome ad altrettante Cortine , o Comunità suburbane, piene di ridenti e popolose borgate, sparse di ville signorili, in un clima benigno e salubre, abitato da gente forte e ben formata in mezzo a terreni irrigatissimi, fertilissimi e diligentemente coltivati.
    Per comodità di chi vorrà leggermi, dividerò l’articolo storico di questa città in cinque periodi per indicare nel 1°. Le cose più rimarchevoli di Pistoja antica sino all’istituzione delle sue leggi municipali; nel 2.° di Pistoja sino alle origini delle fazioni Bianca e Nera; nel 3.° di Pistoja sino alla morte di Castruccio Antelminelli; nel 4.° di Pistoja sino all’estinzione della Repubblica fiorentina e nel 5.°
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    di Pistoja sino alla presente età.

    1. PISTOJA ANTICA SINO ALLA ISTITUZIONE DELLE SUE LEGGI MUNICIPALI

    Molte cose si dissero intorno all’etimologia e all’origine di Pistoja per non trattenere il lettore sopra ipotesi troppo vaghe o poco probabili congetture. Tale sarebbe quella di attribuirne la nascita ad una riunione di fornai ( Pistores ) chiamativi dalla fertilità del suolo; tale l’altra di farla derivare dalla greca radice ( Pystos ) significante Fede da altra lingua orientale ( Piturim ) per farla credere sul confine dell’Appennino toscano, quasi Termine tra la Lombardia e l’Etruria; tale finalmente una anco più ridevole di chi la fece nascere dalla parola distruttiva di Peste .
    Molto meno sarebbe da prestar fede ai frammenti sulle Origini di Catone , quali dichiarano la città di Pistoja d’ignota origine, stantechè que’supposti frammenti uscirono dalla fantasia di frate Annio da Viterbo. Né Malespini e Malespini ripetuta da Giovanni Villani, dicendo, che Pistoja era sorta dagli avanzi dell’esercito di Catilina. La cosa meno è che il territorio pistojese appartenne alle tribù Linguistiche innanzi che esse fossero dai Romani espulse di là; lo che accadde forse per la prima volta nell’anno U. C. 566 per Lepido e T. Flamminio Nipote condotti nell’Appennino pistojese fra gli Apiani ed i Friniati, l’ultima delle quali provincie conserva tuttora il nome di Frignano .
    Per egual modo è cosa certa, che il popolo di Pistoja dopo essere divenuto suddito di Roma facesse parte della Gallia Cisalpina piuttostochè dell’Etruria media compresa nell’Italia romana; e se quel Lucio figlio di Publio Bebio della tribù Velina che fu uno de’Quattroviri e giureconsulto in Pistoja , cui appella un’iscrizione (non saprei se legittima) che vedesi nella sala del palazzo comunale di questa città, se allora dipendeva dai proconsoli della Gallia Togata piuttosto che dai pretori dell’Etruria nostra.
    Che però sono da dirsi scarsissime
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    e quasi nulle le memorie superstiti relative a Pistoja sulla fine della Repubblica romana meno un cenno che diede Sallustio dell’agro pistojese, e dire si può lo stesso dei primi secoli dell’Impero, qualora si eccettui una parola di Plinio, che nella sua Istoria naturale rammenta Pistoja. Dondechè fia opera perduta il cercare cose spettanti a questa città innanzi l’epoca longobarda. Imperrochè né Malespini, né Villani, né Salvi, né Fioravanti, né Ugelli, né il P. Zaccaria, trovarono documento alcuno spettante alla storia antica di Pistoja, per tacere di molti altri scrittori municipali.
    E comecchè l’agro pistojese, non già la città, sia rammentato da Sallustio; comecchè qualche erudito moderno abbia cercato di attribuire alla sua Pistoja un’origine etrusca, contuttociò fia opera vana incominciare qualsiasi cenno storico innanzi l’ingresso de’Longobardi in Toscana, e segnatamente prima dell’età del santo pontefice Gregorio Magno. Il quale, nell’anno 594 dell’E. V., inviò a Pistoja il primo vescovo certo, vale a dire, poco dopo il divulgato miracolo ottenuto dai Pistojese per la mediazione di S. Zenone vescovo di Verona, cui fu attribuito il merito di aver liberato la pianura pistojese dalle acque che l’inondavano. Infatti che fino da quell’età i corsi di acqua non avessero libero scolo per la campagna intorno a Pistoja, e che questa allora piccolissima città fosse soggetta ad essere facilmente allagata, lo danno a conoscere i nomi di Pantano, di Piscina, di Padule e di Acqualonga rimasti tuttora a molte località assai d’appresso e perfino dentro Pistoja, comecchè cotesti vocaboli sieno nati molto tempo dopo la prima esistenza della stessa città.
    Alla qual condizione della pianura pistojese accresce fede la marcia dell’esercito di Catilina, il quale, al dir di Sallustio, movendosi da Fiesole, non già per la più comoda via del piano, ma per molti aspri con lungo e faticoso cammino nel territorio pistojese si condusse. Dondechè la Via Clodia da Lucca a Roma tracciata nell’ Itinerario di Antonino (opera dei bassi tempi dell’Impero)
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    non si sarebbe potuta costruire sennonché alla falde de’ monti di sotto , o in quelle de’ monti di sopra a Pistoja. Comunque sia di ciò, non resta dubbio peraltro che il suolo dove esiste questa città spetta al terreno di trasporto misto di ciottoli e ghiaje depositate dalle acque che discesero dall’Appennino, per cui si è progressivamente rialzato sopra il piano della città; siccome dimostra l’antico pavimento della chiesa di S. Bartolommeo in Pantano , e quello della Cattedrale di Pistoja, rimasti più di due braccia inferiori al piano esterno delle strade e delle piazze contigue.
    Il primo documento pertanto che si conosca, dopo quello del 594, ne richiama al 21 dicembre dell’anno 700, stato pubblicato dal Muratori nelle sue Antichità del medio evo, il quale appartiene alla storia ecclesiastica delle diocesi di Lucca e di Pistoja.
    Trattasi di una protesta fatta dal padre di Giovanni vescovo eletto di Pistoja a Balzari Vescovo di Lucca, allorché obbligatasi a nome del suo figlio stato eletto dal popolo di Pistoja di riconoscere della diocesi lucchese una o due chiese della Val di Nievole situate presso i confini della diocesi pistojese, dove col permesso de’Vescovi di Lucca quello di Pistoja soleva fare la visita diocesana. Alla quale protesta sembra che in qualche modo debba servire di appoggio una sentenza del febbrajo del 716, emanata nella basilica di S. Pietro a Nievole dal delegato regio ( misso ) coll’assistenza di Specioso vescovo di Firenze, di Walperto duca di Lucca e di altri personaggi, mercé la quale fu decisa la questione stata nuovamente promossa fra Talesperiano successori di Balzari nel vescovato lucchese ed il prenominato vescovo Giovanni vescovo pistojese rispetto ai diritti diocesani sopra due chiese situate sul confine della loro diocesi.
    Il quale giudizio, sebbene dato a favore del vescovo di Lucca, giova da un canto a farci conoscere, che il territorio di Pistoja all’epoca longobarda era sotto l’amministrazione de’Castaldi dipendenti dai
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    duchi di Lucca. – Vedere PIEVE A NIEVOLE.
    Dello stesso anno 716, sotto dì 20 settembre, è il terzo documento scritto in Pistoja, e può anche dirsi la terza pergamena autografa fra le superstiti che si conservano negli archivi pubblici della Toscana. Essa appartenne all’antico monastero di S. Bartolommeo in Pantano di Pistoja innanzi che fosse trasportata nell’Arch. Dipl. Fior. – Ivi trattasi della vendita di una sala (palazzo) con corte e prato intorno, oltre una porzione di mulino con terreno annesso posto sulla gora del fiume Brana del contado di Pistoja, confinante con la strada pubblica. Il compratore era uno medico pistojese di nome Guidoaldo, quello medesimo che qualche anno dopo fondò fuori di Pistoja il monastero di S. Bartolommeo, e che fu dichiarato regio medico della stessa città, se non anche archiatro, quando nel 767, a dì 5 febbrajo, assegnò in dote a quel monastero con spedaletto annesso varie sue possessioni situate nei contorni di Lucca presso l’ Ozzori , in Lunigiana, a Greti nel Val d’Arno inferiore, a Lucardo, ed in Val di Cornia nelle Maremme di Populonia. Colla stessa scrittura Guidoaldo dava facoltà ai monaci che dovevano convivere in quel monastero di poter eleggere liberamente l’abbate, conservando però i diritti di padronato a favore del fondatore, del di lui figlio Gosprando, de’ di lui successori ed eredi.
    Lo stesso medico Guidolado prima d’allora aveva fondato in Pistoja in Pavia ed altre chiese e monasteri che sottopose nel 767 a questo di S. Bartolommeo di Pistoja con le seguenti parole: De autem reliquis monasteriis, vel xenodichiis hic Pistoria, vel Ticinese civitate, quam et reliquia alia loca quae per me ordinata, vel constructa sunt, ita decrevimus, ut per ipsum monasterium S. Bartolommei fiant ordinata ed disposta, etc. – ( loc. cit. )
    Che poi sin da quell’età oltre la cattedrale e la chiesa di S. Bartolommeo, esistessero
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    in Pistoja altre cappelle, monasteri e spedali, lo dichiarano molti documenti di quel tempo pubblicati dal Muratori, dal P. Zaccaria e dall’abbate Camici. Uno dei quali del dì 8 settembre748 rammenta un monastero con spedale esistente in Pistoja dedicato ai SS. Pietro, Paolo e Anastasio, cui furono aggregati tre monasteri, che uno sotto il titolo di S. Silvestro situato fuori della città di Pistoja presso la chiesa di S. Bartolommeo, il secondo intitolato a S. Angelo presso il fiume Nievole, al quale appella un istrumento del 9 luglio 764, in cui si parla di una donazione fatta alle chiese medesime del Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja; mentre il terzo monastero era nell’oratorio di S. Michele a Paciana , che fu nominato in altro instrumento pistojese del 10 dicembre 775. – Finalmente rammenterò una membrana del 9 aprile 766 relativa alla fondazione dell’oratorio di S. Maria a Piunte fatto da Urnifredo figlio del fu Willerado ch’egli stesso donò con tutti i suoi beni al monastero di S. Bartolommeo predetto. – (MURATORI, Ant. M. Aevi. – FIORAVANTI Oper. Cit. – ARCH. DIPL. FIOR., Carte del Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja ).
    All’ Articolo GELLO (S. MARIA in), cui io riferiva l’oratorio di S. Maria a Piunte , fece avvertire una condizione espressa nell’istrumento testé citato, dalla quale risulta che a quel tempo nel territorio di Pistoja si professava tanto la legge longobarda come la legge romana; mentre l’autore di quella dotazione fra le altre cose concedeva alla chiesa di Piunte una casa masserizia, che noi dirremmo podere, in tali enim tenore, ut omens (homines) Romani, qui modo sunt, vel eorum aeredibus (sic) dare debeant per circolo annis, per quemquam casa sua luminaria in ipsa ecclesia (vel) oratorio nostro valiente tremisse (uno) in oleo, auro, de ista
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    tres res quale habuerit, etc.

    Molto più chiaro apparisce il sistema governativo di Pistoja durante il regno di Carlo Magno e de’ suoi successori; quando presedeva sempre alla provincia di Toscana un Duca o Marchese, mentre la città di Pistoja aveva il suo Vescovo, il suo Conte speciale ed il suo Gastaldo; il primo per l’ecclesiastico, il secondo per il politico, il terzo per l’economico. – Citerò fra le carte pistojese spettanti all’epoca Carlovingia una membrana inedita scritta in Pistoja lì 10 luglio dell’anno 779, nelle quali si leggono le disposizioni testamentarie lasciate da un pistojese dopo aver ricevuto dal suo sovrano il comando di fare un viaggio; il quale testatore, nel caso che morendo non lasciando figli legittimi, destinava tutti i suoi beni ai poveri, eccetto peraltro un uliveto posto a S. Giusto a Piazzanese , da goderne il frutto la sua moglie vedovando. In caso diverso disponeva in favore del Monastero suddetto anche di questi ultimi beni, a condizione di dare la libertà ai servi e alle ancille addette a quel predio. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di S. Bartolommeo di Pistoja ).
    Ancora più importanti sono due giudicati pronunziati in Pistoja, il primo nell’agosto dell’anno 806 da Willerado vescovo di questa città, stato delegato dall’Imperatore Carlo Magno insieme a Damiano misso regio sopra una controversia civile insorta tra la corte regia ed il monastero di S. Bartommeo di Pistoja a motivo di Alcune terre e case lasciate alla chiesa e Monastero de’SS. Pietro Paolo e Anastasio sopraccitato, che l’avvocato regio pretendeva doversi amministrare in nome della camera del re, mentre il procuratore dei monaci di S. Bartolommeo, siccome infatti questi ultimi ottennero in quel giudizio la vittoria con l’assistenza del Conte di Pistoja Mangenrad , e del Gastaldo Rachimari , presenti molti testimoni.
    Il secondo giudicato che porta la data del marzo 812 fu preseduto
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    dal celebre Adalardo abbate di Corbeja misso e regio auditore per l’imperatore Carlo Magno, assistito da Willerado vescovo di Pistoja, dal Duca Bonifazio, da due altri giudici, da un notaro regio, da due abbati e da tre delegati del pontefice Leone (III), nonché da due scabini (notari) e da varj altri.
    Al qual giudizio comparve Ildebrando abbate del Monastero di S. Bartolommeo per rivendicarne l’immunità e indipendenza del monastero suddetto a forma del documento ch’egli esibiva della fondazione fatta da Guidoaldo medico regio; sicché quei giudici, missi regj e papoli , sentenziarono che gli abbati del monastero di S. Bartolommeo di Pistoja erano liberi e immuni dal recarsi all’esercito contro i nemici e dal prestare altri servigi allo Stato, come sarebbero stati, l’albergaria, la parata, ecc., qualora il re non avesse comandato in contrario. – ( loc. cit. – MURAT. Ant. M. Aevi. – FIORAVANTI, Memorie istoriche di Pistoja ).
    All’ Articolo AGNA (S. SALVATORE IN) rammentai un diploma del re Ugo dato in Toscana lì 23 luglio dell’anno 927, il quale per avventura ci scopriva l’autore più remoto de’ conti Guidi di Modigliana, i di cui figli trovavansi domiciliati in Pistoja molto innanzi che il cronista Ricordano Malaspini facesse scendere in Italia la stessa famiglia con l’Imperatore Ottone I. – Vedere MODIGLIANA.
    Frattanto col privilegio suddetto il re Ugo ad istanza della regina Alda sua consorte concedeva in benefizio al suo fedele e diletto compare conte Tegrimo, o Teudegrimo, il monastero di S. Salvatore detto della Regina , posto accosto al fiume Alliana ( Alina ) nel contado pistojese con tutti i beni ad esso appartenenti. – (FIORAVANTI, Memorie istor. di Pistoja pag. 146 ).
    Che se cotesto diploma ci manifesta nel conte Tegrimo il più antico antenato dell’illustre famiglia de’conti Guidi, dobbiamo
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    altresì agli archivj di Pistoja la conservazione di altre due istrumenti del 940 e 941, i quali ci danno a conoscere due figliuoli del primo conte Tegrimo, quando cioè essi fecero donazione a quella cattedrale di molti beni posti nel contado pistojese. E fu pure in Pistoja, dove risiedevano nel 1034 due pronipoti del primo conte Tegrimo, nel mentre che essi offrivano al capitolo di quella cattedrale vari poderi situati in Piazzanese, a Tobiana, a Vincio, a S. Pantaleo, a Villiano, a Farnieto, a Petrolo ecc. luoghi tutti posti nelle vicinanze di Pistoja. – (CAMICI Serie dei Marchesi di Toscana Tomo I. )
    Inoltre altre pergamene della stessa provenienza, pubblicata nell’opera ora citata, scoprono per avventura un’altra non meno nobile prosapia antica toscana come fu quella degli ascendenti del conte Cadolo di Fucecchio da cui prese il cognome la famiglia de’ Cadolingi . Havvenne fra queste una dell’anno 923 con la quale il conte Cunerado figlio di Redice, e padre del conte Cadolo di Fucecchio donò alla cattedrale di Pistoja alcuni beni situati nel Vico Faro . – Vedere FARO (VICO). – Anche il figlio del conte Cunerado, o Currado, orbato del padre, nel settembre del 952, trovandosi in Pistoja, donò a questa cattedrale alcuni beni che possedeva in Petrolo, mentre ottant’anni innanzi (2 novembre 944) il conte Redice figlio di altro conte Redice (forse l’autore della potente famiglia Tedici di Pistoja) assegnò in dono ai canonici di Pistoja varj effetti, fra i quali un podere posto in Petrolo e la sua corte di Scio . – Vedere PETROLO e SCIO SUL VINCIO.
    Risiedeva nella sua corte sulla Pescia il nominato conte Cadolo quando egli (circa l’anno 953) insieme alla sua moglie Rottilda figlia del fu conte Ildebrando confermava alla cattedrale pistojese un podere posto in Petrolo nel piviere di S. Pancrazio a Celle ( Oper. Cit. )
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    /> Anche donna Ermengarda sorella del conte Cadolo predetto e vedova del nobile pistojese Tassimanno, previo il consenso dei suoi figli, nel febbrajo del 961, stando in Pistoja, donava alla chiesa maggiore di questa città tutti i beni che possedeva in Petrolo sul Vincio.
    Ma nel 998 il conte Cadolo non era più tra i viventi, tostochè in detto anno la contessa Gemma sua seconda moglie era rimasta vedova di lui, quando in Pistoja insieme col conte Lottario, figlio loro assegnò alle mensa vescovile pistojese quattro poderi situati in Quarrata e a Biagio.
    Lo stesso conte Lottario figlio del fu conte Cadolo nell’ottobre dell’anno 1006 assisté ad un giudizio civile pronunziato in Pistoja presso la chiesa maggiore de’SS. Zeno e Martino ecc. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Capitolo di Pistoja ).
    Ma nel 1028 presedeva il governo di questa stessa città un conte Ildebrando, nella di cui curia fu rogato nel mese di marzo dello stesso anno un atto di donazione fatta da un figlio a favore di una sua madre vedova innanzi che questa passasse alle seconde nozze. – ( loc. cit. )
    Che nel 1034 il conte Lottario figlio del Conte Cadolo e della contessa Gemma fosse morto, lo dichiara un istrumento del di lui figlio Conte Guglielmo Bulgaro del 14 febbrajo 1034 scritto nel Castello di Fucecchio, posto in judiciaria pistojese . – Vedere FUCECCHIO.
    Però nel 1046 era venuto a Pistoja un conte Liberto misso , o delegato del re Arrigo III in qualità di auditore di cause in suprema istanza, il quale insieme con Martino vescovo di Pistoja ed altri giudici mediante un placito del novembre di detto anno decise una lite tra il proposto del Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja ed i nobili di Maona, contendenti fra loro per conto di alcuni beni spettanti alla chiesa di S. Maria d’Abatisco
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    . – ( loc. cit. Carte del Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja ).
    Di un conte Ugolino defunto forse nei primi anni del secolo XII fece menzione un istrumento del 4 ottobre 1148, col quale il beato vescovo Atto rinunziò a favore dell’ospedale di S. Jacopo fabbricato nel borgo di Porta Caldatica una selva appartenuta al fu conte Ugolino, denominata Selva Tanfa in suffragio dell’anima del suddetto conte e de’ suoi parenti. – ( loc. cit. Carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja ).
    Anche diversi individui de’conti Guidi nei secoli posteriori al X ritornarono più volte ad abitare in Pistoja e in diversi loro castelli di quel contado. Citerò fra i tanti un istrumento del 17 febbrajo 1067 che rammenta un conte Gerardo figlio del fu conte Ildebrando, il quale stando nel castel di Piuvica acquistò beni nel contado pistojese; mentre nel 21 giugno del 1080 trovo in Pistoja lo stesso conte che acquista in permuta la selva di Pacchiana e Ronco. Rammenterò un conte Guido Guerra figlio di altro conte Guido, l’amico della gran contessa Matilde che dichiarò suo figlio, il quale per l’atto del 1103, di agosto, rinunziò in mano dell’arciprete della cattedrale di S. Zeno 4 mansi con altre terre e case spettanti a detto capitolo, per i quali beni il conte Guido di lui padre aveva dato in pegno a quei canonici un crocifisso d’argento di libbre 9 e once 3. – ( loc. cit. Carte del Capitolo di Pistoja ).

    2. PISTOJA SINO ALL’ORIGINE DELLE FAZIONI BIANCA E NERA

    Che dopo la morte della contessa Matilde il popolo pistojese si emancipasse dai Conti e Marchesi e da altri ministri imperiali, e che si costituisse in regime a comune coi propri Consoli, Rettori e Consiglieri, lo dichiarano i suoi statuti municipali, forse i primi conosciuti fra quelli delle repubbliche italiane, stati dal Muratori nelle Antichità del medio evo dati alla
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    luce e posteriormente dal P. Zaccaria nei suoi Aneddoti pistojesi alquanto illustrati.
    Che Pistoja si reggesse a comune sino dalla prima metà del secolo XII non ne lascia dubitare una lettera del 15 aprile del 1150 scritta nel monastero di Colombaia dal cardinale Ugo vescovo d’Ostia e Legato pontificio, al potestà e ai consiglieri del Comune di Pistoja, acciò facessero abbattere una casa fabbricata sulla strada pubblica in pregiudizio dello spedale del Prato del Vescovo (sulla strada della Badia a Taona), ed acciocché fosse annullato l’illecito giuramento che essi prestar dovevano innanzi di entrare in carica, quello cioè, di non far mai bene agli spedalinghi né in vita né in morte. – ( loc. cit. Carte dell’Opera di S. Jacopo ).
    Infatti ne’primi statuti pistojese anteriori alle riforme ed aggiunte del 1182, o di quel torno, creduti, ma non ad evidenza provati, dell’anno 1117, manca la rubrica relativa al giuramento che innanzi al 1150 i potestà, i consoli e consiglieri di Pistoja prestavano a danno degli spedalinghi e degli ospedali.
    La qual lettera del cardinale Ugo, stato abbate delle Tre Fontane e discepolo di S. Bernardo, ci da almeno a conoscere che la città di Pistoja innanzi la metà del secolo XII aveva statuti e la magistratura del potestà.
    La prima rubrica pertanto degli statuti pistojese testé accennati dimostra che il circondario, ossidano le quattro Cortine di Pistoja e la giurisdizione comunitativa di questa città allora si estendeva sino a 4 miglia distanti da Pistoja; mentre dalle rubriche 8 e nove apparisce l’uso longobardo continuato nel pistojese di punire i delinquenti con multe pecuniarie a tenore delle ferite fatte con ferro o con legno; ed è poi singolarmente pregevole la rubrica 15 che inibisce a chiunque di arrestare alcun cittadino senza un’ordine preciso de’Consoli del Comune.
    Rispetto alla riforma degli statuti fatta intorno all’anno 1182, risulta da quella che il reggimento governativo di Pistoja a quel tempo consisteva nel Potestà,
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    nei Consoli maggiori, ne’Rettori, o Giudici assessori del Potestà, ripartiti per quartieri delle città, mentre nel novero dei Consoli minori vi erano quelli delle arti, fra i quali i Consoli de’ Banchieri e quelli della Milizia .
    Il partito abbracciato dal popolo e Comune di Pistoja nei primi secoli dopo il mille fu ghibellino, ossia dell’Impero, sicché Federigo I riguardò con qualche distinzione questa città per essere stata in Italia una delle più fedeli alla sua corona.
    Ma comecchè i pistojese nel 1199 combattessero i vassalli del loro vescovo a Lamporecchio, e quattr’anni dopo il conte Guidi a Montemurlo; comecchè tenessero sotto la loro accomandigia i conti di Capraja contro i Fiorentini (anno 1204), i conti Alberti in Val di Bisenzio (anno 1213), i popoli di Artimino e di Carmignano (anno 1219); comecchè il Comune di Pistoja stringesse amicizia coi Modenesi, quando si accordarono insieme per aprire una strada che attraversassero quell’Appennino (1225); con tutto ciò i Pistojese trovandosi posti fra Firenze e Lucca, due città che professavano principj politici contrari ai loro, ebbero più fiate occasioni di combattere, ora contro questa, ora contro quella repubblica, siccome bene spesso dovettero procurarsi da quei due popoli una qualche tregua o pace.
    Frattanto non debbo qui tralasciare di ricordare, che nel 1207 i Pistojesi elessero in loro potestà un nobile lucchese, Paganello de’Porcari, quello stesso che aveva esercitato la medesima carica sei anni prima in Firenze, mentre fra il 1244 e il 1247 il comune di Pistoja si trovò nella necessità di creare un vistoso debito per pagare le milizie che dovevano recarsi in Lombardia in servigio dell’Imperatore Federigo II. – ( loc. cit. Opera di S. Jacopo di Pistoja )
    Che i Pistojesi dopo morto il re Manfredi cambiassero partito per abbracciare quello guelfo, ossia della Chiesa, lo dichiara la nomina nel 1267 del Potestà nella persona di Cialdo de’Cancellieri di Pistoja. Il quale nel dì 4 maggio dell’anno 1267, alla presenza
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    de’consiglieri del Comune nella chiesa maggiore di Pistoja prestò giuramento di fedeltà al re Carlo d’Angiò e alla regina Beatrice sua moglie in mano del delegato regio Roberto di Laven , colla promessa di difendere lo stato pistojese e la città dai nemici, ma specialmente da Corradino nipote dell’Imperatore Federigo II e da tutte le altre potenze, eccettuati i pontefici e la Chiesa romana. – (ZACCHARIA Anecdota Pist. E Carte dell’Opera di S. Jacopo in loc. cit. )
    Infatti in quell’anno stesso, dopo la vittoria di Benevento nel giorno di Pasqua di resurrezione, il conte Guido Guerra alla testa delle truppe francesi entrò in Firenze, dove a nome del re Carlo fu eletto in suo vicario generale nella Toscana.
    Ciò anche meglio è dichiarato da una lettera dello stesso re diretta da Napoli nel dì 7 gennajo 1270 al Conte Guido Guerra suo vicario generale in Toscana affinché facesse restituire al Comune di Pistoja un mutuo di 2000 lire tornesi fatto alla camera regia, e che si giovasse a tal uopo del denaro di una decima ecclesiastica stata concessa sopra il clero nel regno di Francia. – ( loc. cit. Carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja )
    In quello stesso mese ed anno il Fioravanti cita altra lettera del re Carlo ai Pistojesi (14 gennajo 1270), seppure non è la medesima del 7 gennajo, in cui quei cittadini sono commendati assai per la loro fedeltà e devozione sincera alla Chiesa romana.
    Lo stesso storico, fidandosi di una tradizione e di quanto scrisse il suo antecessore Salvi, ripeteva il racconto, come in quei tempi si era ritrovata una cava d’oro e di argento nel comune di Ponsano , luogo meno di due miglia toscane lontano da Pistoja, dicendo che i Pistojesi incominciarono in detto anno (1270) a far coniare moneta sì d’argento come d’oro con l’impronta di S. Jacopo, con gli scacchi da una parte, avente
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    dall’altra la parola Libertas . Ma questa cava essendosi resa povera, soggiunge il Fioravanti, fu abbandonata.
    Io non starò a mettere in campo la poca probabilità della scoperta di una miniera di due preziosi metalli nel luogo medesimo, e specialmente in una campagna profondamente colmata dal terreno avventizio, né starò a dire che lo storico, da cui il Fioravanti copiò cotal leggenda, non sempre fu assistito da sana critica; avvertirò bensì essere cosa strana il vedere questa favola riprodotta in una lettera di un chiarissimo numismatico del secolo nostro per servire di appendice all’eruditissima opera della Sagrestia pistojese del Prof. Sebastiano Ciampi, tostochè né una carta del 15 maggio 1048 in cui si parla di denari pistojesi, né la bolla immaginaria di Papa Clemente VI, né il privilegio dell’Imperatore Carlo IV che niuno vide mai, nei denari coniati nel tempo di Castruccio bastano a fare ammettere in Pistoja una zecca con monete proprie.
    Avvegnachè fra le migliaia d’istrumenti antichi di questa città, in cui, o si tratti di compra e vendita, oppure di contratti di mutuo, o di doni a titolo di meta matrimoniale, ossia di testamenti e di altri simili atti, moltissimi de’ quali appartenuti all’Opera di S. Jacopo di Pistoja che possedeva il vistoso numero di 7783 pergamene dal secolo XI al XVIII avanzato, in niuno di quei contratti e in alcun altro di quei secoli fu fatta menzione di zecche né di monete pistojesi.
    Citerò fra le altre una membrana del 16 febbrajo 1282 scritta in Pistoja e rogata dal notaro Romeo del fu Ugolino riguardante una confessione di denaro ricevuto da Tano del fu Cino di Pistoja coll’obbligo di restituirlo dopo due mesi al mutuante Marco del fu Gallito nelle monete seguenti; cioè, un fiorino d’oro , un lucchese d’oro , quattro lucchesi d’argento , e tre aquilini pure d’argento. I quali aquilini , ( pari
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    ai grossi pisani
    ) in un contratto del 5 aprile 1287 furono computati denari 28 per ogni aquilino . Con altro istrumento rogato nel 9 marzo 1282 Conforto di Buonagiunta confessa di aver ricevuto a mutuo da Gherardo notaro figlio di Lazzaro lire 6 e soldi 5 in tanti grossi d’argento , a ragione di 28 denari per ogni grosso; e nell’anno stesso una scritta del 27 giugno tratta della vendita fatta in Pistoja di alcune terre per lire 80 in tanti guelfi grossi di denari 24 l’uno, mentre un istrumento del 5 febbrajo 1285 verte sopra un mutuo di lire nove fatto in tante monete di guelfi a giglio del valore di soldi due per ogni guelfo .
    Dal qual ultimo documento risulta che la moneta fiorentina de’ guelfi a giglio del valore di due soldi corrispondeva al fiorino piccolo d’argento o popolino coniato in Firenze intorno alla suddetta età. In tutti gli altri documenti, nei quali si parla di qualità di moneta, si rammentano i denari pisani, lucchesi, fiorentini, oppure si conteggia a moneta corrente e usuale; ma non mai ho trovato specificata la moneta pistojese. – (ARCH. DIPL. FIOR, Carte dell’Opera di S. Jacopo e di altri luoghi pii di Pistoja ).
    Frattanto riprendendo il filo della storia, mi si presenta all’anno 1274 una deliberazione del 31 ottobre presa dal consiglio generale dei 600 del Comune di Pistoja, che ordina la radiazione dai libri delle decime di una casa posta in Pistoja perché comprata dai Frati Serviti di questa città, ch’erano esenti da quell’imposizione. – ( loc. cit., Carte de’Servi di Maria di Pistoja.. )
    Arroge a ciò un’altra deliberazione del 5 maggio 1287, colla quale il potestà ed i camarlinghi del Comune di Pistoja stabilirono il dazio di quell’anno a lire 3.10 per cento in città, e a lire 5.15 per
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    il contado pistojese. – ( loc. cit.,Carte de’Frati Agostiniani di Pistoja ).
    Cotesti due documenti pertanto giovano a far conoscere l’uso fino allora dai Pistojesi introdotto nel catasto, o dir si voglia della decima, mentre un terzo documento del 1 aprile 1284 tende a dimostrare il sistema governativo della stessa città, dove oltre il potestà e il corpo degli Anziani, erano due consigli uno generale e variabile, l’altro ristretto a soli 40 notabili. Serve a provar ciò, non solo una deliberazione di quel magistrato di cui farò menzione qui appresso, ma due altre provvisioni degli Anziani del 10 luglio 1301 e del 9 marzo 1302 approvate nel consiglio generale dei 300 consiglieri, donde risulta che il regime municipale del Comune di Pistoja nel principio del 1300 aveva subito una riforma.
    In questo frattempo l’Imperatore Ridolfo aveva mandato in Toscana un suo vicario con qualche soldatesca per indurre le popolazioni a riconoscerlo in monarca e moderatore.
    Ma nel 1284, e dopo ancora, i Pistojesi si reggevano coi magistrati propri, siccome apparisce da una deliberazione del 1 aprile di quell’anno fatta dagli Anziani del Comune di Pistoja e dal Consiglio de’40, adunati dal Capitano del popolo, nella quale circostanza fu stabilito che non si sarebbe imposto alla comunità di Artimino verun dazio o colletta senza espressa licenza e volontà di quegli abitanti di parte guelfa. – ( loc. cit., Carte del Vescovato di Pistoja ) .
    Inoltre da un contratto del 27 ottobre 1293 scritto nel palazzo degli Anziani di Pistoja risulta, che in quell’anno eravi per potestà Bonifazio Lupi seniore Marchese di Soragna. – ( loc. cit., Carte del Monastero de’SS. Michele e Niccola di Pistoja ) .
    A questo potestà nella prima metà del 1294 sottentrò un celebre guelfo fiorentino, Giano della Bella, questo stesso che l’anno dopo, trovandosi uno de’priori nella Signoria di Firenze, rinnovò l’ordinamento politico di quest’ultima città coll’introdurre fra le altre cose nella Signoria un presidente col
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    titolo di gonfaloniere di giustizia.
    Anche in Pistoja Giano della Bella lasciò qualche innovazione politica, come fu quella del 16 marzo 1294 (stile comune), per la quale il consiglio generale del popolo pistojese deliberò, che le questioni di cittadinanza degli uomini abitanti nei Comuni ivi descritti, si fossero poste a scrutinio nel consiglio generale, e che il partito decidesse, se il postulante doveva essere considerato cittadino ovvero artista. – ( loc. cit. Carte dell' Opera di S. Jacopo di Pistoja ) .
    Devesi pure alle riforme di Giano della Bella la dignità del gonfaloniere di giustizia introdotta, come poi fece a Firenze, nel primo magistrato comunitativo, ossia fra gli Anziani di Pistoja, e fu anche ad intuito di lui approvata la proposizione di edificare sulla piazza maggiore il palazzo del Comune di questa città per servire di residenza agli stessi Anziani.
    L' ufizio però di potestà esercitato in Pistoja da Giano della Bella fu foriero di sciagure e di vendette cittadine cui fece strada un delitto sacrilego commesso l'anno innanzi da quel Vanni Fucci, che fu
    Ladro alla Sagrestia de’belli arredi.
    Le quali sciagure trovarono alimento sempre crescente nelle scissure insorte fra alcune famiglie magnatizie pistojesi che intorno al 1300 si divisero in due fazioni cui fu dato, il nome di Bianca e di Nera.

    3. PISTOJA SINO ALLA MORTE DI CASTRUCCIO

    Ma innanzi di terminare il secolo XIII i Pistojesi avevano concluso coi Bolognesi una convenzione 14 novembre 1298) per aprire la strada che da Bologna conduce a Pistoja oggi denominata della Porretta, quella stessa che attualmente va a farsi comodamente rotabile. – (ARCH. DIPL . FIOR. Carte dell’ Opera di S. Jacopo ) .
    Frattanto la potente famiglia de’Cancellieri, del cui casato forse fu autore un Ranieri di Cancelliero citato in una carta dell’opera di S. Jacopo
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    dell’11 ottobre del 1246 soprastava a tutte le altre in Pistoja per ricchi e forti possessi, per estese consorterie potenti parentele come per valore personale sicchè tutti i grandi di altre razze tanto in città come in contrada le erano quasi soggetti.
    Accadde nel 1300 che un certo giovane di questa casa essendo con altri parenti ad una taverna, riscaldato dal vino e dal gioco oltraggiò e percosse un suo consorto. Il quale non potendosi quivi con esso lui ricattare, partissi con animo di vendicarsi; ed infatti si vendicò la sera stessa, non contro l'offenditore ma contro un fratello di lui nel tempo che passava dalla strada dove faceva al primo la caccia, sconciandolo assai malamente di ferro nel volto, oltre l'avergli tagliato quasi intiera una mano.
    Allora il padre ed i fratelli del feritore credendo uscire dalla briga, deliberarono di mettere il feritore de’Cancellieri nelle mani del padre e fratelli del ferito con facoltà di farne ciò che loro piacesse, rammentandoli a un tempo la parentela onde gli usassero umanità. Ma i Cancellieri spietati e crudeli trassero lo sciagurato giovane in una stalla di cavalli, e quivi uno de’fratelli del ferito tagliò sulla mangiatoja al giovane la mano, con la quale aveva quasi mozzo quella di suo fratello, e diedegli un colpo nel viso in quel medesimo lato, dov'egli aveva ferito il suo germano, dopo di che così deforme e stroppio fu rimandato a casa del padre, congedandolo con queste acerbissime parole: Le ingiurie si purgano col sangue.
    Tale fu il cominciamento della divisione, tutta di famiglie e punto politica, della città di Pistoja, onde seguitarono per generazioni di generazioni fiere e atroci vendette, uccisioni di uomini, arsioni di case, di ville e di castella, sicchè la città con tutto il suo distretto per lungo tempo restò involta in rivoluzioni intestine e in continui tradimenti.
    La guerra si cominciò aspra fra quelli della casa Cancellieri che si divise in due fazioni, la
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    Parte Bianca che fu quella che prese a difendere il Cancellieri ch'era stato ingiuriato nella taverna, e la Parte Nera quella dell'altra famiglia che il primo sfregiò nel viso mozzandogli la mano sulla mangiatoja; e tanto moltiplicarono le divisioni e le guerre di rappresaglia, che non rimase né in Pistoja né in contado, e perfino nella montagna pistojese classe di persone, maschio o femmina, che divisa non fosse, e che non tenessero con l'una parte o con l'altra. La Bianca fece rivivire per fini di famiglia più feroce che innanzi, non solo in Pistoja, ma a Pisa, a Firenze, a Lucca e per quasi tutta Italia, la setta ghibellina, mentre la Nera richiamò in vigore la guelfa fazione opposta.
    A Pistoja frattanto nel 1295 fu chiamato in potestà il fiorentino Manetto degli Scali, al quale l'opera ed i monaci di S. Bartolommeo in Pantano nel dì 16 maggio 1295 fecero istanza affinché a tenore degli statuti di quel Comune non fosse turbato il possesso che aveva la badia predetta sopra le acque della gora dell’Umbroncello ( mora di Gora ) le quali fino d'allora correvano per la città di Pistoja, dalla chiesa di S. Francesco fino al mulino del monastero sopra nominato. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di detto Mon. )
    Nell'ultimo anno del secolo XIII i Pistojesi ebbero in potestà un altro nobile fiorentino, Scolajo de'Giandonati, il quale con il consenso degli Anziani e del gonfaloniere di giustizia nel 20 giugno dell'anno 1300 ordinò di vendere e alienare i terreni delle ripe con i muri vecchi della città di Pistoja. ( ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Mon. di S. Mercuriale ) . – Vedere appresso CERCHI DIVERSI DI
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    PISTOJA.
    La prima metà del secolo XIV può dirsi l'epoca più copiosa di fatti, e a un tempo la più lacrimevole dell'istoria pistojese, nella quale i cittadini, piuttosto che a difesa della causa municipale o del proprio comune, ben volentieri straziavansi nell'avere e nella persona per secondare la prepotenza de'loro signori, dai quali essi erano tenuti come servi di gleba piuttostochè come fedeli e amici. Quindi vedevasi la parte vincitrice cacciare in esilio la vinta, confiscare o rapire i beni e incendiare le loro case. Perfino i sacerdoti, i monaci stessi, invasi dal demone della discordia, portavano la fiaccola dell'incendio nelle famiglie cangiando in forsennata rabbia i più sacrosanti affetti materni, filiali, fraterni e coniugali.
    A tale immanità erano giunti gli animi di que' popoli che il Ven. Tummaso Andrei da Casole vescovo di Pistoja, nel giugno del 1301, dovè scrivere lettere encicliche a tutti i pievani della sua diocesi, affinchè i rivoltosi, tanto secolari come ecclesiastici, cessassero dall'invadere violentemente i beni de' monasteri, degli ospedali o di qualsiasi benefizio ecclesiastico, ordinandone la restituzione, e obbligando quei parrochi sotto minaccia di scomunica a pubblicare dentro otto giorni l'enciclica del dì 8 giugno in tutte le loro chiese. Tale ordine infatti fu eseguito, nel giorno dello stesso mese in tempo degli ufizj divini, da D. Bartolommeo fratello del Ven. Andrea Franchi stato vescovo pistojese nella chiesa collegiata di S. Stefano a Prato, dov'egli era Preposto. – ( Carta deli' ARCH. ARC. DI PISA).
    Cotesta enciclica del vescovo di Pistoja coincide con la riforma deliberata dagli Anziani e consiglieri dello stesso Comune, quando fu da essi deciso di affidare per tre anni la balìa del loro governo alla Signoria di Firenze; in vigore della quale i reggitori di quest'ultima città mandarono a Pistoja un potestà ed un capitano del popolo. Erano infatti i Fiorentini nell'anno 1301 quasi signori della città e territorio pistojese quando i capi di parte Bianca proposero di cacciare la parte avversa; per
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    cui l'Alighieri fece dire al ladro della sagrestia de belli arredi:

    Apri gli orecchi al mio annunzio,
      ed odi:
    Pistoja pria di Neri si dimagra;
      Poi Firenze rinnova genti e mali.

    Infatti la cacciata de' Neri da Pistoja accadde nel di 28 maggio del 1301, undici giorni innanzi le lettere pastorali dei vescovo Tommaso testé accennate, e due mesi prima che scendesse in Italia messer Carlo di Valois, chiamatovi dal Ponteficie Bonifazio VIII. II quale Carlo appena arrivato con le sue genti in Toscana si mostrò più propenso in aiutare la fazione Nera, che si collegò alla parte guelfa piuttostochè la ghibellina designata sotto l'altro vocabolo di Bianca.
    E perché dipoi la fazione Nera rimase a Pistoja vincitrice della Bianca, l'Alighieri, ch'era uno de' caporali del soggiogato partito, cercò vendicarsi con rabbia ghibellina quando proferiva coteste parole:

    Ah Pistoja, Pistoja, che non stanzi
      D' incenerarti sì che più non duri,
      Poiché in mal far lo tuo seme avanzi?
    Per tutti i cerchi dell'Inferno oscuri
      Spirito non vidi in Dio tanto superbo,
      Non quel che cadde a Tebe giù de'muri.

    In mezzo a tanti trambusti gli Anziani del Comune di Pistoja proposero, ed il consiglio generale de' 300 con partito del 10 luglio 1301 approvò, che gli ufiziali dell'Opera di S. Jacopo somministrassero denaro agli operai deputati dal Comune per riedificare la chiesa di S. Giovanni Battista Rotondo, già detto di S. Giovan ni in Cor te, dove fino dell' anno i 1256 era stato rifatto al battistero. – (ARCH. DIPL. FIOR., Cart e dell'Opera di S. Jacopo. ) Infatti nel 1320 si commettevano tavole di marmo bianco di Siena per incrostare cotesto tempio.
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    Ved ere qui appresso EDIFIZI SACRI ec.
    Quando Carlo di Valois ebbe riformato di nuovi priori e di altri uffiziali guelfi o di parte Nera il governo della Repubblica Fiorentina, ordinò una cavalcata sopra Pistoja, che mantenevasi a parte Bianca , nel mentre che si concludeva accordo fra il governo lucchese
    ed il fiorentino di muover guerra alla stessa città. Dondechè nel giugno dei 1302 le truppe lucchesi da una parte e le fiorentine dall'altra giunsero presso un miglio a Pistoja dando il guasto per molti giorni alle sue campagne, innanzi di porsi all'assedio del castello di Serravalle. Nel tempo stesso un corpo di truppe avviossi per prendere il castel di Larciano nei Monti di sotto e quelle del Montale dalla parte di Firenze, essendo cotesti tre fra i migliori fortilizi, dopo Carmignano, del contado pistojese, i quali uno dopo l'altro nello stesso anno 1302 furono conquistati. – ( Vedere i respettivi Articoli).
    Erano in quel tempo al colmo le rivoluzioni de’popoli in Toscana, quando per la morte del vescovo di Pistoja Tommaso Andrei (30 luglio 1303) il capitolo della chiesa maggiore elesse in successore il canonico proposto della cattedrale, Bartolommeo di Guittoncino Sinibuldi zio del celebre messer Cino. Quindi il Pontefice Benedetto XI, desiderando di pacificare i Bianchi o ghibellini coi guelfi Neri, spedì per delegato della S. Sede in Toscana il Cardinale Niccolò da Prato. Ma i Fiorentini dopo essersi accorti che il cardinale aderiva alla fazione Bianca, e che tentava di rimetterla in Firenze, gli chiusero ogni strada per impedirgli di condurre al suo fine l'impresa; comecchè il Comune Pistoja devoto a quella fazione accogliesse con gioia il delegato papale, dichiarandolo governator generale della loro città. Tale infatti è qualificato in un istrumento scritto in dette città lì 3 novembre 1304 nel tempo che Tolosato degli Uberti in nome
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    di quel governatore generale esercitava il doppio ufficio di potestà e di capitano del popolo pistojese. – ( loc. cit., Carte del Mon. de’SS. Michele e Niccola diPistoja. – Vedere GORA ( S. MICHELE DI ) .
    A provare con quanta animosità si riaccendesse la guerra dai Fiorentini e Lucchesi contro i Pistojesi basa per tutte una deliberazione del 14 maggio 1306 presa dagli Anziani della Repubblica di Lucca quando già era stata conquistata la città di Pistoja. Colla quale deliberazione fu proibito ai cittadini e contadini lucchesi di contrarre parentela di sorte, o matrimonio con alcuna famiglia pistojese. ( loc. cit. Opera di S. Jacopo di Pistoja ) . Ho già detto che cotesto atto pubblico dei Lucchesi precede di un anno l'epoca fatale per Pistoja del doloroso assedio sofferto tra il 1305 e il 1306.
    Imperocchè un numeroso esercito di Fiorentini capitanati da Roberto duca di Calabria figlio di Carlo d'Angiò re di Napoli, fino dal 22 maggio 1305 erosi accampato davanti a Pistoja; mentre i Lucchesi condotti dal Marchese Moroello Malaspina accorrevano dalla parte di Serravalle. Ma in quell'assedio, che durò 11 mesi e mezzo, i Pistojesi diedero prove di gran coraggio e virtù, sia per le ardimentose sortite, sia per la loro costanza, come per le privazioni di ogni genere che ebbero in quel tempo a sopportare. Poco valse tutto ciò, poco il valore e la fede dell'Uberti vicario del Card. Niccolò da Prato, poco il coraggio di 300 soldati a cavallo e di un maggior numero di fanti di presidio, che avevano giurato difendere Pistoja infino alla morte, poco le solide sue mura, e meno ancora la mediazione del Pontefice Clemente V, pregato dal Cardinal da Prato, nulla insieme giovò a stancare da uno strettissimo assedio tanti nemici. Dondechè i magistrati di Pistoja, dopo che seppero le cose de’ Bianchi succedute sinistramente a Bologna, senza
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    più speranza di essere soccorsi da quelli né da altri amici, ridotti a grande penuria di vettovaglie, si decisero di cacciare le donne e i fanciulli dalla città assediata. – Ma arrivati al momento che solamente per due giorni restava per quei di dentro uno scarso alimento, né avendo altro rimedio eccetto quello di arrendersi, incominciarono ad aprire trattative coi nemici; sicchè nel dì 10 aprile del 1306 fu convenuto, che si dovesse consegnare agli assedianti la città di Pistoja coi paesi del suo contado, e che a quelli di dentro rimanessero per refugio il castello di Piteccio e quello della Sambu ca, previo lo sborso di 3000 fiorini d’oro ai commissari de'vincitori.
    Dopo firmata la capitolazione, nel dì 11 aprile entrò in Pistoja parte della gente a cavallo e a piedi de’Lucchesi sotto il comando del marchese Moroello Malaspina ed una porzione dell'esercito fiorentino sotto il contando di Bino da Gubbio, potestà di Firenze. I quali due capitani avendo preso bei tosto la balìa della città e delle fortezze, misono fuori Lippo Vergiolesi con tutti i suoi consorti e più altri grandi di parte Bianca e fecionli accompagnare a Piteccio con il vinto esercito ed i più caldi fautori de’ Bian chi. Quindi fu riformato il governo della città con nuovi Anziani e con tutti gli alti ufiziali scelti fra quelli di fazione, Nera o Guelfa, meno che il capitano e il potestà, il primo da nominarsi per tre anni a scelta de Fiorentini, l’altro dai Lucchesi. Quando la città di Pistoja fu in tal modo riordinata i vincitori abusando oltremodo della vittoria non solo partironsi fra loro tutto il contado pistojese, ma a carico del Comune soggiogato fecero abbattere le mura della loro città le fortezze, torri e palazzi delle famiglie magnatizie ghibelline, in guisa che Pistoja, ebbe a dire un vecchio storico, come villa di sfatta si rimase. Nondimeno dai documenti pistojesi della stessa età
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    risulta che una parte almeno delle mura, e tutte le porte di Pistoja, sebbene si smantellassero, lasciaronsi in piedi anche dopo la resa del 1306.
    Il primo potestà di Pistoja posto dai Fiorentini, dopo la partenza di messere Bino de Gabbrielli da Gubbio, fu Pazzino de’Pazzi ed il primo capitano del popolo messo da Lucchesi fu il marchese Moroello Malaspina il quale ultimo era già stato eletto per l'anno 1307 in capitano della Taglia guelfa di Toscana. – Dondechè l'ombra di Vanni Fucci incontrata da Dante nell’Inferno alludevi: e quel marchese Malaspina quando figurava predire al vate delle tre visioni ciò che allora doveva essere accaduto.

    Tragge Mante vapor di Val di Magra
      Ch' è di torbidi nuvoli involuto
      E con tempesta impetuosa ed agra
    Sopra campo Picen fia combattuto;
      Ond'ei repente spezzerà la nebbia
    Bianco
    ne sarà feruto;
    E detto l'ho perché doler ten debbia.

    Le spese che in quell'emergente dové sostenere il Comune di Pistoja furono grandissimi e tutte a carico degli abitanti della città che vennero, come dissi, in quell'occasione spogliati del suo contado; mentre i magistrati, tanto stranieri come paesani, intendevano al guadagno piuttosto che a far giustizia
    Possono darne un'idea le due provvisioni seguenti; la prima, del 16 luglio 1306, spettante a una deliberazione del magistrato comunitativo di Pistoja, mercé cui in vista delle grandi spese dalle quali il Comune trovavasi aggravato, dovendo cercare persone che dassero ad imprestito del denaro, fu eletto a tal uopo un sindaco per ricevere cotali somministrazioni. La seconda fu deliberata nel 24 gennajo 1307, con la quale gli Anziani ed il gonfaloniere di giustizia della città di Pistoja ordinarono che Doro di Pellegrino di parte Bianca dasse per abitare una sua casa a Opizzone di Lazzero Guelfo
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    Nero, non
    ostante, ecc. – ( loc . cit., Carte dell'Opera di S. Jacopo. )
    Per le quali vessazioni molti Pistojesi furono necessitati ad abbandonare la patria, sicché il paese rimase povero di persone e di averi ed i cittadini superstiti talmente avviliti, che i Bianchi del castello di Piteccio, cominciando a muover guerra a Pistoja, spesso correvano infino presso alla città, facendo preda di prigioni e di bestiami: comecchè, quando gl'incursori erano presi, venissero tosto impiccati. – Contuttociò Piteccio era per i Pistojesi ghibellini come lo fu più tardi Montalcino per i repubblicani sanesi, mentre l'esercito di Piteccio, stante la capitolazioni del 10 aprile 1306, rappresentava il Comune stesso di Pistoja a parte Bianca, o ghibellina.
    Infatti fra i documenti della badia di S. Bartolommeo in Pantano venuti nell'Arch. Dipl. Fior. avvene uno, che specifica di essere stato rogato lì 11 settembre dell' anno 1307 nell'esercito del Comune di Pistoja ap presso Piteccio.
    Vedendo i Neri governatori di Pistoja di essere perseguitati dai fuorusciti Bianchi di Piteccio, nel 1307 risolverono di recarvisi ad oste per discacciarli di là. A soccorso della quale impresa i Fiorentini ed i Lucchesi mandarono una mano di gente armata tanto a piedi che a cavallo.
    II loro capitano di guerra, Messere Ranieri Buondelmonti, ch'era allora pel Comune di Firenze potestà in Pistoja, giunto sotto Piteccio, fece accampare intorno al castello l'esercito, rizzare trabacche e bertesche, da ogni parte, mentre i fuorusciti, diretti dal capitano Lippo de’Vergiolesi, stavano alla guardia di quel fortilizio, il quale sebbene piccolo era forte in guisa che per battaglia non si sarebbe mai potuto avere. Sicché per quanto dagli assedianti fosse stato munito il campo di maniera che nessuno vi poteva entrare né uscire, eglino però dovettero restar più mesi ad assedio, né quelli di dentro si sarebbero giammai arresi, se non veli
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    avesse costretti la mancanza della vittuaglia. I più animosi però, innanzi che vedere in viso i nemici, nel giorno 30 novembre 1307 se ne uscirono celatamente dalla parte della montagna salendo al castello della Sambuca, di cui allora era feudatario Lippo de’Vergiolesi padre della bella Selvaggia, il quale dipoi nell'anno 1309 vendé per lire 11,000 al governo di Pistoja il castello medesimo con questo di Piteccio. – ( Vedere i suddetti due Articolo ).
    Non ostante l'acquisto fatto dai Guelfi pistojesi di cotesti due ben muniti castelli, la loro patria continuava ad essere agitata da divisioni e scandali intestini, sicché Pistoja meritossi l'epiteto di città partita, ma partita, come dissi, per odii famigliari non per opinioni politiche.
    Arroge che intorno alla stessa età la Toscana tutta fu seriamente travagliata da più generali sconvolgimenti, precipuamente, dopo l'arrivo in Italia dell’Imperatore Arrigo di Lussemburgo. E come il diavolo s' assottiglia (scriveva l'anonimo della storia pistojese) di mettere standolo intra quelli che meglio si vogliono per farli venire in odio e in dissensione, tanto si assottigliò, che mise scandalo intra l' abbate di Pacciana, Ermanno Tedici, che fu capo della sua casa, e messere Vanni de’Lazzari, i di cui figli erano priori e canonici della chiesi di S. Pietro di Seano tra Pacciana e Tizzana. – Coteste discordie aggiunte alle misure prese dai Fiorentini obbligarono i Pistojesi a restare sotto l’accomandigia del re Roberto capo della parte guelfa in Italia, per cui tenne tiri suo vicario regio a governare la stessa città col suo distretto. In tale circostanza il re Roberto con patente data in Napoli lì 20 gennajo del 1314 elesse per suo consigliere e famigliare messere Giovanni o Vanni de’Lazzari patrizio pistojese, quando Matteo da Colle reggeva cotesta città in nome di sua Maestà. – ( Loc. cit., S. Jacopo di Pistoja ) .
    Tuttavia il paese continuava ad esser dominato dall'abbate di Pacciana,
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    dai Ricciardi e dai Rossi, famiglie assai potenti che erano riescite ad allontanare quasi tutti i loro nemici delle case Cancellieri, Lazzari, Taviani e consorti.
    Non era che di poco ritornata la quiete ritornata in Pistoja quando Uguccione della Fagginola, fattosi arbitro de’Pisani e dei Lucchesi, coll’assistenza de’Bianchi fuoriusciti pistojesi tentava di aver il dominio anco della loro patria.
    In tale animo egli inviò genti armate a occupare il castello di Serravalle, che di nottettempo fece avanzarle sino alle mura della città, sicché quelle soldatesche insieme ai fuorusciti, d'intelligenza con le guardie della Porta di Ripalta, furono introdotte in silenzio in Pistoja, dove si diedero poi a gridare, la terra è d'Uguccione.
    Allora scossisi i Pistojesi corsero colle armi a combattere per le strade e per le piazze i poco graditi ospiti Faggiuolani e ribelli, tanto che questi dagli abitanti furono cacciati a forza dalla città.
    Accadeva ciò nella notte del 10 dicembre del 1314 un anno innanzi che la Signoria di Firenze ad istanza dei magistrati pistojesi, per assicurare il paese da altre escursioni ostili, in grazia del valore dimostrato da quei cittadini, restituì loro l'antico contado e distretto pistojese con le castella, ville, fortezze e dipendenze, eccettuata la rocca di Carmignano. Ciò anche meglio apparisce dalle proposizioni di pace esibite dal Comune di Firenze nel 14 novembre del 1315 e approvate dalle parti nel 6 dicembre dello stesso anno. Fra le condizioni ivi registrate avvi questa: che se la città di Pistoja si riducesse mai a parte ghibellina, fosse lecito al Comune di Firenze di riprendere le terre e castella tutte del contado pistojese.
    Fu in grazia di questo trattato che ritornarono in patria i Cancellieri, i Taviani i Lazzari ed altre famiglie di parte Nera state cacciate di Pistoja dai loro oppositori e nemici, i Tedici, Rossi, Ricciardi e consorti.
    Nella circostanza medesima il re Roberto
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    inviava da Napoli lettere ai Pistojesi sotto dì 4 dicembre 1315, colle quali, annuendo egli alle istanze fatte dai reggitori del loro Comune, ordinava che i suoi vicarii residenti in Pistoja dovessero osservare gli antichi statuti della città. Quindi lo stesso re nel 20 maggio del 1317 notificava al Comune prenominato l'accordo fatto in sua presenza nel giorno 12 dello stesso mese ed anno fra gli ambasciatori di tutte le città e terre della Toscana per la pace generale. In conseguenza di ciò i Pistojesi spedirono due sindaci a Lucca e a Pisa con una copia autentica del trattato predetto per ratificarlo; ma gli Anziani lucchesi nel 23 giugno successivo rispondevano al conte Ugo di Battifolle, allora vicario regio in Toscana, ed agli Anziani di Pistoja, che non potevano dare su di ciò una risposta decisiva stante l'assenza di Castruccio Antelminelli loro capitano generale, il quale trovavasi in quei giorni al Bagno di Corsena. Vedere BAGNI DI LUCCA. – Più liberi gli Anziani di Pisa avevano inviato al Comune di Pistoja lettere di accettazione, fino del 20 giugno dello stesso anno 1317, e non del 1341 come suppose il P. Zaccaria ne’suoi Aneddoti pistojesi, (pag. 407.)
    Frattanto i Pistojesi, desiderosi di fare la volontà del re Roberto, cui stava a cuore che la parte Guelfa, allora in potere in Pistoja, si pacificasse con i fuorusciti ghibellini che occupavano il castel di Serravalle, annuirono al desiderio di lui, tostochè nel 28 maggio del 1318 stabilirono con i ribelli un trattato d'accordo.
    Con altra lettera del 7 agosto, anno 1318 il re Roberto partecipava al Comune di Pistoja di essere egli stato eletto in signore e vicario per dieci anni della città e territorio della repubblica di Genova; al qual effetto invitava i Pistojesi a inviare a Talamone una loro cavalcata a onore e salvezza di Genova e della
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    parte guelfa. – In quel nomento sembra che la città di Pistoja stasse alquanto tranquilla, quando Castruccio, che fino dal tempo della cacciata da Lucca di Uguccione della Faggiuola venne eletto capitano generale di guerra di quella repubblica, vedendo che tutte le imprese gli riescivano avventurose, si pose in animo di volere recar all'ubbidienza sua anche questa città con tutto il suo distretto, sicché nel 1320 cominciò a guerreggiarla danneggiando con frequenti scorrerie la sua contrada. In vista di tuttociò i Fiorentini credettero bene inviare a Pistoja qualche migliajo d’uomini d'arme affinché essi cavalcassero alle terre del pistojese testé da Castruccio occupate. Che sebbene qualche volta i soldati della Repubblica Fiorentina riportassero vantaggio, pure tanta era la fortuna e il valore del capitano lucchese, che alla fine egli rimase vittorioso: sicché assai castelli e borgate dei Monti di sotto dovettero acconciarsi per denari col signor di Lucca. Donde avvenne che i Pistojesi inviarono ambasciatori a Serravalle, coi quali si accompagnò Pino della Tosa vicario di detta città pel re Roberto, ad oggetto di parlamentare con Castruccio, sebbene con poca soddisfazione della parte guelfa e dei Fiorentini. Avvegnachè Ermanno Tedici abbate di Pacciana, che allora faceva la prima figura e consideravasi quasi capo dei Pistojesi, si concertava in segreto con l'Antelminelli per cacciare la parte guelfa di Pistoja nella lusinga in cui egli era di tirai arbitro assoluto della sua patria; e la cosa giunse al punto che Castruccio nel dì 11 aprile del 1322 si appressò col suo esercito a detta città. Allora l'abbate di Pacciana, recandosi al palazzo del Comune, fece levare i cittadini a rumore in guisa che gli ambasciatori fiorentini, il podestà e i popolani di parte guelfa dovettero escire di Pistoja. Per tal mezzo il Tedici essendosi reso padrone della patria, si diede a riformarla di Anziani e di potestà, facendo comandamento a tutti gli individui di casa Taviani e Cancellieri rimasti in Pistoja, che a pena
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    dell’avere e della persona partissero di città e del contado. Quindi aperte trattative con Castruccio, il Tedici obbligossi pagare al medesimo 4000 fiorini d’oro l'anno, facendo approvare le condizioni al consiglio del popolo, già da esso lui stato scelto fra la gente artiera e minuta e tra quelli della sua fazione. In conseguenza di ciò l’abbate di Pacciana fu dagli Anziana investito del supremo potere sulla città e contado pistojese. Ma quantunque il titolo della signoria fosse dell’abbate, nondimeno questi faceva tutto ciò che voleva messere Filippo Tedici suo nipote; finché dopo 14 mesi venne a costui in animo di sgravare lo zio di quel peso col farsi dichiarare egli solo il reggente dello stato. Al qual uopo messere Filippo, mentre da una parte apriva trattative con Castruccio speranzandolo di dargli in mano Pistoja, dall'altro lato faceva credere ai Fiorentini di volere rimettere i Guelfi in Pistoja e di racconciare la città a parte Nera. – Accadeva ciò nel tempo che il conte Guido Novello vicario pel duca di Calabria nella Toscana corse con un esercito di Fiorentini e di fuorusciti guelfi pistojesi ad assalire il Castello di Carmignano, il quale fu preso nel 21 aprile 1324, meno la rocca. Ma perché quel messere faceva segno di voler dare Pistoja a Castruccio se il conte Guido non abbandonava Carmignano, i Fiorentini per tema di perdere quella città ordinarono al loro capitano che lasciasse libero il castello acquistato. – (G. VILLANI, Cronic. Lib. II. Cap. 247).
    Frattanto l’abbate di Pacciana non aveva abbandonato il pensiero di ritornare al possesso del perduto dominio, mentre con altri suoi nipoti e amici macchinava di gettare dalle finestre del palazzo pubblico messere Filippo, sennonché questi ebbe l'accortezza di mandare a vuoto il progetto dello zio ritenendolo in palazzo suo prigione.
    Con tutto ciò messere Filippo erasi reso insopportabile a tutti i suoi amministrati, sicché per doppiezza innata in quella famiglia, senza togliere di speranza l'amico suo Castruccio, dava a
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    credere ai Fiorentini di volerli far padroni di Pistoja a condizione però che quei Signori creassero cavaliere il suo figlio Carlino, e che dotassero due figliuole di lui per maritarle nobilmente in Firenze, oltre a sborsare al Tedici stesso tremila fiorini d'oro. Altro non restava che dare esecuzione al trattato, quando Castruccio, di consenso del medesimo messere, andò ad assaltare il castello della Sambuca, nella cui rocca era castellano un cognato del Tedici, che di buona voglia consegnò il fortilizio; quindi per facilitare l'acquisto di Pistoja, Castruccio fece intendere a Filippo allora vedovo, che voleva dargli in moglie la sua figlia Dialta con il pingue assegnamento di dieci mila fiorini d'oro. Aderì il vedovo signore alla proposta, e senz'altro indugio, mandato a Lucca per ostaggio il figlio suo Carlino, nella notte del 5 maggio 1325 accolse Castruccio con le sue genti dentro Pistoja; comecchè ciò accadesse non senza ostacolo dei partitanti guelfi. Impadronitosi in tal modo il capitan lucchese della città, riformò tosto i magistrati, e per assicurarsi meglio dei nuovi sudditi, diede ordine di costruire una fortezza dentro Pistoja, chiamandola Belvedere; quindi inviò una parte di soldati a piedi per guardare i fortilizj e rocche dei territorio pistojese, meno Carmignano. Avvegnachè gli abitanti di quest’ultimo castello essendosi accorti che messere Filippo Tedici tenea Pistoja tirannescamente e a pregiudizio della parte guelfa, renderonsi di loro libera volontà al Comune di Firenze, alle cui genti d'arme avevano consegnato la rocca (13 gennajo dello stesso anno). – (GIOVANNI VILLANI, Cronic. Lib. IX Cap. 279 e 294.)
    Il tradimento di Filippo Tedici fu le di rinnovazione di molti mali ai Pistojesi e di non pochi danni e pericoli ai Fiorentini ed alla parte guelfa in Toscana; comecchè nel giorno susseguente alla perdita di Pistoja arrivasse da Napoli a Firenze Raimondo di Cardona eletto in capitano di guerra della taglia guelfa toscana, e che poco dopo egli con una parte dell'esercito cavalcasse all'acquisto del castello d’Artimino de
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    Pistojesi, che se gli arrendé pochi giorni dopo (22 maggio 1325).
    Quindi la Signoria di Firenze avendo proposto ed i collegj nel di 8 giugno approvato d'inviare l'oste a Pistoja, il capitano lucchese, dopo che ebbe sentore di ciò, nel dì 11 dello stesso mese corse con le sue genti ad accamparsi al Montale, facendo prontamente riattare e afforzare quest’ultimo castellare. – Vedere MONTALE.
    Nell’occasione medesima i Signori ordinarono e misero insieme tale armamento che forse i Fiorentini non ebbero per l’addietro il maggiore senza ajuto di alleati. Quindi tutti i soldati a cavallo e a piedi marciarono a Prato, dove si raccolsero da mille cavalieri, grandi e popolani della città, e da duemila cavalieri tra francesi, tedeschi, borgognoni, catalani, guasconi, fiamminghi, provenzali e italiani, scelti di tutte le masnade vecchie. Di pedoni poi furono più di i 5.000 bene armati, ed ebbero i Fiorentini in quell'esercito 800 e più trabacche con padiglioni e tende, e più di 6000 tra cavalli e somieri, senza quegli delle amistadi che vennero di poi; sicché, a confessione di Giovanni Villani, testimone di ottima fede, tutte coteste genti non costavano al Comune di Firenze meno di 3000 fiorini d'oro, o zecchini correnti, per giorno.
    A così nobile e tanto ben fornito esercito si aggiunsero di poi 200 cavalieri venuti da Siena, per modo chè con sì numerosa oste a dì 17 giugno il capitano Raimondo di Cardona da Prato si mosse per avanzarsi ad Agliana e di là presso a Pistoja, poscia piegando verso Tizzana nei Monti di sotto, ivi si accampò per pochi giorni, finché tutta l'armata de'Fiorentini, valicando il Monte Albano, il dì appresso scese sulla Gusciana nel Val d'Arno al Ponte a Cappiano.
    Castruccio, appena informato di tale strategica del capitano de’Fiorentini, si partì col fiore delle sue genti da Pistoja per recarsi in Val di Nievole, dove poscia
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    nel successivo mese di settembre (a dì 23) egli riportò nei campi dell’Altopascio quella memoranda vittoria, per la quale si vide rinnovare in Lucca la straordinaria pompa de’militari trionfi de’Consoli romani.
    Ma innanzi tutto, il capitano lucchese, appena ottenuta la vittoria invece di recarsi Lucca, corse con i suoi bravi a raccogliere nuovi frutti sugli avanzi dell'esercito disfatto, e a dì 27 settembre ordinò a messere Filippo Tedici che uscisse da Pistoja per andare a riprendere Carmignano; quindi lo stesso Castruccio s'innoltrò con tutta l’oste in sul contado di Firenze guastando e predando tutte quelle campagne, da Segna sino a Careggi e al Ponte a Rifredi, un miglio presso alla città rivale. In tal modo, dopo raccolta la maggior preda possibile e più prigioni che non ebbe alla vittoria dell’Altopascio, l’Antelminelli ritornò per la via di Pistoja a Lucca, dove fece il suo ingresso trionfale nel giorno di S. Martino. – Vedere LUCCA.
    Né qui si arrestò quel fulmine di guerra tostochè nello stesso mese di novembre egli tornò con le sue genti d’arme a dare il guasto alle popolose campagne fra Signa e S. Casciano sino al borgo di Monticelli presso le mura di Firenze; quindi ripassando l'Arno si diresse a Montemurlo, dove la guarnigione del castello, dopo 80 giorni di assedio, con gran vergogna e sbigottimento de’Fiorentini dovette rendersi a patti. – Vedere MONTEMURLO.
    Godevasi Pistoja della pace sotto il regime del glorioso Castruccio, quando, nell'ottobre del 1326, i fuorusciti guelfi ribellarono a lui Cavinana e Mammiano, due cistella della montagna pistojese, mentre dalla parte di Lunigiana il Marchese Spinetta Malaspina con masnade fiorentine e lombarde guerreggiava a danno del capitano lucchese.
    A tanto impeto seppe il valent'uomo con maravigliosa sollecitudine da una parte e dall'altra riparare, in guisa che non solo in quel mese medesimo riacquistò nella montagna pistojese ed in Lunigiana le castella perdute, ma tale fu la strategica, con la quale egli combattendo in due opposte distanze con pochi bravi disfece numerosi nemici a segno da dover
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    senza dubbio dichiarare Castruccio il Napoleone del suo secolo. – Vedere LUCCA.
    Contuttociò i Fiorentini non lasciavano posare né i Pistojesi, né il loro signore poiché nel gennajo susseguente, il Conte Guido Novello coll’esercito del duca di Calabria protettore e governatore della Repubblica Fiorentina provvistosi di molti fanti e di 800 cavalieri della miglior gente, cavalcò fino alle porte di Pistoja, guastando, ardendo e predando tutto il contado suburbano, massimamente dalla parte di Val di Bure. – (GIOVANNI VILLANI Cronic. Lib. X. Cap. 6, e 15.) Venuto però in Italia Lodovico il Bavaro, per quanto scomunicato come fautore de’nemici di santa Chiesa, trovossi onorato e servito di truppe da Castruccio, sicché andando con lui a Pistoja, ed intrusovi un vescovo del loro partito, fu dal Bavaro dichiarato duca imperiale anco di questa città e del suo territorio.
    Frattanto che Castruccio, accomiatando a Roma il Bavaro, veniva da questi rivestito del titolo di senatore dell’alma città, e che carico di onori festeggiava il nuovo Imperatore, i Fiorentini coglievano l'opportunità di riconquistare la perduta Pistoja. Lo chè accadde fra il 27 e 28 di gennajo del 1328 sotto la condotta di Filippo da Sanguineto maresciallo del re di Napoli. E per quanto la guarnigione lasciatavi da Castruccio valorosamente si difendesse, essa dové presto cedere al numero de’nemici, e ritirarsi nel fortilizio non ancora compito di Belvedere insieme con due figliuoli del gran capitano, finché con essi di notte tempo refugiossi in Serravalle, lasciando Pistoja in preda al saccheggio. Fermata dopo più giorni la ruberia, il maresciallo riformò la città a nome del re di Napoli e del duca di Calabria, di cui egli era vicario in Toscana; quindi condusse a Firenze in ostaggio i capi del partito di Castruccio, fra i quali il vescovo intruso con messere Vanni di Cino Tedici, lasciandovi a comandante il fiorentino Simone della Tosa con 250 cavalieri e mille pedoni.
    Un cronista del tempo soggiunse « messere Filippo da
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    Sanguineto tornò da Pistoja a Firenze a dì 7 febbrajo 1327 ( stile fio rent ino ) ricevuto con onori grandissimi, e che tra i prigioni menatine, oltre a due figli di Filippo Tedici, fuvvi un frate di nome Donato di Gualdrado (della famiglia So dog i ) il quale da Castruccio per sola sua autorità fu fatto vescovo di Pistoja, e tenea il vescovado contro la chiesa, essendone stato cacciato il vero vescovo Baronto. Il quale falso vescovo Fr. Donato morì poco appresso in prigione nello stesso mese, e fu sotterrato nel renajo d'Arno » ( Cronica M. S. nella Maglia bechiana Cl. XXV . Cod. 19. )
    Appena però giunse in Roma la notizia della conquista fatta dai Fiorentini di Pistoja, Castruccio volò a Lucca, prendendo nel suo passaggio la signoria di Pisa per recare a sé tutte l'entrate delle casse pubbliche, oltre il gravare che fece i Pisani di straordinarie multe ed imposizioni.
    Sollecitato l'armamento di molta gente, Castruccio s' incamminò verso Pistoja per assediarla, come quegli che tutto il suo animo aveva rivolto a riacquistarla, tanto più che sapeva non essere la città fornita di vettovaglia che per due mesi. Dondechè, ad onta degli sforzi fatti dai Fiorentini per riunire soldatesche proprie e quelle de' loro alleati, in numero di 2600 cavalieri la maggior parte oltramontani e di molte migliaia di soldati a piedi; ad onta di tanta brava gente volonterosa di combattere, Castruccio seppe prendere così bene le sue misure, che dopo inutili sforzi onde rimuoverlo dall'assedio di Pistoja, i Fiorentini dovettero allontanarsi da questa città; sicchè gli assediati senza trovarsi forniti di alcuna provvigione, non vedendo più l'esercito amico, furono costretti a chiedere di capitolare, e di restituire al capitano lucchese la stessa città con gran vergogna, danno e immense spese de Fiorentini.
    Non
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    aveva appena Castruccio riformato il governo e fornito di soldati e di vettovaglie la riacquistata Pistoja, che, tornato a Lucca con grandissima gloria, per la soperchia fatica sostenuta, venne impetuosamente assalito da grave malattia, dalla quale in pochi giorni con danno immenso del partito ghibellino quel genio straordinario fu rapito al suo secolo nel giorno 3 di settembre del 1328

    4. PISTOJA SINO ALL' ESTINZIONE DELLA REPUBBLICA FIORENTINA

    Per l'inaspettata morte di un giovane eroe che sembrava destinato a riunire sotto il suo impero l'Italia intera, Pistoja al pari d Lucca restò priva del suo duca e signore, nome del quale, sebbene per pochi giorni, la stessa città continuò a governarsi. A conferma di ciò cito un documento inedito dell’ Arch. Dipl. Fior. esistente fra le carte del l'Opera di S. Jacopo di Pistoja, il quale serve anco a indicarci qualmente l' ospedale del Ceppo di essa città, ad esempio di molti altri della Toscana, era in quel tempo servito da una consorteria di frati, il cui vestiario fu ripetuto due secoli dopo dai discendenti di Luca della Robbia nel maraviglioso fregio che adorna l'esterno loggiati di quella fabbrica. Il documento di cui parlo è un decreto del 12 settembre 1328 date in Pistoja dal vicario generale ducale di Lucca, che concedeva ai frati custodi della cappella e spedale di S. Maria del Ceppo di Pistoja la facoltà d'introdurre in città vino, biade, farine ed altri commestibili, senza pagar gabella per servizio ed in sussidio di quegl' infermi.
    Ma nel mese stesso di settembre si mosse da Firenze verso Pistoja un esercito, che assalì e prese di prima giunta il castello di Carmignano nella speranza di fare imprese maggiori sopra Pistoja dove i Fiorentini contavano molti amici. Infatti nel principio dell'anno 1329 ( stile comune ) essi erano già divenuti padroni della città, poiché nel dì 4 febbrajo di detto
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    anno Filippo da Sanguineto, quello stesso che tolse a Castruccio la città di Pistoja, e che aveva di corto conquistata la rocca ed il castel di Carmignano, quello medesimo nella sua qualità di vicario in Toscana per il re di Napoli e di capitano di guerra de' Fiorentini riebbe Pistoja, dove furono eletti e messi in seggio i nuovi Anziani e consiglieri dei popolo da durare in carica fino a tutto il mese di luglio del 1329 . Quindi nel dì primo marzo dell'anno predetto la Signoria di Firenze pubblicò una deliberazione in ordine ai pagamenti delle soldatesche che avevano servito nella presa di Pistoja. – Che poi i Fiorentini inviassero le loro genti d'arme alla custodia de' castelli del contado e distretto pistojese basta a provarlo un atto pubblico del 4 aprile 1329 , col quale Gherardo Crescioni da Modena, stipendiario del Comune di Firenze, destinato alla custodia del castel dì Cerreto Guidi, elesse Rustichello di Vanni de'Lazzari di Pistoja in solo rappresentante a riscuotere la paga di castellano di Cerreto dove egli allora risiedeva. – ( loc . cit., Car te dell'Opera di S. Jacopo di Pistoja. )
    Finalmente nel dì 11 maggio successivo dagli Anziani e gonfaloniere di Pistoja furono inviati a Firenze ambasciatori del Comune incaricati di stabilire convenzioni amichevoli fra il Comune di Pistoja da una, i Fiorentini ed i Pratesi coi fuorusciti guelfi pistojesi dall'altra parte. Le quali trattative restarono concluse e approvate nel palazzo dei Signori ( palazzo vecchio ) sotto di 24 dello stessa mese. I principali articoli del trattato riducevansi ai seguenti:
    1. Che il Castello e territorio di Montemurlo dovesse rilasciarsi perpetuamente al Comune di Firenze.
    2. Che i governanti di Pistoja riammettessero in città dentro i 5 giorni i fuorusciti guelfi e loro famiglie colla restituzione dei beni.
    3. Che
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    il Comune di Firenze rilasciasse a quello di Pistoja la terra di Livicciana in Val di Bisenzio, e quelle di Lamporecchio e di Castro e Conio ne’ Monti di sotto.
    4. Che i Comuni di Firenze e di Prato liberassero tutti i prigioni pistojesi.
    5. Che Pistoja dovesse esser retta a comune e non da alcun tiranno alla pena di mille marche d’argento, e di rifar tutti i danni e spese che ne conseguissero, ecc. – ( loc. cit. e P. ZACCARIA Anecd. pistor. )
    In quell’occasione furono riformati gli Statuti pistojesi, dai quali si rilevava qual fosse l'ordine delle milizie urbane ( bande ) distribuite in dodici compagnie o gonfaloni, tre per ogni Quartiere della città. (FIORAVANTI, Memor. istor. di Pistoja. )
    Poco tempo però la città poté riposarsi dai partiti privati che nutriva dentro il suo seno un di cui capo, della casa Vergiolesi, trattava niente meno che di dare la patria nelle mani del fuoruscito pistojese messere Simone Filippo de’Reali, nel tempo che costui esercitava l’impiego di vicario in Lucca per Giovanni re di Boemia.
    Ma il trattato essendo stato scoperto, i Fiorentini spedirono tosto costà (nel luglio del 1331) un buon numero di milizie cavallo e a piedi, alla testa delle quali si
    pose il Marchese Guido del Monte S. Maria capitan generale di guerra della Repubblica Fiorentina. Quindi la Signoria commise a sei cittadini di Firenze la riforma del governo di Pistoja la nuova elezione degli Anziani di quel Comune, del gonfaloniere di giustizia e di un consiglio dei cento, con facoltà di mandar a confino chi loro paresse meritarlo. Inoltre ordinò al Marchese Guido del Monte di restare in Pistoja in qualità di Conservatore della pace con autorità di poter disfare tutte o parte delle fortezze e rocche di quel contado e di assegnare per guardia fissa della turbolenta città non meno di 500 soldati di fanteria.
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    – (ISTOR. PISTOLESI, e AMMIR., Istor. fior. Lib. VIII).
    In conseguenza delle molte spese il Comune di Pistoja dové ricorrere ad un imprestito di duemila fiorini d'oro, che nel 23 agosto del 1331 sborsò al loro sindaco il fiorentino Palla di messere Pino ( Jacopino Strozzi. – ( loc. cit., Opera di S. Jacopo ).
    A tutto ciò si aggiunse l'ordine dato da la Signoria di edificare dentro Pistoja un castello presso Porta Carratica, o Caldatica, che appellossi il Castel di S. Barnaba. Al quale effetto con provvisione del dì 8 febbrajo 1332 ( stile comune ) i Priori e gonfaloniere di giustizia di Firenze ordinarono ai camarlinghi del Comune di pagare per rivalersene 550 fiorini d'oro a fra Guido provinciale in Toscana de’frati Carmelitani, eletto in camarlingo per la fabbrica della fortezza che si faceva in Pistoja. – ( loc . cit . Carte dell'Arch. gen. e di S. Jacopo di Pistoja ) .
    Alla fortezza medesima, compita nel 1336, furono destinati di guarnigione circa cento soldati, siccome lo dichiara un istrumento del 1 ottobre 1337 rogato nel castel di San
    Barnaba della città di Pistoja; mentre un altro documento dell’11 novembre 1338 riferisce alla rassegna de'soldati fatta in quel castello dal nobile Simone Peruzzi di Firenze, quattro giorni dopo essere egli entrato in ufizio di capitano della guardia di Pistoja con sei cavalli e 150 fanti di corredo. – ( loc. cit., Carte dell’A rch. gener. e del Bigallo ).
    E perché con più cura e soddisfazione le cose di questa città e del suo contado fossero governate, la Signoria di Firenze fino dal 1332 aveva deliberato di eleggere 12 cittadini popolani fiorentini, investendoli di piena balia e autorità sopra tutto ciò che fosse relativo al governo e pacifico stato di Pistoja e del suo territorio.
    In questo tempo medesimo messere Filippo Tedici essendo stato espulso da Lucca coi
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    figli di Castruccio, dopo aver messo insieme un numero di masnadieri armati, con questi rimontando la Val di Lima arrivò nella Montagna pistojese, dove intendeva di prima abbordo assalire e impossessarsi del castel di Pupiglio. Ma giunto che fu all'angusto passo del ponte sulla Lima che prende il nome dal predetto castello, il Tedici fu assalito ed ucciso dai villani, che recisero la testa dal suo corpo portandolo in trionfo sopra una picca per Pistoja. Dopo di che gli Anziani unitamente al consiglio del popolo deliberarono che quella testa fosse scolpita in marmo e murata nei luoghi più frequentati della città; comecchè fra le carte dell’Opera di S. Jacopo esista una sentenza del 7 settembre 1336, data da Roberto de’Tedici potestà di Pistoja.
    Ma più ambizioso, sebbene meno sfortunato di Filippo Tedici, fu Gualtieri duca d’Atene, il quale non contento di farsi eleggere capo della Repubblica Fiorentina (8 settembre 1342) venne anche proclamato signore e principe di Pistoja (26 ottobre del 1342), sicché in tutti i luoghi pubblici di questa città le armi del duca d’Atene si collocarono.
    Non era ancora compito l’anno della sua signoria quando i Fiorentini cacciarono dal Palazzo vecchio il tiranno, obbligandolo di rinunziare alla Signoria che troppo francamente gli avevano concessa. Ma non per questo il governo di Firenze poté ritornare nella primiera giurisdizione territoriale. Avvegnachè i popoli distrettuali, non meno dei Fiorentini desiderosi di ricuperare la propria libertà, costrinsero gli uffiziali del duca d’Atene a lasciarne o per viltà o per denari il dominio. Né i Pistojesi furono degli ultimi, tostochè il capitano Giovanni Tornaquinci cedé il castel di S. Barnaba, che fu dai Pistojesi smantellato, mentre altri castellani consegnavano la rocca vecchia e la nuova di Serravalle, e che Filippo Bastari potestà di Pistoja sotto Ugolino di S. Vittoria vicario del duca Gualtieri si ritirava dopo pagatigli 500 fiorini d’oro.
    Ritornati per tal modo i Pistojesi liberi da ogni superiore politico, procurarono tosto allearsi
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    con le repubbliche di Pisa e di Lucca, siccome fecero mediante trattato firmato lì 9 dicembre del 1344. Con tutto ciò la città di Pistoja non restava di essere tormentata dai partiti di potenti ed orgogliosi magnati, e segnatamente dai Cancellieri e dai Panciatichi, stati gli uni agli altri ostinatamente contrarii. Era capo della prima casata messere Riccardo, cui nel 1350, essendo venuto il ghiribizzo di farsi signore assoluto della sua patria, dopo avere con carezze e con liberalità raccolto nelle sue case un buon numero di amici e di consorti, tentò con essi di assalire il palazzo degli Anziani; ma essendo accorsi in difesa Giovanni Panciatichi con tutti gli aderenti al suo partito, i rivoltosi furono messi in fuga e la casa di Riccardo Cancellieri posta a fiamma e a fuoco.
    Era rimasta Pistoja per la cacciata del Cancellieri sotto l’influenza de’rivali settarii di parte Bianca e ghibellina, quando i reggitori di Firenze, sentendo avvicinarsi alla Toscana un esercito dell’Arcivescovo Visconti di Milano, e temendo che i Pistojesi si gettassero nelle braccia di quel potente mitrato, cui dava grand’ombra la già fatta conquista di Bologna, impegnarono messeree Giovanni Panciatichi, che allora reggeva Pistoja, di accogliere dentro questa città per meglio guardarla un centinajo di soldati a cavallo, e 150 fanti, previa la promessa di non alterare la forma governativa di questa città. Nel tempo medesimo i signori inviarono precetto a Riccardo Cancellieri, che si era ritirato coi suoi nel castello di Marliana, di non azzardare cosa alcuna contro il Comune di Pistoja e di consegnare i luoghi stati da esso occupati, colla minaccia in caso diverso di essere trattato come ribelle della repubblica.
    Ma costui essendosi recato a Firenze, si maneggiò così bene con la signoria da farle credere che il Panciatichi tenesse pratiche col Visconti di Milano per dare in mano alle sue truppe la città di Pistoja, sicché quel senato nel 26 marzo del 1351 inviò lo stesso Riccardo
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    con molti armati alla volta di Pistoja, dove arrivato innanzi giorno tacitamente fece dai suoi scalare le mura della città, gridando tosto: evviva la Repubblica fiorentina e i Cancellieri.
    Destati al romore i cittadini ed i soldati della guarnigione, persuasi esser quella impresa unicamente di Riccardo, corsero alla difesa dei luoghi più importanti, in guisa che vennero alle mani Fiorentini contro Fiorentini, molti de’quali furono feriti, parte fatti prigionieri, ed il restante degli assalitori spinto fuori di città.
    Cotesta impresa pertanto suscitò grande sospetto ne’Pistojesi, molto più che ai Fiorentini mancavano pretesti onde ricorrere a simili inganni verso un popolo che si era obbligato con giuramento di seguitare in ogni evento la fortuna della loro Repubblica. – Né piccole furono le dicerie che se ne fecero per Firenze, i cui abitanti avrebbero volentieri sfogata l’ira contro il promotore di quell’attentato, se il fallo non fosse stato comune anche ai capi del governo.
    Ciononostante la Signoria volendo in ogni modo condurre a fine l’impresa malamente cominciata, inviò prima di tutto tre distinti cittadini per rappresentare ai magistrati di Pistoja, che lo sforzo fatto contro la loro città non era stato per torgli la libertà, sivvero per conservargliela; ma che il governo non trovando un modo facile da assicurarsi di Pistoja per esservi dentro la parte ghibellina molto gagliarda, la Signoria di Firenze non sarebbe tranquilla se non quando vi avesse edificato una fortezza in modo da poter colle sue genti per essa entrare e uscire liberamente di città. Ma gli ambasciatori non avendo ottenuto dai Pistojesi una risposta favorevole, furono messe insieme quante genti d’arme la Repubblica dai luoghi vicini poté raccogliere, e perfino ne richiese al Malatesta signore di Rimini, al Manfredi di Faenza, ed ai reggitori di Siena, pregando questi ultimi affinché non lasciassero partire di casa sua Niccolò de’Tolomei, stato eletto potestà di Pistoja, finché questa città non fosse ridotta a stato guelfo. Inoltre per decreto pubblico fecesi intendere a’fuoriusciti, che se ciascuno di
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    essi recavasi al campo sotto Pistoja con quello ajuto che potesse, appena terminato quel servigio egli sarebbe stato ribandito; dondechè nello spazio di tre giorni si trovarono riuniti all’assedio di questa città 800 cavalieri e 12000 soldati a piedi.
    Erano poco più di 1500 gli abitanti di Pistoja nel caso di poter con armi difender la patria, ma di pari animo fermi a morire per l’indipendenza propria piuttosto che assoggettarsi all’arbitrio de’Fiorentini; sicché que’cittadini, lasciate le proprie abitazioni onde essere più pronti ai bisogni, si posero tutti a bivacco intorno alle mura urbane, le quali furono con gran cautela riparate di bertesche, circondate da un corridojo di legname, e quello provvisto di pietre, di pali e di travi.
    Inoltre si fabbricarono opportunamente a piè delle mura fornelli e caldaje per aver presta l’acqua bollente da rovesciarla sopra coloro che azzardassero un assalto; si apparecchiò molta calcina viva in polvere per gettarla sul capo degli assalitori; ed a tal segno giunse l’ardire, tanta la fermezza de’cittadini pistojesi di volersi difendere dai Fiorentini, che uno storico del tempo, Matteo Villani, dové dire, che tale impresa avrebbe onorato i Pistojesi, come cosa degna di molta lode, se per antichi, nuovi e continui esempj di cittadinesca discordia, sì generosa azione non fosse stata contaminata. – (MATTEO VILLANI, Cronic . Lib. I. cap. 97.)
    Nel tempo che quelli di dentro mettevansi in ordine con tanti preparativi di difesa i Fiorentini facevano di fuori drizzare intorno alle mura di Pistoja otto battifolli con steccati di recinto intermedii, costruivano ponti, gatti, grilli, castelli di legname ed altri ordigni da guerra proprj ad abbattere quelle forti mura. Frattanto i capi dell’esercito assediante non cessavano di far intendere ai Pistojesi, che i Fiorentini non volevano altro che la guardia della loro città per sicurezza propria, e che delle rendite del Comune e de’magistrati di Pistoja e del suo contado eglino lascerebbero disporre ad arbitrio della maggior parte di quegli abitanti. Alle quali proteste non volendo
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    gli assediati piegarsi in alcun modo, i soldati del campo fiorentino cominciarono a dare il guasto alle vicine campagne e alle ville intorno. Né tuttociò recava alcun giovamento; talché i Signori di Firenze mandarono ordine a messere Andrea Salamoncini che sino da un anno era capitano della guarnigione nella fortezza di S. Barnaba, che dovesse uscire di Pistoja, perché essi intendevano di farle dare l’assalto. E per averla più presto avevano promesso paga doppia ai soldati dell’esercito assediante se assalendo riusciva loro di conquistare la città.
    In questo mezzo arrivarono al campo alcuni ambasciatori della repubblica sanese per interporsi mediatori fra le parti; in modo che discorrendo costoro coi Pistoiesi aderenti al partito guelfo del pericolo cui sarebbe ridotta la loro patria se volevano insistere a negare al Comune di Firenze la guardia della loro città cotanto scarsa di abitatori e di forze, massimamente dopo la pestilenza del 1347 e 1348; e inoltre facendo ai medesimi riflettere che in ogni caso era miglior partito stare amici e confederati di una repubblica di Toscana, piuttostochè, ad esempio dei Bolognesi, divenire schiavi di un prepotente signore lombardo; i più savi persuasi di ciò, diedero orecchio alle proposte di pace, e vinte esse per squittinio della maggior parte del consiglio del popolo, si fece intendere ai capitani dell’esercito fiorentino, che i Pistojesi sarebbero stati disposti a ricevere quel presidio che alla Signoria di Firenze paresse sufficiente, concedendole anco la guardia dei castelli di Serravalle e della Sambuca; come pure di fare o di ridurre in Pistoja, a spese de’Fiorentini, un castello della qualità e forma che essi giudicavano necessaria.
    Appena fu concluso il trattato, gli assedianti misero dentro Pistoja le soldatesche che crederono sufficienti, inviandone altre alla guardia, di Serravalle. Ma per mala provvidenza avendo indugiato di mandare a guarnire il castello della Sambuca, quando poi vollero, senza difetto de’Pistojesi, non lo poterono avere. – Vedere SAMBUCA.
    In tal modo Pistoja dopo nove anni ritornò in
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    potestà de’Fiorentini, che riordinavano il suo governo col rimettervi il fuoriuscito Riccardo Cancellieri e tutta la sua parte, e col procurare nel tempo stesso di fare paci e parentadi fra le famiglie magnatizie di fazione contraria; dopo di che il grosso dell’armata all’uscita d’aprile dell’anno 1350 tornò con gran festa a Firenze. – (M.VILLANI, Oper.cit .)
    Non era però compito appena il terzo mese, che i Pistojesi si trovarono improvvisamente da un’oste anco più imponente, allora quando Giovanni Visconti da Oleggio, capitano generale dell’arcivescovo di Milano scese con numeroso esercito da Bologna in Toscana per l’Alpe della Sambuca, accampandosi di prima giunta a piè della montagna e due giorni dopo più d’appresso a Pistoja. Ma in quei due giorni che l’Oleggio stette 4 miglia distante dalla città aspettando il grosso dell’armata che discendeva dall’Appennino, i Fiorentini fornirono sollecitamente Pistoja di 500 cavalieri e di 800 fanti, i quali con le milizie de’cittadini attesero alla difesa della città. In conseguenza di ciò essendo al nemico mancata la speranza di aver Pistoja, per quanto ne fosse stato lusingato da messere Carlino Tedici e da altri fautori di parte ghibellina, l’oste lombarda dopo otto giorni levò il campo di là per incamminarsi verso Firenze, lasciando a parte la grossa terra di Prato.
    Ma per essersi l’esercito milanese allontanato da Pistoja non diminuì punto la vigilanza de’Fiorentini che vi erano a guardia, né quella de’suoi abitanti, in guisa che quando l’armata del Biscione dai contorni di Firenze dava voce di voler tornare indietro, i Pistojesi ruppero i passi sbarrando con fossi e con alberi tutte le strade. Finalmente in forza del trattato di Sarzana (marzo del 1353) furono rimessi nelle mani de’Fiorentini i castelli della Sambuca, di Piteccio e di altri luoghi del territorio pistojese stati presi e guardati dalle genti del Visconti, mentre dall’altro canto il Comune di Firenze si obbligò a ribandire ed accettare in patria i fuoriusciti e di restituire loro i beni. Fra i
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    ribanditi si contarono Carlino Tedici e l’abbate di Pacciana con altri consorti stati esiliati da Pistoja, come aderenti al Visconti; lo che servì piuttosto di scandalo e di danno alla pace che si voleva, non ché di fomite alle sette dalle quali Pistoja era sempre bersagliata. Imperocché prima che arrivasse al suo termine l’anno 1353, mentre in Pistoja era capitano delle guardie per il Comune di Firenze Gherardo Bordoni favorevole ai Cancellieri ed alla loro parte, costoro riescirono ad abbattere i capi de’Panciatichi loro rivali in modo che essi dovettero lasciare la patria. Non così gli altri loro aderenti, i quali anziché ritirarsi corsero all’armi, sbarrarono le vie dentro Pistoja e ciascuno si afforzò nelle proprie torri e abitazioni, risoluto a difendersi ed a combattere i loro avversarii. Per la qual cosa la signoria di Firenze richiamò il Bordoni da Pistoja, quando vi mandò ambasciatori e con essi i Panciatichi; e per torre l’animo a quelli che avessero voluto tentare qualche novità, vi fu spedito Jacopo de’Gabbrielli da Gubbio general della repubblica scortato da molta gente armata, sicché ben presto egli fece racchetare lo scandalo rimediando ad ogni scompiglio.
    Poco tempo dopo venne in Italia a prendere la corona imperiale Carlo IV, sicché, appena finita la festa, cotest’Imperatore nel 5 aprile 1355 scriveva lettere agli Anziani del Comune e popolo di Pistoja qualificandoli come vicarj dell’Impero, titolo che appena tornato a Pisa confermò loro con diploma del 26 maggio susseguente.
    Fra le carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja, oltre una copia autentica del privilegio suddetto, esiste quella di altra lettera di Carlo IV del 29 gennajo 1356, diretta agli Anziani, consiglio e popolo di Pistoja, con la quale se gli ordinava di pagare ogni anno a Fencio da Prato, conte palatino e nipote del defunto cardinal Niccolò, una pensione di 400 fiorini d’oro sopra il censo che la città di Pistoja doveva alla Camera aulica. – Vedere PRATO.
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    /> Erano pertanto passati alcuni anni dacché in Pistoja, mediante l’aver confinato i capi di fazione più irrequieti, si viveva in qualche pace sotto l’alto patrocinio di Cesare, ma in realtà sotto il comando de’Fiorentini, quando i popoli della Montagna di sopra, tanto quelli del partito de’Cancellieri, quanto i seguaci dei Panciatichi, ad un tratto si sollevarono contro i magistrati e gli ordini del Comune di Pistoja, per modo che gli Anziani ed il consiglio generale nel 21 marzo del 1368, incoraggiati dalla presenza in Toscana di Carlo IV loro augusto protettore, deliberarono che i popoli sollevati dovessero tosto riconsegnare i castelli, le rocche ed ogni altro fortilizio agli ufiziali del Comune, senza la quale condizione non sarebbero stati liberati dalle condannagioni, né restituiti loro i possessi confiscati. Fra le altre provvisioni in quella circostanza deliberate fuvvi quella di sopprimere le piccole potesterie o giusdicenze della stessa Montagna, le cui attribuzioni vennero riunite in un solo giusdicente, a condizione ch’egli fosse guelfo e forestiero, con titolo di capitano. – Vedere CUTIGLIANO, e SAN MARCELLO
    Sedata in tal guisa la ribellione della Montagna, i Pistojesi potevano vivere quieti e felici, se le malnate e troppo radicate divisioni de’Panciatichi e de’Cancellieri avessero dato loro riposo. A frenare le quali per comando della Signoria di Firenze furono alzate nuove torri intorno alle mura della città, fortificata la porta Caldatica, e nel 1376 pubblicata una provvisione che toglieva agli Anziani pistojesi la facoltà di nominare i capitani della Montagna. Finalmente per distornare da ogni briga cittadinesca un caporale di parte ghibellina, nel giugno 1378 il senato fiorentino accordò la cittadinanza a Bartolommeo Panciatichi, che già da qualche tempo era venuto a stabilirsi in Firenze, a condizione però che per 20 anni non potesse partecipare ai tre ufizj primarj della città, cioè, de’Priori, de’Capitani di Parte Guelfa, e dei Dieci di libertà, o di guerra. – (AMMIR., Stor. Fior . Lib. XIV.)
    Maggior tempesta
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    peraltro nel 1375 accennavasi imminente alla Montagna di Pistoja dalla parte di Bologna dove comandava a nome del Pontefice il cardinal di S. Agnolo, il quale teneva fiducia certa di opprimere la Repubblica di Firenze. Per la qual cosa la Signoria decisa di resistervi con tutte le forze di potere e d’ingegno, dovette aggravare in tale circostanza il Comune di Pistoja, ch’ebbe a sopportare nuove gravezze avendo una tassa straordinaria di 12000 fiorini per anno oltre l’aumento delle guarnigioni ai castelli della Montagna confinante col territorio bolognese.
    Al che si aggiunse nel 1391 un nuovo trambusto cagionato dall’animosità contro la repubblica Fiorentina di Giovan Galeazzo Visconti signor di Milano, allorché nel piano meridionale di Pistoja, a piè dei Monti di sotto ebbe luogo un micidiale combattimento fra l’esercito milanese comandato da Jacopo del Verme e quello fiorentino capitanato da Giovanni d’Augut, i due più valorosi generali di quella età; combattimento, che sebbene vi s’impegnasse la sola retroguardia milanese con la vanguardia fiorentina, riescì sanguinoso cotanto da equivalere ad una giornata campale, tostochè vi restarono morti sul campo presso a 2000 fanti di nemici, più di mille di essi fatti prigionieri, e da 200 soldati a cavallo tra morti e presi. Nel numero di questi ultimi rimasero Taddeo del Verme che comandava la retrogurdia, Gentile da Varano, e Vanni figlio d’Jacopo d’Appiano con altri giovani della prima nobiltà pisana e sanese. – (AMMIR., loc.cit. )
    Non per questo il signore di Milano lasciò vivere in pace i popoli della Toscana; mentre a saziare la sua smisurata ambizione non gli bastava di essersi fatto signore di Siena, di Perugia e di Bologna, ma tentava di aver anco Lucca e Pistoja per meglio opprimere da vicino Firenze onde averne il dominio. Dondechè i Signori di questa repubblica avendo ricevuto contezza di una congiura che si maneggiava in Pistoja a fine di ribellare questa città ai Fiorentini, furono dal Senato inviati ordini al giusdicente di
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    Pistoja per arrestare i capi della insurrezione meditata.
    Per la qual cosa Riccardo Cancellieri, il giuniore, il quale, istigato dal Visconti di Milano nella lusinga di farsi padrone della sua patria, ne fu l’autore, fuggì tostamente di Pistoja nel contado bolognese, ed ivi raccolti quanti sbandati poté, assalì e tolse ai Fiorentini il castel della Sambuca, quindi preso servizio col signore di Milano, continuò a fare quanti più danni poté al paese proprio, al punto che il governo di Firenze nel 1401 risolvé di mandare un rinforzo di gente armata a Pistoja con tre commissarj incaricati di prendere le redini del governo, di riformare i magistrati e di nominare nuovi capitani e podestà, riservando pel tratto successivo all’arbitrio della Signoria di Firenze la nomina dei consiglieri del popolo, dei capi civili e militari di Pistoja e suo distretto, non esclusi gli Anziani, cui d’allora in poi volle si chiamassero Priori. Ed affinché le scorrerie verso i confini in special modo della Lombardia fra le fazioni cittadine si raffrenassero, furono mandati soldati nella Montagna di sopra , per liberare quel capitano fiorentino, Niccolò Guasconi, che le genti de’Cancellieri nel castel della Cornia, posto a cavaliere di Cutigliano, tenevano assediato.
    Morto poco dopo Giovan Galeazzo Visconti, e Riccardo Cancellieri vedendo dar la volta alla ruota delle prosperità da esso immaginate, si offerse di restituire ai Fiorentini i castelli della Sambuca, di Calamecca e di Piteglio con altri luoghi della Montagna caduti in potere delle sue masnade.
    Infatti nel novembre 1403 la Signoria accettando l’offerta liberò Riccardo e Lazzaro suo fratello da ogni bando insieme ai loro aderenti e consorti, compresivi quelli che fino dal 1401 si ritenevano nelle carceri delle Stinche a Firenze.
    Ciò non ostante i Priori e Gonfaloniere della Repubblica fiorentina, essendo stati confermati dall’Imperatore Sigismondo con titolo di vicarj imperiali in capi del governo di Pistoja e del suo contado, eglino con riformagione del 1403 concederono alle famiglie magnatizie pistojesi il diritto di
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    potere essere elette ai magistrati ed uffizj della loro città. Ma essendo poi nate altre dissensioni, fu necessario per la pubblica quiete di allontanarle di nuovo dalle ingerenze dello stato.
    Intorno all’epoca medesima la repubblica fiorentina inviò istanza al Pontefice Alessandro V, stato eletto nel giugno del 1409 dal Concilio di Pisa, di erigere in cattedrali le pievi Nullius di Prato e di Sanminiato accompagnando l’istanza col proporre in vescovo di Prato il proposto di quella Collegiata e di assoggettarlo immediatamente alla S. Sede. – Annuì il Pontefice Alessandro V, ma stante la morte che lo colpì poco dopo, il decreto di erezione di quei vescovati non ebbe per allora alcun effetto. – Vedere UGHELLI, Ital. Sacra in Episcopis Praten . e gli Articoli PRATO e SANMINIATO (DIOCESI).
    Dopo tali avvenimenti le cose di Pistoja passarono con qualche sorta di quiete fino a che, nel 1441, non si riaccesero le solite turbolenze per causa di fazioni di famiglie. Al qual rumore accorse da Sanminiato, non so se volontario o invitato, il capitano di ventura Baldaccio d’Anghiari reduce allora con la sua compagnia dalla Maremma di Piombino, nella speranza di trar profitto da quei trambusti. Ma per sua mala sorte era allora gonfaloniere di giustizia in Firenze un fiero di lui nemico, Bartolommeo Orlandini, che sotto altro pretesto invitò Baldaccio a Firenze, dove ebbe a lasciare tosto e in un modo tragico la vita. – Vedere ANGHIARI, FIRENZE e PIOMBINO.
    Ma frattanto le parti di Pistoja non posavano, avvegnachè nel 1455 tanto i cittadini come i contadini così spietatamente fra loro si uccidevano che la Signoria di Firenze dové mandare colà quattro cittadini di grande autorità, i quali insieme col potestà e capitano di Pistoja, le differenze con severe leggi dalla forza sostenute acquetassero.
    Cadde in questi tempi un balzello che fu esteso a tutto il contado ed anche al distretto fiorentino, col
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    quale la Signoria, in vigore di una riformagione del 18 dicembre del 1444 deputò i nobili uomini Bernardo di Lorenzo Ridolfi, Francesco di Cambio Orlandi, Francesco d’Jacopo Venturi, Diotisalvi di Nerone di Nigi e Giovanni del Zaccheria uffiziali del Monte vecchio a distribuire quella tassa e somma che a ciascuna terra, comune, popolo o villa credessero giustamente repartibili. Nel qual balzello toccò al distretto di Pistoja, quanto appresso:

    Per la città, Fiorini d’oro 1500
    Per i Comuni suburbani, Circustanzie, ossia Cortine delle quattro porte di Pistoja, compresevi le giurisdizioni del Montale e di Lamporecchio, Fiorini d’oro 1228
    Per le potesterie di Tizzana e di Serravalle, Fiorini d’oro 190
    Totale Fiorini 2918

    NB. Mancano gli altri paesi del contado pistojese, allora distrettuali di Firenze .

    Pochi anni dopo essendo stato creato cardinale da Pio II Niccolò Forteguerri di Pistoja, questi dopo aver soddisfatto a gravissime incombenze a prò della chiesa, rivolse l’animo a beneficare la sua patria, nella quale fondò il liceo denominato della Sapienza (agosto 1473) con assegnargli una dote corrispondente per essere mantenuto.
    Ragion vuole però che si renda giustizia a un altro più antico cittadino pistojese stato accennato dal Fioravanti nelle sue Memorie istoriche della città di Pistoja (pagina 331); intendo dire di un medico nazionale messere Michele di Donato de’Cesi, il quale nel 5 febbrajo dell’anno 1383 depositò nei banchi della Repubblica di Venezia un capitale di lire 3300 affinché coi suoi frutti si mantenessero due giovani pistojesi a studio nell’Università di Bologna, o in quella di Padova. – (ARCH. DIPL. FIOR., Carta de’PP. Serviti di Pistoja del 19 maggio 1487 ). – Vedere appresso Stabilimenti d’istruzione pubblica .
    Arroge che fino dal 4 dicembre 1304 una pergamena del Monastero di S. Michele in Gora annunzia un maestro Niccolò dottore di grammatica in Pistoja. – ( loc.cit
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    .)
    Finalmente rammenterò il lascito fatto da don Bartolommeo di Francesco proposto della chiesa collegiata di Prato e protonotario apostolico con suo testamento del 15 settembre 1401 rogato in Roma, quando egli fondò un benefizio ecclesiastico nella cattedrale di Pistoja obbligando il rettore pro tempore d’insegnare pubblicamente la grammatica senza esigere salario alcuno, e destinando patroni di quel benefizio, per due voti il Comune di Pistoja, e per una terza voce il capitolo della cattedrale di S. Zeno. – ( loc.cit., Opera di S. Jacopo. )
    Il Fioravanti, fidato, io credo, nella storia dello studio pisano del Fabroni riporta all’anno 1478, a cagione di peste, il traslocamento temporaneo dell’Università di Pisa nella città di Pistoja, aggiungendo che il Pontefice Sisto IV con bolla del 7 marzo di detto anno per la mediazione di Lorenzo de’Medici concesse autorità al vescovo di Pistoja di spedire i diplomi come cancelliere dell’Università medesima conforme era solito farsi dagli arcivescovi di Pisa. Ma oltre che quest’ultimo supposto manca di appoggio, esso è anco messo in dubbio dalla storia del tempo che non lasciava troppo sperare a Lorenzo il Magnifico alcun favore dal Pontefice Sisto IV alla vigilia della congiura de’Pazzi. Che poi quel traslocamento di studio da Pisa a Pistoja fosse di brevissima durata lo dimostra il fatto del ritorno de’professori di quell’Università a Pisa sul principio dell’anno scolastico 1479-1480.
    Per la stessa causa di una nuova pestilenza, che cadde nell’anno 1485, i professori dell’Università pisana, lasciando ad essi la facoltà di scegliere Pistoja oppure Prato, si decisero di recar lo studio in quest’ultima terra. – (FABBRONI, Hist. Accad. Pis. P. II. )
    Ciò è anche meglio dimostrato da una laurea di dottorato a favore di Giovan Vittorio figlio del magnifico Tommaso Soderini di Firenze, firmata lì 25 febbrajo del 1485 (stile fiorentino) da Roberto Strozzi, pievano di S. Maria a Sovigliana, nella sua qualità di vicario generale del cardinal Raffaello Riario arcivescovo
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    di Pisa, Cancelliere dello studio pisano , essendone stato promotore il chiarissimo Bartolommeo Sozzino sanese, e compromettitori D.Giovanni Sadoleto modanese e Giovanni Pepi fiorentino. Dato (dice il documento) nel Ginnasio pisano, allora nel palazzo della propositura di Prato, dov’era stato trasferito lo studio per cagione di peste. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Bigallo .)
    Cotesto documento giova anche a far conoscere il luogo di residenza del traslocato studio, mentre fu nel palazzo della prepositura di Prato, e non già nell’ospizio de’Certosini come fu scritto dal Fabroni ( Op. cit . P. II. cap.I.) – Ma anche questa volta innanzi di principiare il nuov’anno accademico i professori di quel ginnasio erano all’antica sede di Pisa.
    Arroge a ciò che la città di Pistoja nel 1482 e 1483 trovossi afflitta nel tempo stesso dalla pestilenza e dalla carestia, talché molti abitanti fuggiti dalla città furono richiamati dai magistrati sotto pene gravissime. Ma appena cessati cotesti due flagelli, ricominciò il terzo che in Pistoja si era reso diuturno, quello, vale a dire, delle uccisioni e incendj per conto delle maligne sette cittadine. I più facinorosi, seguitando il partito de’Cancellieri, erano fortificati nel Castello di Cavinana, donde uscivano per commettere eccessi crudeli, che appena poterono colla forza della repubblica esser frenati.
    All’arrivo poi dell’esercito di Carlo VIII in Toscana, non solamente i faziosi, ma molti altri pistojesi entrarono in speranza di poter scuotere il giogo de’Fiorentini, e di correre la sorte stessa de’Pisani; sennonché dopo essere state riconsegnate dai capitani francesi le fortezze che per quasi due anni avevano occupato, il governo di Pistoja dové ritornare alla devozione della Signoria di Firenze, ben contento di ottenere da essa sotto dì 31 ottobre 1496 generose condizioni. Inoltre fu ai Pistojesi perdonato ogni delitto politico che non fosse stato condannato innanzi il dì 9 novembre 1494 e fu poi specialmente accordato che qualunque volta accadesse che se alcuni beni di suolo appartenuti ai
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    Pistojesi, ma allora sommersi dal padule di Fucecchio, rimanessero allo scoperto e liberi dalle acque del padule, s’intendevano appartenere agli eredi degli antichi padroni.
    Sulla fine del secolo XV insorsero in Pistoja più feroci che mai a danno gli uni degli altri i partiti, cui ogni piccola scintilla bastava per convertirla in un incendio.
    Questa volta la scintilla fu fornita dall’elezione dello spedalingo del Ceppo di detta città pretesa da due potenti famiglie, la Panciatichi e la cancelleria; le quali insieme con i respettivi aderenti infierirono crudelmente l’una contro l’altra, sia in città come in campagna, ad onta che il governo di Firenze inviasse costà a difesa deglia bitanti un buon numero di soldatesca. Imperocchè quantunque si esiliassero da Pistoja quasi tutti gl’individui delle case magnatizie aderenti alla Panciatica, tuttavia la pena di ribelle non portava un rimedio sicuro, sicchè mentre il partito de’Cancellieri dominava in Pistoja, quello de’Panciatichi era padrone della campagna, massimamente nelle Cortine di Porta Caldatica e di Porta Lucchese. Cittadini e contadini prendevano parte a ire sanguinarie ed atroci, a orribili carnificine, sicchè l’autore del Quadro geografico statistico pistojese per l’anno 1839 ebbe a esclamare, che Pistoja nel 1499 presentava un’aspetto consimile a quelle città, le quali prime provarono la ferocia de’barbari allorché irruppero sopra l’imperio romano.
    Il suo popolo, favorito da un clima temperato, da un territorio pingue e fruttifero, era mietuto dal ferro cittadino più che dai disastri della natura. Né la pace per mediazione de’Fiorentini conclusa nel 12 ottobre 1501 giovò molti mesi a calmare i tumulti delle fazioni; giacché non erano ancora rimarginate le piaghe quando insorsero costà disgusti nuovi e serie amarezze, sicchè nel 1502 i partiti essendo venuti alle vie di fatto quelli della fazione Panciatica anche allora furono cacciati da Pistoja. Al che aggiungono gli scrittori municipali (non saprei dire con quanta verità) che cotante guerre civili e disordinate del popolo pistojese fossero favorite e promosse dai Fiorentini, perché sembrava essere quello il modo più atto
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    a tener con sicurezza Pistoja. Avvegnachè, a confessione degli storici medesimi, per rimediare a simili sconcerti i più severi rigori della giustizia non bastavano, ossia che il governo ordinasse la consegna dell’armi ai tumultuanti, oche dasse il bando a rivoltosi, o che punisse di morte chi altri uccideva, coteste misure di precauzione invece di cagionare la quiete di questa città, servirono piuttosto di argomento alle sue rovine. Il qual vero più che altro è dimostrato da una riformagione del 10 agosto 1502, colla quale furono eletti dalla Signoria di Firenze 13 commissari con piena balia sopra gli affari de’Pistojesi. In atti cotesto magistrato straordinario tosto ordinò che a pena di bando di ribelle e della confiscazione di tutti i suoi beni, niuno eccettuato, tanto della città, come del contado e di tutto il distretto pistojese, ad alcuno fosse lecito ritener in casa o portar di dosso arme di sorta veruna, e che qualunque o soldato o forestiero o altro masnadiere, che si trovava dentro il territorio pistojese, dovesse tornare fuori dello stato di Pistoja dentro il termine di un giorno sotto pena della forca; in fine che i caporali delle fazioni Panciatica e Cancelleria a tutto il 20 dello stesso mese di agosto dovessero presentarsi personalmente in Firenze.
    Dopo questa severa intimazione accompagnata da una provida sorveglianza, tutte le adunate di gente, tanto in città come in contado si sciolsero, molti tristi e sediziosi furono allontanati dal paese, nel tempo che i capi di fazione, appena comparsi a Firenze, furono mandati nelle carceri delle Stinche. – (FIORAVANTI, Memor. Istoriche di Pistoja capitolo 28.)
    Quindi con bando del 24 dello stesso mese li XIII commissarj di balia tolsero alla città di Pistoja tutti i magistrati a riserva di quello comunitativo de’Priori, e nel giorno susseguente, in luogo del capitano di giustizia, fu istituito un commissario di guerra, mentre l’amministrazione dell’entrate del Comune, di quelle de’luoghi pii e della Sapienza ecc. fu affidata a due provveditori
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    fiorentini. E perché uno de’magnati pistojesei ardì di consigliare al popolo a non aderire agli ordini suddetti, fu arrestato e nel dì I di settembre impiccato per la gola.
    Quindi essendo stato dato ordine dai commissarj di balia a quattro periti di stimare il danno recato dalle due fazioni per l’arsione seguita tra il 1499 e il 1502, di circa 400 case in Pistoja e più di 1600 in campagna, fu trovato ascendere quella della sola città, alla somma di 22.000 ducati d’oro.
    Fu allora che l’ospedale del Ceppo di Pistoja, stato per l’addietro oggetto di rapina delle due opposte fazioni, venne sottoposto all’amministrazione dello spedalingo di S. Maria Nuova in Firenze, e fu per l’amore che portava alle arti belle, e specialmente alla famiglia della Robbia, che frate Leonardo Buonafede allora spedalingo di S. Maria Nuova e del Ceppo, ordinò la costruzione della loggia davanti a quell’ospedale, nell’attico della cui facciata fu collocato il più bel monumento Robbiano della sua età, di gran lunga superiore ai tre altari della Badia Tedalda, dal Buonafede ordinati mentre fu di quel monastero abbate commendatario, ed anche superiore al noto battistero Robbiano della chiesa plebana di Galatrona, che il Buonafede medesimo fece eseguire, siccome lo dimostra il suo stemma ivi scolpito nella terra stessa vetriata. – Vedere più avanti Stabilimenti pii di Pistoja.
    Sicché di quel fregio mirabile mancano ricordi negli archivii de’due ospedali, conserva però la memoria uno degli ovati della Robbia rappresentante l’Annunziazione di Maria Vergine situato sotto il fregio fra gli archi della loggia, dove fu impressa l’anno MDXXV. Lo chè a parer mio non solo esclude da quell’opera Luca della Robbia, morto quasi 60 anni prima, ma fa dubitare che il monumento prelodato debbasi alla generosità di uno spedalingo.
    Contuttociò, quando si credeva che il rigore della giustizia (soggiunse il Fioravanti) avesse contenuti anziché pacificati gli animi de’Pistojesi, principiarono a ripullulare tumulti maggiori cagionati dalla mala soddisfazione de’Cancellieri,
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    venti famiglie della qual consorteria furono condannate in 5000 fiorini d’oro per aver rotto la pace.
    Al che per un poco riparò l’esilio de’più faziosi, finché alle rimostranze di quattro sindaci di quel Comune la Signoria di Firenze con provvisione del 24 agosto 1505 ordinò che fosse restituito ai cittadini pistojesi il maneggio delle pubbliche entrate; e di lì a due anni, poco innanzi cioè passassero da Pistoja Giuliano e Lorenzo de’Medici, mentre Antonio della stessa famiglia vi esercitava l’ufficio di commissario, vennero riammessi in patria tutti i banditi ribelli. Finalmente nel 1514 furono assoluti e ritornarono all’onore de’pubblichi impieghi tutti gl’individui delle famiglie Panciatichi, Cancellieri, Ricciardi, Gualfreducci e Vergiolesi con quelle dei loro consorti.
    Ma le scintille di malignità non erano spente negli animi di tanti facinorosi, le quali si sarebbero convertite in fiamma ardente se il pistojese Goro Geri segretario del duca Lorenzeo de’Medici, e protetto da Papa Leone X, partecipando molto nel 1518 del governo e delle faccende pubbliche dei Fiorentini, non avesse procurato ogni modo di ridurre la sua patria ad uno stato di pace. Allora la Signoria di Firenze inviò a Pistoja ad essere sconvolte e agitate, sicché nel 1524 molti laceravansi fra loro sino alla morte, quelli della parte Panciatica diretti da Niccola Bracciolini, e la fazione Cancelliera per opera di Vincenzino di Poggio fuoriuscito di Lucca; donde avvenne che quest’ultima dopo crudeli carnificine restò espulsa della città.
    E comecchè il governo di Firenze inviasse costà Niccolò Capponi, allora degli Otto della Pratica, e Agnolo Carducci, stato eletto di corto in commissario di Pistoja, a fatica costoro trovarono modo da racchetare quelle genti onde fissare tra loro una tregua di 15 giorni almeno. Ma que’mali, benché per il momento soffocati paressero, covavano nascostamente per scoppiare con maggior impeto ancora. Quindi è che molti della fazione Cancelliera intenti a vendicarsi della Panciatica, dopo aver attirato al suo volere tanto le genti del contado pistojese come del bolognese, furono dal
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    governo esiliati.
    Non era ancora l’esercito Cesareo Papale arrivato sotto Firenze, quando nel 1529 ricomparve in Pistoja il fiero Niccola Bracciolini nemico della fazione Cancelliera, contro i seguaci della quale col favore del Pontefice Clemente VII egli usò azioni da assassino uccidendo i personaggi più distinti, saccheggiando e ardendo le loro case, sicché allora, per a serto degli storici di questa città, successe quasi il totale esterminio della vinta fazione non solamente dentro Pistoja, ma nel contado e nella montagna, per cui in breve tempo i castelli di Cavinana, Lanciole, Piteglio, Calamecca, Cutigliano, Spignana ed altri villaggi di parte Cancelliera furono messi a fuoco, ed assai malmenati.
    In questo frattempo il Pontefice Clemente VII, persuaso dell’affezione dei Pistojesi alla sua casa, con lettere credenziali del 25 dicembre 1529, mentre Firenze era assediata, inviò a Pistoja un suo rappresentante nella persona del fiorentino Alessandro di Gherardo Corsini per governare in di lui nome la città di Pistoja con tutto il suo distretto.

    5. PISTOJA SINO AI TEMPI ATTUALI

    Accettarono i Pistojesi di buona voglia il nuovo padrone, sicché invece della Repubblica, il loro paese d’allora in poi si vide retto ad arbitrio di Papa Clemente VII che eglino riguardarono quel ben amato padrone, in guisa che fu allora innalzato in mezzo alla facciata dell’antico palazzo degli Anziani la grand’arme di quel pontefice innanzi che succedesse nel governo di Pistoja il duca Alessandro de’Medici suo nipote.
    Non era stato appena quest’ultimo tolto di vita che la fazione Panciatica, sotto colore di mantenere la città di Pistoja a devozione de’Medici, nell’anno 1537 insorse contro la Cancelleria in modo che in brevissimo tempo si rinnovarono per ogni dove, tanto in città che in contado, stragi, incendj e rapine; per effetto delle quali cose molti furono improvvisamente assaliti e trucidati per le strade, per le case e per le campagne senza rispetto né a sesso né ad età.
    Dopo però che Cosimo I poté salire sul
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    trono di Firenze e che ebbe mezzi onde vincere e punire i fuoriusciti di Montemurlo, vedendo che non bastava di aver messo in Pistoja per potestà e per commissario de’personaggi risoluti, mentre i suoi abitanti continuavano ad esser involti fra le risse e le vendette, convinto che gli affari pubblici non camminavano con quell’ordine che voleva, dopo aver provato inefficaci gli avvertimenti per piegare alla quiete quei faziosi, alla fine ricorse alla misura di levare ai Pistojesi tutti gli onori e uffizj pubblici, togliere loro le entrate delle passeggerie , le rendite de’luoghi pii, e perfino di far chiudere il palazzo della Comunità. Coteste misure equivalenti a quelle di una città in stato d’assedio, portarono l’avvilimento in tutta la popolazione rimasta schiava di una magistratura militare; la quale si componeva di quattro commissarj, il cui arbitrio era avvalorato da una numerosa guarnigione. Una delle prime operazioni di quel quadrumvirato fu di levar l’armi a tutti i cittadini, quindi di ampliare e munire di rivellini e di nuove mura la fortezza presso la Porta Caldatica, dandole il nome di S. Barbera, di assicurare meglio con bastioni tutte le porte della città. Allora i Pistojesi si accorsero di avere contro i loro desideri ottenuto pan per focaccia , tostochè eglino sotto Cosimo de’Medici erano divenuti vassalli assai più di quello che furono sotto i Signori di Palazzo vecchio, né il popolo probabilmente sarebbe restato con le mani alla cintola senza le rigorose misure dall’accorto sovrano ordinate.
    Pure appena si affacciò l’occasione, allorché una buona parte delle milizie di guarnigione da Pistoja, recossi ad assistere in Firenze agli sponsali di Cosimo I con Eleonora di Toledo (giugno 1539), la parte Cancelliera stimò quello esser il tempo opportuno per fare sulla Panciatica le sue vendette. Sennonché la tentata sollevazione partorì un effetto tutto contrario a quello che i Cancellieri si erano lusingati.
    In conseguenza di ciò Cosimo I pose ogni cura a rinforzare di gente d’armi
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    e di nuove fortificazioni la turbolente città, fino a che dopo scorsi dieci anni dal decreto che privò i Pistojesi degli onori municipali e degli uffizi pubblici, egli ne firmò un altro sotto dì 30 marzo 1547, che riaccordava loro tutte le magistrature civiche e le amministrazioni delle pubbliche entrate.
    Finalmente per deliberazione del 30 marzo 1556 il duca medesimo ordinò che la montagna pistojese fosse separata dal restante del distretto, e che il suo governo fosse trasferito e dipendesse immediatamente dal consiglio della Pratica segreta di Firenze.
    Dopo tali misure, rese ancora più valide dall’acquisto di Siena e del suo territorio incorporato allo Stato vecchio della corona Medicea, le cose di Pistoja camminarono con tranquillità e senza alcun fatto clamoroso sino all’anno 1643, quando per la guerra delle Chiane fra il Papa Barberini (Urbano VIII) ed il Granduca Ferdinando II, Pistoja corse pericolo di essere fatta preda de’papalini, dai quali fu liberata mercé la vigilanza del governo, e più ancora mercé la fedeltà e coraggio de’Pistojesi che ad un subitaneo assalto (2 ottobre 1643) seppero prontamente riparare.
    In tutto il restante del periodo Mediceo non nacquero in Pistoja novità di rilievo, se non quella della visita di qualche migliajo di soldati spagnuoli venuti nel 1734 coll’Infante don Carlo, designato da Granduca Giancastone in successore al trono di Toscana.
    Ma l’influenza spagnuola aveva prima d’allora, sotto Cosimo III, portato in Toscana tal mutamento nelle idee e nei costumi che il carattere originale n’andò guasto, sia per l’orgoglio che sottentrò alla modestia, sia per l’inerzia che soffocò l’operosità, sia per l’ipocrisia che tenne luogo dell’ingenua pietà e della vera religione. Fu pietà del cielo, scriveva il chiarissimo Professor Contrucci, non previdenza degli uomini, se la generazione non ritornò all’antica barbarie. Fu pietà del cielo se estinguendosi la dinastia Medicea Iddio concedè ai Toscani nel Granduca Francesco II il capo di una dinastia che portò fra noi la pace col buon costume
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    e la felicità. Fu tutto a vantaggio dell’industria e del benessere de’Pistojesi se l’Augusto figlio di Francesco II fece aprire con magnificenza imperiale la nuova strada postale modanese. Che se non temessi d’ingannarmi direi, che i Pistojesi avrebbero allora riportato più frutto ed una maggiore tranquillità, se per indole, e forse per antichi esempi, troppo proclivi ai partiti, molti di essi non avessero preso parte agli scandali funesti che diedero occasione al famoso sinodo pistojese condannato dalla Chiesa romana.
    Allorché salì sul trono della Toscana Pietro Leopoldo, la città di Pistoja, che contava appena una popolazione di 9000 abitanti, non aveva meno di 25 parrocchie e manteneva 14 conventi di frati di regole varie, 14 monasteri di Monache, tre congreghe di Preti secolari (circa la decima parte di ecclesiastici de’due sessi in confronto di tutta la popolazione) oltre moltissimi oratorii e compagnie; in guisa che, se dalla quantità di chiese e di ecclesiastici si dovesse arguire dello spirito di quei cittadini, sarebbe da dire che i Pistojesi, comecchè generalmente buoni, fossero tra le più religiose e più devote popolazioni della Toscana per non dire di tutto il mondo cattolico.
    Considerato pertanto l’eccessivo numero delle parrocchie, de’conventi, monasteri e oratorj in un tempo in cui erano assai rare le cure nei monti di sopra, il Granduca Leopoldo I, riduceva a 11 le parrocchie di città, mentre ordinava la fondazione di varie chiese per servire di cura nella montagna.
    Allora i conventi di religiosi dentro Pistoja da 14 furono ridotti a tre, ed i monasteri di donne a sette, quattro dei quali convertiti in Conservatorj per ricevere ed istruire le fanciulle secolari di vario ceto.
    Fu Pietro Leopoldo che stabilì le Scuole regie e normali per ammaestrare i fanciulli poveri dell’uno e dell’altro sesso; fu sua munificenza se si eressero due grandiose fabbriche, il palazzo vescovile, e quello del Seminario, se fu ampliata di commodi quella degli Spedali riuniti. Mercé quell’immortale Sovrano vennero promosse in
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    Pistoja varie industrie manifatturiere oltre le agricole, tostochè, furono levate di mezzo le passeggerie o catene, delle quali resta tuttora il vocabolo a due località del contado pistojese, e tostochè egli abolì le prestazioni servili, o comandate ai contadini, nel tempo che faceva allivellare in perpetuo di preferenza ai coloni i beni rustiti delle mani morte.
    Fu Pietro Leopoldo che tolse i vincoli del taglio dei boschi della montagna, riservati alla regalia per la manifattura del ferro; che incoraggiò e protesse coloro che volsero l’ingegno a cotesta ultima industria, allettando con generosi stipendj dall’estero a venire in Pistoja uomini in quell’arte abilissimi, onde istruissero quegli abitanti. – A cotesto felice incominciamento di affidare all’industria privata la fabbricazione e manifattura del ferro in Pistoja portò il compimento la mano benefica dell’Augusto nipote, il Granduca LEOPOLDO II, mediante motuproprio del 3 novembre 1835.
    Fra i benefizj recati ai Pistojesi dal Granduca Ferdinando III fuvvi quello di avere aumentato le scuole e l’insegnamento nel ginnasio Forteguerri. Alla qual opera con deliberato proponimento di utile riforma si è rivolta la mente del Granduca felicemente regnante, il quale dopo aver provvisto al sistema giudiziario, dopo aver ordinato un Dipartimento di acque e strade per una direzione più regolare dei fiumi, una miglior costruzione de’ponti, una maggiore e più comoda comunicazione di strade, comandò riforme disciplinari e regolamenti consentanei tanto per il liceo Forteguerri, come per la clinica medica e chirurgica negli ospedali riuniti di Pistoja.
    I Pistojesi finalmente benediranno un dì la magnanimità e amorevolezza dell’Augusto regnante quando sarà compita la Via Leopolda che attualmente una società anonima e privilegiata fa aprire per il varco più basso dell’Appennino rimontando da Pistoja per Val di Brana il poggio detto della Collina , donde poi riscenderà sul Reno bolognese per costeggiare il cammino. Per modo che oltre l’abbreviare di circa 26 miglia il tragitto fra Bologna e Livorno, la Via Leopolda recherà il vantaggio
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    di potere per essa valicare il giogo più depresso e di fare minori salite e discese che per qualsiasi altra strada appenninica. Sul qual proposito non fia inutilmente avvertire, che l’antica strada mulattiera da Bologna a Pistoja, passando dallo spedaletto dell’Alpi, già detto del Prato al Vescovo , era la più frequentata di tutte in cotesta porzione dell’Appennino centrale, tostochè essa fino dal secolo XII appellavasi, come la via antica pontremolese o della Cisa. Strada Francesca . – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja del 21 novembre 1265 .)
    Non è però da lasciare Pistoja senza visitare due parchi deliziosi del suo suburbio, il Villone cioè di Scornio del Cavalier Niccolò Puccini posto circa un miglio fuori di Porta al Borgo, e quello delle Celle de’Fabroni, ora del conte Caselli dopra una collina di Val di Bure circa tre miglia dalla porta S. Marco; uno favorito dalla natura, l’altro dal buon gusto; ma sopra questi due grandiosi resedj tornerà meglio parlarne agli Articoli seguenti PISTOJA (PORTA AL BORGO) e PISTOJA (PORTA S. MARCO).

    CENSIMENTO della Popolazione della Città di PISTOJA a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -; femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 1139; totale della popolazione 6168.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 1131; femmine 947; adulti maschi 2262; femmine 2893; coniugati dei due sessi 1278; ecclesiastici dei due sessi 935; numero delle famiglie 1889; totale della popolazione 9446.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 1576; femmine 1549; adulti maschi 1538; femmine 2197; coniugati dei due sessi 3745; ecclesiastici dei due sessi 496; numero delle famiglie 1603; totale della popolazione 11101.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 1609; femmine 1470; adulti maschi 1779, femmine 2577; coniugati dei due sessi 3931; ecclesiastici dei due sessi 527; numero delle famiglie 2678; totale della popolazione 11893

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    COMUNITA’ DELLA CITTA’ DI PISTOJA

    Il perimetro di questa comunità si limita al giro delle sue mura urbane e dei suoi fossi; il qual perimetro di figura consimile a quella di un romboide occupa una superficie di quadrati 286 e 60 centesimi, corrispondenti a quasi un terzo di miglio quadrato toscano. Molto più angusti per altro furono i cerchi antichi di questa città, di tre dei quali almeno si conservano memorie.

    Cerchi diversi della Città di Pistoja .

    Pistoja era circondata di mura fino dalla metà del secolo VIII, lo che basta a dichiarare apocrifo il decreto del re Desiderio, cui si attribuiva il merito di aver edificato le mura di questa città. Imperocchè Pistoja che sino dall’età di quel re longobardo fosse murata lo dimostrano fra gli altri due istrumenti del 9 luglio 764 e del 5 febbrajo 767, appartenuti al Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja, i quali dichiarano cotesta chiesa col fabbricato annesso situata fuori dalle mura urbane dal lato di levante. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Monastero citato ).
    La stessa chiesa anche nel secolo XII continuava a restare nel borgo fuori di città siccome apparisce da due altri documenti della provenienza medesima, scritti nel febbrajo dell’anno 1116 e nel dicembre dell’anno 1118.
    Erano parimente da questo lato nei secoli XI e XII fuori della città di Pistoja la chiesa e monastero di S. Pier Maggiore e quella di S. Leonardo. In quanto alla prima lo dimostrano una bolla del Pontefice Urbano II del 10 gennajo 1089, appartenuti al capitolo della Cattedrale di S. Zeno, oltre due istrumenti del marzo 1026, e del 30 novembre 1162, nei quali si specifica il monastero di S. Pier Maggiore situato nel borgo omonimo presso la città di Pistoja. – ( loc.cit .)
    Rispetto alla chiesa di S. Leonardo che nel primo cerchio essa restasse fuori di Porta Guidi
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    lo dichiararono le bolle del Pontefice Eugenio III (II dicembre 1152) e di Alessandro III (19 novembre 1174) dirette ai canonici della Cattedrale di Pistoja. – ( loc.cit., Carte del capitolo Pistojese ).
    Dalla parte poi di settentrione restava fuori di città il luogo di Ripalta, siccome può dedursi fra le altre prove da un istrumento del febbrajo 961 pubblicato dall’abate Camici nella sua opera de’Duchi e Marchesi della Toscana; il quale istrumento spettante a donna Ermengarda figlia del fu conte Cuneardo e sorella del conte Cadolo fu scritto nel tempo che cotesta matrona rimasta vedova di un nobile pistojese, abitava nel suo castello o palazzo di Ripalta presso il muro della città di Pistoja .
    Dal lato medesimo di settentrione il primo cerchio lasciava fuori di città la chiesa plebana di S. Andrea, già in Furfalo , e forse quella di S. Prospero, ora di S. Filippo Neri; mentre verso ponente rimanevano nel subborgo le chiese di S. Vitale e di S. Maria Forisportae , ora dell’Umiltà. Finalmente verso mezzodì erano fuori delle mura la chiesa di S. Giovanni detto tuttora Fuorcivitas , e quella di S. Paolo.
    Dondechè può dirsi che il primo giro delle mura di Pistoja e de’suoi fossi esterni sia contrassegnato dal pentagono che formano le ampie strade ora centrali, le quali, a partire da scirocco andando verso grecale, appellansi delle Gore Lunghe e dell’ospedale, nella cui piazza piegando da grecale a settentrione dirigevansi per via delle Pappe sino allo sbocco della piazza del Carmine. A cotesto punto voltando da settentrione a maestro le mura dovevano percorrere lungo la via che passa dal canto de’Rossi, dove io credo che fosse la Porta S. Andrea , e di là proseguivano fino alla chiesa di S. Prospero, dov’era la Porta Putida , rimanendo forse fuori di città la chiesa stessa di S. Prospero al pari dell’altra
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    di S. Andrea. Costà sul principio del borgo S. Prospero, dov’è attualmente la fabbrica della Biblioteca Fabroniana, le mura del primo cerchio piegando quasi ad angolo retto voltavano la fronte a ponente per dirigersi lungo la bella strada della Porta vecchia , sul cui quadrivio esisteva la Porta Lucchese , in guisa che rimaneva nel subborgo la chiesa di S. Maria Forisportae , e molto più l’altra di S. Vitale. Continuavano le mura la stessa direzione fino presso la chiesa profanata della SS. Trinità, dove voltando faccia da ponente a ostro percorrevano la spaziosa via lungo le case e palazzi posti dirimpetto alla chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas , e al palazzo Panciatichi, ora del balì Cellesi, finché dirimpetto al canto di S. Leopoldo, ora detto delle Pancacce , i fossi della città ritornavano alle Gore Lunghe .
    All’Articolo LUCCA Volume II pagina 893 discorrendo dell’andamento del primo cerchio delle mura di Lucca, citai a conferma delle mie parole un rituale di quella cattedrale del 1230, in cui è registrato il giro delle processioni che quel clero faceva nel secolo XII nei tre giorni delle rogazioni percorrendo a un dipresso quello del primo cerchio della città; ed ivi io diceva che un uso consimile si conserva tuttora dai cleri di altre città della Toscana, segnatamente a Firenze e a Pistoja.
    Ora aggiungerò che il clero della detta Cattedrale pistojese conserva cotesto uso nel dì 5 febbrajo, giorno dedicato alla vergine S. Agata, patrona della Comunità, nella qual mattina il clero recasi sui luoghi dove furono le antiche porte del primo cerchio per porvi le crocelline benedette di cera, quali possono vedersi da chi capita in Pistoja; poiché la I. è al canto delle Pancacce; la 2. al canto de’Manni; la 3. sotto al palazzo degli Anziani o della Comunità; la 4. al canto de’Rossi, e la 5. alla Porta Vecchia .
    In cotesto
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    pentagono angusto anzi che no, ma in un piano il più prominente della città, esisteva dirimpetto a grecale una rocca situata fra la fabbrica degli ospedali riuniti ed il collegio Forteguerri, costà nella cui area fu eretta la soppressa chiesa parrocchiale di S. Jacopo detto perciò in Castellare .
    Nel primo cerchio di Pistoja si contavano sei fra porte e postierle; la prima di fronte a ostro denominavasi Porta Gajaldatica , poi Caldatica , rinnovata sotto quest’ultimo nome nei due cerchi posteriori; la seconda situata dirimpetto a levante prese il nome di Porta S. Pietro dalla chiesa di S. Pier maggiore; la terza nella stessa linea, e non molto lungi dalla seconda, era la Porta Guidi o del Conte Guido , così detta dalle case di quei magnati pistojesi, situate presso la piazza del Duomo, mentre fuori di essa porta era il borgo omonimo, in capo al quale fu aperta la Porta S. Marco del cerchio attuale. La quarta dirimpetto a settentrione, che denominavasi Porta S. Andrea , fu rifatta nel secondo cerchio poco lungi dalla Porta di Ripalta , e chiuse entrambe nel terzo dopo essere stata aperta la Porta al Borgo . La quinta che appellossi non so come, Porta Putida , era situata sullo sbocco della strada di S. Filippo, o de’Chierici dell’Oratorio, cui appella un istrumento del 27 maggio 1157 fatto nel borgo della Porta Putida di Pistoja presso la chiesa di S. Prospero. Lo stesso borgo è rammentato in altro rogito del 19 gennajo 1134, pel quale due monaci benedettini rettori della chiesa di S. Prospero diedero l’investitura di un casalino spettante a detta chiesa, e posto nel borgo di S. Prospero fuori di Pistoja. – (ARCH. DIPL. FIOR. Opera di S. Jacopo di Pistoja .) – Dirimpetto a ponente esisteva la
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    sesta Porta nel luogo denominato tuttora la Porta vecchia e che si chiamò costantemente anche ne’cerchi posteriori Porta Lucchese .
    Le memorie di queste sei porte del primo cerchio coi nomi qui citati, sono da vedersi nelle carte autentiche dei secoli XI, XII e XIII dell’Opera di S. Jacopo, del Capitolo, de’Monasteri di S. Bartolommeo e di S. Lorenzo degli Agostiniani di Pistoja, attualmente riunite tutte e coordinate nell’ARCH. DIPL. FIOR.
    Altre carte delle provenienze medesime giovano a far conoscere quali e quante furono le porte del secondo cerchio. Peraltro cotesto nuovo giro non incominciò, come supponeva il Fioravanti, nel 1080, o secondo il Cavalier Tolomei, verso il 1085, tostochè non esistono documenti indicanti che accadesse ciò innanzi il declinare del secolo XII. Altronde ci obbligano a contraddire ai testé rammentati autori due fra i molti istrumenti pistojesi rogati, uno del 22 febbrajo 1186 e l’altro nel 1189, il primo de’quali cita le Fosse nuove del borgo di Porta Caldatica, ed il secondo le ripe nuove della città presso il fiume Brana. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Mon. di S. Mercuriale, e dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja ).
    Inoltre alle Fosse nuove state scavate intorno alla stessa città appellano le rubriche 42, 93, 94 e 105 degli Statuti di Pistoja riformati nel 1182, colla prima delle quali cinque buon uomini dovevano stimare, misurare e ripartire il terreno intorno alle fosse nuove della città di Pistoja fra gli abitanti che pagavano un dazio per servire alla costruzione de’nuovi muri della città, finché non fosse compito tutto il giro . La rubrica poi 93 degli Statuti medesimi versa sull’obbligo ingiunto ai potestà di Pistoja di conservare i muri e le fosse vecchie della città anche quando fossero stati compiti i muri nuovi .
    Finalmente dalla rubrica 105 si rileva, che nel 1182, epoca delli Statuti pistojesi sopracitati, i muri del secondo cerchio
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    presso le ripe nuove della città di Pistoja , erano già incominciati a farsi della grossezza di 12 piedi , in guisa che ogni potestà, prima di entrare in uffizio, doveva giurare di non fare alterare o ristringere quelle mura.
    Che poi cotesto nuovo cerchio (ch’io appellerò secondo) della città di Pistoja al principio del secolo XIII restasse terminato, lo dichiarano più testimonianze del tempo, una delle quali me l’offre un istrumento del 3 dicembre 1213, in cui il Monastero e la chiesa di S. Bartolommeo, non si diceva più posta fuori, ma dentro il cerchio delle mura nuove della città di Pistoja . – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja ).
    Inoltre lo conferma un secondo istrumento rogato nel 7 novembre 1219, che tratta di un fitto annuo in grano da consegnarsi al padrone diretto dentro i muri nuovi di Pistoja. – ( loc.cit., Carte dell’Opera di S. Jacopo. )
    Peraltro le vecchie mura dovettero per qualche tempo rimanere in piedi anche dopo fatte quelle del secondo cerchio, siccome lo dicono lì Statuti pistojesi del 1182 alla rubrica 93 poco sopra riportata.
    Fu solamente nel 1220, quando i giudici, assessori del potestà di Pistoja, per sentenza del 7 luglio di quell’anno diedero licenza ad un cittadino di potere atterrare e servirsi dei materiali dei muri vecchi della città per tutta l’estensione della sua casa posta in vicinanza di quelle mura. Arroge che sei anni dopo a nome del Comune di Pistoja si alienarono per lire 8 e soldi 5 braccia 15 e 1/2 di terreno, su cui posava il muro vecchio della città. – ( loc. cit., Carte degli Agostiniani di Pistoja .)
    Contuttociò sembra che il magistrato degli Anziani posteriormente proibisse di atterrare i muri vecchi, finché cotesta misura fu revocata da una deliberazione del 1294 dopo
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    che i frati Romitani Agostiniani, i quali abitavano fuori di Pistoja, desiderosi di riedificare la chiesa ed il loro claustro nelle vicinanze della città, nel dì 21 marzo 1293 supplicarono il magistrato civico di poter far uso di una parte di muri vecchi della città onde rifabbricare ivi presso la chiesa e convento di S. Lorenzo. Colla quale domanda (ad onta di un ordine contrario degli Anziani), quei religiosi chiedevano la grazia che fosse revocato, siccome infatti lo fu, tostochè nel 4 novembre del 1294 il consiglio generale approvò una provvisione degli Anziani di Pistoja che ordinava, qualmente nei contratti di vendite delle fosse, ripe e muri vecchi della città i sindaci del Comune potessero accordare libera facoltà agli acquirenti di appoggiare sulle mura del vecchio cerchio comprate, di fabbricarvi di nuovo, ecc. – ( loc. cit., Carte dell’Opera di S. Jacopo. )
    Per effetto di ciò anco i frati Agostiniani di S. Lorenzo ottennero una deliberazione dal magistrato comunitativo sotto dì 4 giugno 1295, mercé cui venne graziata la domanda che l’anno innanzi avevano presentato.
    Questo solo fatto autentico distrugge la tradizione ripetuta dal Fioravanti e dal Tolomei, che la chiesa, cioè, di S. Lorenzo degli Eremiti Agostiniani di Pistoja fosse edificata nel 1278 dal vescovo Guidaloste Vergiolesi, comecchè lo stesso vescovo nel 10 agosto del 1272 firmasse una bolla che accordava ai frati Romitani di S. Agostino di Val di Brana licenza di edificare un monastero nel circondario di Pistoja presso il fiume Brana sotto il vocabolo della SS. Vergine e di S. Lorenzo concedendo indulgenza di un anno e 50 giorni a chiunque all’apertura della nuova chiesa per tutta l’ottava intervenisse ai divini uffizj, e a coloro che avessero contribuito alla fabbrica della chiesa e convento stesso. – ( loc.cit., Carte degli Agostiniani di Pistoja. )
    Giova frattanto sapere che il vescovo Guidaloste, mediante un atto del 26 ottobre 1283 donò all’Opera della chiesa di
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    S. Paolo di Pistoja tutti i diritti a lui competenti sopra un romitorio abbandonato, e situato fuori de’ muri nuovi nella parrocchia di S. Paolo presso la Porta Caldatica. – ( loc. cit., Carte del Vescovado di Pistoja ) .
    A questo secondo cerchio, del quale esistono tuttora molti avanzi di mura larghe da 3 in 4 braccia in varj luoghi dentro Pistoja, riferivano Dino Compagni e Giovanni Villani nelle loro croniche, allora quando descrivevano i preparativi dell’assedio portatovi nel 1305 dai Fiorentini e dai Lucchesi, senza tralasciare di far l’elogio della fermezza e valore degli assediati. Le mura del secondo cerchio di Pistoja, a confessione di quei due scrittori erano bellissime, merlate, con fortezze, con porte da guerra e con larghi fossi d’acqua intorno, sicchè per forza la città aver non si poteva.
    Chi bramasse vedere la qualità del muramento e alcuni suoi avanzi, basti che s’interni nei viottoli di fianco al conservatorio di S. Caterina da Siena, chiamato delle Fanciulle Abbandonate , tanto nel vicolo che riesce in borgo Albanese, quanto in quello di sotto che porta alla casa del Tempio.
    L’andamento dei fossi e delle mura di questo secondo cerchio non apparisce meno chiaro del primo, tostochè lo dà a conoscere il giro che fa dentro la città dal lato di ponente e di ostro la strada amplissima del Corso. Il qual giro a partire da settentrione presso la Porta al Borgo comincia dalle Mosse e di là per la piazza di S. Francesco s’inoltra verso S. Vitale sino al soppresso tempio degli Umiliati, al qual punto la strada del Corso piegando da ponente a libeccio e poi a ostro si dirige fino al Campo Marzio, dove voltando faccia a scirocco e poi a levante la strada che serviva di pomerio al secondo cerchio della città doveva passare lungo la casa del Tempio, lasciando fuori le chiese di S. Maria Nuova
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    e della SS. Annunziata per dirigersi nella via detta de’ Baroni, la quale sbocca attualmente nel borgo di Porta S. Marco che doveva attraversare per entrare nella piazza di S. Lorenzo. Costà ripiegando la fronte a settentrione sembra che le mura del secondo cerchio percorressero le vie del Fiore e del Ceppo per ritornare forse in quella delle Pappe, comune al primo giro, onde arrivare sulla piazza del Carmine, che attraversavano per recarsi alla Porta di Ripalta, poco lungi dalla quale ritorna la via delle Mosse a compimento del secondo cerchio della città.
    Dondechè a me sembra che coteste strade fossero a un dipresso il pomerio o la carbonaja intorno alle mura di Pistoja fino dopo l’assedio del 1305. Il qual pomerio era circondato da fossi alimentati dalle acque del fiumicello Brana e dalla Gora d’Ombroncello, altrimenti detta Gora di Gora . Dell’antico corso di quest’ultima dal lato occidentale e meridionale di Pistoja trovasi indizio in una deliberazione fatta dagli Anziani nel 16 settembre 1293, e in una istanza presentata a quel magistrato comunitativo dagli operai del monastero di S. Bartolommeo di Pistoja sotto di 16 maggio 1295. – Vedere GORA DI GORA.
    Anche questo secondo giro contava sei porte, fra le quali due postierle; quelle che davano il nome ai quattro Quartieri della città e delle sue Cortine erano: 1.a la Porta Caldatica ; 2.a la Porta Guidi ; 3.a la Porta S. Andrea , e 4.a la Porta Lucchese . Dovettero figurare come postierle la Porta di Ripalta e la Porta S. Pietro .
    Due di quelle porte sono rammentate sino dall’epoca del primo cerchio nelle bolle del Pontefice Eugenio III del dì 11 dicembre 1152, e di Alessandro III del I novembre 1174, dirette ai canonici della Cattedrale pistojese, che ad essi confermarono quanto era stato a quel capitolo concesso dagli imperatori, dai principi e dai
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    pontefici loro antecessori, comprese alcune decime state loro accordate dai vescovi pistojesi. Talei erano le decime della parrocchia di S. Salvatore posta in Porta Guidi dentro la città; tali quelle di S. Leonardo nel borgo omonimo; tali l’altre di S. Maria in Borgo Guitterdi (forse Borgo Strada ); tali finalmente quelle di S. Vitale e di Vico Faro fuori di Porta Lucchese .
    Dopo l’assedio del 1305-6, per cui Pistoja cadde in potere de’ Fiorentini e dei Lucchesi, le mura del secondo cerchio furono in gran parte dai nemici abbattute, e colle sue macerie riempiti i fossi sottostanti. Sennonché tre anni appresso un esercito lucchese essendosi avanzato da Serravalle con intenzione di entrare in Pistoja e darle nuovi guasti, i Fiorentini per gelosia di stato permisero ai Pistojesi di riparare le guaste muraglie per difendersi dall’aggressione de’ Lucchesi.
    Infatti, al dire di Giovanni Villani, ( Cronica Lib. VIII C. 41) fu così maravigliosa a vedere, come in due giorni soli il popolo di Pistoja, uomini, donne, fanciulli, preti e religiosi unanimi facessero a gara nel rivuotar fossi, fabbricare steccati e bertesche intorno alla città. In conseguenza di tale operosità Pistoja fu ridotta in modo da ripararsi non solo da una sorpresa, ma ancora da far fronte ad un nuovo assedio, come fu quello che 20 anni dopo (anno 1325) essa ebbe a sostenere, quando vi entrò con le sue genti Castruccio capitano generale di Lucca.
    Dopo di ciò l’Antelminelli si dié ogni cura di munire sempre più Pistoja circondandola con spesse torricelle e con doppi fossi e steccati, sicchè, a confessione dello stesso Villani, cotesta città fu resa fortissima. – ( Oper. cit ., Lib. X., C..85).
    Mancato però Castruccio, e ricaduta Pistoja in mano de’ Fiorentini, questi nel 24 maggio del 1329 conclusero con i Pistojesi una convenzione, mercé della quale tutte le deliberazioni e statuti di cotesta Comunità dovettero intestarsi fatti ad
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    onore della Sacra Romana chiesa, di Roberto re di Sicilia, e del pacifico e tranquillo stato del Comune di Firenze e di quello di Pistoja. Allora i Fiorentini, alla cui custodia militare fu affidata la città e contado pistojese, continuarono il terzo giro delle mura di questa città, fecero innalzare vicino alla Porta Caldatica la nuova fortezza di S. Barnaba, mentre gli Anziani ed il consiglio generale riformavano lì Statuti di Pistoja.
    In cotesti ultimi Statuti sono rammentate dodici compagnie di milizie urbane distribuite tre per Quartiere, dondechè dai medesimi risulta che l’anno 1330 il Quartiere di Porta Lucchese comprendeva i nove popoli seguenti: 1. S. Giovanni Fuorcivitas ; 2. S. Giovanni in Corte (poi S. Giovanni Rotondo), 3. S. Anastasio; 4. S. Maria Presbiteri Anselmi ; 5. S. Michele in Bonaccio ; 6. S. Maria in Torri ; 7. S. Maria Forisportae ; 8. S. Vitale; 9. S. Pietro in Strada . – Il Quartiere di Porta Caldatica abbracciava sette parrocchie, cioè, 1. il popolo di S. Paolo dentro e fuori dei muri vecchi ; 2. il popolo di S. Matteo, 3. quello di S. Stefano; 4. l’altro della Cattedrale di S. Zenone; 5. il popolo di S. Pier Maggiore; 6. quello di S. Maria Nuova; e 7. di S. Pietro in Cappella . – Il Quartiere di Porta S. Andrea abbracciava otto popoli; 1. della pieve di S. Andrea; 2. di S. Jacopo in Castellare ; 3. di S. Maria a Ripalta dentro e fuori de’ muri vecchi della città ; 4. di S. Maria al Prato ; 5. di S. Prospero; 6. di S. Maria in Borgo Strada ; 7. di S. Michele in Cioncio ; 8. e di S. Ilario. – Finalmente nel Quartiere di Porta
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    Guidi
    erano compresi i sei popoli seguenti; 1. di S. Marco; 2. di S. Leonardo; 3. di S. Bartolommeo; 4. di S. Maria Maggiore ; 5. di S. Salvatore; 6. di S. Maria in Piazza, alias de’ Cavalieri.
    Tali erano i trenta popoli che nel 1330 costituivano i Quartieri della città di Pistoja, quando già si era in gran parte fabbricato il terzo cerchio, nel quale invece della Porta Guidi venne sostituita la Porta S. Marco. Similmente fu soppressa la Porta S. Andrea , e sostituita la Porta di Ripalta , che poi si appellò Porta al Borgo . Ma dalle indicazioni degli Statuti del 1330 si rivela che le parrocchie di S. Paolo nella Porta Caldatica e di S. Maria a Ripalta abbracciavano una parte di popolazione fuori dei muri vecchi della città ; dalle quali parole si comprende che a quell’ora doveva essersi ricostruita se non tutta gran parte del terzo cerchio; giacché la Porta di Ripalta non trovasi nominata prima del 1310, e le mura vecchie di Pistoja sono rammentate in più istrumenti del Monastero di S. Bartolommeo, come quelli del 9 febbrajo 1311, del 14 novembre 1316, e del 31 marzo 1326.
    Comecchè sia, il fatto è che le mura del nuovo cerchio continuavano a fabbricarsi anche dopo la metà del secolo XIV; avvegnachè con scrittura del dì 8 febbrajo 1370 gli operaj del Comune di Pistoja, destinati alla fabbrica delle mura urbane, deliberarono di far costruire una torre dietro il Monastero di S. Michele in Forcole, in luogo appellato lo Sprone ; e nel 24 agosto del 1375 eglino assegnarono ad alcuni maestri certi lavori di pietra per fortificare la Porta Caldatica. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja .)
    In questo terzo cerchio, oltre le Porte di S.
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    Andrea e Guidi
    , fu soppressa ancora la Porta S. Pietro , della quale trovo l’ultima commemorazione in una carta degli Agostiniani di Pistoja del dì 8 marzo 1357, rogata nel coro della chiesa de’Frati Umiliati della stessa città.
    Gli ultimi lavori e fortificazioni intorno alle mura di Pistoja spettano a Cosimo I (anni 1540-1560) ed a Ferdinando II (anno 1643). Devesi al primo Granduca il bastione di Porta Caldatica, e la costruzione della stessa porta, come pure l’ingrandimento della fortezza di S. Barbara riedificata col disegno di Bernardo Buontalenti.
    Finalmente il Granduca Ferdinando II nell’anno 1643 sentendo che un esercito papalino raccoltosi a Bologna minacciava di sorprendere la città di Pistoja, ordinò che si restaurassero le sue mura e le sue porte, alle quali opere ebbe parte l’ingegnere pistojese Francesco Leoncini, cui io credo si debba l’attuale rivellino e la Porta S. Marco davanti al ponte della Brana.
    Il cerchio attuale di Pistoja ha una periferia di braccia 7419, corrispondenti a miglia 2 e 5 ottavi.

    Nella linea di levante conta Braccia fiorentine 1758
    Nella linea di settentrione Braccia fiorentine 1780
    Nella linea di ponente Braccia fiorentine 1756
    Nella linea di ostro Braccia fiorentine 2125
    TOTALE Braccia fiorentine 7419

    Edifizi sacri più cospicui di Pistoja . – La chiesa maggiore di Pistoja, dedicata ai SS. Zenone, Martino, Felice, Rufino e Procolo, esisteva sino almeno dal sesto secolo dell’Era Cristiana nel luogo dov’è l’attuale, sebbene in un piano allora assai più basso. – Fu poi rinnovata sul principio del secolo XII, siccome apparisce da una concessione fatta nel marzo del 1114 dal conte Guido e dalla contessa Emilia sua moglie in tempo che i due coniugi abitavano nel loro Castello del Monte di Croce. Essendochè allora i rettori dell’Opera del Duomo di Pistoja ordinarono di costruire una gora e di prendere
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    l’acqua dal fiume Ombrone o da altri fiumi per servire al restauro della fabbrica di detta chiesa. Alla quale restaurazione, fatta dopo poco avvenuto nel 1108 il primo incendio, contribuì ancora la pietà della gran contessa Matilda, e ciò qualche decennio innanzi che nel Duomo pistojese fosse consacrata (anno 1148) la cappella di S. Jacopo. – (ARCH. DIPL. FIOR., Carte dell’Opera di S. Jacopo e del Vescovado di Pistoja ).
    Fu poi la stessa Cattedrale ampliata nel secolo XIII col disegno di Niccola Pisano, incrostata al di fuori ed ornata al di dentro di marmi bianchi e neri. Quindi nello stesso modo fu incrostato di marmi a strisce bianche e nere nel 1311 il suo portico, mentre il contiguo campanile porta un’iscrizione di diec’anni anteriore (del 1301).
    Il bellissimo bassorilievo di terra della Robbia sulla porta principale è opera di Andrea nipote di Luca della Robbia che lo trasportò a Firenze nel luglio del 1505, per cui dopo averlo dorato n’ebbe dagli operai la mercede di 50 ducati d’oro. A schiarimento dell’estinta doratura e dell’uso di dorare le terre verniciate della Robbia, oltre l’esempio del battistero Robbiano della chiesa di Camoggiano presso Barberino di Mugello, sul quale restano tuttora degli avanzi di dorature, gioverà qui ripetere le espressioni di un rubricario dell’Opera di S. Zeno esistente nell’Archivio della Comunità di Pistoja, dove a carte 62 tergo furono registrati sotto dì 6 agosto 1505 i pagamenti seguenti:
    Ad Andrea de la Robia per i pezzi 1900 d’oro servito per il tondo sopra la maggior parte della chiesa cattedrale di terracotta composta, lavorata d’oro .
    In simil modo e forma stanziorno, a dì detto: Ad Antonio da San Donnino vetturale per la ventura di some 19 del suddetto lavoro da Firenze a qui, e per la gabella del detto lavoro e la gabella di 1900 pezzi d’oro fino di Firenze, in tutto lire 19 e soldi 8 di
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    piccioli per le spese fatte. Ad Andrea da la Robia, a un suo figlio, a uno garzone e cavallo per giorni 28, cioè dal dì 26 luglio infino al dì 24 d’agosto presente stati in Pistoja per far murare e mettere a oro il sopraddetto lavoro
    .
    La chiesa è divisa da colonne di macigno in tre navate con la confessione sotto l’altar maggiore sull’uso delle antiche basiliche. La tribuna lavorata a mosaici fu rifatta più amplia, se non più bella, nel 1599 col disegno d’Jacopo Lafri architetto pistojese, e poscia dipinta dal Passignano e dal Sorri. La volta di tutto il tempio fu fatta nel 1657. L’antica cappella di S. Jacopo, innanzi che fosse trasportata in capo alla navata a cornu epistolae (anno 1786) era a piè di chiesa difesa da un cancellato di ferro; la sua volta fu lavorata nell’anno 1265 da maestro Bono, mentre un secolo dopo (anno 1347) vennero rinnovate le pitture delle sue muraglie da due pittori fiorentini, (Alessio d’Andrea e Bonaccorso di Cino), state poi nel 1786 imbiancate, siccome fu dato di bianco ai dipinti non meno vetusti ch’erano nello stesso Duomo alla cappella del Crocifisso, già detta del Giudizio, dove lavorò Stefano fiorentino nipote di Giotto.
    Era nella cappella antica di S. Jacopo il bellissimo altare d’argento, e lì presso la sagrestia de’belli arredi , rammentata da Dante (Inferno Canto 24) ora riunita all’altra del Duomo. Finalmente i più moderni e più dispendiosi restauri furono eseguiti negli anni 1838 e 39 a spese della Comunità e dell’Opera o Capitolo, quando furono rinfrescate le pitture della tribuna ed arricchite strabocchevolmente di un attico pesantissimo di ornamenti e stucco dorato, mentre il restante della chiesa con molta semplicità fu intonacato e riquadrato, cuoprendo di calcina le antiche colonne di pietra dell’ambulatorio di mezzo, e rimuovendo per la seconda volta dal suo posto il cenotafio di messere Cino da Pistoja scolpito nel 1337 da maestro
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    Cellino di Nese da Siena.
    In quell’occasione furono dissepolti dal pavimento, ove per molti secoli si giacquero sconosciuti, otto amboni di marmo bianco con purgato disegno intagliati e diligentemente eseguiti da uno scalpello che rammenta i bei tempi di Niccola Pisano.
    Ma ciò che costituisce oggetto di curiosità e d’istruzione per i forestieri è la cappella di S. Jacopo, specialmente il suo altare d’argento, opera di molti artisti di oreficeria eseguita nel corso di un secolo e mezzo (dal 1314 al 1466). Intorno al cui altare i Pistojesi devoti raddoppiarono ognor più di zelo per accrescergli ornamento e ricchezza in modo che, diceva il Prof. Ciampi, quel lavoro di cesello non fia da stimarsi inferiore all’altare che i consoli dell’Arte de’Mercadanti in Firenze fecero lavorare a maestro Cione per la chiesa di S. Giovanni, stato in seguito accresciuto di più squisiti lavori da Maso Finiguerra, dal Pollajolo e da altri valentuomini di età posteriore.
    Il disegno dell’altare attuale di S. Jacopo rammenta l’epoca della sua traslazione (anno 1786) di fondo alla chiesa dov’era.
    Tutta la tavola è alta braccia 6 in circa, e larga poco più di 4. È spartita in tre ordini, il superiore de’quali fu allogato pere deliberazione del 10 agosto 1365 fatta dagli Anziani del Comune e dagli operaj dell’Opera di S. Jacopo col disegno di Bartolommeo Cristiani pittore pistojese, conchè la Maestà, gli Angeli e fogliami di argento si facessero dagli orefici Atto di Piero Braccini di Pistoja e Noferi del fu Buti di Firenze. Nella qual tavola dovevansi impiegare circa 90 libbre d’argento lavorato e dorato, mentre nelle testate della tavola di mezzo furono eseguiti in bassorilievo nel 1456 due busti de’profeti per opera del celebre maestro Filippo di ser Brunellesco, e di Pietro d’Antonio da Pisa.
    Chiesa di S. Bartolommeo. – Può dirsi questa per ragione di antichità la seconda chiesa di Pistoja perché edificata nel principio del secolo VIII, dotata ed eretta in
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    badia per i monaci Benedettini nell’anno 767 dal suo fondatore Guidoaldo pistojese e medico regio. Essa però fu rifatta di pianta del secolo XII, siccome lo dichiara l’iscrizione posta nel 1167 sotto l’architrave della porta maggiore, mentre ne era operajo un tal Rodolfino. Sopra la qual porta è scolpito il Salvatore in atto di dare la missione ai 12 Apostoli di convertire alla vera fede il mondo conosciuto. Intorno all’epoca stessa era costà davanti un portico della chiesa predetta. Posteriore di poco è il bel pergamo scolpito a rilievo che posa su tre colonne, spartito in otto quadri storiati.
    E’un lavoro assai ben prodotto e compito nel 1250 da Guido da Como, che può dirsi il primo imitatore di Niccola Pisano.
    Questa chiesa possedeva una membrana scritta nell’anno IV del re Liutprando, Indizione XV (anno 716 dopo il I settembre) che può dirsi la seconda fra le pergamene originali superstiti in Toscana. Trattasi della compra fatta per cento soldi da Guidoaldo medico di Pistoja della metà di una sala (palazzo di campagna) con corte, prato e una parte di mulino sopra la Gora di Brana , confinante con la via pubblica pistojese. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di detto Monastero )
    Nel principio del Mille il Monastero di S. Bartolommeo di Pistoja fu sottoposto con tutti i suoi beni e chiese manuali a quello de’Benedettini di S. Giovanni Evangelista di Parma. Fra le quali chiese fino al 748 se ne contava in Pistoja una intitolata ai SS. Pietro, Paolo e Anastasio, altra dedicata a S. Silvestro presso quella di S. Bartolommeo rammentata nel 764; e una terza ricordata nel 767, di S. Angelo a Monticunule (Serravalle) presso il fiume Nievole. Quella di S. Maria a Capezzana, cui appella una carta del 775; la chiesa e badia di S. Maria a Pacciana, e quella di S. Maria e S. Pietro alla Croce (anno 782), sono ricordate tutte manuali dell’antico Monastero di
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    S. Bartolommeo di Pistoja. Così al medesimo più tardi fu sottoposta la chiesa di S. Romano in Val di Bure e l’altra di S. Donnino d’Empoli Vecchio. D’allora in poi i superiori del Monastero di S. Bartolommeo, lasciato il titolo di abate al superiore del Monastero di Parma, si dissero priori, fino a che per bolla del Pontefice Eugenio IV, data in Siena li 20 agosto 1443 non essendo rimasti in S. Bartolommeo che 4 monaci, fu ceduto cotesto monastero ai canonici Roccetini della Congregazione di S. Maria di Fagionaja della diocesi di Lucca, che vi entrarono nel 16 settembre successivo. Nel 1508 dal priore di S. Mato era stata unita la sua chiesa al Monastero dei Roccetini predetti, i quali finalmente dopo la metà del secolo XVII furono rimpiazzati dai monaci Vallombrosani di S. Michele in Forcole, il cui monastero esisteva accosto alle mura della Porta S. Marco di Pistoja, quando portarono seco loro fra le altre cose una veneratissima immagine del SS. Crocifisso scolpita nei secoli barbari al naturale in un tronco di cedro, e di cui si può leggere la descrizione nella Guida di Pistoja del Tolomei. Cotesta famiglia di Vallombrosani essendo stata soppressa nel 178, la chiesa parrocchiale di S. Bartolommeo fu affidata alla cura di un prete secolare.
    Chiesa di S. Andrea . – Questo tempio che al pari del precedente era fuori del primo cerchio di Pistoja, godeva fino dal mille degli onori di chiesa battesimale, col titolo di pieve di S. Andrea detta in Furfalo , poi di S. Andrea Urbana .
    Io non dico che l’antica struttura di questa chiesa fosse consimile a quella del secolo VIII, giacché non saprei trovarne una da asserirla tale senza timore d’ingannarmi. Comecchè sia, la sua facciata a strisce di marmi bianchi e neri fu disposta in tre ordini, secondo alcuni, nell’anno 1166, col disegno dei due fratelli Gruamonte e Adeodato, il nome
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    dei quali leggesi nell’architrave della porta d’ingresso, nell’anno cioè, in cui eglino scolpirono ivi un bassorilievo rappresentante l’adorazione de’ Magi. Crederei piuttosto quella facciata lavoro di un secolo posteriore alla scultura dell’architrave, e forse eseguito dall’architetto medesimo che lavorò a mostacciuoli con archetti semitondi alle pareti laterali delle chiese del Duomo, di S. Giovanni Fuor civitas e di S. Pier maggiore della stessa città aventi molta analogia con la facciata di S. Andrea. A favore poi del pievano di cotesta città sotto di 14 settembre 1174 il capitolo della cattedrale di Pistoja fece una deliberazione, con la quale prese sotto la sua protezione la chiesa plebana di S. Andrea insieme al suo clero e beni ad essa appartenenti. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Capit. pist .)
    L’interno di questo tempio è a tre navate con colonne sostenenti arcate a sesto intero ed un muro altissimo di mezzo che rende l’ambulatorio assai sproporzionato. Esso fu restaurato e consacrato nel 1587.
    Celebre nella storia delle belle arti è il pergamo ivi esistente, e scolpito nel termine di quattr’anni (dal 1298 al 1301) da Giovanni figlio di Niccola Pisano. È di figura esagona molto simile nell’architettura e nel lavoro al pergamo del Battistero di Pisa, fatto dal di lui padre, sebbene il figlio lo abbia qui superato in fantasia, in varietà di gruppi ed anco nella composizione molto più espressiva.
    Le sette colonne sottilissime che lo sostengono sono di marmo rosso, tre delle quali posano sulla loro base, una sopra le spalle di un vecchio, la quinta sopra il dorso di una lionessa lattante, la sesta sopra un leone con sotto un cavallo che azzanna, e quella di mezzo sopra una base fiancheggiata da due aquilotti e sorretta da un piccolo leone.
    Per qualche tempo la canonica di quest’antica pieve fu abitata dai Padri Gesuiti, innanzi che eglino si trasferissero nel 1635 nel collegio e chiesa di S. Ignazio, ora parrocchiale dello
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    Spirito Santo.
    Chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas . – Questa chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista conserva il vocabolo dell’antica sua posizione per indicare ch’essa fu fuori del primo cerchio della città. Venne rinnovata nel sec.XII, e forse nel susseguente, nella parete settentrionale e in parte anche dal lato di occidente nella facciata fino all’impostatura degli archi di un portico chiuso, che poi non fu eseguito. – Alcuni ne credettero autore quello stesso maestro Gruamonte che scolpì il bassorilievo sotto l’architrave della porta di chiesa alla pieve di S. Andrea, siccome lo diede loro a supporre un’iscrizione scolpita nell’arco della porta laterale di questa di S. Giovanni, in cui si legge: Gruamens magister bonus fecit hoc opus . – Cotest’ultimo lavoro consiste in un bassorilievo di marmo sull’architrave rappresentante il Cenacolo degli Apostoli.
    Opera peraltro di maggior pregio e di migliore scalpello è da vedersi dentro la chiesa nel pergamo di marmo bianco con figure ad alto rilievo scolpito sul cadere del secolo XIII o nel principio del susseguente da ignoto artista, che Vasari suppose di patria tedesco, il Ciampi di patria lombardo, ed il Morrona fatto da Giovanni Pisano, mentre il Cicognara lo sospettò, se non dello stesso Niccola Pisano, almeno di qualcuno de’ suoi più valenti scolari. Comunque sia, non vi ha dubbio, che in cotesto pergamo apparisce un magistero non ordinario all’epoca di che si tratta, un’invenzione ingegnosa, ed un’esecuzione da fare stupore.
    Anco il gruppo di marmo bianco, rappresentante le tre virtù teologali, che sorreggono la pila per l’acqua santa accosto alla porta laterale, fu scolpita da Giovanni Pisano.
    Chiesa di S. Giovanni Rotondo . – E’un tempio di figura ottagona di faccia al Duomo, anticamente appellato S. Giovanni in Corte per esser vicino al palazzo e alla curia dei potestà di Pistoja. È costruito tutto ed incrostato di marmi a strisce bianche e nere con pilastri sugli angoli sorreggenti delle guglie rabescate. Ha avuto sino dall’origine
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    tre porte che guardano tre venti cardinali meno il ponente, dov’è l’altare, mentre la porta di mezzo esposta a levante resta di faccia alla Cattedrale. – Alcuni credettero questa chiesa fabbricata nel 1300, altri la dissero del 1337 col disegno di Andrea Pisano, ed il Prof. Ciampi pubblicò un istrumento, dal quale apparisce che gli anziani del Comune ed i deputati dell’Opera di S. Jacopo nel 22 luglio 1339 locarono a Cellino di Nese da Siena il compimento del tempio di S. Giovanni, fatto con colonne, basi, capitelli e cornici come prescriveva il disegno approvato al prezzo stabilito. Il qual maestro Cellino due anni innanzi aveva scolpito il cenotafio di messere Cino, e vent’anni dopo lavorò nel Camposanto di Pisa. E per quanto costui fosse nativo sanese, si chiamò da Pistoja per il lungo domicilio che vi fece fino all’ultima sua età. – (CIAMPI, Notizie della Sagrestia pistojese, Doc. IV .) – Ma nell’istrumento del 22 luglio 1339 si parla di locare a maestro Cellino il compimento esterno della chiesa di S. Giovanni di Pistoja da eseguirsi a strisce di marmi bianchi e neri, giacché lo stesso tempio si rinnovava fino dalla metà del secolo XIII.
    Ciò è dimostrato da tre istrumenti dell’Opera stessa di S. Jacopo, col primo de’ quali, rogato in Pistoja da Amandino di Guidaloste sotto dì 22 novembre 1256, maestro Bointadoso del fu Barroccio maestro di pietre promise ai deputati di quell’Opera che egli avrebbe rifatto il fonte battesimale di S. Giovan Battista di Pistoja, che si era guastato e che avrebbe consegnato il lavoro compito nel termine di 70 giorni, cioè alle calende del susseguente febbrajo; in conto della qual’opera egli nell’atto ricevé lire 30 e soldi 10.
    Con il secondo istrumento poi del 26 gennajo 1320, scritto in Siena, Puccio del fu Orlando da S. Quirico a Tonni del contado sanese promise a Cecco del fu Venuto spedalingo dell’ospedale della Scala
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    ricevente a nome degli Operai di S. Jacopo di Pistoja per la chiesa di S. Giovanni Battista di questa città, di condurre da quel dì alle calende del maggio prossimo diversi pezzi di marmo bianco (della Montagnuola) di Siena nelle misure ivi descritte, cioè 40 braccia di tavole di quadro in marmo bianco digrossato, 25 braccia di colonnelle digrossate, e 16 cantoni.
    Dell’altezza di dette tavole al prezzo, i colonnelli, di soldi 14 il braccio, ed i cantoni a 10 soldi il braccio. – Finalmente col terzo istrumento, rogato esso pure in Siena li ( ERRATA : 23 maggio) 23 marzo dello stesso anno 1320, il prenominato Puccio da Tonni si obbligò con maestro Alessio Nuti da Pistoja incaricato dagli Operai di S. Jacopo di condurre fino a Siena 40 tavole di marmo bianco e 21 pezzi di marmi abbozzati da servire per la chiesa di S. Giovanni Battista di Pistoja, al prezzo ivi designato.
    Ma non fu del solo marmo bianco della Montagnuola di Siena che gli artisti adoprarono per la chiesa in discorso, nella quale si lavorava anco dopo la metà del secolo XIV, mentre in un documento riportato dal Professore Ciampi nell’Opera testé citata ( Docum. V ) sotto l’anno 1353 sono registrate varie spese fatte dagli operaj dell’Opera di S. Jacopo nella gabella e trasporto per navicello di Pisa a Signa dei marmi di Carrara, in cui leggesi la seguente partita: “ Demo a dì 6 agosto (manca l’anno) a Piero di Michele nostro maestro di S. Giovanni che per nostro mandato andò a Carrara per far cavare marmi e quelli condurre a Pisa per lo lavorio di S. Giovanni detto, li quali ricevono egli e Giovanni discepolo di maestro Donato suo compagno, che in tutto 210 pezzi e pesano 86 migliaja di libbre, di quel torno, si ai cavatori, si ai tranatori, si à quelli delle barche che li condussano a Pisa, e
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    molte altre cose, veduta con lui di ciò ragione per una scritta fatta di sua mano di quello che costa, recato lavorato, a imperiali di fiorini, contando lo fiorino soldi 46 d’imperiali, in tutto fiorini 109 a peso pisano e soldi nove d’imperiali, vagliono di nostra moneta, contando lo fiorino di lire 3, soldi 12 e denari 6, in tutto lire 464, soldi 14 e denari 6. –
    ( Vedere il computo del fiorino d’oro in questo volume a pagina 395.)
    Nello scassare che si fece nel 1337 il pavimento di questo tempio fu ritrovato il corpo di S. Atto vescovo, morto nel 1153, stato poi trasportato nell’altare di S. Giacomo nella vicina cattedrale dove attualmente si venera, lo che prova che la chiesa di S. Giovanni in Corte, ora S. Giovanni Rotondo, esisteva fino dal secolo XII, e forse anche molto tempo prima; e che essa serviva ad uso di parrocchia e da Battistero della città, siccome lo dà a conoscere ancora l’istrumento del 22 novembre 1256 di sopra citato.
    Chiesa dell’Unità. – È il più bel tempio e il più caro che abbiano i Pistojesi, di un’architettura che forma l’ammirazione de’viaggiatori, sorpresi di sapere che esso fu innalzato nel 1509 col disegno e direzione di un artista pistojese, allievo di Bramante, quale fu Ventura Vitoni. È di figura ottagona, di ordine corintio, con vestibulo e volta a rosoni di una bellezza senza pari. All’autore però mancò la vita per condurre la fabbrica al suo termine; cosicché dopo la metà del secolo XVI fu dato ordine a Giorgio Vasari di voltare la cupola che il Vitoni aveva divisato di fare a rosoni e a cassette simili alla volta dell’atrio. Ma il Vasari vi volle aggiungere con biasimevole arbitrio un falso ordine, o attico. – Del resto questo tempio, al pari degli altri delle chiese del Conservatorio di S. Giovanni Battista, della Madonna del Letto,
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    e del vestibulo del Seminario, già chiesa delle monache di S. Chiara, rammenta i migliori tempi dell’architettura risorta, essendo tra le opere moderne quella che più s’avvicina allo stile corretto greco romano.
    Dopo coteste sei chiese che portano il vanto fra tutte, Pistoja ne conta molte altre pregiabili sia per età, sia per bellezza e vastità. Contansi fra le prime la chiesa di S. Pier maggiore, e quella di S. Paolo; fra le seconde quelle di S. Domenico, di S. Francesco, di S. Lorenzo, dello Spirito Santo e della SS. Annunziata. Le chiese di S. Domenico e S. Francesco ricche di buone opere, furono fondate pei frati Predicatori, e per i minori Osservanti sino alla prima metà del secolo XIII.
    Quelle due al pari dei grandiosi conventi annessi contengono pitture a fresco e quadri di artisti assai distinti, siccome tale fu l’autore del Cenacolo del refettorio di S. Domenico, lavoro d’ignota mano maestra del secolo XVI, e da ignoto ignorante fatto ricuoprire di calcina. Per riparare al qual barbarismo il capo del magistrato civico attualmente fa ritrovare quel dipinto, di cui sono state già scoperte le teste e molte parti degli Apostoli, quelle di due inservienti, e in mezzo il Salvatore tutti ritratti del tempo in abito di frati dell’ordine di S. Domenico.
    Ma la pittura più insigne, e che reclama l’ajuto dal nobile proprietario pistojese che possiede quel luogo in rovina, sta nella profanata chiesa di S. Desiderio. L’affresco rappresenta la più grandiosa invenzione di Bastiano Veronese, opere meritevole di essere trasportata in tela coi metodi ora conosciuti per ripararla dalla perdita che quel muro minaccia.
    Non parlerò delle pitture che adornano queste e tante altre chiese di Pistoja, giacché vi ha supplito per tutti il Cavaliere Francesco Tolomei nella sua Guida di Pistoja, oltre quanto fu scritto per alcune dal Fontani nel suo Viaggio pittorico della Toscana e dal Professore Ciampi nell’Opera testé lodata.
    Istituti di Beneficenza. – Spedale del
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    Ceppo. –
    Questo pio stabilimento ebbe origine verso il 1218 quando già esistevano molti minori spedali dentro e fuori di Pistoja, fra i quali uno de’ più antichi fu a piè del Ponte a Bonelle sull’Ombrone.
    Per varj secoli questo del Ceppo fu amministrato da una famiglia di religiosi ospedalieri della regola di S.  Agostino, preseduti da un superiore frate della società denominata di S. Maria del Ceppo.
    La fabbrica attuale non solo fu aumentata di rendite, ma grandemente ampliata con molte, ventilate e spaziose corsie, e tutti i comodi occorrenti per munificenza del Gran Duca Leopoldo I che riunì nel 1784 a questo del Ceppo altri spedali della città, e dei suburbj, uno de’ quali sotto il titolo della Misericordia, o di S. Gregorio era destinato a ricevere e nutrire i fanciulli esposti fino ad una data età. Le monache oblate della Carità, che abitano il grandioso Monastero contiguo della Madonna del Letto, assistono con caritatevole premura ed assiduità le donne malate.
    Non dirò di altri due locali destinati uno ad accogliere la notte i poveri della città, l’altro per alloggiarvi gratuitamente le donne che vengono dalla montagna. Rispetto al magnifico fregio di terra cotta della Robbia, che vedesi nell’attico del portico di quest’ospedale, vedasi sopra nella parte storica.
    Orfanotrofio. – Fu fondato nel 1722 da una particolare, ed in seguito aumentato di fondi dalla pietà di altri pistojesi. Il provveditore è incaricato della parte economica e disciplinare dei poveri Orfanelli, i quali vi sono ammessi dall’età di 8 fino a’ 18 anni, per ricevere un’educazione morale, elementare e religiosa; ne’giorni feriali si affidano a un artigiano per apprendere qualche mestiere. I posti sono per 30 giovanetti, 21 di essi conferibili della deputazione e altri nove da nobili famiglie pistojesi che all’istituto aumentarono la dote.
    Fra le istituzioni di beneficenze merita di essere citata quella lasciata vivendo dalla nobil donna Maddalena Puccini nata Brunozzi, la quale destinò un capitale
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    di 84,000 lire fiorentine per impiegarne il frutto a favore de’poveri convalescenti. Attualmente il magistrato civico giovandosi delle ottime disposizioni de’cittadini pistojesi sta per aprire una sala d’asilo infantile.
    Merita pure di essere rammentata la Cassa di Risparmio di Pistoja come una delle più operose figlie della cassa matrice di Firenze, fondata nel 1831.
    Confraternita della Misericordia e Monte Pio. – Anche Pistoja ha una zelante compagnia, la quale, sebbene non sia più antica dell’anno 1500, si occupa principalmente in opera di misericordia, come quella di occorrere nei casi fortuiti o di malati, oppure di morte per trasportare gli uni all’ospedale, gli altri alla stanza mortuaria.
    Di più antica data è la fondazione del Monte di Pietà, la di cui origine risale all’anno 1471. Allora esso fu dato di 3000 fiorini d’oro per cura di Mons. Donato de’Medici vescovo di Pistoja; ma attualmente possiede un fondo vistoso a segno che nel 1837-38 poté somministrare la somma di 919,763 lire per 102,827 pegni.
    Stabilimenti d’Istruzione pubblica. – Già ho detto di sopra che sino dal principio del secolo XV fu fondata in Pistoja una scuola pubblica e gratuita di grammatica, e che fino dal 1382 fu provveduto da un medico pistojese a due posti di studio all’Università di Bologna o a quella di Padova per due giovani nazionali. Ora aggiungerò che nel 1300 esistevano in Pistoja altri maestri di grammatica, come lo dà a conoscere un maestro Niccolò dottore in grammatica, il quale nel I dicembre 1304 diede a pigione per 15 mesi al prezzo di lire 7 e soldi 10 una sua casa posta nella parrocchia di S. Pietro al Prato. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte de’ SS. Michele e Niccola di Pistoja ).
    Ma il Liceo Forteguerri fornisce ben altri vantaggi alla città e provincia di Pistoja, cui rese cara la memoria di un benemerito concittadino, il cardinal Niccolò Forteguerri; il
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    quale con atto pubblico dell’anno 1473 destinò parte del suo patrimonio all’istruzione della gioventù. Ciò diede solennemente a conoscere il pontefice Sisto IV con una bolla del 26 maggio 1474, nella quale si dichiara che quel porporato aveva fatto donazione alla Comunità di Pistoja di alcuni effetti per mantenere a studio 12 giovani secolari della città e contado pistojese, a condizione che il contado dovesse basarsi sui regolamenti lasciati dallo stesso cardinale e intitolarsi del Forteguerri.
    Quindi il pontefice medesimo con quella bolla incorporò alla Sapienza i beni di alcuni spedaletti, come furono quelli di S. Matteo in Pistoja, di S. Maria maggiore fuori di porta Lucchese, di S. Jacopo fuori porta Caldatica, di S. Lucia fuori di porta al Borgo, di S. Jacopo nel Comune di Pinvica, e di S. Bartolommeo all’Alpi, ossia del prato del Vescovo; essendo che coteste pie istituzioni a quell’età erano divenute inutili, né più vi si usava l’antica voluta ospitalità. – (ARCH. DIPL. FIOR., Carte dell’Opera di S. Jacopo di Pistoja ).
    Sul principio della sua fondazione furono aperte nello stabilimento Forteguerri quattro cattedre; una di diritto civile, l’altra di diritto canonico, la terza di logica e la quarta di filosofia. Vennero esse aumentate dopochè il Granduca Ferdinando III riunì al ginnasio Forteguerri tutte le scuole normali della città. – I professori e maestri sono nominati dal consiglio comunale, e approvati dal governo. Una deputazione regia e comunale ne governa l’economico, il prefetto ne dirige l’insegnamento; l’istruzione religiosa è affidata a un professore, il quale presiede ancora alla biblioteca del collegio.
    L’insegnamento è distinto in quattro sezioni; 1. Elementare, 2. Lettere, 3. Scienze, 4. Disegno. – Dalla stessa famiglia Forteguerri traggono origine nove posti della durata di 8 anni per mantenere alle università studenti in legge, in medicina e in teologia. Ma per incoraggiare i giovani dedicati alle Belle Arti una generosa istituzione
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    devesi alla principesse Maria Pallavicini ne’Rospigliosi che nel 1710 assegnò una rendita di 600 scudi d’oro ad oggetto di mantenere in Roma quattro giovani pistojesi a studio.
    Inoltre Jacopo di Niccolò del Gallo nobile pistojese con testamento del 29 marzo 1589 assegnò un cospicuo legato al mantenimento di 5 giovani pistojesi all’Università; la quale disposizione ebbe effetto nel 1770 stante l’estinzione della sua famiglia, e nel 1826 fu conferito la prima volta un posto di idraulica con l’annuo sussidio di scudi 120 per legato del dott. Gigli. Finalmente tutti i giovani della città e del distretto di Pistoja ricevono dalla Comunità un sussidio di scudi 25 allorché ottengono una laurea dottorale a forma della donazione Forteguerri.
    Seminario e Collegio vescovile. – Il primo seminario fu fondato nel 1690 dal vescovo di Pistoja Leone Strozzi in una fabbrica situata nel luogo dove oggi è il palazzo Vivarelli Colonna, che poi verso il 1720 fu ampliata dal vescovo Colombino Bassi, finché il Vescovo Scipione Ricci, ottenuto nel 1783 il grandioso locale del soppresso monastero delle suore Francescane di S. Chiara, lo fece ridurre a comoda stanza pei chierici di tutta la Diocesi. Fu autore del disegno l’architetto fiorentino Gricci, che spartì l’interno di questa fabbrica in tre grandi corsie, in cui veggonsi con bell’ordine disposti i quartieri per il rettore e i maestri, le scuole, le camere dei numerosi alunni e le officine. Nella seconda decade del secolo attuale il Vescovo Francesco Toli ne raddoppiò i comodi, mediante un magnifico e lungo corridore che unisce la fabbrica del seminario all’antico convento de’ Monaci Olivetani, già stato ridotto dal vescovo Ricci ad uso di Collegio per l’istruzione de’ sacerdoti destinati alle cure dell’anime, cui diede il nome di Accademia Ecclesiastica. Dondechè questo stabilimento, che può dirsi il più vasto in simil genere di quanti altri ne conta la Toscana, è capace di 150 giovani, oltre i quartieri de’ respettivi maestri, prefetti ed altri inservienti sotto un rettore
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    e vicerettore. Attualmente vi convivono cento giovanetti seminaristi.
    Vi sono scuole di grammatica, aritmetica, umanità, rettorica, matematica, fisica, filosofia, istoria sacra, diritto civile e canonico, teologia morale e dogmatica e canto gregoriano.
    Collegio de’ Chierici nella Cattedrale. – Fu istituito questo collegio con bolla del pontefice Eugenio IV nel 1435 a similitudine di quello Eugeniano di Firenze per utilità ed istruzione letteraria di 10 poveri chierici tenuti a prestar servizio alla cattedrale; poscia nel 1500 il Collegio fu aumentato sino a 20 chierici dal vescovo Card. Niccolò Pandolfini. – Sono eletti ad ogni vacanza, metà del capitolo della Cattedrale e metà dal magistrato comunale, sottentrato all’Opera di S. Jacopo.
    Anche il capitolo della Cattedrale è ricco di codici, stati indicati, e alcuni di essi descritti dal Pontefice Zaccaria nella sua biblioteca pistojese, fra i quali uno preziosissimo e raro contiene le Novelle di Giustiniano, oltre varie opere edite nel secolo XV.
    Nell’archivio della Comunità, dove sono riuniti tutti i libri dell’Opera di S. Jacopo, di quella di S. Zeno, del Liceo Forteguerri, ecc. si conservano molti statuti inediti del Comune che possono fornire qualche alimento agli eruditi per le cose patrie.
    Fanno parte immediata dell’istruzione due pubbliche biblioteche, quella della Sapienza, o Liceo Forteguerri, e l’altra detta Fabroniana perché fondata dal Cardinale Carlo Fabroni di Pistoja. La prima fu arricchita di libri e di MSS. appartenuti al Sozomeno, al Venturi, al Canini ed al Franchini; l’altra più ricca di opere ecclesiastiche è pure di qualche pregio; entrambe stanno aperte molte ore ne’giorni feriali.
    L. e R. Accademie di Scienze, Lettere e Arti. – Fra le varie Accademie letterarie e scientifiche sorte fino dal secolo XVI, e poi esistente in Pistoja, sopravvive questa fondata nel 1747. Invecchiata e quasi che moribonda nel principio del secolo attuale venne avvivata nel 1813 con statuti confacenti ai progressi dello spirito umano. Tiene le sue adunanze nel soppresso convento de’ Carmelitani, e fu in quelle
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    sale dove si diede il primo esempio degli onori parentali ai grandi letterati, artisti e scienziati italiani, e dove nel luglio del 1833 furono esposti per la prima volta i prodotti manifatturati del territorio pistojese.
    Industrie manifatturiere. – Serbando agli articoli delle Comunità delle quattro Cortine l’Articolo Industria agraria, in cui i Pistojesi primeggiano nel Granducato, mi limito a parlare delle industrie manifatturiere della città e del suburbio. – Sebbene in Pistoja sia tuttora da desiderarsi un istituto d’arti e mestieri ai quali singolarmente si mostrano propensi molti di quegli artigiani, non debbo passare sotto silenzio una delle più antiche mano d’opere che dava forse in questa città il principale lavorio ai braccianti dell’uno e dell’altro sesso; voglio dire dell’arte delle lana, il di cui tiratojo nel secolo passato fu convertito in un teatro. Ignoro se cotest’arte sia stata introdotta in Pistoja dai Frati Umiliati, dove il popolo di Firenze sopra ogn’altro si avvantaggiò coi suoi panni. Né tampoco saprei dire se l’arte della lana sulla fine del secolo XII avesse in Pistoja i suoi consoli, come li aveva l’arte del cambio o de’ banchieri, e come l’ebbero pochi anni dopo i lanajoli di Firenze; il di cui emblema della pecora colla banderuola crociata del Battista esiste tuttora sulla facciata del teatro di Pistoja e sull’architrave della porta di fianco della chiesa di S. Paolo, Accadde intorno l’anno 1240 l’introduzione dei frati Umiliati in Pistoja, i quali di prima giunta furono accolti in un ospizio presso S. Giovanni in Corte ( Rotondo ) finché il vescovo Tommaso Andrei da Casole verso il 1300 assegnò loro un locale per fabbricarvi il claustro con vasto tempio annesso dedicato a S. Maria Maddalena. All’epoca stessa il Compartimento di Pistoja teneva quei frati in tanta stima che alcuni di essi furono eletti in suoi camarlinghi.
    A cosa ben piccola si è ridotta attualmente cotest’industria nel conservatorio delle Fanciulle pericolanti, dette le
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    Crocifissine, perché occupano il convento appartenuto ai Chierici minori regolari del Benmorire, dove concorrono varie fanciulle della città a scuola, mentre i drappi in seta si tessono nel conservatorio delle Abbandonate , ossia di S. Caterina da Siena; alle quali attualmente si prepara una più vasta abitazione nel soppresso convento di S. Domenico.
    La lavorazione del ferro può dirsi sottentrata in Pistoja al traffico della lana, cui fornivano materia le mandre delle pecore della montagna, mentre la lavorazione del ferro tanto in città quanto nei subborghi settentrionali di Pistoja devesi alla copia delle acque correnti che scendono dai monti superiori, sebbene il ferraccio da lavorarsi venga tutto dai forni di Follonica e della Pescia di Maremma. – All’Articolo PISTOJA (PORTA AL BORGO) e (PORTA S. MARCO) si vedrà che in quel territorio all’anno 1840 non si contavano meno di nove ferriere con quattro distendini, una fabbrica di ferro malleabile, una di fil di ferro a trafila e una di ferri tondi in stampe, due fabbriche di vanghe, badili ed altri istrumenti rurali, due di canne attortigliate da schioppi, oltre sei officine di chioderie e bullettami aperte in città e la più parte sotto il Granduca Leopoldo II felicemente regnante. In tutte quelle officine lavoravano una gran parte dell’anno da 325 artigiani, i quali produssero nel 1840 per il valore di circa 575000 lire fiorentine.La terza industria sta nelle mani più che altro dei contadini che allevano i filugelli, i di cui bozzoli hanno dato vita a diverse filande e filatoj, il più imporante de’ quali spetta alla casa mercantile de’ fratelli Vivarelli Colonna, promotori di varie specie d’industria nella loro patria. Essendochè a cotesta famiglia devesi l’istituzione di una filanda di seta a vapore eretta nel 1830 coi più sicuri e migliori sistemi, dove al tempo della lavorazione s’impiegano da 15 uomini e da 110 donne, e la seta che esce da cotesta filanda si accetta in Francia, in
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    Inghilterra ed in Lombardia. – Devesi pure alla casa medesima il più gran filatojo di Pistoja, dove sotto la sorveglianza di sei uomini sono impiegate da 200 donne, le quali lavorano circa 12000 libbre di seta del valore approssimativo di 280.000 lire.
    Altre II minori filande contava Pistoja nel 1840, parte in città e parte nei subborghi delle Cortine di Porta al Borgo e di Porta Lucchese, dove s’impiegavano da 16 uomini e da 100 donne, che lavoravano circa libbre 9900 di seta del valore medio di 170,000 lire fiorentine.
    La quarta industria manifatturiera si potrebbe assegnare alle cartiere mosse dalle acque delle gore o da quelle delle varie fiumane che corrono intorno a Pistoja, poiché le sole Cortine di Porta al Borgo e di Porta S. Marco nel 1840 non ne contavano meno di sette, oltre una costruita nel 1841, le quali tutte insieme lavoravano nei mesi delle piogge, e fornivano circa balle 1100 di carta di varia qualità del prezzo approssimativamente di 100.000 lire.
    Spettano ai suburbii settentrionali due polveriere, ed una fabbrica di rame, la quale ultima è stata sostituita ad una fabbrica di canne attortigliate da schioppo, e che lavora nel giro di un anno da circa 50,000 libbre di rame in vasi da cucina.
    Finalmente non sono da tacersi cinque frantoj a olio di lino, e di semi di rape, tre dei quali dentro Pistoja eretti nel 1796 e 1830, e due nel 1819 e 1837 fuor di Porta S. Marco nella parrocchia della pieve di Val di Bure, che tutt’insieme forniscono al commercio circa 230,000 libbre d’olio.
    L’arte poi de’cuojai, sebbene attualmente sia ridotta a sole tre officine, esisteva in Pistoja co’suoi rettori fino dal secolo XIII, quando le loro botteghe erano situate nel borgo di S. Bartolommeo lungo la Gora detta di Ombroncello, siccome apparisce da una deliberazione del consiglio generale e degli Anziani di Pistoja dell’anno 1294, fatta
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    ad istanza del potestà Giano della Bella, riguardo all’obbligo ingiunto a ciascuna persona che aveva la casa sopra il fiume della Gora , e specialmente ai tintori e cuojai, i quali tenevano la loro officina sopra detta Gora, di ripulire almeno una volta l’anno e far cavare il terriccio e le pietre che si trovassero nell’alveo della Gora, inibendo ai cuojai di mettere tanti cuoj nel Gorajoi e di fare alcuna chiusa di legno o di pietra, affinché l’acqua non escisse dal suo letto. Inoltre incaricava il giudice deputato sopra le strade e i fiumi a fare osservare questa deliberazione, qualunque fossero state le istanze del rettore dell’arte de’cuojai. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Mon. di S. Bartolommeo di Pistoja ).
    Nelle riforme poi degli Statuti pistojesi dei tempi Medicei fu ordinato che le officine delle conce di pelli si portassero fuori del primo cerchio della città di Pistoja, e precisamente al luogo denominato Sardigna verso la Porta chiusa di Ripalta, dove tuttora si trovano.
    Dei benefizj maggiori che rendono alle campagne intorno a Pistoja le varie gore, si farà parola in seguito agli articoli, PISTOJA (PORTA AL BORGO E PORTA S. MARCO).
    Ma cotesta città conta artisti distinti fra gli stipettaj, fra i legnajoli, e fra i lavoranti di arnesi di ferro e di acciajo. Meritano di essere rammentati per ingegno meccanico Paolo Corsini, fabbricatore di canne da fucili attortigliate e di orologi da campanili, di torchi da stamperie, di grandi bilance sospese, di strettoj da olio, e di qualsiasi meccanismo manifatturiero; l’altro è Eucherio Palmerini fabbricante d’istrumenti squisiti d’acciajo, e specialmente chirurgici, di ogni sorta di arme di tal perfezione da stare non solo a confronto, ma da superare per tempra e per brunitura quelli delle fabbriche più rinomate dell’Inghilterra.
    I Tronci e gli Agati possono dirsi i primi se non i soli in Toscana fabbricatori di organi
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    da chiese, assai armonici a semplice e doppia tastiera, siccome è noto un Raffanelli per fondere campane, ed un Michelini per istrumenti musicali.
    Si tengono in Pistoja due mercati settimanali, che cadono nei giorni di mercoledì e di sabato, ma quelli specialmente del sabato sono reputati fra i più ricchi del Granducato per il grande movimento in ogni maniera di contrattazioni e per la quantità de’ generi in bestiami, in vettovaglie, in canapa, in carta, in confetture, in legnami, in carbone, in mercerie ecc. corrispondente all’affluenza dei concorrenti del contado assai maggiore nel passaggio della stagione autunnale all’invernale e viceversa per coloro che vanno o che tornino dalle Maremme.
    L’introduzione infatti dei mercati in Pistoja risale ai primi secoli dopo il mille. Meno antica era la fiera che tenevasi per le feste di S. Jacopo e che per provvedimento sovrano fu ristabilita nel 1838.
    Palazzi più segnalati. – Il palazzo pretorio, già del potestà e capitano di Pistoja è uno de’più cospicui, e de’più antichi fra quelli superstiti della repubblica. È situato nella piazza maggiore del Duomo presso il tempio di S. Giovanni Rotondo, ossia di S. Giovanni in Corte; ed ha dirimpetto il palazzo della Comunità, già residenza degli Anziani. È piantato non solamente nel centro del primo cerchio, ma ancora nel luogo più elevato della città. Pittoresco ne è il cortile, contornato da un portico con scala aperta, ed un banco di pietra posto sotto il portico sulla sinistra dell’ingresso principale davanti ai superiori sedili a tre ordini, il tutto di macigno rifatto nel 1307 dal potestà di quel tempo Giovanni di Tommaso de’Lapi, nel luogo medesimo dove i giudici assessori de’ potestà fino dal sec. XIII solevano dare udienza e pronunziare sentenze.
    Non per oppormi all’autore della Guida di Pistoja, ma per l’amor della verità, dirò che la costruzione di questo palazzo rimonta ad un’epoca assai più antica del 1368; avvegnachè fino dal 1220, se non
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    prima, vi risedevano i potestà; la qual cosa è dimostrata da più carte dei conventi e monasteri di Pistoja. – Che se le sentenze dei giudici assessori del potestà negli 8 marzo 1216, 21 febbrajo e 26 aprile 1217 si davano in Pistoja nella casa di Rinaldo Guastavillani, si può da quelle arguire che all’anno 1216, e 1217 il palazzo pretorio non fosse ancora terminato, ma non si potrebbe dire lo stesso nel 1220 quando nel 17 luglio di detto anno si deliberavano le cause civili sotto il Palazzo del Comune nell’atrio davanti al banco dei suddetti giudici. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte degli Agostiniani e di S. Bartolommeo di Pistoja. ) Sotto il portico, nel cortile e nella facciata del palazzo pretorio esistono molte armi di potestà e commissarj stati in Pistoja al tempo della repubblica e del governo Mediceo coi nomi, cognomi e anno in cui esercitarono detto uffizio.
    Palazzo della Comunità, già detto degli Anziani. – Quasi un secolo dopo il palazzo del potestà fu posta mano nella stessa piazza maggiore, dirimpetto al Pretorio e presso la tribuna della Cattedrale, ad altro grandioso palazzo per residenza continua degli Anziani di seggio e dei gonfalonieri di giustizia del Comune di Pistoja. Nell’anno 1294 essendo potestà Giano della Bella fu messa la prima pietra di questo palazzo sull’area delle abitazioni de’Taviani, Sinibuldi e di altri ribelli, state demolite in quella congiuntura. Però cotesto edifizio del popolo pistojese non era ancora terminato nell’anno 1385 quando ne fu aumentata la fabbrica.
    Finalmente nel 1530 in mezzo alla facciata principale sopra un largo ma non troppo elevato portico fu alzata la grand’arme di Papa Clemente VII fiancheggiata da due tronchi di quercia civica di bronzo fuso.
    Le sale terrene a sinistra della porta maggiore sono state ridotte ad uso di Dogana, e della Posta per le lettere; mentre alla destra di chi entra è riposto il copioso archivio comunitativo.
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    /> Saliti nel gran salone del piano nobile si leggono su quelle pareti due iscrizioni in marmo, una delle quali senza dubbio apocrifa fu scavata nei contorni del Castello di Serra nel 1752; l’altra relativa a L. Bebio Quattroviro giureconsulto di Pistoja fu scoperta nel 1632 fuori del primo cerchio di Pistoja; sebbene anche sull’autenticità di quest’ultima abbia mostrato qualche dubbiezza più di un antiquario.
    Nella sala contigua al salone fu dipinta a chiaroscuro con tinta verde la gigantesca figura di un valoroso militare pistojese, per nome Grandonio, sotto la quale leggonsi parole dettate da chi conosceva poco la storia e punto Grandonio.

    Grandonio son del popol pistojese
      Che ambe le Majoliche acquistai
      Per forza d’armi e con ingegno assai
      Facendo a tutti mie opre palese.
                           CIDCII.

    La cappella di S.  Agata patrona della Comunità esiste nella sala stessa, dove si adunavano gli Anziani e dove si conservano intatti i sedili con i dorsali di noce maestrevolmente intagliati. – Il corridore o cavalcavia che unisce questo palazzo al Duomo fu aggiunto nel 1637, siccome nel secolo antecedente furono aggiunte le armi Medicee sulle cantonate della sua facciata e nel 1530 quella di mezzo di PP. Clemente VII.
    In una delle stanze di questo palazzo, addette al quartiere del gonfaloniere sono stati traslocati lì 12 amboni di marmo d’intaglio squisito del secolo XII o XIII, trovati nel 1838 sotto il pavimento del Duomo, che dalla forma e dimensione sembrano serviti all’antico Battistero di S. Giovanni Rotondo.
    Palazzo Vescovile nuovo. – Questo bel palazzo isolato, in una larga e decentissima strada diretta verso la Porta Lucchese, fu innalzato nel 1787 col disegno dell’architetto pistojese Stefano Ciardi. È forse il più bell’edifizio di Pistoja del secolo XVIII, cui resta secondo, sebbene più antico di età, il palazzo Panciatichi, ora del Balì Cellesi presso S. Giovanni Fuor civitas. Di epoca più
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    recente sono i palazzi Amati, Rossi, Vivarelli Colonna. Quello dell’estinta famiglia de’ Cancellieri dalla Porta vecchia, e l’altro vicino alla chiesa di S. Bartolommeo, edificati nel secolo XVI, portano sulla facciata le armi gentilizie ( un porco ) scolpite in pietra se non, come è voce, da Donatello, al certo da un buon scalpello.
    Uomini più insigni di Pistoja. – Lungo sarebbe il novero di tutti coloro che si distinsero per virtù morali e religiose, per valore militare, e per dottrine ecclesiastiche.
    Mi limiterò solamente a rammentare i più segnalati nelle scienze profane, nelle lettere e nelle belle arti.
    Taccio del medico regio pistojese Guidoaldo che fiorì nel secolo VIII per scendere al secolo XIII, in cui il Tiraboschi rammenta Fra Leonardo da Pistoja dell’Ordine de’ Predicatori, che figurò non solo come teologo e autore d’opere, ma come esperto matematico; nel qual secolo fiorì pure il milite valoroso Corrado da Montemagno del contado, i di cui eredi stabilironsi in Pistoja.
    Nel secolo XIV fu celeberrimo Cino Sinibuldi, maestro di giurisprudenza e distinto scrittore di versi, oltre il poeta Bonaccorso seniore da Montemagno, e sul cadere del secolo medesimo riescì un valentissimo interprete e professore in legge Filippo di Sinibaldo Lazzari, ultimo di sua illustre famiglia. – Nel secolo XV si distinsero fra i Pistojesi i pittori Gerino Gerini e Leonardo Malatesti, l’oratore Bonaccorso giuniore da Montemagno, il cronista canonico Sozzomeno, e il Cardinale Niccolò Forteguerri, fondatore del ginnasio omonimo in patria. – Nel secoloXVI figurò nelle lettere greche e latine Scipione Forteguerri, nell’architettura Ventura Vitoni, e nella poesia Selvaggia Bracali ne’Bracciolini. – Nel secolo XVII si resero chiari i due poeti Francesco e Niccola Bracciolini. – Nel secolo XVIII citerò l’auto e del Ricciardetto Monsignore Niccolò Forteguerri denominato carteromaco, un dotto grecista in Giacomelli, un eccellente latinista nel Professore Matteo Soldati, un distinto agronomo in Cosimo Trinci, due eruditi nell’arcivescovo di Pisa Francesco Frosini e
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    nel gesuita P. Zaccaria, un benemerito e generoso cittadino nel cardinale Carlo Fabroni, mentre prima che il secolo medesimo spirasse sorsero in fama per greca e latina letteratura un professore pisano nel Padre Pagnini, un medico naturalista in Antonio Matani, un celebre incisore nel Bartolozzi, una felice improvvisatrice nella Corilla che meritossi la corona in Campidoglio, un diligente e dotto architetto nel Cavaliere Cosimo Rossi Melocchi, un cittadino fedele, ed erudito traduttore delle poesie scelte di Catullo nel cavaliereTommaso Puccini. – Nel secolo che corre Pistoja ha perduto un forbito scrittore un buon chimico fisico in Pietro Petrini, un poeta estemporaneo in Bartolommeo Sestini, un geografo diligente in Giuseppe Pagnozzi, e vari altri uomini insigni, dei quali può vedersi una lunga lista nel Fioravanti, nel Tolomei e nel catalogo pubblicato nella Biblioteca pistojese del P. Zaccaria.
    Oltre il tribunale di prima Istanza e la residenza di un Vicario e di un Commissario regio, havvi in Pistoja una direzione dei cinque Dipartimenti doganali, un comandante militare della piazza, un ingegnere di Circondario, un ricevitore del Registro, ed un conservatore delle Ipoteche.

    NB. La parrocchia di S. Bartolommeo contrassegnata nella Tavoletta seguente con l’asterisco (*) nel 1840 mandava nella Comunità contigua di Porta S. Marco 540 abitanti da defalcarsi nel Quadro statistico e nel Censimento di Pistoja.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di PISTOJA a quattro epoche diverse, divisa nei quattro Quartieri antichi della Città.
               

    QUARTIERE DI PORTA CARRATICA, o CALDATICA

    1. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Zeno (Cattedrale) con gli annessi seguenti
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Zeno (Cattedrale) con S. Pietro in Cappella
    S. Matteo Apostolo (in parte)
    S. Anastasio (in parte)
    S. Maria del Giglio (in parte)
    S. Michele in Bonaccio
    S. Maria de’Cavalieri (in parte)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 225 (S. Zeno), n° 93 (S. Matteo Apostolo), n° 66 (S. Anastasio), n° 120
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    (S. Maria del Giglio), n° 131 (S. Michele), n° 106 (S. Maria de’Cavalieri)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1151
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1240

    2. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Paolo (Prioria) con un solo annesso
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Matteo Apostolo (in parte)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 561 (S. Paolo Apostolo), n° 100 (S. Matteo Apostolo)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1298
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1363

    Popolazione totale anno 1551 del quartiere di Porta Carratica: abitanti n° 1298

    QUARTIERE DI PORTA LUCCHESE

    3. titolo della chiesa parrocchiale esistente: Madonna dell’Umiltà in S. Maria Forisportae con un solo annesso
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    Madonna dell’Umiltà
    SS. Michele e Niccolao in S. Maria in Torri
    popolazione anno 1745: abitanti n° 584 (Madonna dell’Umiltà), n° 331 (SS. Michele e Niccolao in S. Maria in Torri)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 955
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1023

    4. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Giovanni fuoriscivitas (Prioria) con un annesso
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Giovanni Evangelista
    S. Anastasio (in parte)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 794 (S. Giovanni Evangelista), n° 100 (S. Anastasio)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1381
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1410

    5. titolo della chiesa parrocchiale esistente: Spirito Santo (Prioria) con gli annessi seguenti
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Ilario
    S. Jacopo in Castellare
    S. Maria del Giglio (in parte)
    S. Salvatore (in parte)
    S. Maria de’Cavalieri (in parte)
    S. Biagio (in parte)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 59 (S. Ilario), n° 77 (S. Jacopo in Castellare), n° 150 (S. Maria del Giglio), n° 80 (S. Salvatore), n° 120 (S. Maria de’Cavalieri), n° 197 (S. Biagio)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 915
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    /> popolazione anno 1840: abitanti n° 944

    6. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Vitale (Prioria) con un solo annesso
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Vitale con S. Pietro in Strada
    S. Pierino
    popolazione anno 1745: abitanti n° 756 (S. Vitale con S. Pietro in Strada), n° 963 (S. Pierino)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 970
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1020

    Popolazione totale anno 1551 del quartiere di Porta Lucchese: abitanti n° 2096

    QUARTIERE DI PORTA AL BORGO, già DI S. ANDREA

    7. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Andrea (Pieve) con gli annessi seguenti
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Andrea
    S. Maria in Ripalta
    S. Maria Maddalena al Prato
    popolazione anno 1745: abitanti n° 512 (S. Andrea), n° 171 (S. Maria in Ripalta), n° 675 (S. Maria Maddalena al Prato)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1209
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1300

    8. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Prospero, ora S. Filippo Neri (Prioria) senza annessi
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Filippo Neri in S. Prospero
    popolazione anno 1745: abitanti n° 207
    popolazione anno 1833: abitanti n° 223
    popolazione anno 1840: abitanti n° 262

    Popolazione totale anno 1551 del quartiere di Porta al Borgo, già di S. Andrea: abitanti n° 1284

    QUARTIERE DI PORTA S. MARCO, già PORTA GUIDI

    9. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Bartolommeo in Pantano, (Pieve) con gli annessi seguenti
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Bartolommeo in Pantano
    S. Marco
    S. Leonardo
    S. Liberata
    S. Salvatore (in parte)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 268 (S. Bartolommeo in Pantano), n° 607 (S. Marco), n° 471 (S. Leonardo), n° 122 (S. Liberata), n° 88 (S. Salvatore)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 2176
    popolazione anno 1840: abitanti n° 2407
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    /> 10. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Maria Nuova (Prioria) senza annessi
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Maria Nuova, antica Prioria
    popolazione anno 1745: abitanti n° 401
    popolazione anno 1833: abitanti n° 257
    popolazione anno 1840: abitanti n° 258

    11. titolo della chiesa parrocchiale esistente: S. Pier Maggiore (Prioria) senza annessi
    titolo delle chiese parrocchiali soppresse o riunite:
    S. Pier Maggiore, ora nella chiesa della SS. Annunziata
    popolazione anno 1745: abitanti n° 311
    popolazione anno 1833: abitanti n° 566
    popolazione anno 1840: abitanti n° 666

    Popolazione totale anno 1551 del quartiere di Porta S. Marco, già Porta Guidi: abitanti n° 1490

    -TOTALE abitanti anno 1551: n° 6168
    -TOTALE abitanti anno 1745: n° 9446
    -TOTALE abitanti anno 1833: n° 11101
    -TOTALE abitanti anno 1840: n° 11893

    DIOCESI DI PISTOJA

    Io non starò a rimettere in campo le ingegnose più che valide congetture del dottor Paolo Pizzetti, che nelle sue Antichità toscane fece dell’antica diocesi di Pistoja un coepiscopato di quella di Lucca; né starò a discutere sopra uno straccio di pergamena dell’anno 700 pubblicata dal Muratori, colla quale taluno ha creduto di poter avvalorare l’opinione del Pizzetti; tostochè a me sembra un fatto bastantemente dimostrato che fino dal primo ingresso de’ Longobardi in Toscana, e forse anche molto innanzi, Pistoja fosse città vescovile, il cui pontefice all’uso di quei tempi eleggevasi dal popolo. Che se è dubbio l’invio del primo vescovo a Pistoja, avvenuto, come alcuni scrissero, nell’anno 556 sotto il ponteficato di PP. Pelagio I, dubbia non è la consacrazione di Pestaldo, il quale fu inviato vescovo di Pistoja nell’anno 594 dal Pontefice Massimo S. Gregorio Magno.
    Per lungo tempo i pontefici pistojesi furono immediatamente soggetti alla S. Sede, fino a che Papa Martino V nel 1420 erigendo la cattedrale di Firenze in arcivescovile assegnò fra i suffraganei di questa metropolitana il vescovo di Pistoja.
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    /> È incerto pure qual fosse il primo santo titolare della chiesa maggiore pistojese, benché i più credano che sia stata dedicata al vescovo S. Martino. La qual cosa se fosse dimostrata vera non lascerebbe ammettere l’esistenza della cattedrale di Pistoja anteriormente al secolo V, tostochè il santo vescovo di Tours volò al cielo nell’anno 402.
    È altresì vero che il titolare di S. Martino fu conservato a cotesta chiesa vescovile sino alla fine del secolo X insieme a quelli de’ santi Zenone, Rufino, Proculo e Felice, residuati dopo quell’età al solo S. Zenone, cui dopo il secolo XII venne associato per contitolare l’Apostolo S. Jacopo Maggiore.
    Quale poi fosse l’antico perimetro della stessa Diocesi all’epoca longobarda sarebbe opera vana senza il soccorso dei documenti sincroni ricercarlo, molto più che ad una o a due chiese, non mai a tutta la Diocesi, appella la protesta fatta nell’anno 700 davanti a Balzari vescovo di Lucca dal padre di Giovanni eletto dal popolo vescovo di Pistoja.
    Uno dei documenti superstiti, sebbene non più antico del 997, potrebbe per avventura servire di qualche norma onde approssimativamente indicare l’estensione della Diocesi pistojese a quella età.
    È un diploma dell’Imperatore Ottone III concesso nel 25 febbrajo di detto anno al vescovo di Pistoja, col quale si dichiarano sotto la protezione imperiale 19 pievi di campagna della sua Diocesi. Tali furono le pievi di Tobbiana (ora Tizzana?), di S. Stefano in Cerbaja (ora Capraja) di Greti, di Artimino, di Quarrata, di Seano (poi a Carmignano) di S. Paolo (a Petricci) di S. Giusto (a Pizzanese) di Lecore (ora cura sotto il titolo di S. Maria al Cafaggio) di Borgo Cornio (a Prato) di S. Giorgio (a Monte Murlo) di S. Lorenzo (a Usella) di Furfalo (S. Andrea, ora dentro Pistoja) di S. Ippolito (a Vernio) di Satornana, di Celle, di Massa (Piscatoria) di Lizzano, e quella di S. Giovanni a Villiano (Montale)
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    con le loro pertinenze e territorj.
    Nelle bolle poscia del Ponteficie Pasquale II (14 novembre 1105) Innocenzo II (21 dicembre 1132) e Onorio III (7 luglio 1218), oltre alle suddette 19 pievi di campagna descritte nel diploma Ottoniano furono aggiunte le pievi di S. Quirico (in Val di Bure), di S. Giovanni a Monte Cuccoli ( alias a Spannerecchio) di Brandeglio, di Cavinara, di S. Marcello, di Pupiglio, di Piteglio, di Caloria (Serra?) di Vinacciano, d’Ajolo, di S. Ippolito (a Piazzanese) di Lamporecchio e di Montemagno.
    In seguito varie parrocchie di campagna furono erette in plebana, sicche nello stato presente la Diocesi di Pistoja conta 42 pievi di campagna, due delle quali, a S. Marcello e al Montale, sono state decorate del titolo di prepositure, mentre il pievano di Treppio porta quello di arciprete. – Finalmente con bolla concistoriale del Pontefice Eugenio III diretta ai canonici di Pistoja nel dì II dicembre del 1152, si rammentano varie cappelle o rettorie della città di Pistoja. Tale fu la cappella di S. Salvatore situata in Porta Guidi, di S. Leonardo nel borgo di detta Porta, di S. Maria in Borgo Guiterdi (poi Borgo Strada) di S. Biagio, di S. Vitale in Porta Lucchese, e tale ancora la chiesa di S.  Andrea di Pistoja (già pieve di Furfalo, poi di Urbana ). – (ZACCARIA. Anecd. Pist. ).
    Dalla indicazione pertanto del privilegio di Ottone III mi sembra rilevare che sino d’allora la Diocesi di Pistoja si estendesse, dal lato di settentrione, fra l’Appennino di Vernio e quello di Bosco lungo, compreso a quell’età nel piviere di Lizzano; dal lato di ostro sino alla ripa destra dell’Arno, a partire dalla bocca dell’Ombrone pistojese, scendendo lung’Arno per la Golfolina e Capraja sino a Limite, nomignolo indicante il confine della Diocesi pistojese. – Dalla parte poi di ponente sino
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    d’allora essa arrivava a Massa Piscatoria trapassando il padule di Fucecchio, donde per una lingua di terra rimontava la ripa sinistra del fiume Nievole sino al poggio di Marliana, e di là avanzandosi sulla Pescia maggiore per la pieve di Serra, varcava la Lima per salire il poggio di Pupiglio finché sull’Appennino giungeva al Bosco lungo. – Dal lato finalmente di levante la stessa Diocesi fronteggiava con l’altra di Firenze, da primo mediante l’ultima sezione del fiume Ombrone pistojese, dalla sua foce in Arno sino al ponte del Poggio a Cajano, donde doveva, come ora accade, dirigersi verso Colonica sul ponte di Gonfienti sul fiume di Bisenzio, quindi abbracciando la Terra, ora città di Prato rimontava quest’ultimo fiume sino alle sue più alte sorgenti per poi salire sulla vetta dell’Appennino di Montepiano. – Vedere gli Articoli FIRENZE E PRATO (DIOCESI).
    Nel secolo XVIII la Diocesi di Pistoja cedé a quella di Pescia la pieve di Massa Piscatoria, ossia di Masserella, mentre dalla parte dell’Appennino nel 1784 acquistò i pivieri di Treppio e della Sambuca appartenuti alla Diocesi di Bologna, sebbene il territorio de’ due pivieri da lunga età dipendesse dalla giurisdizione politica di Pistoja. All’incontro nel Medio evo i paesi di S. Donnino in Cerbaja ( ora Castel Martini ) e di Fucecchio furono sotto la giudicaria pistojese, mentre per la giurisdizione ecclesiatica essi essi appartenevano ai vescovi di Lucca. Dalla indicazione testé accennata de’ confini diocesani pistojesi tali quali furono nei secoli intorno al mille si rileva che, se in alcuni punti essi oltrepassavano, in altri furono più angusti dei limiti distrettuali e politici della repubblica di Pistoja.
    Attualmente la Diocesi in discorso è repartita in 15 vicariati foranei; I°. di S. Marcello con 20 parrocchie; 2°. della Sambuca con 9 parrocchie; 3°. di Treppio con 4 parrocchie: 4°. di Piteccio con
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    11 parrocchie; 5°. di S. Quirico con 12 parrocchie; 6°. di Casal Guidi con 15 parrocchie; 7°. della Vergine nel suburbio di Pistoja con 12 parrocchie; 8°. di Serravalle con 16 parrocchie; 9°.di Villiano, o Montale con 11 parrocchie; 10°. di Pupiglinno con 11 parrocchie; 11°. di Lamporecchio con 10 parrocchie; 12°. di S. Martino in Campo con 15 parrocchie; 13°. d’ Ajolo, ossia d’ Jolo con 11 parrocchie; 14°. di S. Giusto in Piazzanese con 10 parrocchie; 15°. e di Vernio con 9 parrocchie. – In tutte 176 chiese parrocchiali di campagna, oltre le undici parrocchie dentro la città di Pistoja, fra le quali non si conta che una sola chiesa collegiata (la Cattedrale) e una semi collegiata (la chiesa dell’Umiltà).
    Coteste 187 parrocchie nel 1840 contavano 117,213 abitanti. – Vedere il QUADRO qui appresso.
    Dopo che la chiesa collegiata di Prato con bolla del Pontefice Innocenzo X del 22 settembre 1653 fu innalzata in cattedrale, le chiese parrocchiali della stessa città vennero staccate dalla Diocesi di Pistoja, non però dal suo diocesano. – Vedere PRATO (DIOCESI).
    Moltissimi poi furono i monasteri e priorati dipendenti dai monaci di varii ordini, senza dire dei Conventi di frati e di quelli di monache sparsi per cotesta Diocesi. Basta dire che nel 1745 esistevano nella sola città di Pistoja 20 conventi di frati e di quelli di monache sparsi per cotesta Diocesi. Basta dire che nel 1745 esistevano nella sola città di Pistoja 20 conventi di frati di diversi ordini, e 17 monasteri di monache. Tutti cotesti corpi religiosi prima delle riforme Leopoldiane possedevano nella pianura pistojese 19,000 coltre di terreno pari a miglia quadrate 35 e 2/3 toscane, oltre ai beni che tenevano nella montagna e in
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    altre parti del Granducato.
    Infatti, benché siano stati indemaniati molti beni di quella causa pia, può dirsi che la Diocesi pistojese conservasi una delle più doviziose in benefizj ecclesiastici di collazione vescovile, regia, privata e mista.
    Sebbene attualmente la Cattedrale di Pistoja sia decorata di 26 canonici capitolari con molte dignità state aggiunte alle due più antiche del Preposto e dell’Arciprete, oltre 23 cappellani e 20 chierici fissi, prima però delle costituzioni date al suo clero maggiore dal Pontefice Eugenio IV non esistevano che 12 canonici, detti attualmente della Massa a motivo delle distribuzioni corali.
    Il qual vero è confermato da più istrumenti del capitolo della Cattedrale medesima, ora nell’ Archivio Diplomatco Fiorentino. Uno di essi del 2 agosto 1227 consiste in una bolla di Graziadio vescovo di Pistoja data in Anagni, sull’approvazione delle costituzioni di quel capitolo rispetto all’obbligo ed al numero fisso de’ canonici. L’altro spetta ad una costituzione del dì 8 febbrajo, anno 1291, colla quale fu confermato l’ordine di non oltrepassare il numero di 12 canonici della stessa Cattedrale, compresovi il Proposto e l’Arciprete, e che le due dignità con altri quattro canonici dovessero essere sacerdoti, tre diaconi e tre altri suddiaconi, ciascuno de’ quali avrebbe percepito dalla massa per sua prebenda 50 mine di grano, altrettante di miglio, e 40 soldi in moneta per vestirsi. – I chierici del capitolo in origine furono limitati a dieci, quando il Pontefice Eugenio IV con bolla del dì 28 ottobre 1446 commise a Tommaso vescovo di Recanati e Macerata di erigere nella cattedrale di Pistoja un collegio di 10 chierici originarj pistojesi colle regole e privilegj del collegio Eugeniano dallo stesso Papa instituito nella Metropolitana fiorentina.
    Altri dieci chierici furono aggiunti al suddetto collegio dal vescovo di Pistoja Cardinale Niccolò Pandolfini, dopo avergli con istrumento del 15 ottobre 1515 assegnato per dote 5 poderi stati da esso lui comprati ad oggetto di provvedere al mantenimento del loro maestro,
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    del perfetto, ecc.
    Fra i vescovi di Pistoja che si elevarono sopra gli altri per dottrina, o per sanità, furono S. Atto, il Ven. Tommaso Andrei, il Ven. Andrea Franchi, il vescovo Alessandro de’ Medici poi Papa Leone XI, i vescovo poscia arcivescovi Leone Strozzi e Francesco Frosini, monsignor Colombino Bassi ecc. Non parlo del vescovo Scipione Ricci, perché il suo nome è ormai reso celebre dalle tentate riforme.
    Si potrebbe per approssimazione istituire un qualche confronto rispetto alla popolazione di cotesta Diocesi nelle quattro epoche descritte nel Quadro qui appresso con quello dell’anno 1255 indicante il numero dei capi di famiglia del distretto giurisdizionale o territorio pistojese, non comprese le città di Pistoja e Prato col suo distretto,i feudi della Sambuca e di Montemurlo, i pivieri di Piazzanese, Colonica, Jolo, Vernio, Usella e Treppio, come apparisce da un libro autografo in pergamena appartenuto all’Opera di S. Zeno ed attualmente esistente nell’Archivio della Comunità di Pistoja. Contiene questo il nome distinto di tutti i capi di famiglia dei comuni del contado pistojese, cui serve di appendice la descrizione dei confini di ciascun comune aggiunta nel 1457. Nel qual registro sono distinti i contadini dalle persone nobili. Il contado di Pistoja in quel MS. trovasi ripartito nei quattro quartieri delle Porte della città, di cui non reputo inutile indicare qui sotto la recapitolazione.

    - Nome del Quartiere del Contado di Pistoja : Quartiere di Porta Caldatica
    numero de’Comuni : 21
    numero de’Contadini : 1597
    numero de’Nobili : 61
    - Nome del Quartiere del Contado di Pistoja : Quartiere di Porta Lucchese
    numero de’Comuni : 39
    numero de’Contadini : 2406
    numero de’Nobili : 174
    - Nome del Quartiere del Contado di Pistoja : Quartiere di Porta S. Andrea
    numero de’Comuni : 23
    numero de’Contadini : 1456
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    numero de’Nobili : 5
    - Nome del Quartiere del Contado di Pistoja : Quartiere di Porta Guidi
    numero de’Comuni : 40
    numero de’Contadini : 1448
    numero de’Nobili : 25
    - TOTALE numero de’Comuni : 123
    - TOTALE numero de’Contadini : 6947
    - TOTALE numero de’Nobili : 265

    Calcolando per tanto 5 individui per ogni famiglia, 6947 de’ quali di contadini, e 265 famiglie nobili, in tutti 7212 capi di casa, il contado pistojese, ad eccezione delle città di Pistoja e Prato e dei territorj di sopra nominati, avrebbe avuto nell’anno 1255 N°. 35060 individui dell’uno e dell’altro sesso, mentre nell’anno 1840, detratte le due città, i feudi ed i pivieri di sopra nominati, la popolazione del contado pistojese ascendeva, salvo errore, a circa 900.000 abitanti.

    QUADRO SINOTTICO delleChiese parrocchiali della DIOCESI DI PISTOJA diviso per Pievanati con la loro popolazione a quattro epoche diverse.

    PIVIERE MAGGIORE di CITTA’

    - nome del luogo: Pievanato maggiore della Cattedrale di Pistoja diviso per Quartieri
    titolo della chiesa: Quartiere di Porta Caldatica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1298, popolazione anno 1745: abitanti n° 1402, popolazione anno 1833: abitanti n° 2449, popolazione anno 1840: abitanti n° 2603;
    titolo della chiesa: Quartiere di Porta Lucchese
    popolazione anno 1551: abitanti n° 2096, popolazione anno 1745: abitanti n° 4211, popolazione anno 1833: abitanti n° 4221, popolazione anno 1840: abitanti n° 4397;
    titolo della chiesa: Quartiere di Porta al Borgo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1490, popolazione anno 1745: abitanti n° 2268, popolazione anno 1833: abitanti n° 2999, popolazione anno 1840: abitanti n° 3331;
    Totale degli Abitanti del Pievanato maggiore anno 1551, n° 6168
    Totale degli Abitanti del Pievanato maggiore anno 1745, n° 9446
    Totale degli Abitanti del Pievanato maggiore anno 1833, n° 11101
    Totale degli Abitanti del Pievanato maggiore
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    anno 1840, n° 11893

    PIVIERI DI CAMPAGNA

    - nome del luogo: 1. Piviere di Agliana

    titolo della chiesa: Pieve d’Agliana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 306, popolazione anno 1745: abitanti n° 391, popolazione anno 1833: abitanti n° 1008, popolazione anno 1840: abitanti n° 1083;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Agliana con l’annesso di Settola
    popolazione anno 1551: abitanti n° 307 (S. Pietro), n° 195 (Settola), popolazione anno 1745: abitanti n° 1209, popolazione anno 1833: abitanti n° 1945, popolazione anno 1840: abitanti n° 2105;
    titolo della chiesa: S. Michele a Agliana con l’annesso di Settola
    popolazione anno 1551: abitanti n° 243, popolazione anno 1745: abitanti n° 254, popolazione anno 1833: abitanti n° 722, popolazione anno 1840: abitanti n° 708;

    - nome del luogo: 2. Piviere d’Ajolo o d’Jolo (Vicaria foranea)

    titolo della chiesa: Pieve d’Jolo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 662, popolazione anno 1745: abitanti n° 765, popolazione anno 1833: abitanti n° 1404, popolazione anno 1840: abitanti n° 1442;
    titolo della chiesa: S. Biagio a Casale di Prato
    popolazione anno 1551: abitanti n° 279, popolazione anno 1745: abitanti n° 339, popolazione anno 1833: abitanti n° 499, popolazione anno 1840: abitanti n° 558;
    titolo della chiesa: S. Silvestro a Tubiana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 252, popolazione anno 1745: abitanti n° 210, popolazione anno 1833: abitanti n° 398, popolazione anno 1840: abitanti n° 422;
    titolo della chiesa: S. Martino a Vergajo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 189, popolazione anno 1745: abitanti n° 238, popolazione anno 1833: abitanti n° 343, popolazione anno 1840: abitanti n° 363;

    - nome del luogo: 3. Piviere d’Artimino

    titolo della chiesa: Pieve d’Arimino
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 430, popolazione anno 1833: abitanti n° 309, popolazione anno 1840: abitanti n° 544;
    titolo della chiesa: S. Michele a Comeana
    popolazione anno 1551: abitanti
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    n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 600, popolazione anno 1833: abitanti n° 952, popolazione anno 1840: abitanti n° 1020;
    titolo della chiesa: S. Martino in Campo, già Badia, Vicaria foranea
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 186, popolazione anno 1833: abitanti n° 183, popolazione anno 1840: abitanti n° 262;
    titolo della chiesa: S. Stefano alle Busche
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 172, popolazione anno 1833: abitanti n° 344, popolazione anno 1840: abitanti n° 375;

    - nome del luogo: 4. Piviere di Bacchereto

    titolo della chiesa: Pieve di Baccaereto con S. Biagio a Fosciano
    popolazione anno 1745: abitanti n° 739 (S. Biagio), popolazione anno 1833: abitanti n° 865, popolazione anno 1840: abitanti n° 845;
    titolo della chiesa: S. Maria al Colle con l’annesso di S. Jacopo a Capezzana
    popolazione anno 1745: abitanti n° 146 (S. Jacopo), popolazione anno 1833: abitanti n° 266, popolazione anno 1840: abitanti n° 259;

    totale popolazione anno 1551 del Piviere di Bacchereto: abitanti n° 538

    - nome del luogo: 5. Piviere di Carmignano

    titolo della chiesa: Pieve di Carmignano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 624, popolazione anno 1745: abitanti n° 733, popolazione anno 1833: abitanti n° 1389, popolazione anno 1840: abitanti n° 1492;
    titolo della chiesa: S. Maria a Buonistallo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 358, popolazione anno 1745: abitanti n° 852, popolazione anno 1833: abitanti n° 1425, popolazione anno 1840: abitanti n° 1672;
    titolo della chiesa: S. Cristina in Pilli
    popolazione anno 1551: abitanti n° 260, popolazione anno 1745: abitanti n° 378, popolazione anno 1833: abitanti n° 442, popolazione anno 1840: abitanti n° 507;
    titolo della chiesa: SS. Stefano e Cristina a Mezzana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 499, popolazione anno 1745: abitanti n° 223, popolazione anno 1833: abitanti n° 426, popolazione anno 1840: abitanti n° 436;
    titolo
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    della chiesa: S. Pietro a Verghereto
    popolazione anno 1551: abitanti n° 75, popolazione anno 1745: abitanti n° 105, popolazione anno 1833: abitanti n° 142, popolazione anno 1840: abitanti n° 125;
    titolo della chiesa: S. Lorenzo a Mont’Albiolo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 79, popolazione anno 1745: abitanti n° 96, popolazione anno 1833: abitanti n° 137, popolazione anno 1840: abitanti n° 130;

    - nome del luogo: 6. Piviere di Casal Guidi, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di Casal Guidi con l’annesso di S. Giusto a Castelnuovo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 833 (Pieve di Casal Guidi) e n° 110 (S. Giusto), popolazione anno 1745: abitanti n° 1480, popolazione anno 1833: abitanti n° 2421, popolazione anno 1840: abitanti n° 2486;
    titolo della chiesa: SS. Maria e Biagio a Piuvica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 223, popolazione anno 1745: abitanti n° 460, popolazione anno 1833: abitanti n° 671, popolazione anno 1840: abitanti n° 639;
    titolo della chiesa: S. Sebastiano a Piuvica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 104, popolazione anno 1745: abitanti n° 475, popolazione anno 1833: abitanti n° 688, popolazione anno 1840: abitanti n° 642;

    - nome del luogo: 7. Piviere di Cireglio o di Brandeglio

    titolo della chiesa: Pieve di Cireglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 683, popolazione anno 1745: abitanti n° 1230, popolazione anno 1833: abitanti n° 1187, popolazione anno 1840: abitanti n° 1545;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Campiglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 753, popolazione anno 1745: abitanti n° 363, popolazione anno 1833: abitanti n° 604, popolazione anno 1840: abitanti n° 604;
    titolo della chiesa: S. Andrea a Surropoli
    popolazione anno 1551: abitanti n° 148, popolazione anno 1745: abitanti n° 425, popolazione anno 1833: abitanti n° 421, popolazione anno 1840: abitanti n° 459;
    titolo della chiesa: S. Michele a Piazza
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 290, popolazione
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    anno 1833: abitanti n° 424, popolazione anno 1840: abitanti n° 464;
    titolo della chiesa: S. Lorenzo a Bacchia
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 515, popolazione anno 1833: abitanti n° 255, popolazione anno 1840: abitanti n° 374;
    titolo della chiesa: S. Ilario alle Piastre
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 681, popolazione anno 1840: abitanti n° 723;

    - nome del luogo: 8. Piviere di Capraja

    titolo della chiesa: Pieve di Capraja
    popolazione anno 1551: abitanti n° 752, popolazione anno 1745: abitanti n° 580, popolazione anno 1833: abitanti n° 877, popolazione anno 1840: abitanti n° 898;
    titolo della chiesa: S. Jacopo a Pulignano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 132, popolazione anno 1745: abitanti n° 97, popolazione anno 1833: abitanti n° 95, popolazione anno 1840: abitanti n° 93;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Castro e Conio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 230, popolazione anno 1745: abitanti n° 163, popolazione anno 1833: abitanti n° 194, popolazione anno 1840: abitanti n° 355;

    - nome del luogo: 9. Piviere di Colonica

    titolo della chiesa: Pieve di Colonica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 187, popolazione anno 1745: abitanti n° 287, popolazione anno 1833: abitanti n° 383, popolazione anno 1840: abitanti n° 414;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Mezzana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 268, popolazione anno 1745: abitanti n° 540, popolazione anno 1833: abitanti n° 792, popolazione anno 1840: abitanti n° 740;
    titolo della chiesa: S. Giorgio a Colonica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 263, popolazione anno 1745: abitanti n° 427, popolazione anno 1833: abitanti n° 570, popolazione anno 1840: abitanti n° 681;
    titolo della chiesa: S. Giorgio a Castelnuovo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 296, popolazione anno 1745: abitanti n° 451, popolazione anno 1833: abitanti n° 459, popolazione anno 1840: abitanti n°
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    481;
    titolo della chiesa: S. Martino a Paperino
    popolazione anno 1551: abitanti n° 279, popolazione anno 1745: abitanti n° 360, popolazione anno 1833: abitanti n° 433, popolazione anno 1840: abitanti n° 427;
    titolo della chiesa: S. Paolo ad Armignano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 85, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° -, popolazione anno 1840: abitanti n°-;

    - nome del luogo: 10. Piviere di Cutigliano

    titolo della chiesa: Pieve di Cutigliano
    popolazione anno 1833: abitanti n° 975, popolazione anno 1840: abitanti n° 1152;
    titolo della chiesa: S. Giovanni Grisostomo al Conio e Melo
    popolazione anno 1833: abitanti n° 305, popolazione anno 1840: abitanti n° 327;
    titolo della chiesa: S. Leopoldo al Boscolungo
    popolazione anno 1833: abitanti n° 434, popolazione anno 1840: abitanti n° 492;
    titolo della chiesa: S. Cirillo al Pian degli Ontani
    popolazione anno 1833: abitanti n° 264, popolazione anno 1840: abitanti n° 294;
    titolo della chiesa: S. Policarpo al Pian Asinatico
    popolazione anno 1833: abitanti n° 221, popolazione anno 1840: abitanti n° 246;

    totale popolazione anno 1551 del Piviere di Cutigliano: abitanti n° 1855
    totale popolazione anno 1745 del Piviere di Cutigliano: abitanti n° 1337

    - nome del luogo: 11. Piviere della Ferruccia

    titolo della chiesa: Pieve alla Ferruccia
    popolazione anno 1551: abitanti n° 173, popolazione anno 1745: abitanti n° 839, popolazione anno 1833: abitanti n° 1152, popolazione anno 1840: abitanti n° 1162;
    titolo della chiesa: Abbazia di S. Maria a Pacciana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 425, popolazione anno 1745: abitanti n° 490, popolazione anno 1833: abitanti n° 758, popolazione anno 1840: abitanti n° 773;

    - nome del luogo: 12. Piviere di Gavinana

    titolo della chiesa: Pieve di Gavinana
    popolazione anno 1833: abitanti n° 661, popolazione anno 1840: abitanti n° 674;
    titolo della chiesa: S. Gregorio alla Maresca
    popolazione anno 1833:
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    abitanti n° 749, popolazione anno 1840: abitanti n° 725;
    titolo della chiesa: S. Maria a Ponte Petri
    popolazione anno 1833: abitanti n° 383, popolazione anno 1840: abitanti n° 435;
    titolo della chiesa: S. Paolino al Bardalone
    popolazione anno 1833: abitanti n° 472, popolazione anno 1840: abitanti n° 525;
    titolo della chiesa: S. Anastasio a Orsigna
    popolazione anno 1833: abitanti n° 530, popolazione anno 1840: abitanti n° 552;

    totale popolazione anno 1551 del Piviere di Gavinana: abitanti n° 679
    totale popolazione anno 1745 del Piviere di Gavinana: abitanti n° 1497

    - nome del luogo: 13. Piviere di Greti, o di S. Sano

    titolo della chiesa: Pieve di Greti
    popolazione anno 1551: abitanti n° 274, popolazione anno 1745: abitanti n° 141, popolazione anno 1833: abitanti n° 235, popolazione anno 1840: abitanti n° 250;
    titolo della chiesa: S. Croce a Vinci
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1335, popolazione anno 1745: abitanti n° 575, popolazione anno 1833: abitanti n° 889, popolazione anno 1840: abitanti n° 938;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Vitolini
    popolazione anno 1551: abitanti n° 350, popolazione anno 1745: abitanti n° 411, popolazione anno 1833: abitanti n° 593, popolazione anno 1840: abitanti n° 623;
    titolo della chiesa: S. Pietro a S. Amato
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 208, popolazione anno 1833: abitanti n° 295, popolazione anno 1840: abitanti n° 308;
    titolo della chiesa: S. Maria a Collegonzi
    popolazione anno 1551: abitanti n° 179, popolazione anno 1745: abitanti n° 180, popolazione anno 1833: abitanti n° 229, popolazione anno 1840: abitanti n° 270;
    titolo della chiesa: S. Maria a Faltognano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 71, popolazione anno 1745: abitanti n° 183, popolazione anno 1833: abitanti n° 308, popolazione anno 1840: abitanti n° 333;
    titolo della chiesa: S. Lucia a Paterno
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti
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    n° 77, popolazione anno 1833: abitanti n° -, popolazione anno 1840: abitanti n°-;

    - nome del luogo: 14. Piviere di Lamporecchio

    titolo della chiesa: Pieve di Lamporecchio
    popolazione anno 1745: abitanti n° 913, popolazione anno 1833: abitanti n° 1734, popolazione anno 1840: abitanti n° 1953;
    titolo della chiesa: S. Maria a Ortignano
    popolazione anno 1745: abitanti n° 409, popolazione anno 1833: abitanti n° 645, popolazione anno 1840: abitanti n° 740;
    titolo della chiesa: S. Giorgio a Porciano
    popolazione anno 1745: abitanti n° 185, popolazione anno 1833: abitanti n° 284, popolazione anno 1840: abitanti n° 280;
    titolo della chiesa: S. Baronto sul Monte
    popolazione anno 1745: abitanti n° 397, popolazione anno 1833: abitanti n° 522, popolazione anno 1840: abitanti n° 530;

    totale popolazione anno 1551 del Piviere di Lamporecchio: abitanti n° 1485

    - nome del luogo: 15. Piviere di Limite

    titolo della chiesa: Pieve di Limite con l’annesso di S. Pietro a Bibbiano e poi quelli di S. Biagio alla Castellina e di S. Martino al Colle
    popolazione anno 1551: abitanti n° 136 (Pieve), n° 30 (S. Pietro), n° 220 (S. Biagio) e n° 79 (S. Martino)
    popolazione anno 1745: abitanti n° 552 (Pieve e S. Pietro), n° 294 (S. Biagio e S. Martino)
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1240
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1227
    titolo della chiesa: S. Donato in Greti
    popolazione anno 1551: abitanti n° 95, popolazione anno 1745: abitanti n° 232, popolazione anno 1833: abitanti n° 320, popolazione anno 1840: abitanti n° 288;

    - nome del luogo: 16. Piviere di Lizzano

    titolo della chiesa: Pieve di Lizzano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1625 (con S. Lorenzo), popolazione anno 1745: abitanti n° 953, popolazione anno 1833: abitanti n° 797, popolazione anno 1840: abitanti n° 835;
    titolo della chiesa: S. Lorenzo a Spignana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1625 (con Pieve), popolazione anno
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    1745: abitanti n° 192, popolazione anno 1833: abitanti n° 279, popolazione anno 1840: abitanti n° 273;

    - nome del luogo: 17. Piviere di S. Mamante a S. Mommè

    titolo della chiesa: Pieve di S. Matteo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 287 (con S. Bartolommeo), popolazione anno 1745: abitanti n° 520 (con S. Bartolommeo), popolazione anno 1833: abitanti n° 687, popolazione anno 1840: abitanti n° 719;
    titolo della chiesa: S. Bartolommeo in Alpi
    popolazione anno 1551: abitanti n° 287 (con Pieve di S. Matteo),
    popolazione anno 1745: abitanti n° 520 (con Pieve di S. Matteo), popolazione anno 1833: abitanti n° 152, popolazione anno 1840: abitanti n° 170;

    - nome del luogo: 18. Piviere di S. Marcello, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di S. Marcello (Prepositura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 961, popolazione anno 1745: abitanti n° 761, popolazione anno 1833: abitanti n° 1129, popolazione anno 1840: abitanti n° 1114;
    titolo della chiesa: S. Biagio a Mammiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 345, popolazione anno 1745: abitanti n° 136, popolazione anno 1833: abitanti n° 335, popolazione anno 1840: abitanti n° 353;

    - nome del luogo: 19. Piviere di Marliana

    titolo della chiesa: Pieve di Marliana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 380, popolazione anno 1745: abitanti n° 886, popolazione anno 1833: abitanti n° 918, popolazione anno 1840: abitanti n° 969;
    titolo della chiesa: S. Bartolommeo a Casore del Monte
    popolazione anno 1551: abitanti n° 326, popolazione anno 1745: abitanti n° 372, popolazione anno 1833: abitanti n° 483, popolazione anno 1840: abitanti n° 501;
    titolo della chiesa: S. Michele Avaglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 170, popolazione anno 1840: abitanti n° 271;

    - nome del luogo: 20. Piviere di Momigno

    titolo della chiesa: Pieve di Momigno
    popolazione anno 1551: abitanti n° 383,
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    popolazione anno 1745: abitanti n° 410, popolazione anno 1833: abitanti n° 656, popolazione anno 1840: abitanti n° 680;
    titolo della chiesa: SS. Lucia e Giusto a Montagnana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 352, popolazione anno 1745: abitanti n° 586, popolazione anno 1833: abitanti n° 729, popolazione anno 1840: abitanti n° 821;

    - nome del luogo: 21. Piviere di Montemagno

    titolo della chiesa: Pieve di Montemagno
    popolazione anno 1551: abitanti n° 380, popolazione anno 1745: abitanti n° 621, popolazione anno 1833: abitanti n° 358, popolazione anno 1840: abitanti n° 393;
    titolo della chiesa: S. Maria e S. Clemente a Valenzatico
    popolazione anno 1551: abitanti n° 131, popolazione anno 1745: abitanti n° 410, popolazione anno 1833: abitanti n° 624, popolazione anno 1840: abitanti n° 596;
    titolo della chiesa: S. Germano a Santonovo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 244, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 507, popolazione anno 1840: abitanti n° 596;
    titolo della chiesa: S. Stefano a Campiglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 149, popolazione anno 1745: abitanti n° 123, popolazione anno 1833: abitanti n° 165, popolazione anno 1840: abitanti n° 177;

    - nome del luogo: 22. Piviere di Montemurlo

    titolo della chiesa: Pieve di Montemurlo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 782, popolazione anno 1745: abitanti n° 1655, popolazione anno 1833: abitanti n° 2182, popolazione anno 1840: abitanti n° 2336;
    titolo della chiesa: S. Maria a Maleseti o alla Chiesa nuova
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 449, popolazione anno 1833: abitanti n° 699, popolazione anno 1840: abitanti n° 719;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Albiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 307, popolazione anno 1745: abitanti n° 191, popolazione anno 1833: abitanti n° 168, popolazione anno 1840: abitanti n° 181;

    - nome del luogo: 23. Piviere di S. Giusto in Piazzanese, Vicaria foranea
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    /> titolo della chiesa: Pieve di S. Giusto in Piazzanese
    popolazione anno 1551: abitanti n° 549, popolazione anno 1745: abitanti n° 716, popolazione anno 1833: abitanti n° 1065, popolazione anno 1840: abitanti n° 1140;
    titolo della chiesa: S. Bartolommeo a Gello in S. Maria del Soccorso
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1110, popolazione anno 1745: abitanti n° 527 (S. Bartolommeo) e n° 254 (S. Maria),
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1288, popolazione anno 1840: abitanti n° 1432;
    titolo della chiesa: S. Maria Maddalena in Tavola
    popolazione anno 1551: abitanti n° 279, popolazione anno 1745: abitanti n° 542, popolazione anno 1833: abitanti n° 903, popolazione anno 1840: abitanti n° 956;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Grignano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 219, popolazione anno 1745: abitanti n° 291, popolazione anno 1833: abitanti n° 658, popolazione anno 1840: abitanti n° 642;
    titolo della chiesa: S. Maria a Cafaggio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 354, popolazione anno 1745: abitanti n° 590, popolazione anno 1833: abitanti n° 771, popolazione anno 1840: abitanti n° 781;

    - nome del luogo: 24. Piviere di S. Ippolito in Piazzanese

    titolo della chiesa: Pieve di S. Ippolito in Piazzanese
    popolazione anno 1551: abitanti n° 240, popolazione anno 1745: abitanti n° 311, popolazione anno 1833: abitanti n° 384, popolazione anno 1840: abitanti n° 421;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Galciana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 459, popolazione anno 1745: abitanti n° 669, popolazione anno 1833: abitanti n° 1369, popolazione anno 1840: abitanti n° 1452;
    titolo della chiesa: S. Maria a Narnali
    popolazione anno 1551: abitanti n° 247, popolazione anno 1745: abitanti n° 368, popolazione anno 1833: abitanti n° 673, popolazione anno 1840: abitanti n° 659;
    titolo della chiesa: S. Maria a Capezzana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 53, popolazione anno 1745: abitanti n° 78, popolazione anno 1833: abitanti n° 92, popolazione anno 1840: abitanti n° 85;

    - nome
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    del luogo: 25. Piviere di S. Pancrazio a Celle

    titolo della chiesa: Pieve di S. Pancrazio a Celle, senza succursali
    popolazione anno 1551: abitanti n° 95, popolazione anno 1745: abitanti n° 194, popolazione anno 1833: abitanti n° 247, popolazione anno 1840: abitanti n° 256;

    - nome del luogo: 26. Piviere di Piteccio, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di Piteccio, già Prioria del Piviere di Satornana, senza succursali
    popolazione anno 1551: abitanti n° 725, popolazione anno 1745: abitanti n° 1241, popolazione anno 1833: abitanti n° 1605, popolazione anno 1840: abitanti n° 1684;
    - nome del luogo: 27. Piviere di Piteglio

    titolo della chiesa: Pieve di Piteglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 484, popolazione anno 1745: abitanti n° 429, popolazione anno 1833: abitanti n° 736, popolazione anno 1840: abitanti n° 721;
    titolo della chiesa: S. Basilio a Prunetta
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 368, popolazione anno 1840: abitanti n° 372;

    - nome del luogo: 28. Piviere di Piuvica

    titolo della chiesa: Pieve di Piuvica
    popolazione anno 1551: abitanti n° 350, popolazione anno 1745: abitanti n° 628, popolazione anno 1833: abitanti n° 1019, popolazione anno 1840: abitanti n° 1110;
    titolo della chiesa: S. Pietro alla Casa al Vescovo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 107, popolazione anno 1745: abitanti n° 246, popolazione anno 1833: abitanti n° 443, popolazione anno 1840: abitanti n° 339;
    titolo della chiesa: S. Maria a Canapale
    popolazione anno 1551: abitanti n° 290, popolazione anno 1745: abitanti n° 369, popolazione anno 1833: abitanti n° 685, popolazione anno 1840: abitanti n° 733;

    - nome del luogo: 29. Piviere di Popiglio, senza succursali

    titolo della chiesa: Pieve di Popiglio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1854, popolazione anno 1745: abitanti n° 729, popolazione anno 1833: abitanti n° 1014, popolazione anno 1840: abitanti n°
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    1030;

    - nome del luogo: 30. Piviere di Quarata

    titolo della chiesa: Pieve di Quarrata
    popolazione anno 1551: abitanti n° 696, popolazione anno 1745: abitanti n° 664, popolazione anno 1833: abitanti n° 956, popolazione anno 1840: abitanti n° 1021;
    titolo della chiesa: S. Simone ai Santi alle Mura
    popolazione anno 1551: abitanti n° 600 (con S. Michele, S. Stefano e S. Biagio), popolazione anno 1745: abitanti n° 355, popolazione anno 1833: abitanti n° 372, popolazione anno 1840: abitanti n° 365;
    titolo della chiesa: S. Michele a Buriano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 600 (con S. Simone, S. Stefano e S. Biagio), popolazione anno 1745: abitanti n° 251, popolazione anno 1833: abitanti n° 358, popolazione anno 1840: abitanti n° 386;
    titolo della chiesa: S. Stefano a Luciano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 600 (con S. Michele, S. Simone e S. Biagio), popolazione anno 1745: abitanti n° 350, popolazione anno 1833: abitanti n° 574, popolazione anno 1840: abitanti n° 629;
    titolo della chiesa: S. Biagio a Vignole, alias di Baccherettana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 600 (con S. Simone, S. Michele e S. Stefano), popolazione anno 1745: abitanti n° 370, popolazione anno 1833: abitanti n° 473, popolazione anno 1840: abitanti n° 498;

    - nome del luogo: 31. Piviere della Sambuca, Vicaria foranea (N. B. I popoli di questo pievanato innanzi il 1783 dipendevano dal Vescovo di Bologna)

    titolo della chiesa: Pieve della Sambuca
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 1156, popolazione anno 1840: abitanti n° 1208;
    titolo della chiesa: S. Maria a Pavana
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 507, popolazione anno 1840: abitanti n° 598;
    titolo della chiesa: S. Pellegrino al Cassero
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno
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    1833: abitanti n° 499, popolazione anno 1840: abitanti n° 473;
    titolo della chiesa: S. Maria e S. Gaudenzio ai Lagacci
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 142, popolazione anno 1840: abitanti n° 163;
    titolo della chiesa: S. Maria a Frassignori
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 201, popolazione anno 1840: abitanti n° 242;

    - nome del luogo: 32. Piviere di Satornana

    titolo della chiesa: Pieve di Satornana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 602 (con S. Maria a Satornana), popolazione anno 1745: abitanti n° 1604 (con S. Maria a Satornana), popolazione anno 1833: abitanti n° 599, popolazione anno 1840: abitanti n° 604;
    titolo della chiesa: S. Maria a Satornana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 602 (con Pieve di Satornana), popolazione anno 1745: abitanti n° 1604 (con Pieve di Satornana), popolazione anno 1833: abitanti n° 620, popolazione anno 1840: abitanti n° 664;
    titolo della chiesa: S. Lorenzo a Uzzo
    popolazione anno 1551: abitanti n° 268, popolazione anno 1745: abitanti n° 252, popolazione anno 1833: abitanti n° 457, popolazione anno 1840: abitanti n° 537;
    titolo della chiesa: S. Romano in Val di Bure
    popolazione anno 1551: abitanti n° 290, popolazione anno 1745: abitanti n° 425, popolazione anno 1833: abitanti n° 716, popolazione anno 1840: abitanti n° 709;
    titolo della chiesa: S. S. Felice a S. Felice
    popolazione anno 1551: abitanti n° 165, popolazione anno 1745: abitanti n° 136, popolazione anno 1833: abitanti n° 298, popolazione anno 1840: abitanti n° 351;

    - nome del luogo: 33. Piviere di Serra

    titolo della chiesa: Pieve di Serra
    popolazione anno 1551: abitanti n° 411, popolazione anno 1745: abitanti n° 351, popolazione anno 1833: abitanti n° 389, popolazione anno 1840: abitanti n° 413;
    titolo della chiesa: S. Maria a Crespole
    popolazione anno
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    1551: abitanti n° 288, popolazione anno 1745: abitanti n° 224, popolazione anno 1833: abitanti n° 350, popolazione anno 1840: abitanti n° 378;
    titolo della chiesa: S. Miniato a Calamecca
    popolazione anno 1551: abitanti n° 389, popolazione anno 1745: abitanti n° 228, popolazione anno 1833: abitanti n° 456, popolazione anno 1840: abitanti n° 450;
    titolo della chiesa: S. Bartolommeo a Lanciole
    popolazione anno 1551: abitanti n° 146, popolazione anno 1745: abitanti n° 162, popolazione anno 1833: abitanti n° 212, popolazione anno 1840: abitanti n° 204;

    - nome del luogo: 34. Piviere di Serravalle

    titolo della chiesa: Pieve di Serravalle
    popolazione anno 1551: abitanti n° 809 (con S. Michele a Serravalle), popolazione anno 1745: abitanti n° 891, popolazione anno 1833: abitanti n° 1494, popolazione anno 1840: abitanti n° 1587;
    titolo della chiesa: S. Michele a Serravalle
    popolazione anno 1551: abitanti n° 809 (con Pieve di Serravalle), popolazione anno 1745: abitanti n° 674, popolazione anno 1833: abitanti n° 160, popolazione anno 1840: abitanti n° 100;
    titolo della chiesa: S. Jacopo e Filippo alla Castellina
    popolazione anno 1551: abitanti n° 225, popolazione anno 1745: abitanti n° 370, popolazione anno 1833: abitanti n° 385, popolazione anno 1840: abitanti n° 383;

    - nome del luogo: 35. Piviere di S. Quirico in Val di Bure, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di S. Quirico
    popolazione anno 1551: abitanti n° 170, popolazione anno 1745: abitanti n° 232, popolazione anno 1833: abitanti n° 291, popolazione anno 1840: abitanti n° 304;

    titolo della chiesa: S. Maria a Chiazzano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 164, popolazione anno 1745: abitanti n° 203, popolazione anno 1833: abitanti n° 624, popolazione anno 1840: abitanti n° 526;
    titolo della chiesa: S. Maria a S. Rocco
    popolazione anno 1551: abitanti n° 171, popolazione anno 1745: abitanti n° 166, popolazione anno 1833: abitanti n° 330, popolazione anno 1840: abitanti n° 409;
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    /> titolo della chiesa: SS. Annunziata alla Chiesina della Crocetta
    popolazione anno 1551: abitanti n° 366, popolazione anno 1745: abitanti n° 578, popolazione anno 1833: abitanti n° 641, popolazione anno 1840: abitanti n° 693;

    - nome del luogo: 36. Piviere di S. Giovanni in Val di Bure, già di Spannarecchio, o di Montecuccoli

    titolo della chiesa: Pieve di Val di Bure con le Villate di Lupicciana e Ciliegiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 765,
    popolazione anno 1745: abitanti n° 476 (Pieve) e n° 289 (Lupicciana e Ciliegiano),
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1087, popolazione anno 1840: abitanti n° 1204;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Candeglia
    popolazione anno 1551: abitanti n° 220, popolazione anno 1745: abitanti n° 326, popolazione anno 1833: abitanti n° 590, popolazione anno 1840: abitanti n° 634;
    titolo della chiesa: S. Silvestro a Santo Moro
    popolazione anno 1551: abitanti n° 228, popolazione anno 1745: abitanti n° 200, popolazione anno 1833: abitanti n° 300, popolazione anno 1840: abitanti n° 339;
    titolo della chiesa: S. Alessio a Bigiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 401, popolazione anno 1745: abitanti n° 255, popolazione anno 1833: abitanti n° 460, popolazione anno 1840: abitanti n° 477;
    titolo della chiesa: S. Michele a Baggio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 228, popolazione anno 1745: abitanti n° 467, popolazione anno 1833: abitanti n° 678, popolazione anno 1840: abitanti n° 710;
    titolo della chiesa: S. Martino a Jano
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 200, popolazione anno 1833: abitanti n° 365, popolazione anno 1840: abitanti n° 398;
    titolo della chiesa: S. Niccolò a Germinaja
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 103, popolazione anno 1833: abitanti n° 125, popolazione anno 1840: abitanti n° 122;

    - nome del luogo: 37. Piviere di Tizzana

    titolo della chiesa: Pieve di Tizzana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 683, popolazione anno
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    1745: abitanti n° 674, popolazione anno 1833: abitanti n° 1197, popolazione anno 1840: abitanti n° 1458;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Seano
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° 936, popolazione anno 1833: abitanti n° 1222, popolazione anno 1840: abitanti n° 1279;
    titolo della chiesa: S. Michele a Vignole
    popolazione anno 1551: abitanti n° 202, popolazione anno 1745: abitanti n° 159, popolazione anno 1833: abitanti n° 987, popolazione anno 1840: abitanti n° 1009;

    - nome del luogo: 38. Piviere di Treppio, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di Treppio
    popolazione anno 1551: abitanti n° 696, popolazione anno 1745: abitanti n° 1236, popolazione anno 1833: abitanti n° 1190, popolazione anno 1840: abitanti n° 1498;
    titolo della chiesa: S. Lorenzo al Fossato
    popolazione anno 1551: abitanti n° 357, popolazione anno 1745: abitanti n° 335, popolazione anno 1833: abitanti n° 443, popolazione anno 1840: abitanti n° 464;
    titolo della chiesa: S. Maria a Torri
    popolazione anno 1551: abitanti n° 335, popolazione anno 1745: abitanti n° 410, popolazione anno 1833: abitanti n° 483, popolazione anno 1840: abitanti n° 524;
    titolo della chiesa: S. Stefano in Pian del Toro
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 102, popolazione anno 1840: abitanti n° 140;

    - nome del luogo: 39. Piviere di Usella

    titolo della chiesa: Pieve di Usella
    popolazione anno 1551: abitanti n° 218, popolazione anno 1745: abitanti n° 366, popolazione anno 1833: abitanti n° 623, popolazione anno 1840: abitanti n° 606;
    titolo della chiesa: Badia di S. Salvatore a Vajano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 149, popolazione anno 1745: abitanti n° 224, popolazione anno 1833: abitanti n° 502, popolazione anno 1840: abitanti n° 567;
    titolo della chiesa: S. Maria a Migliana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 337, popolazione anno 1745: abitanti n° 411, popolazione anno 1833: abitanti n°
  •    pag. 130 di 138
    624, popolazione anno 1840: abitanti n° 583;
    titolo della chiesa: S. Martino a Schignano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 134, popolazione anno 1745: abitanti n° 267, popolazione anno 1833: abitanti n° 330, popolazione anno 1840: abitanti n° 371;
    titolo della chiesa: S. Miniato a Pupigliano, Vicaria foranea
    popolazione anno 1551: abitanti n° 87, popolazione anno 1745: abitanti n° 171, popolazione anno 1833: abitanti n° 225, popolazione anno 1840: abitanti n° 203;
    titolo della chiesa: S. Caterina a Gricigliana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 142, popolazione anno 1745: abitanti n° 214, popolazione anno 1833: abitanti n° 240, popolazione anno 1840: abitanti n° 259;

    - nome del luogo: 40. Piviere di Vernio, Vicaria foranea (N. B. Manca la popolazione delle prime due epoche quando Vernio era Contea imperiale)

    titolo della chiesa: Pieve di Vernio, o di S. Poto (S. Ippolito)
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 468, popolazione anno 1840: abitanti n° 516;
    titolo della chiesa: SS. Leonardo e Quirico a Vernio
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 1047, popolazione anno 1840: abitanti n° 1020;
    titolo della chiesa: S. Antonio a Mercatale
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 291, popolazione anno 1840: abitanti n° 310;
    titolo della chiesa: Badia di S. Maria a Montepiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 605, popolazione anno 1840: abitanti n° 682;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Cavezzana
    popolazione anno 1551: abitanti n° -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 720, popolazione anno 1840: abitanti n° 807;
    titolo della chiesa: S. Michele a Poggiale con Luisiana
    popolazione anno 1551: abitanti n°
  •    pag. 131 di 138
    -, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 486, popolazione anno 1840: abitanti n° 496;

    - nome del luogo: 41. Piviere di Villiano o del Montale, Vicaria foranea

    titolo della chiesa: Pieve di Villiano al Montale (Prepositura), con gli annessi di S. Salvatore in Agna e Catognano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 259 (Pieve), n° 162 (S. Salvatore in Agna) e n° 363 (Catognano), popolazione anno 1745: abitanti n° 1145, popolazione anno 1833: abitanti n° 1767, popolazione anno 1840: abitanti n° 1860;
    titolo della chiesa: S. Michele a Tobbiana
    popolazione anno 1551: abitanti n° 397, popolazione anno 1745: abitanti n° 519, popolazione anno 1833: abitanti n° 689, popolazione anno 1840: abitanti n° 756;
    titolo della chiesa: S. Martino a Fognano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 261, popolazione anno 1745: abitanti n° 206, popolazione anno 1833: abitanti n° 356, popolazione anno 1840: abitanti n° 399;
    titolo della chiesa: S. Maria a S. Mato
    popolazione anno 1551: abitanti n° 306, popolazione anno 1745: abitanti n° 481, popolazione anno 1833: abitanti n° 743, popolazione anno 1840: abitanti n° 757;

    - nome del luogo: 42. Piviere di Vinacciano

    titolo della chiesa: Pieve di Vinacciano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 295, popolazione anno 1745: abitanti n° 374, popolazione anno 1833: abitanti n° 467, popolazione anno 1840: abitanti n° 571;
    titolo della chiesa: S. Niccolò a ( ERRATA : Rimini) Ramini
    popolazione anno 1551: abitanti n° 328, popolazione anno 1745: abitanti n° 495, popolazione anno 1833: abitanti n° 718, popolazione anno 1840: abitanti n° 709;
    titolo della chiesa: S. Pietro a Collina
    popolazione anno 1551: abitanti n° 179, popolazione anno 1745: abitanti n° 315, popolazione anno 1833: abitanti n° 373, popolazione anno 1840: abitanti n° 389;
    titolo della chiesa: S. Michele a Gabbiano
    popolazione anno 1551: abitanti n° 198, popolazione anno 1745: abitanti
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    n° 133, popolazione anno 1833: abitanti n° 149, popolazione anno 1840: abitanti n° 170;

    CHIESE SUBURBANE DI PISTOJA, quasi tutte sono il Vicario foraneo della Vergine a Bonelle

    titolo della chiesa: S. Maria Vergine a Bonelle (Cura), Vicaria foranea
    popolazione anno 1551: abitanti n° 284, popolazione anno 1745: abitanti n° 466, popolazione anno 1833: abitanti n° 1513, popolazione anno 1840: abitanti n° 1816;
    titolo della chiesa: S. Giorgio all’Ombrone (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 171, popolazione anno 1745: abitanti n° 332, popolazione anno 1833: abitanti n° 418, popolazione anno 1840: abitanti n° 420;
    titolo della chiesa: S. Pantaleo all’Ombrone (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 165, popolazione anno 1745: abitanti n° 398, popolazione anno 1833: abitanti n° 700, popolazione anno 1840: abitanti n° 701;
    titolo della chiesa: S. Biagio a Cascheri (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 234, popolazione anno 1745: abitanti n° 208, popolazione anno 1833: abitanti n° 318, popolazione anno 1840: abitanti n° 259;
    titolo della chiesa: S. Agostino a S. Agostino (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 495, popolazione anno 1745: abitanti n° 407, popolazione anno 1833: abitanti n° 761, popolazione anno 1840: abitanti n° 853;
    titolo della chiesa: S. Maria Maggiore a Vico Faro (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 150, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 1208, popolazione anno 1840: abitanti n° 1417;
    titolo della chiesa: S. Maria a Gello (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 157, popolazione anno 1745: abitanti n° 286, popolazione anno 1833: abitanti n° 828, popolazione anno 1840: abitanti n° 974;
    titolo della chiesa: S. Frediano a Burgianico (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 401, popolazione anno 1745: abitanti n° 492, popolazione anno 1833: abitanti n° 731, popolazione anno 1840: abitanti n° 847;
    titolo della
  •    pag. 133 di 138
    chiesa: S. Maria in Gora (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 355, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 1206, popolazione anno 1840: abitanti n° 965;
    titolo della chiesa: S. Pierino in Vincio (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 473, popolazione anno 1745: abitanti n° 800, popolazione anno 1833: abitanti n° 645, popolazione anno 1840: abitanti n° 660;
    titolo della chiesa: S. Lazzaro a Spazzavento (Cura)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 96, popolazione anno 1745: abitanti n° -, popolazione anno 1833: abitanti n° 847, popolazione anno 1840: abitanti n° 856;

    CHIESE SUBURBANE DELLA DIOCESI DI PISTOJA non sottoposte ad alcuna pieve

    titolo della chiesa: S. Pietro a Figline (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 316, popolazione anno 1745: abitanti n° 454, popolazione anno 1833: abitanti n° 617, popolazione anno 1840: abitanti n° 655;
    titolo della chiesa: S. Bartolommeo a Cojano (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 232, popolazione anno 1745: abitanti n° 548, popolazione anno 1833: abitanti n° 872, popolazione anno 1840: abitanti n° 911;
    titolo della chiesa: S. Lucia in Monte (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 157, popolazione anno 1745: abitanti n° 133, popolazione anno 1833: abitanti n° 326, popolazione anno 1840: abitanti n° 361;
    titolo della chiesa: S. Michele a Cerreto (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 95, popolazione anno 1745: abitanti n° 181, popolazione anno 1833: abitanti n° 237, popolazione anno 1840: abitanti n° 248;
    titolo della chiesa: S. Biagio a Cantagallo (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 243, popolazione anno 1745: abitanti n° 174, popolazione anno 1833: abitanti n° 329, popolazione anno 1840: abitanti n° 308;
    titolo della chiesa: S. Cristina a Logomano (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1065 (con S. Michele a Luvicciana), popolazione anno 1745: abitanti
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    n° 586, popolazione anno 1833: abitanti n° 827, popolazione anno 1840: abitanti n° 862;
    titolo della chiesa: S. Michele a Luvicciana (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 1065 (con S. Cristina a Logomano), popolazione anno 1745: abitanti n° 97, popolazione anno 1833: abitanti n° 81, popolazione anno 1840: abitanti n° 73;
    titolo della chiesa: S. Martino a Paperino (Prioria)
    popolazione anno 1551: abitanti n° 270, popolazione anno 1745: abitanti n° 360, popolazione anno 1833: abitanti n° 433, popolazione anno 1840: abitanti n° 427.

    TOTALE abitanti anno 1551: n° 57184
    TOTALE abitanti anno 1745: n° 77369
    TOTALE abitanti anno 1833: n° 120665
    TOTALE abitanti anno 1840: n° 128506

    N. B. Dal confronto Statistico dei sommati delle quattro epoche qui sopra riportati chiaramente apparisce che la popolazione della Diocesi di Pistoja all’anno 1833 sotto l’undicesimo Granduca di Toscana felicemente regnante di fronte a quella dell’anno 1551 sotto il primo Granduca è più del doppio, e quasi raddoppiata nello stesso intervallo si è quella della Città di Pistoja.

    PISTOJA Città ecc. – Al suo luogo si aggiunga, che la fortezza di Castruccio presso Porta Lucchese era detta anche la Rocca nuova, mentre l’altra di S. Barnaba alla Porta Carratica distinguevasi col vocabolo di Rocca vecchia. Dopo essere stata la prima restaurata nel luglio del 1377 fu estratto in castellano della medesima Andrea di Cino, che nel giugno successivo ne rassegnò la consegna al di lui successore. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte dell'Arch. Gener. )
    Rispetto all'antico lanificio di Pistoja esso è rammentato da una membrana del 1 Luglio 1399, relativa alla nomina di due periti affinchè repartissero l’ acqua dell'Ombroncello in guisa che una mela entrasse nella Gora dell'Opera de' galigaj, e che l'altra metà andasse ai mulini di S. Jacopo ed a quelli delle gualchiere e del lanifìcio della ritta
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    di Pistoja. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte del Monastero di S. Bartol. di Pistoja )
    Infine all'Articolo dove si rammentano gli uomini più insigni di Pistoja conviene escludere il gesuita P. Francesco Antonio Zaccaria nato in Venezia da Tancredi avvocato, che a Venezia si era recato da Poppi sua patria.
    La popolazione della COMUNITA’ DI PISTOJA nel 1833 era di Abitanti 11121 e nel 1845 senza una grossa frazione di 715 Abitanti che entravano nella vicina Comunità di Porta S. Marco, la città stessa noverava 12387 individui dentro le mura urbane cioè:

    PISTOJA, S. Andrea, Abitanti N.° 1395
    PISTOJA, SS. Annunziata, Abitanti N.° 736
    PISTOJA, S. Bartolomeo ( Porzione ), Abitanti N.° 2340
    PISTOJA, Cattedrale, Abitanti N.° 1288
    PISTOJA, S. G iovanni fuor civita , Abitanti N.° 1454
    PISTOJA, S. Maria Nuova, Abitanti N.° 278
    PISTOJA, S. Paolo, Abitanti N.° 1372
    PISTOJA, S. Prospero, Abitanti N.° 249
    PISTOJA, Spirito Santo, Abitanti N.° 992
    PISTOJA, Spedali riuniti ( parrocchia ), Abitanti N.° 65
    PISTOJA, Vergine dell' Umiltà, Abitanti N.° 1033
    PISTOJA, Spedali riuniti, Abitanti N.° 189
    , Abitanti N.° 980
    PISTOJA, S.Giovanni del Tempio, Abitanti N.° 9
    PISTOJA, Spedale di S. Gresorio, Abitanti N.°   7

    TOTALE Abitanti N° 12387

    Che se alla popolazione della città, si aggiunga quella delle sue Cortine, si troverà all'anno 1845 la seguente cifra di 48513 individui, cioè:

    COMUNITA’ DI PISTOJA, Abitanti N.° 12387
    Comunità di Porta al Borgo, Abitanti N.° 14171
    Comunità di Porta Carratica, Abitanti N.° 6779
    Comunità di Porta Lucchese, Abitanti N.° 5704
    Comunità di Porta S. Marco, Abitanti N.° 8471

    TOTALE Abitanti
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    N.°
    48512

    DIOCESI DI PISTOJA. – Cento anni dopo del vescovo di Pistoja Balzari (anno 800) le carte di Lucca rammentano un Aste rio Vescovo pistoiese, il quale nel febbrajo del 901 assisteva con molti altri vescovi delle città d'Italia ad un placito tenuto in Roma dall'Imperatore Ludovico IV ad istanza di Pietro vescovo di Lucca.– (FIORENTINI, Memorie della Contessa Matilda, e MEMOR. LUCCH.  Append. nella Parte III . Volume V )
    Nel QUADRO SINOTTICO delle chiese parrocchiali della Diocesi di Pistoja per una svista da correggersi si è posto in due luoghi la parocchia. di S. Martino a Pe perino invece di sostituire una volta S. Martino a Vergajo, e si è tralasciato quella di S. Lucia a Paterno di Greti nell’ ultime due epoche degli anni 1833 e 1840. – Vedere gli Articoli PRATO e VINCI Comunità, e TOSCANA GRANDUCALE..


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale.
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    Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ ultima delle quali per l'am-ministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.

    VIA REGIA SUBURBANA DI PISTOJA. Dicesi regia quella porzione di strada che dalla Porta Carratica arriva alla Porta Lucchese dove trova la Regia postale omonima dopo
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    circa un miglio di cammino.

    VIA, O STRADA FERRATA dal confine di PESCIA A PISTOJA. – Dopo che l’I. e Regio Governo ne avrà approvati gli studj che una Società Anonima si propone di eseguire, questa Via sarà la continuazione della Strada precedente e potrà dirsi la più vicina alla catena centrale dell’Appennino onde mettere in comunicazione la parte transappennina della Lombardia e della Romagna con la cisappennina della Toscana.

    VIA, O STRADA FERRATA DA PISTOJA SUL RENO BOLOGNESE. – La notificazione del 15 aprile 1845 che concede ad una Società Anonima facoltà di eseguire gli studj propri ad effettuare il progetto di una Strada ferrata dal confine di Pescia sino a Pistoja, concede la stessa facoltà ad altra Società rappresentata dai tre coraggiosi fratelli Cini di S. Marcello, di potere studiare e quindi sottoporre all’esame dell’I. e Regio Governo l’ardito progetto di attraversare con una strada a rotaje di ferro mediante una galleria(non saprei quanto lunga né quanto pendente)l’Appennino fra l’ Ombrone pistojese ed il Reno Bolognese.
    Quando cotesto progetto grandioso fosse per essere approvato e felicemente eseguito la città di Pistoja diventerebbe il Livorno mediterraneo, il deposito commerciale, industriale e personale delle molte merci e dei moltissimi passeggeri che in poche ore potrebbero tragittare dall’Adriatico al Mediterraneo, dall’Alta Italia a Firenze, e viceversa, senza più salire e scendere i gioghi che Appennin parte l’una dall’altra contrada
    Del bel paese là dove il sì suona.
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Localizzazione
ID: 3285
N. scheda: 40690
Volume: 4; 5; 6S
Pagina: 401 - 453; 705, 709, 739; 191
Riferimenti: 40691
Toponimo IGM: Pistoia
Comune: PISTOIA
Provincia: PT
Quadrante IGM: 105-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1653976, 4866284
WGS 1984: 10.91921, 43.93514
UTM (32N): 654039, 4866459
Denominazione: Pistoja - Vescovati della Toscana (Pistoja) - Via Regia suburbana di Pistoja - Via, Strada ferrata dal confine di Pescia a Pistoja - Via, Strada Ferrata da Pistoja sul Reno Bolognese
Popolo: S. Zeno a Pistoja
Piviere: S. Zeno a Pistoja
Comunità: Pistoja
Giurisdizione: Pistoja
Diocesi: Pistoja
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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