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Siena - Arcivescovati della Toscana (Arcivescovato di Siena) - Zecche Diverse (Siena) - Via Regia suburbana di Siena - Fonte Branda di Siena

 

(Siena)

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    SIENA ( SENAE , anticamente SAENA) nella Val’d’Arbia. – Città eccelsa, stata romana colonia, più tardi residenza di due gastaldi economico e politico, immediatamente soggetti ai re Longobardi, divenuta in seguito, sotto il governo de’ Carolingi sede di un vasto territorio, quindi capitale di una repubblica nel medio evo in Toscana, finalmente riunita al Granducato fu fatta capoluogo dello Stato Nuovo , residenza costante di un metropolitano, di un’Università, di un governatore civile con tribunale di Prima istanza, uno de’cinque Dipartimenti doganali e delle cinque Camere di soprintendenza comunitativa del Granducato.
    Cotesta nobile città vagamente situata risiede sulla cresta di due sproni di poggi, uno de’quali diramasi dai monti della Castellina del Chianti, dirigendosi per Vagliagli da settentrione a libeccio sulla strada postale fino a Fonte Becci dove si accoppia all’altro sprone che staccasi dal Monte-Maggio nella direzione di ponente a scirocco. I due sproni riuniti da Fonte Becci si avanzano verso Siena sino verso le sue porte meridionali. A metà circa della città si toccavano i termini dei tre Terzi di Siena, cioè poco lungi dalla Croce del Travaglio presso alla gran del campo , celebre per la svelta altissima torre detta del Mangia , per il palazzo pubblico e per il gioco più popolare e più allegro di quanti contar ne può tutta Italia; e costà dove i due poggi riuniti tornano a biforcare in due rami, uno de’ quali dirigesi a scirocco verso la Porta Romana, mentre l’altro verso libeccio sale al Duomo , al Castel vecchio, e di là sino alla Porta S. Marco , donde esce la strada regia Grossetana.
    Trovasi Siena sotto il grado 28° 59' di longitudine e 43° 19' di latitudine, da 600 alle 700 braccia superiore al livello del mare Mediterraneo, 40 miglia a ostro di Firenze, 39 miglia a ponente libeccio di Arezzo, altrettante a grecale di Massa Marittima, e circa
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    48 miglia a settentrione di Grosseto.
    Ad oggetto di dare un riposo ai lettori, suddividerò cotesto Articolo in sette capitoli per discorrere nel 1° di Siena dall’ Epoca Romana sino a quella dei Longobardi ; nel 2° di Siena dal tempo de’ Longobardi a quella de’ Carolingi ; nel 3° di Siena dall’età Carolingia sino all’ origine della sua Repubblica ; nel 4° di Siena dall’origine della sua Repubblica alla giornata di Montaperto ; nel 5° di Siena dalla giornata di Montaperto all’epoca del suo ultimo assedio ; nel 6° di Siena da quell’assedio alla sua successione al duca Cosimo I ; e 7° di Siena sotto il Governo granducale .

    I. SIENA DALL’EPOCA ROMANA A QUELLA DE’LONGOBARDI

    Per quanto l’origine di questa città sia stata oggetto di lunga contesa fra molti scrittori de’secoli troppo a noi vicini, contuttociò dobbiamo convenire col Cellario, quando dichiarò: Quale sia stata Siena innanzi l’età di Cesare non apparisce, né alcuna memoria è pervenuta fino a noi che possa far fede de’suoi incunaboli, comecchè si debba essa credere di una età assai più antica.
    Che se rispetto all’origine di Roma fu tanta diversità di opinioni fra i dotti, molto più la è stata della nostra Siena, che ebbe nome consimile ad altra città ( Sena , ora Sinigaglia ) la quale fu parimente una delle romane colonie. Imperocchè alla città di Siena toscana (stante forse l’ortografia diversa, per la quale scrivevasi il suo nome col dittongo ( Saena ) non fu aggiunto alcun altro distintivo eccetto quello di Sena Julia , indicato per vero dire, dall’autore della Tavola Peutingeriana.
    Non so infatti, mi rispondeva da Sanmarino il ch. Cavalier Bartolomeo Borghesi con un’eruditissima lettera del 25 ottobre 1843, non so infatti che Siena d’Etruria
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    sia ricordata da altri degli antichi se non che da Strabone e da Tolomeo fra i Greci, da Plinio e da Tacito fra i Latini, i quali ultimi ne assicurano che cotesta città fu colonia. Della quale peraltro non trovando noi fatta menzione durante la repubblica romana, e neppure, come scrisse Flavio Blondo, ai tempi di Pompeo, dobbiamo concludere che la colonia di Siena in Etruria fosse una delle militari , e non delle cittadine , siccome era stata quella di Sinigallia, che Sena , come dissi, denominossi. – Alla qual conclusione (soggiunge lo stesso Borghesi)presta gravissimo appoggio il cognome di Giulia dalla Tavola Peutingeriana dato alla colonia di Siena nostra. Solamente resterebbe da ricercare a quale delle tre deduzioni di colonie militari, fatte secondo la legge Giulia , questa senese appartenesse: se alle colonie dedotte da Gaio Cesare, o seppure a quelle dei triunviri, finita che fu la guerra coi congiurati Bruto e Cassio, o sivvero alle terze dedotte da Augusto, sotto del quale l’epiteto di Giulia può egualmente convenire. Parve però al prelodato Borghesi che la colonia militare di Siena si dovesse escludere dalla terza deduzione fatta per l’Italia dopo la vittoria d’Azio, perché quantunque si ammetta, che anche le colonie fondate da quell’Imperatore assumessero il titolo di Giulia Augusta , avendo egli pure appartenuto alla famiglia Giulia , ciò non di meno quando le città usarono una sola di quelle denominazioni, preferirono l’ Augusta come lo dimostrano gli esempj lapidari dell’AUGUSTA PERUSIA, dell’AUGUSTA TAURINORUM, della COLONIA CIVICA AUGUSTA BRIXIA e della COLONIA AUGUSTA ARIMIN. ecc.
    Dopo queste e altre osservazioni a confermare tutto ciò, quel dottissimo uomo soggiungeva: La questione sarà dunque ridotta a sapere se Siena sia stata creata colonia militare da Giulio Cesare oppure dai Triumviri, questione che per mancanza di monumenti non si è ancora in istato di definire
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    .
    In conseguenza di una sentenza così chiara pronunziata dal Nestore degli archeologi italiani dobbiamo limitarci per ora a concludere: che se la colonia senese in Toscana non precedè, fu almeno coetanea a quella di Firenze, della quale siamo certi essere stata dedotta dai triumviri dopo la vittoria di Farsaglia.- Vedere l’Art. firenze.
    Ma l’indole vivace e caratteristica del popolo di Siena dall’epoca del romano impero fino alla nostra età, costantemente conservata, trovasi pennelleggiata dal più robusto storico della prima serie degli Imperatori; dico da C. Cornelio Tacito che nel Libro IV, Cap. 45 delle sue storie romane tramandò sino a noi il fatto seguente accaduto in Siena al tempo dell’Imperatore Vespasiano.
    “Riconciliarono alquanto (scrive egli) le cure de’padri, la cognizione di una “causa trattata in senato secondo l’uso antico: Manlio Patruito dell’ordine “senatorio si querelò di essere stato picchiato di pugna nella città di Siena “della classe della plebe, consenziente quel magistrato. Né qui terminava “l’ingiuria ricevuta dal romano senatore, poiché dopo essere stato dai Senesi “ben battuto questi gli fecero cerchio e a similitudine di un morto lo “esequiarono con piagnistei e lamenti, oltre molti altri scherni e contumelie “strazianti tutto il senato. Citansi a Roma gli accusati, e conosciuta la causa, “si condannano i rei. Oltredichè un Senatus consulto fu decretato per “ammonire la plebe di Siena, onde con più modestia si comportasse “nell’avvenire”.
    Ma per tornare a dire due parole sulla colonia militare senese, ossia che essa fosse dedotta da Gaio Cesare, ovvero dai Triumviri, è cosa ben naturale che una città nella quale furono repartiti e assegnati terreni a molti veterani che vi stabilirono il loro domicilio, dovesse essere di qualche importanza, siccome avvenne a Pisa, a Firenze, ad Arezzo, a Luni, per tralasciare di tante altre città della Toscana e dell’Italia; e tostochè lo storico Cornelio Tacito in quel racconto ne avvisava che, sino dai tempi dell’Imperatore Vespasiano la colonia
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    senese aveva un corpo di magistratura suo proprio. Arroge a ciò un marmo del museo Vaticano relativo al registro di soldati pretoriani arruolati sotto l’Imperatore Adriano negli anni 143 e 144 dell’Era nostra, nel quale si leggono scolpiti i nomi di due pretoriani della città di Siena .
    Cotesto monumento inoltre ha servito agli antiquarj di conferma relativamente alla retta ortografia antica della parola Siena, che solamente i copisti della Geografia di Tolomeo scrissero col dittongo: Saina.
    Una sola iscrizione epigrafica innanzi la scoperta di quel registro poteva citarsi in appoggio alla detta lezione. Essa consiste in un frammento di base esistente in Roma nella villa Mattei, nella quale si legge: saenensium ordo. Ma la sola autorità di una lapida era troppo debole prova, perché di bassissimo secolo, come quella che porta la data consolare corrispondente all’anno di Cristo 394. Ora poi dopo la testimonianza del registro militare surriferito, che rialza e conferma il frammento epigrafico Matteiano, non potrà più dubitarsi che i soli copisti dell’opera di Tolomeo siano stati accurati e che il vero nome latino antico della nostra Siena si scrivesse saena, non senae, né sena.
    Se fossero poi da riferirsi a cotesta città le lapide riportate dal Gori fra quelle di Siena nel Vol. II della sua Opera Inscriptiones antiquae in Etruriae urbibus extantes noi avvremmo diritto di credere che Siena, oltre una magistratura propria avesse anche l’ordine de’seviri augustali, instituiti dall’Imperatore Tiberio a onore di Augusto suo antecessore.
    Ma quantunque scarsi non mancano però in Siena avanzi di buona scultura, poiché senza citare il bel gruppo delle Tre Grazie di greca maniera, né il candelabro antico esistenti nel Duomo, comecchè mi sia ignota la provenienza loro, non tralascerò di rammentare l’arca di marmo scolpita ad alto rilievo con figure mitologiche, lavoro del tempo degli Antonini, scavata nei secoli trascorsi vicino all’Opera del Duomo, nel cui vestibolo a guisa di architrave vedesi attualmente murata.

    II. SIENA SOTTO
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    I LONGOBARDI

    Se è vero che in Siena al pari che in molte altre città mancano documenti sincroni atti a dimostrare le sue vicende politiche e civili nei tempi romani, riesce altrettanto doloroso dover confessare che bisogna percorrere uno studio di oltre 600 anni prima di arrivare a scuoprire quale fosse lo stato politici ed ecclesiastico di questa città.
    E’ notoria abbastanza, perché non vi sia duopo di qui ripeterla, la controversia insorta a causa di diritti diocesani fra il Vescovo di Siena e quello di Arezzo verso l’anno 712, mentre regnava nell’alta Italia il longobardo Ariberto II; solamente mi gioverò di richiamare alla memoria gli atti più importanti allo scopo. Questi si riducono ai due fatti seguenti: uno alla prima sentenza emanata in Siena sul principio de l715 nella corte regia presso la chiesa di S. Martino da Ambrogio messo e maggiordomo del re Liutprando; l’altro all’esame di circa 70 testimoni sentiti in Siena l’anno stesso dal notaro Gunteramo inviatovi da Pavia in qualità di messo regio.  - Imperocchè se dal primo fatto trasluce il luogo dove in Siena i Longobardi tenevano i tribunali, col secondo si vengono a conoscere le condizioni politiche e civili della stessa città e di gran parte del suo contado all’epoca longobarda.
    Inoltre dalle espressioni del compendiatore di quel processo si scuopre, che la città di Siena compreso il suo contado, sotto i Longobardi non dipendeva dai duchi di Toscana, avvegnachè essa in quel tempo era amministrata per conto direttamente del re. A ciò voglionsi riferire le parole di quel compendio in cui si legge: “Illo autem tempore senensis civitas erat domnicata ad manus Ariberti regis Langobardorum” . Ed è perciò che nel principio del secolo VIII trovavansi in Siena due qualità diverse di Gastaldi , uno de’quali disimpegnava la prima carica politica (come fu il gastaldo Gundiperto cugino di Deodato vescovo sanese, nel
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    tempo stesso che un altro longobardo per nome Roberto esercitava l’uffizio di gastaldo regio , o amministratore de’beni della corona. Frattanto questi due uffiziali, vivente il re Ariberto II, si recarono dalla città alla Pieve a Paciana , ad oggetto di impedire la visita diocesana a Luperziano vescovo di Arezzo, dicendo eglino che quella pieve era (siccome lo è tuttora) compresa nel contado di Siena, cioè dentro i limiti della sua giurisdizione politica; ma gli uomini del vescovo aretino dando addosso al gastaldo politico Gundiperto , l’uccisero. – Vedere pacina (pieve a).
    Che se ad alcuno parve sospetta l’autenticità di quel documento redatto o ricopiato circa 340 anni dopo, niuno per latro pose in dubbio la verità degli atti che per comandamento del re Liutprando, successore del re Ariberto II, furono istituiti nell’anno 715 innanzi a Gunteramo suo messo regio; e niuno si oppose alla sentenza stata in seguito dopo la compilazione di quel processo nella pieve di S. Genesio, alla presenza dello stesso messo Gunteramo , pronunziata da quattro vescovi della Toscana, cioè da quelli di Firenze, di Fiesole, di Pisa e di Lucca, assistiti da vari teologi sacerdoti nonché da molti testimoni.
    Da quei numerosi depositi pertanto risulta che al gastaldo regio Gundiperto , stato ucciso verso il 712 alla Pieve a Paciana , in Siena era succeduto un altro gastaldo politico per nome Warnefrido, il quale ultimo nel 715 fu presente all’esame predetto dove fu qualificato da due testimoni col titolo di giudice . E probabilmente era quello stesso gastaldo che 15 anni dopo fondò il monastero di S. Eugenio presso la città di Siena. – Vedere ABAZIA DI S. EUGENIO e LESTINE.
    Dai documenti poi del 752 sulla controversa giurisdizione ecclesiastica fra i due diocesani rinnovata, risulta che alla metà del secolo VIII il gastaldo
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    politico di Siena appellavasi Gausperto .
    Avvertasi inoltre che uno de’testimoni esaminati nel 715 fu un vecchio sacerdote stato ordinato nella chiesa di S. Ansano a Dofana, dove allora riposava il corpo di quel santo, il quale giurò: che cotesta chiesa molti anni indietro era stata restaurata dal gastaldo regio Willerat , e dal suo figlio Rotto , dei quali il detto sacerdote un tempo fu servo innanzi che fosse da loro affrancato, ossia dichiarato uomo libero , per cui egli potè mediante cotal benefizio ordinarsi chierico e quindi pervenire al sacerdozio.
    Dalle dichiarazioni di quei 70 testimoni non solo apparisce quale fosse la condizione politica e civile della città di Siena, dove si trovavano gli arimanni, o giudici secondari, ma ancora si viene a scuoprire in qual parte e fino dove dal lato di libeccio e di levante si estendesse la giurisdizione politica senese. Finalmente dall’esame medesimo risulta che i gastaldi politici di questa città, essendo indipendenti dai duchi, si dovevano trovare in condizioni consimili a quelle dei gastaldi di Capua , uno dei quali ordinò ai suoi governati che lo dovessero chiamare non più con il titolo di Gastaldo , ma di Conte .
    Per quanto riescisse solenne il giudizio collegiale pronunziato nella Pieve di S. Genesio, contuttociò il Vescovo di Siena volle ricorrere in ultimo appello al re in Pavia, affinchè lo stesso Liutprando ne pronunziasse il suo. Il quale re, assistito dal vescovo della capitale e da altri giudici, poco dopo confermò i primi due giudicati.
    Ma tuttociò non servì a condurre la pace fra quei due popoli e i loro prelati, avvegnachè, nel 752, Alfredo vescovo di Siena, avendo di proprio arbitrio e contro le leggi canoniche consagrato nella chiesa di S, Ansano a Dofana un altare fabbricato da Gausperto sanese, Stabile vescovo di Arezzo ricorse al Pontefice
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    Zaccaria per reclamare contro quello di Siena, anco perché tolse dal detto tempio il corpo di S. Ansano senza cognizione e consenso del diocesano. Ma essendo mancato in quel frattempo i Pontefice Zaccaria, e succedutogli Stefano II, questi, con l’annuenza del re Astolfo, presso il quale era ricorso il prelato sanese, delegò la causa a tre vescovi, la sentenza de’quali fu confermata in favore del vescovo aretino dal Pontefice Stefano II con bolla del 20 maggio 752: Non dirò del giudizio per la stessa causa nell’801 sotto Carlo Magno proferito; non parlerò del placito pronunziato in Siena nell’anno 833 sotto Lodovico Pio; non di quello emanato nell’853 dal Pontefice Leone IV e dall’Imperatore Lodovico II; passerò pure sotto silenzio la sentenza del 1029 promulgata dal Cardinal Benedetto vescovo di Porto; e ne anche parlerò di un breve del Pontefice Alessandro II del 1070, tutti relativi alla causa predetta, alla quale finalmente fu imposto un termine definitivo dopo la metà del secolo XV per cura del Pontefice Pio II.
    Frattanto dal preambolo scritto nel 1057 da Gherardo primicero della chiesa di Arezzo, posto in testa alla sentenza del 715 data da Ambrogio maggiordomo delegato del re Liutprando, e molto più dal deposto dei testimoni esaminati nell’anno stesso dal secondo messo regio Gunteramo , oltre le cose di sopra accennate si viene a sapere che la città di Siena in grazia del re Rotari, aveva riottenuto il suo vescovo, la serie dei quali era stata interrotta, come si dirà, dal quinto sino verso la metà del secolo settimo, dondechè ne consegue che prima de’Goti e conseguentemente innanzi la discesa de’ Longobardi, Siena era sede di un diocesano, e che fino d’allora essa ebbe contado proprio e magistrati. Vedere appresso , siena diocesi.
    Inoltre dalla bolla del 752 del Pontefice Stefano II si ha l’avviso che in quell’anno esercitava in Siena l’uffizio di Gastaldo politico, o governatore,
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    un tale Gausperto mentre dai deposti del 715 si apprende ugualmente tutti i chierici del contado senese dovevano munirsi di una carta o permesso del gastaldo politico, onde presentarlo al diocesano affine di ordinarsi al sacerdozio.
    Ad accrescere valore a tale verità si prestano meravigliosamente le parole del vescovo di Fiesole, uno degli esaminati nella procedura del 715 il quale depose: qualmente egli stesso vide molti chierici del territorio sanese con lettere del gastaldo Willerat recarsi in Arezzo ad oggetto di essere da quel vescovo ordinati al sacerdozio.
    Così il pievano di S. Giovanni in Rancia (ora S. Vito in Creta) giurò qualmente 37 anni addietro egli aveva preso l’ordine sacerdotale da Bonomo vescovo di Arezzo, previa l’esibizione delle lettere del gastaldo Willerat ; documento per avventura il più antico che sia finora comparso alla luce relativamente alla storia civile e politica di Siena sotto il regno de’ Longobardi.
    Avvegnachè da quest’ultimo deposto si viene anche meglio a comprendere che Willerat , il restauratore della chiesa di S. Ansano a Dofana, fino dall’anno 678 almeno doveva esercitare in Siena l’uffizio di governatore o giudice supremo, per conto di Pertarite re dei Longobardi, in un tempo cioè in cui quella nazione, abbandonato dall’Arianismo, aveva abbracciato la religione cattolica romana.
    Della qual verità Siena con il suo territorio ci fornisce ampia conferma nelle chiese dai Longobardi ivi fondate. Tali per es. sono quelle di S. Vincenti ad Altaserra ; di S. Donato in Asso fondata dal re Ariberto II, di S. Ansano in Dofana rifatta dopo la metà del VII secolo dal gastaldo Willerat , per non rammentare tutte quelle ivi edificate nel secolo VIII.
    Ho già detto che il più antico documento relativo alla storia di Siena sotto il dominio longobardo risalirebbe all’anno 678 quando governava questa città il gastaldo Willerat
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    , sebbene due altri di quei testimoni, Gaudioso e Potone, uno de’quali Traspadano e l’altro Lucchese , fino dall’anno 665 erano venuti a stabilirsi nel territorio sanese in qualità di coloni o livellarj entrambi di condizione libera.
    Inoltre fra i testimoni del 715 si scuopre uno Scarione del re nella corte di Sexiano , ora nella giurisdizione di Montalcino, già nella Diocesi aretina, ma sotto il contado sanese; ed è questa per avventura la memoria più vetusta che si abbia nel regno longobardo degli scarioni , specie di uomini addetti al foro, e destinati ancora a tutela dei monasteri, de’luoghi pii; lo che corrisponderebbe a visdomini , o avvocati per le chiese per le quali erano ammessi a giurare. Dondechè quel vecchio Pietrone , che nel 715 si qualificava Scarion Regis de curte que dicitur Sexiano era domiciliato a Sestano in Val d’Orcia (forse nel luogo denominato attualmente a Sesta o Sesto , nel popolo di S. Angelo in Colle, se non piuttosto dov’è l’antica pieve di S. Restituta, designata essa pure in fundo Sexiano , ossia Sestano ).
    Concluderò che dalla procedura del 715 sulla controversia ecclesiastica fra due vescovi siano maggiormente venuti in chiare, in primo luogo, di un fatto citato all’ Art . PIEVE A NIEVOLE (vol. IV pag. 244) cioè che nelle cause economiche delle chiese sotto il dominio dei Longobardi (almeno al principio del secolo VIII) dovevano intervenire i messi, o rappresentati regii; in secondo luogo, dall’esame di quei 70 testimoni si è scoperto, non solo quali fossero nel secolo VII e VIII le condizioni ecclesiastiche di Siena e di una parte del suo contado, ma si è venuto a conoscere che il giudice o gastaldo politico di Siena esercitava non più rigore di adesso le attribuzioni del regio
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    diritto
    sopra i suoi amministrati, i quali non potevano ordinarsi al sacerdozio senza una sua autorizzazione accordata con le lettere che i gastaldi di Siena rilasciavano a quelli che si recavano ad Arezzo per esservi da quel vescovo ordinati al sacerdozio. In terzo luogo, di là si possono conoscere quali fossero dopo la metà del secolo VII le condizioni dei livellari di terre nel senese, i quali al pari dei mercanti, dei maestri d’arte e dei chierici erano contemplati dalla legge per uomini liberi ; dondechè i popoli italiani vinti dai Longobardi non erano più nella condizione abbietta, come quella in cui furono ridotti al tempo di S. Gregorio Magno. Finalmente in quarto luogo giova avvertire, che la giurisdizione ecclesiastica in urto con la politica di Siena al tempo dei Longobardi, dovè prender piede posteriormente all’editto di Rotari (anno 643) siccome si osserverà in seguito all’ Art . siena diocesi.

    III. SIENA SOTTO I CAROLINGI SINO ALL’EPOCA DELLA SUA REPUBBLICA

    Dopo aver visto che Siena fra il secolo VII e VIII era governata da un giudice con il titolo di gastaldo per conto e a nome del re dei Longobardi, mentre un altro gastaldo soprintendeva all’economico; dopo aver visto che in S. Martino (forse nel luogo tuttora esistente poco lungi dalla gran piazza del Campo ) era situata la corte regia; dopo aver trovato in questa città gli arimanni , quasi visdomini facenti da patroni , e talvolta anche dai giudici subalterni nelle cause più solenni; dopo aver detto che sotto i Longobardi esisteva il regio diritto , dopo aver trovato nel piviere di S. Restituta in Val d’Orcia, una corte minore presieduta dagli scarioni regii e le classi degli uomini liberi , degli esercitali , de’ chierici , de’ coloni , e dei livellarj , capaci di
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    far prova in giudizio; dopo tutto ciò resta da dire come nel cambiamento del governo longobardo alla discesa di Carlo Magno in Italia (anni 774 e 775) la città e contado di Siena accogliesse superiormente ad ogni altro paese dalla Toscana i signori di legge salica venuti con l’esercito alla corte di quel sovrano. I nobili francesi giunti allora in Toscana, sembra che preferissero ad ogni altra città Siena, (non saprei dire se per la somiglianza del brio nazionale con questo popolo o per altro) tostochè i magnati di legge salica sono comunissimi nelle scritture sanesi di quella e delle posteriori età. Ma la condizione dei vinti italiani in generale e dei Sanesi in particolare durante il dominio dei re Carolingi non si può desumere dalla storia, la quale rispetto a ciò è rimasta, almeno ch’io sappia, finora taciturna e misteriosa.
    Solamente dal debole barlume che ne trapela si può riconoscere in generale, qualmente nell’anno 779 Carlo Magno pubblicò il suo primo Capitolare pel regno longobardo, cui succedè qualche tempo dopo quello sulle leggi personali delle diverse razze, o caste degli uomini abitanti allora in quel regno e a lui soggetti; mentre non prima dell’anno 801 Carlo magno emanò l’altro Capitolare riguardante le successioni .
    La conquista però del regno longobardo fatta da quel Magno portò una modificazione nella parte governativa, talchè a poche città della Toscana fu conservato e a pochissime fu dato un governatore col titolo di duca ; le altre tutte erano presedute o dai conti o dai gastaldi di origine francese.
    Quando le città oltre il conte aveva anche il gastaldo, quello soleva presedere al politico, questo all’economico; il primo per es. aveva le attribuzioni consimili a quelle de’duchi, cioè di mantenere gli abitanti della sua città e contado ubbidienti alle leggi e fedeli al re, punire i malfattori, difendere le vedove e
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    i pupilli; era poi cura del gastaldo come del conte di riscuotere l’entrate regie e alla fine presentare in persona il prospetto al tesoro reale. – (marculfo, Formul. Lib. I. Cap. 8. - carlo troya, Storia del Medio Evo d’Italia , Vol. I. P. V.)
    Ciò premesso aggiungerò come la città di Siena sotto quella dinastia fu  preseduta  dai conti di origine e legge salica. – Se i di lui governatori estendessero la giurisdizione su tutto l’antico contado sanese o l’oltrepassassero, resta dubbio ancora, con tutto che in un placito tenuto nel luglio dell’886dentro le mura della città di Soana da Stefano vescovo di detta città alla presenza di Liutprando gastaldo di Soana, e di diversi scabini , ve ne fossero due di Siena, uno di Chiusi e un quarto di Pistoja. – (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina .)
    Comecchè andasse la bisogna, sembra cosa indubitata che Siena con il suo contado entrasse nell’eccezione indicata dallo storico Fredegario, il quale discorrendo de’conti di una sola città, disse che molti di quella Ducem super se non habent .
    Dopo di aver detto che sotto i re Carolingi le città della Toscana mancanti del conte avevano alla testa del governo un gastaldo, stimo doverne escludere Pisa, cui presedeva lo stesso duca, poi conte di Lucca, innanzi che vi fossero introdotti i marchesi.
    All’Art. berardenga fu detto che lo stipite donde traeva nome quella contea traeva la sua origine da un Winigi figlio di Ranieri di nazione francese, il quale troviamo una volta a Lucca in qualità di legato dell’Imperatore Lodovico II (anno 865) innalzato più tardi conte o governatore di Siena (anno 868 e 887).
    L’uso poi di dichiarare la professione della legge sotto la quale uno viveva, dopo Carlo Magno divenne tanto universale in Italia che ciascuno serbava, dirò quasi
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    con orgoglio, la qualità della propria origine, la quale trasmettevasi ai discendenti di generazione in generazione, Dondechè non fia meraviglia se nelle carte senesi, tanto in quelle anteriori quanto in quelle posteriori al mille, pressochè tutte le famiglie magnatizie sanesi dichiaravano di vivere a legge salica .
    In ogni modo la serie dei conti salici di Siena sotto il governo Carolingio è più interrotta di quella de’suoi gastaldi sotto il regno de’ Longobardi, avvegnachè di un solo conte di Siena di origine salica è stata tramandata fino a noi la memoria. Voglio dire del sopra rammentato Winigi o Winighigi figliuolo di Ranieri , o Raghinieri , fondatore nell’anno 867 della badia di S. Salvatore della Berardenga, attualmente appellata Monastero d’Ombrone . – Vedere abazia della berardenga.
    Più chiaramente cotesto personaggio trovasi qualificato conte della città di Siena in un atto di permuta di beni fatto in Roselle nell’anno 868. – (archivio diplomatico fiorentino, Carte della Badia Amiatina )
    Ma innanzi che il conte Winigi esercitasse in Siena le qualità del governatore, non meno di tre sentenze solenni erano state pronunziate dai giudici sotto il regno Carolingio rispetto alla giurisdizione spirituale che i vescovi di Arezzo esercitavano sopra una parte del contado senese, tostochè la loro diocesi penetrò fino ai suburbii di cotesta città. – Vedere SIENA DIOCESI.
    Mi limiterò qui a rammentare il giudizio tenuto in ottobre dell’anno 833 nell’episcopio di Siena, dove assisterono fra gli altri un conte Adalrico e diversi scabini di questa città. Nel caso poi che Adalrico fosse stato conte di Siena, noi avremmo in esso il primo conte, o governatore conosciuto di questa città sotto il regime de’Carolingi. – (muratori , Ant. M. Aevi, Dissertazione 70 )
    Per ora il
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    governatore più certo di Siena con il titolo di conte si limita a quel Winigi, o Vinigisi , rammentato all’anno 868 da una membrana della Badia Amiatina citata agli Art. roselle e  strabugliano.
    L’epoca di questo conte o governatore di Siena ne ricorda inoltre l’ordine emanato fra l’866 e l’867 dall’Imperatore Lodovico II il quale per riparare agli sbarchi de’Saracini sulle coste d’Italia, mediante una legge ossia capitolare , chiamò sotto l’armi quanta più gente potè, comandando ai conti e ai gastaldi di non accordare l’esenzione dal servizio militare ad alcuno. Coloro che possedevano il solo valsente di soldi dieci volle che stessero alla difesa de’lidi marittimi; e solamente dichiarò esenti dal servizio i poveri che non possedevano tanto capitale da arrivare a dieci soldi.
    Ma qual fosse il governo civile e politico sanese durante gli ultimi imperatori franchi, non saprei indicarlo senza tema di errare. Dirò solamente che in un placito tenuto a Siena dall’Imperatore Carlo il Grasso nell’anno 881, vi assistè il marchese Berengario, quello che divenne re d’Italia, oltre un gran numero di vescovi, di giudici, magnati e conti fra i quali quel Winigisi che trovammo conte di Siena nell’anno 868. Il quale placito fu pronunziato a causa delle querele rimesse in campo per la settima volta fra i vescovi di Arezzo e quelli di Siena. Che poi il conte Winigisi assistente a quel placito fosse stato allora governatore politico di Siena, lo farebbe credere il vederlo comparire egli stesso in quella discussione fra i testimoni.
    Quando era per avvicinarsi il secolo IX due principi si disputavano la corona ferrea di Milano e quella imperiale di Roma; lo che avvenne dopo mancato l’imperatore Carlo Manno, in un tempo che può dirsi il principio d’innumerabili mali scatenati sull’Italia, dove fatalmente da lì innanzi le sciagure della nostra penisola presero tale sopravvento e vi andarono peggiorando di
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    maniera che l’ignoranza e la barbarie camminavano di pari passo con la più sfrenata corruzione dei costumi.
    Nell’anno 888 due furono i concorrenti al regno d’Italia, il marchese Berengario duca del Friuli ed il marchese Guido duca di Spoleto, il primo nato in Italia e considerato come un italiano, che fu coronato in Pavia come re d’Italia, il secondo di origine francese ossia di legge salica , ebbe in Roma un anno dopo (889) dal Pontefice Stefano IV la corona imperiale.
    Ma cotesti due coronati a onte di una stretta amicizia e di una tacita convenzione anteriormente stabilita, quella cioè di ripartirsi fra loro il pingue impero di Carlo il Grosso, terminarono col farsi una guerra lumga e atroce, la quale trascinò nella desolazione la più gran parte d’Italia.
    Ognun sa che Berengario fu salutato dal suo panegirista come Principe d’Italia e lo storico Giovanni Villani, al pari di altri scrittori del XIII e XIV secolo, non senza una qualche ilarità, raccontava qualmente per l’elezione di Berengario la corona di ferro più non ornava il capo di un Franco , né di alcun altro principe straniero. Dopo però che quei due competitori rimisero la contesa del regno d’Italia alla decisione delle armi, l’Imperatore Guido potè (fra l’889 e l’894) dominar non solo in Siena e nella maremma grossetana, ma ancora nel territorio di Chiusi, cui allora apparteneva la parte settentrionale del Monte Amiata. Inducono a credere ciò due documenti della Badia Amiatina, ora nell’ Archivio Diplomatico Fiorentino , il primo de’quali fu rogato in Chiusi li 27 agosto dell’anno secondo del regno in Italia di Guido (890), e il secondo consistente in un privilegio emanato in Roselle dallo stesso Imperatore li 14 settembre dell’anno 893, cioè, come ivi si dichiara, nell’anno quarto del suo impero. – Vedere roselle e lamone.
    Che però cotesto Imperatore non regnasse senza interruzione né
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    per lungo tempo sugli abitanti di Siena e del suo contado, lo dimostrano altri documenti della provenienza testè indicata. Uno de’quali fu riportato dall’Ughelli nella sua italia sacra in Episcopis Clusinis , essendochè quest’ultimo ci scuopre il re francese Arnolfo, giunto a Roma nel 26 febbraio dell’895, corrispondente all’anno IX del suo regno in Francia e III in Italia. – Aggiungasi come due anni innanzi l’Imperatore Guido aveva associato al suo impero il di lui figlio Lamberto che assai giovane venne incoronato in Roma (anno 892). Ed eccoci in Italia con due imperatori, Guido e Lamberto, e due re, Berengario e Arnolfo, dall’ultimo de’quali restarono vinti e depressi tutti gli altri coronati. Avvegnachè Arnolfo vedendo la fortuna favorevole alle proprie armi la fece da padrone sulla penisola a segno tale che i marchesi di Toscana e di altre regioni si recarono a riconoscere dal sovrano francese i loro feudi e governi.
    Non era peranco compito il primo anno del regno di Arnolfo in Italia quando l’Imperatore Guido terminò di vivere; e all’Art. lucca, fu avvisato il lettore che i notari di quella e di altre città della Toscana dopo la morte di cotesto sovrano trascurarono di segnare nei loro rogiti l’anno e i titoli del re Berengario e quelli di Arnolfo.
    Peraltro dappoichè quest’ultimo abbandonò l’Italia, il Popolo sanese e quello di Chiusi ritornò sotto il regime dell’Imperatore Lamberto figlio di Guido, il quale potè regnare pacificamente fino alla sua morte, che accadde presso la fine dell’anno 898, per cui poco dopo, mancato di vita il re Arnolfo, riprese vigore Berengario.
    Ai fatti storici testè in dicati acquista forza di vero un istrumento rogato in Chiusi li 12 settembre dell’anno 899, nel quale si dichiara c hi allora vi dominava, cioè, nell’anno secondo del regno italico di Berengario dopo la morte dell’Imperatore Lamberto . – (archivio diplomatico fiorentino, Carte della Badia Amiatina ).
    Sembrava che la Toscana, con tutta l’Italia
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    superiore e centrale ridotta sotto un solo principe s’avesse a godere una pacifica quieta; ma quell’anno appunto, in cui si chiudeva il secolo IX, quand’era per aprirsi il tenebroso secolo X; cominciò per gl’Italiani una serie di gravissime sciagure. imperocchè al danno immenso recato ai paesi dell’alta Italia dagli Ungheri inferociti contro il re Berengario, si aggiunse quello dei seguaci dei due imperatori testè defunti; sicchè i popoli italiani si trovarono immersi nella desolazione e nelle guerre di partito.
    Che se in Siena al pari che in Chiusi dopo il 900 dominava l’Imperatore Lodovico III, figlio del re Arnolfo, il suo impero non fu di lunga durata, giacchè nell’agosto del 903 si scontrarono in Siena i conti salici e di nuovo il governo del re Berengario. Ciò è dimostrato da una carta della Badia Amiatina con la indicazione  seguente: L’anno XVII del regno di Berengario in Italia, dell’Incarnazione, 903, nel mese di agosto, Indizione VI . Il quale istrumento fu rogato in Siena da Odelberto giudice e notaro, facendo da testimoni varj personaggi, la maggior parte di legge salica. Trattasi in quell’istrumento dell’investitura data all’abbate del Monastero precitato da Berta di legge salica figlia di Adelgisio conte, e vedova del fu conte Bernardo, pur esso di legge salica , di alcune case e corti poste in luogo detto Stercorate . Per la quale investitura e donazione la precitata contessa ricevè dall’abbate Amiatino, a titolo di Launechild , la partecipazione alla sacre orazioni del monastero sunnominato, sottoponendo alla penale di lire cinque d’oro e di 10 pesi d’argento chiunque avesse ardito infrangere cotale donazione. 
    Potrei anche rammentare un diploma dello stesso re Berengario dopo incoronato Imperatore a favore della Badia Amiatina, dato in Roma nel dì 8 dicembre del 915, corrispondente al primo anno del suo impero, per dire che stando a quella scrittura, Berengario dovè essere incoronato in Roma imperatore innanzi il dì 8 dicembre
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    dell’anno 915, piuttostochè differire quella funzione al S. Natale successivo, come supponeva ne’suoi Annali il Muratori.
    Non è la sola città di Siena, ma in generale la Toscana tutta che scarseggia di storici e anco di memorie relative al cupo periodo che corse tra il 924 e il 950. Diversamente però camminano le bisogna dopo la discesa in Italia di Ottone il Grande, considerato da molti qual creatore delle prime riforme economiche, e dirò anche dell’istituzione dei governi municipali italiani.
    A quel tempo pertanto le città della nostra penisola erano rette o dai vescovi, o dai conti. Chi allora di queste due qualità di personaggi governasse Siena, io lo ignoro, poiché non ebbi la sorte di trovarne indizio fra le molte membrane superstiti visitate; alcune delle quali solamente ne avvisano che Siena con il suo contado nell’anno 950 continuava al pari di Chiusi a far parte del regno italico sottoposto Berengario II e ad Adalberto suo figliolo. – (archivio diplomatico fiorentino)
    Ma non erano cotesti due sovrani giunti a compire il XII anno del loro regno che Ottone I penetrò senza contrasto in Italia, e nella capitale di Pavia egli potè celebrare il S. Natale del 951, innanzi di tornarvi 10 anni dopo per recarsi  a Roma dove nel giorno della Purificazione ( 2 febbrajo del 962) dal Pontefice Giovanni XII gli fu posta in testa la corona imperiale.
    Al rtorno di Ottone I da Roma a Pavia, passando da Rignano nel 22 febbrajo di quell’anno 962 vi sottoscrisse un diploma a favore del monastero del Monte-Amiata. Tale circostanza giova anziché no ad accrescere la probabilità che il nuovo imperatore sia nell’inverno del 962, come nell’estate del 964, attraversando la Toscana, passasse per Siena, giacchè nel dì 13 marzo 962 è dato in Lucca un suo diploma a favore dè canonici di quella cattedrale; ed in Lucca nel 29 luglio e 3 agosto del 964 furono
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    emanati due altri privilegi da quello stesso sovrano il primo dei quali ad istanza  delle monache di S. Giustina di detta città, ed il secondo inedito a favore delle Badia di S. Salvatore sul monte Amiata. – (archivio diplomatico fiorentino, Carte della Badia Amiatina )
    E’ pure credibile che nel 967 Ottone I ripassasse da Siena tostochè da Ravenna dové attraversare la Toscana per recarsi a Volterra, presso la qual città nel 12 giugno di quell’anno, in Monte-Vetrajo, egli assisteva a un placito pronunciato dal Marchese Oberto conte del palazzo imperiale.
    Nulla peraltro di tutto ciò accresce lume alla storia civile di Siena; relativamente a un di cui vescovo e suo capitolo citerò un istrumento dato in essa città li 7 aprile dell’anno quarto del regno di Ottone III (999), in cui si tratta di affittare dei beni appartenenti al clero della chiesa maggiore di Siena. Dal quale istrumento non solo apparisce che quella cattedrale era retta dal vescovo Ildebrando, ma che in quel capitolo si contavano non meno di 5 canonici dignitarj, il Preposto cioè l’ Arcidiacono , il  Priore della scuola del canto , il Primicero ed il Visdomino . – (pecci, Dei Vescovi ed Arcivescovi di Siena . – archivio borghesi-bichi).
    Rispetto agli antichi magnati che sogliono trovarsi nelle carte senesi, ne citerò due, che uno di essi era un Lamberto figlio di un Marchese Ildebrando (forse anche conte ) il quale stando nel suo castelletto di Valiano sull’Ombrone, presso Campagnatico, per istrumento del 18 aprile dell’anno 973, oppignorò per la vistosa somma di lire 10,000 non meno di 45 corti con le loro pertinenze, chiese, terre, mulini, servi, fedeli ecc. le quali corti in quel contratto si dichiararono situate in vari contadi della toscana, in Liguria e nel Parmigiano.
    Sedici anni dopo fu restituita all’oppignorante la stessa somma di 10,000 lire da donna Ermengarda figlia
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    del conte Ranieri, dopo di essere rimasta vedova del predetto Marchese Lamberto, assistita da Oberto, suo mondualdo, nel modo prescritto da un rogito del 17 aprile 989, fatto in Lattaria .
    Un altro magnate si diede a conoscere in un terzo istrumento scritto pur esso nell’aprile del 973 nella torre di Lattaria , col quale il conte Ridolfo, figlio del fu Gherardo che era stato conte del palazzo , comprò alcune terre poste in Campagnatico. – Vedere lattaja e santa-fiora.
    Finalmente porta la data di Siena un quarto istrumento del novembre 988, stato già citato all’art. casenovole, dove è fatta menzione di una contessa Willa figlia del fu conte Kadulo di Fucecchio, lasciata vedova da un Ranieri che fu pur esso conte.
    Forse alla prenominata contessa Willa vuolsi riferire un quinto atto pubblico rogato in Siena nel novembre 994, in cui si tratta della vendita di una casa massarizia posta in Orciano (forse Orgiale dell’Ardenghesca ) appartenuta in origine a quella contessa. – (archivio diplomatico fiorentino , Carte della Badia Amiatina .)
    Non saprei dire però da qual documento lo storico Malavolti ricavasse la notizia che fino dal secolo X Siena ottenesse la libertà sotto il governo degli ottimani per benefizio cocessole dall’Imperatore Ottone III, e che lo stesso sovrano da Siena ripassasse, quando dalla Germania tornò a Roma a rimettere nella sede pontificia l’espulso Gregorio V.
    Non avendo io prove per corroborare né per infirmare un tale asserto, mi limiterò ad annunciare in iscorcio i cambiamenti radicali accaduti specialmente nelle forme municipali del governo di Siena dal mille al mille duecento sessanta, vale a dire fino alla giornata di Montaperto.

    IV. SIENA DAL SECOLO UNDECIMO ALLA GIORNATA DI MONTAPERTO

    Le prime mosse d’armi tra città e città cominciarono per avventura in Toscana, quando i magnati, i vescovi e i popoli dell’alta Iltalia erano divisi in due partiti,
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    uno dé quali voleva re Arduino principe italiano, l’altro Arrigo I sovrano tedesco. Lucca sembra che abbracciasse la sorte del re italiano, mentre Pisa mostravasi partitante per il tedesco. Infatti all’Art. pisa rammentando io il fatto d’armi accaduto nel 1004 fra i Lucchesi e i Pisani presso Ripafratta nei contorni di Caldaccoli, diceva che probabilmente quella guerra fra due municipj toscani trasse origine dall’elezione di quei due principj chiamati nel tempo stesso a regnare sull’Italia.
    Comecché riguardo allo stato di repubblica questa di Siena non avesse principio che intorno alla metà del secolo XII, contuttociò le memorie relative al suo governo economico e civile sembrano risalire ad un secolo innanzi. Imperocché senza rammentare la membrana del 7 aprile 999, la quale conservasi nell’archivio privato dé signori Borghesi-Bichi di Siena, dove si parla del vescovo di allora e delle varie dignità che contava il capitolo della sua cattedrale, senza appoggiarmi ad un istrumento scritto in Siena  nel gennaio del 1001, riguardanti la vendita di beni fatti a diversi, i quali insieme alla maggior parte dei testimoni si dichiararono di vivere a legge salica, mi fermerò piuttosto sopra altro istrumento del luglio 1010, rogato esso pure in Siena, nella casa di Guido del fu Rainaldo visconte situata nel Castelvecchio . È un contratto di enfiteusi di alcune terre poste presso il luogo di Castagnetolo , fatta dal conte Bernardo, figlio di un altro conte Bernardo, con l’onere al fittuario di recare per censo annuo otto denari al ministro quel conte in Siena nella sua corte situata presso la chiesa di S. Pietro.
    Fra i testimoni ivi sottoscritti leggesi il nome di un Ranieri Visconte figlio di Grifone, al quale ultimo personaggio ci richiama un altro istrumento ( ERRATA : del 1012) del dicembre 1012, scritto in Siena presso l’Arco di S.Donato relativamente al fitto di un pezzo di terra con casa annessa, il tutto posto in Siena nel popolo di
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    S. Desiderio sotto il Duomo (nota bene) lungo la strada che va alla casa del vescovo di detta città . – (ARCH. DIPL. FIOR. , Carte della Badia di Passignano ).
    Che poi le città della Toscana anche nel secolo XI fossero governate dai conti lo dichiara per tutti un diploma di Arrigo III del 17 giugno 1052, col quale il clero di Volterra venne esentato dalla giurisdizione  de’ marchesi e dei conti, cui fino allora quei preti erano stati soggetti.- (muratori, Ant. Med. Aevi, Dissert. 39. )
    Assai maggiori furono gli onori che dopo la metà del secolo XI ricevè la città di Siena all’occasione  del concilio ivi celebrato nell’anno 1058, quando Gherardo vescovo di Firenze fu innalzato sulla cattedra di S. Pietro col nome di Niccolò II.
    Da quell’epoca in poi anco per la storia politica incomincia ad albeggiare una qualche luce; e comecchè in mezzo ad una lacrimevole desolazione sfortunatamente il secolo II manchi di storici, pure rispetto alla città di Siena vi riparano in qualche modo i molti documenti superstiti de’ suoi pubblici e privati archivi; parte dei quali spogliati dal chierico Uberto Benvoglienti furono dati alla luce dal Muratori nelle sue preziose Antiq. M. Aevi, ed altri dal Pecci, che li riportò, o citò nelle opere da esso lui pubblicate, o sivvero si racchiudono nella ricca collezione de’MSS. inediti, che attualmente conserva in Siena nella sua biblioteca  privata il Cavalier Carlo Lodoli.
    Rammenterò inoltre un atto del 16 aprile 1072, rogato nel Castelvecchio di S. Quirico in Siena da Guidone notaro, col quale due fratelli conti, Bernardino e Ardingo, col consenso del conte Ranieri loro padre, confermarono al capitolo della cattedrale sanese la donazione fattagli dal loro genitore; ed una nuova conferma di quella donazione fu ripetuta dal conte Ardingo nipote del Conte Ranieri primo donatario per istrumento del I marzo 1079 scritto in Siena nello stesso
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    Castelvecchio . - (archivio diplomatico fiorentino, Carte citate. )
    Non starò a rammemorare un altro istrumento dell’aprile 1074, rogato in Montaperto, mercè cui l’arciprete Lamberto a nome del capitolo di Siena diede ad enfiteusi a Bernardo figlio di Winigi  e a Berta di lui madre diversi beni e giuspadronati di chiese, fra le quali la chiesa di S. Pietro in Barca nella Berardenga. ( loc. cit. ).
    Peraltro non debbo passare sotto silenzio un processo, dal quale viene assai meglio a scuoprirsi qual fosse nel secolo XII il regime politico di Siena e del suo contado.
    E’ un fatto poco diverso dalla procedura del 715, sennonchè in quest’ultima si trattava di giurisdizioni ecclesiastiche, mentre l’altra del 1205 riguarda la giurisdizione  secolare e l’estensione nel secolo XII del contado sanese dalla parte di Montepulciano. Il processo fu fatto nel paese di S. Quirico in Val d’Orcia, dove assisterono, oltre il potestà di Siena, Bartolommeo di Rinaldino i principali rappresentanti della lega Guelfa di Toscana, alla quale presedeva Ildebrando vescovo di Volterra, mentre Ugo Vinciguerra vi rappresentava la città di Firenze, un Rustichello quella di Lucca, un Marzi vi era per la città di Siena, Giotto a nome di Perugia, e Ansaldo per la città di Arezzo. Inoltre vi si trovarono fra i testimoni un Rinaldino console e rettore dell’arte dei mercanti di Siena con molti personaggi di famiglie nobili sanesi, fra i quali diversi Cacciaconti e Cacciaguerra della Scialenga, della Berardenga, di Sarteano, ecc.
    Alla presenza pertanto dei personaggi sunnominati il giudice  Ruggero per ordine del potestà di Siena nel giorno 5 aprile del 1205 esaminò vari abitanti di San Quirico, di Monte-Follonico, di Corsignano e di Monticchiello i quali tutti conformemente deposero che Montepulciano da 50 e più anni indietro era governato dai rettori dei conti Alemanni di Siena, cioè, a partire dai tempi dell’Imperatore Corrado III, dal conte Paltonieri, che reggeva Siena e il suo contado, mentre durante
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    il regno dell’Imperatore Federigo I non meno di quattro conti presederono al governo di Siena e del suo territorio, compresovi il distretto di Montepulciano. Altri 4 conti succederono al governo sanese come ministro del conte Arrigo VI. Finalmente da quel processo risulta che un ultimo conte tedesco sulla fine del secolo XII in nome di Filippo duca di Toscana resse Siena ed il suo contado, compreso Montepulciano. – (muratori,. Ant. M. Aevi. Diss. 50 .)
    Del primo conte Paltonieri che fu figlio di altro conte Forteguerra l’archivio delle riformagioni di Siena conserva un atto del 14 luglio 1151, rogato da Rolando giudice e cancelliere, col quale il conte predetto diede in  pegno al sindaco della città e Comune di Siena il castello di S. Giovanni d’Asso con la sua corte e distretto, ed il castel d’Avana, (presso Chiusure ) con tutta la corte a condizione di riprendere l’uno e l’altro dentro il termine di dieci anni. – (archivio diplomatico sanese, Tomo I delle Pergamene N°. 21 ).
    Da qual documento risulta che il conte Paltonieri nasceva da un altro conte vivente nel 1151, ma che fino di detto anno il di lui padre erasi stabilito in Siena, quando già cotesta città contava una rappresentanza e magistratura sua propria.
    Al quale ultimo vero serve di conferma un atto pubblico del dì 14 maggio dell’anno 1137, rogato dal cancelliere Rolando nella piazza di S. Cristofano di Siena davanti al consiglio del popolo adunato in comuni colloquio . Con il quale atto diversi nobili di Staggia e Strove donarono al vescovo di Siena Ranieri I, capo civile ed ecclesiastico di quel Comune, la quarta parte di Monte-Castelli, una piazza nel Castello di Strove e due piazze situate nel suo borgo con altrettante nel Castello e borgo di Montacutolo sul Monte-Maggio. – (archivio diplomatico di siena, Tomo I delle Pergamene N°. 14 .)
    Comecché Siena col suo
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    contado sino alla morte di Manfredi nel politico fosse governata nel nome degli Imperatori svevi, contuttociò fino d’allora rispetto al civile ed economico essa era retta dai suoi consoli, che a suono di campana facevano adunare il popolo per deliberare o nella chiesa di S. Cristoforo, o in quella di S. Pellegrino, la prima tuttora esistente in piazza Tolomei, la seconda soppressa poco lungi di là, ed entrambe situate nella parte centrale della città. Ma il primo giorno della vera libertà senese, io dubiterei che non avesse a datare innanzi ilo mese di ottobre dell’anno 1186, all’epoca cioè dell’indulto  che i Sanesi ottennero dal re Arrigo VI, vivente l’Imperatore Federigo I di lui padre con la conferma della loro zecca e la libera elezione de’ consoli e del rettore o podestà, al quale si accordava facoltà di estendere la sua giurisdizione  sopra tutto il contado, riservando solamente ai giudici o messi dell’impero le cause in ultimo appello.
    Simili grazie peraltro furono precedute da più dure condizioni alle quali i Sanesi dovettero soggiacere dopo aver sostenuto un assedio, non saprei dire, se provocato dall’aver eglino per un momento aderito al partito guelfo o della chiesa romana, oppure per altre cagioni a me ignote.
    Checché ne sia è cosa indubitata però che il popolo di Siena non dové alienarsi dalla grazia di Federigo I,. se non dopo la morte del Pontefice Alessandro III loro concittadino, siccome dirò qui appresso. Giovano a provare cotesta mia induzione due diplomi, uno dei quali dato in San-Quirico li 27 aprile del 1167 e l’altro del 12 febbrajo ( ERRATA : 1580) 1180 spedito da Monte Fiascone, col quale Cristiano arcivescovo di Magonza, arcicancelliere imperiale, succeduto a Rinaldo in Italia per l’Imperatore Federigo I donò al Comune di Siena e per esso ai suoi consoli tutti i diritti che l’Imperatore aveva nel castello di San-Quirico, quelli sulla metà del castello e distretto di Montieri, e il diritto delle porte della città
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    di Siena. Inoltre l’indulto citato prometteva ai Sanesi di far confermare tuttociò, compreso il diritto della zecca, all’Imperatore Federigo I, il quale due anni innanzi erasi rappacificato con il Pontefice Alessandro III.
    Già dagli Art. firenze, pisa, volterra, si potrà rilevare che nei secoli XII e XIII, quando gl’Imperatori facevano guerra ai Papi, capi e difensori della parte guelfa, i vescovi di molte città della Toscana presedevano alle deliberazioni del popolo: e nel modo che trovammo in Firenze sul principio del 1200 capo di quella repubblica il vescovo Giovanni da Velletri, in Volterra il Vescovo Ildebrando de’Pannocchieschi, così la Signoria di Siena dal 1128 al 1166 era preseduta dal suo vescovo Ranieri I.
    Della qual presidenza fu fatta menzione poco sopra e da Giovanni Antonio Pecci nella serie de’ Vescovi e Arcivescovi di detta città, il quale indicò sotto ilo vescovato di Ranieri I molte sottomissioni e accomandigie fatte al Comune da diversi nobili di contado, indirizzaronsi a Ranieri, quasi (diceva il Pecci) riconosciuto capo della repubblica nello spirituale e nel temporale .
    Fra i molti documenti atti a dimostrare tutto ciò mi limiterò agli istrumenti seguenti. Nel 27 febbraio del 1156 Ranuccio signore di Staggia e Strove con Bernardino e Gozzolino suoi figli, unitamente a Ottaviano e Rustico di Soarzo loro consorti, si diedero in accomandigia al popolo sanese nelle mani del vescovo Ranieri col castello di Strove e le sue pertinenze, e mentre giuravano fedeltà alla Repubblica, promettevano di difenderla in tutte le guerre e specialmente in quelle contro i Fiorentini, con l’obbligo di consegnar agl’incaricati di quel Comune dentro otto giorni dalla fatta richiesta per servizio della guerra la torre di Montacutolo sul Monte-Maggio. – (archivio diplomatico di siena, Tomo I Pergamena N°. 24 .)
    Anche nel gennaio del 1163 Ubaldino del fu Ugolino di Soarzo donò al Comune di Siena, e per esso al vescovo Ranieri, ogni diritto che egli
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    aveva sulle terre, castelli e ville che possedeva da Poggibonsi alla Porta Camullja, e nominatamente nei castelli di Staggia e di Strove, nel castello di Montacutolo sul poggio di Monte-Maggio ed in Monte-Castelli, nella corte di Sitecchio e in quella di Stomennano, a condizione per altro di restare tale donazione priva di effetto nel caso in cui il detto Ubaldino lasciasse de’ figli maschi. – ( ivi N°. 32 .)
    Nel febbrajo dell’anno stesso Paganello e Rustico di Soarzo con Bellafante e Berta di Ottaviano di Soarzo donarono alla Repubblica in mano di Ranieri vescovo di Siena le ragioni che gli appartenevano nei castelli e corti di Montacutolo nel Monte-Maggio e di Monte-Castelli con i loro boschi e dipendenze. Rogò uno di quegli atti davanti la chiesa di S. Pellegrino il notaro Ranieri alla presenza del consiglio generale del popolo sanese. – (pecci, Opera citata e archivio diplomatico di siena, Tomo I delle Pergamene. N°. 33 e 34 .)
    Non parlerò della bolla di Alessandro III spedita da Roma nel 1166 ai consoli del popolo di Siena e a Ranieri II vescovo eletto della stessa città relativamente ai suoi confini territoriali e diocesani con il territorio e Diocesi Fiorentini, perché riportata dal Muratori nelle Ant. M. Aevi ( Dissert . 74); né starò a rammentare altra bolla diretta da Anagni dieci anni dopo (22 giugno 1176) dal Pontefice medesimo a Gunteramo eletto vescovo di Siena, essendo stata pur essa pubblicata dal Muratori ( Opera citata Dissertazione 69 ), parlerò bensì di una terza bolla concistoriale da Alessandro III inviata da Venezia li 18 giugno del 1177 al clero della città e borghi di Siena, con la quale si concedevano a quegli abitanti alcuni privilegi in benemerenza di aver essi aderito al Pontefice medesimo in tempo della di lui persecuzione. – (pecci, Serie de’ Vescovi e Arcivescovi Sanesi .)
    Aggiungerò
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    altresì che nell’anno stesso (1177) cominciò per l’Italia a comparire un raggio di quella pace, della quale da gran tempo essa era privata, tostoché in quell’anno appunto ebbe fine un deplorevole scisma della chiesa di Dio.
    Ho già detto che l’adesione de’Sanesi al loro concittadino Pontefice Alessandro III non fu la causa della collera mostrata contro essi da Federigo I, tostoché erano corsi nove anni quando Arrigo VI in nome dell’Augusto suo padre, assediò quella città, vale a dire cinque anni dopo la morte di Alessandro III.
    Nettampoco io credo che quella collera imperiale traesse origine dalle prime guerre nel 1170 fra i Fiorenti e i Sanesi incominciate, siccome raccontarono Ricordano Malespini  e Giovanni Villani, mentre tali fatti non solo precedettero di 7 anni la bolla inviata a questi ultimi dal Pontefice Alessandro III, ma ancora la guerra stessa ebbe fine nel 1175 per mediazione dello stesso Federigo I con un trattato di conseguenza col quale furono rinunciati  al popolo e Comune di Firenze da Gunteramo vescovo eletto di Siena e dai consoli di detta città, i castelli, uomini e ville compresi fra il Castagno aretino e il luogo dove la Burna mette in Arbia .
    Finalmente in virtù della pace generale conclusa in Costanza nel 1183, e forse prima, trovasi stabilito da varie popolazioni italiane il sistema per reggersi a repubblica.
    Ma nel tempo che da una parte Federigo I concedeva privilegi, o confermava governi municipali a molti paesi e città dell’Italia superiore, dall’altra parte egli voleva ristringere il dominio di alcune altre dell’Italia media. Stando all’asserzione  de’ due cronisti testé citati, quell’imperante nell’estate del 1184, oppure secondo l’Ammirato e il Sigonio, nel luglio del 1185, ordinò che a tutte le città della Toscana, fuorché a Pisa ed a Pistoja, si togliessero le regalie consuete e il respettivo contado, e che i loro governi si sottomettessero agli uffiziali  imperiali perché (aggiungono i due cronisti più antichi) “quando Federigo
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    Barbarossa aveva guerra con Papa Alessandro, le altre città avendo abbracciato il partito della chiesa erano state a lui contrarie; e fu nell’anno 1184 che l’Imperatore stesso inviò un esercito ad assediare la città di Siena ma non l’ebbe.” – Che però cotesto affare terminasse ben diversamente di quanto ne scrissero il Malespini e il Villani, lo dichiararono abbastanza i duri patti imposti ai Sanesi, allorché chiesero di tornare in grazia dell’Imperatore di suo figlio Arrigo. Imperocché durissime furono le condizioni che nel giugno del 1186 si esibirono al popolo sanese per riacquistare la buona grazia de’due coronati; cioè I° di rassegnare alla regia autorità il contado di Siena con i beni che furono della contessa Matilde e del Conte Ugo, e che appartenevano alla marca della Toscana; 2° di consegnare alla potestà imperiale i castelli e le terre del contado medesimo, e specialmente il castel San-Quirico, oltre le regalie spettanti all’Impero tanto quelle di fuori come le altre dentro la città, fra le quali la Zecca , il Pedaggio ed il Teloneo ; 3° di dovere i Sanesi dall’età di 15 fino a 70 anni giurare fedeltà ad Arrigo VI; 4° di restituire alle chiese e ai nobili del contado le loro possessioni castelli e ville con tutti i diritti che gli furono tolti; 5° di svincolare dal giuramento quei nobili che dai Sanesi vi fossero stati costretti, e di assolvere gli altri che avessero congiurato contro il governo di Siena; 6° di dover consegnare agl’incaricati del re Arrigo i castelli di Montaguto e di Orgia; 7° di pagare 4000 lire allo stesso re, 600 alla regina e 400 alla curia imperiale; 8° di far pace e guerra con tutti quelli, con i quali venisse loro comandato dal re o da alcuno de’ suoi delegati; 9° di mantenersi in pace col vescovo di Volterra, con gli uomini di Montalcino e con altri fedeli dell’Impero; 10° di conservare immuni
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    da ogni sorta di peso le chiese e specialmente quelle della diocesi volterrana comprese nel territorio o contado senese.
    A queste condizioni (termina l’atto) l’imperatore Federigo e il re Arrigo rimetteranno i Sanesi nella pienezza della loro grazia, perdonando tutte le offese che ai sovrani medesimi, ossia all’Impero in qualsiasi modo avessero fatto; alle quali condizioni Arrigo Vi avrebbe concesso al Comune di Siena l’elezione libera dei suoi consoli, ammessa però l’investitura da darsi dall’Imperatore e così dai di lui successori.
    La cosa singolare per altro si è di non trovare fra i documenti sincroni alcuno in cui sia fatta menzione dell’assedio di Siena del 1185, o 1186, né delle vicende a quello relative. In ogni caso io tengo per dimostrato che un tale assedio o quella guerra contro la città e Comune di Siena non accadesse nel 1184 come fu scritto da Giovanni Villani.
    Comecché il popolo sanese innanzi la fine dell’anno 1186 trovasse modo di riacquistare la grazia dell’Imperatore e del suo figlio alle condizioni  espresse nell’indulto scritto da Cesena li 25 ottobre 1186, si può altronde chiaramente arguire che dalle principali  concessioni  in quell’indulto registrate emerge un’origine meno incerta dello stabilimento della repubblica sanese.
    I pesi imposti dal Comune di Siena dalla scrittura del 25 ottobre 1186 dovettero continuare per vari anni, tostoché con l’atto stipulato li 21 marzo 1190 nel Borgo S. Genesio a cagione di mille marche d’argento somministrate ad imprestito da Ildebrando Vescovo di Volterra al mariscalco Enrico Testa legato imperiale in Toscana, si rilasciavano al mutuante tutte le rendite annuali che pagavano alla corona i paesi del Galleno, Cappiano, Fucecchio, Massa-Piscatoria, San-Miniato, Borgo S. Genesio e la città di Lucca, oltre il pedaggio di Castelfiorentino, di Poggibonsi, ecc. più il tributo de’ Sanesi consistente in 70 marche al peso di Colonia, ed il pedaggio delle porte di questa città . – (lami, Monum. Eccl. Flor. pag. 343.)
    Frattanto il Comune di Siena
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    non solamente andava a poco a poco tarpando l’ali ai più potenti magnati del suo contado con l’obbligarli di fornire della milizie alla repubblica, di fabbricarsi casa in città, di abitarvi per un dato tempo dell’anno, ma ancora introduceva un uffiziale  superiore alla direzione del governo militare e dei giudizj criminali col titolo di podestà, da primo scelto fra i nobili sanesi, poscia fra i più distinti forestieri.
    L’ Archivio Diplomatico di Siena nel Tomo I delle Pergamene ( carta 64 ) conserva un atto originale in data del 4 gennaio 1203 (stile comune) relativo alla formula del giuramento prestato al Comune di Siena dal Conte Ildebrandino Palatino di Santa-Fiora raccomandato della Signoria per 20 anni con gli oneri ivi espressi.
    Un’altra pergamena scritta li 20 agosto dell’anno 1202 contiene l’atto di giuramento per simile accomandigia prestato da Parenzo potestà di Orvieto a nome del suo Comune; mentre nel I ottobre dell’anno stesso i consoli di Siena giurarono di non far pace con i Montepulcianesi se non rendevano al conte Manente di Sarteano e a molti altri dinasti de’Cacciaconti tutti i loro vassalli che i Motepulcianesi tenevano prigionieri dopo che i Sanesi bruciarono il borgo di Ciliano. – ( Loc. cit. Tomo I delle Pergamene N°. 65, 66 e 67 .)
    Molti scrittori fondati sul giramento prestato in Fonte-Rutoli li 29 marzo 1201, credettero che in quell’anno fosse fatta lega fra la repubblica di Siena e quella di Firenze, mercé cui il potestà e i consoli fiorentini promisero non solo di astenersi dall’assistere i Montalcinesi, nel caso che i Sanesi volessero muovergli guerra, ma che al Comune di Siena dove allora era podestà Filippo Malavolti, i Fiorentini avrebbero fornito ajuto per un mese di cento cavalli e di mille fanti. – (ammir. Stor. Fior. Lib. I.)
    Frattanto nel popolo di Siena dopo che nel maggio 1202 ebbe conquistato Montalcino, crebbe vieppiù il desiderio di impadronirsi di Montepulciano ed
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    è per questo che il suo governo nello stesso anno concluse unì’alleanza con il Comune di Orvieto. Ma intanto i Montepulcianesi  prevedendo il colpo che se gli minacciava stringevano lega con i Fiorentini sotto pretesto, scrive lo storico Ammirato, che Montepulciano non era del Vescovado, né del contado di Siena. In vista di ciò quella Terra fu accolta in accomandigia della repubblica Fiorentina a condizione di dovere quel Comune inviare ogni anno a Firenze per la festa di S. Giovanni Battista un cero di 50 libbre e dieci marche d’argento, pari a lire 50 di denari pisani. – ( Oper. e Libro cit .)
    Tutto ciò asseriva l’Ammirato, ma dal giuramento di San-Quirico (aprile 1205) si scuopre la causa per la quale ebbe luogo, sebbene senza effetto, quel giudizio, avvegnaché due anni dopo (anno 1207) si riaccese guerra fra i Sanesi e i Montepulcianesi assistiti dai Fiorentini. Quindi è che l’oste fiorentina nel 1207 si condusse nel territorio sanese, e fu sotto Montalto della Berardenga dove accadde  nell’anno stesso un fatto d’armi a danno de’ Sanesi; in conseguenza del quale disse il Villani, vennero a Firenze 1300 Sanesi prigionieri, e i Fiorentini ebbero il detto castello di Montalto che disfeciono. Nell’anno appresso (1208) ritornando l’oste medesima nel contado sanese, disfece Rigomagno, e di là avanzandosi verso Rapolano, prese e condusse seco gran preda e molti prigionieri, finché nel 1210 i Sanesi, mediante la pace fatta con i Fiorentini, Montepulcianesi  e Montalcinesi riebbero i luoghi perduti. – (giovanni villani, Cronica Lib. V cap. 33 e 34).
    Nell’Archivio Diplomatico di Siena conservasi nel Tomo I delle Pergamene una membrana (N°. 71) scritta li 4 febbrajo del 1205 (1206 stile comune ) nella quale si legge che era allora potestà di Siena Jacopo d’Ildebrandino succeduto a Bartolommeo di Rinaldino, a quello stesso Bartolommeo che nell’aprile precedente aveva presieduto al giudizio tenuto in San-Quirico di Val d’Orcia.
    Poco dopo di essere stata ristabilita fra i
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    Sanesi e i Fiorenti la pace del 1210, la comunità del Monte SS. Marie per contratto del 3 gennaio 1211 stile comune ) prese in affitto da uno degli antichi dinasti di detto luogo, Ranieri di Pepone de’Cacciaconti, alcuni boschi compresi nel territorio della stessa Comunità, che ivi li dichiara compresa nel contado sanese. – ( Loc. cit. Pergamena N°. 87 ).
    Fu in quell’epoca medesima, quando i Sanesi riformarono il loro governo col determinare, che d’allora in poi il podestà si eleggesse esclusivamente fra i nobili forestieri. Realmente il primo podestà di Siena nominato dopo cotesta legge fu Guido di Rinuccio da Orvieto, cui nel 1213 sottentrò Ubaldo Visconti di Pisa, sostituito nell’anno medesimo da Guelfo di Ermanno di Paganello de’Porcaresi, sotto il qual ultimo podestà la Repubblica di Siena fece accerchiare di mura torrite il Castello di Monte-Riggioni; e fu sotto quei podestà forestieri che la repubblica sanese (fra il 1214 e il 1224) potè estendere il suo contado dalla parte della provincia inferiore.
    L’Archivio Diplomatico Sanese conserva un placito del 15 giugno del 1228 dato da Everardo di Arnestein castellano di San-Miniato e da Rinaldo duca di Spoleto vicario per l’Imperatore Federigo II in Toscana, col quale si condannava il Comune di Montepulciano in mille marche d’argento, se quel popolo non ubbidiva ai sovrani comandi per la pace da riformarsi in Toscana. Quindi con altro bando del 17 giugno del 1228 lo stesso Everardo di Arnestein comandò al potestà di Siena di tenere i Montepulcianesi per nemici de’Sanesi, di perseguitarli e di far loro guerra. – ( loc. cit. Pergamena N°. 196 )
    Infatti la Signoria di Siena mandò nell’anno appresso la sua oste sopra Montepulciano; in conseguenza di ciò i fiorentini mossero le loro forze e quelle degli amici contro i Sanesi a difesa de’Montepulcianesi loro amici e alleati.
    Non Starò a ripetere quanto fu scritto su questo rapporto all’Art. querce-grossa; nettampoco dirò, come
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    i Fiorentini, contuttoché aggravati da una scomunica fulminatagli contro nel 15 ottobre del 1232 a nome del Pontefice Gregorio IX, inaspriti piuttosto che inviliti da simili censure ecclesiastiche, nel 1233 corsero con altre genti d’arme a investire dalle tre parti il giro triangolare delle mura di Siena; né ripeterò come essi continuarono  ne’ due anni successivi (1234 e 1235) a guerreggiare, talchè il Comune di Siena dovette chiedere ai primi quella pace che ottenne a patti onerosissimi mediante lodo del Cardinal Jacopo di Palestina Legato pontificio firmato in Poggibonsi li 30 giugno 1235 negli accampamenti dell’esercito fiorentino. (giovanni villani, Cronica Libro VI, cap. 13.- ammirato, Stor. fior. Libro I.)
    Fra le principali condizioni di quel lodo vi furono le seguenti: I° che i Sanesi fra 15 giorni dovessero pagare 8000 lire per rifare entro un anno il Castello di Montepulciano; 2° che il Castello di Chianciano stato consegnato dai Sanesi al Cardinal legato dovesse restituirsi agli Orvietani, a condizione che questi ultimi lo riconsegnassero ai suoi veri padroni. – (archivio diplomatico sanese, Pergamena N°. 307 )
    Sette giorni dopo quel lodo, nel 7 luglio del 1235, furono stipulate le condizioni di pace tra i Sanesi da una parte e dall’altra parte i Fiorentini, Orvietani, Aretini, Montepulcianesi, Colligiani, Sangimignanesi, Bolognesi, Conte Guido, Napoleone Visconti di Campiglia, ecc. in articolo della quale si voleva che la repubblica sanese rinunziasse ai Fiorentini tutto ciò che apparteneva loro nel Castello di Poggibonsi, ecc. – ( ivi, Pergamena N°. 314 )
    Intantoché la corte romana e i suoi Pontefici continuavano ad essere in urto con l’Imperatore Federico II, accadeva in Siena una riforma, in forza della quale si cambiò il titolo al primo magistrato de’consoli, cui, al pari di altre città, fu dato il titolo di Priori del Comune di Siena, aggintovi un consiglio di 24 individui, che si dissero i conservatori del popolo. – Mi limiterò a citare per ogni
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    altra prova una riformagione del magistrato predetto deliberata li 25 luglio dell’anno 1246 nella chiesa di S. Pellegrino, con la quale furono eletti tre sindaci incaricati di recarsi alla corte di Roma per difendere, dove occorresse, gli interessi del Comune di Siena. Forse una delle cause fu quella provocata dal Pontefice Gregorio IX contro il Comune di Siena con una bolla diretta a quel popolo sotto dì 9 febbrajo 1236, colla quale si ordinava loro di restituire le cose tolte da un tale Gualcherino e compagni a certi vassalli di Guglielmo degli Aldobrandeschi conte Palatino di Toscana; mentre con altra bolla dell’anno precedente il Pontefice medesimo avvisava il podestà e popolo sanese di aver scomunicato l’Imperatore Federigo II e i suoi fautori; per la qual cosa sua Santità preveniva i Sanesi affinché niuno dio loro somministrasse alcuna specie di ajuto, né prestasse più obbedienza a quel sovrano. – (archivio diplomatico borghesi-bichi e diplomatico sanese, pergamene N°. 335 e 337 )
    Cotesti avvenimenti politici e guerreschi troppo spesso in quella età, non senza danno e pericolo dei popoli, ripetuti indussero i reggitori del Comune di Siena ad assicurare con migliori difese la loro città, forse perché fino allora quel magistrato erasi fidato più che delle mura e nei fossi nella posizione favorevole del paese e nel coraggio de’suoi abitanti.
    Infatti da quell’epoca in poi gli archivi pubblici di Siena si trovano sempre più ricchi di memorie relative alle opere pubbliche che furono dopo ilo secolo XII in essa città innalzate, rispetto alle fonte, alle strade, alle porte e al nuovo cerchio delle sue mura. – Vedere l’Art. seguente , siena comunita’.
    Però anche ad onta della scomunica dal Pontefice Innocenzo IV contro l’Imperatore Federigo II fulminata, i Sanesi si mantennero fedeli all’Impero, al quale pagavano puntualmente le 70 marche d’argento state fin dal 1186 da Arrigo VI imposte loro, nel tempo che inviavano in Lombardia i soldati designati per
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    servizio di quel sovrano e della sua causa. – (archivio diplomatico sanese, Pergamene N°. 393,416, 422 )
    Per lo contrario, nel mentre che Firenze riformava lo stato, e che, come disse Giovanni Villani, per riparare alle forze de’Ghibellini faceva il primo popolo, la Signoria di Siena si occupava del più antico costituto che si conosca di questa città. – ( Loc. cit. Pergamena N°. 437 ). Il quale statuto scritto nel 14 gennajo 1249 (1250 stile comune ), trovasi ripartito in 87 rubriche o capitoli, meritevoli forse di essere dati alla luce a oggetto di conoscer meglio gli usi di quei tempi, l’ordine delle magistrature, i regolamenti diversi per la sorveglianza de’luoghi pii, per la vendita delle vettovaglie, per gli albergatori, per le compagnie dei vigili destinati ad estinguere gl’incendi, per l’ora della sera da ritirarsi alle case, e per la pulizia che allora soleva praticarsi nella città, ecc. ecc.
    Però nell’anno medesimo 1250 il magistrato de’Priori contrasse lega con i Pisani per liberare i Pistojesi e le loro terre investite dall’oste lucchese. La qual misura impolitica non fece altro che metter fuoco alla paglia tostoché i Fiorentini con il pretesto di difendere i loro amici, rivolsero le armi contro i Pisani. Né là si arrestarono gli affari, mentre compita che fu la guerra contro i Pisani, l’esercito fiorentino nel 1252 prese la via di Montalcino, nel tempo che la detta Terra, essendo stretta dalle armi sanesi, fu per battaglia dai Fiorentini liberata. Non era però ancora terminato l’anno 1253 quando l’esercito sanese si recava di nuovo contro Montalcino, e che il Comune di Firenze ordinava sopra Siena la marcia delle sue masnade, le quali strada facendo diedero il guasto ai dintorni della città, a varie terre e castella dalla Berardenga e della Scialenga innanzi di avviarsi a Montalcino per liberare cotesta terra dall’assedio de’Sanesi, e provvederla di vettovaglie.
    Né contenti di ciò, la stessa oste nell’anno seguente dopo aver soggiogato Pistoja
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    che volle si reggesse a parte guelfa, avviossi contro Siena, e di prima giunta fermossi davanti al castello di Monte-Riggioni, dove si accampò e tenne quel castello assediato finché dai due sindaci delle città respettive, adunati nella pieve di S. Donato in Poggio, sotto dì 31 luglio 1255 fu conclusa una pace e stabilita lega reciproca fra i due popoli, a condizione per altro che i Senesi non dovessero molestare più né la terra di Montalcino, né quella di Montepulciano.
    Ma quando Siena stabiliva con Firenze cotesta lega, dominava in quest’ultima città il partito ghibellino, capi del quale erano gli Uberti. – Appena però entrato che fu l’anno 1258 alcuni di cotesta famiglia con i loro seguaci, avendo tramato di rompere il popolo fiorentino che pendeva dalla parte guelfa, scopertosi il trattato, la plebe furibonda corse alle case degli Uberti, dove è la piazza de’Priori del palazzo vecchio, e presi, accusati e condannati alcuni di essi al taglio della testa, fu tutto eseguito in brevissimo spazio di poche ore. Allora si atterrarono i palagi e le torri de’congiurati, e sopra tutti gli altri quelli della casa Uberti; quindi nel giugno del 1258 vennero cacciati da Firenze, inclusive Farinata degli Uberti, forse il più gran politico della sua età. Dondeché tutta quella gente con molti altri nobili di contado e di città si rifugiarono in Siena, dove dai magistrati e dai cittadini furono favorevolmente accolti, stante allora i Sanesi retti a parte ghibellina ossia imperiale.
    Raccontano alcuni scrittori come la Signoria di Firenze inviasse ambasciatori al Comune di Siena per querelarsi di aver dato ricetto a tanti fuoriusciti esiliati  dalla loro città, e ciò in contravvenzione dei patti stabiliti nella lega del 31 luglio 1255: ma i Sanesi mossi non meno dal diritto delle genti, che dalla protezione del re Manfredi, col quale di corto avevano concluso un  trattato di alleanza, non diedero ascolto a tali reclami. Si aggiunge che per siffatto procedere la Signoria di 
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    Firenze tenendosi offesa e il popolo adontato, dichiarò al Comune di Siena quella guerra, che riescì per le conseguenze la più memorabile di tutte le altre nella storia delle repubbliche italiane del medio evo.
    Sebbene in questo come in ogni altro caso io soglia preferire a tutti gli storici di epoche posteriori gli scrittori contemporanei, fra i quali non trovo in quell’età che il fiorentino Ricordano Malespini, stato per avventura il primo storico che registrasse nelle sue cronache la battaglia e le conseguenze della giornata di Montaperto, con tutto ciò non debbo dissimulare che lo spirito di un caldo guelfo dovette influire sull’imparzialità di quel racconto. In vista di ciò spero di non meritar biasimo se mi giovo di alcuni documenti pubblici di quel tempo estratti dall’ Archivio Diplomatico di Siena , come quelli che mi parvero confacenti a rettificare alcuni racconti dello scrittore fiorentino.
    “In questi tempi (anno 1259) scriveva Ricordano Malespini al Cap. 163 della sua istoria, i Ghibellini usciti di Fiorenza, i quali eransi recati in Siena, ordinarono fra di loro di mandare ambasceria in Puglia al re Manfredi per averne soccorso, cui il re alla fine promise di dare cento cavalieri tedeschi, di che quegli ambasciatori, benché turbati da tale sì povero dono, per consiglio di messer Farinata degli Uberti, accettarono graziosamente la profferta di Manfredi, e tornati a Siena grande sbigottimento n’ebbero quegli usciti, ecc.”
    Che però il racconto del Malespini debba considerarsi alquanto diverso dal vero lo dà a conoscere un privilegio di Manfredi, dato in Luceria nel regno di Puglia nel mese di maggio del 1259 e diretto a Ildebrandino di Ugo del Palazzo, ambasciatore de’ Sanesi, inviato al re in nome di quel Comune con  Bulgaro di Postierla potestà e Bonifazio di Gorrano capitano del popolo sanese , a oggetto di prestare giuramento di fedeltà a quel re protettore. Il quale a imitazione di Federigo II di lui padre, con quel
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    diploma dichiarò dui prendere sotto la sua tutela la città, il contado, le persone e i beni dei Sanesi. – ( Loc. cit. Tomo VII delle Pergamene N°: 705 e 706 ).
    In conferma e appoggio di tutto ciò pochi mesi dopo Manfredi mandò il conte Giordano con titolo di suo vicario in Toscana e con 800 cavalieri tedeschi, i quali arrivarono in Siena nel dicembre del 1259. Arroge che la Signoria di Siena aveva proposto ed il consiglio del popolo sino al luglio 1258 approvato una riformagione sopra i nuovi fossi da farsi intorno alla città. – ( Loc. Cit. Pergamene N°: 695 e 709 ).
    Frattanto nella primavera del 1260 i Fiorentini feciono oste sopra Siena.
    Con un gran corredo di gente costoro, dopo aver preso in Val d’Elsa alcune terre e castella del territorio sanese, rivolsero il cammino verso la città accampandosi fuori di Porta Camullia.
    “Avvenne che in cotesto assedio (continua Ricordano) un giorno gli usciti di Fiorenza (nel 18 maggio del 1260) diedono mangiare ai soldati tedeschi di Manfredi ch’erano in Siena, e fattili bene avvinazzare con promettere loro grandi doni e paghe doppie, caldi di vino uscirono fuori vigorosamente ad assalire il campo de’nemici, e tale fu l’impeto de’Tedeschi, che pochi de’ Fiorentini  ebbero tempo a mettersi in arme, cosicché gli assalitori fecero all’oste gran danno, e molti pedoni e cavalieri presono la fuga”.
    Lo storico Malavolti fidando sopra uno scrittore anonimo vissuto vicino a quella età, diceva, che in quel fatto d’arme restarono morti intorno a 1300 de’ nemici, e dalla banda de’ Sanesi appena 270.
    Arroge allo stesso assalto, diversamente dai due opposti popoli e scrittori narrato, un decreto del giorno susseguente deliberato nel consiglio generale della Repubblica sanese adunato nella chiesa di S. Cristoforo, preseduto da messer Francesco Troghisi podestà di Siena per il re Manfredi, e da messer Rufredo dell’Isola capitano di quel popolo e
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    Comune, alla presenza del conte Giordano, quando fu risoluto che ai Tedeschi e al loro mariscalco si desse un regalo di 500 lire per menda delle armi e dei cavalli, non ché per ricompensarli della onorata prova da essi data nella giornata antecedente contro i nemici della Repubblica sanese, ordinando inoltre che i tedeschi stati feriti in quell’azione a spese pubbliche fossero medicati. – (malavolti, Istor. San. Parte II, Libro I. )
    Cotesto decreto pertanto annullerebbe quanto aggiunge il Malespini e dietro lui altri scrittori fiorentini, allorchè dopo l’assalto di sopra indicato, egli soggiunge: “Che i Fiorentini ravveggendosi presono l’arme alla difesa contro ai tedeschi, e quanti ne uscirono di Siena non ne campò niuno, e tutti furono morti, e la insegna di Manfredi presa e strascinata per lo campo, e recata in Fiorenza, e poco stette l’oste che tornò in Fiorenza. – (ricordano malespini, Opera cit. cap. 164.)
    Inoltre dalla deliberazione preindicata risulterebbe che fino dal maggio 1260 il cinte Giordano era in Siena in qualità di vicario regio in Toscana, e non già ch’egli vi arrivasse, come altri dissero, molto tempo dopo quella giornata con 1800 cavalieri tedeschi. Certo è però che nuove genti d’arme erano state richieste al re Manfredi da una deputazione inviata in Puglia dal Comune di Siena, il qual rinforzo giunse in Siena dopo il mese di maggio del 1260 in compagnia degli ambasciatori sanesi  e non già del conte Giordano, sicchè quel soccorso di nuova cavalleria tedesca fu reputato ai Sanesi bastante per difendersi dall’oste che i Fiorentini con le città e terre della lega guelfa toscana contro Siena preparavano.
    Quindi è che Firenze, dopo aver ricevuto l’aiuto promesso dai Lucchesi, Bolognesi, Pistojesi, Sanminiatesi, Pratesi, Sangimignanesi, Volterrani e Colligiani, i quali tutti erano in taglia col Comune prenominato, dopo ragunata cotanta numerosa oste, all’uscita di agosto del 1260 si partì da Fiorenza, menando seco per pompa il Carroccio
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    e in altro carro apposito la campana chiamata Martinella ; e andovvi (cito sempre il Malespini) quasi “tutto il popolo con le insegne delle compagnie, mentre non fu casa, né “famiglia che non vi si recasse, o a piede, o a cavallo, almeno un o due, e “di tali anche più per casa”.
    “Quando di adunarono tutte coteste genti in sul contado di Siena al luogo “ordinato, in sul fiume Arbia, chiamato Mont’Aperto, co’Perugini e “Orvietani venuti in ajuto de’ Fiorentini, si trovarono essere più di mille “cavalieri (più di 3000 dice Giovanni Villani) e più di 30000 pedoni. In “questo apparecchio si vuole che i fuoriusciti ghibellini i quali erano in “Siena, ricorressero all’inganno per tradire il Comune e popolo di Firenze, “parendo loro di aver poca gente a comparazione de’ Fiorentini…… “Avvenne pertanto che essendo la detta oste ne’ colli di Mont’Aperto, i savj “guidatori dell’oste attendevano che per li traditori di dentro fosse loro data “la porta promessa (di San Vieni , ossia Porta Pispini )…. Quando ( dalla porta stessa ) viddero uscire i tedeschi e gli altri cavalieri e il popolo di “Siena inverso loro con vista di combattere, isbigottironsi forte veggendo il “subito assalto da essi non preveduto; e ciò maggiormente, in quanto che “più Ghibellini del campo, vedendo appressare le schiere dei nemici, si “fuggirono dall’altra parte. Tali furono gli Abati e più altri, comecché i “Fiorentini con loro amistadi non lasciassero di far loro fronte e di attendere “la battaglia. Ma siccome la compagnia de’ tedeschi rovinosamente percosse “la schiera de’ cavalieri fiorentini  ov’era Bocca degli Abati traditore, questi “con la spada tagliò la mano a Jacopo de’Pazzi di Fiorenza il quale teneva “l’insegna  della cavalleria del Comune, e veggendo i cavalieri e il popolo “l’insegna abbattuta e il tradimento, si misono in sconfitta. E perché i “cavalieri in prima si avvidono del tradimento non rimasono di loro su
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    “campo oltreché 36 uomini di nome tra morti e presi. Ma la grande “mortalità e presura fu del popolo di Fiorenza a pié e dei Lucchesi e “Orvietani; e più di 2500 rimasono in sul campo morti, “e più di 1500 presi “di quegli del popolo e de’ migliori di Fiorenza me de’ “Lucchesi e “de’grandi amici loro; e così si domò (termina il Malespini) la “rabbia “dell’ingrato popolo di Fiorenza. Ciò accadde uno martedì, a dì 4 di “settembre 1260, e rimasevi il Carroccio e la campana detta Martinella con “molto arnese de’Fiorentini e di loro amistadi. Per la quale cagione fu rotto “il popolo vecchio che era durato (a Firenze) mercè tante vittorie in grande “stato per anni dieci”. – (ricordano malespini, Istor. Fior. cap. 167. )
    Di questa famosa battaglia molte descrizioni si trovano, parte inedite parte stampate, ma tutte di gran tempo posteriori all’epoca in cui accadde. Aggiungasi che i cronisti e storici sanesi hanno più degli altri e in vario modo, parlato rispetto al novero dei combattenti di una parte e dell’altra ed ai fatti relativi alla gran giornata.
    Era già l’esercito vittorioso tornato in Siena trionfante, e con incredibile letizia di quella popolazione accolto e festeggiato, allorquando arrivò in Fiorenza la novella della sconfitta dolorosa, accompagnata dal ritorno di miseri fuggitivi, nunzj della morte di tanti loro compagni, in guisa che, a confessione di Ricordano, scrittore allora vivente in essa città non fuvvi famiglia piccola o grande, cui non mancasse per tale sconfitta uomo morto o prigione, in modo da dover concludere che una lunga guerra politica terminasse con una breve battaglia”.
    In quell’anno medesimo fu riformata a stato ghibellino quasi tutta la Toscana, e fu compilato per la città di Siena un nuovo statuto che può dirsi per avventura il primo conosciuto sotto cotesto titolo esistente nei pubblici archivj, comecché di una legge statutaria di dieci anni più
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    antica divisa in 87 rubriche, sia stata da noi fatta menzione poco avanti.
    Si è detto che dopo la gran giornata dell’Arbia quasi tutta la Toscana fu riformata in parte ghibellina o imperiale, giacché ad eccezione di Pisa, di Siena e di Massa-Marittima tutti gli altri popoli e repubbliche  a quell’epoca confessavano l’opposto partito.
    Erano decorsi appena nove giorni dalla disfatta di Mont’Aperto quando molti Fiorentini con le loro donne e figli dovettero refugiarsi alcuni a Bologna, ma il maggior numero a Lucca. Nella stessa maniera i guelfi di Prato di Volterra, di Colle e di San Gimignano avviliti, si ritirarono a Lucca, in guisa che quest’ultima città rimase per qualche tempo sola e servì di asilo per dirla quasi il baluardo di tutta la parte guelfa della Toscana.
    Già da 28 anni indietro (1232) Siena aveva alquanto riformato il suo governo, ponendo alla sua testa una signoria composta di Nove governatori, uomini scelti fra i grandi popolani; ai quali riescì di governare la repubblica dal 1232 sino al 1260; ma in quest’ultimo anno essendo insorta una qualche turbolenza fra il magistrato de’Nove e i nobili delle prime famiglie di Siena aspiranti al regime della città, quel malumore si convertì in un’aperta ed ostinata ostilità, nella quale alla fine prevalsero i reggitori dello stato. Ciò nonostante questi si contentarono che entrasse in Signoria una parte dell’ordine popolano, e di quello de’gentiluomini. – (malavolti, Istor. Sen. P.I. Lib. V.)

    V. SIENA DOPO LA GIORNATA DI MONT’APERTO SINO ALL’ULTIMO SUO ASSEDIO

    Una delle prime imprese de’Sanesi vittoriosi fu contro la terra di Montepulciano, che il re Manfredi in segno della loro fedeltà, con suo diploma spedito da Foggia li 20 novembre del 1260, rilasciava in libero dominio al Comune di Siena. Infatti nella primavera susseguente l’oste sanese fu inviata a Montepulciano, sicché questo paese dopo qualche mese di assedio, nel luglio del 1261, trovossi costretto a capitolare, per effetto
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    di che gli assediati dovettero accordare facoltà ai Sanesi di costruire dentro la loro Terra una fortezza dalla quale fosse libera l’escita dalle mura castellane.
    La sconfitta di Mont’Aperto, della cui descrizione nel dicembre del 1836, e di corto nel gennajo del 1844, l’erudito tipografo sanese Giuseppe Porri ha pubblicato due narrazioni tratte da antichi MSS, quella sconfitta io diceva, fu per i guelfi della Toscana, se alle grandi si possono paragonare le minori cose, come la battaglia di Vaterloo per i Napoleonici della Francia; imperocché i ghibellini vincitori dopo il 4 settembre del 1260, furiosi e sitibondi di vendetta si gettarono sopra i paesi, sugli abitanti e i governi di parte guelfa disseminati per la Toscana, senza perdonare alle persone ed alle loro robe, mobili o immobili che fossero state; talché è fama doversi alla fermezza del potentissimo Farinata degli Uberti la soppressione del progetto fatto dai ghibellini magnati nel congresso d’Empoli, in cui proponevasi nientemeno che rovesciare e distruggere da capo a fondo Firenze, la città più insigne e la più eminentemente guelfa della Toscana. Checché ne sia tutta la possanza della repubblica fiorentina rimase da quella sconfitta abbattuta e annichilata al segno che per cieca rabbia i vincitori giunsero all’atroce barbarie di abbattere le sepolture per inveire perfino contro i morti, benché virtuosi cittadini. – Vedere firenze.
    Quasi tutti i paesi e città della Toscana, meno poche città, dopo il settembre del 1260 cangiarono governo e partito; nel tempo che Siena salita all’apogeo della sua gloria vedeva umiliati i popoli  che furono di lei più costanti rivali. Allora le cose pubbliche de’ Sanesi erano rette quasi dittatorialmente da un potente loro gentiluomo, Provenzano Salvani, perché , al dire dell’Alighieri,

                fu presuntuoso
    A recar Siena tutta alle sue mani
                                      DANTE, Purgatorio. C. II

    Così la pensava quel poeta che pose nel suo Inferno fra i traditori Bocca
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    degli Abati; e ciò nel empo medesimo che quasi tutta la Toscana ubbidiva al conte Giordano, poscia al conte Guido Novello, uno dopo l’altro vicarj generali del ghibellinissimo  re Manfredi.
    Vogliono non ostante alcuni dare al Provenzano maggiori virtù e più disinteresse a favore della sua patria, per essere stato cotal uomo dopo la giornata di Mont’Aperto siffattamente alieno dal tiranneggiare i Sanesi che non sdegnò di recarsi con altri cittadini  ambasciatore a San-Gimignano, e nel 1261 coprire l’uffizio di podestà di Montepulciano. Si crede altresì che a eternare la memoria di quella vittoria, la repubblica sanese coniasse le sue monete con la doppia legenda:  Sena Vetus – Civitas Virginis .
    Io non so poi se debba credersi in tutta l’estensione  dei termini quanto scrisse lo storico Tommasi ( Storia di Siena . P. I.) che per malignità d’alcuno de’ tempi suoi mancano gli atti pubblici del Senato sanese nell’ultimo semestre del 1260 tostoché trovansi in quell’Archivio  Diplomatico  alcune deliberazioni della Repubblica  sanese prese appunto nel secondo semestre dello stesso anno.
    Fra i quali documenti gioverà rammentare uno del dì 25 novembre 1260 relativo al trattato di pace e società fra i Comuni di Siena e di Firenze, stato poi approvato dai Fiorentini nel gennajo successivo.
    Nel 1261 continua ad esercitare in nome di Manfredi la carica del suo vicario in Toscana quel conte Giordano che ebbe tanta parte alla vittoria di Mont’Aperto, e ciò nel tempo stesso che un altro vicario regio disimpegnava in Siena l’uffizio di podestà. Infatti quando nel dì 10 novembre del 1261 la Signoria di Siena con i quattro provveditori dell’uffizio di Bicherna e il giudice assessore del consiglio del popolo, radunatisi nella chiesa di S. Cristoforo, accettarono in accomandigia il Castello, uomini e distretto di Batignano, presedeva a quella riunione messer Petricciolo da Fermo , vicario nella città di Siena per il conte Giordano suo podestà, mentre Guglielmo da
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    Pietracupa
    era capitano del popolo e Comune sanese. Citerò anche un atto di procura del 3 agosto del 1262, col quale il nobile Pepone de’Visconti di Campiglia d’Orcia prestò giuramento di fedeltà al Comune di Siena alla presenza di messer Francesco Simplice allora podestà di detta Repubblica, e vicario generale in Toscana pel re Manfredi.- (MALAVOLTI, Istor. Sen. P.II. Lib. II)
    Nell’anno stesso 1262 essendo capitano del popolo sanese messer Gherardino de’ Pii , molti nobili di contado dovettero sottoporsi al Comune predetto; non eccettuato il conte Bonifazio degli Aldobrandeschi di S. Fiora, il quale non solo fu costretto a rinnovare i patti di accomandigia del 17 maggio 1251, ma sottomettersi al governo di Siena a condizione anche più servili; fra le quali una fu quella di obbligarsi a terminare il palazzo che aveva incominciato a edificare in Siena nel popolo di S. Andrea, contiguo alle mura castellane nel luogo oggi detto Catellare de’ Malavolti .
    Frattanto la città di Lucca nel tempo che trovavasi obbligata dalla forza predominante di sottoporsi al pari di molti altri paesi della Toscana  e quindi collegarsi alla taglia de’ ghibellini  coll’adottarne i principi oligarchici, nel tempo stesso il Pontefice Urbano VI preparava la rovina della casa imperiale di Svevia egida e refugio di tutti i ghibellini d’Italia, e segnatamente di quelli di Toscana.
    I primi passi tendenti ad abbattere la potenza di quella dinastia sovrana furono fatti nel 1263, allorché Urbano VI adunava un concilio in Viterbo per esibire il regno delle due Sicilie a Carlo d’Angiò, fratello di Lodovico (il santo) re di Francia.
    Fu per effetto di una politica siffatta che il partito imperiale difeso e sostenuto dai ghibellini andò di mano in mano declinando a segno di trovarsi costretto a cedere ai guelfi la supremazia politica in Toscana, dove il numero de’liberali, fino allora oppressi dalla forza, ogni giorno più si faceva forte ingrossando.
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    – E’ cosa notabile per la storia della nostra penisola quella di vedere espulsa e finalmente estinta la casa sovrana di Svevia per effetto specialmente dell’odio di Urbano VI verso i discendenti di Federigo II. Il quale avvenimento rendesi anche più singolare, allorché si riflette che nell’anno stesso in cui si chiamava nella bassa Italia Carlo di Angiò per esservi incoronato in re delle due Sicilie,  in quell’anno appunto si eleggeva in arcivescovo di Milano Ottone Visconti, origine precipua della fortuna e possanza dei principi potentissimi di quella prosapia nella Lombardia.
    All’invito del Pontefice Clemente VI, successo di papa Urbano, Carlo d’Angiò nella primavera dell’anno 1265 partì dalla Provenza per mare accompagnato da venti galere e da uno scelto numero di milizie; lo che obbligò Manfredi a richiamare nel regno il maggior numero della sua cavalleria tedesca, e tutti i soldati sparsi per la Toscana e per le marche. In vista di ciò il Comune di Siena somministrare dovette un numero di milizie in servizio del re Manfredi, come risulta da un atto dell’11 febbrajo 1265 ( stile comune ) esistente nell’ Archivio Diplomatico Senese, T. VIII. delle Pergamene ( N°. 789 )
    Quindi sulla fine dell’estate dello stesso anno scese per le Alpi della Savoja in Italia un’armata francese, destinata contro il figlio naturale di Federigo II da Clemente IV scomunicato, alla quale oste al pari che a chiunque uomo si fosse recato a combattere contro Manfredi, il Pontefice medesimo riprometteva indulgenze  plenarie.
    Ad un esercito siffatto che ingrossavasi a proporzione del suo avvicinamento a Roma, si unirono 400 cavalieri Guelfi fuoriusciti di Firenze dei quali fu fatto condottiero il conte Guido Guerra di Dovadola, nel mentre che l’altro suo cugino in Conte Guido Novello di Modigliana, esercitava in Toscana l’uffizio di vicario per re Manfredi.
    Ma l’ora estrema del governo della casa Sveva in Italia era per battere; e cotest’ora fatale suonò nel giorno 26 febbrajo del 1266 (
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    stile comune ). Fu nei campi di Benevento, fu in quell’ultimo cimento dove rimase estinto lo sfortunato e coraggioso Manfredi il cui corpo esangue venne scoperto e riconosciuto dopo tre giorni tra i cadaveri dei vinti. La morte do Manfredi appena divulgatasi, recò tanta sorpresa che poche furono le città le quali avessero coraggio al racconto de’successi prosperosi di Carlo di Angiò di restare fedeli al partito ghibellino. Di quest’ultime fu la città di Siena, e ad onta del minacciato interdetto pontificio, non ostante che l’emula sua vicina avesse riformato il governo a parte guelfa, e che perfino i Pisani cercassero di rimettersi alla discrezione del papa, dal quale erano stati scomunicati, contuttociò il governo sanese, dopo la morte di Manfredi. Arroge che Carlo d’Angiò, nuovo re di Puglia, ad oggetto di abbassare e comprimere il partito imperiale, aveva spedito in Toscana per suo vicario e maresciallo il conte Guido di Monfort con 800 cavalieri francesi. In conseguenza di ciò nel luglio del 1267 il detto conte, e poi lo stesso re Carlo con vigorosa oste unita a quella dei Fiorentini ricominciarono la guerra contro i Sanesi e tutti i ghibellini che in essa città e in Poggibonsi  eransi refugiati.
    L’unica speranza degl’imperiali d’Italia e degli esuli ghibellini era riposta in Corradino nato da Corrado figliuolo legittimo dell’Imperatore Federigo II.
    A lui perciò i ghibellini della Toscana, quelli dell’Italia superiore e inferiore inviarono messi in Germania per sollecitarlo come legittimo pretendente di venire a riprendersi il regno avito. A questo fine il giovinetto Corradino col titolo ch’egli assunse di re di Sicilia calò a Verona accompagnato da qualche migliajo di truppe, le quali a poco a poco per mancanza di paga tornarono in gran parte in Germania.
    Ma in questo frattempo il Pontefice Clemente IV faceva di tutto per distaccare i popoli italiani dal partito di Corradino; e l’ Archivio Diplomatico di Siena conserva una bolla di quel Pontefice data in Viterbo
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    gli 11 maggio del 1267, diretta al podestà e Signoria di Siena, affinché cotesto popolo obbedisse ai comandi apostolici.  In conseguenza di ciò nel I dicembre del 1267 i rappresentanti del Comune sanese e della parte ghibellina di Toscana elessero in capitano generale per cinque anni Enrico figlio del re di Castiglia, allora senator di Roma con l’annuo salario di 10,000 lire, oltre la promessa di pagare soldi 10 il giorno a 200 soldati spagniuoli. – (archivio diplomatico sanese, delle Pergamene, T. IX. N°. 858 e 871. )
    Contuttociò i Sanesi con altri ghibellini della Toscana poco dopo inviavano al giovine Corradino circa 100,000 fiorini d’oro, e di altri denari fu anche provvisto dallo stesso governo nella primavera del 1268, allorché gli pagò per saldo onze 4200, come da ricevuta dello stesso Corradino data in Pisa li 14 maggio dell’anno 1268. – (archivio diplomatico sanese, Pergamene, T. IX, N°. 874 )
    Accresciuto di mezzi e di forze Corradino partì da Pisa per Poggibonsi e Siena, dove intese il primo fatto d’armi favorevole ai suoi accaduto nel Val d’Arno superiore al Ponte a Valle. Gran rumore fece per la Toscana cotesta piccola battaglia, per cui ne montarono in superbia i ghibellini che prognosticarono da quella al nipote di Federigo II fortune maggiori.
    Fu allora che i Sanesi saliti in grandi speranze si diedero a mozzare torri ed atterrare palazzi ad alcune famiglie potenti sospette. I libri della ragione tra quelli di Bicherna , segnano che nell’anno 1268 seguì il disfacimento di un palazzo de’ Tolomei, donde furono levate 13 colonnine di marmo e 26 fra basi e capitelli. – (bicherna, Libro d’Entrata e Uscita. L. già B. fol. 25 e 26 )
    Continuò il suo viaggio da Siena Corradino alla volta di Roma, senza far caso alcuno delle scomuniche contro lui da Clemente IV nel giorno del giovedì santo in Viterbo fulminate, il quale Pontefice si
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    vuole predicesse la rovina di Corradino, compassionando l’incauto giovane come una vittima che avviavasi al sacrifizio.
    Ben presto cotali pronostici si avverarono nel campo di Tagliacozzo, dove nel 23 agosto del 1268 con strana mutazione di scena si vide rivoltare la vittoria dalla parte degli Angioini con la prigionia dell’infelice giovane Corradino, che poi nell’ottobre successivo dovette lasciare sopra un palco il capo reciso dal carnefice, e così finire la nobilissima  casa di Svevia non senza infamia del fratello di un santo re.
    Giunta in Toscana la nuova della sconfitta di Tagliacozzo e della prigionia di Corradino, non è da dire in quale avvilimento cadessero i ghibellini, nel tempo che grandi feste si facevano dai guelfi che già da due anni erano tornati a dominare sulla maggior parte della Toscana. Due sole città capitali di due repubbliche, cioè Pisa e Siena, dopo la morte di Corradino non solamente non innalzarono lo stendardo dei gigli francesi, ma il Comune di Siena, dopo aver raccolto un esercito di Tedeschi e Spagniuoli scampati alla battaglia di Tagliacozzo e dopo aver affidato al comando di Provenzano Salvani quanti fuorusciti ghibellini poté radunare, nel giugno dell’anno 1269 dichiarò la guerra ai Fiorentini portando l’oste sotto la Terra di Colle in Val d’Elsa.
    A tale avviso si mosse da Firenze il vicario del re Carlo d’Angiò accompagnato da soldati di sua nazione, da quelli de’Fiorentini e da molti altri inviati dai paesi della taglia guelfa toscana.
    Ostinata e terribile riescì la battaglia, nella quale restò rotto e sconfitto l’esercito ghibellino con grandissima perdita de’ Sanesi, ai quali si può dire che il di 11 giugno dell’anno 1269 riescì quasi altrettanto funesto sull’Elsa, quanto il dì 4 settembre dell’anno 1260 era stato sull’Arbia disastroso ai guelfi e specialmente ai Fiorentini.
    Pochi de’ vinti si salvarono; e Provenzano Salvani, colui che nove anni innanzi aveva molto contribuito alla vittoria di Mont’Aperto, nella battaglia sotto Colle fu preso e trucidato, ed il suo
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    capo portato in giro sopra una picca pel campo de’ vincitori. Per quanto cotesto uomo sommamente influisse sul governo politico della sua patria, egli si rese commendabile nella storia per un atto di somma pietà da esso poco tempo innanzi esercitato, allorchè  fatto prigione dall’esercito Angioino un di lui amico, e messogli la taglia di 10,000 fiorini  per chi volesse riaverlo, alla pena non pagandoli dentro un tempo determinato di fargli perdere la testa, Provenzano disteso un tappeto sulla gran piazza di Siena, si pose ad accattare il danaro dagli amici e parenti, talché raccolta per tal mezzo la somma voluta, liberò dalla prigionia e dalla morte l’amico prigioniero. – (ammir, Stor. Fior. Lib. III )
    Dopo la vittoria riportata a Colle i Fiorentini tentarono di aprire pratiche di pace, affinché i guelfi fuorusciti fossero ammessi anco in Siena; lo che si ottenne nel 1270 mediante un trattato fra le due città.
    Fu in conseguenza di ciò che i Sanesi nell’aprile del 1271 dovettero pagare al vicario del re Carlo d’Angiò in Toscana 6000 onze d’oro per ottenere con tale sborso la grazia e protezioni di quel sovrano, a condizione che ai fuorusciti ghibellini non si restituissero i beni senza suo ordine; e due anni dopo (14 giugno del 1273) per mezzo di un sindaco i Sanesi promettevano di obbedire agli ordini della Santa Sede Apostolica, onda ottenere l’assoluzione dalle censure minacciate dai Pontefici Clemente IV a cagione dell’ajuto dato all’infelice Corradino e da Gregorio X rinnovate per non avere voluto riconoscere il re Carlo di Sicilia nominato da quel Papa vicario imperiale in Toscana.- (archivio diplomatico sanese, T. X. delle Pergamene N°. 886 e 899. )
    Ma disgraziatamente non passò gran tempo che i guelfi fuoriusciti, e riammessi in Siena, poco o nulla curando i patti della pace fra i due Comuni ristabilita, istigati dal conte Guido di Monfort, scacciarono dalla città gli antichi ghibellini.
    Sennonché nel giugno del
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    1273 per opera del Pontefice Gregorio X, mentre egli passava da Siena per recarsi a Lione, i ghibellini furono restituiti alla patria e riammessi a parte delle prime magistrature.
    Peraltro pochi giorni dopo la partenza di Gregorio X, tutto ciò che per cura di lui fu fatto venne guasto e rovesciato in guisa che i ghibellini dovettero di bel nuovo abbandonare questa città; per la qual cosa il Pontefice fulminò nuova scomunica al popolo sanese. Intanto gli espulsi ghibellini raccoltisi nella maremma massetana danneggiavano il più che potevano i paesi del dominio di Siena, di maniera che i reggitori della repubblica (anno 1276) inviarono l’oste contro il Castello di Prata, fatto asili di banditi e tanto l’oste vi stette che lo ebbe a patti. Quindi la Signoria di Siena cominciò a prender parte nel regime politico di Massa cercando ogni modo di avere quel Comune a sé soggetto. Nell’anno 1277 furono rinnovate le capitolazioni con la città di Grosseto, e nel gennajo del 1280 ( stile comune ) con la mediazione del Cardinale Latino si conclusero nuove trattative di pace con il Comune di Firenze.
    Quantunque la parte guelfa è la più popolare avesse preso il sopravvento in Siena, dove nel 1280 la Signoria venne portata al numero di 15 governatori tutti dell’ordine popolano , non per questo gli altri ordini della città, né i ghibellini di corto rientrati si erano acquietati, e tanto essi brigarono che l’anno di poi furono espulsi da Siena diversi signori di case magnatizie ed altri capi di fazione ghibellina per aver tentato di impadronirsi delle redini del governo.
    Ma nuovi segni di perturbazioni politiche apparivano nell’anno stessi in Sicilia, quando gli abitanti di Palermo dalle vessazioni, dalla superbia e dalla libidine  de’ Francesi irritati a un suono di vespro fecero man bassa sopra quanti incontrarono per via di quella nazione.
    Fu in conseguenza di ciò che i 15 governatori di Siena dopo l’avvenimento del vespro siciliano,
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    che indebolì moltissimo in Toscana il partito guelfo nel tempo che rianimava quello de’ suoi rivali, con deliberazione del 16 maggio 1282 inviarono parte delle loro masnade ad assalire e disfare i castelli del contado, ch’erano stati di asilo a molti ghibellini  esiliati  o ammoniti.
    Arroge a ciò come a varie città e terre della Toscana, per quanto si fossero ridotte a reggimento libero, pure non vi si poterono se non dopo la morte di Manfredi, stabilmente riposare. Quindi è che essendo stato vacante per lunghi anni l’impero, Siena al pari di altre repubbliche con la protezione degli Angioini di Napoli poté liberarsi da una soggezione immediata all’Imperatore Ridolfo. Il quale dopo le premurose rimostranze del Pontefice Niccolò III, che fruttarono la libera cessione alla Santa Sede di tutta la Romagna, e dopo che il re Carlo d’Angiò ebbe rinunziato al vicariato della Toscana, quell’imperatore rivestì del titolo di suoi vicarj quasi tutte le Signorie delle repubbliche di cotesta parte d’Italia, previo il pagamento alla corte Aulica di una somma annua in contanti a titolo di tributo o regalia. 
    L’Archivio Diplomatico Senese conserva tra le sue pergamene (T. XI. N°. 1002) un lodo del 23 ottobre 1280 dato in Siena da Jacopo di Bagnorea podestà, e dai 15 governatori di quel Comune, col quale si conclusero gli articoli della pace incominciata fra i guelfi di dentro e i ghibellini fuoriusciti.
    In virtù pertanto di quel lodo, fu stabilito, che chiunque cittadino fosse stato al servizio della Repubblica sanese, e che dall’agosto p.p. non avesse ricevuto condanna di ribelle, potesse ritornare in Siena; che ai fuorusciti di dentro non fosse permesso tener in casa alcun barone , o grande ; che tutte le persone di casa Salvani, Guinigi, e ( ERRATA : Bonsi ) Bonsignori innanzi di tornare in Siena dovessero ratificare la pace fatta dalò loro sindaco con quelli di
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    casa Tolomei ; e che la stessa cosa facessero quelli delle case Incontri, Forteguerri e Piccolomini , col dare mallevadori con l’osservanza di dette paci. Inoltre si volevano far contrarre matrimonj e parentadi fra le dette famiglie e altre nobili di Siena; finalmente a chi rompeva coteste paci si minacciava la pena del capo; oltre l’ordine di abolire la memoria delle parti Guelfa e ghibellina , con tutti gli statuti, libri, sigilli, ecc. spettanti a dette parti sotto pene ed arbitrio de’15 governatori del Comune.
    Sennonché in questo frattempo essendo morto il Pontefice Niccolò III promotore di simili paci tra i diversi partiti in Toscana, si videro i fuorusciti poco dopo tornare all’armi, per cui i guelfi con l’appoggio della plebe sanese cacciarono nuovamente i ghibellini stati di corto riammessi in patria.
    In conseguenza di ciò il partito vincitore prese tal sopravvento che restrinse al numero di Nove i 15 governatori, chiamandoli i Nove Difensori , ed escludendo da quella magistratura gli ordini non popolani. Quindi i Nove unitamente al consiglio del popolo trattarono della redazione di un nuovo statuto che fu rogato li 7 luglio 1288, mentre era podestà di Siena per la seconda volta il conte Guido Salvatico di Dovadola. Del quale statuto il Muratori pubblicò alcune rubriche relative all’elezione, alle ingerenze ed al sindacato del podestà e de’ suoi uffiziali. – ( Ant. M. Aevi, Dissert. 47 )
    Se però le rivoluzioni avvenute nella Sicilia, le vicende delle guerre favorevoli anzichenò ai governi ghibellini di Pisa e di Arezzo, il fatto d’armi accaduto nel 1288 al passo della Pieve al Toppo a danno grande delle truppe sanesi, se tuttociò èpoté rianimare lo spirito de’ghibellini,  dall’altra parte ogni loro audacia venne compressa e fiaccata nel dì 11 giugno del 1289 alla battaglia di Campaldino per opera de’ Fiorentini e de’Sanesi di parte guelfa; in
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    conseguenza della quale la Repubblica di Siena s’impossessò nello stesso mese della Terra di Lucignano in Val di Chiana,  e poco dopo di molte altre castella nella maremma sanese.
    A rendere più solenne cotesto trionfo concorse l’arrivo in Toscana del re di Napoli Carlo II reduce dalla Francia, il quale in Siena al pari che in Firenze fu splendidamente ricevuto e festeggiato.
    Aveva già Papa Celestino V fatto il gran rifiuto , quando il suo successore Bonifazio VIII nel 28 ottobre del 1299 inviava da Rieti una bolla al podestà ed ai signori Nove di Siena per transigere con quel governo rispetto al pagamento di 8000 marche d’argento (40,000 lire) cui qualche anno innanzi i Sanesi erano stati dal Pontefice Urbano IV condannati. - Vedere radicofani.
    Frattanto sorgeva il secolo XIV che può dirsi il più bel secolo per le repubbliche e città toscane; nel quale periodo fiorirono un Castruccio, un Arnolfo da Colle, un Giotto, un Dante, tre Villani, un Petrarca ed un Boccaccio, per non dire di un Giovanni e Andrea Pisani, di un Simone Merumi, o di Martino, pittore sanese, e di Simone Tondi pur esso da Siena, di costui cioè che forse fu il primo a darci un’idea di statistica, tralasciando di moltissimi altri ingegni toscani celebri ed eminentemente noti.
    Non era ancora a mezzo il suo corso l’anno 1303, allorché un potente magnate sanese di origine salica ( Musciatto Franzesi ) accolse nel suo castello di Staggia il Cavalier Nogarèt ministro di Filippo il Bello re di Francia, accompagnato da una schiera di soldati, i quali travestiti si inoltrarono insieme ad altri nemici del Pontefice Bonifazio VIII fino alla città d’Anagni, e allora sua residenza, dove di nottetempo quel Papa fu sorpreso, arrestato e condotto prigione in Roma; talché presto fra il dolore e il furore al Pontefice Bonifazio VIII mancò la vita.
    Cinque anni dopo per reprimere l’audacia e render
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    vani i maneggi delle famiglie magnatizie che in Siena miravano a signoreggiare sul popolo, il magistrato de’Nove ordinò la riduzione delle tante contrade , o compagnie, che già esistevano in cotesta città, e delle quali gioverà ch’io dica qualche parola.
    La città di Siena sino da quel tempo repartivasi come attualmente per Terzi e per contrade, ed ogni contrada al suono della campana pubblica eleggere doveva i suoi uffiziali, cioè un capitano ed un alfiere, cui presedeva il gonfaloniere del Terzo, nel quale erano comprese le respettive contrade. Nei casi di sollevazione o di pericolo esterno il popolo di ciascuna contrada si armava e con le insegne proprie accorreva al palazzo pubblico per eseguire quanto dai reggitori del Comune veniva loro comandato.
    All’effetto medesimo furono organizzate le compagnie nelle Masse (suburbii di Siena) e nei vicariati del contado sotto il comando de’centurioni, o capitani, e de’ respettivi alfieri, o porta bandiere .
    Cotesta istituzione delle contrade di Siena mi sembra il modello, se non è piuttosto una imitazione dei 16 gonfaloni delle arti introdotti nel secolo XIII in Firenze. – Le contrade di Siena ridotte attualmente a 17 sono conservate per fare una comparsa totalmente teatrale nei giorni che precedono di poco quelli in cui hanno effetto due grandi corse entusiastiche dei loro fantini, che si eseguiscono nella gran piazza del Campo nel secondo giorno di luglio e nel dì 16 di agosto di ciascun anno. MA per tornare alla storia dirò qualmente a speranza del partito ghibellino nel 1311 calava in Italia a prender la corona imperiale Arrigo VII dio Lussemburgo, nemico acerrimo dei guelfi, i di cui governi voleva totlamente disfare. Siena e Firenze furono in Toscana le due città che chiusero le porte in faccia al troppo ghibellino imperatore, e il magistrato dei Nove tornò a pubblicare il bando di esclusione  dei nobili dagli uffizi pubblici. Di ritorno dall’inutilmente tentato
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    assedio di Firenze, l’esercito di Arrigo VII poco dopo marciò verso Siena dando il guasto a tutte le ville di quei suburbj, quando a quel Cesare reduce dai bagni di Macereto in Buonconvento si estinse la vita per liberare da un gran timore il governo sanese e tutte le repubbliche guelfe della Toscana.
    Così i signori Nove, i quali fino allora si erano trattenuti dal castigare i mal contenti fuggiti da Siena, o  che avevano macchinato di dare la città in mano ai nemici, poterono dopo la morte di Arrigo VII ordinare ai capi della loro oste di recarsi a soggiogare tutti i castelli nei quali si erano rinchiusi quei rivoltosi di ogni munizione provvisti.
    Ma la città di Siena, a pari della rivale Firenze, aveva dentro delle potenti famiglie ghibelline. Tale era quella dei Salimbeni contro l’altra guelfa de’ Tolomei, tanto che a onta del lodo del 1280 di sopra riportata, nel 16 agosto del 1315, giorno destinato alla festa della giostra e poi della corsa nella piazza del Campo, in quel dì appunto molti Tolomei riscontrandosi con altri di casa Salimbeni si affrontarono, si ferirono e si uccisero, sicché mettendosi in arme anche il popolo, chi da una banda e chi dall’altra parteggiava. Arrestò alquanto le conseguenze di tanta ostilità l’arrivo in Siena del principe di Taranto fratello del re Roberto di Sicilia; ma la vittoria riprtata nel 29 agosto del 1315 da Ugoccione della Faggiola sotto Monte-Catini rianimò i ghibellini tutti della Toscana, sebbene questi non ritraessero gran profitto da sì favorevole giornata. Avveganché non fuvvi città della lega guelfa, della quale allora anche Siena faceva parte, che ad onta delle discordie cittadine il suo governo popolare minimamente alterasse.
    Che se il vincitore di Monte-Catini, se il gran ghibellino che rinnovò tra i campi di Val di Nievole  la sconfitta di Montaperto, se il Faggiuolano fosse stato, dirò con il Malavolti, così prudente nel governare gli stati come mostrò di essere valente
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    nell’arte militare, non vi ha dubbio alcuno che dopo quella luminosa vittoria egli diventar poteva l’arbitro della Toscana. All’incontro Ugoccione venne espulso in un giorno stesso da Pisa e da Lucca, due città sulle quali egli dominava, nel tempo che la sua cacciata rianimò e fu di sommo conforto ai governi di parte guelfa in Toscana.
    Vedendosi in Siena le cose de’ guelfi andare prosperamente, varie famiglie nobili  incominciarono a tornare all’obbedienza della Signoria. Di cotesto numero furono nel 1320 messer Deo de’ Tolomei e messer Francesco de’ Salimbeni con altri loro aderenti; ma due anni appresso essendosi rinnovato tumulto contro il reggimento e’ Nove da molte persone dell’ordine e della classe del popolo, una parte di quei rivoltosi fu presa e decapitata, mentre ad altri fuggitivi fu dato il bando e dichiarati ribelli. Accadeva ciò poco tempo innanzi che i soldati della lega guelfa di Toscana ricevessero in Val di Nievole altra più solenne disfatta all’Altopascio da Castruccio Antelminelli, capitano e politico il più valente della sua età, per la quale molti della lega guelfa rimasero morti, o furono avvinti al carro del trionfante vincitore.
    Quindi la città di Siena, al pari di Firenze, avendo adottato in suo vicario il duca di Calabria, figlio del re Roberto di Napoli, i Tolomei e i Salimbeni ad insinuazione dello stesso duca nel luglio del 1326 stabilirono per un quinquennio tregua scambievole.
    Dice lo storico Malavolti, che due anni dopo (1328) il magistrato di Siena ordinò il censimento delle famiglie della città, mentre era capitano del popolo messer Guido Ricci da Reggio: Ignoro per altro su qual base egli si appoggiasse per asserire che allora il Terzo di Città , diviso in 20 compagnie o contrade , contava 4227 famiglie; che nel Terzo di S. Martino si trovavano oltre 20 compagnie con 3120 famiglie; e che nel Terzo di Camollia esistevano 19 compagnie con 4364 famiglie, sommando in quell’anno la
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    città di Siena fino a 11711 capi di famiglie, ripartiti in 59 compagnie, nelle quali però erano compresi anche i nobili. (malavolti, Istor. San. Parte II. Lib. V. )
    Nell’anno predetto 1328 il capitano del popolo Guido Ricci condusse l’oste sanese all’impresa del Castello di Montemassi, che non senza fatica potè alla repubblica conquistare. Il qual fatto fu poi dipinto nel palazzo pubblico di Siena nella sala del consiglio per opera del celebre Simone di Martino, comunemente appellato Simone Memmi.
    Fu pure durante il capitanato di cotesto Guido de’ Ricci, stato più volte confermato, quando nell’aprile del 1329 essendo insorto tumulto nella plebe a cagione di una gran carestia, vennero cacciati da Siena i mendichi, non senza pericolo della vita di quel capitano che con la forca e con la corda trovò il mezzo di vendicarsi. – (giovanni villani, Cronica Lib. X.. cap. 118. – domenico lensi biadajolo, MS. inedito intitolato specchio umano, dal Marchese Tempi testé donato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze ).
    Non rammenterò una pace trattata in Volterratra i sindaci sanesi e pisani nell’agosto 1330, stanteché essa non ebbe effetto che tre anni dopo; non dirò in qual modo i Massetani, che erano in lega con i Pisani, nel 1335 si dassero ai Sanesi.
    In quel frattempo dopo la nuova elezione della Signoria di Siena essendo stato eletto in priore dei Nove il cittadino Simone d’Iacopo Tondi, questi di commissione de’ suoi colleghi recossi a perlustrare il dominio sanese, della qual visita diede relazione al governo, ed il cui sunto leggesi stampato nella storia pubblicata da Giugurta Tommasi, il qual sunto più in certo modo reputarsi il più antico saggio di statistica economica fra noi comparso alla luce.
    Frattanto il Comune di Siena, stante le guerre e le spese gravose, nelle quali la Repubblica fiorentina era involta, soccorreva quest’ultima di gente e di denari, specialmente allorquando nel luglio del 1343 da Siena
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    fu inviata gente armata a Firenze per dare un braccio alla cacciata del duca d’Atene.
    Era stato di buon augurio ai Sanesi l’anno 1337 stante la pace con generale soddisfazione fatta in pubblico parlamento fra i Salimbeni ed i Tolomei, due potenti famiglie, sebbene mancasse di effetto tra i Malavolti ed i Piccolomini; ma riescì altrettanto tristo l’anno 1339 a cagione della peste bubbonica, per cui nella città perirono molti dei più reputati cittadini. Però assai più fatale e più desolante fu quello della peste del 1348, in conseguenza della quale, scriveva un contemporaneo sanese Angiolo di Tura  chiamato il Grasso , sembra che morissero di quel contagio fra Siena ed i borghi ( Masse ) più di 80,000 persone!!!. ጠ Dal luglio infino all’ottobre del 1348 (aggiunge lo stesso cronista) “ quella peste fu talmente micidiale che morivano uomini e donne quasi di subito; ed io Agnolo di Tura sotterrai i miei figlioli in una fossa con le mie mani, ed il simile fecero molti altri”. – (muratori Cron. di Andrea Dei in Rer. Italic. Script. T. XV. )
    Più discreto per altro apparisce un altro scrittore anonimo pure sanese citato dal Benvoglienti  nelle note alla cronica di Andrea Dei, il quale dice che nella peste del 1348, di 65,000 bocche che allora faceva Siena (escluse le Masse ) ne rimasero vive 15,000. – ( Oper. cit. ivi. )
    Frattanto si avvicinava il tempo di una nuova riforma provocata dal popolo minuto per tacito consenso dell’Imperatore Carlo IV arrivato in Siena nella vigilia della Santissima Annunziata del 1355, sicché nel giorno appresso (25 marzo) con grandissimo tumulto si videro cacciati dal palazzo pubblico i signori  Nove, in luogo dei quali entrò alla testa del governo l’arcivescovo di Praga col titolo di vicario imperiale, assistito da una Balia di venti cittadini, dodici dei quali  dell’ ordine del popolo e otto dell’ ordine
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    de’ gentiluomini. Riformato in tal guisa il governo di Siena Carlo IV proseguì il suo viaggio a Roma.
    Così alle grandi sventure naturali della peste e della carestia si aggiunsero le civili, come fu questa del 25 marzo 1355 portata ai Sanesi dal cambiato governo, cambiamento forse il più fatale alla loro libertà, siccome apparirà dal seguito dei de’ fatti istorici.
    I venti eletti di Balia sei giorni dopo (31 marzo 1355) ordinarono un magistrato di Dodici (quattro per terzo) i quali con piena autorità dovevano risedere in palazzo al pari de’ signori Nove per decidere gli affari di stato con l’assistenza e voto di 12 buonomini di famiglie nobili, stati eletti essi pure, quattro per ogni terzo; e questi ultimi costituirono il collegio che in  seguito appellossi de’ dodici gentiluomini .
    Arroge a ciò come nel giorno 17 del mese di aprile successivo fu organizzato un consiglio generale composto di 400 cittadini, dei quali 150 dell’ordine dei nobili e 250 di quello dei popolani, a condizione che questi ultimi non fossero appartenuti a famiglie dell’ordine de’ Nove; il qual consiglio  doveva ogni sei mesi essere cambiato.
    Era in cotesto modo sistemato il regime rappresentativo della Repubblica di Siena quando Carlo IV, dopo la sua incoronazione vi fece ritorno, sicché trovando la città involta nelle solite discordie fra nobiltà e il popolo, credette opera facile di potervi stabilire per suo luogotenente e governatore supremo di Siena e suo stato un di lui parente, il patriarca d’Aquileia. Dondeché Cesare giovandosi del favore della plebe riesce ad ottenere agevolmente che la Balia, i signori Dodici e il consiglio de’400 riconoscessero nel patriarca un nuovo padrone, e che rinunciassero al loro uffizio tre settimane dopo esservi stati chiamati.
    Ma non era facile ad un patriarca disarmato poter tener il giogo sul collo a cittadini fervidi ed usati alla scelta de’ magistrati propri. Infatti appena di tre giorno Carlo IV erasi allontanato da Siena, che
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    quel popolo corse all’armi per rimettere in palazzo i signori Dodici, sicché innanzi che terminasse il mese di maggio il patriarca di Aquileja fu costretto a rinunciare al governo della città e del territorio sanese.
    Frattanto da coteste rivoluzioni politiche varie città e terre del contado presero occasione di liberarsi dei Sanesi. Tali furono le città di Grosseto e di Massa, le terre di Montepulciano, di Montalcino, di Casole e non poche altre, comecché Cesare poco tempo dopo a forza di genti estranee e di armi non proprie la capitale del dominio senese sapesse riacquistare.
    Allora il magistrato dei signori Dodici nel dì 1 luglio del 1355 fu aggiunto un capo, il capitano del popolo, del di cui arbitrio dipendevano i capitani delle compagnie, ossia contrade, ed i centurioni delle Masse ; talché in luogo del solito capitano del popolo scelto fino allora ogni sei mesi forestiero, fu eletto ogni due mesi nazionale dell’ordine  popolare.
    E’ altresì vero che le compagnie del popolo sanese non erano più quelle che con tanto valore e senza essere salariati figurarono nei campi di Montaperto; non più il campanone della torre del Mangia chiamava i cittadini all’armi per difesa de’ nemici esterni piuttosto che per spegnere i tumulti interni; cangiò col tempo la maniera di vivere e di dominare; si volevano delle soldatesche prezzolate, si volevano delle compagnie estere di masnadieri, di cui per buona sorte, non  si contano più in alcuni luoghi dell’Italia che i Lanzi della Svizzera, mentre da quelle compagnie di soldati avventurieri gl’Italiani, dopo il secolo XIV, ebbero a soffrire per lunga età conseguenze lacrimevoli e dolorose.
    Il Comune di Siena fu uno dei primi a risentirne i dannosi effetti, allorché la Repubblica fu messa a discrezione di una numerosa compagnia di masnadieri guidati dal cavalier provenzale Fra Monriale, cui cadde nell’animo di raccogliere una buona massa di soldati, tanto a piedi come a cavallo ( barbute ) che vivevano col mestiere
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    della guerra e così taglieggiavano i popoli e principi italiani. Imperocché quella compagnia dopo aver servito il re d’Ungheria contro la regina Giovanna di Napoli; dopo aver devastato la città di Todi, si ridusse derubando per ogni dove nel contado di Siena, dal cui governo nel 1354, oltre molti regali, ottenne la vistosa somma di 13,300 fiorini d’oro. Né solamente Siena, ma ancora Firenze e Pisa dovettero soffrire l’onta di comprare da quelle masnade una instabile pace. – Così cominciò a spegnersi nelle città commercianti e ricche virtù militari; così le repubbliche e le signorie dell’Italia furono messe a discrezione di turbolenti e rapaci soldatesche, le quali procedendo terribilmente ogni giorno più oltre, alterarono per tanto tempo la prosperità de’ popoli, quasi fossero stati pochi i disastri che soffrivano per la divisione  de’partiti, per la intestine discordie e per le guerre di fuori. – A Fra Monriale tenne dietro il conte Lando pur esso condottiero di una soldatesca sfrenata, che i Dodici di Siena nel 1357 ebbero la debolezza di chiamare al loro soldo assieme con altra compagnia d’Inglesi (anno 1363), e rendersi in tal guisa tributarj di cotesti ladroni pronti sempre a nuove inchieste di danaro e a vendersi al maggiore offerente. Una però di codeste compagnie sotto l’insegna e titolo del Cappello comandata da un conte di Urbino, fu combattuta e dispersa presso Torrita in Val di Chiana dalle genti sanesi comandate da un conte Francesco Orsini, la quale sconfitta fu poi dipinta in una sala del palazzo pubblico di Siena.
    In questo frattempo il popolo sanese al pari di quello di molte altre città si era diviso in due sette, una delle quali favorita dai Tolomei prese il titolo di Caneschi mentre dell’altra detta de’ Grasselli era capo la famiglia Salimbeni. Frattanto la Signoria de’Dodici artificiosamente concorreva a mantenere tale divisione col fomentare tra una e casa e l’altra le cause di scandali atti a
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    ravvivare le discordie antiche. Della qual cosa accortisi i magnati ed altre famiglie nobili sanesi, raccolti i loro aderenti e armati gli amici, nel settembre del 1368 fecero impeto contro i signori Dodici che cacciarono di palazzo e poi di città; quindi fu ordinata una Signoria nuova composta di tredici personaggi, dieci dei quali dell’ordine de’ gentiluomini e tre di quello dell’ordine, ossia Monte detto dei Nove.
    Non avevano appena costoro preso le redini del governo, che una subita controrivoluzione nel mese stesso di settembre a danno de’ gentiluomini si suscitò dalla plebe assistita dalla soldatesca inviata dall’Imperatore Carlo IV, tornato d’allora in Toscana, sicché un’altra Signoria di Dodici fu formata coll’aggiungere ai tre del Monte de’ Nove, cinque de’ popolani e quattro dell’ordine de’gentiluomini. Dondeché ai Sanesi siffatte nutazioni repentine de’ loro governanti si addirebbe quanto l’Alighieri, rivolgendo il discorso a Firenze, diceva

    Verso di te, che fai tanto sottili
         Provvedimenti, ch’a mezzo novembre
         Non giunge quel che tu d’ottobre fili

    Per verità ci allontaneremo troppo dal nostro assunto se qui indicare dovessimo tutte le varie azioni di governo prevalse in Siena nel conflitto fra il popolo e la nobiltà, divisa e suddivisa in fazioni, cui fu dato il titolo di Monti .
    Pochi giorni dopo la riforma del governo de’Dodici testé accennata, Siena servì di teatro a una comparsa straordinaria per l’arrivo di Carlo IV e dell’imperatrice sua consorte, comparsa che terminò col dover la nuova Signoria ricattare dai Fiorentini la corona stata impegnata da quell’Imperatore per bisogno di denaro.
    Ma non era ancora al suo termine l’anno 1368, che un’altra sollevazione politica  nel dicembre sconvolse l’ordine del 24 settembre, quando cioè il popolo di Siena armato, volle riformare il magistrato dei Dodici portandolo al numero di 15, otto dei quali scelti fra i Popolani , quattro dalla lista de’Dodici , e tre dall’ordine, o Monte de’Nove
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    , e da questa riforma ebbe origine il consiglio dei 150 che costituì poi un quarto Monte appellato de’Riformatori .
    Si tentò allora di sopprimere cotesti vocaboli dell’ ordine de’Popolani , ossia Monte del Popolo , di quello de’Nove , e dell’ ordine de’Dodici,  chiamando i primi il popolo maggiore e i secondi il popolo minore  ed il terzo il popolo mezzano . In mezzo a simili incertezze e a tante agitazioni accadde il ritorno da Roma a Siena di Carlo IV; il quale dopo aver promesso di conservare gli statuti del Comune, ordinò che per decidere delle differenze politiche gli fossero consegnate le principali fortezze della repubblica. A tale richiesta però essendosi opposto il consiglio del popolo, e vedendo la Signoria de’ Dodici che per quella via non poteva farla da tiranna, deliberò di ricorrere alla forza per ottenere ciò che non poteva avere con la simulazione di belle parole. Fu allora che Carlo IV risolvé di rimettere tali differenze all’arbitrio di due commissarj, ed al cardinal di Bologna Legato apostolico arrivato di corto in Siena.
    Sennonché il popolo sanese era già venuto in sospetto che l’imperatore volesse vendere la loro città ad altri padroni, siccome lo dava a credere il richiamo dall’esilio di tanti nobili cittadini, e lo confermavano in ciò le misure prese dalla Signoria de’Dodici. La quale col favore delle genti imperialie delle tedesche condotte dal cardinal Legato e da Niccolò Salimbeni, ospite di Carlo IV, nel 18 gennajo del 1369 ( stile comune ) mosse contro i fautori dei Nove.
    Allora la plebe armatasi corse in piazza contro i Dodici che cacciò di palazzo; ed il capitano del popolo col gonfalone in mano, cui si era unita una gran parte di cittadini sollevati, andò incontro alla squadra dov’era l’Imperatore, il quale accompagnato da un gran numero di principi della sua corte
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    recavasi alla volta del palazzo pubblico per volervi installare il cardinal Legato, sicché nella zuffa impegnatasi fra il popolo e le truppe imperiali poco mancò che lo stesso Cesare non fosse dalla plebe tagliato a pezzi, stanteché in quello scontro, essendo accaduto un grandissimo eccidio di coloro che volevano opporsi alla furia popolare l’Imperatore fu costretto a retrocedere e rinchiudersi nel palazzo de’Salimbeni.
    Non contento il popolo sanese di aver rotta e svaligiata la cavalleria imperiale, di aver abbattuto lo standardo e costretto lo stesso Carlo a refugiarsi nel palazzo de’Salimbeni, volle anche assediarvelo. A liberarlo da sì cattivo passo s’intromesse il cardinal Legato con alcuni cittadini, sicché Carlo IV fu costretto a lasciare la città senza altra innovazione. È altresì vero che cotanta ingiuria costò ai Sanesi molti denari, così essendo uso quell’Imperatore a ristorare le sue vergogne. – (ammirato, Storia Fiorentina. Libro XIII. )
    Dalla impetuosa sollevazione fatta in quell’emergente dalla plebe di Siena, dalla quale un esempio simile rinnovossi alla nostra età, si scorge ciò che possa una popolazione armata del naturale valore contro truppe agguerrite, ben dirette, ma prezzolate.
    Se però da un canto i Sanesi per siffatta impresa crebbero in riputazione, altronde la città rimase piena di tumulti con tutto il territorio, nel quale gli esiliati politici facevano continue depredazioni; finché Carlo IV destinò la Signoria di Firenze arbitra fra i nobili e la classe de’ popolani. Ma niuna delle due parti accettò il primo, e solamente aderirono al secondo lodo pronunciato li 30 giugno del 1369; nel quale tra gli altri capitoli uno si era questo: che i nobili e popolani fuoriusciti potessero ritornare in Siena loro patria, e entrare in tutti i magistrati fuorché nella Signoria e nel consiglio generale. Mercé tali condizioni, approvate dal concistoro della repubblica da un lato e dai principali fuoriusciti dall’altro, respirò alquanto cotesta città, e la pace esterna contribuì non meno a recare qualche sollievo all’agitato Comune sanese. Fu in tale intervallo
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    quando Siena pervenne più facilmente ed in poco tempo recuperare le terre e castella del suo dominio, obbligando le famiglie magnatizie di quel contado a sottomettersi alla madre patria. Arroge che in cotesto periodo terminossi la strada rotabile fra Siena e Grosseto, dai Fiorentini molto innanzi reclamata per recare a Firenze le mercanzie di oltremare che scaricavansi a Talamone.
    Che se tutto ciò aveva effetto per un accordo interno e una pacificazione esterna, difficilmente suole quest’ultima andare esente dalla commozione di cittadine discordie. Tali furono quelle che nel 1370 si suscitarono dentro Siena per l’insolenze fatte dalla compagnia appellata del Bruco al palazzo del senatore , (come allora chiamavano il podestà) a quello pubblico della Signoria, all’altro de’Salimbeni, e ad una compagnia di gentiluomini che inutilmente presero le armi per respingere quella plebaglia; sino a che una mattina di luglio, unitasi alla compagnia del Bruco quella del popolo armato, corsero entrambe al palazzo de’Signori di dove cacciarono i quattro dell’ordine de’ Gentiluomini , ed i tre dell’ordine de’ Nove che risiedevano fra i Quindici del magistrato primiero della città, in luogo de’ quali furono sostituiti altri sette dell’ordine de’ Popolani . Ma non era ancora al suo termine il mese stesso, quando quelli de’ Dodici , avendo congiurato con alquanti Noveschi e col capitano del popolo, assaltarono d’improvviso, armata mano nelle loro case le genti della compagnia del Bruco . Questi però a un tempo stesso levatisi a rumore, corsero per la città, e unitisi alla compagnia del popolo, ruppero e sbaragliarono i congiurati, ai di cui capi fu tosto tagliata la testa, dichiarando i ribelli fuggitivi. Quindi fu riformato il magistrato de’ Quindici Difensori , 12 de’ quali scelti fra i popolani , o del numero maggiore , e tre dall’ ordine de’Nove , ossia del
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    numero minore ; tutti gl’individui inclusi nel numero mezzano furono ammoniti e quasi tutti levati dalla borsa degli eligibili,  ai quali si aggiunsero dell’ ordine o Monte de’Riformatori molti artigiani già compresi fra i popolani .
    Una simile riforma governativa, che si accostava molto a quella da Giano della Bella eseguita in Firenze nel 1294, costò la testa al capitano del popolo e ai gonfalonieri dei tre Terzi, cioè il Terzo di Città, di S. Martino e di Camullia, la pena dell’esilio e della borsa a molti altri. Sennonché un tal procedere inasprì sempre più l’ordine de’ Dodici e la classe de’ messeri, per cui sorgevano in Siena continue sedizioni, che infine, a parere di un grave storico sanese, produssero la morte di codesta repubblica. Anche il magistrato dei Dieci di Balia sopra la guerra, creato in Siena nel 1374 a similitudine del sistema usato da tempo indietro di Fiorenza, ordinava con un suo bando di dovere carcerare 26 cittadini dell’ordine dei Dodici , e quindi li condannava nella pena di 12000 fiorini d’oro.
    Due anni dopo però ad insinuazione di una santa vergine sanese, S. Caterina, il Pontefice Gregorio XI sulla fine dell’anno 1376 si partì con tutta la sua corte da Avignone per riportare con giubilo di tutta l’Italia la sede apostolica in Roma che ne era stata priva per il corso di 70 anni continui.
    Cotante innovazioni di governanti rendevano sempre più ardite le compagnie dei masnadieri, sicché il Comune di Siena più volte (come ho detto) mediante gravose somme di danaro, dovè, talora dal saccheggio del suo contado liberarsi, e talvolta farsi di esse per breve tempo scudo servendosi del loro appoggio con molto denaro assoldate.
    Furono di questo numero la compagnia della Stella , quella inglese comandata dall’ Augut , una italiana denominata di S. Giorgio , e una di Brettoni
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    condotta da un Ubaldini, per lasciare di tante altre, alle quali bene spesso si univano i fuoriusciti ribelli della repubblica.
    Non era ancora inoltrata la primavera del 1384 quando i Sanesi tumultuarono contro il reggimento denominato de’Riformatori , i quali non furono cacciati solo dal palazzo, ma ancora da tutto il territorio sanese, richiamando in patria tanti fuoriusciti. Ciò per altro riescì in tale tumulto di maggior danno alla città fu l’esilio dato a un grandissimo numero di artigiani, dei quali, quattr’anni dopo, quando fu conclusa fra le due fazioni la pace, non ritornò in Siena appena la decima parte: sicché a questa cacciata del magistrato de’ Quindici Riformatori e di circa 4000 persone della classe del popolo, il maggior numero artefici, a parere del Malavolti, fia da attribuirsi, se non la prima, al certo la più essenziale decadenza delle industrie manifatturiere di Siena.
    Era di poco terminato l’anno 1384, che già si disegnò, come poi accadde, di rimettere in seggio il magistrato espulso de’ Riformatori riducendoli al numero di Dieci, cui fu dato il titolo di Priori . Ma talmente stavano poco d’accordo fra loro magistrati e cittadini che in due anni non meno di tre congiure contro il governo dai reggitori di quello furono sventate.
    Nel declinare dell’anno 1387 il magistrato de’ Dieci Priori aveva già ammesso fra i componenti della Signoria un altro individuo dell’ordine de’ Riformatori , introducendovi nel tempo stesso in tutte le altre magistrature quelli dell’ordine dePopolani .
    MA essendosi in quel tempo i Montepulcianesi ribellati ai Sanesi, e il loro territorio corso e depredato dalla compagnia degl’Inglesi, credettesi che ciò fosse stato per opera de’Fiorentini. Dondeché la Signoria di Siena si maneggiò per avere l’appoggio del potente Giovanni Galeazzo Visconti Signore di Milano, onde con le forze dei due stati danneggiare il più che si poteva il territorio della Repubblica fiorentina.
    Intanto agli
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    ambasciatori del governo di Firenze Giovanni Galeazzo Visconti con sommo artifizio rispondeva: che avendo i Sanesi esibito di sottomettersi alla sua tutela, egli non volle acconsentirvi. Conoscevano i Fiorentini per esperienza che il Conte di Virtù altro fingeva con le parole, altro aveva nell’animo; e tale il fatto lo dimostrò quando, nel 22 settembre del 1389, furono stabiliti patti di alleanza contro Firenze fra i Sanesi e lo stesso Giovanni Galeazzo Visconti. In vista di ciò i signori della repubblica fiorentina unitamente al Comune di Bologna, mandarono ambasciatori a Carlo VI re di Francia per averne ajuto contro il Visconti di Milano mettendogli avanti gli acquisti che quella Maestà potrebbe fare nella Lombardia. Né contenti di ciò essi ricorsero a un altro peggior ripiego invitando i capi delle compagnie a rimuoverle ai danni de’Sanesi. Trovavansi i due governi di Firenze e di Siena  in una tacita quanto sincera ostilità quando Piero Gambacorti, capitano e difensore del popolo pisano s’interpose paciario fra loro, sicché dopo molte fatiche, previa la restituzione di Montepulciano ai Sanesi, si concluse accordo fra le parti con una lega a difesa comune per lo spazio di tre anni da incominciare il dì 9 ottobre 1389 ( stile comune ). Uno de’principali capitoli fu questo, che durante il tempo della lega, Giovan Galeazzo Conte di Virtù non dovesse in modo alcuno impacciarsi delle cose di Bologna, della Romagna e della Toscana. Con altro capitolo si obbligavano i colleghi a difendersi l’un l’altro dai masnadieri che sottonome di compagnie continuavano a mettere la taglia ora a questa, ora a quella città; e fu stabilito per patto espresso che si dovesse fare in modo di sciogliere la compagnia degl’Inglesi, la qual non solo era la più numerosa, ma aveva per suo capitano il celebre Giovanni Augut.
    Ma il Conte di Virtù, solito come si disse a promettere ma non a mantenere, non solo non si attenne alle condizioni della lega dei 9 ottobre del 1389,
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    ma poco dopo segretamente si maneggiò per fare occupare dalle genti del suo fedele Giovanni Ubaldini la rocca di San-Miniato al Tedesco.
    Il qual disegno essendo stato dai Fiorentini scoperto e reso vano, non impedì ciò nondimeno all’Ubaldini di adoprare ogni industria per indurre i reggitori di Siena a romperla con la Signoria di Firenze. Della quale i Sanesi erano entrati in sospetto, dubitando che i Fiorentini nutrissero animo contrario alle promesse e che segretamente proteggessero i Montepulcianesi, per essersi questi di nuovo alla repubblica di Siena ribellati. In vista di ciò il governo sanese innanzi che terminasse lo stesso mese di ottobre del 1389 rinnovò la lega fatta nel 22 settembre di quell’anno con Giovanni Galeazzo, cosicché dal Comune di Firenze nella primavera successiva fu dichiarata la guerra nel tempo stesso al signore di Milano ed al Comune di Siena.
    Erano già in ordine grandi preparativi da tutte le parti, tanto che i Fiorentini, cui si accostarono i Bolognesi, i Perugini fuoriusciti, i Carraresi di Padova ed i figliuoli di Bernabò Visconti, quanto dal lato de’Sanesi, coi quali tenevano il Conte di Virtù, la città di Perugia i Malatesti di Rimini, gli estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova ed altri alleati. Si principiò una guerra fierissima nella Lombardia, nello Stato Veneto, e nella Toscana specialmente dalla parte della Val di Chiana, dove i Sanesi riebbono Lucignano oltre varie castella che tolsero ai Fiorentini in Val d’Ambra.
    Ma ciò che riescì a tutti di grandissimo danno fu la peste che infuriò e si propagò in Toscana e nella Lombardia, sicché le parti belligeranti dalle gravose spese della guerra e dalle stragi della peste sommamente afflitte ed estenuate, erano però disposte di dare ascolto alle proposizioni di pace, che a utilità comune verso la fine di quell’anno il Pontefice Bonifazio IX proponeva. Sembrò in realtà ai meno appassionati fra i Sanesi e i Fiorentini esser cosa vana il volersi consumare del tutto per servire
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    o per contraddire il Conte di Virtù, dal quale la Toscana non poteva altro sperare che una spiacevole e acerba servitù. E questa servitù già si cominciava a conoscere, dice il Malavolti, da chi non era accecato dall’odio che il volgo di Siena per le offese ripetute portava da gran tempo ai suoi vicini.
    Infatti il popolo sanese, che si sarebbe dato piuttosto al diavolo che ai Fiorentini, preferì anziché la pace di sottoporsi al Visconti Signore di Milano. Fu allora che Orlando Malavolti con altri consorti di parte guelfa della stessa potente famiglia sanese, si diede in accomandigia alla repubblica fiorntina (2 febbrajo 1391 stile comune ) con tutti i castelli e beni, previa la protesta che faceva ciò perché vedeva in schiavitù la sua patria.
    Ma le alternative ora favorevoli, ora contrarie di una guerra desolatrice, cui accresceva infortunio la peste e una spaventevole carestia, cominciarono a voltar gli animi ai ragionamenti che allo stesso scopo un anno innanzi il Pontefice Bonifazio IX aveva mosso. Che sebbene le trattative, affidato alle premure del doge e Comune di Genova andassero soggette a continue difficoltà, finalmente nel 26 gennaio del 1392 fu proferite il lodo. Fra i capitoli del quale eravi questo relativo ai Sanesi: di dovere a questi ed ai loro aderenti i Fiorentini restituire le terre e luoghi occupati dopo la lega del 9 ottobre 1389, e viceversa consegnare i Sanesi i luoghi stati tolti ai Fiorentini, ecc. Fu pure lodato che il Conte di Virtù non dovesse intromettersi in alcun modo nelle cose politiche della Toscana, come nella lega del 9 ottobre 1389 era stato stabilito.
    Memorabile quanto generosa ed altiera fu la risposta data da uno degli ambasciatori fiorentini presenti a quel lodo, allorché uno dei due delegati proponeva a ciascuna delle parti di dare mallevadori idonei: la spada (rispondeva il fiorentino) la spada sia quella che sodi: poiché Giovanni Galeazzo ha fatto esperienza delle
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    mostre forze e noi delle sue
    .
    Con tutto il lodo per altro del gennaio 1392 il Conte di Virtù non cessò d’intrigarsi negli affari della Toscana, siccome lo dimostra per tutti l’evento della Repubblica di Pisa che cadde in sua balia, e quella di Siena, con la quale pochi anni dopo (1396) strinse altri patti di alleanza. Un tal procedere accrebbe fomite all’amicizia fra i Fiorentini ed i Sanesi, sicché da una banda e dall’altra si tornò a far prede e scorrerie nei contadi respettivi, sospese, ma non terminate da una tregua conclusa gli 11 maggio del 1398, cioè, poco innanzi che dall’Appiano fosse venduto a Giovanni Galeazzo la città e contado di Pisa, e che i Sanesi per mal consiglio deliberassero di sottomettere la loro patria all’arbitrio di quel medesimo signore. Realmente nel dì 11 dicembre del 1399 furono stabiliti i patti di cotesta dedizione che nel 26 del mese medesimo dal consiglio della Campana di Siena vennero approvati. Quindi avvenne che nel dì primo del gannajo successivo arrivò in città il Conte Guido di Modigliana  come luogotenente del Duca di Milano per risedervi insieme col nuovo magistrato de’governatori e del capitano del popolo sanese. – (malavolti, Istoria Sanese. P. II. Libro X. )
    Frattanto la città di Siena perdeva un’altra volta la propria libertà, la fame e la peste nell’anno stesso concorrevano a gara ad accoppiarsi alle pazze misure prese dal suo governo, e la plebe quasi si ricreò appena si accorse che lo stesso male si era attaccato al popolo di Perugia, ridottosi pur esso dalle divisioni intestine al tristo compenso (gennajo 1401) di darsi in braccio allo stesso Duca di Milano, nelle cui mani, nel giugno del 1402 pervenne anche il popolo di Bologna. In tale stato di cose la repubblica di Firenze vedevasi in grande pericolo di cadere vittima del biscione, quando quel principe potentissimo, cui non restavano più ostacoli da superare per farsi signore della Toscana,
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    colpito da fiero morbo in mezzo alla sua maggiore prosperità, per misericordia di Dio nel 3 settembre dello stesso anno 1402 passò agli eterni riposi.
    La morte di cotesto Duca ritornò in vita tanti popoli oppressi; sicché Bologna, Perugia ed altre città dello stato pontificio poterono cantare col salmista: Vincula facta sunt, et nos liberati sumus . I Sanesi aspettarono il 1404 prima di licenziare il luogotenente ducale per tornare a reggersi a Comune. Nel qual tempo i reggitori del governo sanese mostrandosi pronti a trattare di pace con la Signoria di Firenze, questa nel 6 d’aprile dell’anno medesimo fu conclusa a condizione di comprendervi gli esuli sanesi, e di restituire ai medesimi tutti i beni, castella e luoghi che il governo di pertinenza loro riteneva. Inoltre fu stabilito che restasse ai Fiorentini la Terra di Montepulciano, ai Sanesi quella di Lucignano.
    Per tal guisa la città di Siena non solo rimase libera dalla servitù del principe milanese, ma poté in breve tempo ricuperare molte terre e castella che per cagione della guerra erano state loro dai Fiorentini occupate, oltre l’acquistarne altre che ribellatesi dai proprj signori se gli erano sottomesse.
    In questo frattempo cadde in odio grande ai Pisani il loro signore Gabbriello Maria figlio naturale del Conte di Virtù, dopo che quella già libera popolazione si era accorta, qualmente il signor Gabbriello Maria trattava di vendere Pisa ai Fiorentini nemici suoi. Quindi avvenne che i Pisani furibondi si sollevarono contro il loro signore, costringendolo ad abbandonare la città; sicché dopo di avere perduta la speranza di riacquistarla, vendè Pisa per grossa moneta agli odiati vicini. E perché i Fiorentini consideravano che non avrebbero conseguito ciò senza guerra, fu mandato a Siena dalla Signoria un loro ambasciatore non tanto per dar parte ai Sanesi del fatto acquisto, come ancora per richiederli di ajuto e così distornarli dal favorire una città che preferiva di essere piuttosto serva di qualunque tiranno che suddita
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    di una repubblica ostinatamente da quel popolo odiata.
    Tra anni dopo Ladislao re di Napoli tentò  a danno de’ Fiorentini di fare un trattato con i Sanesi, i quali dai delegati di Firenze essendo stati per tempo rincorati a non lasciarsi dalle regie lusinghe ingannare, risposero a Ladislao, di non potere a tenore delle convenzioni senza l’annuenza de’ Fiorentini loro amici entrare con chicchessia in alcun trattato. Sicché dopo aver i ministri regj tentata ogni via di stornare i Sanesi da quella sentenza, Ladislao era già con un numeroso esercito di fanti e cavalli entrato nello stato senese fino a Buonconvento, quando ordinò che si corresse verso le porte di Siena e che si facessero per via quanti maggiori danni e ruberie si potevano mai fare.
    Ma per quanto l’oste napoletana si fosse avvicinata alle mure della città, per quanto le arsioni e i saccheggi di rabbiosa soldatesca fossero infiniti, nulla valse a rimuovere i Sanesi dal loro proposito, né appariva speranza alcuna di poter prendere Siena per forza. Dondeché si accrebbero gli obblighi del Comune di Firenze verso questo di Siena, il di cui contegno, a confessione degli storici fiorentini, salvò la loro libertà. Finalmente dopo lo spoglio delle campagne vicine a Siena, l’esercito regio per scarsezza di vettovaglie fu costretto a ritirarsi di là, e per Asciano e Torrita entrare nella Val di Chiana, dove finalmente trovò li primi paesi de’Fiorentini, accampandosi sotto Monte-Sansavino. Riuscì però vana la speranza d’insignorirsi di questa Terra, sicché l’oste napoletana si mosse per inoltrarsi alla conquista di Arezzo. Ma dopo aver tentato inutilmente l’acquisto, Ladislao dové retrocedere con l’esercito per Castiglione-Aretino, dove non fece più di quello che s’avesse fatto a Montesansavino e ad Arezzo, meno che a un gran guasto di biade in un tempo vicino alle masse (maggio e giugno del 1409). Quindi è che i Toscano cominciarono forte a farsi beffe di lui chiamandolo il re guasta grano ; e i popoli di
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    più terre e città si unirono in lega fra loro per cacciare quell’esercito dalla Toscana. Realmente il trattato fu concluso in Pisa alla fine di giugno di quell’anno tra i Fiorentini, il cardinal Coscia Legato pontificio di Bologna, i Sanesi e varie altre Comunità.
    Finalmente il re Ladislao venendo a buoni patti nel gennajo del 1411 conchiuse i capitoli di una pace con le due repubbliche di Firenze e di Siena.
    Ben presto il prognostico di chi sospettò simulata la pace del gennajo 1411 per parte di Ladislao, si avverò, giacché egli due anni dopo la ruppe rientrando ostilmente in Roma e di là avanzando l’esercito fino a Perugia come in atto di minacciare ai Sanesi e ai Fiorentini nuova guerra. Allora queste due repubbliche risolvettero di mandare nel campo di quel re i loro ambasciatori, i quali conclusero una lega di sei anni a difesa reciproca firmata dai plenipotenziarj nella pianura d’Assisi sotto di 22 giugno dell’anno 1414.
    Terminato il negozio della lega Ladislao mostrò desiderio di voler conferire di alcuni oggetti con i sindaci sanesi; per cui avvisata quella Signoria furono incaricati due cittadini, uno dell’ordine de’ Riformatori , l’altro di quello de’ Nove . Ma i Popolani per sospetto che non si trattassero affari politici a danno della patria e in pregiudizio loro, suscitarono una sollevazione  nella città, sicché fu d’uopo per la quiete pubblica eleggere un terzo sindaco dell’ Ordine de’Popolani . Ma per buona sorte recatisi quei tre a Perugia, vi trovarono il re Ladislao gravemente malato e perciò fu ricondotto a Napoli dove nell’agosto dell’anno stesso morì, liberando così, tanto la repubblica di Siena come l’altra di Firenze da nuovi pericoli e timori.
    Dopo di ciò la lega fatta sino dal 1408 fra i Fiorentini ed i Sanesi fu con soddisfazione scambievole nel giugno del 1416 confermata. E veramente del 1414, epoca della seconda pace stipulata col re Ladislao, fino al 1430
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    non avendo il Comune di Siena dei potenti nemici da combattere, ebbe agio d’ingrandire il suo dominio con la sottomissione di molte famiglie nobili che divennero sue feudatarie.
    Peraltro la pace generale non bastò a rendere la calma agli animi di molti cittadini e nobili banditi dalla loro patria, sicché questi non cercassero di trovar modo per ritornarvi. Era in tale stato la città di Siena quando nel 1428 essendosi fatta la pace fra il Duca di Milano da una parte, i Veneziani e Fiorentini dall’altra parte, il governo sanese entrò in dubbio di questi ultimi. Al che davano cagione le genti de’Fiorentini reduci dalla Lombardia che si erano in parte avvicinate ai confini dello stato di Siena con ordine di non lasciar passare in questo alcuna merce, né vettovaglie. Che sebbene dietro le rimostranze de’Sanesi quegli ordini fossero revocati, ormai il pomo della discordia fra i due popoli era gettato. Quindi è che se i Fiorentini, nel tempo che assediavano Lucca, benché poco innanzi avessero mandato ambasciatori a pregare i Sanesi che non volessero sopportare che un loro cittadino, messer Antonio Petrucci, si recasse al soldo di Paolo Guinigi Signor di Lucca, la Signoria di Siena aveva motivo di dubitare della loro sincerità e buona fede specialmente dopo che il conte Francesco Sforza generale del Duca di Milano essendo sceso con un esercito in Toscana per proteggere la città di Lucca, aveva fatto dire agli ambasciatori sanesi che i governanti della loro patria non si fidassero de’Fiorentini comecché se gli mostrassero amici. Si accorsero bene questi ultimi del cattivo uffizio fatto loro dal conte, e volendo chiarirsi meglio dell’animo de’Sanesi, veduto che si provvedevano essi di nuova gente d’arme, la Signoria di Firenze mandò a domandare loro, come a collegati, ajuto di soldati e di vettovaglie per l’impresa divisata. A simile richiesta i reggitori di Siena risposero, che l’animo loro era rivolto alla difesa delle cose proprie senza far ingiuria ad altri.
    Occorse in quei
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    giorni la morte di Papa Martino V, autore di una importante bolla del 13 febbrajo 1429, con la quale detto Pontefice proibiva ai Padri Predicatori dell’Inquisizione e ad ogni altra persona tanto ecclesiastica come secolare di predicare e incitare la plebe contro gli Ebrei, ordinando S. Santità ai Padri Inquisitori di astenersi di recare loro molestia, meno nel caso che gli Ebrei fossero fautori di eresie, e vietando a tutti i Cristiani di offenderli nella persona o nella roba; e di non dover obbligare in alcun modo gli Ebrei d’intervenire ai divini uffizj, né di battezzare alcuno di loro prima che fosse arrivato all’età di dodici anni senza licenza de’suoi maggiori.
    A Martino V succedé nel pontificato Eugenio IV, il quale per essere stato vescovo di Siena col nome di Gabbriello Condelmiero, mandò in questa città il Cardinal di Bologna ad esortare i suoi magistrati di mantenere il popolo in pace e stare amici de’loro vicini. – Ma i conforti suoi non ottennero profitto alcuno, anzi scopertosi Eugenio IV partigiano de’Fiorentini, sì fattamente gli animi de’Sanesi e del Duca di Milano sdegnò, che la pace fu perduta affatto in Toscana e in Lombardia, dove ogni cosa si riempì di scompiglio. Per effetto di ciò nel mezzo a tanti mali (anno 1431), sia nelle parti del Lucchese, sia nel Sanese si ruppe apertamente la guerra contro i Fiorentini.
    Arrivò poco appresso in Siena un inviato dell’Imperatore Sigismondo a prevenire la Signoria dell’imminente passaggio di quel Cesare. Le principali provvisioni fatte allora da chi governava la repubblica si ridussero a confinare la maggior parte dei cittadini dell’ordine de’Gentiluomini e dell’ordine de’Dodici , ad oggetto di togliere a costoro l’occasione di dolersi con l’Imperatore. Frattanto Sigismondo a dispetto del governo fiorentino che ne avrebbe volentieri impedito il passaggio, nel luglio del 1432 giunse a Siena per seguitare il cammino verso Roma e prendervi la corona imperiale. Finalmente dopo varie vicende della guerra
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    fra i Fiorentini uniti alla lega guelfa da una parte e il Duca di Milano con i suoi alleati dall’altra parte si venne a trattative di pace, mentre l’Imperatore era tornato a Siena (gennajo del 1433); della quale pace furono mediatori i marchesi Niccolò d’Este e Lodovico di Saluzzo. Essa fu conclusa in Ferrara a dì 26 aprile del 1433 e uno di quei capitoli lasciava facoltà ai Sanesi di poter, volendo, fra un tempo determinato in essa pace intervenire come alleati del Duca di Milano, a condizione però di restituire e di riavere le cose reciprocamente acquistate, o perdute, e che i Sanesi, nel caso che per tale rapporto i Fiorentini gli muovessero guerra, non dovessero esser dal Duca di Milano ajutati.
    Terminati con la pace di Ferrara i pericoli esterni, ribollirono in Siena i cattivi umori di dentro, per le quali cose mentre che i Fiorentini della fazione di Rinaldo degli Albizzi incarcerava e poi esiliava Cosimo de’Medici il vecchio, la Signoria di Siena confinava una gran parte di cittadini dell’ordine de’Dodici , stati di già esclusi dal governo, sul dubbio che cotesta classe volesse tentare qualche innovazione di regime. – Mentre tali violenze tendevano ad assicurare al partito dominante i frutti della pace, i reggitori di Firenze rilasciavano salvacondotto ad Antonio di Cecco Rosso Petrucci stato amicissimo di Paolo Guinigi per andare a Roma al Pontefice. Nella quale circostanza il Petrucci essendo stato amorevolmente alloggiato da Galeotto da Ricasoli suo compare nel castel di Brolio, il Petrucci, nell’ottobre del 1434 con inganno e di furto s’impadronì di quel fortilizio, facendo prigioniero lo stesso padrone. Tale incidente poteva servir di motivo a nuova guerra fra le due repubbliche, se i Fiorentini non avessero avuto piena certezza che ciò era accaduto contro ogni volontà  del Comune di Siena. Né meno franca fu la risposta data dai reggitori della repubblica sanese ad Otto Niccolini, uno dei Dieci di Balia del Comune di Firenze,
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    allorché nell’agosto del 1451, tornato da Siena, riferiva in senato, che i Sanesi non darebbono passo, né vettovaglia, né ricetto alcuno a chi venisse nel loro territorio con animo di far guerra ai Fiorentini; aggiungendo che per nessun conto la Signoria di Siena con Alfonso d’Aragona re di Napoli farebbe lega.
    Intanto alla fine del 1451 arrivavano in Siena per diverso cammino il nuovo Imperatore Federigo d’Austria ed Eleonora di Portogallo destinata sua sposa; la quale accompagnata da Enea Silvio Piccolomini, allora vescovo di Siena, da molte matrone e da un drappello di donzelle, all’antiporto di Camullia Eleonora di Portogallo dall’Imperatore venne riscontrata, e di là con nobile e numeroso corteggio in mezzo alla plaudente popolazione l’Augusta coppia fece solennissima entrata nella città.
    E qui avverte lo storico Malavolti che coloro, i quali governavano la città quando vi arrivò Sigismondo, seguendo l’esempio del 1432, avevano confinato lungi da Siena tutte le persone atte a portar l’armi dell’ordine de’Gentiluomini e di quello de’Dodici .
    Peraltro non era appena Federigo III ritornato ne’suoi stati di Alemagna, che una guerra tra il re di Napoli ed i Fiorentini si vide scoppiare;  e comecché una gran parte di cittadini sanesi non bramasse  che il  loro  governo in quel conflitto prendesse parte a danno de’Fiorentini, contuttociò i reggitori del Comune di Siena dovettero somministrare viveri e passaggio pel territorio all’esercito Aragonese.
    Finalmente ciò che nel primo anno della guerra (1452) non fu fatto ebbe effetto nel successivo, quando i Sanesi negoziarono e conclusero lega con il re Alfonso, sebbene i primi sordi alle rimostranze dell’Aragonese nel 1454 accettassero la pace conclusa in Lodi li 11 aprile dello stesso anno, bandita in Siena pochi giorni dopo.  Quantunque cotesta pace fosse stata promossa più che dagli interessi pubblici da oggetti privati per essere le parti belligeranti smunte dalle spese della guerra, pure il governo di Siena in vigore di quella non solo cessò di offendere i Fiorentini, ma
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    fece intendere al duca di Calabria figlio del re Alfonso, che se egli continuava a tenere il suo esercito nel dominio sanese non dasse molestia ai paesi della Repubblica Fiorentina.
    In conseguenza di cotesta tregua, che appellavasi pace, i Sanesi tenevano le loro milizie occupate in Maremma contro i conti di Pitigliano, allora quando Jacopo Piccinino, licenziato dal soldo de’Veneziani, essendosi congiunto ad altri condottieri, e avendo messo insieme un piccolo esercito a guisa delle antiche masnade, con moltitudine si fatta vaga di preda mosse guerra ai Sanesi, coi quali sebbene i Fiorentini avessero fatta pace, non avevano stabilito lega né obbligo di reciprocamente difendersi.  – Una vera alleanza bensì fra i due governi fu conclusa nel principio del 1457 dopo che riescirono inutili i maneggi ed i tentativi di ribellione procurati contro la patria dal noto Antonio Petrucci e da Ghino Bellanti, due potenti cittadini sanesi, onde ridurre alla devozione del re Alfonso il governo e la città di Siena.  Scoperta la quale congiura Antonio Petrucci come traditore della patria con deliberazione del 13 ottobre 1456 fu dichiarato ribelle con la confisca dei beni e ordinato il disfacimento della sua fortezza di Perignano in Val d’Orcia.
    In conseguenza di ciò per deliberazione del consiglio del popolo sanese si rinnovarono i bossoli degli uffizj tanto della città come del contado, riempiendoli de’nomi di uomini desiderosi della quiete e della conservazione della libertà e dello stato.  Quindi essendosi scoperti molti altri congiurati fra quelli rimasti in città, furono presi, imprigionati, processati, ed i maggiori delinquenti decapitati, gli altri confinati, o condannati in danari.
    L’alleanza del 1457 tanto maggiormente dovette essere accetta ai contraenti, quando si seppe che dopo la morte del re Alfonso il suo figlio Ferdinando duca di Calabria successogli nel regno, aveva domandato il passo al Pontefice Callisto III per il conte Jacopo Piccino, nell’esercito del quale erasi arruolato per capitano il ribelle Antonio Petrucci, e molto più tal lega divenne importante dopo la morte occorsa
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    poco stante del Papa predetto, nel cui ajuto il governo sanese sommamente confidava.  Ma se riescì ai Sanesi dispiacente la morte di Callisto III, altrettanto essi dovettero rallegrarsi all’annunzio dell’elezione del nuovo Papa nel Card. Enea Silvio Piccolomini loro concittadino che nel 19 agosto del 1458 assunse  il nome di Pio II.  Fu infatti un primo segno  di pubblica esultazione quello di riabilitare ad essere del supremo magistrato le famiglie Piccolomini e Tedeschini, nell’ultima delle quali era entrata una sorella del Papa, essendo che già da molti anni le due famiglie erano state ascritte all’ordine de’Gentiluomini e come tali espulse da Siena;  sicché il padre del Pontefice Pio II si era stabilito in una possessione nella Terra di Corsignano, che poi per benefizio del medesimo Pio II fu fatta città e chiamata Pienza.
    Uno dei maggiori desiderj di quel Pontefice essendo quello di riabilitare al diritto delle magistrature non solo i Piccolomini ed i Tedeschini, ma tutto l’ordine de’Gentiluomini , domandò ripetutamente per nunzj ed in persona, e per mezzo anche del Duca di Milano alla Signoria di Siena un tale benefizio.
    Ciò poco o nulla valse a far cambiare sistema ai reggitori del Comune di Siena, sul riflesso, diceva un patrizio sanese scrittore, che i nobili essendo naturalmente superbi, non avrebbero potuto mantenere le qualità civili in comune con gli altri cittadini a benefizio dell’universale.
    Ho detto, poco o nulla valse, giacché tante e sì pressanti furono le istanze di Pio II che la Signoria, dopo aver sentito il consiglio del popolo, abilitò quell’ ordine de’Gentiluomini a poter rientrare in magistrato, però con alcune restrizioni e riserve, come quella di passare a scrutinio gl’individui de’rientrati, di non restituire loro i castelli o rocche delle quali erano stati già dalla Repubblica spogliati, e di partecipare per una quarta parte del numero de’magistarti.  Sennonché dopo due anni di cotesto benefizio all’ ordine de’ Gentiluomini cessò con la morte
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    del Pontefice Pio II, il quale con ripetute premure da quei governanti l’aveva ottenuto.  – (MALAVOLTI, Istor. San. P. III. Lib. IV .)
    In questo tempo il Pontefice suddetto avendo volto tutta Italia al lodevole progetto di riparare alla crescente potenza dei Turchi in Europa, egli a tale uopo si recò a Mantova, dove si adunarono molti principi Cristiani, o i loro ambasciatori, per consultare con essi del modo di porre un rimedio efficace a tanto male.
    Ma poco dopo essendosi accesa la guerra nell’Italia stessa fra il re di Napoli e il duca di Milano, il Pontefice Pio II nel gennajo del 1460 deliberò tornasse a Roma per la via di Firenze e di Siena;  né ad altro tanti apparecchi servirono che a mettere in sospetto Maometto, perché affrettasse la rovina del greco Impero.  In tale frattempo il Pontefice Pio II passando di Siena creò cinque cardinali, fra i quali il giovane Francesco suo nipote di sorella, dopo essere stato innalzato alla cattedra arcivescovile della sua patria poco innanzi (22 aprile 1459) dal Pontefice medesimo eretta in Metropolitana.
    Stesse la città di Siena per qualche anno quieta dalle sezioni interne e dalle guerre esterne;  sicché poté accogliere forse nel palazzo de’Diavoli, fuori Porta Camullia, in cui fu scolpito a lettere cubitali: ( ERRATA : Palatium Turcarum ) Palatium Turcorum (della famiglia Turchi ), la vedova dell’ultimo imperatore greco di Costantinopoli, dopo essere stata presa dai Turca quella sua capitale.  – Vedere MONTAGUTO in Val di Fiora.
    Ma non stette molto ad accadere in Firenze la congiura de’Pazzi contro la potente famiglia de’Medici, nella quale prese parte ed ebbe pena capitale il Cardinale Salviati arcivescovo di Pisa.  Dondeché se non trasse origine di costà, di certo s’infiammò maggiormente lo sdegno del Pontefice Sisto IV contro la Repubblica fiorentina e verso Lorenzo de’Medici detto il Magnifico sicché il preindicato Papa non tardò a collegarsi
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    con il re di Napoli, i Sanesi ed i Genovesi per far guerra ai Fiorentini.  La qual guerra ridusse la Repubblica fiorentina in tale critica posizione che Lorenzo de’Medici si recò a Napoli a chiedere pietà a nome della sua patria, rimettendosi nelle braccia del re siciliano.  – In grazia del Magnifico nel 13 marzo del 1480 fu conchiusa pace col re Ferdinando e nel tempo stesso venne firmata una lega tra i due stati di Firenze e di Napoli, ratificata nello stesso mese dalla Repubblica sanese.
    Ma appena terminate le turbolenze di fuori, si cominciarono a scuoprire in Siena quelle di dentro la città, in cui rinnovaronsi i progetti medesimi altre volte messi in campo rispetto ai nobili fuoriusciti, e segnatamente a quei ribelli che nel 1456 con Francesco Piccinino avevano congiurato (tra i quali uno dei capi fu il bandito Antonio Petrucci), meditando in un modo o nell’altro non solo di ritornare in patria, ma ancora di essere ammessi al governo di Siena come gli altri dell’ ordine Popolano .
    Che però considerando i congiurati che ciò per via ordinaria non otterrebbero giammai, i promotori di una simile riforma, cioè il Duca di Calabria e il Duca di Urbino risolvettero di ricorrere alla forza per rimettere in Siena quei fuoriusciti.  Fu tentato ciò nell’aprile del 1480, quando avvisato della congiura il consiglio del popolo creò una Balia di 15 con autorità di gastigare severamente i perturbatori dell’ordine e del reggimento de’Riformatori .  Questa misura peraltro non bastò, avvegnaché nel 22 giugno dello stesso anno quelli dell’ ordine de’Nove con parte delle genti del Duca di Calabria entrarono armata mano in palazzo, dove fu riformata una nuova Signoria ed un consiglio del popolo a scelta dei rivoltosi, in cui si deliberò, che tutti i cittadini dell’ ordine o Monte de’Riformatori restassero esclusi in perpetuo essi ed i loro discendenti
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    dagli uffizj e dagl’impieghi tutti della Repubblica.
    Sotto cotesto reggimento politico avvennero in Siena dentro breve periodo tante alterazioni e cittadine rivolte dannose alla sua repubblica che sarebbe nojoso in quest’articolo ripetere, potendo ognuno che il voglia leggerle nel Lib. V. P. III.  delle storie del Malavolti, il quale non tralasciò di asserire, che queste continue e sanguinolenti riforme indussero molti cittadini a cercare quiete e sicurtà lungi dalla loro patria. 
    Fu uno dei fuoriusciti rientrati i Siena Pandolfo Petrucci, il quale ad imitazione di Lorenzo de’Medici,  appellossi il Magnifico , quando egli in una di quelle sommosse essendo ritornato in patria con molti esuli dell’ ordine o Monte dei Nove , nel dì 22 luglio del 1487, erasi messo alla testa di alcuni soldati forestieri, correndo con essi la città;  e penetrato nel pubblico palazzo fece riformare quel reggimento mediante una Balia di 24, cui venne riunita tutta l’autorità della Signoria e del concistoro.
    È cosa singolare di trovare nella storia sanese una classe di cittadini, stata già con tanta violenza dalla maggior parte  della popolazione espulsa dalla città, tornarvi poi con altrettanta facilità a governarla in quella guisa  che piacque ai rientrati.  – Una delle prime riforme della Balìa de’24, comecché si rimanesse presto senza effetto, fu quella di sopprimere i quattro Monti o Ordine col ridurli ad uno solo, nel quale si dovevano comprendere tutti gli altri, in guisa che per l’avvenire gli uffizi della repubblica fossero distribuiti  per Terzi, o per Rioni della città.
    Sebbene fino dall’anno 1474 la Signoria di Siena, con istrumento del 13 maggio, avesse stabilito con le maestranze di Pace di Cecco Pacini e Antonio di Matteo di Francio le condizioni per la fabbrica del muro del Lago di Pietra in Val di Bruna da farsi per cura de’medesimi (ARCH. DIPL. SAN. T. XXVII Pergamene   N. 2132), non sembra però, a dire del Malavolti, che a quell’opera
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    malaugurata si mettesse mano prima dell’anno 1490.  – Vedere l’Articolo LAGO DI PIETRA, o LAGO DELLA BRUNA Vol. II pag. 619;  cui si può aggiungere la notizia di due lettere della Balìa di Siena scritte li 18 e 31 gennajo del 1492 ( stile comune ) ad Alfonso Duca di Calabria, colle quali richiedevasi al suddetto Principe il rinvio di maestro Francesco di Giorgio architetto della Repubblica, che alle istanze del Duca di Calabria più mesi indietro la Balìa aveva a Napoli inviato.  “Al presente, (cito le parole delle lettere) occorrendo due cose importantissime, una, che per essersi trovati distrutti certi acquedotti per i quali si conduce l’acqua a tutte le fonti della città nostra;  l’altra che siamo per far serrare lo Lago nostro , e senza la presenza del prefato maestro Francesco, tali cose non si potriano eseguire.”
    Segue la risposta del Duca di Calabria data dal Castel Capuano li 4 febbrajo 1492, con la quale Alfonso avvisava la Balìa dell’invio a Siena di maestro Francesco, purché quella Signoria lo rimandasse a Napoli nel marzo successivo come prometteva.  – (GAYE , Carteggio di Artisti inedito Vol. I. )
    Passava da Siena il re Carlo VIII col suo esercito per recarsi alla conquista di Napoli, quando si riabilitarono i fuoriusciti a ritornare in patria, quantunque dopo retroceduta l’oste francese accadessero in Siena tumulti a cagione della plebe troppo inclinata per natura a novità, e caldamente incitata dai nobili dell’ordine de’Riformatori e de’Popolani rientrati.  In conseguenza di ciò molti di quella congiura furono confinati o ammoniti; lo che facevasi per ordine secreto e per consiglio del Magnifico Petrucci, organo e parte principale del governo, senza volere come tale comparire.
    Son ben noti i dispareri e le conseguenze fra Pandolfo e Niccolò Borghesi suo suocero introno a molte cose che accadevano giornalmente nel governo, dondeché non corse molto tempo, che il Magnifico (19 luglio 1500) fece ammazzare
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    il suocero, per aver troppo arditamente tentato di attraversare i suoi disegni;  sicché tolto via quest’emulo, e spaventati gli altri, l’astuto Petrucci seppe confermarsi ogni dì più nella sua tirannide.
    Era per compirsi il secolo XV, quando gli eserciti Francesi invadevano la Lombardia, gli Spagnuoli il regno di Napoli, gl’Italiani e masnadieri le Marche, la Romagna e la Toscana sotto gli ordini del Duca Valentino figlio del Pontefice Alessandro IV saccheggiavano.  Fu allora che il Valentino celebre per la perfidia e più ancora per una barbara crudeltà unita ad un’ambizione disordinata di dominare, meditò di far uccidere il Petrucci per aver lo scettro di Siena.  Per la qual cosa il Magnifico considerando che in mezzo a tanti preparativi di guerre il Valentino avrebbe potuto facilmente voltare l’esercito a danno suo, onde premunirsi da un colpo di mano, condusse al servizio de’Sanesi il capitano Gio. Paolo Baglioni di Perugia, collegando insieme l’una e l’altra città.  Tanto efficaci riescirono i maneggi politici di Pandolfo che il governo di Siena terminò per allearsi col Duca Valentino, e quindi per mezzo dello stesso Petrucci ajutare con denari i Pisani assediati dai Fiorentini, ed in seguito fornire soldatesche, munizioni e vettovaglie gli Aretini ribellatisi  dal Comune di Firenze;  talché il Magnifico ebbe traccia da molti di promotore in Toscana di turbolenze municipali.
    Frattanto il Duca Valentino penetrando con le sue genti in Val di Chiana ed in Val d’Orcia faceva immensi danni a quelle contrade, ponendo in pericolo la città di Siena e Pandolfo stesso che vi dominava;  sicché quest’ultimo con tutta l’alleanza dové cedere alla necessità ed alle istanze gentili del Duca allontanandosi da Siena.  Di fatti il Petrucci nel 18 gennajo del 1502 si partì di costà accompagnato da molti  aderenti, e per il medesimo effetto dové licenziare Gio. Paolo Baglioni per farlo tornare con la sua compagnia a Perugia.  Frattanto il Duca Valentino inviava il suo procuratore a proporre un trattato con la Repubblica sanese
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    ed a congratularsi con quella Balìa che la rappresentava di avere liberato la patria dalla schiavitù in cui era tenuta dal Magnifico , esortando per giunta la Balìa stessa a dichiarare Pandolfo ed i suoi seguaci fuoriusciti perpetui da Siena e dello stato, in ajuto del quale il Duca offeriva largamente ogni suo potere.  A chi non conoscesse la doppiezza e la perfidia  del Valentino, lo crederebbe l’uomo il più retto ed il più liberale, non già il più perfido ed il più bugiardo della sua età.
    Il motivo più verisimile però parve quello che, essendo il Valentino assistito dal S. Padre, cercasse i mezzi  più indegni per insignorirsi di Siena, col progetto di dare in compenso a Pandolfo  Petrucci il principato di Piombino.  Il quale, essendo più volte chiamato colà, adusse per cagione una infermità o vera o finta per non recarsi dal Papa mentre era a Piombino (sul finire dell’anno 1501).  Dondeché si ebbe ricorso ad altro mezzo per cacciare da Siena il Magnifico , il quale mentre dirigevasi a Lucca fu tentato per mano di sgherri di trucidare.
    Comecché in vista de’consigli del Valentino Pandolfo fosse dichiarato fuoriuscito della Repubblica sanese;  comecché ai suoi complici venisse inibito lo stare nella città e suo territorio;  comecché la Balìa che allora reggeva la repubblica avesse deliberato, che tutti quelli dell’ ordine de’Riformatori già stati ammoniti s’intendessero restituiti al reggimento, contuttociò i Sanesi, che fino allora erano stati governati dagli amici e dipendenti di Pandolfo, nel dì 29 marzo del 1503, per pubblico decreto richiamarono il Magnifico in patria, confermandolo nel magistrato di Balìa com’era per l’innanzi e riconducendo nel tempo medesimo agli stipendj della Repubblica il già licenziato Gio. Paolo Baglioni con la sua compagnia.
    Nel tempo che Siena in apparenza dalla Balìa, in sostanza dal Magnifico era arbitrariamente governata, la Repubblica di Firenze reggevasi da un gonfaloniere perduto, Pier Soderini, di cui fu segretariato il celebre
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    Niccolò Macchiavelli, mentre faceva da segretario e consigliere del Petrucci il napoletano Antonio da Venafro. Era il gonfaloniere Soderini, come lo definì il suo segretario, un’ anima del Limbo , mentre il Petrucci riuniva ad un animo forte molto senno, grande prudenza ed una fina politica artatamente velata sotto un’astuzia tenebrosa, e talvolta ammantata da un’apparente  generosità di animo, come sembrò quella di dare gl’impieghi pubblici di preferenza a che se gli mostrava più affezionato.  Il Magnifico sanese ad esempio del fiorentino Padre della patria , cercava d’influenzare su tutti i magistrati  rendendoli ligj alla sua volontà, mentre sembrava al popolo nella montatura degli uffizj un’ombra dell’antica sua libertà.
    Tentò pure il Magnifico di mostrarsi benefico, sia nel distribuire copiose limosine, come ancora nel cattivarsi l’animo degli artisti coll’innalzare una qualche fabbrica sacra o profana, e col fare l’amico de’letterati mediante il suo segretario e consigliere  Antonio di Venafro stato professore di diritto nella Università di Siena.
    Frattanto cessato di vivere Alessandro VI (anno 1503) mancò al Duca Valentino il suo braccio forte, e la Repubblica di Siena si levò una spina  davanti agli occhi, sicché d’allora in poi quella Balìa dominata con più sicurezza dal Magnifico , e costui liberato dai sospetti che sì lungamente l’avevano tenuto agiato, ebbe comodo di dare nuova forma ai tribunali così civili come criminali, ordinando che i giudici dovessero tenere udienza e pronunziare sentenza collegialmente, allorché furono riunite nel magistrato di appello le attribuzioni del Potestà, del Collaterale e dell’Assessore col titolo di Consiglio della Giustizia .  Convalidò maggiormente Pandolfo il suo dominio, allorché nel 1505 a nome della Repubblica fece lega con il Pontefice Giulio II, prorogando poco dopo quella già fatta coi Fiorentini, i due più potenti e più temibili vicini dello stato senese.  – Arroge che nel principio dell’anno 1507 il Magnifico seppe persuadere il consiglio generale della repubblica sanese a confermare per
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    la terza volta il magistrato di Balìa da dedurre altri cinque anni con la medesima autorità e giurisdizione che per un decennio continuo aveva esercitata.
    Frattanto sotto il dominio di Pandolfo la Repubblica di Siena acquistò in affitto perpetuo le terre, castella, corti e isole che la Badia delle Tre Fontane  ad Aquas Salvias possedeva nell’Orbetellano.  Ma nel tempo che il Magnifico a nome e con i danari della repubblica sanese faceva questo ed altri acquisti, egli operava in guisa che una gran parte de’luoghi comprati sotto finti colori fosse venduta ai suoi aderenti per tenerli sempre più obbligati a mantenerlo in seggio.
    Ma appena caduta Pisa in potere de’Fiorentini (giugno 1509) non avendo più i vincitori di quella Repubblica sospetto che fosse impedita loro l’impresa, d’ordine del gonfaloniere perpetuo Pier Soderini fu inviato a Siena il segretario Niccolò Machiavelli per disdire la tregua fra le due Repubbliche, disegnando il senato di Firenze di riavere la Terra di Montepulciano datasi di corto alla Repubblica sanese.
    La qual cosa fu prevista non solamente dal Petrucci, ma dal Pontefice Giulio II, il quale nel dubbio che le armate francesi esistenti in Italia, ed il cui re era legato in amicizia coi Fiorentini, non penetrassero in Toscana, s’interpose mediatore fra le due repubbliche, acciocché, con la restituzione di Montepulciano ai Fiorentini si fosse da questi concluso un nuovo trattato di amicizia con i Sanesi, a somiglianza dell’altro rinnovato nel 1505.  Infatti la lega fra i due Comuni fu stabilita nel settembre del 1511, e quindi approvata dalle parti con il consenso de’Montepulcianesi.
    Appena firmato cotesto trattato, in un articolo del quale facevasi menzione della lega conclusa dai Sanesi con Ferdinando il Cattolico d’Aragona, per cui quel re si obbligava proteggere la Repubblica sanese, difendere la città ed il suo dominio, e di mantenere Pandolfo Petrucci nella medesima dignità che allora godeva nello stato.  Fu pure in grazia de’consigli del Magnifico
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    se il senato di Siena non consentì alle ripetute istanze del Pontenfice Giulio II di rompere la lega mercé sua stabilita nel 1511 coi Fiorentini, a motivo che questi permisero che si celebrasse in Pisa un concilio contro la volontà del Papa, di maniera che per opera del Petrucci, non solamente i Fiorentini, ma la Toscana tutta si rimase in pace.  Quindi è che neanco la morte del Magnifico , accaduta nel 21 maggio del 1512, portò alterazione nel governo di Siena, la cui città continuava ad esser retta dal magistrato stesso di Balìa, essendo stato rimpiazzato Pandolfo da Borghese Petrucci suo figlio maggiore.  Peraltro nove mesi dopo, alla morte del Magnifico   tenne dietro quella del Pontefice Giulio II, una delle ultime operazioni politiche del quale fu di acquistare segretamente dall’Imperatore Massimiliano per 30,000 ducati d’oro i diritti sovrani sulla città di Siena con la mira d’investirne il Duca d’Urbino suo nipote.  Appena i Sanesi ebbero notizie di tali maneggi, tanto maggiormente s’inasprirono gli animi loro in quantoché eglino oltre di avere già pagato grosse somme a Cesare, avevano anco sborsato 7000 ducati al viceré di Napoli, dopoché cotesto signore ebbe ordinato ai suoi Spagnuoli il sacco alla Terra di Prato, e dopo di avere rimessi in Firenze i figli dell’esiliato Piero de’ Medici, scacciandone il gonfaloniere perpetuo.
    A rendere poi maggiormente  efficaci le ragioni che per tal mezzo Papa Giulio sperava acquistare sopra Siena, egli condusse a suoi stipendj Carlo Baglioni, con animo di cacciare anche di Perugia il signore della città Gio. Paolo Baglioni, stato affezionatissimo del Magnifico , e sempre caro al figlio di lui Borghese Petrucci successore in Siena della grandezza, ma non della prudenza ne della politica del padre.
    Venne però la morte (22 febbrajo 1513) per impedire di mettere ad effetto questi ed altri smisurati concetti del coraggioso Giulio II, Pontefice, diceva il Guicciardini, degno di somma gloria, se fosse stato principe secolare, o
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    se quella cura e intenzione che ebbe ad esaltare con l’arti della guerra la Chiesa romana nella grandezza temporale, l’avesse avuta ad esaltarla con l’arti della pace nelle cose spirituali.
    Non cessarono però con la morte di Giulio II le guerre in Italia, né i Sanesi sospesero di pagar denari all’Imperatore;  in guisa che spesse volte molte repubbliche della Toscana dovettero in tal guisa ricomprare la loro franchigia da tanti Cesari, allorché essi accompagnati da gran corredo di gente scendevano a visitare l’Italia. 
    Sebbene Leone X successore di Papa Giulio nel primo anno del suo pontificato si dichiarasse protettore della Repubblica sanese, pure i reggitori della medesima non furono lasciati tranquilli dalle trame dei fuoriusciti.
    E perché Borghese Petrucci  non mostrava gran perizia nell’arte di governare, il Pontefice Leone X volle giovarsi del di lui cugino Mons. Raffaello Petrucci comandante del Castel S. Angelo e vescovo di Grosseto per inviarlo (marzo del 1515) a Siena accompagnato da buon numero di fanti e cavalli sotto il comando di Vitello Vitelli, lusingato l’uno e l’altro dalle parole de’fuoriusciti e da molti Sanesi nemici del Borghese, i quali promettevano a Leone che il Vescovo castellano sarebbe stato bene accolto da tutta la città per capo del governo in luogo del di lui cugino.
    Uno de’primi passi diretti ad ottenere l’intento fu quello di far partire da Siena Antonio da Venafro, il fido ed accorto consigliere del Magnifico , onde staccarlo dal di lui figlio.  Costui sentendo che il cugino si avvicinava con l’esercito alla città, partì da Siena con suo fratello minore, Fabio, dirigendosi alla volta di Napoli, lasciata la patria, la famiglia, gli amici e le sostanze sue a discrezione de’rivoltosi.
    Non era appena entrato in Siena (12 marzo del 1515) il vescovo di Grosseto che fece convocare il consiglio generale per creare una nuova Balìa di 90 individui, 30 per Monte , da durare per tre anni con la medesima autorità
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    della Balìa passata.  Quindi fu confinato e poco dopo dichiarato ribelle il Borghese col di lui fratello Fabio, e fu rinnovata la lega tra la Chiesa e la Repubblica di Siena, includendovi il Duca Lorenzo de’Medici nipote del Pontefice.  Che se cotanta felicità fu in gran parte raffrenata dalla morte di Giuliano fratello di Leone X, altronde essa non impedì il progetto di costui, ch’era di fare uno stato al nipote Duca Lorenzo de’Medici rivolgendo le mire all’impresa e conquista del duca d’Urbino, cui il buon Giuliano con ogni studio e ardentissime preghiere se egli era mostrato contrario.
    Allo sdegno del Duca vecchio di Urbino per tal divisamento si congiunsero le ire di Malatesta e di Orazio Baglioni figliuoli di Gio. Paolo, cui Leone X aveva fatto mozzare il capo, mentre i Fiorentini che mantenevano viva quella guerra, presero anche a difendere Perugia per mantenervi in dominio un altro Baglione di fazione contraria.  – La morte però del Duca Lorenzo de’Medici sconcertò tali divisamenti, imperrocché il vecchio Duca non solo  riescì a ricuperare il suo stato d’Urbino, ma Perugia ancora fu ripresa dai figli di Gio. Paolo Baglioni ad onta che il loro rivale valorosamente vi si fosse difeso.  Quindi il Duca d’Urbino alla testa della sua oste si diresse verso Siena, la quale dopo la cacciata di Borghese Petrucci seguitava a dipendere dai Medici;  sicché ai Sanesi non restava altra speranza che il soccorso de’Fiorentini per l’intelligenza che avevano col cardinale Giulio della stessa prosapia Medicea. 
    Già il Duca Francesco Maria cominciava a taglieggiare il contado di Siena ed era con lui Mons. Lattanzio Petrucci, che dal Pont. Leone era stato privato  del vescovado di Soana, quando si sentì l’elezione del Pontefice Adriano VI e quasi contemporaneamente la morte del porporato Raffaello Petrucci capo del governo sanese.
    In tale circostanza il Card. Giulio de’Medici accordatosi con la Signoria di Firenze allora sua ligia, dopo raccolte molte truppe, fece avvicinarle a Siena, ch’era in pericolo di
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    cadere sotto il dominio del vecchio Principe d’Urbino.  Quindi rassicurata Siena, l’oste fiorentina s’incamminò verso Perugia avendo seco l’espulso gentile Baglioni con la mira di ricuperare la città alla Sede Apostolica.
    In questo mentre fu conclusa fra le parti una pace che lasciava il Duca di Urbino tranquillo possessore del suo stato, a condizione che egli in alcun modo né ai Fiorentini né ai Sanesi recasse più danno.
    Erano in tale stato le facende politiche dell’Italia, allorché si scoperse una nuova turbazione, che a quella breve e sospetta quiete fu principio di grandissimi travagli. - Le forze vistose di due potenti sovrani esteri, i reali di Francia, e gl’imperatori di Germania, che per anni e secoli con varia sorte ed alacrità si contesero il primato dell’Italia, dopo la morte di Papa Leone X ripresero nuovo vigore.
    Erasi di poco tempo la città di Siena liberata dalle guerre, prima del Duca di Urbino, poi del romano Renzo da Ceri, quando il governo di Siena dovette pagare 30000 ducati d’oro per i bisogni dell’esercito di Carlo V, e ciò poco innanzi che arrivassero lettere da Roma dell’ambasciatore  cesareo in data dell’8 maggio 1523, con le quali s’invitavano i magistrati del Comune di Siena ad una riforma governativa tendente a rimettere in patria ed a riabilitare agl’impieghi pubblici i fuoriusciti.  La qual cosa rimase per allora sospesa stante la morte accaduta del Pontefice Adriano VI, finché dopo l’esaltazione del cardinale Giulio de’Medici sul trono pontificio col nome di Clemente  VII si videro in diverso modo gli affari di Siena maneggiati.
    E parendo a questo gerarca cosa difficile il poter mutare a forza d’armi lo stato di questa Repubblica, sulla quale aveva preso molta autorità Francesco Petrucci nipote del cardinal Alfonso, egli ricorse all’industria.  Chiamò il Petrucci a Roma col pretesto di confermare la confederazione stabilita tra la Rep. Fiorentina e quella sanese, ma frattanto che il Petrucci con belle parole era trattenuto a Roma, sostituivasi in Siena
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    nel magistrato di Balìa Fabio figlio minore di Pandolfo Petrucci (26 dicembre 1523).  Ma non avendo costui né l’accortezza politica, né i talenti del padre, la sua grandezza non era fondata sulla benevolenza de’suoi cittadini, quelli medesimi che avevano contribuito  al ritorno di Fabio, misero a romore il popolo sanese, in guisa che Fabio dové fuggire un’altra volta dalla sua patria.  La partenza di costui parve ai Sanesi un ritorno alla libertà, e la Signoria fece adunare il consiglio del popolo per trovar modo se era possibile di poterla mantenere. 
    Conobbero per tanto, sebbene tardi, coloro dell’ ordine de’Nove che furono i capi della cacciata  di Fabio, l’errore da essi fatto vedendo quanto la popolazione insorta a nuova libertà ed all’ ordine de’Nove nemica, li superasse di numero e di potere.  Credendo essi rimediarvi, caddero in un male peggiore, come fu quello di aderire ai disegni dell’accorto Clemente VII, il quale profittò del passaggio per Siena di un’armata  del re di Francia, che dalla Lombardia doveva continuare il cammino all’impresa di Napoli, per farla trattenere alcuni giorni nel territorio sanese ed intanto cogliere l’occasione di far proporre e consentire dal consiglio del popolo di Siena che si annullassero tutti i Monti , ossia gli ordini vecchi , e che si richiamasse ad effetto la riformagione del dicembre 1487, con la quale si tentò di ridurre tutti gli ordini ad un Monte solo, ordinando che il nuovo unico Monte si appellasse de’ Nobili e Reggenti .  Quindi nel mese di gennajo dell’anno 1525 fu costituita per 4 anni un’altra Balìa di 78, lasciando la prima nella medesima autorità col titolo di Balìa maggiore .
    Volendo poi a soddisfazione del Pontefice ristringere in pochi l’autorità della Balìa il consiglio del popolo con provvisione del 17 febbrajo dell’anno stesso 1525 elesse una Balìa di 16 cittadini, investendola
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    di ogni autorità sopra le cose dello stato.
    Una delle prime misure tiranniche dei 16 della Balìa, sulla quale primeggiava Alessandro Bichi, fu l’ordine perentorio a tutti i cittadini di dovere consegnare qualunque sorta d’armi tenessero in casa, o che portassero in dosso, meno ché una spada.
    Ma il dì 24 del mese medesimo di febbrajo essendo accaduta la gran battaglia di Pavia, nella quale dagl’Imperiali rimase sconfitto l’esercito francese e prigioniero lo stesso loro re, quasi tutti i governi d’Italia divennero servi del vincitore, dal quale bisognò che si redimessero a forza di danari.  Però alla Balìa di Siena ciò non bastava, stanteché un nemico interno assai più temibile la minacciava al punto che i popolani, sentita la buona fortuna degl’Imperiali, presero animo contro il governo dato loro da Clemente VII.  -  In vigore di ciò nel 6 aprile del 1525 un cittadino sanese Girolamo Severini ad esempio di Bruto salì in palazzo e davanti alla Balìa maggiore trucidò Alessandro Bichi principale di quel magistrato.  Dopo il qual fatto altre genti col Severini congiurate avendo levato il popolo malcontento a rumore, cacciarono di Siena molti aderenti dell’ordine de’Nove , e riformarono la città a regime popolare nemico del Pontefice e piuttosto aderente di Cesare, non senza una tacita approvazione di Carlo V per tuttociò ch’era stato fatto.
    Tale fu un tempo l’animo di colui che trent’anni dopo con la sua potenza costrinse  un popolo eroico dopo un lungo ed ostinato assedio a sottomettersi disperato alla sua discrezione.
    E tale era pur l’animo del Pontefice Clemente VII che o per spirito di partito, o forse anco di vendetta, nel 1526 a danno de’Sanesi si unì col popolo fiorentino, con quel popolo contro il quale tre anni dopo rivolse le proprie armi e quelle dello stesso Imperatore per ridurlo servo della casa dei Medici.
    Infatti Papa Clemente non so o tentò segretamente d’impadronirsi di Siena, ma ricorse alla forza aperta allorquando avendo messo
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    insieme, oltre i fuoriusciti sanesi, un numeroso esercito, né affidò il comando a valenti capitani, coll’ordine di marciare contro Siena.  Giunta l’armata ai confini, si divise in due corpi, uno diretto per la strada regia romana, l’altro per la Val di Chiana. 
    Col primo strada facendo assalì inutilmente Montalcino, il cui presidio bravamente si difese;  con il secondo, dopo essersi unito per via a nuove genti e ad altri banditi, si diresse nel suburbio settentrionale di Siena, dove un’armata di Fiorentini accompagnata da Roberto Pucci e da Antonio Ricasoli suoi commissarii con l’oste papalina si accampò fuori di Porta Camullia.  – E affinché i Sanesi fossero da più parti nel tempo medesimo molestati, l’ammiraglio Andrea Doria assaltava con un’armata navale i porti della Maremma, sebbene egli non ritrovasse corrispondenza in quelli di dentro.  A rendere sempre più fallaci le speranze di Clemente VII e dei ribelli si aggiunse un fervido amor di patria innato nei cittadini sanesi, di loro natura ardentissimi;  i quali per cotal procedere s’infiammarono a segno che tutti gli uomini atti alle armi corsero sotto le bandiere delle loro contrade, e animosamente si mossero per andare, parte di fronte, e parte di fianco contro i nemici, sicché gli uni fuori di Porta Camullia, gli altri escendo dalla Porta di Frontebranda contro l’oste s’incamminarono.  La battaglia fu breve ma sanguinosa, in guisa che il nemico da tanto impeto atterrito si diede presto alla fuga lasciando in potere dei Sanesi artiglierie, armi, stendardi, vettovaglie, carri, cavalli e prigioni.
    Cotesta vittoria riportata contro le armi di Clemente VII e de’ Fiorentini precedé di poche settimane l’arrivo in Toscana dell’esercito imperiale diretto a Roma contro lo stesso Papa sotto il comando del duca Carlo di Borbone, il quale attraversando il dominio sanese fu dagli ambasciatori della Repubblica largamente presentato, ed il suo esercito di gran copia di viveri e di armi ancora fornito. Accadeva ciò non molti giorni innanzi che le truppe spagnuole del devoto Imperatore dassero il
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    sacco all’alma città, e obbligassero il gerarca universale della Romana Chiesa a rinchiudersi nel Castel S. Angelo.
    La presa di Roma accaduta nel 26 maggio del 1526, e la ritirata di Clemente in Castello, se da un canto ebbe a scoraggiare i fuorusciti sanesi, togliendo loro ogni speranza di rientrare a signoreggiare la patria, dall’altro canto incoraggì talmente il popolo fiorentino ed i nemici dei Medici che quasi tumultuariamente a questa famiglia fu dato il bando ed i capi di quella prosapia dichiarati di nuovo come nel 1494 ribelli della patria per dare in tal guisa a Papa Clemente esca e motivo maggiore di unire le forze della Chiesa a quelle di un Imperatore potentissimo onde disfare il governo popolare di quella Repubblica.
    Comecché per arrivare a tale intento restasse un osso assai duro a rodersi da quei can mastini, non era peraltro il fiorentino il solo governo rappresentativo che si voleva togliere di mezzo in Toscana, mentre gli occhi dei due potentati non perdettero mai di vista anche l’altro di Siena.
    Quantunque tardi, pure i Sanesi si accorsero del mal consiglio preso dai loro magistrati allorché fornirono artiglierie e vettovaglie all’esercito pontificio-imperiale nel recarsi che fece all’assedio di Firenze, e ciò ad onta che i governanti di quest’ultima città tenessero viva la pratica di collegare alla loro fortuna quella del Comune di Siena, mostrando, che se la Repubblica di Firenze restava oppressa, la sorte medesima sarebbe toccata alla loro patria.
    Realmente non era per anco Firenze caduta in mano dei suoi nemici quanto da quelli che vi stavano ad assediarla fu mandato a Siena un agente dell’Imperatore per trattare coi governanti del modo di farvi rientrare i fuoriusciti.  Che se cotesta dimanda non ottenne subito il suo effetto, essa convertirsi in comando assoluto dopo la conquista di Firenze, tostoché l’Imperatore ordinò ad una porzione dell’esercito stato fino allora negli accampamenti di quella città, di avviarsi nel dominio sanese.  Bentosto il loro Generale Gonzaga chiese alla
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    Signoria di Siena di mandare al suo quartiere di Pienza persona con facoltà di stabilire in modo che i fuoriusciti e ribelli per cagione di stato fossero rimessi nella loro patria, ben inteso che se gli restituissero i beni confiscati e che dovessero partecipare con tutto l’ordine, o Monte dei Nove agli uffizi pubblici.
    Tutte coteste condizioni proprie a stabilire un governo assoluto furono prontamente accettate dalla Signoria di Siena, che sino d’allora rimanendo sotto l’influenza imperiale  ebbe a far buon viso ad un rappresentante di Carlo V, don Lopez de Sorìa, arrivato nella città alla testa di una compagnia di 400 spagnuoli e di molti fuorusciti dell’ordine de’ Nove . E perché due anni innanzi, allorché per cagione di una rivolta sanguinosa, l’ordine de’ Nove fu escluso affatto dal governo; e vennero tolte ai particolari le armi, delle quali i fuorusciti si erano provvisti a Firenze di quelle appartenute ai cittadini della estinta Repubblica.
    Già fu detto che l’ordine de’ Nove , il quale dominò in Siena fino alla sua cacciata comandata da Carlo IV, era popolare, mentre dopo il suo ritorno forzato con Pandolfo Petrucci divenne aderente al regime tirannico e assolutista; e tale si mantenne, sia per la rabbia delle continue  rivolte popolari che lo avevano cacciato, sia per la tacita intelligenza di potenti monarchi, dai quali quei fuorusciti furono assistiti.
    Anche cotesta volta non contenti che il nuovo reggimento gli avesse accettati e riammessi a partecipare degli uffizi governativi in patria, i ribelli avendo fatto acquisto senza cautela di armi da fuoco, e quelli dell’ordine de’ Popolani accorgendosi che il partito de’ Nove   cercava vendicarsi degl’insulti ricevuti, chiamarono una notte la popolazione all’armi; e sebbene in tale occasione la cosa riescisse senza effetto, ciò ebbe luogo nel due gennajo del 1531, quando ad un nuovo romore i Nove furono all’ordine de’Popolani e de’Riformatori
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    con l’aiuto della plebe superati e disarmati, facendo a molti di essi con la morte pagare la pena.
    La qual cosa fu così mal sentita dall’Imperatore, che inviando in luogo di don Ferrante Gonzaga il March. del Vasto comandante del suo esercito nel dominio sanese, questi presentò una lettera di Cesare scritta da Bruselles il dì 21 febbraio 1531 al senato e al consiglio generale della repubblica sanese, colla quale rimproverava il popolo di Siena delle cose ultimamente accadute, consigliando il senato a richiamare in patria i loro concittadini stati di corto cacciati di là. – (Malavolti,  Istor. San. P. II Lib. VIII. )
    In modoché, scriveva lo storico testé citato, non fu da maravigliarsi se coloro che governavano la città, non avendo osservato quanto dall’Imperatore era stato al governo di Siena in quella lettera ordinato, ad oggetto di conservarsi liberi, non è, diceva egli, da maravigliarsi se dopo avere nel 1545 cacciato di Siena una parte di cittadini, per difetto loro facessero perdere alla patria la propria libertà con danno di tanti altri che non ne avevano colpa.
    Intanto andava in Siena talmente crescendo tra le diverse fazioni la discordia, che una parte di esse nel 1539 ricorse alle armi con intenzione di abbassare la grandezza della famiglia Salvi favorita dal duca di Amalfi generale di Carlo V, comecchè essa in apparenza facesse la sviscerata del popolo, se il Duca stesso di Amalfi con la guardia  de’ suoi Spagnuoli non vi avesse riparato.
    Quindi nella fine dell’anno 1541 fu mandato a Siena da Carlo V un suo legato con ordine di riformare il governo. Ma non passò molto tempo che parendo all’ordine de’ Popolani che quella riforma avesse accresciuto troppo l’autorità all’ordine de’ Nove con detrimento degli altri Monti , si unirono al medesimo quelli dell’ordine de’ Riformatori , e poiché non potevano con l’armi tenerli bassi, cercarono di mettere in
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    sospetto i capitan di giustizia che vi era per l’Imperatore; di modo che in luogo di don Lopez di Soria fu inviato a Siena (luglio 1543) don Giovanni De Luna.
    Cesare dopo aver assegnato a Siena nuovo capitano, poco essi stettero a prendere anche costui in sospetto credendolo troppo favorevole all’ordine de’ Nove , sicché a dì 8 febbrajo del 1545 si levò gran rumore dall’ordine de’ Popolani contro quello de’ Nove , cui si unirono molti del Monte detto de’ Gentiluomini . – In tale frangente escì fuori il capitano del popolo, il quale valendosi del favore della plebe, riescì a superare la fazione contraria, sicché il popolo dopo sfogate le private vendette cercò di riformare il reggimento governativo, dal quale fu dichiarato (marzo del 1545) che l’ordine de’ Nove , incolpato dello scandalo accaduto, fosse levato totalmente dalla borsa dei governanti e da tutti i magistrati, cui era stato fino allora ammesso per una quarta parte. E non bastando ciò, fu licenziata da Siena la guardia spagnuola col suo capitano, fu tolta l’autorità alla Balia de’ Quaranta   ed eletta una Signoria di tre per ciascun de’ tre Monti , cioè di Popolani , di Gentiluomini e di Riformatori , i quali insieme al capitano del popolo ebbero la medesima autorità della Balìa de’ Quaranta .
    Ma non corse molto tempo che in Siena continuando le divisioni, le rapine e gli omicidi ritornò la guardia spagnuola, contuttoché la città si reggesse a nome di Repubblica. Talché appoco appoco don Diego di Mendoza, che risiedeva in Roma in qualità di ambasciatore di Carlo V, insinuava il suo sovrano per il bene e sicurezza di quella città a farvi una fortezza. Inoltre don Diego cercava di persuadere Cesare che, a volere stabilire ed assicurare bene l’imperio suo in Italia, sarebbe stata cosa utile dichiarare
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    signore di Siena Filippo II suo figliuolo, acciocché, impadronitosi di quello stato, tenesse in un medesimo tempo a freno il Papa ed il Duca di Firenze,non importando altro la fortezza di Siena, che un ceppo sul collo ad ambedue i principi, e diceva, anche un freno all’indomabile popolo sanese.
    Nel tempo che coteste pratiche si andavano agitando, don Diego di Mendoza a richiesta dei Signori di Balia tornò da Roma a Siena, la qual misura si risolvé in danno de’ governanti, perché i Sanesi non solo accettarono i 400 soldati spagnuoli, ma il Mendoza stesso fu fastosamente accolto dal pubblico e dai particolari anco innanzi che l’Imperatore dirigesse da Augusta in data del 15 giugno 1548 lettere alla repubblica di Siena esortando cotesto popolo alla quiete, ed a fare quanto per sua commissione gli veniva comandato. Con tali facoltà don Diego il dì ultimo di ottobre fece adunare il consiglio del popolo, quindi esortò quel senato a restituire i cittadini dell’ordine de’ Nove per una quarta parte nel governo, di che s i rifacesse la Balia de’ Quaranta. Che sebbene il senato sanese di prima giunta non vi aderisse, dové presto accettare tuttociò per ordine di S. M. Cesarea, in guisa che la Rep.di Siena fu organizzata a modo e volontà di don Diego di Mendoza.
    Onde anche meglio assicurarsi dell’ubbedienza di un popolo poco avvezzo ad ubbidire allo straniero, don Diego dopo aver introdotto in città alla spicciolata parecchie centinaja di soldati spagnuoli, ordinò che le armi pubbliche ad eccezione di poche con le artiglierie e munizioni dal palazzo della Signoria si portassero nel convento di S. Domenico in Camporegi .
    Né tuttociò bastava per far di Siena una città ligia dell’imperatore;  era disegno già fatto dal ministro di Cesare di erigere nella città una fortezza.  Al quale effetto don Diego dopo cavati i fondamenti presso l’attual Lizza , con
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    i materiali delle torri scapezzate ad onta delle rimostranze e preghiere dei magistrati e del popolo, la disegnata cittadella faceva innalzare.  – Racconta Bernardo Segni nelle sue storie che nel cavare i fondamenti per erigervi la rocca fu trovata una palla grossa di ferro, intorno al quale erano scritte queste parole:  Nel giardino delicato la fortezza si farà, e poco tempo durerà .  A queste parole corrispondevano quelle del famoso Brandano, il quale andava gridando per le strade di Siena:  Invanum laboraverunt qui aedificant eam .  E lo stesso Segni aggiunge, come in quei giorni tutti i Sanesi sbigottiti e malcontenti, avevano fatta una pubblica processione e con solenne pompa presentate ad un’immagine della Beata Vergine, avuta da quel popolo in singolare devozione, le chiavi della loro città:  Presentino (disse il Mendoza) i Senesi, e consegnino a chi vogliono le chiavi di Siena da motteggio, a me basta di avere in mia podestà le chiavi da dovvero.
    Non trovando i cittadini mezzo lecito da far desistere gl’Imperiali da quell’impresa, si rivolsero ad altra via.  E benché il Duca di Firenze avesse fatto intendere al Mendoza che in Siena  essendo sollevati tutti gli umori pei mali portamenti suoi e del presidio spagnuolo, egli stesse bene in guardia, perché gli erano venute a notizia alcune pratiche sospette di Enea Piccolomini, nipote per via di donna del Pontefice Paolo IV, e del capitano Girolamo da Vecchiano, con tutto ciò il Mendoza non ne volle far conto.
    Frattanto Girolamo da Vecchiano, il quale aveva avuto soldo dal re di Francia, con 500 fanti passò da Siena mentre il Mendoza era a Roma, e col pretesto  di amicizia verso Enea Piccolomini conferì seco lui per parte del cardinale Farnese di alcune cose, fra le quali eravi la promessa mandata dal re di Francia, di restituire Siena in libertà e rovinar la fortezza, se il Piccolomini volesse porgere in causa si pia
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    ajuto alla patria.
    In conseguenza di ciò Enea che con Mario Bandini e con altri della Balia nutriva mal umore verso don Diego, di buon animo vi aderì.  Levossi allora il popolo a rumore, e sebbene fosse stato spogliato in gran parte delle sue armi, sbigottiti gli Spagnuoli, si ritirarono tutti nella fortezza, mandando prontamente avviso al Duca di Firenze di tale sollevazione.  – Era il giorno di S. Francesco dell’anno 1552 quando il Duca Cosimo, appena informato di quel tumulto, fece accorrere le sue compagnie di Val d’Elsa verso Siena, e senza attendere altro consiglio ordinò ad Otto da Montauto  che con i suoi 500 fanti entrasse in Siena.  Questi appena introdotto per la fortezza vicina a Porta Camullia, la notte appresso uscì fuori con le sue genti e col presidio spagnuolo in ordine di battaglia, e tosto si attaccò zuffa con il popolo sanese armato, non senza la morte di varj spagnuoli e di un maggior numero di palleschi ;  sicché il Montauto caricato e respinto dal furore della popolazione fu costretto ritirarsi in quella rocca, di dove mandò avviso al Duca che gli sollecitasse nuovi soccorsi, giacché in quel modo non avrebbe potuto tenersi fermo nella cittadella più di cinque giorni. 
    Allora Cosimo I, fra la diversità di opinioni dei suoi consiglieri, accettò quella di non impacciarsi in cosa alcuna di Siena,  e dopo tre giorni commise al Montauto che uscisse dalla cittadella.  Passati pochi altri giorni partirono gli Spagnuoli, previo accordo fatto co’Sanesi di partire della città a bandiere spiegate con le loro robe;  quindi l’ambasciatore di Francia presso il Papa venuto a Siena si fece consegnare la fortezza in nome del suo re, che poi donò a quella Signoria, lasciando alla medesima l’amministrazione delle facende della Repubblica, ed al popolo sanese l’arbitrio di rovinare dai fondamenti l’odiato fortilizio.

    VI. SIENA NELL’ULTIMO ASSEDIO SINO ALLA SUA CESSIONE A COSIMO I.

    La partenza del presidio spagnuolo
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    da Siena e la distruzione della fortezza a dispetto dell’Imperatore e senza l’annuenza del Duca di Firenze, che pure fingeva di non avvertire quei casi, tutto ciò decise il potentissimo Carlo V alla distruzione di cotesta Repubblica.  Né corse molto tempo che il Duca Cosimo per gelosia di stato iviò ai confini 3000 de’suoi soldati a guardia di tutti i luoghi posti in vicinanza del contado sanese, tanto più che dal re di Francia fu mandato a risieder in Siena Mons. di Termes con titolo di governatore e di suo capitano;  il quale lasciava ai Sanesi liberamente governare i pubblici affari.  Che se da un canto l’ambasciatore regio intento alla guardia della città, suo stato e marina assoldava gente, dall’altro canto Cosimo I si provvedeva di milizie.  A sostenere la quale spesa, oltre ai balzelli e agli accatti, il Duca ebbe ricorso a una gabella sopra la farina che pagava per tutto il dominio soldi tre e danari quattro lo stajo, ed in Firenze soldi quattro, e dicevasi che cotesto dazio sarebbe arrivato in un anno quasi 200,000 scudi, col computo fatto di tutti i sudditi e forestieri, che si facevano allora ammontare nello stato vecchio di Firenze e  Pisa a 900,000 anime.
    Frattanto per la Toscana passavano fanti, cavalli, danari ed arme de’Francesi, senza che fosse loro impedito il transito pel dominio fiorentino, fingendo il Duca Cosimo di non avvertire quel caso;  in guisa che Siena potette presto riempirsi di soldati, di vettovaglie, di munizioni, di artiglieria e di ogni sorta di arme.  Contuttociò appena l’Imperatore poté sbrigarsi dalle guerre che aveva in Alemagna e nelle Fiandre, sulla fine dell’anno 1552 inviò a Don Pietro di Toledo suo viceré a Napoli e suocero del Duca Cosimo l’ordine di apparecchiare un esercito opportuno per assalire lo stato di Siena.
    Era già l’oste in cammino dal regno di Napoli alla volta della Toscana, ed appena era entrato l’anno 1553 quando il viceré giunse
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    a Livorno con 2000 fanti spagnuoli, 400 lance e mille cavalleggeri napoletani, quasi nel tempo stesso in cui il suo figlio don Garzia arrivava con molta cavalleria e con 8000 pedoni sotto Cortona.  –Disegnava costui d’assaltare il dominio di Siena, con una metà dell’esercito dalla parte di Val di Chiana e con l’altra metà invadere la Maremma.  Ma poco dopo essendo morto a Firenze il viceré, fu da Carlo V destinato don Garzia in generalissimo di quella guerra, assistito dal valente capitano Alessandro Vitelli.  Né intanto i Sanesi restavano di provvedere ai casi loro, poiché mentre monsignor di Termes recatosi a Grosseto ordinava che molti castelli di quella provincia si fortificassero, il governo della repubblica metteva in armi da 10,000 fanti e da 500 cavalleggeri.  Arroge che il re Cristianissimo di Francia fino dal novembre dell’anno precedente aveva mandato suo luogotenente in Siena il cardinal di Ferrara, Ippolito d’Este, che offrì ai sanesi da parte di S. M. ogni sorta d’ajuto per la conservazione e difesa della loro libertà.
    Dall’altro canto il Duca Cosimo, sebbene in apparenza figurasse in tale emergente di volersi mantenere neutrale fra i Francesi e gl’Imperiali, non volendo senza profitto di Cesare nimicarsi il re di Francia, contuttociò l’animo suo era propenso a giovare a Carlo V, nella speranza di poi ritornare lo stesso vantaggio che era toccato al Duca Alessandro de’Medici dopo la caduta di Firenze.
    Dondeché Cosimo non lasciò opera alcuna addietro per provvedersi di moneta, al qual uopo giovossi non solamente della copiosa vendita de’beni appartenuti ai ribelli, ma dopo aver gravato i popoli con la gabella sulla farina, aumentò anche quella della carne, stata messa poco innanzi, e ne aggiunse delle altre.  Fu allora dato l’ordine che si fortificasse il castello di San Casciano, che si munissero e che si serrassero insieme i bastioni incominciati sul monte di San Miniato sopra Firenze, e ciò ad oggetto di tener guardata e sicura tutta quella parte della città di Oltrarno.
    Molti e
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    in vari tempi scrissero delle vicende occorse in Siena dall’epoca della cacciata del presidio spagnuolo fino alla resa di detta città alle armi di Carlo V per non aver io bisogno di qui tutte annoverate, bastando la nota (I) pagina X della prefazione al Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 ai 28 giugno 1555 , scritto da Alessandro Sozzini , e per la prima volta pubblicato in Firenze nel Volume II dell’ Archivio storico italiano insieme con altri racconti a quella guerra relativi.
    Anche un moderno scrittore credo che vada preparando un romanzo storico intorno al serio argomento dell’ Assedio di Siena .
    La prima Terra pertanto presa ai Sanesi dagl’Imperiali fu Asinalunga in Val di Chiana, dietro la quale venne quella di Lucignano:  e così incominciò il Duca Cosimo a levarsi la maschera col dichiararsi palesemente nelico de’Francesi e de’Sanesi, tostoché egli inviò una compagnia de’ suoi soldati a presidiare Lucignano e guardarla in nome e per conto dell’Imperatore; quantunque per antiche ragioni della Repubblica fiorentina avesse egli avuto luogo di tenersi Lucignano per conto proprio.  Di là l’esercito imperiale s’inviò a Montefollonico per poi innoltrarsi verso Pienza, dov’era entrato con 500 fanti Girolamo Orsini passato di corto al servizio de’Francesi;  il quale non avendo avuto tempo di farvi ripari da potere reggere ai colpi delle artiglierie, gli parve meglio di abbandonare la piccola Pienza.
    Ma una parte di quei soldati essendosi ritirata con Adriano Baglioni nel vicino castel di Montichiello, questo capitano deliberò di tenere forte il castello per natura del sito assai ben difeso, nella speranza se non altro di dare comodità a quelli di Montalcino di potersi fortificare.
    Non ostante però una coraggiosa difesa, essendo mancata a quelli di dentro la munizione e rimastovi ferito il comandante Baglioni, il presidio di Montichiello dové rendersi a discrezione.  – Vedere MONTICHIELLO.
    Con questi felici principj gl’Imperiali si rivolsero
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    al castello di Trequanda inutilmente guardato da 300 Francesi, e di là si spinsero nella Valle dell’Ombrone sopra Buonconvento per avvicinarsi a Montalcino nel tempo che un altro corpo di 4000 Tedeschi penetrava nella Maremma sanese, e che 500 Spagnuoli a Orbetello e altri 400 sbarcavano a Piombino;  sicché questi uniti a mille soldati Italiani e a molta cavalleria tentarono non solo di privare i Sanesi del mare e delle vettovaglie, ma di occupare la capitale della Maremma Grossetana.
    Essendo però quest’ultimo progetto riescito vano, fu dato ordine ai soldati Tedeschi e Spagnuoli di avviarsi per il Volterrano, onde poi si unissero al grosso dell’esercito di don Garzia per l’acquisto di Montalcino.  Il quale generale per giungere più presto ad impadronirsi di quest’ultima città, ricevé da Firenze altri 2000 fanti con buon numero di guastatori  e fra le cose necessarie alla sua impresa  alcuni pezzi di artiglieria per battere il castello che quella città difendeva.
    Avendo don Garzia con cotesta triplice armata Tedesco-Spagnuola-Medicea potuto abbattere una torre della fortezza di Montalcino, attendeva animosamente ad avvicinarvisi con le trincee, non sapendo che dalla parte di dentro per i ripari fatti al castello e alla città il nemico avrebbe molto da sudare prima di venire a capo dei suoi desiderii, mentre non era minore l’ardire degli abitanti, e di un presidio di mille fanti scelti che sotto il conte Mario Sforza ed il capitano Giordano Orsini Montalcino difendevano.
    Infine don Garzia era venuto in speranza di potersi insignorire di cotesto paese per via di trattative, ma né tampoco da ciò trasse alcun frutto, meno il pericolo di perdervi la vita,  se da una sentinella degli assediati non fosse stato avvertito.
    Una simile speranza aveva concepito il Duca Cosimo delle cose di Siena, che per maneggio di un Salvi capitano del popolo onestamente sperava si muovesse a tumulto per cacciarne i Francesi col pretesto di chiamare il popolo a libertà.
    Ma scoperta la congiura,
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    il Salvi con un fratello suo canonico del Duomo, e due altri implicati nella trama medesima vennero condannati nella testa.
    La sventata congiura fu come mettere zolfo sopra il fuoco.  I Sanesi di ogni ceto, di ogni età, di ambo i sessi si armarono da disperati, e sebbene divisi fra loro per qualità, o per nascita, in quella emergenza di comune pericolo unitissimi procederono con la speranza di riacquistare l’indipendenza che ad essi loro ed alla patria si voleva togliere per sempre.
    Al momento che quella popolazione per intrighi segreti o per forza di bajonette e cannonate si vide in pericolo di perdere affatto patria e libertà, anche le donne di ogni condizione in tale circostanza spiegarono un animo risoluto;  e comecché la debolezza del sesso non permettesse loro d’imprendere cose superiori alle proprie forze, pure riunitesi  per Terzi e ordinate in altrettante schiere sotto distinte insegne e sotto il comando di tre generosi gentildonne, senza altra distinzione di preminenza di nascita, nobili, cittadine, plebee, tutte cantando una specie di Marsiliese marciavano per squadroni a porgere materiali e a lavorare alle fortificazioni della città, né da tali opere desisterono finché non l’ebbero terminate.
    La generosa condotta di quelle Amazzoni meritò gli elogj anco degli scrittori forestieri.  Tale uno di questi fu il maresciallo francese di Monluc , il quale, dopo la caduta di Siena trovandosi alla difesa dell’eterna città, scriveva ne’suoi commentarj, che avrebbe voluto difendere Roma piuttosto con le donne sanesi che con i soldati romani.
    Avvenne però che il Duca Cosimo nell’ottobre del 1553 mandò il suo fedele segretario Bartolommeo Concino all’Imperatore per dirle, che ogni volta S. M. I. volesse accordare 2000 fanti Tedeschi, altrettanti Spagnuoli, e 300 cavalleggeri mantenuti per 10 mesi, il suo padrone s’impegnava a prendere sopra di sé l’impresa di Siena, a condizione che da Cesare fosse poi ricompensato de’danari che avrebbe speso col ricevere dalla corte
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    Aulica altrettanto Stato in Toscana.
    Accettò Carlo V l’offerta, lodando il coraggio e l’attaccamento di Cosimo alla causa imperiale, desiderosissimo ad ogni modo di punire i Sanesi e di levare i Francesi d’Italia, tanto più che Piero Strozzi nemico personale di Cosimo era stato di corto dal re di Francia dichiarato comandante generale di tutte le sue armi in Italia.
    Disposti in tal guisa i mezzi, fu concertato il piano delle operazioni, fu deliberato che cotesta seconda guerra cominciata nel gennajo del 1554 ( stile comune ) s’intraprendesse a nome dell’Imperatore e del Duca di Firenze suo alleato, e che si approfittasse della buona fede in cui erano i Sanesi per sorprenderli movendo improvvisamente contro la città il suo esercito innanzi che arrivassero le truppe promesse dall’Imperatore.  Alla quale operazione doveva essere favorevole la circostanza dell’assenza da Siena del generale Piero Strozzi, e la dimestichezza che il Duca dimostrava continuamente verso il cardinal di Ferrara, rimasto al governo della nemica città.
    Vedendo però Carlo V e Cosimo de’Medici come le vie state fino allora adoperate non riescivano a conquistare né Siena, né Montalcino, stabilirono di procedere innanzi a detta guerra con nuove genti e nuovo comandante generale.  Si pensò di affidare  cotanta impresa al generalissimo marchese di Marignano, creduto derivato da un ramo della famiglia de’Medici uscita di Firenze e stabilitasi in Milano.
    Cotesto marchese, ch’era tenuto in quei tempi per uno de’più abili capitani che fossero in Italia,  fu condotto al soldo del Duca Cosimo, come persona la più opportuna ai disegni suoi.  Tentò egli da primo di prendere per sorpresa la città assediata, ma svegli erano i suoi abitanti, e più sveglio il generale Piero Strozzi che quel numeroso presidio era venuto a dirigere, talché riescirono frustanei i ripetuti assalti, dai quali però si vide sempre la rabbia del Marignano sfogarsi barbaramente sopra gli abitanti delle  e sopra i prigionieri che la sua oste prendeva.  – Frattanto che accadeva la guerra ora nelle
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    vicinanze, ora in lontananza dalle mura di Siena, ma sempre devastando ognor più il paese intorno, ogni cittadino, non esclusi gli ecclesiastici, sia della città come del contado affrontava coraggioso qualsiasi pericolo, ed anche la morte, per difendere la patria perfino nelle campagne.
    Accortosi il marchese di Marignano essere cosa quasi impossibile di prendere la città di Siena colla forza dell’armi, si dové risolvere a costringerla con affamarla.
    Se vi era innanzi qualche dubbioso, niuno restò perplesso dopo la condotta del marchese di Marignano, che Cosimo I più che Carlo V voleva finire la Repubblica di Siena a costo di disfare la stessa città.  Dondeché gli storici fiorentini meno sospetti scrissero senza mistero della risoluzione assunta a suo carico dal Duca Cosimo di scacciare da Siena i Francesi per farsi padrone di quella città e del suo stato.
    Dirò col Segni ( Istorie fiorentine, Lib. XIV .)  “che questa guerra mossa ai Sanesi dal Duca di Firenze, fu cagione espressa dell’ultima rovina di Toscana tutta.  La somma di tutte le genti del Duca fra Italiani, Spagnuoli e Tedeschi, nei primi tre mesi di quell’anno  radunate, ascendeva a 24,000 fanti e a mille cavalli, ed il loro mantenimento a 100,000 scudi, che tutta cotesta somma dové cavarsi da gravezze straordinarie poste ai sudditi tribolati sempre più da un’affliggente carestia, la quale cominciava in quell’anno ad essere grandissima”.
    Primo pensiero dell’accordo Marignano  fu quello di assaltare nel tempo medesimo i Sanesi in casa, nella Maremma, in Val di Chiana, in Val d’Orcia ed in Val d’Asso.  In Maremma dare il guasto a Grosseto, in Val di Chiana investire Chiusi, in Val d’Orcia Pienza, e in Val d’Asso Montalcino, nel tempo stesso che le sue genti in Siena occupavano il bastione accosto alla Porta Camullia con quel più che poterono avere.
    Che se dall’attività dello Strozzi e dal coraggio de’Francesi e de’Sanesi una gran parte di quei progetti furono resi vani, non mancò peraltro il Duca Cosimo di
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    arrivare presto al suo intento.  Né guerra fu mai esercitata con maggiore asprezza e ferocia.  Imperrocché usavansi crudeltà atrocissime in impiccar contadini, in isforzare donne, in ammazzare innocenti, ed in mettere a fuoco e fiamma ogni cosa.  (SEGNI, loc. cit. )
    Dopo però la vittoria del 2 agosto 1554 dagl’Imperiali e Ducheschi nei campi di Scannagallo presso Marciano in Val di Chiana sopra i Sanesi e Francesi riportata, al marchese di Marignano riescì facile cosa d’impadronirsi delle più forti posizioni intorno le mura di Siena.
    Imperrocché questo generale era convinto sempre più non esservi altro mezzo sicuro per impadronirsi della città di Siena che quello di ridurre agli estremi i suoi difensori ed abitanti per via della fame;  sicché egli dopo aver fatto demolire tutti i mulini de’contorni, dopo disfatti i bottini o acquedotti che conducevano l’acqua potabile in Siena, impose pene severissime ed atroci a chiunque ardisse trasportare vettovaglie di qualsiasi sorte nell’assediare città.
    Allora cominciò in Siena una lacrimevole costernazione cominciando a limitarsi ad una libbra a testa di grano che poi fu ridotto a mezza libbra, finché mancò affatto al pubblico la sua dispensa. 
    Il governo vedendo che una parte della popolazione a cagione di digiuni e di stenti era di già scomparsa dal numero de’viventi, decretò con poca carità di mandar fuori di città tutte le bocche inutili d’infermi, di vecchi e di donne, e perfino dei gettatelli impuberi giunti ad una certa età dell’uno e dell’altro sesso, i quali appena discostati pochi passi dalle mura urbane rimanevano a discrezione di un inesorabile nemico.
    Finalmente essendo venuto meno ogni umano soccorso, nella lusinga di dar fine a sì spaventevole catastrofe, i magistrati sanesi risolvettero di ricorrere ad un accordo.  – La prima risposta del Marchese di Marignano fu orgogliosa quanto crudele, allorché fece sapere agli assediati non esservi per loro altro scampo fuori di quello di sottomettersi intieramente alla discrezione del Duca di Firenze, se il sacco, il
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    fuoco e la rovina della loro patria volevano evitare.
    Frattanto che si dava cotesta aspra risposta, le armi francesi minacciavano fortemente dal Piemonte di avanzarsi verso la Toscana, ed in Lucca e perfino in Firenze si manifestava il maltalento de’cittadini verso il Duca che voleva fare di Siena ciò che Papa Clemente VII era riescito a fare della repubblica fiorentina, e ciò che, al dire del Vasari, Cosimo meditava di Lucca;  dondeché ogni giorno si appiccavano nei luoghi pubblici della città di Firenze cartelli ingiuriosi al Duca, e polizze col motto:  Viva Francia e muoja l’Impero .
    D'altronde a tal punto era arrivata la risolutezza de’Sanesi che piuttosto di accettare l’umiliante quanto barbara proposta del generalissimo di Cosimo, si sarebbero essi più volentieri seppelliti vivi sotto le rovine della propria patria incendiandola con le loro mani.
    Non dirò del patriottismo e fedeltà in questa guerra dai contadini dimostrata, tostoché gl' istorici, gli annalisti italiani e oltramontani, non che le relazioni parziali e giornaliere  di una guerra cotanto accanita, parlano assai rispetto alla fermezza e coraggio, col quale i villani del contado sanese assalivano, e assaliti bravamente i resedj dominicali difendevano;  talché lo storico Ammirato ebbe a concludere, che tuttociò dové succedere per effetto del mansueto ed amabile reggimento tenuto dai signori e possidenti sanesi, per cui animi rozzi e villani s'indussero di mettere a rischio la vita propria piuttosto che violare la loro fede.  - (AMMIR. Stor. Fior. Lib . XXX.)
    Ma dopoché alle superbe parole susseguirono proposizioni meno severe inviate ai Sanesi dal Duca di Firenze, il suo governo, vista la perdita di quasi tutti i paesi del dominio sanese;  visto che il maresciallo Strozzi non aveva potuto allontanare il nemico dai contorni di Siena, dove aveva devastato tutte le campagne delle vicinanze della città per togliere affatto gli assediati ogni speranza di raccolta;  considerata l'inutile diversione nello stato fiorentino fatta dall'esercito francese condotto dallo Strozzi;  visto inoltre che dopo la
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    terribile disfatta nei campi di Scannagallo era accaduta l'espugnazione di Casole e di Massa Marittima;  vista la mancanza di ogni sorta di vettovaglie, l'emigrazione e la perdita ognor crescente de'cittadini:  e sentito l'ordine barbaro dato dal generale nemico di ammazzare tutti i contadini che avessero tentato di portare vettovaglie in Siena, costringere uomini e donne che uscivano di città a ritornarvi;  considerando perciò i magistrati della Repubblica non restarvi altro modo di salvare la città, risolvettero di pregare il Pontefice Giulio III ed il Duca di Ferrara a promuovere la pace a meno dare condizioni di quelle inviate loro di prima.
    Non tutti i capi della Repubblica opinavano in tal maniera, quelli del Monte de'Nove , che per sola necessità e sicurezza propria avevano aderito all'ultima rivoluzione,  bramavano l'antico governo aristocratico sotto la protezione dell'Imperatore, mentre i capi del Monte de'Popolani essendo lusingati dai comandanti francesi di trasferire altrove la sede della patria pericolante, giudicavano indifferente che questa fosse in Siena o in Montalcino.  Altronde la plebe desiderando un ristoro sollecito a tanti mali;  in tale stato di cose i Signori di Balia della repubblica di concerto con il maresciallo di Monluc, divenuto l'arbitro del governo di Siena, destinarono ambasciatori a Cosimo I per trattare le condizioni della resa.  - Ma per conciliare le mire de'Francesi e l'urgenza de'Sanesi con la fermezza del Duca si passò un altro mese di tempo;  finalmente stringendo la fame, fu firmata la capitolazione nel 17 aprile del 1555, un articolo della quale esigeva, che per tutto il 22 aprile stesso la città di Siena dovesse restare evacuata dai Francesi per introdurvi la guarnigione imperiale.  La qual cosa avvenne a dispetto della popolazione che con tanti disagi sofferti in 15 mesi di assedio, con tutto il sangue sparso, non avendo potuto conservarsi in libertà, doveva tornare sotto gli odiati Spagnuoli.  Oltrediché un altro articolo della resa accordava facoltà di rifare una fortezza  in Siena nel modo
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    che piaceva al Duca Cosimo.  Infatti dopo introdotti 2000 soldati imperiali, Cosimo spedì a Siena Angelo Niccolini come suo luogotenente  incaricato di stabilirvi un piano di governo composto di persone non sospette (benché poche si stimassero fedeli) ed atte a ridurre  la città alla devozione dell'Imperatore, cominciando intanto dal togliere le armi di casa a tutti i cittadini e contadini.
    Un simile atto di schiavitù, da pochi anni indietro praticato, dispiacque talmente all'universale che si accrebbero le emigrazioni al segno da dovere a furia di bandi minacciare pene severe a chi abbandonava la già deserta città.  Frattanto alcuni dell'antico governo repubblicano ritiratisi in Montalcino con i sigilli dello stato invitavano col nome di libertà i Sanesi a riunirsi in quell'ultimo asilo della loro indipendenza.
    Furono perciò con altro bando ducale richiamati alla capitale gli emigrati con la minaccia dopo un dato termine loro assegnato di essere considerati ribelli dello stato confiscando loro tutti i beni. - È fama che all'epoca suddetta dentro la città non rimanessero più che 6000 abitanti di 40,000 che vi furono innanzi d'assedio.  In tal guisa la guerra civile cangiata in guerra politica divenne di giorno in giorno maggiormente desolante e disastrosa.
    Frattanto dopo qualche ripugnanza di Carlo V a confermare l'accordo, come era stato promesso dal Duca ai Sanesi, l'esercito imperiale, avendo lasciato in Siena un forte presidio, si mosse per recarsi ad occupare molte terre e castella del suo contado e della Maremma che tenevano i Francesi.
    Non si fecero però in quell'anno imprese maggiori della conquista della fortezza di Port'Ercole nel Mont'Argenterio, per cui si vuole che il re di Francia levasse al maresciallo Piero Strozzi il comando generale delle sue armi in Italia.
    Intorno a questo tempo e nell'anno medesimo 1555 arrivò in Siena a risiedere con titolo di governatore cesareo don Francesco di Toledo, il quale seppe così bene maneggiarsi con i capi del governo sanese, che Signoria e Balia d'accordo rimisero nell'arbitrio di S. M. I. ogni autorità
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    senza limitazione di tempo sopra la città di Siena e suo stato.  Ad ottenere cotesta facoltà il Toledo trattava umanamente il popolo di Siena ostinato nemico del Duca di Firenze.  Cosicché Carlo V trovossi qualificato signore della stessa repubblica;  e dopo aver fatto redigere in valida forma cotest'atto di schiavitù, nel quale si annullavano tutti i patti più essenziali delle capitolazioni precedenti, l'imperatore stesso ne investì Filippo II re di Spagna suo figliuolo.
    Poco dopo essendo morto in Siena il governatore don Francesco di Toledo fu eletto nello stesso uffizio dal re di Spagna il cardinale don Bernardino di Mendoza, detto il Card. di Burgos.
    In cotesto frattempo però il Pontefice Paolo IV Caraffa si diede a scoprire decisamente nemico di Cesare e fautore non solamente de'Francesi, ma di tutti i fuoriusciti di Toscana, dondeché gl'imperiali ebbero motivo di dubitare che il Papa da quelle genti assistito  volesse muovere le sue armi contro il governo assoluto di Siena, città di malcontenti piena e di ogni cosa da vivere sfornita;  tanto più che Cosimo non poteva provvederla per le grandi spese della guerra e per le magre raccolte che da tre anni Toscana tutta affliggevano.  Dondeché convenne al Duca fare grossi accatti di grano, nelle Sicilie, e sovvenire molti gentiluomini sanesi suoi fedeli, caduti in miseria cotanta, che coloro, i quali solevano essere i più ricchi e agiati, vi morivano di fame, essendoché le loro possessioni erano divenute preda di amici come di nemici, in tempo in cui da ogni parte soldati ed assassini scorrevano a depredare tutto quel territorio.
    Erano in tale stato le cose, quando nel 15 dicembre del 1555 fu segnato il trattato di alleanza fra il re di Francia, il Papa ed i Caraffa suoi nepoti, trattato che tennesi occulto il più che fu possibile affinché gli Spagnuoli e il Duca non si fortificassero, e per dare tempo a far venire la flotta Turca onde secondare le operazioni mediate.  Così (esclamava il Galluzzi)
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    il fondatore de'Teatini, e il più ardente promotore della Inquisizione divenne alleato de'Turchi per sola ambizione di far grandi i nipoti - ( Istor. del Granducato Lib. II. Cap. 5 .)
    Accadeva tuttociò nel tempo che Carlo V cedendo la corona dell'Impero a Ferdinando suo fratello, voltava il pensiero alla quiete del ritiro religioso, comecché non sapesse risolversi ancora ad abbandonare l'ambizione di regnare.
    Questa doppia rinunzia del regno di Spagna al figlio Filippo e dell'Impero al fratello Ferdinando fece credere che dovesse favorire i nuovi alleati, sicché nel tempo che a Pitigliano il Duca Ottavio Orsini adunava un buon numero di gente d'armi, delle quali affidava il comando a Cornelio Bentivogli, nel tempo stesso.  Piero Strozzi comparso improvvisamente a Roma faceva sperare ai repubblicani sanesi di Montalcino, avvicinarsi il giorno di recuperare la patria.
    Per questi movimenti il Duca, cui stava a cuore di sventare simili progetti, domandava al re Filippo centomila scudi ad imprestito per sostenere il peso della guerra, ricordando alla corte di Spagna che Siena non si poteva mantenere se non con grande spesa  e continua, né ubbidienti soldati se non pagandoli e saziandoli di moneta, tanto più che i Francesi erano vicini, e la migliore gente di Siena fuori di paese, e che quella rimasta dentro era quasi tutta sua nemica.  Sennonché il dissidio fra le corti di Francia e di Spagna contribuiva non poco a interporre degli ostacoli che si resero anche maggiori per la mala intelligenza insorta fra Carlo V e il re Filippo suo figliuolo.
    Mentre gli affari politici erano involti in cotanta confusione, i ministri delle due monarchie, nel 5 febbrajo del 1556, segnarono in Cambrecy una tregua per cinque anni, ratificata da Filippo II li 12 marzo susseguente, con la quale fu convenuto, che durante quel quinquennio ciascuna delle due potenze, compresivi i rispettivi alleati, dovesse ritenere i paesi che fino a quel giorno aveva occupato.
    Non restavano
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    pertanto senza sospetto lo cose dalla parte dei repubblicani di Montalcino che si mostravano avversi a condizioni dì fatte, mentre quelli del contado sanese erano cordialmente nemici degli Spagnuoli non meno che dei Tedeschi;  così cittadini e contadini preferivano piuttosto il giogo francese.  Infine dopo tanto indugio, che terminò in brevi ostilità, la tregua ebbe il suo effetto piuttosto per stanchezza delle parti che in vigore della capitolazione;  ed in Toscana appena il Duca di Firenze ebbe intieramente pagato i suoi Tedeschi, nell'atto di licenziare i capitani che avevano militato nella guerra di Siena donò loro una catena d'oro, dalla quale, in segno dalla felice giornata di Marciano, pendeva una medaglia con l'immagine di S. Stefano Papa I (nel giorno festivo del di cui martirio si ottenne la vittoria) e dall'altra parte l'arme di casa Medici, talché costoro poterono chiamarsi i primi insigniti in quell'ordine cavalleresco che Cosimo I sei anni dopo in memoria di quella giornata instituì.
    Tali furono le apparenze pacifiche del Duca, cui per altro non era ignoto il mal animo che contro esso lui nutrivano Sanesi e Francesi.  Né il cardinal di Burgos soffriva di buon animo che il magistrato di Montalcino esercitasse impunemente i diritti e le prerogative di sovranità col titolo di repubblica sanese, in nome della quale si coniarono anco delle monete.  Comecché molte fossero le prove da far temere quella tregua di corta durata e assai lontana la pace, comecché le proposizioni fatte per conseguirla riescissero inutili per causa specialmente del Pontefice Paolo IV che sperava di mettere i nipoti Caraffa principi in Siena e in tutto il territorio, contuttociò i progressi delle armi spagnuole spinte dal viceré di Napoli nello stato Pontificio indussero alla fine quel Papa a trattare della pace.  Questa infatti fu conclusa in Gand li 15 settembre del 1556, pochi mesi innanzi che il re di Spagna incaricasse il suo castellano di Milano don Giovanni de Figueroa di recarsi a Firenze per stabilire col
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    Duca Cosimo le basi della cessione di Siena e suo stato.  Ciò ebbe effetto nel dì 3 luglio del 1557 mediante un trattato di alleanza, col quale Filippo II fra le altre cose concedé al Duca Cosimo de'Medici ed ai suoi successori la città e stato di Siena, donandogli inoltre in libera proprietà la tenuta e  beni della Marsiliana, a condizione che ne restasse al re di Spagna il sovrano dominio riunito a quello di Orbetello con Talamone, Port'Ercole, Santo Stefano, Monte Argentario ecc. e rilasciando al Duca il pieno possesso di Porto Ferrajo, a condizione di restituire a S. M. il restante dell'isola dell'Elba con Piombino ecc. ecc.-  Intanto che si trattava tra Filippo II e Cosimo I della sorte futura di Siena e del suo stato, i repubblicani di Montalcino rompevano la tregua con i Spagnuoli depredando terre e villaggi, alcuni de'quali munivano di una guarnigione;  e appena si pubblicò il trattato di Firenze del 3 luglio 1557 le scaramucce, le sorprese, le reciproche depredazioni e gl'incendj tornarono a molestare soprammondo quella provincia essendo ormai decisa la sorte futura di Siena e del suo stato.  Quell'annunzio, dice il Galluzzi, riempì di timore i repubblicani di Montalcino, di rabbia e di dispetto i Spagnuoli, di tristezza e di costernazione tutti i Sanesi.  Comparve poco dopo in Siena don Giovanni de Figueroa con mandato speciale del suo re per consegnare  la città predetta a don Luigi di Toledo inviato con le opportune facoltà dal Duca Cosimo suo cognato onde riceverne il possesso finale.  Dopo varj pretesti e difficoltà fu gioco forza pertanto al nuovo Duca di Siena di sborsare una ragguardevole somma di danaro ai soldati di quella guarnigione tumultuanti per mancanza di paghe onde saziare la loro ingordigia;  e quasi che ciò non bastasse, ad esempio di Brenno sul Campidoglio, Cosimo I dovette pagare in contanti l'artiglieria e le munizioni esistenti nei bastioni, comecché esse fossero proprietà del Comune di Siena.  -Si cambiarono finalmente i
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    presidj, e nel 19 luglio 1557 Mons. Angelo Niccolini luogotenente del Duca, e suo governatore della città e stato di Siena, ne prese formale possesso quasi nell'istante medesimo della Balìa, il capitano del popolo, la Signoria ed altri magistrati della spirata repubblica giuravano obbedienza e fedeltà al nuovo sovrano nelle mani del suo plenipotenziario don Luigi di Toledo.
    Accadeva contemporaneamente tuttociò quando il capitano Chiappino Vitelli con le sue truppe tedesche prendeva la guardia del palazzo pubblico e degli altri luoghi soliti ad essere presidiati nella città di Siena, nel tempo che un'altra partita di Spagnuoli al servizio del Duca si avviava a rinforzare il presidio della Terra di Buonconvento posta di fronte alla città di Montalcino.
    Una delle prime misure del nuovo governo fu di rinnovare la ricerca e consegna delle armi de'cittadini, e ordinare severamente ai ministri di giustizia d'invigilare i Sanesi con più solerzia di quella cui fossero stati fino allora avvezzi.  Frattanto i paesi e Terre dello stato sanese che si tenevano dalle truppe alleate inviarono i loro sindaci a giurar fedeltà al nuovo Signore.  -Rimanevano Montalcino, Grosseto, Chiusi, Radicofani, Montepescali ed alcuni altri castelli in mano de'Francesi, con i quali di scambievole consenso fu continuata la tregua, escludendo dalla medesima i porti di Orbetello e di Portercole, dove i Francesi contro gli Spagnoli si mantennero in guerra.
    I titoli de'magistrati in Siena si tennero a un dipresso i medesimi come al tempo della repubblica, cioè la Balìa, il capitano del popolo  e la Signoria che si creava di due in due mesi;  nondimeno gli uffiziali di Balìa ed il capitano del popolo dovevansi eleggere dal Duca, mentre degli altri magistrati fu lasciata l'elezione al concistoro con l'approvazione però del sovrano che ritenne a sé la nomina dei tre gonfalonieri dei Terzi della città.

    VII. SIENA SOTTO IL GOVERNO GRANDUCALE
    FINO ALL' ANNO 1844.

    Fermo in tal modo il governo di Siena sotto il Duca Cosimo I, il
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    maresciallo Monluc, ch'era rimasto al comando delle forze francesi nello stato sanese, fece sgombrare per tutto il contado il grano e portarlo nei paesi guardati da una guarnigione.  Intanto si costruivano con sollecitudine bastioni e ripari intorno a Montalcino, si soldavano milizie a Roma e al campo francese che trovavasi nello stato Pontificio e si mettevano quelle milizie alla guardia delle fortezze a preferenza de'soldati italiani.  Al Duca però cotesti preparativi riescivano gravosi, dovendo tener fornite le frontiere, presidiare la città di Siena e sovvenire nel tempo medesimo  alla guerra di Lombardia;  talché gli conveniva gravare più spesso i suoi popoli, per cui nell'anno medesimo 1557 fece imporre per il dominio fiorentino un grande accatto o balzello, oltre l'aver imposto l'uno per cento sul valsente dei fondi spettanti ai possidenti del contado dello stato vecchio .
    Avvertasi che il presidio tedesco in Siena, oltre la noja che ai Sanesi recava, soleva anche insolentire contro inermi abitanti.
    Dondeché il Duca trovossi costretto di licenziare quei soldati, inviando invece a Siena quattro compagnie di fanti italiani più disciplinati.  Intanto sopra le cose governative vegliava monsignor Agnolo Niccolini, e rispetto al militare Federigo da Montauto.  - Ma i Francesi nell'antico stato sanese andavano sempre più indebolendo, massimamente nelle parti della Maremma, sicché in pochi giorni Talomone e Castiglione della Pescaja si videro cadere in mano degli Spagnuoli, dai quali poco dopo Castiglione della Pescaja fu consegnato ad una compagnia di fanti di Cosimo I che ne prese possesso insieme all'isola del Giglio.
    Pure il nuovo Duca diede qualche segno onde ingrazionarsi per quanto fosse stato possibile i Sanesi, in guisa che nel 1558 avendo la loro città sentito penuria di grano, non solamente fece provvederne tutto il Comune dagli uffiziali dell'Abbondanza di firenze, ma ordinò che a Massa, a Casole, a Sarteano, a Torrita, ad Asinalunga e in altri luoghi che insino allora erano stati governati da commissarj e uffiziali non sanesi, fossero mandati a tali uffizi quei cittadini
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    di Siena che paressero più atti a ciò.  - Pochi mesi innanzi peraltro i rappresentanti del Comune di Siena fermi nei loro divisamenti avevano mandato ambasciatori alla corte di Francia per supplicare quel re a rimetterli nella perduta libertà, e che la loro città e tutte le terre del sanese territorio ritornasse sotto la protezione della corona francese.
    Dall'altro canto il Duca non mancava dal far ufficiare il re Cattolico con proporre a S. M., che accomodandolo di 4000 fanti e 400 cavalli avrebbe potuto in breve tempo dare onorato fine alla guerra al punto di costringere i  nemici a ricevere le condizioni che piacesse al vincitore;  e inoltre pregava Filippo II a non si dimenticare dell'obbligo che aveva con Cosimo I contratto, cioè, di fare in maniera che Montalcino e le altre Terre sanesi gli venissero in mano.
    Ma i repubblicani di Montalcino che ogni altra cosa avriano anteposto a quella di cadere nelle mani del nuovo padrone di Siena non si sapevano adattare alla pace stabilita nel 7 febbrajo del 1559, in un articolo della quale si diceva, che il re di Francia dovesse nello spazio di tre mesi ritirare tutte le genti da guerra che avesse in Montalcino e in altre città e Terre della vinta Repubblica, e che abbandonasse la protezione dei Sanesi, rinunziando a qualsiasi ragione poteva pretendere sopra quel paese.  Né solamente i Sanesi di Montalcino, ma gli abitanti stessi di Siena lusingati dai ministri francesi, che a detta loro, Siena avrebbe dovuto rimanere in stato di libertà,speravano di poter vivere e governarsi  senza maggioranza di alcuno, riformando a piacere il regime della loro patria.
    Ma intanto alla corte di Francia si davano gli ordini affinché le condizioni convenute si eseguissero;  sicché ben presto i Francesi cominciarono a ritirare a poco a poco le truppe dalle rocche, dai castelli, e dalle città da esse nel senese fino allora occupate.
    Già erano arrivate alla bocca di Ombrone
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    13 galere da Marsilia per imbarcare le genti e le artiglierie de'Francesi, quando per un tristo caso avvenne la morte di Enrico II re di Francia, caso che fece ritardare la consegna delle piazze sanesi.  E perché il comandante di Montalcino, Cornelio Bentivoglio, poteva agevolare molto il modo per cederla alle armi del Duca, egli insinuò a Cosimo I che ad una ventina de'Sanesi più influenti fra quelli di Montalcino fosse data una provvisione a vita di 15 o 20 ducati il mese per ciascuno, mentre allo stesso Bentivoglio a titolo di feudo il Duca volle assegnare il castello di Magliano in Maremma.  - Vedere MAGLIANO nella Valle dell'Albegna.
    Nonostante coteste belle promesse convenute segretamente fra le parti, quando fu dato ordine di trarre da Montalcino la guarnigione, si scuoprirono nuove difficoltà rispetto al credito de'soldati di molti mesi di paghe, protestando essi di non voler uscire di là se prima non fossero stati saldati.  Però il Bentivoglio con l'opera de'ministri fiorentini cominciò a trarne l'artiglieria con le munizioni inviandole a Batignano presso Grosseto, e il medesimo aveva fatto Antonio degli Albizzi in Chiusi, dove benché i soldati si fossero alquanto ammutinati, con buone parole e con molt'arte furono levati di città, e avvinti in Val d'Orcia per congiungerli a quelli di Montalcino.
    Intanto i capi sanesi ritirati in quest'ultimo paese risolverono di mandare due ambasciatori a Firenze a quel Duca per domandargli alcune grazie, le quali furono da Cosimo concedute, eccetto quelle relative all'autorità sovrana ed alle rendite dello stato.  In conseguenza di ciò fu perdonato a ciascuno ogni offesa, riamettendo tutti dal bando di ribelle con una franchigia a favor loro per 5 anni dai debiti pubblici e privati.
    E quantunque ogni giorno molti tornassero a Siena da Montalcino, pure l'Adriani, storico fiorentino allora vivente, ci avvisò come di cosa singolare:  che fra tante città e luoghi dello stato sanese, tenuti con disagio per tanti anni in mano de'Francesi, ora che molti
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    giorni furono in tutto liberi, non se ne vide pur uno che venisse ad offerirsi al Duca ed a sollecitarne la grazia, come in altre nazioni si è veduto il più delle volte essere avvenuto.
    Non rimaneva a far altro se non che l'ambasciatore spagnuolo prendesse la possessione di Montalcino e ne desse il governo libero al Duca Cosimo.  Ciò ebbe effetto con tutte le cerimonie il giorno 4 agosto del 1559;  alla qual consegna tennero dietro Chiusi, Radicofani, Grosseto, Montepescali ecc.;  ed in tal maniera dopo otto anni di operazioni, in cui varie potenze furono impegnate;  dopo una guerra che desolò ed impoverì la maggior parte dell'Europa, tutto lo stato sanese cadde in potere del Duca di Firenze, che fra tanti interessati più di ogni altro vi guadagnò, meno i RR. Presidj di Orbetello, che  S. M. Cattolica nella prima convenzione si era riservati.  - Dopo di ciò Cosimo de'Medici poté licenziare molte truppe, ed il presidio di Siena ad un minor numero di soldati limitare.
    Cotanta fortuna del Duca di Firenze e di Siena suscitò non poca gelosia ed invidia in molti Principi d'Italia, e per fino negli Spagnuoli ch'erano rimasti ad Orbetello, i quali cercavano di allargare la giurisdizione loro dal lato di Terraferma comprendendovi il paese di Tricosto sotto Capalbio, che il Duca dové cedere alla Spagna.
    Frattanto la comparsa di una flotta Turchesca nelle coste della Toscana dava un buon pretesto a Cosimo I per fornire di soldati e di legni armati i posti ed i paesi della Maremma toscana.
    L'acquisto del vasto territorio sanese, che allora si distinte col nome di Stato nuovo , e la sua unione allo Stato vecchio , ossia al fiorentino e pisano, meritò pochi anni dopo per opera del Pontefice Pio V la corona granducale a Cosimo I.  - Nel tempo che assodavasi il trono nella dinastia Medicea, smorzavasi di mano in mano nei Sanesi quello spirito d'indipendenza che
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    per lunga età li fece ricalcitranti alla soggezione di un principe assoluto; il rigore delle leggi, una occulata polizia e la severa osservanza della giustizia prevenivano le occulte macchinazioni, sicché la tranquillità di questo stato sotto il primo Granduca poté dirsi assicurata,vivente lui che volle esser solo a dettar bandi e leggi per lo Stato vecchio e nuovo , lui che aveva diretto per tanti anni una guerra la quale gli fruttò un esteso dominio; cosicché parve al primo Granduca contraria al vero la pittura del Vasari, quando disegnava nel gran salone del palazzo vecchio più da poeta che da storico le imprese della guerra di Siena, e la notturna scalata dal bastione di Camullia e non dalle mura della città, dipingendovi Cosimo in mezzo ai suoi consiglieri che gli suggerivano le deliberazioni di quella campagna.  Un solo confidente, il segretario Bartolommeo Concini, fu fatto partecipe non del modo, sibbene della volontà del suo Principe per eseguire cotanta impresa, senza sapere  più oltre neppure il marchese di Marignano generale del suo esercito.
    Però la guerra di Siena fu disastrosa anche alla pingue cassa di Cosimo I, il quale, non ostante le grandi risorse che sapeva ritrarre dai suoi sudditi, trovossi costretto di sospendere per qualche tempo gli stipendj a diversi uffiziali che lo servirono.
    Nel 1561 Cosimo I nel ritorno da Roma passando per la Val di Chiana si recò a Siena a fine di stabilirvi unitamente al suo luogotenente Niccolini un sistema relativo specialmente all'amministrazione della giustizia;  nella qual circostanza ordinò all'architetto Baldassarre Lanci il disegno di quella fortezza che venne alzata poco lungi dal luogo dove fu l'altra fondata nel 1548 dagli Spagnuoli e distrutta poco dopo dai Sanesi, mercé le quali opere Carlo V e dopo di lui Cosimo I si erano prefissi di tenere in freno gli abitanti di Siena.
    Ma a gloria del GRAN LEOPOLDO anche la fortezza di Cosimo I fu aperta al pubblico passeggio
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    de'Sanesi, quasi appendice a quello della contigua Lizza.  E ben meritamente il Comune di Siena con l'annuenza sovrana in memoria di tanta munificenza e gratitudine ha fatto collocare nell'attico posto in fondo al parco, quasi sull'ingresso della fortezza Medicea, una laconica caratteristica iscrizione, la di cui copia merita di essere tramandata alla posterità:

    ARCEM
    A COSIMO MEDICEO
    AD IMPERII SECVRITATEM FUNDATAM
    ANNO MDLXI
    PETRVS LEOPOLDVS AVSTRIACVS
    SPECTATA SENENSIVM FIDE
    AD DELICIAS VERIT
    ANNO MDCCLXXVIII.

    Cotesta misura odiosa per un popolo vinto basta a dimostrare quanto poco in realtà quel Granduca si curasse di affezionarsi i Sanesi, poiché nel tempo che si fabbricava la fortezza onde assicurare sopra di essi un assoluto dominio, egli instituiva l'ordine militare di S. Stefano Papa e Martire per eternare la memoria di quella battaglia che fu il segnale di agonia della Repubblica  sanese, come il combattimento di Montemurlo aveva servito in quel giorno stesso (2 agosto del 1537) a convalidare allo stesso Principe il dominio di Firenze.
    Quale fosse allora la popolazione e la statistica di Siena e del suo dominio sarebbe opera perduta ricercare, dopo che non mi è stato possibile ritrovare un MS. della visita da Cosimo I nel 1572 ordinata all'auditore Francesco Rasi, che il Pad. Ximenes nella sua opera sopra la Maremma sanese rammentò, dopo vista nella R. Biblioteca Palatina de'Pitti.  - Dalla qual visita peraltro se, a confessione dello stesso padre Ximenes, non si saprebbe precisamente rilevare lo stato nel quale il Duca Cosimo ricevette da Filippo II il dominio di Siena , si avrebbe non ostante un indizio della popolazione di quel dominio 17 anni dopo la caduta della sua repubblica;  si saprebbe quali fossero allora le rendite pubbliche, che poteva concernere lo stato economico e forse ancora lo stato fisico delle due Provincie, superiore e inferiore sanese.
    È noto altresì che quel documento del 1572 fu trasportato dalla R. Palatina nella Biblioteca Magliabechiana, dove lo vide il
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    ch. Gio. Targioni Tozzetti ( Notizie de'progressi delle scienze fisiche in Toscana durante il dominio di Cosimo I, MS. inedito presso il Professore Antonio suo nipote ).  Aggiunge inoltre il P. Ximenes, che quella visita non deve confondersi con la relazione scritta qualche tempo innanzi da Vincenzo Fedeli , segretario della Repubblica veneta e suo incaricato presso Cosimo I, nella quale fu data come semplice congettura, che la popolazione di tutto il dominio sanese all'epoca della sua sottomissione a Cosimo de'Medici era ridotto a 40,000 abitanti.
    Se però fu smarrita  la relazione del Rasi, esistono più copie  di quella testé rammentata di Vincenzo Fedeli , stato inviato nel 1556 dalla repubblica di Venezia al Duca di Firenze affinché gli risedesse appresso con insegne, non già con titolo di ambasciadore.  -(ADRIANI, Storia de'suoi tempi all'anno 1560 , Lib. XVI. Cap. 4.)
    E avvegnaché la relazione di un ministro estero come il Fedeli , può fornire notizie relative all'indole del paese, ed al sistema governativo introdotto da Cosimo de'Medici nei primi anni della riunione dello Stato nuovo sanese allo Stato vecchio, gioverà citarne qualche squarcio .
    “Ha lo stato di Siena 136 fra città, castelli e terre murate, che hanno i suoi uffiziali di giustizia repartiti in 26 podesterie con 8 capitanati, mentre tutti gli altri sono vicariati, oltre infiniti luoghi aperti e popoli di campagna.
    Le città sono Montalcino, Pienza, Massa, Grosseto, Sovana e Chiusi.  Ma Siena è quella che ha il nome dello stato, e che è la città principale, dalla quale dipende  il governo e reggimento con i soliti Ordini, Maestrati, e Consigli colle dignità del Palazzo, ove risiede sempre la Signoria;  dimodoché i Sanesi colla forma de'soliti uffizj loro, non gli parendo aver mutato governo, sebbene la condizione mutata, del tutto stanno quieti, poiché dal terrore del principe si veggono cessare dal sangue et essere sicuri dalle
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    tirannie de'loro potenti cittadini.
    Sta ora nella città di Siena un governatore generale, che immediate rappresenta il Principe con superiore autorità, il quale ha l'occhio a tutte le cose;  e senza sua saputa e volontà non si fa cosa d'importanza, previa partecipazione del Principe.  E delle sette città dello stato, le quali sono fortificate e custodite, la principale è Siena che per lo sito fortificatissimo, e per la fortificazione fattavi  che tuttavia si va riducendo a miglior forma , sarà inespugnabile.  Ma (lo stato) tiene altre 9 fortezze di molta importanza.
    Sono i Sanesi molto accomodati e tutti hanno del suo, e non attesero mai ad industrie alcune , se non a quelle dell'agricoltura;  dimodoché solevano vivere continuamente in una dannosa libertà delicatissimamente .  E le donne tutte piene di spirito e di lusso erano quelle che facevano la città molto più bella e dilettevole, ma gli uomini ambiziosi sopra modo gli onori, per farsi padroni dell'entrate pubbliche ed usarle a modo loro, sempre contendendo insieme fino al sangue, ammazzandosi e tagliandosi a pezzi, ed essendo divisi in parti fra loro, talché in pochi momenti furono ammazzati 46 dei principali della città, che fu l'ultima loro strage;  di maniera che senza uscir fuori di casa, ed in casa propria stando sull'arme riescivano buoni e valorosi soldati.
    Ma finalmente le pazzie loro causate dal troppo comodo e dalla molta morbidezza gli hanno condotti in servitù;  però dicono pubblicamente che perfino a che non saranno tocchi colle gravezze ed angarie, delle quali sono liberi , staranno sempre ne'termini, ma altrimenti saranno quelli medesimi che sono stati, desiderosi di cose nuove .
    Il che conoscendo ed intendendo il Principe, ci va ponendo il freno per levargli ogni ardire, e per abbassarli quanto più può…….
    È la città di Siena così com'è bella;  nobile e accomodata, così è piena d'onorati edificj, di palazzi, di chiese e di ospitali ricchi
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    e benissimo governati.  - E furono i Sanesi, et sono più che mai nimicissimi ai Fiorentini;  avendo insieme combattuto più volte….. e dicono i Sanesi che non potranno tollerare, né tollereranno mai di essere sottoposti ai Fiorentini;  ma che colla casa de'Medici non avendo avuto nimicizia sopportano essere da lei governati, poiché a quella vedono medesimamente sottoposti i Fiorentini, e che avendoli per compagni nella misera servitù, gli pare di essere sollevati assai…..”
    Infatti più sotto il veneto valoroso, riportando il sunto di un abboccamento da esso avuto col Duca Cosimo, soggiunge:
    “Di quello (stato) di Siena, mi disse:  io cavo poco per ora per l'esenzione fattagli per la guerra, ma penso ridurli a buon termine.  - Ora cavo poco più di 100,000 scudi oltre la spesa;  e questo danaro si cava solamente dalle pasture, ovvero dai pascoli , dal sale e dai dazj ;  i quali dazj io spero che si ridurranno molto maggiori presto;  perché torneranno li traffichi e moltiplicheranno le genti, e così anderanno crescendo ogni dì più, talché l'entrata libera e netta di spesa è di 60,000 ducati, la milizia descritta e di 7000, tutta gente eletta che il sanese fa sempre buoni soldati ecc. ecc.” - (FEDELI, Relazione MS. nella Magliabechiana ).
    Arroge alla relazione del Fedeli l'attestato di uno storico contemporaneo quale si fu Giovan Battista Adriani, allorché nell'anno 1560 della Storia de'suoi tempi ( Lib. Testé citato ) ne avvisava “che il Duca Cosimo nel dimorare che fece in Siena dopo la tornata da Roma riconobbe i magistrati, confermò loro l'autorità,  ed in alcuna parte li riformò, e vi creò un consiglio grande di buon numero di cittadini scelti di tutte le famiglie nobili, ma non più di uno per casa, e che i consiglieri non avessero meno di 35 anni, i quali si dovessero radunare a tempi opportuni nella loro sala col capitano del popolo ed i
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    signori per creare la Signoria e i quattro consiglieri del capitano con altri maestrati e uffizj per di fuori e dentro, perché risedessero ai governi;  dal numero dei quali consiglieri gli uffiziali di Balia dovessero essere eletti dal Duca, e che stessero in uffizio per un anno.  Ordinossi inoltre un nuovo magistrato chiamato de' Conservadori dello stato da durare in impiego un anno ed il di cui scopo esser doveva difendere e guardare le rendite e beni delle Comunità del dominio sanese.
    Queste ed altre cose che avevano bisogno di regola fermò il Duca così nella città come fuori, quindi partì per visitare tutto lo Stato nuovo , avendo lasciato che alla fortezza di Siena, la quale non era né finita, né bene divisata, si dovessero fabbricare alcuni baluardi, ristringendola molto dal primo disegno, e vi si lavorò sollecitamente molti mesi.”  - ( Vedere la legge del 5 febbrajo 1561 ( stile comune ) sulla riformagione del governo della città e stato di Siena .)
    Inoltre lo storico Adriani aggiunge, che, scopertasi nell'entrata che fece al suo andarvi il Duca in Siena una vana ambizione del segretario (Fedeli), il quale essendo con la corte ebbe animo di volere il luogo sopra l'ambasciatore della Repubblica di Lucca, ma per non avere egli il titolo d'ambasciatore della sua Signoria essendogli dato il torto, se ne sdegnò e poco di poi prese licenza di tornarsene a Venezia.  Il qual fatto è accennato pure nella relazione stessa del Fedeli al veneto senato.
    Un altro bando del 30 agosto 1559 fu motivato dalle trame che si ordinavano in Siena contro il governo di Cosimo, siccome lo dichiarò il Duca stesso in una lettera del 28 agosto di detto anno diretta a Monsignore Agnolo Niccolini suo luogotenente e governatore di Siena, colla quale inviò un bando che proibiva di tener armi tanto in città come in campagna nel raggio di
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    10 miglia toscane da Siena;  bando che richiama quello del 27 luglio 1557, il primo per avventura stato pubblicato in Siena da Cosimo de'Medici.
    Rispetto alle leggi e regolamenti generali concernenti lo stato sanese, una delle prime istituzioni fu quella dell' Uffizio de'paschi designato sotto il nome di Dogana , per far intendere che il territorio pubblico della Maremma sanese era destinato per il pascolo del bestiame grosso e minuto.  Cotest' Uffizio dava a fido, ossia a frutto, le terre per pascolarvi il bestiame col pagare al governo la gabella del pascolo.
    A tale effetto nel 1572 Cosimo I approvò la nuova riforma de'statuti riguardanti i pascoli pubblici del dominio sanese;  mentre due anni dopo sotto il di lui figlio e successore Francesco I fu firmata altra legge ad oggetto di provvedere meglio ai pascoli di Dogana , o dello stato, la cui rendita netta annua ammonatva allora sino a 32,000 scudi o poco meno.  - E sebbene in una relazione del 9 agosto 1613 la rendita de'paschi della Maremma fosse già diminuita, ciò non ostante essa riguardavasi la maggiore che vi avesse il governo.  - Vedere SIENA Comunità S. Stabilimenti di economia pubblica.
    Nel 1568 il Comune di Siena inviò al sovrano una memoria relativa ai pascoli di Dogana , che promosse nuovi regolamenti rispetto ai magistrati ed ai pascoli pubblici della Maremma stati pubblicati negli anni 1574, 1584 e 1588.
    Nel 1579 il Granduca Francesco I ordinò un nuovo compartimento dei tribunali nello stato senese.
    Nell’anno 1622 il magistrato della Badia di Siena fece una rappresentanza al governo in cui si diceva che in Maremma l’arte agraria era ridotta a poco o nulla per cui le due Granduchesse tutrici destinarono quattro nobili sanesi per visitare la provincia inferiore di Siena onde suggerirne i rimedj.
    Non per questo i costumi divennero migliori, essendochè il popolo trovandosi vessato da
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    leggi troppo severe, spaventato dalle minacce e dal duro procedere da’ PP. Inquisitori, cresceva nella ferocia e nel mal animo suo contro un governo al quale non solo non poteva più in alcun modo partecipare, ma ne era stato allontanato dalla costituzione monarchica, e tenuto in freno dalla forza armata e dal cannone. Arroge che un tal sistema invece di estinguere le passioni fomentava nel volgo anzi che no le false opinioni sugli incantesimi, per modo che l’inquisizione nei primi anni del governo mediceo si rese terribile in Siena al segno che nel 1569 un Auto da Fè mandò sul rogo e fece bruciare vive cinque donne convinte di aver rinunciato al battesimo, di essersi date al demonio, e di aver ciurmato diciotto bambini. – (GALLUZZI, Storia del Granducato ).
    Accadeva ciò nell’anno stesso in cui Cosimo I mediante molte cure e maneggi diplomatici veniva incoronato dal Pontefice Pio V in Granduca di Toscana, per cui vedendo che assodavasi la fresca sovranità, tolse alla provincia più ricca di granaglie ogni libertà frumentaria coll’imporre una gabella nelle Maremme di lire 7 e 1/2 sopra ogni moggio di grano, mentre quattro anni innanzi furono date altre disposizioni (1565) onde regolarne la tratta per la via del mare.
    Al quale proposito lo storico del Granduca aggiunge “che ai tempi di Francesco I, figlio primogenito successo nel trono al Granduca Cosimo I nel ministero fiorentino aveva preso la massima che lo stato di Siena dovesse servire a quello di Firenze con l’avanzo de’suoi prodotti. In conseguenza di ciò tutto tendeva a operare in guisa che ogni vantaggio dello stato sanese ridondasse sempre in maggior benefizio di quello fiorentino; e siccome non poteva entrarvi altro denaro che per mezzo dei suoi prodotti, qualunque vincolo che si opponesse alla vendita de’medesimi impoveriva direttamente lo Stato”…
    Il granduca Francesco I continuò per qualche tempo il metodo adottato da Cosimo suo padre coll’aprire e chiudere temporariamente le
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    tratte de grani di Maremma a seconda della maggiore o minore raccolta.
     “Ma la sua avidità prosegue lo storico, gli suggerì un metodo di profittare di simil sorta di tratte con raddoppiare la tassa che prima era di uno scudo per moggio, portandola a due scudi. Vide egli che in un decennio essendosi estratte 7991, era un bel colpo il raddoppiare questa somma, siccome egli fece nel 1578.”
    In conseguenza di tale aumento, se da una parte si accrebbe l’erario del Principe, portò dall’altro canto una notabilissima diminuzione nella sementa, ed uno scoraggiamento universale ne proprietarj e affittuarj di quelle terre, ma non per questo se ne conobbe subito, o non si volle conoscere la cagione, la quale spingeva le sue radici fino ai tempi della repubblica sanese in un vecchio statuto di Grosseto dell’anno 1378.
    Cotesti mali erano resi più gravi dall’incertezza e crescente languore delle antiche manifatture e dalle nove abitudini della nobiltà sanese, la quale ai tempi della sua Repubblica, intenta principalmente alle operazioni agrarie della sua campagna, veniva distratta dallo spirito cavalleresco e impegnata nel lusso maggiore che esigeva una corte sovrana, mentre ogni più diminuivano le raccolte di suolo, accrescendosi il cumulo delle pubbliche disavventure.
    Si tentò infatti di portarvi un rimedio coll’istituzione del Monte de’Paschi, stabilimento unico nel suo genere che ebbe origine in Siena nel 1624, colla veduta di frenare le usure eccessive nei cambi e di favorire l’agricoltura, previa la sovrana approvazione del 30 dicembre del 1622, colla quale fu assegnata per garanzia la somma di scudi 200,000, portata nel 1640 fino a 300,000, sopra l’ Uffizio de’Paschi di Dogana , mediante il frutto del 5 per cento.
    Oltredichè una compagnia di cento nobili fu istituita nel ( ERRATA : 1691) nel 1591 in Siena, nella quale ciascun individuo distinto con simboli, impresa e nome accademico, ed era una scuola d’armi e nel tempo stesso di scienziati. Al Granduca Ferdinando I essendone il capo, fu
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    data l’impresa del re delle Api col motto in una medaglia  Majestate tantum , invenzione che fu del Cavalier Scipione Bargagli; il Marchese Giovanni Vincenzo Vitelli luogotenente della compagnia spiegava l’impresa di un cane bianco a sedere in un campo nero col motto: Né più fermo né più fedele ; il conte Germanico Ercolani alfiere tolse per divisa un cavallo fornito de’ suoi arnesi guerrieri col motto: In quocumque belli munus . L’impresa comune della compagnia era una schiera di pecchie in atto di aguzzare l’aculeo col motto: Pro Rege exacuunt . – (RUOLO, ovvero CENTO IMPRESE DEI SIGNORI UOMINI D’ARME SANESI. Bologna 1591).
    Cotesto patriottismo dell’onore sotto nome cavalleresco ne richiama alla smania ch’ebbero i repubblicani sanesi di suddividere la loro nobiltà in altrettanti Ordini o Monti diversi, per cui venne a mancare nella stessa città quel bisogno di concordia e di unione che da ogni lato cerca punti di contatto tra i figli di una stessa patria onde stringersi con vincoli di generoso accordo e di reciproca amorevolezza.
    Dopo la visita del 1572 da Cosimo I ordinata al suo auditore fiscale Francesco Rasi, fin credibile che le relazioni de’periti spediti dal governo sanese nelle due province, superiore e inferiore, dello stato sanese, diretta allo stesso scopo, fossero frequenti se non continue. Senza dire di quella compilata nel 1639 dal Coresi del Bruno e inserita nel suo Blasone sanese , opera in IV Volumi in fol. MS. nella Magliabechiana, senza rammentare la visita più nota del Gherardini , mi limiterò a citarne una incominciata nell’anno 1589, e continuata in più luoghi di quel territorio per ordine del Granduca Ferdinando I da Fabiano Spini viceprovveditore del magistrato de’consiglieri dello stato di Siena, e il di cui originale conservasi nell’archivio della Camera delle Comunità di Siena.
    Comecchè si dica nel frontespizio fatta
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    quella visita nel 1598 essa per altro fu incominciata sino dal 1589 nel capitanato di Arcidosso, siccome apparisce da una lettera autografa del 3 febbraio 1588 ( stile Fior. E San. ) ivi riportata da Giulio del Caccia senatore fiorentino luogotenete e governatore generale della città e stato di Siena, relativa alla consegna da farsi in Arcidosso, previa cauzione, agli acquirenti della farina di castagne del patrimonio granducale.
     Che la stessa visita continuasse per un corso di anni lo manifesta anche una lettera autografa del 5 febbraio 1593 ( Stile Fior. e San. ) scritta da Fabio della Cornia governatore ai consiglieri dello stato di Siena sulla caccia de’lupi e sulla mercede da darsi per la loro estirpazione. Inoltre in altro libro MS. di visite da farsi ai magistrati di Siena e dello stato si rileva che a tenore di una provvisione del granduca Ferdinando I emanata nel 1588 le visite suddette dovevano essere annuali.
    Fra le istruzioni date a tale uopo vi è quella relativa all’uffizio appellato, Magistrato o cassa di Bicherna , dove molte Comunità del territorio sanese versavano le imposizioni, chiamate Tasse di Bocche , e alcuni debiti vecchi. “Essendo poi a suo carico (dice l’istruzione) il mantenimento delle piazze, “strade, mura urbane e fonti pubbliche, perché la fonte del Ponte (esistente “tuttora dentro Siena) tanto proficua e necessaria al pubblico e al privato “servizio per abbeverarvi le bestie nonché per bevere, oltre alla comodità “alle povere donne che lavano i bucati nel lavatojo di sotto alla fonte, era da “più mesi asciutta, per essere stata deviata oltre il dovere per le case “de’particolari, ordina, ecc. “
    Vi si rammentano pure le guardie de’vigili esistenti in Siena sin dai primi secoli della repubblica il cui uffizio era quello di accorrere per riparare gl’incendi ecc.
    Nel 1592 fu stampato un nuovo statuto col titolo di Formulario sanese , in cui tra le altre
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    cose si proibiva ai notari di rogare possessi di benefizj senza licenza, di S.A.S, o del suo governatore; lo che era stato espresso in un bando precedente del 27 agosto 1565 dal cardinal Angiolo Niccolini luogotenente e governatore di Siena per Cosimo I, bando che fu rinnovato nel 25 ottobre 1603 dal governatore Marchese Tommaso Malaspina de’Marchesi di Villafranca.
    Lo stesso Granduca Ferdinando I nell’anno 1602 aveva orinato una riforma nel collegio della Sapienza di Siena pel convito di quei scolari onde vivessero in comunità, il quale uso essendo stato abbandonato, fu rimesso in vigore dal di lui figlio Cosimo II che nel 1612 ordinò una statistica della popolazione del territorio sanese, forse la più antica fra le superstiti dello Stato nuovo .
    Dopo la morte però di questo giovine Granduca il governo essendo regolato a piacere di due vedove Granduchesse, vi s’introdussero disordini d’ogni sorta; sicchè Ferdinando II, allorquando giunse alla maggior età per assumere le redini del governo, trovò talmente esausto l’erario e rovinato lo stato che ebbe pena a rimetterlo. Con tutto ciò sotto quel granduca si tentò di far risorgere l’agricoltura e il commercio. Però nella provincia inferiore sanese la decadenza di quel paese era talmente aumentata che a proporzione della cresciuta insalubrità andavano diminuendo le braccia per i lavori campestri, nonché il prodotto dei pascoli ne’terreni che non davano più altro utile ai proprietari se non quello della fide di pastura .
    Fu sotto Ferdinando II ordinata una nuova visita per tutto lo stato sanese, nella quale si dovevano indicare le rendite di ciascun paese, grande o piccolo che fosse, il numero de’poderi, quello delle famiglie, e dei respettivi abitanti. E vaglia il vero fu dalla visita del 1640 che io potei estrarre la popolazione dello stato sanese dalla prima epoca la quale, se non è la più antica, precede di 36 anni quella del Gherardini, popolazione riportata nella presenta opera sotto i capoluoghi delle comunità
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    di quello stato, suddiviso fra i Compartimenti di Siena, di Grosseto, e in parte dato a quello di Arezzo.
    Ma la visita più importante per i principj economici dal suo autore sviluppati, visita che può dirsi fonte inesausta d’importantissime verità, fu quella fatta nel primo anno fortunatissimo che la Toscana toccò in retaggio all’Augusta Casa regnante.
    Fu il Discorso economico dell’arcidiacono sanese Sallustio Bandini scritto circa l’anno 1738, sebbene pubblicato la prima volta nel 1775; fu quel Discorso che senza tema di cadere in errore si può dire che desse il primo slancio alle beneficenze sovrane rispetto alla provincia inferiore sanese per le opere ordinate dall’Imperatore Francesco I, quindi dal granduca Pietro Leopoldo prodigate, e finalmente con somma munificenza sopra un piano più generale e più efficace dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante estese e continuate.
    Nemico degli ostacoli di ogni sorta l’arcidiacono Bandini con mete aperta e cuore integerrimo si slanciava contro le gravose gabelle, la restrizione delle tratte, contro gli appalti, le proibizioni e la troppa moltiplicità de’bandi; e onde allontanare le carestie, con ragioni riconosciute valide 40 anni dopo, dimostrava il bisogno di una libertà agricola intera in specie per i prodotti della Maremma. “ I prezzi delle grasce, diceva egli, sono stabiliti dai bisogni e dal consumo; i ricchi terrieri restano poveri colle cantine e i granai pieni, i terreni perdono di prezzo, e mancando il credito allo stato, viene a scemarsi il tributo fondiario. Una circolazione rapidissima e continuata (cito sempre le parole dell’arcidiacono sanese), moltiplica in proporzione i capitali e fa prosperare tutte le classi di una popolazione. In questo modo scriveva Bandini un secolo innanzi che s’inventassero le macchine e che si trovasse la via di correre per vettura e per battello a forza di vapore.
    L’arcidiacono Sallustio era talmente convinto di tali verità “ che non darei “per sospetta (soggiungeva egli) nel giudizio di questa causa, se non la “condizione di persone
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    che si pascono, dirò così, di carni morte, cioè, che si “arricchiscono in un processo, nella rovina di una famiglia, ecc. ecc…Ma “essendochè io propongo un edifizio che farebbe ombra a quei luminosi “posti che essi godono, s’ingegneranno eglino destramente ad ingrandirne le “difficoltà, ad esagerare l’imperizia dell’architetto, ma non si arrischieranno “mai a dire che non vi sia necessità di pensare ad un nuovo regolamento”.
    Fuvvi finalmente chi a questo regolamento ed al Discorso economico del Bandini rivolse il pensiero.
    Il Grande Leopoldo Principe filosofo, e vera sorgente di sagge provvidenze governative, fino dai primi anni del suo governo granducale fece esaminare i difetti onde ricorrere ai mezzi più opportuni per risanare la Maremma sanese. In pochi anni lo stesso Leopoldo I operò nello stato sanese assai più che non si era fatto nel lungo periodo del governo mediceo. Le provvidenze economiche suggerite dall’arcidiacono Bandini furono associate alle fisiche progettate dall’ingegnere idraulico Pad. Ximenes. Si abolirono le gravezze fiscali, si accordò la libertà ai prodotti del suolo, si migliorò l’amministrazione politica e quella della giustizia, si fornirono mezzi per costruire case ai nuovi proprietari, si edificarono ne’poggi lontani acquedotti sino ai paesi di pianura per somministrare acqua salubre da bere, e tutto ciò nel tempo medesimo che si tentava di rinfrescare le acque stagnanti, credute, se non l’unica, al certo la causa più essenziale della malsanìa della Maremma sanese.
    Già si disse altrove che il giorno 3 settembre 1765 in cui arrivò in Firenze i Granduca Pietro Leopoldo può dirsi per la Toscana il primo giorno del suo secolo d’oro. – ( Vedere FIRENZE, Vol. II. p. 244 ).
    Avvegnachè dall’aurora del felice avvenimento al trono della Toscana di Leopoldo I, cotesto sovrano risolve la mente e dedicò il regio erario a correggere e con sagaci provvedimenti a riparare tanti mali. Egli provvide all’abolizione di regolamenti e di privilegj speciali di corporazioni di arti, di caste e
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    di famiglie, ed a semplicizzare il sistema delle imposizioni di tanti dazj molteplici e indiretti che riempivano la Toscana di frodatori e di concussioni con danno immenso del progresso industriale.
    Non vi è che prima del sanese Bandini alzasse forte la voce contro tanti abusi, e chi meglio di lui sino all’evidenza dimostrasse che i molti inceppamenti e fiscalità erano i mezzi più sicuri onde spopolare e impoverire maggiormente le più fertili ed ubertose contrade.
    Frattanto il Discorso economico dell’arcidiacono rimase quasi sconosciuto sino all’arrivo in Toscana del granduca Leopoldo I; e comecchè cotesta opera fosse stata scritta al primo annunzio che il granducato di Toscana sarebbe toccato all’Augusta Casa allora regnante in Lorena, il Discorso economico non comparve alle stampe se non che 37 anni dopo.
    Peraltro sino dal 1769 erano venuti alla luce i due Ragionamenti della fisica riduzione della Maremma sanese del P. Ximenes corrispondente all’epoca dell’operazioni idrauliche ordinate in quella provincia sotto gli auspici del Granduca Pietro Leopoldo, operazioni che per qualche tempo continuarono secondo il piano allora proposto e stabilito, quello cioè di procurare lo scolo alle acque mancanti di molo, come cosa la più essenziale alla salubrità dell’aria. – Vedere GROSSETO, Vol. II. pag. 545 e segg. di quest’Opera .
    Dopo che Pietro Leopoldo con motuproprio del 10 novembre 1765, primo anno del suo regno divise in due province lo stato sanese, e che nella provincia inferiore, ossia della Maremma vi ordinò un governo economico e giuridico immediatamente dipendente dalla sua sovrana autorità, dopo coteste misure organiche uno de’ tanti provvedimenti salutari concesso dal Granduca ai sanesi fu quello dettato nel dì 11 gennaio 1772, col quale si degnò istituire un deputato civico nella città e provincia superiore dello stato di Siena, da eleggersi ogni anno dal collegio di Balia, il quale deputato, indipendentemente da qualsiasi tribunale e magistrato avrebbe dovuto esaminare e far presente direttamente
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    al trono i bisogni, esponendo i vantaggi dell’universale e de’ propri concittadini in particolare.
    Nell’anno 1774 con altro motuproprio del 2 gennajo il Granduca emanò la legge per un nuovo compartimento per i tribunali di giustizia della provincia superiore sanese, riformando quello del 16 gennajo 1691 allorchè volle ampliare il perimetro della giurisdizione criminale del capitano di giustizia della città di Siena, e istituire nella stessa provincia dei vicariati regi e 12 potesterie civili soggette ai primi rispetto agli affari criminali; mentre sette mesi innanzi con la legge del 14 giugno 1773 fece abolire la giurisdizione del magistrato della Grascia.
    Nel 2 giugno 1777 fu emanato il regolamento generale per una nuova organizzazione delle comunità allora esistenti nella provincia superiore  dello stato di Siena.
    Fra le riforme de’vecchi sistemi non meno importante si può dire quella dell’abolizione di uno dei vincoli alla proprietà dei beni di suolo; quando fu tolta dal Gran Leopoldo la servitù del pascolo pubblico sulle terre di privata proprietà sulle Maremme. Si cominciò quasi per prova con la legge del 3 giugno 1769 ad esentare da simili dipendenze i terreni dati a quei forestieri che si stabilivano nella provincia inferiore, quindi nove anni dopo con la legge del dì 11 aprile1778 fu abolita generalmente la servitù de’pascoli comunali; sicchè agevolando ai possidenti terrieri i mezzi della riunione dell’ jus pascendi con la proprietà del suolo gli si concederono le pasture amministrate dal magistrato del Monte de’Paschi di Siena , il quale restò soppresso contemporaneamente alla legge sulle Manimorte . E affinchè il benefizio di queste riforme si conservasse con la stessa legge dell’aprile 1778 furono annullati i dazj imposti sopra il bestiame d’ogni specie, per l’introduzione transito ed estrazione del Granducato.
    Né a quei soli benefizj quei provvedimenti si arrestavano, poiché oltre alla piena libertà concessa al commercio de’prodotti agricoli, la provincia inferiore sanese ebbe quello di poter lavorare il ferro, di seminare e manipolare il
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    tabacco, e d’introdurvi molti altri generi proibiti per il rimanente del Granducato. Inoltre i costruttori di nuove case ottennero incoraggiamento con sussidj in denaro, in legname gratuito, in ferro e in arnesi a prezzo vilissimo, oltre non pochi ajuti in diversa specie fra i quali l’esenzione da alcune tasse e gabelle dello stato.
    Queste e altre molte riprove di amorevolezza e di sapienza furono date dal Gran Leopoldo a oggetto di facilitare l’accasamento degli abitanti e dei coltivatori nella provincia inferiore sanese, riprove che avrebbero probabilmente condotto al resultato che l’Augusto Sovrano desiderava, se la vita non avesse più incontrato in Maremma pericoli gravissimi per effetto del clima.
    Mancando però l’arte alle sue promesse, mancarono anche i benefizj che a gran prezzo erano stati retribuiti: non mancò la sapienza amministrativa e molto meno la generosità del Principe di cui chiare rimangono ancora e rimarranno per sempre le vestigia. – (F. TARTINI, Memorie sul bonificamento della Maremma , Firenze, 1838).
    Graditissimo inoltre riescì ai cittadini senesi l’ordine dato nel 1778 dal Granduca Leopoldo I di aprire al pubblico passeggio la fortezza innalzata da Cosimo I a sicurezza del suo dominio. – Vedere pag. 348 .
    Mercè il motuproprio del 20 agosto 1790 da Granduca Ferdinando III augusto figlio e successore di Pietro Leopoldo, fu ordinato che al luogotenente e governatore di Siena fossero riunite le incombenze del ministro superiore di pulizia della città e provincia sanese; la qual giurisdizione con legge del 29 novembre 1838 fu trasferita negli auditori del governo.
    Io non parlerò del periodo del regno d’Etruria, né di quello dell’invasione francese che obbligò il legittimo Granduca di Toscana Ferdinando III ad abbandonare per tre lustri i suoi amatissimi sudditi, e molto meno starò a rammentare un periodo ancora più lacrimevole per la storia della Toscana, quando uno sciame di gentaglie armate di furore più che di fucili, col nome di Maria in bocca e col
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    demonio in cuore spogliava, uccideva e bruciava a capriccio chi non era stato fanatico realista. Cotesto luttuoso periodo vorrei poter cancellare dalla storia della città per non avere occasione di rammentare il giorno terribile del 28 giugno 1799, quando la plebaglia unitasi ai cosi detti Aretini entrati in quel giorno in Siena, spogliarono, trucidarono, abbruciarono vivi non meno do dodici israeliti di varie classi e di ambo i sessi; né starò a rammentare il superbo niello scolpito nella Pace del Duomo, che il magistrato sanese di quel tempo regalò alla Madonna di Arezzo.
    Ma per buona sorte dell’umanità cotesto stato di violenza dovè cessare e finalmente la Toscana tutta nel 1814 potè tornare nel pacifico grembo del suo desideratissimo sovrano Ferdinando III, che dopo di lui ritornò sul trono avito fra le opere di stato utilissime ai Senesi si conta quella dell’istituto aperto alle Belle Arti; vi è l’organizzazione di un nuovo sistema amministrativo per tutto il Granducato repartito in quattro poi in cinque Compartimenti (giugno 1814 e novembre 1825); evvi l’ordinazione del nuovo catasto (1817), mentre l’istituzione del corpo degli Ingegneri di acque e strade devesi alla legge del 1 novembre 1825, mentre le loro direzione generale spetta al regolamento del 10 dicembre 1826 opere tutte del Granduca Leopoldo II felicemente regnante; cui pure si debbono gli ordinamenti amministrativi tendenti a preparare la riforma del sistema economico agrario delle Maremme, dopo avere Sua Altezza ordinato l’opera grandiosa del loro bonificamento. Inoltre dalla munificenza di Leopoldo II Siena al pari di tutto il Granducato di Toscana, ricevè una nuova organizzazione de’tribunali e dell’ordine giudiciario (2 agosto 1838); una essenziale riforma degli studi nelle Università di Pisa e di Siena (1840) per non dire di tanti altri provvedimenti utili alla città di Siena, come per esempio la casa de’Poveri, lo stabilimento de’Sordo-Muti, ecc. ecc. su di che avrò luogo di ritornare all’Art. seguente, SIENA, COMUNITA’.

    MOVIMENTO
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    della popolazione della CITTA' DI SIENA a cinque epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici secolari e regolari -; monache e converse -; ebrei e acattolici -; numero delle famiglie -; totale della popolazione 15998.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 1688; femmine 1492; adulti maschi 2439, femmine 2928; coniugati dei due sessi 4434; ecclesiastici secolari e regolari 788; monache e converse 980; ebrei e acattolici 296; numero delle famiglie 3198; totale della popolazione 14645.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 2373; femmine 2462; adulti maschi 2830, femmine 3678; coniugati dei due sessi 6581; ecclesiastici secolari e regolari 256; monache e converse 236; ebrei e acattolici – (1); numero delle famiglie 4633; totale della popolazione 18860.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 2572; femmine 2587; adulti maschi 3003, femmine 3974; coniugati dei due sessi 6520; ecclesiastici secolari e regolari 284; monache e converse 301; ebrei e acattolici -; numero delle famiglie 4514; totale della popolazione 19646.
    ANNO 1843: Impuberi maschi 2478; femmine 2466; adulti maschi 3398, femmine 4137; coniugati dei due sessi 6849; ecclesiastici secolari e regolari 367; monache e converse 274; ebrei e acattolici 364; numero delle famiglie 4598; totale della popolazione 20333.

    (1) Negli anni 1833 e 1840 la popolazione degli Ebrei e degli Acatolici fu ripartita nell’insieme della popolazione della città.

    COMUNITA’ DI SIENA

    La Comunità di Siena trovasi circoscritta dalle mura urbane fra il grado 43°.18' e 19" di latitudine ed il grado 28°. 54' 55" di longitudine. – La sua maggior lunghezza è da settentrione a ostro-libeccio; vale a dire dalla Porta Camollia sino in fondo alle mura di via delle Sperandie presso la Porta S. Marco, la quale distanza si estende per gradi 0. 1'. 8" di longitudine. La maggior larghezza della città di Siena è quella da ponente-maestrale a levante-scirocco partendo dall’angolo più
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    occidentale della fortezza sino alla Porta Pispini o di San Vieni la quale abbraccia gradi 0. 1' 18" di latitudine settentrionale.
    Le mura urbane di questa città girano poco più di quattro miglia toscane in una superficie irregolare di 412,36 quadrati (circa un mezzo miglio quadrato) non escludendo 72 quadrati occupati dalle pubbliche piazze e dalle strade.
    La popolazione nel 1833 era di 18,860 persone, quella del 1843 era aumentata fino a 20,333 abitanti, cioè di 1473 individui di più, repartiti in 4598 famiglie.
    È contornata da due sole comunità, cioè, da quella delle Masse del Terzo di Città, e dall’altra pure delle Masse del terzo di S. Martino. La prima si accosta alle mura urbane di Siena che dalla parte di settentrione girano per ponente fino ad ostro; dalla porta di Camollia sotto la Fortezza, e di là per la porta di Fonte Branda, porta Laterina, porta S. Marco e porta Tufi fino alla porta Romana ; mentre costà, procedendo da scirocco verso levante e grecale sottentra il territorio della Comunità del Terzo di S. Martino, il quale passa rasente le mura di Siena per porta Pispini e porta Ovile sino a quella di Camollia .
    Non si può senza vederne la pianta precisare con qualche verità la figura grafica di Siena stante i valloni che scendono dal biforcato poggio, lungo il quale si alzano i maggiori templi, la sveltissima Torre del Mangia , e le strade principali di questa città. Le porte nei punti più elevati sono quelle di Camollia, di Laterina, di S. Marco e la porta Romama . Le altre quattro scendono in altrettanti valloni sul quale scorre il torrente Bozzone , che uno dopo l’altro poco lungi da Siena si svuotano nel fiumicello Arbia.
    Quattro strade regie fanno capo a Siena, oltre a quella suburbana
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    detta di Pescaja . Due di esse sono postali, una che vi entra per porta di Camollia venendo da Firenze, l’altra che esce da porta Romana per Radicofani e Roma. Le altre due non postali escono per porta S. Marco per andare a Grosseto e nella sua Maremma, e la seconda, dalla porta Pispini per Arezzo.
    Chi considerava la posizione di Siena come quella di una città centrale della Toscana meridionale, non s’ingannava, siccome non s’ingannò Giovanni Villani, quando nella sua cronica dichiarava la Terra di Poggibonsi nel bilico della Toscana .
    La posizione corografica priva la città di Siena non solamente di corsi d’acqua che l’attraversino, ma ancora di buoni pozzi e di fontane copiose di acqua potabile e agli usi domestici indispensabilissima.
    Per riparare a tanta necessità gli antichi Sanesi procuraronsi varie fonti pubbliche ricercando acque sotterranee da lungi mediante stillicidj, non già che essi lo volessero, come scrisse poetando l’Alighieri, ricercare nelle viscere de’loro colli l’immaginaria riviera della Diana .
    Non vi è chi possa dubitate dell’antichità di questi sotterranei acquedotti, la cui origine rimonta probabilmente all’epoca della colonia militare di Siena, siccome lo fa credere la magnificenza e spesa grande di quei lavori, per i quali al dire di Strabone, i Romani superarono ogn’altra nazione, su di che mi riserbo più sotto a parlare.
    Nettampoco starò qui a intrattenere chi mi legge sulla struttura geognostica del biforcato poggio sul quale siede regina cotesta città, considerandolo come una piccola parte del territorio delle due comunità suburbane, quelle del Terzo di Città e del Terzo di S. Martino, alle quali richiamo il lettore. – Vedere più sotto SIENA, COMUNITA’ DEL TERZO DI CITTA’, e SIENA, COMUNITA’ DEL TERZO DI S. MARTINO.
    Solamente dirò che il suolo della città apparisce in generale coperto da banchi profondissimi di tufo calcare siliceo, giallo-rossiccio, volgarmente appellato sabbione , i quali bene spesso alternano nelle parti più elevate
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    con banchi altissimi di ciottoli e di grosse ghiaje della mole da un uovo di piccione a quello di struzzo e insieme collegati da un glutine calcareo-siliceo. Ma ciò che maggiormente sorprende è di trovare codesti banchi formati esclusivamente di pietra calcareo-compatta, ciò che basta indicare esservi stati strascinati da lungi all’occasione di alcune correnti impetuose di acque.
    La situazione alquanto elevata di Siena ha dalla parte di grecale alquanto lungi da sé i monti pietrosi del Chianti, e dirimpetto a maestro e a ponente i colli di Montemaggio, e della Montagnuola, mentre da tutti gli altri lati i monti sono assai più lontani dalla città. Che se cotesta situazione contribuisce da un lato a rendere l’aria elastica e salubre, dall’altro canto un orizzonte aperto in mezzo a valli profonde rende il clima di Siena alquanto più rigido di quello che dovrebbe comportare la situazione geografica e l’altezza de’suoi colli; sicchè su questo proposito il Padre della Valle diceva: Se toccasse a me lo scegliere in Toscana i paesi da abitarsi, passerei l’inverno in Pisa, e l’estate in Siena.
    Cerchi principali delle mura di Siena.
    Qualora si dovesse prestar fede a non pochi scrittori di epoca troppo moderna, bisognerebbe dire che la città di Siena dalla sua origine in poi sia stata circondata da otto e perfino da nove giri di mura urbane, gli ultimi sempre maggiori di periferia, assegnando a ciascuno di quei recinti un’età del tutto immaginaria.
    Mancando pertanto di qualsiasi autorità contemporanea onde prestar qualche credenza a congetture che sembrano affatto gratuite, né anche parlerò di una meno improbabile di tutte, cioè che il primo fabbricato di Siena fosse nel risalto del poggio chiamato tuttora il Castel vecchio , tostochè passa per tradizione, che di qua prendesse il titolo l’intiera città, appellata Sena vetus , innanzi che lo stesso titolo fosse ripetuto nelle sue monete. – ( Antologia di Firenze, Fascicolo XXX, Giugno 1823. pag. 16
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    )
    Né tampoco fia da esaminare se nel recinto del Castel vecchio tenessero una volta residenza i governatori o castaldi dei re longobardi, e i conti degli imperatori Carolingi, siccome è fama che vi risiedessero i vescovi senesi; mi fermerò piuttosto ad indicare alcuni documenti meno equivoci che mi servirono di scorta relativamente all’epoca del terzultimo e second’ultimo recinto, anteriori all’attuale delle mura di Siena.
    Terz’ultimo cerchio, ossia giro più antico delle mura di Siena . A questo recinto, il più angusto degli altri due posteriori, io tengo per fermo che appelli l’uso tuttora praticato dal clero maggiore di Siena di recarsi processionalmente nei tre giorni delle rogazioni per i Terzi della città e di cantare le antifone relative ai luoghi dove furono le mura e alcune porte del cerchio più vetusto di Siena. Era già abbandonato cotesto recinto, e incominciato il second’ultimo, quando nel 1213 dal canonico Oderigo fu scritto il rituale del clero senese, il di cui originale conservasi in quella pubblica biblioteca, dato alla luce nell’anno 1766 in Bologna sotto il titolo: Ordo officiorum Ecclesiae senensis etc. . Da esso rituale pertanto si ha indizio del giro che sino da allora faceva la processione della cattedrale nei tre giorni che precedono la festa dell’Ascensione. Avvegnachè nel primo giorno delle rogazioni il clero della chiesa maggiore dirigendosi nel Terzo di Camollia passava, e passa tuttora, da S. Pellegrino e da S. Cristofano, due antiche chiese dove il popolo teneva le sue adunanze. Di costà la processione inoltravasi per la strada che va dalla porta di Camollia, e arrivata alla distrutta chiesa di S. Donato all’Arco, dove fu una delle prime porte di quel Terzo, il clero fermavasi cantando diverse antifone quindi faceva porre in alto traverso la strada il gonfalone, o stendardo, affinchè vi passassero di sotto tutti quelli che accompagnavano la processione, ecc.
    Nel secondo giorno delle rogazioni il clero del
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    Duomo, entrando nel terzo di S. Martino, si fermava da primo davanti la distrutta chiesa di S. Desiserio presso S. Giovanni, quindi arrivato alla Costarella de’Barbieri , dove fu la Porta Salara, in exitu civitatis ( antiquae ) cantava l’antifona con l’ oremus cantando anche costì attraverso la via il gonfalone come a S. Donato all’Arco . Di là s’inoltra alla chiesa di S, Martino dove il clero faceva stazione prima di avviarsi verso la chiesa di S. Giorgio e fra questa e l’altra chiesa soppressa di S. Maurizio attraversava il gonfalone sulla strada che va all’ Arco del Ponte ,
    Nel terzo giorno la processione dal Duomo avviandosi nel Terzo di Città, passava per S. Pietro alle Scale di là dalla qual chiesa voltando per la strada delle Murella si dirigeva all’oratorio di S. Ansano in Castel vecchio e alla chiesa de’SS. Quirico e Giuditta, quindi scendendo per la via di Stalloreggi di dentro arrivava nel Piano de’Mantellini , (ossia piazza del Carmine). Dopo il giro di diverse chiese esistenti o distrutte, la processione soleva retrocedere per la via delle Cerchia dal Castel vecchio verso il prato di S. Agostino avanzandosi di là fino a Porta Tufi. Nel ritorno poi verso il Duomo il clero, giunto alla crociata della via delle Marella con quella del Casato , soleva e continua a far mettere il gonfalone attraverso la strada che fa crociata con il Casato , la via delle Murella , quella di S. Pietro alle Scale e alla Porta all’Arco .
    Quantunque né il rituale del 1213, né un altro libretto antico registrato nell’edizione del 1766, spieghino l’abitudine di mettere il gonfalone attraverso alle strade dove furono non già dei tempj idolatri, ma alcune porte del vecchio recinto, vi supplisce
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    peraltro un libretto pubblicato in Siena nel 1810, Sull’Ordine delle tre processioni delle Rogazioni secondo l’uso della chiesa sanese .
    Inoltre un altro MS. antico, posto in nota sotto a quello del 1213 pubblicato nel 1766 dà a conoscere che la processione del terzo giorno dopo essere tornata alla porta di Castel vecchio (cioè sull’incrociatura di via delle Murella con quella del Casato ), il cantore con altri due accoliti, stando sub limine portae, intuona per tre volte e sempre più a voce alta: Domine miserere ed il coro risponde: Kyrie eleison ; dopo di che l’arciprete del Duomo posto danti al luogo dove fu la porta, dice l’orazione: Deus qui Angelorum etc. , finita la quale il clero torna processionalmente alla pieve maggiore cantando il responsorio: Civitate istam tu circunda Domine, et Angeli tui custodiant muros ejus, etc.
    Ho citato cotesta funzione per indicare alcune porte dei tre Terzi del cerchio più antico dove si abbassava il gonfalone, cioè nel Terzo di Camollia alla distrutta porta di S. Donato all’Arco , nel Terzo di S. Martino alle due distrutte porte Solara e di S. Maurizio ; e nel Terzo di Città a quella di Stalloreggi di dentro , tuttora in piedi, e alla porta che fu del quadrivio fra la via delle Murelle e quella del Casato , porta che non deve confondersi con quella ivi presso esistente denominata la Porta all’Arco , la quale appartenere doveva al second’ultimo recinto, di cui ora debbo parlare.
    In appoggio alle porte ed al cerchio più antico fra quelli conosciuti della città di Siena mi giovano cinque istrumenti inediti dove sono nominate alcune delle porte di Siena vecchia molti anni innanzi l’assedio vero o supposto del re Arrigo VI.
    Il primo istrumento è
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    rogato in Siena nel dicembre del 1012 presso l’ Arco di S. Donato ; il secondo fu scritto pur esso in Siena nel 29 settembre del 1148, presso la porta Solara , entrambi esistenti nell’ Archivio Diplomatico Fiorentino fra le carte della badia di Passignano, e il terzo del 4 novembre 1081 fu pubblicato dal Muratori, dove si rammentano non solo i muri della città di Siena, ma la Fonte di Vetrice e la Fonte Branda . Aggiungasi a questi tre un quarto istrumento del 25 marzo 1153esistente in Siena nell’ Archivio Bichi-Borghersi , nel quale si fa menzione della Porta Camollia .
    Quest’ultimo istrumento per avventura è uno de’ più antichi che io conosca che fanno parola della porta Camollia ; la quale peraltro doveva essere più interna di quella del second’ultimo e del cerchio attuale, giacche nel 1262 presso il castellare per andare al passaggio della Lizza detto ora il poggio de’Malavolti esistevano le mura antiche castellane di Siena . – Vedere in questo a pag. 314 )
    Finalmente il quinto e ultimo documento lo fornisce una pergamena dell’ Archivio Diplomatico Sanese fra quelle del T. V (N°405), la quale sebbene acefala, contiene diverse deliberazioni del senato sanese sotto dì 27 aprile 1246, che una di esse ordinava doversi fare la via antica che usciva dalla porta di Stalloreggi, della larghezza di 12 braccia per linea retta; con la seconda fu prescritta una strada nuova della larghezza di braccia 10 che doveva passare per la vigna d’Accorso a partire dalla via che andava per Stalloreggi fino alla piazza di S. Lorenzo . La terza deliberazione provvedeva
     a un’altra strada che doveva passare dai possessi della Badia di S. Donato all’Arco , dalle
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    terre d’Jacopo d’Ildebrandino e della chiesa di S. Egidio ecc. la qual via dirigevasi dalla Porta ( nota bene ) della Badia di S. Donato fino alla via che veniva  dalla Porta S. Lorenzo ecc. . Seguono altri ordini per varie strade da farsi dentro la città, talchè quella carta io penso che meriterebbe di essere pubblicata e illustrata. – ( Arch. cit. )
    Second’ultimo cerchio della città di Siena . Dai molti spogli fatti dal benemerito Uberto Benvoglienti, una gran parte de’quali si conserva nella biblioteca pubblica di Siena, sarebbero da raccogliersi non poche notizie confacenti a dimostrare che il second’ultimo cerchio delle mura di Siena fu ordinato parecchi anni innanzi la battaglia di Montaperto. In prova di ciò mi limiterò a citare alcuni pagamenti per i lavori eseguiti al second’ultimo recinto innanzi quell’epoca; e prima di tutti un pagamento di lire 119 3 soldi 17, fatto nell’anno 1229 dai camarlinghi di Bicherna in acconto dei lavori per costruire le porte della città di Siena secondo la forma prescritta dallo Statuto . ( Entrata e Uscita B, ora L. N° 462 fol. 9. ). 2° la vendita di un pezzo delle mura delle cerchia antiche posto nella via del Casato fatta nel 1239 dietro provvisione  de’Signori Nove, approvata dal consiglio del popolo adunato nella chiesa di S. Cristofano; il qual pezzo di muro fu venduto a un  lanaiolo abitante nella stessa via del Casato per tutta la lunghezza della sua casa ; 3° nel 24 dicembre del 1247 i deputati destinati a eseguire il dirupo e fossi della parte della CITTA’ VECCHIA DI SIENA a tal effetto descrissero i luoghi dove si dovevano fare i fossi e il dirupo. (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Pergamena N°425 ).
    Lo stesso Archivio Diplomatico Sanese contiene una deliberazione del 22 febbraio 1248 ( Pergamena N°427
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    ) relativa ai deputati nominati dal podestà di Siena per porre i termini intorno alla Piazza di Fontebranda vecchia, che trovarono larga braccia 67, lunga braccia 52; (ivi); 4° nel 1250 si pagarono lire 833 agli operai della Porta di Camporeggi e delle mura del piano d’Ovile servendosi a tal uopo dei denari della dogana dell’olio, del sale e del pesce; e nell’anno medesimo furono saldati tre periti per aver stimato il terreno dove era stata fatta la porta Follonica e la piazza di detta Fonte ; 5° nel 1251 si pagarono lire 200 a tre operaj delle mura, della porta Ovile e dell’antiporto di Camporeggi ; 6° e cinque anni dopo lire 437 ad altri deputati incaricati di far costruire le mura e munizioni della città ; 7° nel 1257 il Comune di Siena prese ad imprestito danari per darli ai deputati alla fabbrica delle nuove mura ( spogli del Benvoglienti ) . 8° finalmente nel 1259, cioè un anno innanzi la giornata di Montaperto, si riattarono le mura della città dalla porta di Camporeggi fino alla porta di Follonica e si diedero danari per fare la castellaccia di S. Prospero con altre mura e fossi intorno alla città . ( loc. cit. )
    Inoltre una delle pergamene dell’ Archivio Diplomatico di Siena (N°394) contiene una deliberazione della Signoria in data del 27 maggio 1244 mentre era capitano generale dell’Imperatore Federico II Pandolfo di Fasianella, mercè la quale furono eletti in deputati maestro Giovanni dell’opera del Duomo e maestro Ildebrandino della Valle di S. Martino (ossia del Montone ) a oggetto di dar compimento alla fontana, lavatojo e beveratojo di Fonte di Follonica , situata tuttora fra porta Ovile e porta Pispini. Inoltre nel 14 febbraio 1246 ( stile comune ) Orlando e Ranuccio fratelli, e Bernardino Malavolti venderono
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    al Comune di Siena per lire 80 la loro porzione di un terreno posto in Camporeggi per ampliare la strada. ( ivi N°399 ).
    Fin qui rispetto ai lavori fatti nel second’ultimo cerchio innanzi il settembre dell’anno 1260; ma le opere relative alle mura castellane, e fossi di questo secondo recinto di Siena continuarono anche per molti anni anche dopo la vittoria di Montaperto.
    Infatti nel 1261 d’ordine di messer Manfredi sindaco del Comune di Siena e de’15 buonuomini fu rimborsata persona che aveva speso denari di suo nel tempo dell’assedio di Montepulciano per spianare la strada de’ fosso Camollia fino alla porta S. Maurizio . Nel 1266 si pagarono quelli che disegnarono i lavori della castellaccia di S. Agata e di S: Marco sino alla porta della Vetrice, e per le castellaccia della fonte di Follonica . Cosi nel 1267 furono date a Simone di Bulgarino lire 150 per spenderle nei muri delle castellaccia di Camollia, di S. Prospero e di Ovile , e altri cento soldi se gli diedero  per mandare la vena del pozzo de’Frati Umiliati nella fonte d’Ovile ( ivi ). Nello stesso anno 1267 si pagarono alcune somme ai deputati destinati a far fare i muri della castellaccia della Badia nuova come anche a quelli che ordinarono nei muri nuovi della città la costruzione delle così dette bicocche ( guardiole ? ) ed a coloro che chiusero la porta dei Provenzani di sotto (presso l’attuale chiesa collegiata di Provenzano) e che disfecero la porta Salara ( ivi ).
    Nel 1268 il preindicato Simone di Bulgarino ricevè dal Comune di Siena altri denari per pagare i lavoranti che restaurarono il palazzo del Vescovo, quando passò di qua il re Corradino (1267).
    Nell’anno stesso vennero
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    rimurate alcune porte spettanti al cerchio precedente comprese nel Terzo di Città. Allo stesso oggetto furono date lire 13 e denari 5 al deputato Speranza di Bonifazio Forteguerra, acciocchè egli facesse rimurare la postierla di S. Quirico in Castelvecchio, ecc.
    Nel 1273 si spesero lire nove soldi sei e denari 6 nell’acconciatura dell’ antiporto della castellaccia alla porta di Camollia quando il re Carlo ( II ) venne in Siena. ( loc. cit. )
    Forse il pagamento del 1273 testè rammentato fu uno degli ultimi da doverlo riferire al secondo cerchio della città di Siena; mentre i documenti posteriori, che vidi, mi sembrano appellare all’ultimo recinto, ossia quello delle mura attuali. Cotesto ultimo cerchio eseguivasi in Siena nel tempo in cui le fabbriche pubbliche, sacre e profane, non che le case de’privati erano in tale movimento da imprimere agli edifizj di questa città il carattere del loro secolo, cioè, dal 1300 al 1400 inoltrato.
    Cerchio attuale della città di Siena
    Le più antiche prove da me conosciute relative al giro attuale delle mura e porte di cotesta città esistono fra le membrane degli Agostiniani Romitani di Siena, ora nel Archivio Diplomatico Fiorentino . La prima di tutte spetta ad un rogito del 16 aprile del 1298 relativo alla donazione di 4 case poste nel popolo di S. Agata , nel borgo esistente tuttora fra la Porta all’Arco e la Porta Tufi ; le quali case furono acquistate per lire 200 da detti fra ti Romitani. Il secondo documento del 17 aprile dello stesso anno verte sopra una deliberazione de’Nove governatori di Siena nel tempo che vi era potestà il famoso Cante de’Gabbrielli da Gubbio, mercè cui venne accordata facoltà ai Frati Romitani di S. Agostino di poter ampliare la loro piazza posta presso il muro del Comune di Siena fuori la Porta, per la quale si
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    esce per andare a S. Agostino nel popolo di S. Salvatore.
    ( loc. cit. )
    Non lasciano poi dubbio che all’ultimo recinto di Siena debbansi riferire alcuni pagamenti negli anni 1322, 1323 e 1324 fatti per ordine dei Nove agli oparaj incaricati di far costruire, ora i muri della castellaccia, della Porta S. Salvatore ; ora di rifare la strada nuova che conduce dalla porta vecchia di Val di Montone alla Porta nuova di S. Maria (Porta Romana), ed ora di costruire la via per la quale si passava dalla Porta nuova per quella de’ Peruzzini sino alla Porta S. Leonardo. ( loc. cit. )
    Anche nel 1328, 1329 e 1330 gli operaj con i 4 provveditori per conto del Comune presedevano alla costruzione delle mura nuove della città, per le quali fu ordinato di ritenere sopra i salarj de’militari de’giusdicenti, degli uffiziali forestieri e dei potestà, in proporzione di 6 denari per lira del loro onorario a tenore dello statuto senese.
    Inoltre nel 1347 Buoninsegna di Meo operajo delle nuove mura del Comune nel Terzo S. Martino di 15 mesi arretrati; e nell’anno stesso furono date mille lire a Bencivenni di Luccio, operaj delle nuove mura per servirsene alla costruzione delle medesime. BICHERNA, Libri Entrata e Uscita B, ora L. N°147 fol. 88. N°210 fol. 165. N°256 fol. 169 N°213 fol. 119 e 142 )
    Coteste mura continuavansi anche nel secolo susseguente, siccome lo dimostrano varj atti esistenti nell’ Archivio Diplomatico sanese fra i quali citerò per tutti un pagamento di fiorini 500 d’oro fatto nel 1413 alle monache di S. Barnaba fuori della porta nuova , ossia della Porta Romana , per il danno ricevuto dagli operaj delle mura della città; ed un altro pagamento di
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    lire 33455, soldi 19 e denari 11 fatto nel 1414 a messer Pace camarlingo de’4 provveditori di Bicherna per la costruzione delle mura urbane. (BICHERNA B., ora L. N°291 fol. 61, e N° 447 fol. 56 )
    Finalmente una porzione del cerchio attuale di Siena fu eseguita sul declinare del secolo stesso allorchè si rinchiusero in città il prato, il tempio ed il fabbricato intorno al poggio sul quale s’innalzano il convento e la chiesa di S. Francesco, nel giro, cioè che dalla Porta Ovile si distende verso la chiesa di S. Spirito; la qual sezione non era fatta quando si recò ad abitare nel convento predetto (1462) il Pontefice Pio II per di cui ordine fu messa mano a quel lavoro (MALAVOLTI, Istoria sanese P. III. Libro IV. )
    La ripartizione della città di Siena in Terzi, ossia Rioni, rimonta ad un’epoca assai remota chiamandosi uno di essi Terzo di Città , il secondo Terzo di S. Martino , ed il terzo di Camollia . Nei tempi della sua repubblica i terzi di Siena si estendevano anche ai suoi suburbj coi vocaboli di Masse del terzo di Città, di S. Martino e di Camollia . In seguito le Masse costituirono tre comunità suburbane dipendenti nel civile e nel politico dai magistrati residenti in Siena.
    Nel 1299 lungo le mura della città contavansi nel Terzo di Camollia  non meno di dieci fra Porte e Postierle cioè: 1. la Porta di Camollia; 2. di S. Prospero; 3. di Camporeggi; 4. di Campansi; 5. di Pescaja; 6. di Porta Ovile; 7. di Monte Guattani; 8. di Provenzano; 9. de’ Frati Minori e 10. Porticciola de’Frati prenominati .
    Oltre le 10 porte del terzo di Camollia  di sopra nominate (nell’anno stesso 1299) non si noveravano non meno di 13 fra
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    porte e porticciole nel Terzo di Città,  e 12 nel Terzo di S. Martino che qui rammenterò. Spettavano a quest’ultimo le porte o postierle 1° de’Peruzzini;2°di maestro Salomone; 4°la porta dell’Uliviera; 5° della Val di Montone; 6° di S. Giorgio di fuori, 7° di S. Giorgio di dentro; 8° di S. Maurizio; 9° di S. Vieni; 10° di Castel Montone; 11° di S. Giovanni; 12° de’Peruzzini nuova .
    Quelle del Terzo di Città  erano le seguenti: 1° Porta di Fonte Branda; 2° de’Codenacci; 3° della Vetrice; 4° di Laterina; 5° de’Vecchioni; 6° postierla di S. Quirico in Castelvecchio; 7° del Borgo nuovo; 8° Porta S. Marco; 9° delle Sperandie; 10°Porta all’Arco; 11° del Ponte Nuovo; 12° di Tufi; 13° di Stalloreggi . Alcune di coteste porte per altro appartengono al terz’ultimo cerchio.
    Porte più cospicue della città . Ho già detto che le porte attualmente aperte in Siena si residuano a sette, oltre la Porta Laterina che si apre solo momentaneamente la notte. Fra le esistenti meritano qualche distinzione le seguenti:
    La Porta di Camullia attuale, cui deve aver dato il nome una delle Maste , o borgata di Camullia, è citata fino dal secolo XII nelle carte dell’ Archivio Borghesi-Bichi . Essa fu rifatta nel 1604 più grandiosa sotto Ferdinando I presso l’antica porta, però diversa da quella rammentata all’anno 1153, e dall’altra citata all’anno 1273.
    Sull’arco esterno della porta attuale leggesi in lettere cubitali cotesto invito ai forestieri che vi vanno: Cor magi tibi Sena pandit . Infatti io credo che vi siano itinerarii di oltramontani che non lodino de’ Sanesi l’ospitalità e la grazia, delle donne la venustà e l’ilarità, talchè il tedesco Schroder nel suo libro Monumentorum Italiae ebbe a definire le femmine senesi delizie italiane
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    .
    Due tiri d’arco fuor della Porta di Camollia sorge fino dal 1258, sulla strada regia postale il così detto Portone restaurato e forse rifatto nei secoli posteriori. Presso a cotesto Portone  esiste un’iscrizione in marmo sopra una colonna posta nel luogo dove dal vescovo di Siena Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, fu presentata all’Imperatore Federigo III la sua fidanzata Eleonora principessa di Portogallo (24 febbraio 1452 stile comune ) che dice:

    Caesarem Federicum III. Imp. et leonoram sponsam Portugaliae Regis filiam, hoc se primum salutovisse loco, laetisque inter sese consultavisse auspiciis, marmoreum posteris indicat Monumentum. A. D. MCCCCLI. VI KAL. MARTIAS

    Porta Romana già detta Porta Nuova . – Il maestoso antiporto a guisa di torrione fu disegnato dai due fratelli scultori e architetti Agostino e Agnolo di Siena i quali ne diressero l’esecuzione dopo il 1320.
    Nel 1440 fu dipinta la parte esterna del torrione terminata nel 1459. Vi si murò lateralmente un frammento d’iscrizione de’tempi romani illustrata da altra moderna postavi nella prima metà del secolo XVIII.
    Nel 1299 la Porta Nuova ossia Romana non era ancora fatta, prova non dubbia che allora non esisteva il cerchio attuale.
    Porta S. Marco . – Se dobbiamo tenere per esatta la nota di sopra rammentata questa porta esistere doveva fino dall’anno 1299. L’antiporto grandioso di cui restano ora pochi avanzi, era disegno del celebre architetto Baldassarre Peruzzi: Ma il merito maggiore l’acquista oggi che si stà costruendo fuori di questa porta un grandioso piazzale per il pubblico passeggio, e una nuova e più ampia strada per andare a Grosseto di una pendenza assai più docile che non era l’altra strada regia, la quale per un ardito pendio scendeva nel vallone della Tressa .
    Porta Pispini o di San Vieni
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    . – Questa porta è famosa sia per essere una delle più antiche del secondo cerchio, sia perché di costà escì l’oste sanese per scendere nei campi di Montaperto nel giorno della gran battaglia che fece scorrere l’Arbia in rosso ; sia perché di qua parte anche  una quarta strada regia, l’Aretina, oltre quella Lauretana.
    Sopra la Porta Pispini nel 1326 fu innalzato il torrione, dove il Sodoma ducent’anni dopo dipinse dalla parte esterna il bel presepio con un meraviglioso angiolo situato nell’arco superiore guardato di sotto in su. Il baluardo situato a sinistra di chi esce dalla Porta Pispini fu disegnata da Baldassarre Peruzzi.
    Porta Laterina . Forse fu l’ultima porta del cerchio attuale ad aprirsi e la prima a chiudersi ai viventi. Essa fu terminata nel 1528 quando l’uffizio di Bicherna sotto dì 11 dicembre di quell’anno saldò ogni restante della spesa fatta nella Porta Laterina relativamente a una grottesca stata dipinta sopra la medesima.
    Fu aperta sullo sprone occidentale del poggio che dirigesi dalla Porta S. Marco e da quella di Laterina per l’arioso colle di Galignano dove fu un piccolo cenobio di eremiti Camaldolensi, fondato nel 1258, distrutto nel 1554, e la cui clausura nel 1784 fu ridotta a uso camposanto per inumarvi i defunti cattolici sanesi, al solo trasporto de’quali è limitato il diritto di aprire di notte cotesta porta della città.
    Fonti Pubbliche . – Senza riandare all’origine dei grandiosi acquedotti di Siena, mi limiterò ad osservare come dal principio del secolo XII fino a tutto il XV nei risalti de’poggi a settentrione della città si raccogliessero da stillicidj più o meno profondi tante acque per alimentare non meno di nove pubbliche fontane, senza contare la Fonte Becci , eretta nel 1218 quasi due miglia a settentrione della porta Camollia.
    Tale fu la Fonte dell’arte della Lana aperta fra il 1212
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    e il 1220 nel piano di Castel-Montone , per cui poco dopo essa prese il vocabolo di Fonte di Val-Montone ; tale quella di Porta Ovile che fu aumentata nel 1262 mediante una vena raccolta da un pozzo dei Frati Umiliati , la qual fonte poco tempo dopo essendo stata rifatta più grandiosa prese il nome di Fonte Nuova ; e tale la Fonte di Follonica cominciata nell’anno1249. Lo stesso dicasi della Fonte di Pantaneto che conta il suo principio nel 1352; della Fonte Pispini stata aperta sulla strada che guida alla porta di detto nome; della Fonte del Ponte lungo la strada del corso che va alla Porta Romana; così della Fonte di Pescaja e della Fonte di Vetrice dove erano i lavatoi fino al 1259.
    Ma tutte coteste fontane cederono in fama alle due fonti maggiori di Siena, la Fonte Branda e la Fonte Gaja .
     Non vi è persona che parli di Siena né forestiero che percorra la città senza rammentare o senza che visiti la copiosa Fonte Branda , quella fonte che ha fatto dire di sé e delle sue proprietà immaginarie cose da fermare la luna, fonte da non doversi confondere con l’altra Fonte Branda esistita presso Romena, e alla quale appellava dante nel canto XXX del suo Inferno.
    È la Fonte Branda la più bassa la più antica e nel tempo stesso la più copiosa della città di Siena. Essa scaturisce alle falde del poggio della chiesa parrocchiale di S: Antonio Abate, sotto le profonde balze sulle quali si alza il tempio di S. Domenico, presso la porta detta tuttora di Fonte Branda , dove non solo esistono copiose bocche d’acqua da bere, ma estesissimi lavatoj per lavare e
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    per guazzare a comodo de’vicini fabbricanti di corde di budella, de’conciatori di cuoia, delle tintorie e de’macelli riuniti tutti nel gran piazzale innanzi di arrivare alla porta preindicata; e tanta è la copia delle sue acque che possono mettere in moto macine da mulino e altri edifizj idraulici.
     ( ERRATA : La sua prima memoria dell’anno 1193) La sua prima memoria è dell’anno 1081, quella del 1103 fu registrata in una pietra che diceva:

    Anni sunt Domini, trahe septem, mille dugenti

    La Fonte Branda fu in più tempi rifatta: la prima volta nel 1246, come apparisce dal libro Entrata e Uscita di Bicherna (B, ora L. N° 3, fol.. 20) in cui è registrato un pagamento per ridurre l’acqua in Fonte Branda nuova , e per terminare la fossa dove fu Fonte Branda vecchi . Accadeva ciò nel tempo stesso che si restaurava la  Fonte di Pescaja , la quale fu terminata nel 1247, comecchè la sua origine si faccia risalire al 1087, mentre non prima del 1259 furono costruiti gli abbeveratoi a questa e all’altra vicina Fonte di Vetrice . ( Libri citati, B, ora L. N° 5. fol. 29 e 39. )
    L’altra fonte anche più celebre è la Fonte Gaja nella gran piazza del Campo, condottavi non prima dell’anno 1343 con gioia e gajetà somma del popolo senese, per cui si acquistò il titolo di Fonte Gaja . Essa più tardi diede il soprannome al celebre scultore Giacomo della Quercia per i bei lavori di statuaria che intorno a quella nel 1419 scolpì, sicchè Giacomo della Fonte fu d’allora in poi appellato.
    Edifizj pubblici e luoghi più insigni . Citerò prima di tutto la Piazza del Campo . Cotesta grandiosa area che fu detta del Campo , innanzi
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    l’edificazione del second’ultimo cerchio cella città, trovavasi fuori delle mura e della sua porta occidentale denominata Porta Salara , esistita, come dissi, a piè della via del Casato davanti alla Costarella de’Barbieri . È la più vaga e più gran piazza di Siena, singolare per la forma per l’architettura degli edifizi che la contornano, e più che altro per le gioconde e magnifiche feste de’ fantini delle contrade . Essa gira da 570 braccia, e ha la forma di mezza conchiglia incavata. Tutte le acque che vi scolano entrano in una vasta cloaca situata nella parte più depressa, davanti al Palazzo Pubblico, che sotterranea trapassa per avviarsi tra Porta Tufi e Porta Romana attraversando la Valle del Montone onde mandare gli spurghi fuori di città.
    Dirimpetto al palazzo pubblico sopra la Fonte Gaja esisteva la curia della Mercanzia, ridotta più tardi a uso di casino de’Nobili, accosto al grandioso palazzo de0 marchesi Chigi, stato innalzato al pari del casino con disegno assai diverso da quello de’palazzi del secolo XIV e XV che rendono alla gran piazza e in generale a tutta la città un’impronta singolare.
    Sino dal 1333 cotesta piazza fu selciata di mattoni in costa e nel 1346 intorno alla grande strada che la circondava, furono disposti i cordoni di pietra; finalmente nel secolo passato furono messi i piuoli di travertino con catene di ferro.
    Vi sboccano undici strade fra le quali quella del Casato dove furono le mura del più antico, o terz’ultimo cerchio, e la larga salitella detta la Costarella de’Barbieri sul luogo della distrutta Porta Salara .
    Infatti nell’anno 1339 i camarlinghi di Bicherna pagarono danari ed alcuni maestri qui terminaverunt Campum Fori in pede Portae Salarae . – (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Libri di Entrata e Uscita di Bicherna, B. ora L. 143 fol. 48 )
    È dentro cotesto gran
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    recinto dove si affolla una popolazione talvolta superiore a quella della città per assistere nel giorno due luglio e nel 16 agosto alla corsa di 10 fantini delle contrade , la cui festa degna di un poema piuttosto che di un Dizionario geografico è stata recentemente scritta con entusiasmo pari alla verità dal chierico G. La Farina in un giornale fiorentino che porta per titolo Rivista Musicale (N° 19 del 1 settembre 1842)
     Una delle fabbriche più grandiose della gran piazza del Campo è quella del palazzo pubblico già detto della Signoria, il quale costruivasi sino dal 1284, giacchè in cotest’anno i Signori Nove destinarono in operaj di quell’edifizio Bartolommeo di Bascilla e Palmieri Linaiolo; mentre nel 1298 fu nominato operajo un Cante di Fredo. Lo stesso palazzo pubblico però continuava a fabbricarsi non solamente nel 1308 sotto gli operaj Lelio di Fabio e Bindo di Montalceto, ma ancora nell’anno 1318 quando ancora si pagarono denari per i lavori della loggia superiore a Neri d’Agnolo e a Guccio di Vanni del Marchese , operaj del palazzo del Comune che si faceva per i Signori Nove .
    Finalmente nel 1329 furono sborsate lire 16 a maestro Simone di Martino dipintore per la pittura di Monte Massi e di Sasso Forte da esso fatta nel palazzo del Comune.
    Ma che nell’anno 1330 il palazzo della Signoria di Siena non fosse ancora terminato lo dichiara il pagamento di 300 lire eseguito nell’anno suddetto per terminare le volte del palazzo medesimo dove era solita a risedere la Curia. Al che si aggiunga come nel 1330 furono sborsate lire 4700 agli operaj del palazzo novo nonché per quello delle Carceri . Per la costruzione di quest’ultimo l’erario della Repubblica sanese nell’anno stesso fece acquisto di 50 migliaja di mattoni, dopo di aver un triennio prima sborsato lire 7950 nella compra di dieci case poste in
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    Salicotto a oggetto di costruire nel luogo di esse il palazzo detto tuttora delle Carceri , giacchè innanzi quel tempo i carcerati si rinchiudevano nelle torri de’privati. – (UBERTO BENVOGLIENTI, Spogli dei Libri di Bicherna MSS. nella Biblioteca pubblica di Siena )
    Non occorre rammentare che nelle stanze terrene del pubblico palazzo della Signoria di Siena, attualmente ridotte a uso di archivj, esisteva l’officina della zecca, sulla quale è comparsa alla luce una storia coscienziosa sotto il modesto titolo di Cenni sulla zecca sanese dell’erudito tipografo Giuseppe Porri in una sua Miscellanea istorica pubblicata nell’anno corrente 1844.
    Non era ancora terminato il palazzo della Signoria quando i due fratelli sanesi Agnolo e Agostino, nel 1325, d’ordine del disegnarono la svelta altissima torre annessa al palazzo del Comune, volgarmente appellata la Torre del Mangia , la di cui costruzione doveva essere terminata nel 1349, tostochè in quell’anno si pagarono danari per fondere la gran campana, e si diedero lire 7815 a Ristoro di Lottino, fabbro per valuta del battaglio, ecc. ( loc. cit. )
    L’altezza di codesta torre ammonta a braccia 175 1/2 e la sua sommità trovasi braccia 690 superiore al livello del mare Mediterraneo.
    A piè della medesima fu incominciata nel 1352 la cappella detta di Piazza : Nel 1460 Cecco di Giorgio disegnò il fregio, mentre i bassorilievi allegorici sono di scultore ignoto, ma dello stesso secolo.
    Vi vuole una guida per descrivere le bellezze tutte di cotesto palazzo, che al pari di molti altri edifizj pubblici e privati innalzossi tra i secoli XIII e XIV per cui tralasciando questi aggiungerò pochi cenni sulle chiese più sontuose e sugli stabilimenti più distinti della stessa città.
    Chiesa Metropolitana .- È la prima chiesa, la più bella, la più ricca, la più ornata di Siena e del suo stato fabbricata secondo la liturgia antica con
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    la facciata volta a ponente. Sarebbe opera perduta per chi volesse distinguere le varie epoche del suo ingrandimento a partire dalla sua origine fino allo stao attuale, siccome imprenderebbe un lavoro improbo, chi senza altri appoggi s’immaginasse discutere sulla tradizione presso molti invalsa, che l’antico Duomo di Siena esistesse nel Castelvecchio . Comunque vada la bisogna, è certo però che in un istrumento archetipo del dicembre 1012 in quest’Articolo a pag. 304 rammentato, si parla del Duomo di Siena situato vicino alla distrutta chiesa di S. Desiderio , vale a dire dove attualmente questo tempio risiede.
    Un altro fatto anco meno incerto ci sembra quello che la cattedrale sanese sino dalla più remota età doveva essere dedicata a Maria Vergine Assunta, e che il suo capitolo anche innanzi il mille contava cinque dignità, come può vedersi in una membrana  del 1 aprile dell’anno 999 pubblicata dal Muratori e dal Pecci, il cui originale conservansi a Siena nell’archivio privato de’nobili Borghesi-Bichi.
    Ma se ciò non lascia dubbio sull’antica esistenza, titolo e varie dignità della chiesa maggiore sanese, altrettanta dubbiezza ci presenta la parte edificatoria.
    L’erudito e carissimo Ettore Romagnoli, la cui memoria sarà sempre onorata dagli amici e dalla patria sua, in più d’un lavoro a tal proposito ripeteva: esservi in ciò troppa oscurità, né alcuna chiarezza maggiore ci diedero i cronisti sanesi. Solamente dalle carte che conservansi nell’Archivio dell’Opera del Duomo si comprende, che la Signoria di Siena, dopo aver una sua provvisione del 16 novembre 1259 nominato nove personaggi incaricati di esaminare, dove fosse meglio fare il coro della chiesa maggiore, con altra provvisione dello stesso anno il consiglio della Campana, sentito il rapporto de’nove deputati per la fabbrica del coro della cattedrale di Siena , deliberò che cotesto coro si facesse secondo il disegno stabilito dai canonici di essa chiesa e dagli operaj del Duomo. Mediante poi una terza provvisione dell’11 febbraio 1260 (stile
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    comune) il gran consiglio di Siena decretò l’elezione di altri nove deputati, tre per Terzo, destinati a esaminare in che maniera si procedeva nella fabbrica dell’Opera di S. Maria di Siena .
    Inoltre con provvisione del 29 aprile 1308, il consiglio della Campana deliberò che l’operajo e i consiglieri dell’Opera del Duomo incassassero dal Comune ogni anno, mille lire di moneta per servire alla fabbrica della cattedrale ed acciocchè si possa fare l’utile e necessaria chiesa di S. Giovanni Battista nella città di Siena .
    Arroge a ciò, come nei libri di Bicherna ( Entrata e Uscita, B. ora L- N° 97 fol 253 ) si legge una partita, del 1296 che ordina a maestro Toscano, maestro Lando d’Jacopo e maestro Simone, stati deputati dal consiglio della Campana, acciocchè facessero atterrare le case e le piazze nel luogo dove si dovevano porre i fondamenti della chiesa di S. Giovanni del Vescovado.
    Dondechè dai fatti qui sopra annunziati, mi trovo costretto a dovere concludere, che se la pieve di S. Giovanni del Vescovado , la quale serve tuttora di fondamento al coro del Duomo di Siena, dovette edificarsi dopo il 1296, bisogna dire che il Duomo attuale non s’incominciasse prima del XIV secolo. Infatti nell’ Archivio Diplomatico Sanese (al T. 125 de’Consigli della Campana ) esiste una provvisione della Signoria sotto il 23 agosto anno 1339, nella quale si ordina l’accrescimento da farsi alla navata maggiore del Duomo da estendersi verso la piazza de’Manetti nel modo stao disegnato dummodo (termina la provvisione) in opere novo dictae ecclesiae iam incepto nihilominus solicite et continue procedatur .
    Cotesta Opera nuova pertanto deve essere una continuazione di quella che i deputati eletti nel 17 febbraio 1322 (stile comune) decretarono  super factis et negotiis NOVI OPERIS JAM INCEPTI Ecclesiae S. Mariae ; nel
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    qual decreto si ordina: quod fundamenta NOVI OPERIS, quae fiunt ad praesens ad augumentum majoris Ecclesiae non sunt sufficientia, eo quod incipiunt vallare in aliqua parte sui, quod muri praedicti  NOVI OPERIS non sunt tantae grossitudinis, quod sufficientes sin ad substentandum pondus, et ire ad tantam altitudinem eo quod muri facciatae anterioris dictae Ecclesiae versus Hospitale S. Mariae sunt grossiores muri NOVI OPERIS MEMORATI. Et dictum NOVUM OPUS esse debet majori altitudinis veteri . Che perciò i deputati in quel decreto conclusero: Nobis videtur quod fundamenta nova non conveniunt cum veteribus, et adjungendo OPUS NOVUM CUM VETERI in pilando (nel serrare) obstendunt aliquam novitatem: et nobis videtur, quod supra dicto opere non procedatur, cum sit necesse dissipare de OPERE DOMUS VETERIS a medietate muri saper VETUS OPUS INCEPTUM; et quia volendo dissipare OPUS VETUS causa congiungendi cum dicto NOVO OPERE, fieri non posset absque magno periculo muri et voltarum veterum, et quia murus praedictae Ecclesiae, FINITO NOVO OPERE, non remaneret in medio crucis . In vista di tali riflessi ancorchè si fosse potuto compire quel lavoro, volendo ridurlo ragionevolmente ad altra misura, i deputati del febbraio del 1322 consigliarono che il Duomo vecchio fosse d’uopo atterrarlo per l’affatto.
    Contemporaneamente al precedente consiglio gli stessi deputati, con rapporto dello stesso dì 17 febbraio ed anno medesimo 1322 furono di parere: quod ad honorem Mariae Virginis incipiatur et fiat una Ecclesia pulcra, magna et magnifica quae sit bene proporzionata in longitudine, altitudine et amplitudine, et cum omnibus mensuris quae ad pulcram Ecclesiae pertinent, et cum omnibus fulgidis ornamentis, que ad tam magnam, tamque honorificam et pulcram Ecclesiam pertinent et expectant .
    Ho voluto riportare ad litteram le espressioni di cotesti due pareri e deliberazioni dello stesso giorno onde meglio provare che nell’anno 1322 accadde la sospensione dell’ opera nuova e la riedificazione dell’attuale Duomo di Siena , il quale
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    dietro il parere dei nuovi deputati dovevasi rifabbricare da capo: QUOD INCIPIATUR ET FIAT UNA ECCLESIA PULCRA ET MAGNA, ET MAGNIFICA.
    Che più? la ricostruzione dell’attuale cattedrale di Siena collegasi a meraviglia con l’epoca dell’edificazione  della pieve di S. Giovanni sotto il Duomo come pure della provvisione del 23 agosto 1339 dei Signori Nove e del gran consiglio, che ordinava rispetto all’accrescimento della chiesa maggiore nel modo dei maestri di quell’opera designato, qualmente in opere novo dictae Ecclesiae jam incepto nihilominus solicite et continue procedatur. ( ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE )
    Frattanto non deve omettersi per la storia dell’arti circa l’epoca e gli autori che architettarono la torre campanaria, anche per rettificare quanto fu scritto dal barone di Rumohr e dal Romagnoli, un pagamento fatto nel 1263 dai camarlinghi di Bicherna ad un maestro pisano il quale terminava di cuoprire il campanile della chiesa maggiore di Siena. (BICHERNA, Libro di Entrata e di Uscita, B. ora L. N° 26 fol. 17 )
    Probabilmente la fabbrica del Duomo vecchio che prima del 1322 si voleva innestare con l’ Opera nuova , come chiaramente lo dissero i deputati a quell’opera, aveva relazione con l’antica Opera del Duomo di Siena, rammentata sino dal 31 ottobre 1220 in una sentenza di due canonici sanesi delegati dal Pontefice Onorio III pronunciata nell’ opera nuova fuori della chiesa maggiore di Siena . – vedere PAPAJANO nella Va-d’Elsa.
    La lunghezza totale di questo ornatissimo tempio è di braccia fiorentine 153, la larghezza della crociata di braccia 89, e delle navate braccia 42.
    Non vi è angolo che in questa chiesa sia rimasto nudo, a principiare dal pavimento nel suo fastigio e dalla ricchissima facciata fino dietro al suo coro; talchè fia impossibile rinchiudere in un breve paragrafo la nota solamente delle sue bellezze artistiche; fra le quali il pavimento istoriato del Beccafumi e da altri,
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    il pulpito insigne di Niccolò e del figlio suo Giovanni Pisano.
    È assai nota la cosiddetta Libreria del Duomo di Siena, dove il Pinturicchio in dieci grandi spartiti dipinse le gesta principali del Pontefice Pio III per ordine del suo nipote Pio III de’Tedeschini-Piccolomini.
    Nel centro di questa gran sala ammirasi un gruppo di greco lavoro rappresentante le Tre Grazie, ed alle pareti il cenotafio del benemerito governatore Giulio Bianchi, scultura di Pietro Tenerani, situato presso l’altro cenotafio dell’insigne anatomico Paolo Mascagni, opera di Stefano Ricci.
    Sino altresì pregevoli i grandi libri corali ivi esistenti, specialmente per le belle miniature ivi eseguite da monaco Benedetto da Matera.
    Chiesa di S. Domenico . – Questo chiesone situato sopra una piaggia che sprofonda nel vallone di Fonte Branda, fu incominciato ad innalzarsi intorno al 1221 nella contrada di Camporeggi, quando il primo pittore toscano, Guido da Siena, l’anno innanzi aveva dipinto una tavola che in cotesta chiesa si conserva, e quando il più antico miniatore sino dal 1213 aveva colorito le coperte del MS. del canonico Oderico intitolato Ordo Officiorum , ora nella biblioteca Pubblica di Siena.
    Il convento di S. Domenico, dov’ebbero stanza S. Tommaso d’Aquino, S. Antonio e il Beato Ambrosio Sansedoni, fu edificato nel tempo che viveva quest’ultimo religioso sanese. Nel secolo XV venne innalzato il campanile, ed ingrandito il contiguo claustro.
    Dell’annessa sacrestia si hanno notizie dal principio del secolo XIV, come lo danno a conoscere diverse somme pagate nel 1308 e 1309 per spenderle nella fabbrica del palazzo che si faceva per i Signori Nove, rogandosi l’atto nella sagrestia dei Frati Predicatori di Camporeggi. ( Spogli Benvoglienti MMS. nella Biblioteca pubblica di Siena .)
    Il claustro fu abitato fino all’anno 1784 dai Domenicani i quali dovettero cedere chiesa e convento ai monaci Benedettini venuti costà dal monastero suburbano di S. Eugenio fuori della Porta S. Marco.
    Chiesa di S. Francesco . – Anche questa
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    chiesa vasta ed elevata fu incominciata sopra un alto sprone di poggio che scende sopra Porta Ovile.
    Dicono gli storici sanesi che i due fratelli Agostino e Agnolo, verso il 1326 architettassero cotesto tempio, e che il cardinal legato Napoleone Orsini ne gettasse i fondamenti.
    È vero per altro che la stessa chiesa di primo slancio non fu fabbricata tanto vasta come ora si vede, mentre la più antica precede di 70 e più anni quella disegnata dai due fratelli prenominati; avvegnachè il Comune di Siena negli’anno 1249 e 1259 ordinò che si pagassero cento lire ai frati del’’Ordine de’Minori per fabbricare la chiesa di S. Francesco. Essa realmente non fu ridotta nella forma grandiosa che ora si vede, se non dopo la metà del secolo XV. Prova ne siano due grossi pagamenti ordinati dalla Signoria di Siena sotto dì 19 giugno 1468, e anco quattro anni dopo, il primo di 8000, e il secondo di 16000 lire, effettuati in mano degli operaj della fabbrica della nuova chiesa di S. Francesco di Siena . – (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Memoriale N°122 fol. 142, e N° 124 fol 40 .)
    Anche le Guide per la città di Siena ne avvisano che nel 1448 a spese del Comune fu accresciuto e abbellito il convento di S. Francesco, dove nell’estate del 1460 si recò ad abitare il Pontefice Pio II.
    Il primo claustro quadrilatero contornato da un portico a colonne fu murato a spese di Nicoluccio Petroni. Gli altri due claustri più interni si edificarono sul declinare del secolo XV sul disegno dato da Francesco di Giorgio. Vi stettero i Frati Minori Conventuali ( ERRATA : fino al 1782) fino al 1809, epoca della loro soppressione, quando nella chiesa e convento suddetto entrarono i frati Domenicani Gavotti, ora tornati in S. Spirito.
    La confraternita di S. Bernardino contigua al primo claustro del convento suddetto è ricca di pitture a fresco di
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    eccellenti artisti sanesi come il Sodoma, il Beccafumi, il Vanni e il Pacchiarotto; pitture state tutte modernamente ravvivate.
    Chiesa dei Padri Serviti .- Nel poggio dove fu fondata cotesta chiesa esisteva l’antica parrocchiale di S. Clemente. Essa nel 1408 minacciava rovina, quando per ordine del gran consiglio furono sborsate ai religiosi Serviti lire 4000 per restaurarla.- (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memorie N° 122. fol. 156. )
    Finalmente nel 1528 si rifabbricò da capo a fondo la chiesa attuale col disegno di Baldassarre Peruzzi. Fu allora che quel chiaro architetto mise in opera le belle colonne di marmo cipollino dell’Isola d’Elba, le quali sorreggono gli archi della navata di mezzo, tutte di grandezza uniforme, e tre di esse di un sol pezzo. Siccome poi cotesta qualità di marmo dopo la caduta del romano impero non è stata più che si sappia, trasportata in Italia, ciò farebbe dubitare che tutte quelle colonne di una dimensione uniforme, avessero servito per una qualche basilica o portico di Siena romana.
    Chiesa di S. Agostino . – Questa bella chiesa ha una magnifica clausura annessa, convertita in abitazione per l’I. e R. Collegio Tolomei. Anche cotesta fabbrica si alza sopra uno sprone meridionale della città; ed ebbe origine fino dall’anno 1258, quando il suo locale trovavasi fuori dal second’ultimo cerchio di Siena.
    Fra le molte pergamene possedute dai frati Romitani di S. Agostino di questa città, cui furono unite quelle dei conventi degli Eremitani Agostiniani di Rosia, di Sestinga, de’Vallesi, di Montecchio ecc. una scritta del 12 ottobre 1262 faceva menzione de’Romitani Agostiniani di Siena.
    Con partito poi del 17 aprile 1298 i Signori Nove e il consiglio della Campana concederono facoltà ai frati di S. Agostino di Siena di poter ampliare la piazza davanti la loro chiesa. E nell’anno stesso lo spedalingo di S. Maria della Scala diede ordine di vendere a quei frati una carbonaja con piazza situata presso il
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    muro della città, fuori della Porta all’Arco per andare a S. Agostino
    . – (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO Carte cit .)
    Per altro, la chiesa e il convento di S. Agostino nel secolo XIII erano ben lungi dallo stato grandioso in cui l’uno e l’altro furono posteriormente ridotti. Imperocchè la chiesa più antica fondata come si disse nel 1258, fu rifatta in due epoche assai disparate, la prima dopo la metà del secolo XV, quando la Signoria con deliberazione del dì 8 giugno 1468 fece pagare ai frati e capitolo di S. Agostino lire 12000 per la fabbrica della loro chiesa; e la seconda epoca, quando nel 1773 fu ridotta nello stato attuale con disegno dell’architetto Vanvitelli.
    Rispetto ai lavori fatti alla sua grandiosa clausura essi spettano alla fine del secolo passato, nel tempo in cui vi abitavano i religiosi Agostiniani, ai quali si debbono i doppi e ben disegnato i chiostri, i comodi e numerosi quartieri. La grandiosa scala per altro è opera più recente di Francesco Peccagnini, e quelle del vestibolo esterno dell’architetto Agostino Fantastici, a direzione del quale, dieci anni dopo, soppressi i Frati, che l’abitavano, nel 1818 cotesto spazioso e ben situato convento fu ridotto ad uso de’nobili alunni traslocativi dal palazzo, già Collegio Tolomei, riducendo quest’ultimo a residenza del R. Governo.
    Nell’antico convento di S. Agostino di Siena furono accolti ad ospizio i Pontefici Gregorio XII ed Eugenio IV, nel nuovo vi dimorò nel 1799 il Papa Pio VI.
    Chiesa di S. Spirito . – Fu eretta nel 1345 dirimpetto alla Fonte Pispini , in origine abitata fino a verso la metà del secolo XV dai monaci Silvestrini, dopo dei quali vi entrarono i frati Domenicani Gavotti; cui nel 1468 per deliberazione del consiglio della Campana furono date lire 12000 per rifare le mura della loro chiesa do S. Spirito. – (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memoriale N° 122. fol. 163. )
    Il
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    Magnifico Pandolfo Petrucci nel 1504 vi fece innalzare a proprie spese la cupola.
    Nel 1782 quando i frati Gavotti furono traslati in S. Francesco, la chiesa e convento di S. Spirito furono ceduti all’Accademia Ecclesiastica, poscia al parrroco della chiesa soppressa di S. Maurizio, fino a che nel 1843 vi ritornò da S. Francesco la famiglia dei religiosi Gavotti.
    Nel chiostro annesso alla chiesa si conserva un affresco figurante il Calvario, opera pregiatissima di Fra Bartolommeo, detto della Porta.
    Chiesa di S. Martino . – Se questa non può dirsi delle più vaste, né delle più belle di Siena, è per altro una delle più antiche dopo la cattedrale; siccome fu l’unica a dare il nome a uno dei Terzi della città e delle Masse, ed è la sola della città che dopo la cattedrale si trovi rammentata al tempo de’ Longobardi. Inoltre la chiesa di S. Martino fin dal XII secolo, e forse assai prima, era stata decorata del titolo e qualità di chiesa cardinale , ossia cura con battistero, quando essa, che fu nel primo cerchio presso il borgo della città di Siena , dal vescovo sanese Ranieri, con breve del 17 settembre 1168, venne concessa con tutti i suoi beni e preminenze ai canonici Lateranensi di S. Frediano di Lucca; la qual concessione fu confermata nel secolo stesso dai Pontefici Alessandro, Lucio e Urbano III. – (PECCI, Serie de’Vescovi e Arcivescovi di Siena ).
    Nel 1439 per breve del Pontefice Eugenio IV, la stessa chiesa fu data ai frati Leccetani di S: Salvatore, tre anni dopo aver essi ottenuto il priorato di S. Maria degli Angeli fuori di Siena, oltre lo spedale di S. Niccolò vicino alla chiesa di S. Pietro alla Magione, assai dappresso alla Porta Camullia; e finalmente nel 1440 vi fu incorporata anche la soppressa badia di S. Lorenzo dell’Ardenghesca con tutti i suoi beni.
    I
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    frati Leccetani che stettero in S. Martino fino alla loro soppressione, ( ERRATA : accaduta nel 1783) accaduta nel 1809, fecero riedificare nel 1537 cotesto tempio, sebbene la facciata in travertino non sia stata eretta che nell’anno 1613 sopra una doppia gradinata con disegno dell’architetto Giovanni Fontana.
    Confraternita di S. Caterina da Siena . – Piccolo ma insigne si è reso questo oratorio per le memorie della Santa, e per la bellezza e la copia delle pitture che l’adornano.
    Trovasi sulla strada maggiore che scende alla piazza di Fonte Branda, ed è ufiziato dagli abitanti della contrada denominata dell’ Oca . Fu fabbricato dal Comune nel 1464 dove era la bottega di tintoria del padre di S. Caterina e la casa in cui essa nacque. La facciata è disegno di Cecco di Giorgio, nel frontespizio interno dipinsero il Riccio ed il Folli, nelle pareti laterali da una parte il Pacchiarotto e dall’altra il Salimbeni, la lunetta sull’altare è del Sodoma. Vanni, il Sorri, Rutilio, Casolani ed altri distinti pittori sanesi lavoravano nelle pareti della confraternita superiore. Il piccolo claustro superiore credesi disegnato da Baldassarre Peruzzi.
    Collegiata di Provenzano . – Questa devota e frequentissima ( ERRATA : chiesa a croce greca) chiesa quasi a croce greca, dove si venera la miracolosa immagine della Madonna detta di Provenzano, fu eretta nel 1594. Essa trovasi uffiziata da un capitolo di canonici presieduto ( ERRATA : dal proposto, ed è l’unica dignità di quest’insigne collegiata) dal proposto che è la prima delle cinque dignità di quest'insigne collegiata.
    Stabilimenti Pii - Spedale di S. Maria della Scala – Se la Toscana richiama, e se l’attenzione degli estranei per le numerose opere di beneficenza che la rendono superiore a molte altre parti dell’Europa civilizzata, Siena ne conta tante da meritare di essere queste più conosciute, perché danno a scoprire anche lo spirito e la civiltà dei suoi abitanti.
    Una delle istituzioni
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    di carità per la quale i Sanesi furono sempre larghi, sia per anzianità, sia per lustro, contasi quella dallo Spedale di S. Maria della Scala cui posteriormente se gli affigliarono molti altri spedali di città e terre della Toscana e di altri stati ad essa limitrofi..
    Non resiste alla buona critica la tradizione che un beato ciabattino per nome Sorore fondasse sino dal secolo IX questo spedale. Imperocchè senza negare o affermare che costà dirimpetto alla facciata della cattedrale fino d’allora esistesse un ospizio per i pellegrini, quando si tratta di prove mancano i documenti, nei quali si faccia menzione di questo spedale; né si conosce memoria, ch’io sappia più vetusta di quella indicata in un istrumento del 16 aprile 1088, nel quale rilevasi che lo spedale di S. Maria della Scala era in quel tempo di giuspadronato del capitolo della cattedrale di Siena.
    In conseguenza di ciò l’Arciprete del duomo a nome de’canonici continuò a confermare per qualche tempo l’elezione dei nuovi rettori di questo spedale, siccome lo qualifica un altro istrumento del 3 marzo 1094, conservati entrambi nell’archivio della Scala. Forse da questa padronanza gli spedalinghi di S. Maria ante-gradus seppero emanciparsi innanzi che dal concilio di Vienna del 1311 fosse stabilita la massima, che il governo dei luoghi pii e degl’ospedali non dipendesse più dagli enti ecclesiastici.
    Che questo però davanti alle scalere del Duomo non fosse in origine che uno ospizio per pellegrini, stato più tardi esteso alla cura degli infermi, a ricevere gli esposti a distribuire elemosine ai poveri ecc., me lo fa credere un atto del 1265 col quale Tommaso vescovo di Siena concedette allo spedale in discorso di tenervi un sacerdote, mentre 12 anni innanzi il vescovo Buonfiglio con altro breve aveva accordato al rettore facoltà dello spedale della Scala di fabbricarvi una chiesa; forse quell’oratorio stesso nel 1466 venne riedificato in maggiori dimensioni col disegno di un tal Guidoccio
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    di Andrea.
    Al secolo XIV spettano le immense sostruzioni e aggiunte fatte a cotesto stabilimento pio, avvegnachè nel 1356 il Comune di Siena pagava i tegoli e gli embrici per cuoprire la fabbrica nuova  dello spedale di S. Maria della Scala. – (BICHERNA, Entrata e Uscita B. L. N° 224 fol. 33. )
    Nella parte più antica dello spedale denominata tuttora il Pellegrinaio , esistono ancora gli affreschi eseguiti nell’anno 1349 da Luciano da Velletri, continuati nel 1440 da Domenico Bartoli, e più tardi da Priamo, fratello di Giacomo della Quercia, ossia della Fonte .
    L’ingresso maggiore di S. Maria ante-gradus è sempre volto a levante, dirimpetto alle scalere e alla facciata del Duomo; le grandi sostruzioni sono dal lato opposto della fabbrica che scendono forse per 60 braccia nel sottoposto giardino botanico.
    A questo stabilimento per gl’infermi il Granduca Leopoldo I con motuproprio del 22 ottobre 1779 comandò si riunissero varj spedaletti sparsi per la città, fra i quali lo spedale di S. Niccolò in Sasso, di Monagnese , per le partorienti, quello di S, Lucia per i pellegrini; lo spedale di S, Sebastiano per gli esposti e l’altro di S. Antonio Abate , ora confraternita della Misericordia ( si aggiunga ) eretta nel 1833 per le cure di un uomo zelante, il fu Giovanni Amidei, e corrispondente con zelo al filantropico suo istituto, per accogliervi i pellegrini, ecc.
    Lo Spedale di S. Maria della Scala nell’anno 1280 contava 514 possessioni. Utilissima riforma non meno dell’altra, fu quella che comandò l’alienazione delle tante Grancie (tenute) attinenti a cotesto spedale; e ciò con lo scopo di arricchire il paese e di concedere i diversi predj a persone che potessero renderli più fruttuosi. In conseguenza di tali disposizioni economiche la rendita annuale di cotesto spedale fu ridotta costante.
     Cosicchè questo stabilimento oggi può contare
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    sopra a un incasso che ammonta annualmente a  Lire 179,404 . –. –
    Senza le rendite annue dello spedale degli Esposti che sono di Lire 8,802. –. –

    TOTALE, Lire 188,206 . –. –

    Spedale di S. Niccolò degli Alienati . – È un’istituzione moderna eretta da una congregazione antica conosciuta sotto il titolo di Confraternita de’Disciplinati, ossia della Madonna sotto le Volte dello Spedale . Il locale di S. Niccolò, dopo aver servito alle monache, nel 1818 fu ridotto per custodia degli Alienati. Esso è capace di circa 60 individui dementi, mantenuti mediante una retribuzione mensuale dalle Comunità cui appartengono. Il fabbricato risiede in un angolo della città in prospettiva ridente e ben ventilato. La prima montatura e direzione devesi al governatore Giulio Bianchi e allo zelo del benemerito professor Giuseppe Lodoli, che occupossi anco della cura de’ tignosi, riuniti in questo stesso edifizio, dove fu preparato un quartiere separato per ricevere costì le donne gravide occulte.
    Stabilimento di Mendicità . – Quasi nel tempo stesso che la confraternita prenominata fondava il Reclusorio degli Alienati , i Sanesi mossi dalla situazione lacrimevole della plebe, affamata e oppressa dalla carestia e dal tifo, si tassarono volontariamente per aprire un asilo alla mendicità onde ricevervi e nutrirvi i questuanti della città, e accogliere per pochi giorni i convalescenti che escivano dallo spedale della Scala.
    Dai rapporti annuali di questo pio stabilimento sul rendimento dei conti resi dalla deputazione gratuita che vi presiede si rileva, che, oltre le spontanee oblazioni dei cittadini, lo stabilimento è sussidiato stabilmente dall’Imp. e R. Governo. Costì non vi è trascurata né l’istruzione religiosa, né quella civile, a oggetto di far apprendere al povero i doveri del cristiano, e un’arte che ponga i loro figli di abbandonare l’abbietto mestiero di accattone; giacchè quelli che vi si ricevono, meno gl’impotenti, sogliono occuparsi di qualche lavoro proporzionato all’età,
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    al sesso e alla capacità. Avvertasi che costà la reclusione dei poveri si limita al giorno, giacchè al tramontare del sole essi ritornano alle loro case, non saprei dire se facciasi ciò per economia, ossivero per rispettare i legami di famiglia e quella libertà personale che non suole ottenersi nei reclusorj notturni. In vista della quale libertà molti accattoni sogliono riguardare le pie case di lavoro piuttosto come luoghi di castigo che come refugio alla mendicità.
    Compagnia de’Disciplinati, o della Madonna sotto le Volte dello Spedale . – Della storia di questa benemerita congrega non farò parola, avendone trattato l’abate De-Angelis in un opuscolo pubblicato nel 1828. Dirò solo che la sua antichità è anteriore al 1295, epoca della prima riforma de’suoi statuti; dirò che il suo scopo fu sempre quello di rendere utili ai suoi concittadini i soccorsi di cui è depositaria per disposizioni pie di benefattori che accumularono in essa un ricco patrimonio; a onore della quale istituzione aggiungerò che la sua esistenza fu rispettata da tutti i governi che hanno dominato la Toscana.
    I deputati di questa compagnia sogliono conferire annualmente un numero di doti, somministrare alle partorienti povere un sussidio per il vitto nei primi giorni del puerperio, distribuire elemosine a domicilio a molte persone vergognose. Ma assai più rilevanti sono i sussidi di cui essa è collatrice a favore di coloro che si dedicano ai buoni studj, e ciò per disposizioni testamentarie fatte negli anni 1610 e 1632 dai fratelli Giulio e Deifebo Mancini, e nel 1724 dai coniugi Marcello Biringucci e Cassandra de’Vecchi.
    Gli alunni de’primi, ossia de’mancini, ricevono per un intero lustro scudi 60 l’anno, con l’obbligo di conseguire la laurea dottorale, ottenuta la quale ritirano altri 60 scudi per le spese.
    Gli alunni Biringucci devono essere già laureati in patria per recarsi a una delle università più celebri italiane, o anche fuori d’Italia con un assegno mensile di 14 scudi romani da
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    durare per un settennio, da poter prolungare sino a 10 anni e anche confermarlo. Era poi in facoltà della stessa compagnia di aumentare l’assegno mensuale agli alunni che recavasi fuori d’Italia. Però tanto gli uni come gli altri concorrenti non sono ammessi per l’alunnato se non sono nativi oppure originarj della città o stato di Siena.
    Il numero medio degli alunni Mancini cui annualmente si conferiva il posto, soleva essere di tre, ma quello degli alunni Biringucci per lo studio fuori di patria negli ultimi tempi era salito fino a 13, sennonchè attualmente cotanta elargita è stata diminuita e tolta la conferma del settennio per destinare invece una parte di quegli assegni alla rimontata università di Siena.
     
    Distribuzioni annue di doti per parte di cotesta Congrega, Lire   13,700 – –
    Annui sussidj dotali di regia collazione, Lire 4,480 – –
    Doti di collazione di altri stabilimenti di Siena, Lire 13,800 – –

    TOTALE, L.    18,280 – –

      Stabilimenti d’Istruzione pubblica . – È opinione invalsa fra molti che in Siena non incominciasse l’Università prima del 1321, e che ciò si dovesse alle premure di un concittadino, Guglielmo Tolomei, allora professore nell’Università di Bologna, il quale condusse in patria la maggior parte di quella scolaresca nelle circostanze di essere stato condannato a morte in Bologna uno di que’scolari. – (GHIRARDACCI, Storia di Bologna T. II. P. IV.)
    Il Cronista Dei forse fu il primo a darne l’avviso, dicendo che “nel mese di maggio del 1321 venne in Siena lo studio generale di Bologna. Ma poco tempo vi stette imperocchè lo Comune aveva promesso agli scolarj venuti da Bologna di far loro avere i privilegi del convento ( Università ) e poi non li poterono avere e per questa cagione si partirono”. Non saprei dire se fu questa la cagione o piuttosto l’altra detta dal canonista Pietro
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    Ancarano, il quale viveva sulla fine del secolo XIV, cioè che i sanesi pattuirono con gli scolari condotti da Imola a Siena, di pagare ai medesimi seimila fiorini per riscattare i loro libri lasciati in pegno a Bologna, e dare ai professori l’annua paga di 300 fiorini d’oro, oltre il fornire 16 mesi gratuita abitazione agli scolari, con che il governo procurasse ottenere dal Pontefice il privilegio al nuovo studio di conferire le lauree.
    Di cotesta traslazione medesima dello studio da Bologna a Siena fece menzione Dino del garbo, nella dilucidazione al secondo canone sopra l’opera di  Avicenna che dichiarò compita li 27 ottobre 1325, sebbene egli la cominciasse in Siena, mentre vi era professore, quam ego Dinus de Florentia minimus inter medicinae doctores incepi CUM FIGUIT STUDIUM IN CIVITATE SENARUM, et hanc partem Avicennae ibi in chatedra legi, sed eam complevi cum Florentiam redii propter illius studii diminutionem et annichilationem .
    Con tutto ciò altre circostanze mi spingono a credere che in Siena assai prima del 1321 avesse origine un liceo se non fu una compita Università.
    Realmente Uberto Benvoglienti anche su tale rapporto raccolse tali e tanti documenti, i quali sembrano sufficienti a dimostrare che in Siena fino dalla prima metà del secolo XIII esisteva uno studio.
    Sul qual rapporto io non rimetterò in campo la notizia registrata in Bicherna sotto l’anno 1322, quando i camarlinghi del Comune pagarono a tal uopo lire 11,12 e 9 a maestro Francesco di Tura di Buonamico, sivvero rammenterò una somma che essi nel 1248 diedero ai maestri Pepone, Givannino, a Givanni de’Mordenti ed a maestro Pietro Spagnolo per passarla ai messi che recavano le lettere del Comune in diverse parti della Toscana, onde invitare i scolari a venire a studio a Siena . – (BICHERNA, Entrata e Uscita, B. ora L. N°4 fol. 29 )
    Inoltre nell’anno stesso 1248 si pagarono lire
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    dieci a forma dello statuto a maestro Pietro Spagnolo dottore in Fisica. – ( loc. cir. B 5. fol. 37 )
    Era per avventura cotesto Pietro Spagnuolo quel maestro che 20 anni prima, fu professore delle decretali in Bologna, quando un suo collega guascone lo invitava a recarsi all’Università di Padova dove il maestro guascone allora professava la materia stessa. Ma per qual motivo Pietro Spagnuolo abbandonasse la giurisprudenza per la scienza fisica non è cosa agevole a definire. – (TIRABISCHI Storia della Letteratura Italiana, T. IV. P. I. lib. I. )
    Che poi gl’incunabuli dell’Università di Siena risalgano verso la metà del secolo XIII lo dimostra una bolla del Pontefice Innocenzo IV data in Perugia li 26 novembre dell’anno X del suo pontificato (1252) il cui originale fu riscontrato dal chiaro Abate marini nell’archivio segreto Vaticano, mentre una sua copia esiste in un libro in gran foglio intitolato “ Notizie relative all’Università di Siena si dichiarano essi e i bidelli esenti dalle imposizioni, servizj angarie ecc . ecc., se non che nella detta bolla non trovo fatta menzione del diritto della laurea né dei cancellieri dell’Università.
    Arroge che negli spogli del Benvoglienti, estratti dall’ Archivio Diplomatico Sanese , sono indicate sotto gli anni 1262, 1267, 1274, 1279; 1280 e 1285 diverse paghe per salarj ad alcuni maestri e dottori i quali leggevano in Siena. – (BIBLIOT. SAN.)
    Che poi l’Università predetta nel 1321 non fosse ancora stabilita nella casa della Sapienza, lo dichiararono in primo luogo, il pagamento fatto nel 1322 per conto del Comune di Siena per la pigione di una casa nella quale si trovavano i scaffali del pubblico per riporre i libri de’scolari; e in secondo logo lo sborso di lire 17,16 eseguito nel 1323 dai camarlinghi di Bicherna per un semestre della pigione della scuola, nella quale leggeva il celebre dottore fiorentino Tommaso Corsini; in terzo luogo
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    per il fitto di quattro mesi pagato di una casa de’Tolomei, nella quale si adunavano i rettori dell’Università de’scolari . Inoltre nell’anno stesso 1323 fu saldato Marsilio di Scotto per la pigione di una sua casa, in cui solevano leggere i dottori in medicina.
     Bisogna ben dire che lo studio aperto in Siena fra il 1246 e il 1248, rinnovato poi nel 1321, non vi gittasse troppo salde radici, tostochè quei governanti nel 1357 inviarono una solenne imbasciata all’Imperatore Carlo IV, supplicandolo a riaprire la stessa Università, come seguì mercè diploma del 16 agosto 1357, col quale si concederono a questa di Siena esenzioni e oneri propri delle altre Università, con tutte le cattedre meno la teologica. Anche la facoltà di teologia fu aggiunta allo studio sanese dall’antipapa Gregorio XII, da quello stesso che con tre bolle spedite da Lucca nel giorno 7 maggio del 1408, oltre la conferma del diploma imperiale predetto concedeva all’Università senese la facoltà della teologia, e quella della laurea, deputando in cancelliere della medesima Monsignor Antonio Casini, allora vescovo di Siena, ed in seguito i di lui successori: (PECCI, Serie de’Vescovi e Arcivescovi di Siena ).- Con una di quelle bolle lo stesso Gregorio XII incorporò allo studio di Siena lo spedale di S. Maria della Misericordia di questa città, nel quale per scarsezza di entrate (dice la bolla) non vi si tenendo quasi veruna ospitalità, convertì il suo locale ad uso di abitazione e convito per 30 scolari dello studio generale di Siena, a condizione che cotesto spedale si appellasse d’allora in poi Casa della Sapienza .
    Colla terza bolla finalmente si concedevano 5 anno d’indulgenza a tutte le persone pie che lasciavano beni alla nuova Casa della Sapienza per il mantenimento degli scolari. – (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE T. XXVI delle Pergamene N° 2026 e 2027 .)
    Realmente la Sapienza o Università di Siena dopo tali incoraggiamenti dovè rendersi una delle famigerate d’Italia,
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    siccome lo dimostrò l’affluenza degli scolari che in seguito vi accorsero; talchè il Cardinale Francesco Piccolomini, Poi Papa Pio III, ebbe in mira di far ingrandire il fabbricato. Al quale effetto fu commesso a Giuliano da S. Gallo un confacente disegno, che non fu mai eseguito, ed il ci originale fu acquistato dal Cavalier Giovanni Antonio Pecci. Accrebbe poi lustro a questa Università l’aver avuto per scolaro fra il 1425 ed il 1430 Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II ed il suo apologista Girolamo Agliotti, il quale rammenta fra i 600 scolari che allora vi si contavano molti giureconsulti e medici insigni di varie parti dell’Italia stati professori o scolari dello studio di Siena, dove si recò per poco il noto Francesco Filelfo con lo stipendio annuo di 350 fiorini d’oro. Ma le lunghe guerre che terminarono con la caduta della repubblica sanese dovettero portare a cotesta Univrsità il maggior tracollo.
    Nel ruolo del 1588 comparisce per la prima volta nell’Università di Siena un professore di botanica, ed il Bosco Mattioli servì allora di orto de’semplici . Comecchè il Granduca Francesco I accrescesse il numero e gli stipendj de’professori; comecchè Ferdinando I nel 1590 estendesse fino a 35 le cattedre, e concedesse all’università sanese tanti privilegj da dover essa quasi gareggiare con le più famose dell’Italia; comecchè Ferdinando II nel 1655 prescrivesse un nuovo regolamento, acciocchè il numero degli scolari, non meno che il zelo e l’impegno de’professori nell’istruirli, si facesse sempre maggiore, comecchè finalmente anche Cosimo III, nel 1672, ordinasse nuovi provvedimenti con accrescere gli stipendj ai suoi professori, contuttociò l’Università di Siena non potè stare a confronto di quella di Pisa nello stesso Granducato.
    Nella rimontatura di questo studio (anno 1784) il Granduca Leopoldo I ordinò un orto botanico, che affidò al professore di quella cattedra Biagio Bartalini e che il Prof: attuale Giuseppe Giulj accrebbe fino a circa 3000 specie di piante.

    STUDENTI concorsi all’Università dopo
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    le ultime Riforme.

    nell’Anno
    1839 – 40: Rassegnati 271, non Rassegnati 64
    nell’Anno 1840 – 41: Rassegnati 212, non Rassegnati 23
    nell’Anno 1841 – 42: Rassegnati 141, non Rassegnati 83
    nell’Anno 1842 – 43: Rassegnati 123, non Rassegnati 34
    nell’Anno 1843 – 44: Rassegnati 136, non Rassegnati 53

    I. e R. Collegio Tolomei . – Sebbene questo stabilimento fondato fosse per i nobili alunni dal sanese Celso Tolomei mediante testamento degli 8 settembre 1628 destinando a tale scopo scudi 50,000, pure una simile istituzione dubito che prendesse origine da altra compagnia, da quella cioè di cento nobili cavalieri sanesi organizzata nel principio di questo secolo, ed i cui alunni sotto un nome accademico esercitavansi nella cavallerizza e nelle scienze avendo per loro capo il Granduca Ferdinando I, al quale per ingegno di Scipione Bargagli fu dato l’emblema del re dell’Alpi col motto Maiestate tantum ,
    Il nobile collegio Tolomei fu aperto il 25 novembre 1676 sotto la direzione dei Padri Gesuiti nel casamento contiguo al palazzo e piazze Tolomei, quindi fu preso ( ERRATA : in affitto nel 1783) in affitto nel 1683 il palazzo detto Papeschi della famiglia Piccolomini, dove si trasferirono quegli alunni e quivi restarono fino al 1820, epoca della loro traslazione nel già convento di S. Agostino di Siena.
    Dopo la soppressione de’Gesuiti (anno 1774), furono chiamati alla direzione di questo collegio i Padri delle Scuole Pie, che costantemente vi sono, occupandosi ancora dell’educazione intellettuale e morale de’ nobili convittori, il numero de’quali per altro oggidì resta inferiore a quello di 50 limitato per la loro accettazione.
    I giovani sono istruiti nelle arti cavalleresche, nella letteratura, nella lingua latina, greca, italiana,
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    francese, inglese, tedesca, nelle scienze morali, nelle fisiche e matematiche. Fra i miglioramenti introdotti da poco tempo a questa parte, potrebbero contarsi una scuola botanico-agraria e un giardino di semplici per l’istruzione di giovani signori.
    Presiede ad esso una deputazione economica composta del provveditore della Camera communitativa del Compartimento di Siena, del gonfaloniere della città e del nobile Giovan Battista Pannilini.
    Regio Istituto Toscano de’ Sordo-Muti .- Quest’istituto può dirsi quasi un miracolo della provvidenza. Cominciò nell’anno 1828 senz’altra risorsa che quella di alcune oblazioni volontarie dei sanesi; poscia fu soccorso e protetto dal Granduca regnate Leopoldo II e dalla sua Augusta famiglia; ed ora con sovrano rescritto del 13 aprile del 1843 dichiarato regio, esentato dalla legge delle Mani-morte e dotato con gli assegnamenti del soppresso R. Istituto de’Sordo-Muti di Pisa. Vi sono otto posti gratuiti per altrettanti Sordo-Muti della Toscana a nomina di S. A. I. e R. si ricevono tutti i Sordo-Muti nazionali ed esteri che pagano un’annua retta di lire 400. Due religiosi delle Scuole Pie di nomina del Principe dirigono l’istruzione de’Sordo-Muti e quattro Suore della carità hanno la direzione del convito delle Sorde-Mute. Presiede a tutto lo stabilimento la deputazione medesima che dirige l’amministrazione del nobil Collegio Tolomei.
    Il direttore di questa filantropica istituzione che accresce onore al cuore de’sanesi è il suo zelante fondatore professore P. Tommaso Pendola delle Scuole Pie, rettore del Collegio Tolomei, per opera del quale sono state pubblicate otto Tavole statistiche dei Sordo-Muti esistenti nel Granducato di Toscana al termine dell’anno 1843. L’istituto conta attualmente N°40 alunni, 25 maschi e 15 femmine.
    Rispetto alle scuole primarie non citerò quelle di letteratura latina, italiana, e scienze morali aperte nell’Opera del Duomo, nel Seminario Arcivescovile di S. Giorgio, nella collegiata di Provenzano, e di corto dai Padri Gavotti nel loro convento di S. Spirito.
    Conservatorj di femmine . – Sono tre, cioè, 1° l’I. e R. Ritiro del
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    Refugio
    istituito nel 1598 per nobili fanciulle; 2° quello di S. Maria Maddalena delle Montalve; 3° di S. Girolamo detto delle Abbandonate . A questi conservatori restano da aggiungere le Scuole Normali fondate nel 1783 per le fanciulle che le frequentano il giorno per tornare la sera alle case proprie dove concorrono un anno per l’altro da 260 ragazze.
    Scuola ebraica e Sinagoga . – Sebbene l’introduzione a Siena degli Ebrei sia antica, la sinagoga attuale non è più vecchia del’anno 1788. Vi è anche una scuola israelitica maschile dove si contano 17 fanciulli per l’insegnamento primario. Il ghetto di Siena nel 1745 noverava 60 famiglie con 296 abitanti.
    In Siena non manca una cassa di risparmio, né una sala per gli asili infantili, né una scuola d’insegnamento reciproco.
    I. e R. Istituto delle Belle Arti . – Recentissima quanto utile istituzione fu questa fondata nell’anno 1816 dal granduca Ferdinando III nei locali della Sapienza, di dove per troppa angustia fu levata l’Università e di là traslocata nell’antico monastero di S. Vigilio, già residenza del Prefetto dedl Dipartimento dell’Ombrone.
    La direzione di cotesto istituto è affidata alla conosciuta intelligenza e bravura del professor Francesco Nenci. Nel locale medesimo è stata riunita una quantità di pitture, molte delle quali appartenute a chiese e conventi soppressi, dove fu trovato quanto i pittori sanesi fecero di meglio. Sono quelle pitture disposte per ordine di età, e la pinacoteca pubblica sanese dà meglio a conoscere quanto fosse giusta la sentenza dell’Abate Lanzi allorchè, sia per l’ elezione de’colori, sia per l’aria rallegrante e gaja de’volti caratterizzò la pittura senese lieta scuola fra lieto popolo . Che se costà fosse riunita la celebre tavola dipinta nel 1220 da Guido da Siena, ora nella chiesa di S. Domenico, e la miniatura stata fatta sul MS. del 1231 esistente in quella pubblica libreria intitolato: Ordo Officiorum Senensis Ecclesiae , la
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    raccolta delle pitture dell’Istituto Senese di Belle Arti sarebbe per anzianità di autori la prima di tutta Italia.
    Osservava giustamente il Padre della Valle che la scuola pittorica di Siena spiega un talento speciale per l’invenzione e per l’espressione. Ne era difficile soggiungeva l’Abate Lanzi studiare un’ultima parte in una città sì nemica della simulazione com’è Siena dove per lo spirito e per l’educazione si ha pronto nella lingua e nel volto ciò che si sente nel cuore . Cotesta verità pronunziata da un uomo venerando non toscano e non appassionato, onora talmente il carattere dei sanesi, che non ho potuto fare a meno di riportarla.
    Quanto al numero degli artefici, Siena rispetto alla sua popolazione n’ebbe molti finchè contò molti cittadini; scemato però il numero di questi, scemarono anche i cultori delle Belle Arti, fintanto che sotto il governo Mediceo ogni traccia di scuola le venne meno. Sono della prima epoca oltre la miniatura del 1213 e la pittura del 1220 di Guido da Siena, i mosaici di Fra Mino da Torrita, i dipinti di maestro Duccio di Boninsegna, di Simone di Martino, o di Simone Memmi, ecc. – Si Distinsero fra quelli della seconda epoca il Raggi, detto il Sodoma, il Beccafumi, il Pacchiarotto, Baldassarre Peruzzi, ecc. – La terza epoca comincerebbe col Riccio, o Bartolommeo Neroni e col Salimbeni seguiterebbe col Casolani e col Cavalier Francesco Vanni, cui si deve il ritrovato di dipingere in marmi, lasciando nei figlioli i seguaci della quarta epoca e della sua scuola, nella quale figurò il Cavalier Giuseppe Nasini, allievo esso pure del Vanni.
    A conservazione poi dei monumenti dell’arte sia pittorica, sia statuaria, sia architettonica della città di Siena, il Granduca Leopoldo II fin dal 1829 instituì una deputazione affinchè vigilasse non solamente sopra gli oggetti d’arte che si trovano situati nelle chiese, conventi ed altri pubblici stabilimenti, ma ancora nelle strade e piazze di Siena, compresa l’architettura di tante
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    belle fabbriche private egregiamente costruite di mattoni senza intonaco.
    Accademie scientifiche e letterarie . – Dopo Firenze, scriverà l’Abate Tiraboschi, ( Storia della Letteratura Italiana T. VII. P. I. Lib. I. ) non vi ebbe città della Toscana che in numero e in fama di letterarie adunanze si potesse paragonare a Siena.
    La più antica di tutte è quella de’ Rozzi , cui succedè l’accademia degl’ Intronati , la prima nata nel principio del secolo XV, la seconda circa 5 lustri dopo. – L’accademia de’ Fisiocritici appartiene alla fine del secolo XVII; più giovane delle altre è la Tegea , che fu aperta dopo la metà del secolo XVIII la più grande economista de’suoi tempi, l’arcidiacono Salustio Bandini. Non dirò di un’accademia poetica di dame sanesi nata e protetta da dopo la metà del secolo XVII dalla Granduchessa Vittoria della Rovere dopo rimasta vedova di Ferdinando II, le componenti della quale accademia tennero le loro adunanze pubbliche assai frequentate, finchè visse la principessa protettrice dopo la cui morte si spense anche cotesta poetica società. L’Accademia de’ Rozzi fu soppressa da Cosimo I avendo ragione di temere che quelle assemblee fossero dannose alla pubblica tranquillità per la fervidezza de’Sanesi assai pronti ad accendersi. Alla sventura stessa de’ Rozzi fu soggetta l’accademia degl’ Intronati , ma tanto l’una che l’altra rivissero al principio del secolo XVII sotto il Granduca Ferdinando I.
    Frattanto l’accademia degl’ Intronati non potendo più risorgere all’antico splendore, nel 1654, si associò ad altra accademia detta de’ Filomati , nata clandestinamente nel 1586, e questa fuse il suo nome nell’altra degl’ Intronati , alla quale nel 1647 fu accordato il teatro aperto nel palazzo pubblico, dove i socj recitarono una loro produzione comica intitolata la Statira . In tal guisa le due accademie riunite sotto un solo nome continuarono fino al 1674, in una sala annessa alla Sapienza, sala che
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    in questo secolo fu aggiunta alla pubblica biblioteca ivi contigua.
    La esistente congrega de’Rozzi, sebbene innalzasse nel suo locale un grazioso teatro per le rappresentanze scritte dai suoi colleghi, questi nel 1816 lo ridussero a teatro d’istrioni e di cantanti, abusivamente chiamati virtuosi .
    L’unica fra le antiche accademie che conservi in Siena il titolo corrispondente allo scopo è quella de’ Fisiocritici , eretta nel 1691 nel locale della Sapienza, trasferita nell’anno 1815, nel soppresso monastero di S. Mustiola; il cui locale nel 1828 fu ridotto ed arricchito di oggetti di storia naturale per cura del defunto Prof. Guiseppe Lodoli, che procurò di rendere cotesta fabbrica confacente alle adunanze accademiche ad un museo d’istoria naturale e di mineralogia specialmente patria. Infatti si trovano costà riunite molte preziose raccolte fatte nel territorio senese dall’Abate Prof. Ambrogio Soldani, dal Prof. Annibale Baldassarri, e da molti acquistate da Padre Ricca per buon dire de’pezzi importantissimi ivi depositati dal Prof. Cav. Prospero Mazzi, dall’attuale preparatore Abate Francesco Baldacconi e da non pochi altri scienziati viventi. Oltre la scientifica collezione del primo, X volumi in 4° finora pubblicati degli Atti dell’Accademia de’ Fisiocritici , non è da tacersi il programma di corto venuto alla luce per due premj, che uno di lire 600 e l’altro di lire 300 da quel governatore assegnati a chi risponderà meglio a due quesiti di argomento industriale e agrario per utilità del paese. a cura dello stesso conte Serristori nel 1843 fu aggiunta all’Accademia suddetta una sezione per la scienza agraria.
    Accademia Tegea . – Essa ha come dissi, la gloria di aver per fondatore ed autore del suo titolo il celebre patrizio senese Salustio Antonio Bandini, ( si aggiunga ) risorta per cura dei Prof. Valeri e Lodoli. Sebbene col nome di Tegea di radice greca si tentasse abbracciare cielo e terra, pure i suoi modesti accademici si applicano con zelo a promuovere la
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    tecnologia nella loro patria. Per effetto della quale essi nel 1842 fondarono per gli artigiani due cattedre di chimica e di meccanica applicata, assegnando medaglie a coloro che meglio ne profittassero, oltredichè nell’anno susseguente istituirono due premj per quelli che con soddisfazione risolverebbero un qualche quesito di pubblica economia.
    Biblioteca pubblica . – Scriveva un secolo fa il Muratori al Cav. Giovanni Pecci queste parole: Chi lo crederebbe, una città cotanto ricca di stabilimenti utili, abitanti di un temperamento tutto fuoco e tutto spirito stati per tanti secoli senza il comodo di una buona libreria!…. Mi dispiace nondimeno di dover dire che Siena per ingegni siffatti è un teatro troppo angusto. Senza libri non si può fare de’gran voli, e di questi io tempo che Siena sia poco provveduta.
    Non direbbe così oggi se Muratori vivesse e sapesse, che oltre la generosità dell’arcidiacono Bandini, cui si deve l’origine della biblioteca pubblica attuale, fondata nel 1758, essa è stata notabilmente accresciuta e dalla cure del suo primo bibliotecario, l’Abate Ciaccheri e dai preziosi MSS. di eruditi sanesi ivi depositati, fra i quali molti spogli fatti dall’eruditissimo Uberto Benvoglienti, e da una collezione pure MSS. de’ Bellartisti del defunto Ettore Romagnoli, oltre i molti libri a stampa e MSS. trasportativi dai conventi soppressi.
    Inoltre il Muratori saprebbe che la biblioteca pubblica di Siena ora possiede un indice per ordine di materie e di autori, lavoro immenso del laboroso Lorenzo Ilari benemerito custode, o piuttosto sottobibliotecario della medesima.
    Archivii pubblici . – Io non credo che dopo Firenze vi sia città in Toscana cotanto doviziosa di archivi pubblici e di antiche pergamene, senza aggiungere che molte case di nobili posseggono numerose membrane e preziosi MSS. Tale per esempio, è l’archivio de’Borghesi.-Bichi, la libreria del Cav. Carlo Lodoli, dovizioso il primo di contratti antichi, la seconda di MSS. lasciati dall’erudito sanese cav. Giovanni Pecci.
    Fra gli archivi pubblici uno de’più importanti per la
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    storia patria tengo che sia il Diplomatico Sanese riunito a quello delle Riformagioni della repubblica, ai consigli della Campana , ai libri di Bicherna ed alle pergamene della città e Compartimento di Massa Marittima.
    Lascio al suo lungo, perché basata sopra una semplice traduzione quella raccontata dal Gigli, che dagli archivj di Bicherna fossero stati un tempo rubati e venduti a peso di carta molti pregevoli libri e memorie di antichità sanesi.
    Nello stesso palazzo pubblico a terreno due altri archivi importantissimi. Il primo è quello Civile o de’Notari , raccolto nel 1560 costà, dove sotto il governo del granduca Leopoldo I furono depositati gli archivj minori della mercanzia, dell’arti e mestieri con i respettivi statuti, oltre una serie considerabile di pergamene ascendenti in tutte a circa 19000, succintamente spogliate dall’Abate Pietro Paolo Pizzetti. Il secondo è l’archivio sottoposto alla soprintendenza della Camera comunitativa del Compartimento di Siena, ricco esso pure di MSS. di membrane, di visite pubbliche per la città e lo stato sanese, ecc.
    L’Archivio dell’Opera del Duomo è meritevole delle osservazioni dello studioso che bramasse di recare qualche maggior lume alla storia di quel magnifico tempio. Vi è uno spoglio succinto di 1586 pergamene, consistenti in contratti, donazioni, provvisioni, pagamenti di lavori, ecc. a partire dalla carta più antica che è del 1002 fino all’ultima che scende al 1780.
    L’Archivio dello Spedale della Scala . – Non è fra i meno importanti di questa città per gli atti pubblici, sia per gli originali statuti del pio stabilimento, ricopiati in lingua volgare per ordine dello spedale, messer Jacopo figliolo di Cristofano di Mancino cittadino sanese, che nel 17 luglio dell’anno 1318 offrì tutti i suoi beni a quel luogo pio. Il quale spedalingo fu da alcuni equivocato con altro messer Iacopo di Bencivenni, che era stato rettore dello spedale medesimo nell’anno 1265.
    Fra
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    la collezione delle pergamene sonovi più bullettoni o copie autentiche di contratti scritti dopo il 1166.
    Monte de’Paschi e Monte Pio . – Il Monte de’Paschi la cui fondazione risale al 1624, è un’istituzione originale e dirò propria di questa città, creata nello scopo di frenare le usure eccessive che riescivano a danno dell’industria territoriale e delle quasi spente manifatture del paese.
    Le prime costituzioni del Monte de’paschi sono atteggiate a seconda delle idee e dei pregiudizj municipali di quella età, stati tolti n gran parte ai tempi nostri giacchè non si ammettevano al godimento del credito del Monte de’paschi che i Sanesi .
    Innanzi l’introduzione delle ipoteche il Monte de’Paschi affidava le somme richieste alla probità individuale e all’esame delle respettive ricchezze, comecchè il richiedente dovesse associarsi una o più persone possidenti e solventi, le quali stassero garanti al pagamento de’frutti e della sorte al pari del mutuante.
    Del resto tutte queste precauzioni cessarono dopo l’introduzione del sistema ipotecario, per cui inutili si rendono oggi le doppie firme, senza alcun obbligo al traente della restituzione del capitale; il quale può anche estinguersi a piccole frazioni che il Monte de’Paschi riceve dai particolari dei depositi in danaro, corrispondendo al mutuante attualmente di frutto il 3 3/4 per cento mentre nel Monte stesso s’impiegano capitali al 4 1/3 per cento.
    Monte Pio . – Più antica di qualche secolo è la fondazione del Monte Pio di Siena, perché fu istituito fino dal 1471, quando imprestava moneta con l’usura di 6 danari per ogni lira (2 1/2 per cento). Fu chiuso e poscia, nel 1569 riaperto nel fabbricato della dogana presso la residenza del Monte de’Paschi che sussidia il primo qualora gli imprestiti eccedono il suo capitale.
    L’interesse annuo è del 5 per cento, ma la frazione dei mesi suole calcolarsi per un mese intiero.

    Anno
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    1839, Depositi fatti : Pegni N °.  31,296 per la somma di Lire 678,000           
      Anno 1840, Depositi fatti : Pegni N °30,275 per la somma di Lire 663,000                                  
      Anno 1841, Depositi fatti : Pegni N °25,974 per la somma di Lire 386,000
      Anno 1842, Depositi fatti : Pegni N °24,192 per la somma di Lire 544,000
      Anno 1843, Depositi fatti : Pegni N °25,318 per la somma di Lire 501,000

    Banca Senese . – È la più recente e forse più attiva istituzione commerciale di Siena essendo stata aperta nel primo maggio dell’anno 1842. Essa ha tolta la difficoltà somma alle persone industriali di trovare denaro pronto e per poco tempo sa discreto frutto, dondechè le sue operazioni hanno ravvivato l’industria manifatturiera, commerciale ed agraria non solo della città, ma di tutto l’antico suo stato, in modo che colui che abbia visitata Siena nell’anno 1841, e poi rivisitata nel 1843, gli sembrerà trovarla risorta a vita nuova.
    Con quanta celebrità questa banca abbia esteso le sue operazioni lo dà a conoscere il rapporto fatto nel primo anno da quella direzione, e meglio ancora lo dimostrerà il rapporto del second’anno.
    La banca senese si aprì con un capitale di lire 150,000; le operazioni dei primi tre mesi non oltrepassarono le 60,000 lire, mentre negli ultimi tre dell’anno bancario salirono fino a 180,000 lire. Nel totale le operazioni attive nel primo anno furono di lire 1,179,972.5.4; mentre nei primi otto mesi del secondo anno, cioè dal primo maggio a tutto dicembre del 1843, il suo giro bancario è stato di lire 1,465,796.9.4.
    Industrie principali della città . – Dalla prima esposizione delle manifatture eseguita
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    nell’agosto del 1842 si rileva che in Siena primeggiano i tessuti di seta, di lino e di cotone, i cappelli di feltro, ed in singolare modo gl’intagli di legno.
    Clima di Siena . – Innanzi di chiudere questo lungo articolo non sarà forse inutile aggiungere qualche parola rispetto al clima di questa città, tanto più che la topografia atmosferica esercita una singolare influenza sulla salute degli abitanti. – Se toccasse a me scegliere nella Toscana dove meglio vivere , diceva il Padre Della Valle, darei la preferenza nell’inverno a Pisa e nell’estate a Siena .
    Per verità il clima di questa città nella calda stagione è delizioso, mentre nell’inverno vi dominano frequentemente i venti, e in special modo quelli di grecale. Non io già vorrei dare, come dava quel buon frate, al vento grecale la virtù di trasportare nell’atmosfera di Siena e delle sue vicinanze le molecule saline, donde egli supponeva che restassero, dirò così, conditi di brio gli abitanti di Siena.
    Imperocchè è innato nei Sanesi un ingegno fervido, svegliato e di gran fuoco,per cui eccellenti pittori e poeti escirono di costà; talchè niun pittore prima de’Sanesi lasciò memoria di sé, e niuno dopo il Tasso e il Petrarca meritò fra i poeti estemporanei la corona d’alloro che ottenne sul Campidoglio il Cavalier Perfetti. Gl’ingegni di cotesti abitanti scriveva il Muratori a Giovanni Antonio Pecci , sogliono avere gran fuoco: ella né ha troppo poco; il defunto Uberto Benvoglienti camminava pel mezzo, ed è stata gran disgrazia anche per Lei che l’abbiamo perduto ; ecc.
    Uomini più celebri nelle scienze e nelle lettere . – Se dovessi noverare tutti gl’ingegni sanesi più insigni in vari generi di virtù non mi basterebbe un libro.
    Lasciando a parte i più famosi per santità o per eresie, i molti pontefici, cardinali, i tanti prelati e distinti dottori che ebbero i natali in Siena, mi limiterò solamente
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    agli artisti, scienziati e letterati più conosciuti, come sarebbero per esempio un Folcacchieri, che forse fu il primo fra i poeti italiani siccome uno de’più moderni e più distinti improvvisatori riescì il rammentato Cavalier Perfetti. Ricorderò Guido da Siena, il più antico fra i pittori, e Mino da Torrita, il più vecchio in genere mosaici, senza dire di un Beccafumi, di un Raggi, soprachiamato il Sodoma , senza citare fra gli architetti più insigni un Francesco di Giorgio, un Baldassarre Peruzzi ecc. tutti capiscuola senesi.
    Fra i sommi canonisti rammenterò Mariano Sozzini il vecchio, di cui fece un magnifico elogio il suo concittadino Enea Silvio Piccolomini, poscia Papa Pio II, abilissimo egli stesso in varii rami di scienze non che in belle lettere.
    Ricorderò un Bartolommeo di Mariano Sozzini che fra i professori di diritto civile non fu inferiore ad alcuno del secolo XV, nel qual tempo fra gli altri si distinse il sanese giureconsulto Bulgarino.
    Citerò fra i naturalisti e dottori un Mattioli, un Biringucci, un Baldassarri, un Abate Soldani, un Giulio Mancini, un Giuseppe Lodoli, benchè ad alcuni di essi Siena non fosse stata loro culla, ma solo patria di affezione.
    Rispetto ai più grandi scrittori di cose patrie mi limiterò a un Orlando Malavolti e a un Giugurta Tommasi, a Celso Cittadini, a Uberto Benvoglienti, a Giovannio Antonio Pecci, ad Ettore Romagnoli, mentre un nome che equivale a un tesoro è quello dell’arcidiacono Salustio Bandini stato il primo economista del secolo passato.

    QUADRO della Popolazione della CITTA’ e COMUNITA’ di SIENA a cinque epoche diverse

    PIEVANATO MAGGIORE DI S. GIOVANNI IN SIENA

    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Giovanni (Pieve maggiore) con gli annessi di S. Desiderio (cura soppressa nell’anno 1787) e Spedali riuniti di S. Maria della Scala
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1167 ( S. Giovanni
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    ) n° 411 ( S. Desiderio ) n° 309 ( Spedali riuniti di S. Maria della Scala ), abitanti anno 1833 n° 1986, abitanti anno 1840 n° 1977, abitanti anno 1843 n° 2537
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Andrea Apostolo con una porzione della cura de’SS. Vincenzio e Anastasio (soppressa nel 1783)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 453, abitanti anno 1833 n° 620, abitanti anno 1840 n° 632, abitanti anno 1843 n° 678
    - titolo della chiesa: S. Antonio Abbate (Rettoria)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 750, abitanti anno 1833 n° 858, abitanti anno 1840 n° 801, abitanti anno 1843 n° 892
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Clemente ai Servi con S. Michele a Castel Montone (soppresso verso l’anno 1280)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 533, abitanti anno 1833 n° 840, abitanti anno 1840 n° 911, abitanti anno 1843 n° 1060
    - titolo della chiesa: S. Cristofano (Rettoria)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 530, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1007, abitanti anno 1843 n° 1007
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Donato all’Arco in S. Michele alla Badia nuova (dopo il 1745)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1383, abitanti anno 1833 n° 1589, abitanti anno 1840 n° 1694, abitanti anno 1843 n° 1660
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Martino (Priorato) con una porzione di S; Giorgio (soppresso nel 1783), compresa la Nazione Israelitica
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 2499, abitanti anno 1833 n° 2589, abitanti anno 1840 n° 2422, abitanti anno 1843 n° 2502
    - titolo della chiesa (ed epoca degli
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    annessi): S. Spirito trasportato  da S. Maurizio ed una porzione di S. Giorgio (soppresso nel 1783)  (soppressa nel 1783)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1320, abitanti anno 1833 n° 1538, abitanti anno 1840 n° 1672, abitanti anno 1843 n° 1619
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pellegrino traslato nel 1783 nella chiesa della Sapienza
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 606, abitanti anno 1833 n° 782, abitanti anno 1840 n° 837, abitanti anno 1843 n° 803
    - titolo della chiesa: S. Pietro in Castelvecchio (Rettoria)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 652, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1074, abitanti anno 1843 n° 1107
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pietro alla Magione con parte dell’annesso della soppressa cura de’SS. Vincenzio e Anastasio
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 484, abitanti anno 1833 n° 518, abitanti anno 1840 n° 619, abitanti anno 1843 n° 648
    - titolo della chiesa: S. Pietro a Ovile (Rettoria)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1115, abitanti anno 1833 n° 1552, abitanti anno 1840 n° 1649, abitanti anno 1843 n° 1614
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Pietro e Paolo trasportato nel 1782 in S. Giovannino in Pantaneto
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 295, abitanti anno 1833 n° 387, abitanti anno 1840 n° 458, abitanti anno 1843 n° 458
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Quirico e Giulitta con l’annesso della cura di S. Marco (soppressa nel 1783) e parte della cura di S. Mustiola alla Rosa (soppressa nel 1815)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n°
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    1475, abitanti anno 1833 n° 2029, abitanti anno 1840 n° 2139, abitanti anno 1843 n° 1950
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Salvatore in S. Agostino con l’annesso di S. Agata (cura riunita nel 1783 a quella di S. Mustiola)
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1024, abitanti anno 1833 n° 1063, abitanti anno 1840 n° 1104, abitanti anno 1843 n° 1117
    - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Stefano alla Lizza con l’annesso di S. Barbera alla Fortezza e parte della soppressa cura de’SS. Vincenzio e Anastasio
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 535, abitanti anno 1833 n° 520, abitanti anno 1840 n° 650, abitanti anno 1843 n° 681

    - Totale abitanti anno 1640 n° 15998
    - Totale abitanti anno 1745 n° 15541
    - Totale abitanti anno 1833 n° 18813
    - Totale abitanti anno 1840 n° 19646
    - Totale abitanti anno 1843 n° 20333


    SIENA, COMUNITA’ DEL TERZO DI CITTA’

    Il territorio di questa Comunità occupa una superficie di 16488 quadrati, 340 dei quali spettano a corsi d’acqua e a pubbliche strade. Costì nel 1833 stavano fissi 4443 individui a proporzione di 222 abitanti per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
     Cotesto territorio nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro stendesi per gradi 0. 6' 12" in longitudine dell’imbocco della Via di Fabbrica nella postale Romana, presso l’ Osteria del Ceppo fino Ponte a Tressa ; mentre la sua maggior larghezza, a partire dal Ponte di Larniano , da ponente al suo levante-scirocco, sino alla Porta Romana corrisponde a gradi 0. 6' 30" nella latitudine settentrionale.
    Confina con il territorio di cinque Comunità. Dalla Porta di Camullia fino alla strada postale di Fonte Becci, ha di fronte, a levante
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    la Comunità delle Masse del Terzo di S. Martino . La medesima strada postale da Fonte Becci all’Osteria del Ceppo, e dall’altra parte per la via comunitativa della Castellina sino davanti al Castagno, ha davanti a settentrione la Comunità di Monteriggioni, con la quale continua a fronteggiare dirimpetto a maestrale per le strade comunitative  del Pian del Lago e di S. Colomba; finalmente per tortuosi ed artificiali confini sino al fosso di Larniano , dove sottentra il territorio comunitativo di Sovicille , da primo dirimpetto a ponente mediante il fosso prenominato, poi di fronte, a libeccio per la via rotabile della Montagnuola e per confini artificiali fino alla strada Regia Grossetana, che percorre dalla Grotta fino al Chiesino e di là per il borro della Fogna.
    Su questo stesso borro il territorio da libeccio a scirocco il territorio in discorso va incontro al torrente Sorra , che separa la Comunità del Terzo di Città da quella di Monteroni , con la quale passa nel borro delle Rose, quindi nel torrente Tressa , finchè scende al Ponte a Tressa sulla strada postale Romana. Rimontando questa via regia trova dirimpetto a levante-grecale fino alla Porta Romana il territorio comunitativo del Terzo di S. Martino . Finalmente si tocca con le mura urbane di Siena dalla Porta Romana, girando verso Porta S. Marco, Porta Laterina, e di là voltando direzione da ponente a settentrione tocca la Porta di Fonte-Branda per girare i bastioni esterni della fortezza fino alla Porta Camullia dove cotesta Comunità ritrova sulla strada postale Fiorentina l’altra del Terzo di S. Martino .
    Queste due Comunità suburbane furono ingrandite, allorchè con regolamento del 2 giugno 1777 il Granduca Leopoldo I soppresse le Comunità del terzo di Camullia , ripartendo i suoi 17 comunelli fra quelli delle Comunità
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    dei due Terzi superstiti, quelli di Città  e di S. Martino . Per tal guisa alla Comunità del Terzo di Città , oltre ai venti comunelli antichi furono aggregati altri dieci fino allora appartenuti alla Comunità del Terzo di Camullia .
    I primi venti comunelli spettanti al Terzo di Città si appellavano: 1. Agostoli; 2. Arsiccioli; 3. S. Apollinare; 4. Casciano; 5. Certano; 6. Formicaja; 7. Fonte Benedeta; 8. Ginestreto; 9. Galiganmo; 10. Montecchio; 11. S. Margherita; 12. Monsindoli; 13. S. Maffeo; 14. S. Maria a Tressa; 15. Monte Albuccio; 16. Munistero, 17. Trojola, 18. Terrensano; 19. S. Teodoro; 20. Volte .
    I dieci comunelli stati riuniti alla Comunità del Terzo di Città sono i seguenti: 1. S. Bartolommeo; 2. S. Prospero; 3. S. Petronilla; 4. Vico d’Arbia; 5. Marciano; 6. Fontebecci; 7. Uopini; 8. S. Dalmazio; 9. Badia a Quarto; 10. Castagno .
    Niuna delle due Comunità delle Masse ha capoluogo speciale, né conta alcun paese murato, sicchè i loro rappresentanti comunitativi tengono le loro adunanze magistralj nelle stanze della cancelleria civica nel palazzo pubblico di Siena.
    Questa del terzo di Città non è attraversata da alcun fiume, sivvero da borri e torrenti, il maggiore de’quali è quello della Tressa che passato il ponte omonimo entra nell’Arbia; mentre i torrenti Serpenna  e Rigo si svuotano nel fiume Merse. Tutti questi e anche i minori corsi d’acqua, attesa la loro pendenza, sono precipitosi, trascinando seco una gran quantità di zolle argillose che costituiscono la massima parte della superficie meridionale della Comunità in discorso. Dissi la massima parte perché nei suoi confini a maestrale e ponente si distendono i fianchi orientali di Monte Maggio e della Montagnuola, formati di calcare cavernoso e metamorfosato. Fra le falde meridionali del Monte Maggio e il fosso Rigo
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    esiste il noto Pian del Lago stato bonificato sul declinare del secolo passato. – Vedere LAGO (PIAN DEL).
    Il maggior numero dei torrenti che scorrono per il territorio di cotesta Comunità dirigendo per lo più il loro cammino da maestrale a scirocco, vennero a formare fra l’uno e l’altro strette colline, alcune delle quali diedero il loro nome a casali e ville su di esse edificate. Per esempio il Terzo di Città  conta al suo settentrione la collina di Marciano , a ponente la collina degli Agostoli e di Belcaro , a libeccio e ostro le colline di Montecchio e di Fogliano .
    Niuna chiesa merita particolare menzione; la meritavano bensì il Monastero di Lecceto, l’Abbadia di S. Eugenio, detta il Munistero , fuori di Porta S. Marco, e quella di S. Abundio ; il primo insigne ritiro di una congregazione di Agostiniani, distinta da questo luogo, de’ Leccetani ; il secondo abitato fin dal 730 dai monaci benedettini, stato soppresso nel 1786, e il terzo sino al 1810 stato asilo di monache dell’ordine di S. Benedetto, tutti tre locali ridotti attualmente ad abitazioni private.
    Fra le ville signorili di questa Comunità primeggia quella di Belcaro de’signori ( ERRATA : Camajani) Camajori per l’imponente suo fabbricato e per le pittura a fresco di Baldassarre Peruzzi; la villa di Formicaja del signor Marsili; la Torre Fiorentina della casa Sergardi; i Due Marciani , che uno della famiglia Gori-Pannilini, e l’altro de’conti Spannocchi; le Volte de’signori Muli, e il Palazzo de’Diavoli per la graziosa cappella architettata da Francesco di Giorgio più che per il ridicolo suo nome, ecc.
    Vi entrava la grandiosa villa di S, Colomba dell’I. e R. collegio Tolomei, innanzi che essa con la sua parrocchia (anno
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    1834), come uno de’Comunelli dell’antico Terzo di Camullia, fosse inclusa nella Comunità di Monteriggioni.
    I parrochi delle Masse erano e sono tuttora obbligati ad intervenire come quelli della città di Siena alle pubbliche funzioni  della loro metropolitana.
    Ho già detto altrove che la popolazione antica di Siena comprendeva ancora i suoi sobborghi nei quali si estesero le Masse dei tre Terzi di Siena, i di cui abitanti dipendevano dal medesimo podestà e capitano del popolo, talchè erano soggetti alle gravezze urbane godendo dei privilegi di cittadinanza al pari di quelli che abitavano dentro le mura della città. Infatti i Terzi delle tre masse davano ciascuno per mezz’agosto un palio di velluto al Duomo, mezzo nero e mezzo bianco, insegna della Balzana propria di Siena, quando i castelli dello stato dovevano inviarli di tinte dissimili da quelle della Balzana.
    I dazj di consumo che si esigevano a Monteriggioni dalla parte settentrionale, e all’Isola presso Ponte a Tressa per il lato meridionale, erano di aggravio ai popoli delle Masse come agli abitanti della città. Eglino al pari dei Sanesi avevano un magistrato civico apppellato sindaco, la cui autorità corrispondeva a un dipresso a quella del giudice di pace de’tempi napoleonici, o piuttosto di un priore comunitativo de’tempi attuali.
    Nell’anno 1303 il Terzo di Città contava 5 sindaci, i quali solevano risedere a S. Apollinare , a S. Margherita , a Monsindoli , ad Arbiola e a Trojola .
    In seguito ebbero sindaco anche i luoghi di Terrensano, Mont’Alluccio, S. Maria in Tressa, Montecchio, Casciano delle Masse, Agostoli, Arsiccioli, Belcaro, Ginestreto e Galignano .
    Nel suddetto anno il Terzo di Camullia contava 12 sindaci residenti a S. Giorgio, a Lapi, a Castagnoli, a Colle, a Castagno, Uopini, a Fugnano, a Quarto, a Monteliscai, a S. Miniato, a Tolfe, a S. Martino a Cellole e a Vignaglia .
    Nel Terzo di S.
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    Martino esistevano gli 11 sindaci seguenti: a Isola, Cuna, Lucciano, S. Angelo in Tressa, Borgovecchio, Val di Pugna, Badia a Alfiano, S. Maria a Bulciano, Spedale Novigli, Salteano e Paterno .
    Inoltre nel 1347 avevano i loro sindaci le Masse di Fontebecci, S. Dalmazio, e S. Petronilla . Tutti i suddetti luoghi che contavano un qualche sindaco e per la festa di S. Maria di mezzo agosto dovevano pagare il censo respettivo alla cassa de’conservatori di Bicherna.
    La statistica dell’anno 1318 delle Masse intorno a Siena dava per il Terzo di Città 1307 allirati con un solo cognome, 61 detti con due cognomi, e dieci con più casati, oltre 194 così detti eredi, in tutto 1572 allirati, più due conventi di Frati, uno di monache, sei cappelle e tre altre corporazioni pie.
    Il Terzo di S. Martino nell’anno stesso 1318 forniva 1007 allirati con un solo cognome, 51 con due cognomi, 18 con più casati e 167 eredi in tutto 1243 allirati, oltre 4 conventi di uomini, 5 monasteri di donne, 6 chiese e 3 altre corporazioni.
    Il Terzo di Camullia all’epoca stessa dava 1069 allirati con un cognome, 57 con due, 14 con più casati e 170 eredi, in tutto 1310 allirati, oltre 4 conventi di religiosi, 2 di monache, 10 chiese e 2 altre corporazioni pie.

    Totale degli allirati delle tre Comunità delle Masse, N °  4125
    La statistica del 1612 dava a Siena una popolazione di Abitanti N° 13679
    Ed a quella delle Masse dei Terzi Abitanti N° 10299
    TOTALE  Abitanti N°  23978
     
    Le statistiche del 1640, 1745, 1833, 1840 e 1843 sono riportate nel quadro che segue.
    Rispetto all’indole del terreno che cuopre cotesta Comunità potrei dire che i poggi situati sul confine a maestrale di questo territorio spettano al calcare cavernoso e metamorfosato, mentre le sottostanti colline
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    avvicinanti il grande sprone su cui si distende la città di Siena, sono coperte al pari dello sprone medesimo di calcare-siliceo, rossastro, giallognolo, specie di sabbione terziario marino superiore , non di rado alternante con potenti banchi orizzontali di ciottoli di calcare compatto, collegati a guisa di poudinga da un cemento siliceo-calcare durissimo. È in questo tufo terziario ricco di conchiglie marine univalvi e bivalvi di varia specie, e in special modo di microscopiche politalamiche, e in questo terreno dove si ammaestrarono insigni naturalisti, come furono tra gli altri nel secolo passato il Prof. Annibale Baldassarri, L’A. Ambrogio Soldani, e nel secolo attuale il Prof. Cavalier Gaspero Mazzi, ecc. ecc.
    A mano a mano che le colline si avvallano sottentra la tufo calcare-siliceo la marna argillosa, ossia il mattajone , che i Senesi chiamano le crete sul quale si tornerà a far parola nell’Articolo seguente della Comunità del Terzo di S. Martino .
    Quali fossero le cause di mutazioni tanto repentine nei terreni che cuoprono la contrada in discorso non si potrebbe da chicchessia con sicurezza asserire.
    Molte strade rotabili attraversano il territorio di questa Comunità. Fra le regie vi è quella postale Romana che serve di confine tanto dalla parte settentrionale, come dalla parte meridionale alle Comunità de’due terzi. Havvi la regia Grossetana che esce dalla Porta S. Marco, e che passa per questa Comunità fino al Chiesino . Le spetta pure la via regia suburbana di Pescaja , che da ponente a levante staccandosi dalla Grossetana sale fino alla postale Fiorentina. Vi sono poi molte strade comunitative rotabili che si staccano  dalle regie prenominate per condurre alle ville signorili e alle chiese parrocchiali di questa Comunità.
    Dal novero delle Masse dei tre Terzi esistiti nell’anno 1640 si rileva che allora coteste Masse, Ville o casali ascendevano al numero di 57, e che contavano una popolazione di 5414 abitanti, mentre nell’anno
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    1745 le stesse Masse comprese in 38 chiese parrocchiali ammontavano in tutte a 8704 abitanti.

    NOTA delle 57 MASSE o LUOGHI che nel 1640 erano compresi nei tre TERZI DELLE MASSE DI SIENA e loro respettiva popolazione in detto anno

    Arsiccioli, Abitanti n° 31
    Agostoli, Abitanti n° 51
    S. Apolinare, Abitanti n° 59
    Abbadia Alfiano, Abitanti n° 44
    Abbadia a Bozzone, Abitanti n° 96
    S. Agnolo in Tressa, Abitanti n° 95
    Bulciano, Abitanti n° 68
    Borgovecchio, Abitanti n° 52
    Arbiola, Abitanti n° 59
    S. Bartolommeo, Abitanti n° 82
    Casciano delle Masse, Abitanti n° 96
    Corsano, Abitanti n° 91
    Cuna, Abitanti n° 136
    Colle Melemerenda, Abitanti n° 22
    Capraja (all’Osservanza), Abitanti n° 163
    Cellole, Abitanti n° 96
    Castagno, Abitanti n° 126
    S. Dalmazio, Abitanti n° 60
    S. Eugenia, Abitanti n° 104
    Fonte Benedetta, Abitanti n° 70
    Fonte Becci, Abitanti n° 33
    Fornicchiaja, Abitanti n° 40
    Ginestreto, Abitanti n° 67
    Galignano, Abitanti n° 70
    S. Giorgio a Lapi, Abitanti n° 50
    S. Giovanni a Collanza, Abitanti n° 72
    S. Giovanni a Papajano, Abitanti n° 118
    Isola d’Arbia, Abitanti n° 98
    S. Maria  Tressa, Abitanti n° 105
    Montalluccio, Abitanti n° 60
    S. Matteo, Abitanti n° 80
    Montecchio, Abitanti n° 172
    Monsindoli, Abitanti n° 56
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    /> S. Margherita, Abitanti n° 73
    Maggiano, Abitanti n° 196
    S. Mamiliano, Abitanti n° 425
    Marciano, Abitanti n° 165
    Monteliascjo, Abitanti n° 95
    S. Miniato (a Cellole), Abitanti n° 68
    Munistero, Abitanti n° 298
    S. Pietro a Paterno, Abitanti n° 111
    S. Petronilla, Abitanti n° 132
    S. Prospero, Abitanti n° 56
    S. Reina, Abitanti n° 160
    Recciano, Abitanti n° 132
    Salteano, Abitanti n° 23
    S. Stefano a Pecorile, Abitanti n° 20
    S. Teodoro, Abitanti n° 45
    Terrensano, Abitanti n° 80
    Trojola, Abitanti n° 106
    Tolfe, Abitanti n° 36
    Usinina, Abitanti n° 20
    Uopini, Abitanti n° 65
    Volte, Abitanti n° 103
    Vignano, Abitanti n° 189
    Val di Pugna, Abitanti n° 104
    Vico d’Arbia, Abitanti n° 90

    TOTALE, Abitanti n° 5414

    NOTA dei titoli delle 37 MASSE DI SIENA che avevano parrocchia nel 1745 e loro respettiva popolazione .

    Vignano, Abitanti n° 331
    Montecchio, Abitanti n° 351
    Munistero, Abitanti n° 465
    Volte, Abitanti n° 169
    Osservanza, Abitanti n° 160
    S. Dalmazio, Abitanti n° 279
    Ginestreto, Abitanti n° 74
    S. Mamiliano, Abitanti n° 360
    S. Eugenia, Abitanti n° 264
    Collanza, Abitanti n° 132
    Fogliano, Abitanti n°
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    126
    Busciano, Abitanti n° 348
    Casciano delle Muse, Abitanti n° 430
    Cuna, Abitanti n° 172
    Recciano, Abitanti n° 201
    Isola di Val d’Arbia, Abitanti n° 91
    Pieve al Bozzone, Abitanti n° 263
    Terransano, Abitanti n° 170
    Salteano, Abitanti n° 109
    Poggiolo, Abitanti n° 204
    S. Maria a Tressa, Abitanti n° 171
    Cellole, Abitanti n° 352
    SS. Matteo e Teodoro, Abitanti n° 251
    S. Angelo in Tressa, Abitanti n° 125
    Maggiano, Abitanti n° 206
    Presciano, Abitanti n° 145
    Tolfe, Abitanti n° 49
    S, Petronilla, Abitanti n° 512
    Monsindoli, Abitanti n° 174
    Uopini, Abitanti n° 257
    Marciano, Abitanti n° 450
    Monteliscaj, Abitanti n° 256
    S. Colomba, Abitanti n° 315
    Vico Bello e Monte Chiaro, Abitanti n° 174
    S. Reina, Abitanti n° 200
    Colle Malemerenda, Abitanti n° 111
    Val di Pugna, Abitanti n° 257
    TOTALE, Abitanti n° 8704

    QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ DEL TERZO DI CITTA’ a cinque epoche diverse.

    - nome del luogo: Casciano con l’annesso di Galignano, titolo della chiesa: SS. Giusto e Clemente (Pieve), abitanti anno 1640 n° 96 (Casciano) e n° 50 (Galignano), abitanti anno 1745 n° 430, abitanti anno 1833 n° 436, abitanti anno 1840 n° 532, abitanti anno 1843 n° 560
    - nome del luogo: S. Dalmazio (1), titolo della chiesa: S. Dalmazio (Cura), abitanti anno 1640 n° 90, abitanti anno 1745 n° 279, abitanti
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    anno 1833 n° 440, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Fogliano, titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Prepositura), abitanti anno 1640 n° 94, abitanti anno 1745 n° 126, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 150, abitanti anno 1843 n° 151
    - nome del luogo: Ginestreto, titolo della chiesa: S. Donato (Cura), abitanti anno 1640 n° 77, abitanti anno 1745 n° 74, abitanti anno 1833 n° 81, abitanti anno 1840 n° 79, abitanti anno 1843 n° 81
    - nome del luogo: Marciano con gli annessi di Fonte Becci e di S. Martino (*), titolo della chiesa: SS. Pietro e Paolo ed Antonino (Cura), abitanti anno 1640 n° 198 e n° 56, abitanti anno 1745 n° 450, abitanti anno 1833 n° 421, abitanti anno 1840 n° 424, abitanti anno 1843 n° 441
    - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505
    - nome del luogo: Monsindoli e Trojola (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Cura), abitanti anno 1640 n° 162, abitanti anno 1745 n° 174, abitanti anno 1833 n° 231, abitanti anno 1840 n° 238, abitanti anno 1843 n° 240
    - nome del luogo: Montecchio con l’annesso della Costa al Pino, titolo della chiesa: S. Andrea (Cura), abitanti anno 1640 n° 245, abitanti anno 1745 n° 351, abitanti anno 1833 n° 448, abitanti anno 1840 n° 453, abitanti anno 1843 n° 436
    - nome del luogo: S. Petronilla a Camullia (*), titolo della chiesa: S. Petronilla (Cura), abitanti anno 1640 n° 132, abitanti anno 1745 n° 512, abitanti anno 1833 n° 551, abitanti anno 1840 n° 518, abitanti anno 1843 n° 552
    - nome del luogo: Terrensano con l’annesso di Certano, titolo della chiesa: SS. Lorenzo e
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    Michele (Cura), abitanti anno 1640 n° 171, abitanti anno 1745 n° 170, abitanti anno 1833 n° 176, abitanti anno 1840 n° 189, abitanti anno 1843 n° 201
    - nome del luogo: Tressa e Fonte Benedetta, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), abitanti anno 1640 n° 175, abitanti anno 1745 n° 171, abitanti anno 1833 n° 338, abitanti anno 1840 n° 172, abitanti anno 1843 n° 405
    - nome del luogo: Tufi con l’annesso di S. Apollinare e S. Teodoro, titolo della chiesa: SS. Matteo e Margherita (Cura), abitanti anno 1640 n° 257, abitanti anno 1745 n° 251, abitanti anno 1833 n° 319, abitanti anno 1840 n° 341, abitanti anno 1843 n° 339
    - nome del luogo: Uopini, titolo della chiesa: SS. Marcellino ed Erasmo (Cura), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 257, abitanti anno 1833 n° 335, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Volte (*), titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 62, abitanti anno 1745 n° 103, abitanti anno 1833 n° 174, abitanti anno 1840 n° 149, abitanti anno 1843 n° 148
    - Totale abitanti anno 1640: n° 3879
    - Totale abitanti anno 1745: n° 2263
    - Totale abitanti anno 1833: n° 4443
    - Totale abitanti anno 1840: n° 3943
    - Totale abitanti anno 1843: n° 4059

     N.B. Le parrocchie segnate di (1) nelle ultime due epoche spettavano ad altre Comunità, e quelle con (*) mandavano fuori di questa Comunità

    - anno 1840: abitanti n° 429
    - anno 1843: abitanti n° 610
    - RESTANO abitanti anno 1840: n° 3533
    - RESTANO abitanti anno 1843: n° 3449

    Altronde entravano in questa Comunità dalle parrocchie limitrofe

    - anno 1840: abitanti n° 573
    - anno 1843: abitanti n° 582
    -
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    TOTALE abitanti anno 1840: n° 4106
    - TOTALE abitanti anno 1843: n° 4031

    SIENA, Comunità del Terzo S. Martino

    II territorio di questa seconda Comunità suburbana abbraccia una superficie di 10,808 quadrati, dei quali 557 quadrati spettano a corsi acqua ed a pubbliche strade.
    Nel 1833 vi stanziavano 4434 abitanti, a proporzione di quasi 328 individui per ogni miglio toscano quadrati di suolo imponibile.
    Il territorio di questa Comunità nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro è di gradi 0° 6' 50 " longitudine, a partire dallo scontro della strada della Castellina del Chianti col torrente Bozzone sino al Ponte di Tressa, e da ponente a levante di gradi 0° 7’ 30" latitudine dalla Fonte Becci all’ estremità dell' insenatura dell'Arbia dirimpetto alla così detta Casanuova. Confina con il territorio di quattro Comunità. Dalla parte di libeccio e di ponente tocca le mura castellane di Siena, a partire dalla Porta Romana sino a quella di Camollia, da quest’ultima sino a Fonte Becci mediante la strada postale Fiorentina ha dirimpetto a ponente la Comunità del Terzo di Città. A Fonte Becci trova il territorio comunitativo di Monteriggioni, col quale fronteggia di faccia a maestrale lungo la strada della Castellina del Chianti sino al torrente Bozzone, dove sottentra dirimpetto a grecale la Comunità di Castelnuovo Berardenga, con il di cui territorio cammina di conserva  dirimpetto a settentrione mediante il torrente Bozzone tinche entra nella via di Castelnuovo Berardenga, e lungh'essa si accompagnano entrambe nell' Arbia, dove voltando la fronte a levante la nostra arriva col detto fiume alla confluenza del torrente Tressa. Così dirimpetto a libeccio viene la Comunità del Terzo di Città, con la quale l'altra del
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    Terzo di S. Martino arriva alla Porta Romana per rasentare le mura di Siena sino alla Porta di Camollia.
    Il territorio di questa al pari dell'altra Comunità del Terzo di Città, venne accresciuto dalla legge del 2 giugno 1777 nel tempo che restò soppressa l'altra Comunità del Terzo di Camollia; nella quale circostanza, come dissi, si aggregarono a questa del Terzo di S. Martino, oltre venti comunelli delle antiche sue Masse, altri sette ch'erano stati del Terzo di Camollia.
    I primi venti comunelli delle Masse del Terzo S. Martino appellavansi: 1. Abbadia a Alfiano; 2. Arbiola; 3. S. Angelo in Tressa; 4. Borgo Vecchio; 5. Bulciano; 6. Cuna; 7. Colle Malemerenda; 8. S. Mamiliano ; 9. S. Giovanni a Collana 10. S. Eugenia; 11. isola; 12. S. Giorgio a Lapi; 13. Maggiano; 14. S. Pie tro a Paterno; 15. S. Stefano a Peco rile; 16. Salteano; 17. S. Reina; 18. Vi gnano; 19. Val di Pugna; 20. e Usi nina. – I sette comunelli aggiunti furono: 1. Recciano; 2. S. Giorgio a Papajano; 3. Capraja; 4. Tolfe; 5. Monteliscaj; 6. Cellole; 7. S. Miniato.
    La Comunità delle Masse del Terzo S. Martino ha dirimpetto a maestrale le colline di Vico, del Castagno, o del Colombajo, di Capraja, e di Vignano, nel centro sono le colline del Poggio a Pini, della Certosa e di Valli, a levante e a scirocco le colline di Monte-Chiaro, di Maggiano e di Presciano.
    Fra i maggiori corsi d'acqua si conta il fiume Arbia che a scirocco ne lambisce i confini, ed i torrenti Bozzone, Bolgione e Riluogo. Quest'ultimo scorre parallelo al
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    torrente Bol gione che resta al suo grecale.
    Fra le vie regie che rasentano, ossia che attraversano il territorio di questa Comunità, si contano due strade postali, la Fiorentina, cioè, che dalla Fonte Becci entra in Siena per Porta Camullia, e la Romana che esce  dalla Porta di questo nome sino al Ponte a Tressa. Sono regie non postali la strada Aretina, a partire dalla Porta Pispini, o di Sanvieni , fino sull’Arbia, oltre la strada provinciale Lauretana; tutte le altre vie rotabili sono comunitative.
    L’indole del suolo che copre la superficie delle colline a grecale di Siena può dirsi nella massima parte analogo a quello degli sproni di tufo calcare-siliceo alternato da banchi ghiajosi sui quali risiede la città.
    Peraltro coteste colline ghiajose di tufo terziario marino tramezzate da banchi pou dinga di grossa ghiaja e di ciottoli di calcare compatto, dal lato di levante e scirocco della città si perdono gradatamente di vista a proporzione che uno si avvicina all’Arbia. Avvegnaché in cotesta parte il terreno cambia aspetto e natura, mentre invece di tufo calcare-siliceo, o di sabbione sparso di banchi di ciottoli, si scuopre ad esso sottostante una marna terziaria marina ( crete senesi ) poco opportuna all’industria agricola, mentre nel sovrastante tufo, o sabbione prosperano gli ulivi e le viti, ed è in coteste superiori colline dove risiedono le ville, alle quali i Senesi sogliono fare frequenti visite e lunghe stazioni, allettati dall' amenità de’siti, dalla vicinanza alla città, non che dalla temperatura e salubrità del clima.
    Tali sono, la grandiosa villa di Vico Bello de'marchesi Chigi, di Monte Chiaro de'signori Bianchi, di Maggiano de'signori Finetti, del Poggio a Pini del conte Vecchi, di Presciano del conte Pieri, di Solaja de'signori Clementini, del Serraglio de'signori Taja e la villa Lodoli, già Venturi-Gallerani, a S. Reina architettata dal
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    Peruzzi ecc.
    Fra le chiese e conventi meritano di essere distinti quello dell'Osservanza nella collina di Capraja, la soppressa Certosa di Pontignano per la grandiosa clausura, per il vasto fabbricato e per la copia de'marmi; l'altra chiesa della Certosa di Maggiano, attualmente ridotta ad uso di parrocchia.
    Senza possedere in una stessa tenuta il tufo calcare-siliceo delle colline superiori, non si potrebbero bonificare le sottostanti biancane, donde per altro si ottengono vini spiritosi, ottime granaglie, e saporite pasture al bestiame pecorino, talché i casci delle crete senesi per sapore e delicatezza si accostano ai casci notissimi di Lucardo. – Vedere. ASCIANO e BARBERINO DI VAL D’ELSA, Comunità..

    QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ DEL TERZO DI S. MARTINO  a cinque epoche diverse.

    - nome del luogo: al Bozzone (1), titolo della chiesa: S. Giovanni (Pieve), abitanti anno 1640 n° - , abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 190, abitanti anno 1843 n° 206
    - nome del luogo: Cellole con l’annesso di S. Maria a Cellole (2), titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), abitanti anno 1640 n° 164, abitanti anno 1745 n° 352, abitanti anno 1833 n° 357, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Collanza senza il suo annesso di Medane Spennazzi (2), titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1640 n° 72, abitanti anno 1745 n° 66, abitanti anno 1833 n° 121, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Colle Malamerenda con l’annesso di Borgo Vecchio (*), titolo della chiesa: SS. Simone e Giuda (Pieve), abitanti anno 1640 n° 74, abitanti anno 1745 n° 111, abitanti anno 1833 n° 125, abitanti anno 1840 n° 145, abitanti anno 1843 n° 135
    - nome del luogo: Cuna
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    (2), titolo della chiesa: SS. Giacomo e Cristofano (Pieve), abitanti anno 1640 n° 136, abitanti anno 1745 n° 304, abitanti anno 1833 n° 356, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505
    - nome del luogo: S. Eugenia, titolo della chiesa: S. Eugenia (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 104, abitanti anno 1745 n° 264, abitanti anno 1833 n° 353, abitanti anno 1840 n° 272, abitanti anno 1843 n° 249
    - nome del luogo: Isola in Val d’Arbia, titolo della chiesa: S. Ilaio (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 98, abitanti anno 1745 n° 91, abitanti anno 1833 n° 139, abitanti anno 1840 n° 129, abitanti anno 1843 n° 129
    - nome del luogo: Maggiano, titolo della chiesa: S. Niccolò (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 196, abitanti anno 1745 n° 206, abitanti anno 1833 n° 293, abitanti anno 1840 n° 306, abitanti anno 1843 n° 309
    - nome del luogo: Monte Liscaj con l’annesso di S. Giorgio ai Lupi (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 145, abitanti anno 1745 n° 256, abitanti anno 1833 n° 295, abitanti anno 1840 n° 299, abitanti anno 1843 n° 304
    - nome del luogo: Osservanza nel Colle di Capraja, titolo della chiesa: S. Bernardino (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 163, abitanti anno 1745 n° 160, abitanti anno 1833 n° 196, abitanti anno 1840 n° 282, abitanti anno 1843 n° 309
    - nome del luogo: Paterno, titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 111, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 128, abitanti anno 1840 n° 136, abitanti anno 1843 n° 141
    - nome del luogo: Ponte a Tressa (*), titolo della
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    chiesa: S. Angelo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 95, abitanti anno 1745 n° 125, abitanti anno 1833 n° 247, abitanti anno 1840 n° 165, abitanti anno 1843 n° 158
    - nome del luogo: Presciano (1) (*), titolo della chiesa: S. Paolo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 399, abitanti anno 1843 n° 419
    - nome del luogo: S. Regina, titolo della chiesa: S. Regina (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 160, abitanti anno 1745 n° 200, abitanti anno 1833 n° 285, abitanti anno 1840 n° 275, abitanti anno 1843 n° 284
    - nome del luogo: Tolfe, titolo della chiesa: S. Paterniano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 36, abitanti anno 1745 n° 49, abitanti anno 1833 n° 153, abitanti anno 1840 n° 148, abitanti anno 1843 n° 146
    - nome del luogo: Val di Pugna con gli annessi di Alfiano e di Bulciano, titolo della chiesa: S. Tommaso, SS. Trinità e S. Maria (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 216, abitanti anno 1745 n° 267, abitanti anno 1833 n° 397, abitanti anno 1840 n° 402, abitanti anno 1843 n° 427
    - nome del luogo: Valli (*), titolo della chiesa: S. Mamiliano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 425, abitanti anno 1745 n° 360, abitanti anno 1833 n° 604, abitanti anno 1840 n° 689, abitanti anno 1843 n° 618
    - nome del luogo: Vico d’Arbia con l’annesso di Montechiaro (1), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 225, abitanti anno 1843 n° 235
    - nome del luogo: Vignano con gli annessi di Pecorile e Papajano, titolo della chiesa: S. Agnese e S. Stefano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 327, abitanti anno 1745 n° 331, abitanti anno 1833 n° 385, abitanti anno 1840 n° 412, abitanti anno 1843 n° 420
    - Totale
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    abitanti anno 1640: n° 2522
    - Totale abitanti anno 1745: n° 3142
    - Totale abitanti anno 1833: n° 4434
    - Totale abitanti anno 1840: n° 4474
    - Totale abitanti anno 1843: n° 4492

    N.B. Le parrocchie contrassegnate con la nota (1) nelle prime tre epoche spettavano ad altre Comunità. Altronde quelle segnate di nota (2) nelle ultime due epoche entrarono in questa ed escirono da altre Comunità.

    Annessi provenienti da parrocchie situate fuori di questa Comunità che nelle ultime due epoche penetravano in questa dal Terzo di S. Martino
    - anno 1840: abitanti n° 407
    - anno 1843: abitanti n° 617
    - TOTALE abitanti anno 1840: n° 4881
    - TOTALE abitanti anno 1843: n° 5109

    Altronde nelle ultime due epoche dalle parrocchie di sopra segnate con l’asterisco
    (*) escivano da questa Comunità

    - anno 1840: abitanti n° 578
    - anno 1843: abitanti n° 691
    - RESTANO abitanti anno 1840: n° 4303
    - RESTANO abitanti anno 1843: n° 4418

    [Per l’immagine della mappa della Comunità di Siena, del Terzo di Città e del Terzo di S. Martino vedere documento pdf del V volume alla voce SIENA]

    DIOCESI DI SIENA – Fra le tante opinioni emesse da sommi scrittori sull’origine del vescovato e Diocesi di Siena, mi sembra la più ragionevole quella che ha dato a cotesta città un vescovo avanti la discesa de' Longobardi in Italia. Avvegnachè, se dalla famosa questione fra il vescovo di Siena e quello di Arezzo, incominciata fino dal 712, si rileva che il primo vescovo restituito a Siena dopo l'ingresso de' Longobardi in Toscana appellavasi Mauro; e che questi reggeva la chiesa sanese sotto il regno di Rotari, non ne consegue che innanzi la venuta de’ Longobardi in Toscana i Sanesi
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    non potessero avere il loro vescovo. Infatti sembra che ciò dichiarasse il prelato aretino Luperziano nella controversia suddetta quando, nel 715, affermava che sino dal tempo antico, ed innanzi la venuta de'Longobardi, Siena aveva avuto vescovo proprio.
    Con tale ingenua confessione pertanto ogni discreto lettore si persuaderà che il vescovo Eusebio, il quale assistè, nel 465, sotto il Pontefice Ilario al concilio romano, dove si firmò Episcopus Senensis, fosse vescovo di Siena in Toscana piuttosto che di Sinigallia sulle coste dell’Adriatico.
    Checche ne sia, ho già protestato, che non intendo risalire con ciò, né a quel Lucife rio che l’Ughelli e molti storici sanesi supposero il primo vescovo di Siena verso il 306 dell' Era cristiana, né io pretendo rimontare ai primi tempi in cui il popolo sanese da S. Ansano fu redento con l'acque battesimali. Molto meno sarebbe impresa d’oggidì, dopo che ne'secoli scorsi per tanti altri riesci opera perduta il rintracciare l’antico perimetro della Diocesi di Siena. Imperocché, se dovessimo tenere per vera l’opinione esternata dal Borghini e da altri, che i confini antichi della diocesi civile di una città servissero di norma a quelli della sua diocesi ecclesiastica, bisognerebbe concludere, essere stato giusto il reclamo dei vescovi di Siena contro quelli di Arezzo, stato più volte, sebbene con poco successo, rinnovato, a meno che si debba credere che quando la fede di G. Cristo fu abbracciata in Toscana le giurisdizioni ecclesiastiche non corrispondessero più con quelle politiche. – Vedere FIRENZE e LUCCA, DIOCESI.
    Comunque sia di ciò, certo è che Mauro vescovo di Siena eletto nei 637 o 638 dell'Era cristiana, intervenne al concilio lateranense del 649. L' Ughelli nella sua Italia sacra in Episcopis Senensibus fece succedere a Mauro nel 658 il vescovo Andrea, a questi nel 670 Gualterano, a lui nel 674 Gerardo, indi Vitaliano che intervenne al sesto concilio romano sotto il Pontefice Agatone nel 679.
    Quindi non so con quanta verità quell’autore facesse succedere
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    a Vitaliano nel 689 un vescovo Lupo, e ad esso Caurisio nel 722, mentre fu omesso Magno II stato vescovo di Siena tra il 700 ed il 703 come dai deposti dei testimoni esaminati nella lite del 715 rilevasi.
    Rispetto poi alla giurisdizione civile sotto i Longobardi, una buona porzione di territorio sanese, spettante fino d'allora ai diocesani di Arezzo, dipendeva dai gastaldi politici della città di Siena; ed é egualmente cosi indubitata, che nello stato attuale il perimetro della Diocesi sanese è uno dei più piccoli vescovati antichi della Toscana. Essendoché i suoi confini, dalla parte di levante, di grecale e di maestrale della città, appena arrivano alle 4 miglia, e di poco lo stesso perimetro oltrepassa le sette miglia dalla parte di ponente e di settentrione.
    La porzione più estesa della Diocesi ecclesiastica di Siena comparisce nella direzione di ostro sotto la confluenza dell'Arbia fino passata quella della Merse nell'Ombrone sanese.
    Donde ne consegue, che se cotesta Diocesi nella direzione di settentrione a ostro si dilata in una lunghezza di oltre 30 miglia toscane, altronde la sua maggiore larghezza da levante a ponente non arriva alle 20 miglia toscane, avvertendo che la porzione più stretta trovasi appunto nei contorni della sua cattedrale.
    Con tuttoché la Diocesi di Arezzo si estendesse fra l’Ombrone e la Chiana, fra l'Asso e l’Orcia, abbracciando gran parte del territorio politico sanese, ciò non ostante questa di Siena è stata posteriormente decimata, allorché nel 1592 il Pontefice Clemente VIII eresse in Diocesi quella di Colle, togliendole dalla parte di settentrione il piviere di S. Agnese sopra Poggibonsi e quello di Lijiano del Chianti, mentre a ponente della città staccò da questa stessa diocesi il piviere di Marmoraja nella Montagnuola di Siena.. – Vedere  COLLE (DIOCESI DI).
    La chiesa vescovile senese fa eretta in metropolitana nell'aprile del 1459 dal Pontefice Pio II con bolla data in Siena, dove allora era vescovo il monaco Camaldolense Antonio Tedeschini nei
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    Piccolomini della famiglia del Pontefice, il qual nuovo arcivescovo fu nel tempo stesso decorato del pallio per se e per tutti i suoi successori. Con la bolla stessa vennero assegnati per suffraganei al nuovo metropolitano i vescovi di Chiusi, di Grosseto e di Massa Marittima.
    Dopo la lite più volte accesa fra i diocesani Aretini e Senesi una delle bolle concistoriali più antiche comparse, in cui si trovano rammentate le chiese battesimali della Diocesi di Siena, reputo quella data in Laterano li 20 aprile del 1189, che il Pontefice Clemente III diresse a Buono vescovo di Siena, cui confermò non meno di 26 chiese battesimali con molte cappelle e loro pertinenze, cioè: la Pieve di S. Agnese, quelle Li liano , di Lontano , di Asciata, del Bozzone , di S. Martino in Grania , di S. Cristina a Lucignano d'Arbia, di Sprenna ; di S. Nazzario, di Saturniano (forse Saltennano) di Ancajano (o Mont'Antico ) di Monte Godano, (ora Case-Nuovole ) S. Giorgio in Vallona, (ignota) la pieve Coppiano, o di Monte Pescini , quella S. Innocenza , le pievi  di Carli , di Mur lo, di Creoli, di S. Cristina in Cajo, le chiese di S. Maria nel borgo di S. Quirico, di Casciano (di Murlo) e dì Maria in Tressa, le pievi di Corsano, Ricenza, di Rosia , di Pentolia,, di Sovicille, di Fogliano, di  S. Giusto a Cas ciano (delle Masse) e di Marmoraja.
    Sono state
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    qui omesse le pievi di Oppiano e di «S. Valentino (forse a Monte Follonico ) come quelle che allora dipendevano ed erano comprese nell'antica Diocesi Arezzo, e però da doversi escludere da questa di Siena, seppure non erano quelle due altre pievi a me ignote.   Egualmente ignota mi resta la pieve di S. Nazario, non potendola equivocare con la parrocchia di S. Nazzario di Chiusure in Comunità di Buonconvento, che fu della Diocesi aretina, e ora di quella di Pienza.
    Esistevano nella Diocesi senese nell'anno 1745 numero 118 chiese parrocchiali, riunite attualmente in 111 parrocchie, 16 delle quali dentro le mura di Siena e 95 repartite per la campagna in undici vicariati foranei, siccome apparisce dal Quadro sinottico qui appresso registrato.
    La Diocesi di Siena oltre la metropolitana con un capitolo di canonici mitrati, sei dignità canonicali ed un numero di mansionarj, di cappellani e di chierici, conta dentro la città un'insigne collegiata nella chiesa di S. Maria di Provenzano, ed un seminario vescovile con tre conservatorj, 4 monasteri di donne, ed uno di monaci, sei fraterie, quattro delle quali in città , e due nei suburbj delle Masse.
    Ma i monasteri in cotesta città nei secoli trascorsi erano talmente numerosi e popolati che per raffrenare tanta mania vi fu bisogno perfino di un breve pontificio, il di cui originale conservasi nell' Arch. Dipl. San.  ( Tomo  XXVII delle Pergamene N° 2123).
    È una bolla data in Roma li 27 aprile 1463, anno V del pontificato di Papa Pio II, con la quale il Pontefice nominato inibì di fabbricare nuovi monasteri nella città e subborghi di Siena poiché, dice la bolla, ve ne erano più di quello che fosse conveniente, e di tanti ordini di religioni, ed in tanto numero
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    che non vi si poteva conservare la castità claustrale; perciò Pio II dava ordine al vescovo di Siena di dover sopprimere quei monasteri che credesse meglio con le respettive dignità abbaziali, e che si riunisse con i loro beni e famiglie ad altri monasteri nel modo che avesse conosciuto più conveniente.

    QUADRO SINOTTICO delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA repartite nei 12 Vicariati foranei con la loro popolazione a cinque epoche diverse

    Nome del piviere: PIEVE MAGGIORE DELLA CITTA’ DI SIENA e sue chiese parrocchiali
    N.B. In cotesto piviere maggiore dalla seconda all’ultima epoca furono soppresse sei parrocchie, e quattro traslatate in altre chiese superstiti

    1. S. Giovanni Battista (Pieve) con l’annesso di S. Desiderio, compreso lo Spedale della Scala
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1887
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1986
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1977
    popolazione anno 1843: abitanti n° 2537

    2. S. Andrea con porzione della cura de’SS. Vincenzio e Anastasio
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 453
    popolazione anno 1833: abitanti n° 620
    popolazione anno 1840: abitanti n° 632
    popolazione anno 1843: abitanti n° 678

    3. S. Antonio Abate
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 750
    popolazione anno 1833: abitanti n° 858
    popolazione anno 1840: abitanti n° 801
    popolazione anno 1843: abitanti n° 892

    4. S. Clemente nella SS. Concezione dei Servi
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 533
    popolazione anno 1833: abitanti n° 840
    popolazione anno 1840: abitanti n° 911
    popolazione anno 1843:
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    abitanti n° 1060

    5. S. Cristofano
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 530
    popolazione anno 1833: abitanti n° 971
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1007
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1007

    6. S. Donato in S. Michele alla Badia nuova
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1383
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1589
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1694
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1660

    7. S. Martino con porzione del popolo di S. Giorgio soppresso nel 1783 e la nazione Israelitica
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 2499
    popolazione anno 1833: abitanti n° 2589
    popolazione anno 1840: abitanti n° 2422
    popolazione anno 1843: abitanti n° 2502

    8. S. Maurizio in S. Spirito con porzione del soppresso popolo di S. Giorgio al Seminario
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1320
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1538
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1672
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1619

    9. S. Pellegrino nella Sapienza
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 606
    popolazione anno 1833: abitanti n° 782
    popolazione anno 1840: abitanti n° 837
    popolazione anno 1843: abitanti n° 803

    10. S. Pietro in Castelvecchio
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 652
    popolazione anno 1833: abitanti n° 971
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1072
    popolazione
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    anno 1843: abitanti n° 1107

    11. S. Pietro Bujo in S. Giovannino in Pantaneto
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 295
    popolazione anno 1833: abitanti n° 387
    popolazione anno 1840: abitanti n° 458
    popolazione anno 1843: abitanti n° 458

    12. S. Pietro alla Magione con porzione del popolo soppresso de’SS. Vincenzio e Anastasio
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 484
    popolazione anno 1833: abitanti n° 518
    popolazione anno 1840: abitanti n° 619
    popolazione anno 1843: abitanti n° 648

    13. S. Pietro a Ovile
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1115
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1552
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1649
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1614

    14. S. Quirico in Castelvecchio con l’annesso di S. Marco, e parte del popolo di S. Mustiola alla Rosa
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1475
    popolazione anno 1833: abitanti n° 2029
    popolazione anno 1840: abitanti n° 2139
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1950

    15. S. Salvatore in S. Agostino con la porzione del popolo di S. Mustiola
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 1024
    popolazione anno 1833: abitanti n° 1063
    popolazione anno 1840: abitanti n° 1104
    popolazione anno 1843: abitanti n° 1117

    16. S. Stefano alla Lizza con gli annessi di S. Barbera in Fortezza e porzione della cura de’SS. Vincenzio e Anastasio
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
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    /> popolazione anno 1745: abitanti n° 535
    popolazione anno 1833: abitanti n° 520
    popolazione anno 1840: abitanti n° 650
    popolazione anno 1843: abitanti n° 681

    I. VICARIATO DI CASCIANO DELLE MASSE

    Nome del luogo: Casciano delle masse con l’annesso di Galognano e Agostoli

    17. SS. Giusto e Clemente (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 248
    popolazione anno 1745: abitanti n° 430
    popolazione anno 1833: abitanti n° 436
    popolazione anno 1840: abitanti n° 532
    popolazione anno 1843: abitanti n° 560

    Nome del luogo: Valle

    18. S. Mamiliano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 425
    popolazione anno 1745: abitanti n° 360
    popolazione anno 1833: abitanti n° 604
    popolazione anno 1840: abitanti n° 689
    popolazione anno 1843: abitanti n° 618

    Nome del luogo: Terrenzano e Cortano

    19. S. Lorenzo e S. Michele (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 171
    popolazione anno 1745: abitanti n° 170
    popolazione anno 1833: abitanti n° 176
    popolazione anno 1840: abitanti n° 189
    popolazione anno 1843: abitanti n° 201

    Nome del luogo: in Tressa e Fonte Benedetta

    20. S. Maria (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 175
    popolazione anno 1745: abitanti n° 171
    popolazione anno 1833: abitanti n° 338
    popolazione anno 1840: abitanti n° 396
    popolazione anno 1843: abitanti n° 405

    Nome del luogo: S. Dalmazio

    21. S. Dalmazio (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 60
    popolazione anno 1745: abitanti n° 279
    popolazione anno 1833: abitanti n° 440
    popolazione anno 1840: abitanti
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    353
    popolazione anno 1843: abitanti n° 400


    Nome del luogo: Uopini

    22. SS. Marcellino, Pietro ed Erasmo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 65
    popolazione anno 1745: abitanti n° 257
    popolazione anno 1833: abitanti n° 335
    popolazione anno 1840: abitanti n° 325
    popolazione anno 1843: abitanti n° -

    Nome del luogo: S. Petronilla

    23. S. Petronilla (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 132
    popolazione anno 1745: abitanti n° 512
    popolazione anno 1833: abitanti n° 551
    popolazione anno 1840: abitanti n° 518
    popolazione anno 1843: abitanti n° 552

    Nome del luogo: Maggiano

    24. S. Niccolò (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 196
    popolazione anno 1745: abitanti n° 206
    popolazione anno 1833: abitanti n° 293
    popolazione anno 1840: abitanti n° 306
    popolazione anno 1843: abitanti n° 309

    Nome del luogo: Marciano e Fonte Becci

    25. SS. Pietro e Paolo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 310
    popolazione anno 1745: abitanti n° 450
    popolazione anno 1833: abitanti n° 421
    popolazione anno 1840: abitanti n° 424
    popolazione anno 1843: abitanti n° 441

    Nome del luogo: al Munistero

    26. S. Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 298
    popolazione anno 1745: abitanti n° 465
    popolazione anno 1833: abitanti n° 495
    popolazione anno 1840: abitanti n° 493
    popolazione anno 1843: abitanti n° 505

    Nome del luogo: Tufi con tre annessi

    27. S. Matteo con i SS. Apollinare, Teodoro e Margherita
    popolazione anno 1640: abitanti n° 257
    popolazione anno 1745:
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    abitanti n° 251
    popolazione anno 1833: abitanti n° 319
    popolazione anno 1840: abitanti n° 341
    popolazione anno 1843: abitanti n° 339

    Nome del luogo: Santa Colomba

    28. S. Pietro (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 311
    popolazione anno 1745: abitanti n° 315
    popolazione anno 1833: abitanti n° 456
    popolazione anno 1840: abitanti n° 352
    popolazione anno 1843: abitanti n° 427

    N.B. Nel Vicariato di Casciano delle Masse dalla prima all’ultima epoca furono soppresse sei cure

    II. VICARIATO DEL BOZZONE

    Nome del luogo: Bozzone e Larniano

    29. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 128
    popolazione anno 1745: abitanti n° 263
    popolazione anno 1833: abitanti n° 171
    popolazione anno 1840: abitanti n° 190
    popolazione anno 1843: abitanti n° 206

    Nome del luogo: Paterno

    30. SS. Pietro e Paolo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 111
    popolazione anno 1745: abitanti n° 108
    popolazione anno 1833: abitanti n° 128
    popolazione anno 1840: abitanti n° 136
    popolazione anno 1843: abitanti n° 141

    Nome del luogo: Vignano con Pecorile e Papajano

    31. S. Agnese (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 327
    popolazione anno 1745: abitanti n° 331
    popolazione anno 1833: abitanti n° 385
    popolazione anno 1840: abitanti n° 412
    popolazione anno 1843: abitanti n° 420

    Nome del luogo: Osservanza al Colle di Capraja

    32. S. Bernardino, già S. Maria (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 163
    popolazione anno 1745: abitanti n° 160
    popolazione anno 1833: abitanti
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    n° 196
    popolazione anno 1840: abitanti n° 282
    popolazione anno 1843: abitanti n° 309

    Nome del luogo: Monteliscaj, con S. Giorgio a Lapi

    33. S. Pietro (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 145
    popolazione anno 1745: abitanti n° 256
    popolazione anno 1833: abitanti n° 295
    popolazione anno 1840: abitanti n° 299
    popolazione anno 1843: abitanti n° 304

    Nome del luogo: Tolfe

    34. S. Paterniano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 36
    popolazione anno 1745: abitanti n° 49
    popolazione anno 1833: abitanti n° 153
    popolazione anno 1840: abitanti n° 148
    popolazione anno 1843: abitanti n° 149

    Nome del luogo: Presciano

    35. S. Paolo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 103
    popolazione anno 1745: abitanti n° 145
    popolazione anno 1833: abitanti n° 275
    popolazione anno 1840: abitanti n° 399
    popolazione anno 1843: abitanti n° 419

    Nome del luogo: Val di Pugna, Badia Alfiano e Bulciano

    36. S. Tommaso con SS. Trinità e S. Maria (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 216
    popolazione anno 1745: abitanti n° 267
    popolazione anno 1833: abitanti n° 397
    popolazione anno 1840: abitanti n° 402
    popolazione anno 1843: abitanti n° 427

    Nome del luogo: Reina

    37. S. Regina (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 160
    popolazione anno 1745: abitanti n° 200
    popolazione anno 1833: abitanti n° 287
    popolazione anno 1840: abitanti n° 275
    popolazione anno 1843: abitanti n° 284

    Nome del luogo: Vico d’Arbia e Montechiaro

    38. S. Pietro (Rettoria)
    popolazione
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    anno 1640: abitanti n° 90
    popolazione anno 1745: abitanti n° 174
    popolazione anno 1833: abitanti n° 253
    popolazione anno 1840: abitanti n° 225
    popolazione anno 1843: abitanti n° 235

    Nome del luogo: S. Eugenia

    39. S. Eugenia (Rettoria)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 104
    popolazione anno 1745: abitanti n° 264
    popolazione anno 1833: abitanti n° 353
    popolazione anno 1840: abitanti n° 272
    popolazione anno 1843: abitanti n° 149

    III. VICARIATO DI BUONCONVENTO

    Nome del luogo: Buonconvento e Gaggiolo

    40. SS. Pietro e Paolo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 149
    popolazione anno 1745: abitanti n° 232
    popolazione anno 1833: abitanti n° 409
    popolazione anno 1840: abitanti n° 417
    popolazione anno 1843: abitanti n° 422

    Nome del luogo: Percenna

    41. S. Lorenzo (Prepositura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 50
    popolazione anno 1745: abitanti n° 255
    popolazione anno 1833: abitanti n° 546
    popolazione anno 1840: abitanti n° 607
    popolazione anno 1843: abitanti n° 603

    Nome del luogo: Castiglion del Bosco

    42. S. Michele (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 35
    popolazione anno 1745: abitanti n° 124
    popolazione anno 1833: abitanti n° 179
    popolazione anno 1840: abitanti n° 175
    popolazione anno 1843: abitanti n° 174

    Nome del luogo: Montauto Giuseppi, e Casal de’Frati

    43. S. Andrea (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 223
    popolazione anno 1745: abitanti n° 206
    popolazione anno 1833: abitanti n° 312
    popolazione anno 1840: abitanti n° 274
    popolazione anno 1843:
  •    pag. 231 di 255
    abitanti n° 260

    Nome del luogo: Sprenna a Seravalle

    44. S. Lorenzo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 292
    popolazione anno 1745: abitanti n° 273
    popolazione anno 1833: abitanti n° 381
    popolazione anno 1840: abitanti n° 416
    popolazione anno 1843: abitanti n° 440

    Nome del luogo: Abbadia Ardenga

    45. S. Andrea (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 76
    popolazione anno 1833: abitanti n° 106
    popolazione anno 1840: abitanti n° 119
    popolazione anno 1843: abitanti n° 110

    Nome del luogo: Piana e Saltennano

    46. S. Innocenziana (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 264
    popolazione anno 1745: abitanti n° 414
    popolazione anno 1833: abitanti n° 591
    popolazione anno 1840: abitanti n° 666
    popolazione anno 1843: abitanti n° 609

    Nome del luogo: Castel nuovo e Taneredi

    47. S. Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 81
    popolazione anno 1745: abitanti n° 99
    popolazione anno 1833: abitanti n° 119
    popolazione anno 1840: abitanti n° 118
    popolazione anno 1843: abitanti n° 127
    Nome del luogo: Bibbiano Giuglieschi

    48. S. Lorenzo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 307
    popolazione anno 1745: abitanti n° 252
    popolazione anno 1833: abitanti n° 360
    popolazione anno 1840: abitanti n° 314
    popolazione anno 1843: abitanti n° 268

    N.B. Nel Vicariato di Buonconvento dalla prima all’ultima epoca furono soppresse tre cure.

    IV. VICARIATO DI CORSANO

    Nome del luogo: Corsano

    49. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti
  •    pag. 232 di 255
    n° 91
    popolazione anno 1745: abitanti n° 361
    popolazione anno 1833: abitanti n° 472
    popolazione anno 1840: abitanti n° 455
    popolazione anno 1843: abitanti n° 508

    Nome del luogo: Bagnaja e Lestine

    50. SS. Vincenzio e Anastasio (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 109
    popolazione anno 1745: abitanti n° 161
    popolazione anno 1833: abitanti n° 188
    popolazione anno 1840: abitanti n° 222
    popolazione anno 1843: abitanti n° 209

    Nome del luogo: Filetta e Faltignano

    51. S. Andrea (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 376
    popolazione anno 1745: abitanti n° 186
    popolazione anno 1833: abitanti n° 159
    popolazione anno 1840: abitanti n° 172
    popolazione anno 1843: abitanti n° 248

    Nome del luogo: Radi di Creta

    52. S. Pietro (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 80
    popolazione anno 1745: abitanti n° 147
    popolazione anno 1833: abitanti n° 176
    popolazione anno 1840: abitanti n° 178
    popolazione anno 1843: abitanti n° 156

    Nome del luogo: Campriano e S. Lazzerello

    53. S. Giovanni Decollato e S. Lazzero (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 130
    popolazione anno 1745: abitanti n° 118
    popolazione anno 1833: abitanti n° 330
    popolazione anno 1840: abitanti n° 178
    popolazione anno 1843: abitanti n° 135

    Nome del luogo: Pilli

    54. S. Salvatore (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 176
    popolazione anno 1745: abitanti n° 302
    popolazione anno 1833: abitanti n° 442
    popolazione anno 1840: abitanti n° 454
    popolazione anno 1843: abitanti n° 442
  •    pag. 233 di 255
    />
    Nome del luogo: Magnano

    55. S. Giacomo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 71
    popolazione anno 1745: abitanti n° 55
    popolazione anno 1833: abitanti n° 78
    popolazione anno 1840: abitanti n° 79
    popolazione anno 1843: abitanti n° 71

    V. VICARIATO DI MONTERIGGIONI

    Nome del luogo: Monteriggioni

    56. S. Maria Assunta (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 260
    popolazione anno 1745: abitanti n° 271
    popolazione anno 1833: abitanti n° 348
    popolazione anno 1840: abitanti n° 489
    popolazione anno 1843: abitanti n° 430

    Nome del luogo: Poggiolo

    57. S. Maria Assunta (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 149
    popolazione anno 1745: abitanti n° 204
    popolazione anno 1833: abitanti n° 253
    popolazione anno 1840: abitanti n° 259
    popolazione anno 1843: abitanti n° 268

    Nome del luogo: Lornano

    58. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 75
    popolazione anno 1745: abitanti n° 168
    popolazione anno 1833: abitanti n° 194
    popolazione anno 1840: abitanti n° 177
    popolazione anno 1843: abitanti n° 176

    Nome del luogo: Basciano

    59. S. Giovanni Evangelista (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 110
    popolazione anno 1745: abitanti n° 348
    popolazione anno 1833: abitanti n° 449
    popolazione anno 1840: abitanti n° 391
    popolazione anno 1843: abitanti n° 368

    Nome del luogo: Querce Grossa e Petrojo

    60. S. Giacomo e S. Angelo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 121
    popolazione anno 1745: abitanti n° 184
    popolazione anno 1833: abitanti n° 261
    popolazione
  •    pag. 234 di 255
    anno 1840: abitanti n° 253
    popolazione anno 1843: abitanti n° 243

    Nome del luogo: Reciano e Chiocciola

    61. S. Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 324
    popolazione anno 1745: abitanti n° 201
    popolazione anno 1833: abitanti n° 277
    popolazione anno 1840: abitanti n° 286
    popolazione anno 1843: abitanti n° 287

    Nome del luogo: Fungaia e al Colle

    62. S. Michele e S. Lorenzo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 111
    popolazione anno 1745: abitanti n° 152
    popolazione anno 1833: abitanti n° 118
    popolazione anno 1840: abitanti n° 131
    popolazione anno 1843: abitanti n° 141

    N.B. Nel vicariato di Monteriggioni dalla prima all’ultima epoca furono soppresse tre chiese parrocchiali.

    VI. VICARIATO DELLA CANONICA A CERRETO

    Nome del luogo: Canonica a Cerreto con Cerreto Ciampoli

    63. S. Pietro (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 280
    popolazione anno 1745: abitanti n° 285
    popolazione anno 1833: abitanti n° 325
    popolazione anno 1840: abitanti n° 394
    popolazione anno 1843: abitanti n° 392

    Nome del luogo: Pieve Asciata con Catignano e Selvoli

    64. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 311
    popolazione anno 1745: abitanti n° 365
    popolazione anno 1833: abitanti n° 487
    popolazione anno 1840: abitanti n° 623
    popolazione anno 1843: abitanti n° 568

    Nome del luogo: Cellule e Pontignano

    65. SS. Martino e Miniato (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 207
    popolazione anno 1745: abitanti n° 352
    popolazione anno 1833: abitanti n° 357
    popolazione anno 1840:
  •    pag. 235 di 255
    abitanti n° 373
    popolazione anno 1843: abitanti n° 370

    Nome del luogo: Cerreto

    66. S. Giovanni (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 86
    popolazione anno 1745: abitanti n° 96
    popolazione anno 1833: abitanti n° 136
    popolazione anno 1840: abitanti n° 137
    popolazione anno 1843: abitanti n° 131

    Nome del luogo: Vagliagli e Coschine

    67. SS. Cristofano e Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 264
    popolazione anno 1745: abitanti n° 335
    popolazione anno 1833: abitanti n° 474
    popolazione anno 1843: abitanti n° 472

    N.B. Nel Vicariato della Canonica a Cerreto fra la prima e l’ultima epoca furono soppressi quattro popoli.

    VII. VICARIATO DI S. LORENZO A MERSE

    Nome del luogo: in Val di Merse

    68. S. Lorenzo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 235
    popolazione anno 1745: abitanti n° 125
    popolazione anno 1833: abitanti n° 264
    popolazione anno 1840: abitanti n° 262
    popolazione anno 1843: abitanti n° 248

    Nome del luogo: Recenza

    69. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 66
    popolazione anno 1745: abitanti n° 161
    popolazione anno 1833: abitanti n° 244
    popolazione anno 1840: abitanti n° 237
    popolazione anno 1843: abitanti n° 218

    Nome del luogo: Jesa

    70. S. Michele (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 240
    popolazione anno 1745: abitanti n° 252
    popolazione anno 1833: abitanti n° 415
    popolazione anno 1840: abitanti n° 421
    popolazione anno 1843: abitanti n° 435

    Nome del luogo: al Santo

    71. SS. Jacopo
  •    pag. 236 di 255
    e Filippo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 51
    popolazione anno 1745: abitanti n° 71
    popolazione anno 1833: abitanti n° 99
    popolazione anno 1840: abitanti n° 98
    popolazione anno 1843: abitanti n° 89

    VIII. VICARIATO DI MONTERONI

    Nome del luogo: Monteroni con Arbiola

    72. SS. Giusto e Donato (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 251
    popolazione anno 1745: abitanti n° 309
    popolazione anno 1833: abitanti n° 369
    popolazione anno 1840: abitanti n° 412
    popolazione anno 1843: abitanti n° 390

    Nome del luogo: Cuna

    73. SS. Jacopo e Cristofano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 136
    popolazione anno 1745: abitanti n° 172
    popolazione anno 1833: abitanti n° 356
    popolazione anno 1840: abitanti n° 327
    popolazione anno 1843: abitanti n° 320

    Nome del luogo: Quinciano

    74. S. Albano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 44
    popolazione anno 1745: abitanti n° 79
    popolazione anno 1833: abitanti n° 134
    popolazione anno 1840: abitanti n° 136
    popolazione anno 1843: abitanti n° 127

    Nome del luogo: Ponte a Tressa

    75. S. Angelo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 95
    popolazione anno 1745: abitanti n° 125
    popolazione anno 1833: abitanti n° 247
    popolazione anno 1840: abitanti n° 165
    popolazione anno 1843: abitanti n° 158

    Nome del luogo: Grania con Ponzano

    76. S. Martino (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 78
    popolazione anno 1745: abitanti n° 139
    popolazione anno 1833: abitanti n° 159
    popolazione anno 1840: abitanti n° 207
  •    pag. 237 di 255
    /> popolazione anno 1843: abitanti n° 205

    Nome del luogo: Leonina con Ripa Medani

    77. S. Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 139
    popolazione anno 1745: abitanti n° 211
    popolazione anno 1833: abitanti n° 249
    popolazione anno 1840: abitanti n° 262
    popolazione anno 1843: abitanti n° 277

    Nome del luogo: Isola d’Arbia con Borgovecchio

    78. S. Ilario (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 150
    popolazione anno 1745: abitanti n° 91
    popolazione anno 1833: abitanti n° 139
    popolazione anno 1840: abitanti n° 129
    popolazione anno 1843: abitanti n° 129
               
    Nome del luogo: Colle Malamerenda

    79. SS. Simone e Giuda (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 22
    popolazione anno 1745: abitanti n° 111
    popolazione anno 1833: abitanti n° 125
    popolazione anno 1840: abitanti n° 145
    popolazione anno 1843: abitanti n° 135

    Nome del luogo: Collanza con Medane Spennazzi

    80. S. Giovanni Decollato (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 123
    popolazione anno 1745: abitanti n° 132
    popolazione anno 1833: abitanti n° 121
    popolazione anno 1840: abitanti n° 136
    popolazione anno 1843: abitanti n° 131

    Nome del luogo: Lucignano d’Arbia con S. Maria al Pino

    81. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 256
    popolazione anno 1745: abitanti n° 549
    popolazione anno 1833: abitanti n° 703
    popolazione anno 1840: abitanti n° 712
    popolazione anno 1843: abitanti n° 709

    N.B. Nel Vicariato di Monteroni dalla prima all’ultima epoca furono soppresse sei cure.

    IX. VICARIATO DI CIVITELLA
  •    pag. 238 di 255
    DI PARI

    Nome del luogo: Civitella di pari con l’Abbadia Ardenghesca

    82. S. Maria in Montibus (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 530
    popolazione anno 1745: abitanti n° 171
    popolazione anno 1833: abitanti n° 692
    popolazione anno 1840: abitanti n° 639
    popolazione anno 1843: abitanti n° 598

    Nome del luogo: Casenovole

    83. S. Giovanni Evangelista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 127
    popolazione anno 1745: abitanti n° 96
    popolazione anno 1833: abitanti n° 130
    popolazione anno 1840: abitanti n° 149
    popolazione anno 1843: abitanti n° 142

    Nome del luogo: Paganico

    84. S. Michele (Prepositura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 391
    popolazione anno 1745: abitanti n° 84
    popolazione anno 1833: abitanti n° 238
    popolazione anno 1840: abitanti n° 240
    popolazione anno 1843: abitanti n° 241

    Nome del luogo: Montantico

    85. S. Tommaso (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 100
    popolazione anno 1745: abitanti n° 145
    popolazione anno 1833: abitanti n° 203
    popolazione anno 1840: abitanti n° 196
    popolazione anno 1843: abitanti n° 215

    Nome del luogo: Pari

    86. S. Biagio (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 523
    popolazione anno 1745: abitanti n° 463
    popolazione anno 1833: abitanti n° 605
    popolazione anno 1840: abitanti n° 733
    popolazione anno 1843: abitanti n° 733

    N.B. Il popolo soppresso della Badia Ardenghesca era compreso nella Diocesi di Grosseto.

    X. VICARIATO DI MURLO

    Nome del luogo: Murlo di Vescovado

    87. S. Fortunato (Pieve)
    popolazione anno 1640:
  •    pag. 239 di 255
    abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 639
    popolazione anno 1833: abitanti n° 734
    popolazione anno 1840: abitanti n° 745
    popolazione anno 1843: abitanti n° 717

    Nome del luogo: Crevole

    88. S. Cecilia (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 104
    popolazione anno 1833: abitanti n° 105
    popolazione anno 1840: abitanti n° 113
    popolazione anno 1843: abitanti n° 115

    Nome del luogo: San Giusto

    89. S. Salvatore (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 71
    popolazione anno 1833: abitanti n° 107
    popolazione anno 1840: abitanti n° 104
    popolazione anno 1843: abitanti n° 90

    Nome del luogo: Monte Pescini

    90. SS. Pietro e Paolo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 102
    popolazione anno 1833: abitanti n° 108
    popolazione anno 1840: abitanti n° 132
    popolazione anno 1843: abitanti n° 106

    Nome del luogo: Casciano di Vescovado

    91. SS. Giusto e Clemente (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 454
    popolazione anno 1833: abitanti n° 634
    popolazione anno 1840: abitanti n° 641
    popolazione anno 1843: abitanti n° 626

    Nome del luogo: Monte Pertuso

    92. S. Michele (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 198
    popolazione anno 1833: abitanti n° 240
    popolazione anno 1840: abitanti n° 283
    popolazione anno 1843: abitanti n° 237

    Nome del luogo: Vallerano
  •    pag. 240 di 255
    />
    93. S. Donato (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 72
    popolazione anno 1833: abitanti n° 94
    popolazione anno 1840: abitanti n° 98
    popolazione anno 1843: abitanti n° 101

    Nome del luogo: Sovignano

    94. S. Stefano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 45
    popolazione anno 1745: abitanti n° 109
    popolazione anno 1833: abitanti n° 97
    popolazione anno 1840: abitanti n° 103
    popolazione anno 1843: abitanti n° 111

    N.B. Le parrocchie di Murlo di Vescovado nella prima epoca mancano della loro popolazione, per essere stati allora quei popoli feudatarj degli arcivescovi di Siena.

    XI. VICARIATO DI BARONTOLI

    Nome del luogo: Brontoli con Viteccio

    95. S. Pietro (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 336
    popolazione anno 1745: abitanti n° 443
    popolazione anno 1833: abitanti n° 477
    popolazione anno 1840: abitanti n° 457
    popolazione anno 1843: abitanti n° 484

    Nome del luogo: Fogliano

    96. S. Giovanni Battista (Prepositura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 94
    popolazione anno 1745: abitanti n° 126
    popolazione anno 1833: abitanti n° 151
    popolazione anno 1840: abitanti n° 150
    popolazione anno 1843: abitanti n° 151

    Nome del luogo: Canonica a Pilli

    97. S. Bartolommeo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 393
    popolazione anno 1745: abitanti n° 429
    popolazione anno 1833: abitanti n° 617
    popolazione anno 1840: abitanti n° 587
    popolazione anno 1843: abitanti n° 596

    Nome del luogo: Sovicille, al Ponte allo Spino , o alla Pieve Vecchia
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    98. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 271
    popolazione anno 1745: abitanti n° 492
    popolazione anno 1833: abitanti n° 569
    popolazione anno 1840: abitanti n° 553
    popolazione anno 1843: abitanti n° 522

    Nome del luogo: Ginestreto con Fonte Benedetta e Formicaja

    99. S. Donato (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 177
    popolazione anno 1745: abitanti n° 74
    popolazione anno 1833: abitanti n° 81
    popolazione anno 1840: abitanti n° 79
    popolazione anno 1843: abitanti n° 71

    Nome del luogo: Montecchio con la Costa al Pino

    100. S. Andrea (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 275
    popolazione anno 1745: abitanti n° 351
    popolazione anno 1833: abitanti n° 448
    popolazione anno 1840: abitanti n° 453
    popolazione anno 1843: abitanti n° 436

    Nome del luogo: Cerreto alla Selva

    101. S. Stefano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 66
    popolazione anno 1745: abitanti n° 101
    popolazione anno 1833: abitanti n° 83
    popolazione anno 1840: abitanti n° 88
    popolazione anno 1843: abitanti n° 95

    Nome del luogo: Monsindoli con Trojola

    102. S. Pietro (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 289
    popolazione anno 1745: abitanti n° 174
    popolazione anno 1833: abitanti n° 231
    popolazione anno 1840: abitanti n° 238
    popolazione anno 1843: abitanti n° 240

    Nome del luogo: alle Volte

    103. S. Bartolommeo (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 103
    popolazione anno 1745: abitanti n° 169
    popolazione anno 1833: abitanti n° 174
    popolazione anno 1840: abitanti
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    n° 149
    popolazione anno 1843: abitanti n° 148

    N.B. Nel Vicariato di Brontoli dalla prima all’ultima epoca compariscono quattro popoli di meno

    XII. VICARIATO DI ROSIA

    Nome del luogo: Rosia

    104. S. Giovanni Battista (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 25
    popolazione anno 1745: abitanti n° 309
    popolazione anno 1833: abitanti n° 410
    popolazione anno 1840: abitanti n° 474
    popolazione anno 1843: abitanti n° 454

    Nome del luogo: Sovicille (al Catello)

    105. S. Lorenzo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° -
    popolazione anno 1745: abitanti n° 500
    popolazione anno 1833: abitanti n° 644
    popolazione anno 1840: abitanti n° 630
    popolazione anno 1843: abitanti n° 642

    Nome del luogo: Castel d’Orgia

    106. S. Bartolommeo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 222
    popolazione anno 1745: abitanti n° 240
    popolazione anno 1833: abitanti n° 269
    popolazione anno 1840: abitanti n° 333
    popolazione anno 1843: abitanti n° 305

    Nome del luogo: Pentolina

    107. S. Bartolommeo (Pieve)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 49
    popolazione anno 1745: abitanti n° 49
    popolazione anno 1833: abitanti n° 87
    popolazione anno 1840: abitanti n° 100
    popolazione anno 1843: abitanti n° 103

    Nome del luogo: Badia a Torri

    108. S. Mustiola (Prioria)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 153
    popolazione anno 1745: abitanti n° 193
    popolazione anno 1833: abitanti n° 281
    popolazione anno 1840: abitanti n° 298
    popolazione anno 1843: abitanti n° 290

    Nome del luogo: Brenne

    109. S. Michele (Prioria)
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    /> popolazione anno 1640: abitanti n° 128
    popolazione anno 1745: abitanti n° 195
    popolazione anno 1833: abitanti n° 354
    popolazione anno 1840: abitanti n° 304
    popolazione anno 1843: abitanti n° 287

    Nome del luogo: Stigliano

    110. SS. Fabiano e Sebastiano (Cura)
    popolazione anno 1640: abitanti n° 247
    popolazione anno 1745: abitanti n° 359
    popolazione anno 1833: abitanti n° 380
    popolazione anno 1840: abitanti n° 416
    popolazione anno 1843: abitanti n° 439

    N.B. Nel Vicariato di Rosia fra la prima e l’ultima epoca non compariscono soppressioni di parrocchie

    Totale popolazione anno 1640: abitanti n° 31391
    Totale popolazione anno 1745: abitanti n° 37285
    Totale popolazione anno 1833: abitanti n° 47920
    Totale popolazione anno 1840: abitanti n° 49569
    Totale popolazione anno 1843: abitanti n° 49665

    RICAPITOLAZIONE
    Il numero totale delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA comparisce

    Nell’anno 1640 di Popoli N° 151 (*) con Abitanti N° 31391
    Nell’anno 1745 di Popoli N° 118 con Abitanti N° 37285
    Nell’anno 1843 di Popoli N° 110 con Abitanti N° 49665

    (*) Meno il feudo di Murlo di Vescovado.

    COMPARTIMENTO SANESE

    Con la legge del 18 marzo 1766 Io Stato sanese fu diviso in due governi separati, che uno spettante alla Provincia inferiore, capoluogo Grosseto, e l'altro alla Provincia superiore capo della quale fu la città di Siena.
    Con la legge del 27 giugno 1814 fu variata denominazione a tutte due le Province sanesi, al pari della fiorentina e della pisana, sostituendovi il titolo di Compartimenti, ed affidandone la
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    direzione ad un soprintendente per la parte economica delle rispettive Comunità dei luoghi pii comunitativi, oltre la sorveglianza alle deputazioni de' fiumi, all’esazione della tassa di famiglia, alla collezione de’ fondi necessarj al mantenimento delle strade provinciali, e per la parte economica ai lavori delle strade medesime e di quelle regie.
    Alle quattro Camere di soprintendenza comunitativa, ossia ai quattro Compartimenti economici del Granducato, con motuproprio del primo novembre 1825 venne aggiunto il quinto Compartimento di Arezzo formato in gran parte di quelli di Firenze e di Siena. Nella quale occasione furono smembrate dal Compartimento sanese le Comunità di Val di Chiana; cioè, di Chiusi, Cetona, Sarteano, Chianciano, Torrita, Asinalunga e Lucignano, mentre con altra legge dell'anno 1840 fu staccata dal Compartimento sanese la Comunità di Montieri per assegnarla a quello di Grosseto.
    Con altro motuproprio del 29 dicembre 1840 fu rinnovato il dipartimento della Soprintendenza generale alle Comunità del Granducato di Toscana, ad oggetto d'invigilare all'esatta osservanza della legislazione commutativa, come pure rispetto alla direzione del nuovo catasto.
    II Compartimento di Siena attualmente è formato di 33 Comunità comprese in undici Cancellerie comunitative.

    STRADE REGIE E PROVINCIALI CHE ATTRAVERSANO IL COMPARTIMENTO SANESE.

    STRADE REGIE

    1. Strada Regia postale Romana. Dai confini della Comunità di Poggibonsi con quella di Barberino di Val d'Elsa fino all'osteria della Torricella in Comunità di S. Casciano de' Bagni, attraversando le Comunità di Poggibonsi e di MonteReggioni e rasentando i confini delle Comunità suburbane del Terzo di Città e del Terzo di S. Martino prima di arrivare e dopo escita dalla città di Siena; quindi passando per le Comunità di Monteroni, di Buonconvento, di Montalcino, di San Quirico, di Castiglion d'Orcia, dell'Abbazia di S. Salvadore, di Radicofani, e di S. Cascian de'Bagni. – Nel 1843 sotto stati fatti dei lavori per correggere  l'ardua costa di Ricorsi, non che al ponte del Formone.
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    />
    2. Strada Regia da Siena ad Arezzo. – Dalla Porta Pispini della città di Siena attraversando la Comunità del Terzo di S. Martino e per breve tragitto quella d'Asciano. Essa rasenta per lungo trattola vallecola del torrente Biene in Comunità, di Castelnuovo della Berardenga, quindi passando per quella di Rapolano sale sul monte di Palazzuolo dove sul confine occidentale della Comunità del Monte S. Savino trova il Compartimento aretino. – In questa strada nel 1843 è stato costruito un bel ponte nuovo che attraversa il torrente Bozzone.

    3. Strada Regia Suburbana occidenta le di Siena. – Staccasi dalla Regia postale Romana presso la Porta di Camullia e per Pescaja scende nel torrente Tressa per congiungersi alla strada Regia Grossetana che trova al Chiesino di S. Carlo. Nell'anno 1843 é stata corretta e resa questa strada più agevole nella salita di Pescaja.

    4. Strada Regia Grossetana. – Esce dalla Porta S. Marco scende per la Costa a Fabbri in  Tressa, quindi risale la Co sta al Pino attraversando la Comunità delle Masse del Terzo di Città, poscia i territorj comunitativi di Sovicille e Murlo, dove passa la Merse sul ponte a Macereto, di là inoltrandosi nella Comunità di Monticiano, entra in quella di Campagnatico sino al ponte di Petriolo sulla Farma, ponte dove comincia il Compartimento di Grosseto.
    Nel 1843 ed anche nell'anno attuale si lavora fuori della Porta S. Marco in questi strada per rendere meno ripida l'ardua salita della Costa a Fabbri, onde arrivare più agevolmente dal piano della Tressa alla Porta S. Marco.

    STRADE PROVINCIALI

    1. Strada Chiantigiana. – Entra nel Compartimento sanese al confine della Comunità di Greve con quella di Radda, il di cui territorio attraversa dirigendosi nella Comunità di Gajole sino alla
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    strada Regia Aretina che incontra nella Vallecola di Biena per arrivare al ponte detto di Grillo sull'Ombrone in Comunità di Castelnuovo della Berardenga.
    2. Strada da Levane alla Val di Biena. – Dopo rimontata la Val d'Ambra entra nel Compartimento sanese nel poggio di Montalto per dirigersi al ponte di Grillo.
    3. Strada Lauretana. – Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte delle Taverne d'Arbia passando per il territorio di Asciano, di Rapolano e di Trequanda, sul di cui confine trova la Comunità di Asinalunga del Compartimento aretino.
    4. Strada da Siena a Cortona , o de' Vallesi. – Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte di Grillo sull'Ombrone in Comunità di Castelnuovo Berardenga, di là per Rapolano ed i Vallesi arriva sul confine della Comunità di Lucignano spettante al Compartimento aretino.
    5. Strada traversa del Sentino. – Diramasi dalla strada qui sopra  nominata in Comunità di Rapolano per arrivare sulla strada Lauretana che  trova  presso S. Gimignanello dentro la stessa Comunità.
    6. Strada traversa de' Monti. – Entra nel Compartimento sanese sul confine d'Asinalunga e per il territorio comunitativo di Trequanda si dirige a Montisi, scende a S. Giovanni d'Asso e a Torrenieri, sale a Montalcino, quindi per Poggio alle Mura giunge sul confine della Comunità di Campagnatico, dove ai Cannicci si unisce alla strada Regia Grossetana.
    7. Strada del Monte Amiata. – Staccasi dalla Regia postale Romana alla posta della Poderina, e salendo a Castiglion d'Orcia di là si dirige nel Compartimento grossetano passando per Castel del Piano, Arcidosso e Santa-Fiora, di dove ritorna nel Compartimento sanese a Pian-Castagnajo, per scendere sulla strada Regia postale Romana al Ponte a Rigo in Comunità di S. Casciano de'Bagni.
    Strada Traversa dalla Via regia Ro mana all'Aurelia.
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    – Parte dalla via suddetta sotto Pian-Castagnajo dirigendosi  per la Sforzesca, dov'entra nel Compartimento grossetano, nel quale prosegue per S. Giovanni delle Contee, Sorano, Pitigliano ecc.
    Strada da Siena o Massa. – Staccasi sulla Costa al Pino dalla Regia Grossetana fino alla strada seguente di Follonica.
    10.       Strada da Poggibonsi a  Folloni ca. – Strada magnifica che staccasi dalla postale Romana presso al ponte sulla Staggia passando per le Comunità di Poggibonsi, di Colle, di Casole, di Radicondoli, di Elei,di là dalla quale entra nelle Comunità di Montieri e di Massa spettanti al Compartimento grossetano, e dentro questo arriva al ponte imbarcatore a Follonica.
    11. Strada da Siena a Volterra. – Staccasi dalla strada Regia Romana presso Monteriggioni fino a che a Monte Miccioli entra nella strada provinciale volterrana passando per le Comunità di Monteriggioni, di Colle e di San Gimignano.

    PROSPETTO delle Comunità del COMPARTIMENTO SANESE distribuite per Cancellerie con la respettiva superficie e popolazione

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:

    - 1. SIENA, Città, Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: ( ERRATA : 41236) 412,36
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 18813
    - Masse del Terzo di Città
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 16488
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 4443
    - Masse del Terzo di S. Martino
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 16808
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 4434
    - Castelnuovo Berardenga
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Ombrone senese
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 50661
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 6663
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    /> - Monteroni
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 32082
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3086

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 2. ASCIANO, Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Ombrone senese
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 61142
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 6356
    - Rapolano
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Ombrone senese
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 23039
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 6335
    - Trequanda
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Asso
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 22997
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2262

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 3. CHIUSDINO, Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 38803
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3513
    - Elci
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Cecina
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 18669
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1263
    - Monticiano
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 30704
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1966

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 4. COLLE, Città, Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Elsa
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 26178
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 5351
    - Monteriggioni
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Elsa
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 28304
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3289
    - Poggibonsi
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Elsa
    superficie
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    territoriale della Comunità in Quadrati: 19815
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 5176

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 5. MONTALCINO, Città, Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Asso
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 26178
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 5351
    - Buonconvento
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Ombrone senese
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 18165
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2696
    - Murlo
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Ombrone senese
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 32347
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2369

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 6. SAN GIMIGNANO Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Elsa
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 40066
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 6072

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 7. SAN QUIRICO Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Orcia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 12087
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1574
    - Pienza, Città
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Orcia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 34489
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3193
    - Castiglion d’Orcia
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Orcia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 30201
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1865
    - S. Giovanni d’Asso
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Asso
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 14011
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1304

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 8. RADICOFANI Cancelleria
    valle in cui
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    è compreso il capoluogo: Val di Paglia e d’Orcia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 33215
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2412
    - San Cascian de’Bagni
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 25659
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2747

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 9. RADDA Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Pesa
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 22945
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2767
    - Castellina in Chianti
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Elsa e Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 28240
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3268
    - Gajole
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arbia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 36954
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 4398
    - Cavriglia
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val d’Arno superiore
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 17322
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 3759

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 10. RADICONDOLI Cancelleria
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 18636
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1968
    - Casole
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 42329
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 1568
    - Sovicille
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 41007
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 7410

    Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le Comunità dipendenti:
    - 11. ABBADIA S. SALVADORE Cancelleria
    valle in cui
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    è compreso il capoluogo: Val di Paglia e d’Orcia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 26214
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 4149
    - Pian Castagnajo
    valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia
    superficie territoriale della Comunità in Quadrati: 19647
    popolazione della Comunità all’anno 1833: abitanti n° 2623

    - TOTALE superficie territoriale delle Comunità in Quadrati: ( ERRATA : 987549) 946725, 36
    - TOTALE popolazione delle Comunità all’anno 1833: abitanti n° 135640

    SIENA citta’ – Dopo il suo assedio si aggiunga: Fa anco conoscere il dispetto che il popolo di una repubblica superstite in Toscana (di Lucca) sentiva per la conquista di Siena non solo la congiura macchinata del Burlamacchi, ma ancora una lettera pubblicata dal Gaye nel Volume III del Carteggio inedito di Artisti al N.° XIX. Nella quale scriveva il maestro generale dell’ Altopascio (Conte Capponi)in data del 14 agosto 1559 al Duca Cosimo così: Non lascerò di dire a V. E. come in Lucca hanno sentito la cosa di Siena amaramente,massime la plebe, cui n’ ha dato causa una lettera dell'ambasciatore Lucchesini a quella Signoria con avviso, che domandando egli a Giorgino (Vasari) perché avesse lasciato certo quadro in bianco? rispose: per mettervi Lucca. Al che io replicai a chi me ne parlò, che la licenza e leggerezza di un pittore non meritava considerazione più che tanto. Dove si parla dell'antichità della antichità della Fonte Branda si rammenti la carta del 1087 pubblicata nelle Ant. M. Aevi, Dissert. LXI del Muratori, in cui è fatta menzione delle Fonti di Vetrice e Branda di Siena.
    Al Quadro dei popoli componenti la Città e Comunità di Siena, fra le antiche cure soppresse deve aggiungersi quella di S. Vigilio, rammentata sino dal secolo XIII in un istrumento rogato lì 24 marzo 1291 da
  •    pag. 252 di 255
    Ser Bartolo del fu Ranieri del popolo di S. Vigilio di Siena. –(Arch. Dipl. Fior. Carte del convento di S. Agostino di Siena. )
    Di più fra le membrane del convento testé citato una del 2 aprile 1284 ne assicura che la chiesa parrocchia di S. Agata al poggio di Siena, previo il consenso prestato dai loro patroni, fu riunita da Rainaldo vescovo di delta città al convento e chiesa degli Eremitani di S. Agostino.
    La ComunitA' di Siena nel 1845 contava 20637, come appresso:

    Siena, S. Andrea, Abitanti N°   724
    Siena, S. Antonio Abate, Abitanti N° 892
    Siena, S. Clemente ai Servi, Abitanti N°  1105
    Siena, S. Cristofano, Abitanti N° 1002
    Siena, S. Donato, Abitanti N° 1768
    Siena, S. Gio. Battista, Abitanti N°  2495
    Siena, S. Martino, Abitanti N° 2187
    Siena, S. Maurizio in S. Spirito, Abitanti N° 1684
    Siena, S. Pellegrino alla Sapienza, Abitanti N° 833
    Siena, S. Pietro in Castelvecchio, Abitanti N° 1444
    Siena, S. Pietro alla Magione, Abitanti N°  644
    Siena, S. Pietro a Ovile, Abitanti N° 1699
    Siena, SS. Pietro e Paolo, Abitanti N° 456
    Siena, SS. Quirico e Giulitta, Abitanti N° 1607
    Siena, S. Salvatore in S. Agostino, Abitanti N° 1148
    Siena, S. Stefano, Abitanti N°  598
    Ebrei, Abitanti N° 351
    Totale, Abitanti N.° 20637


    ARCIVESCOVATI DELLA TOSCANA. Sono quattro: Firenze, Pisa, Siena e Lucca. – Il primo per ordine di anzianità è quello di Pisa; creato nel 1092 dal pontefice Urbano II, che ne investì Daiberto, il celebre conduttore della Crociata toscana alla conquista di Gerusalemme; decorandolo del titolo di Patriarca, di Metropolitano della Corsica, e di Primate della Sardegna.
    I vescovi
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    suoi suffraganei furono quelli di Ajaccio, di Aleria e di Sagona nella Corsica. Nel continente toscano aveva quello di Populonia, dato in seguito (1459) all’Arcivescovo di Siena, aggiuntivi più tardi i vescovi di Livorno e di Pontremoli.
    Secondo, rapporto all’epoca, primo come Mtropolitano è l’Arcivescovato di Firenze che conta quest’onoreficenza dall’anno 1420, quando Martino V ne rivestì il Vescovo Amerigo Corsini. Sono suffragenei della chiesa fiorentina i Vescovi di Fiesole, di Pistoja e di Prato, di Sansepolcro, di Colle e di Sanminiato.
    La cattedrale di Siena fu eretta in chiesa Arcivescovile dal pontefice Pio II con bolla dell’anno 1459, con la quale le furono date per cattedrali suffragenee quelle di Chiusi, di Sovana, di Grosseto e di Massa marittima.
    All’antico Vescovato di Lucca fu dal pontefice Benedetto XIII accordato nel 1726 il titolo Archiepiscopale molto dopo le onorificenze del pallio e della croce che godeva sino dal secolo XII per bolla di Callisto II del 1120.
    Ebbe un Vescovo suffraganeo nel 1822, quando fu eretto il nuovo Vescovato di Massa di Carrara con una porzione della Diocesi di Sarzana e quella di Lucca.

    ZECCHE DIVERSE della Toscana. – Le Zecche più antiche della Toscana sono quelle di Lucca, di Pisa e di Firenze. Le prime due incominciarono a coniare lire, soldi e denari di argento e di oro fino dai tempi Longobardi, quella però di Firenze fu posteriore allo stabilimento della sua repubblica. Ignazio Orsini, per lasciare di tanti altri scrittori, ha occupato un intiero libro per riportare i vari conj col nome de' zecchieri sotto la repubblica fiorentina, a partire dal 1252, epoca in cui Firenze cominciò a battere la buona moneta del fiorino d’ oro. Infatti debbesi ai Fiorentini la gloria di essere stati i primi a ristabilire in Italia il conio delle monete pure di oro abbandonato per lungo tempo dalle altre città. Di epoca quasi contemporanea, ma sul declinare del
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    secolo XII sono le Zecche delle città di Siena, di Volterra e di Arezzo, cui succederono le lire Cortones.i Tratto con criterio delle prime il Sig. Giuseppe Porri in un bel Saggio sulla Zecca sanese pubblicato nel 1844; disertò sulle seconde il ch. Pagnini nella sua Opera della Decima, e discorsero della terza il Cav. Guazzesi e di recente il Dott. Antonio Fabroni, mentre versò sulle monete di Cortona il cortonese Alticozzi in un capitolo della sua Lettera apologetica al libro dell’ antico Dominio del Vescovo di Areno in Cortona.
    Di breve durata fu la Zecca di Massa Marittima, e dubbie mi sembrano le monete attribuite alle città di Pistoja e di Chiusi.
    Le Zecche più recenti della Toscana sono quelle de' marchesi Malaspina di Fosdinovo e de' marchesi Cybo Malaspina di Massa di Carrara, la prima instituita o piuttosto ripristinata nel 1666, ed ora soppressa; la seconda aperta in Massa nel 1550, e tuttora esistente al pari di quelle di Lucca, di Firenze e di Pisa, l' ultima delle quali trovasi riunita alla Zecca di Firenze. Tutte le altre sono state da lunga mano inibite, oppure soppresse.

    VIA REGIA SUBURBANA DI SIENA. Entra solo nella classe delle strade regie quella denominata di Pescaja , la quale staccasi dalla Via postale Romana fuori di Porta Camullia e di costà dirigendosi a libeccio scende in Tressa per riunirsi alla Via regia Grossetana al luogo detto S. Carlo dopo la traversa di miglia toscane 1, 69.

    FONTE BRANDA DI SIENA. – Vedere SIENA COMUNITA’ Volume V. pag. 363, cui si può aggiungere, che la prima menzione che si trovi di quella famosa
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    Fonte Branda risale all’anno 1084 (MURAT. Ant. M. Aevi, Diss. 61.)
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Localizzazione
ID: 3914
N. scheda: 48390
Volume: 1; 5; 6S
Pagina: 109 - 110; 295 - 396, 729, 838 - 839; 103, 234
Riferimenti:
Toponimo IGM: Siena
Comune: SIENA
Provincia: SI
Quadrante IGM: 120-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1688805, 4798782
WGS 1984: 11.32925, 43.31974
UTM (32N): 688869, 4798956
Denominazione: Siena - Arcivescovati della Toscana (Arcivescovato di Siena) - Zecche Diverse (Siena) - Via Regia suburbana di Siena - Fonte Branda di Siena
Popolo: S. Giovanni Battista a Siena (con annesso S. Desiderio e Spedale della Scala)
Piviere: S. Giovanni Battista a Siena (con annesso S. Desiderio e Spedale della Scala)
Comunità: Siena
Giurisdizione: Siena
Diocesi: Siena
Compartimento: Siena
Stato: Granducato di Toscana
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