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Vada - Padule di Vada

 

(Vada)

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    VADA (Vada Volterrana). Porto antico, e ora cala frequentata e capace a ricevere i legni di mezzo bordo in una insenatura del mare toscano difesa da una torre armata per guardia del porto, fra la foce del fiume Fine e quella del fiume Cecina, il cui paese ebbe una parrocchia plebana (SS. Giovanni e Paolo) da lunga mano riunita a quella de' SS. Giovanni e Ilario a Rosignano che resta circa tre miglia toscane al suo settentrione nella Comunità e Giurisdizione medesima, Diocesi e Compartimento di Pisa.
    Questo porto celebrato da cicerone, da Plinio e da Rutilio Namaziano appellavasi fino d'allora
    Vada, forse a cagione della sua posizione palustre, e Vada Volaterrana, per la ragione che nei tempi della repubblica romana doveva essere compreso nel contado volterrano, il quale probabilmente estendevasi da questo alto sino al fiumicello che porta tuttora il nome di Fine. – Vedere a FINE.
    All'
    Articolo poi ALBINO CECINA (VILLA di) rammentandomi della descrizione fatta verso il 415 o 420 dal consolare C. Rutilio Namaziano nel suo itinerario marittimo dopo essere sbarcato a vada per passare una notte nella villa suddetta, dicendola situata sopra le salse paludi di Vada, propendevo a credere che fosse quella villa nel luogo detto oggi la Villana, posta a piè del poggio di Rosignano nei possessi del Sig. Salvetti, da cui ebbi un dono il sigillo di un figulinajo in cui erano scolpite le parole, Regule Vivas, simile a quello indicato dal Professor Antonio Targioni Tozzetti e scoperto di corto a Montaceto col marchio, Batis Vivas. – (analisi delle acque di Montalceto del Prof. Predetto pag. 13 in nota).
    Il di lui avo Giovanni Targioni Tozzetti nei suoi Viaggi diede una giusta
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    idea del porto di Vada, dicendo: che la sua sicurezza dipende da due secche, una delle quali denominata Val di Veiro, è quella che propriamente costituisce il molo e la sua imboccatura situata a scirocco del porto, aggiungendo: che il suo ingresso non è così facile a prendersi dai piloti non pratici. – La stessa dubbia imboccatura fu assai bene descritta da Rutilio Namaziano nel suo Itinerario, allorché canto:

    In Volterranum vero, Vada nomine, traetum
    Ingressum dubii tramitis alta lego.

    Agli Articoli LITTORALE TOSCANO, GROSSETO, e SUVERETO (PADULE di) fu detto: che la cala di Vada con davanti il sua banco di arena si manteneva tuttora quasi a un dipresso com'era al tempo di Rutilio Namaziano, dal quale fu descritto il difficile ingresso indicato fino d'allora da due antenne che si praticavano costà alla sua imboccatura:

    Incertar gemina discriminat arbore fauces
    Defixasque offert limes uterque sudes.

    Se devessi prestar fede alla Tavola di Peutinger, ed all'Itinerario di Antonino, è da credere che passasse da Vada fino dai tempi della Repubblica romana la strada consolare Aurelia nuova, detta poi Emilia di Scauro, giacche la Tavola Peutingeriana segna costì una mansione di quella via. – Vedere VIA EMILIA di SCAURO.
    Non si sa, dirò col Targioni, quando per la prima volta
    Vada fosse compresa nel territorio pisano, comecchè non lascia alcun dubbio, che le sue saline esistessero nel littorale di Vada l'asserto di Rutilio Namaziano che le rammentò. Che esse poi continuassero anche nei secoli longobardici, ne fanno prova varie membrane degli Arch. Arciv. di Pisa e di Lucca, e l'atto di fondazione della Badia di Palazzuolo presso Monteverdi (anno 753), nel quale si rammentano le Saline di Vada possedute almeno in parte dal
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    nobile suo fondatore Walfredo figlio del fu Ralgauso di Pisa.
    Tre altri nobili fratelli pisani, che nel 780 fondarono la Badia di S. Savino presso Calci, donarono allo stesso luogo pio la loro parte delle saline col padronato della
    chiesa de SS. Giovanni e Paolo di Vada. La qual chiesa trovasi qualificata plebana in un atto pubblico dell'Arch. Arciv. di Pisa del 26 aprile 1043 relativo all'offerta di alcuni beni fatti alla chiesa di S. Maria e S. Quirico a Moxi, atto che fu rogato in loco et finibus Vada prope ecclesia et plebe S. Johannis. – (MURAT. Antiq. Med. Aevi T. III.)
    Sino da quella remota età sembra pertanto che i Pisani estendessero la loro giurisdizione politica ed ecclesiastica anche a Vada, per cui il Castello col suo porto d'allora in poi lo troviamo in potere di quella Repubblica, la quale nel 1125 fece fortificarlo, e cingerlo di mura. Il
    placito e fodro dello stesso porto fu donato dall'Imperatore Corrado II a Balduino primo arcivescovo di Pisa con diploma del 19 luglio 1139.
    Ma nei secoli posteriori al mille molte carte relative alla Badia di S. Felice a Vada da lunga età disfatta esistono nell'
    Arch. Dipl. Fior. fra quelle delle monache di S. Paolo all'Orto di Pisa, cui quel monastero con i suoi beni fu ammensato.
    Comecchè di trovino delle elezioni di abati del 1030, pure le carte di quella provenienza non sono più antiche del 30 maggio 1040.
    È un istrumento rogato nei confini di Camajano (Castelnuovo della Misericordia) col quale due fratelli venderono al prete andrea un pezzo di terra con villa e case annesse poste nel loro
    Castel di Vada.
    In quanto alla storia politica le cronache pisane riportano all'anno 1079, o 1078, una visita ostile fatta,
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    sebbene senza successo, da una flotta genovese al Porto di Vada; ma ciò che non riescì loro nel 1079 accadde in una seconda comparsa fatta nel 1126 da altra flottiglia genovese, quando s'impadronì di Vada, che sembra ritenesse fino al 1165, epoca in cui essendo stato ripreso dai Pisani il porto di Vada, quel Comune deliberò di farlo riattare e fortificare.
    Già all'
    Articolo ROSIGNANO fu detto, che la mensa arcivescovile di Pisa acquistò vasti possessi tra Rosignano e Vada per donazione fattagli sino dal secolo XI dal Marchese Gottifredo di Toscana e dalla contessa Beatrice sua consorte, alla qual donazione sembra che volesse riferire il diploma imperiale dell'Imperatore Corrado II che nel 1139 concedeva alla mensa medesima anco il placito e il fodro di Vada e di Rosignano, mentre all'epoca stessa convalidava tuttociò il pontefice Innocenzo II quando accordò agli arcivescovi di Pisa il giuspadronato della pieve de' SS. Giovanni e Paolo di Vada.
    Arroge a tutto ciò qualmente poco innanzi (16 settembre 1136) don Rolando Abate del monastero di S. Felice a Vada aveva venduto ad Uberto arcivescovo di Pisa per la sua mensa la terza parte di terreni che il suo monastero possedeva in Pisa.
    Nel 1177 i due fratelli conte Gherardo e conte Ranieri del fu altro conte Gherardo, stando in Vada nel capitolo di detto monastero, fecero dono al medesimo di 25 pezzi di terre posti nel distretto e piviere di Rosignano, e segnatamente nel borgo denominato Cuccaro.
    Dipoi donna Erminia contessa moglie del predetto conte Ranieri, dal suo castello di
    Montescudajo, e donna Adelasia moglie del conte Gherardo sopranominato, stando nel castello di Guardistallo, confermarono la stessa donazione.
    Con istrumento poi del 25 giugno 1190 don Benedetto abate del monastero stesso di Vada alienò un pezzo di terra della sua
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    badia situato nei confini di Vada e Rosignano.
    Anche nel primo luglio del 1206 don Barone abate del monastero predettosi obbligava pagare alla mensa arcivescovile di Pisa l'annuo censo di 24
    denari nuovi di moneta pisana per l'uso delle acque del fiume Fine, a partire dalla sommità del bosco di Rosignano sino al mare. – Vedere ROSIGNANO.
    Ma non era ancora avanzato il secolo XIII che il monastero di S. Felice a Vada era ridotto al solo abate e ad un monaco, siccome lo manifesta un rogito del 1221, col quale don Rustico abate di S. Felice a Vada col consenso di Romerio unico monaco, che esisteva in quel monastero e dei
    consoli di Vada, affittò la metà di un mulino posto presso il ponte di Fine.
    Nel 1244 vertendo controversia fra l'abate del monastero di S. Felice a Vada ed il pievano di detto luogo sopra il diritto de' defunti, fu compromessa la lite in Vitale arcivescovo di Pisa, il quale con lodo del 21 gennaio 1245 dichiarò, che tutti coloro che venissero di nuovo ad abitare in detto Castello, o che fabbricassero abitazioni nei confini della pieve di Vada, si seppellissero appresso quest'ultima. – (loc. cit.)
    Da qual lodo sembra non solo apparire, che la chiesa del monastero di Vada fosse parrocchiale, ma che il suo popolo abitasse dentro il paese, mentre la pieve di Vada secondo il solito esser doveva situata nell'aperta campagna.
    Ma il monastero di S. Felice a Vada continuò per più poco ad essere retto ed abitato dai monaci, mentre nel 1255 vi erano entrate le donne. A queste infatti è diretta una bolla del pontefice Alessandro IV, con la quale ordina che quelle recluse stassero sotto la regola de'f rati predicatori; e lo dichiara una seconda
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    bolla dello stesso pontefice del 29 settembre 1257 diretta all'abate cistercense di S. Pantaleone della diocesi di Lucca ed al guardiano dei Frati Minori di Pisa, affinché assegnassero il monastero di S. Felice a Vada con tutti i suoi beni alle monache di S. Agostino di via Romea vicino a Pisa, le quali suore avevano abitato il monastero de' SS. Filippo e Jacopo di Cassandra, a condizione di pagare esse monache una pensione vitalizia all'abate di Vada e ad un altro monaco di quella Badia.
    Rispetto alla pieve di Vada ed all'unione del suo popolo a quello di
    Rosignano, vedasi quest'ultimo Articolo.
    Ritornando frattanto alla sua storia civile aggiungerò, qualmente nel 1284 fu incominciato a fondarsi dal Comune di Pisa un faro davanti al porto di Vada nella secca appellata
    Val di Vetro, e che nello statuto pisano del 1285 furono assegnati per tal lavoro 300 denari pisani il mese, oltre le varie esenzioni e privilegj che il governo concedeva a coloro che fossero andati ad abitare in Vada; segno non dubbio che codesta spiaggia sino d'allora era malsana, a cagione probabilmente delle acque miste alle dolci e stagnanti in quel padule.
    Finalmente dopo varie vicende il porto col paese di Vada nel 1405 cadde in mano de' Fiorentini, ai quali si sottomise per atto del 10 febbrajo dell'anno seguente; e con tutto che nel 1431 Vada fosse stato occupato dalle armi milanesi comandate da Niccolò Piccinino, alla pace del 1433 cotesto paese tornò a sottomettersi alla Repubblica Fiorentina, la quale quattro anni dopo con provvisione del 13 febbrajo 1437 ordinò , che si preparassero de' magazzini a
    Vada ed alla Torre S. Vincenzio.
    Uno degli ultimi fatti istorici relativi al paese di Vada sembra quello dell'assedio portatovi
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    nell'inverno del 1452 da un armata del re di Napoli, quando il castellano fiorentino senza far resistenza per denaro diede in mano il castello di Vada ai napoletani, i quali l'anno dopo costretti dai Fiorentini a partire vi posero il fuoco. Dopo di che la Signoria fece demolire affatto gli avanzi di quel castello, che può dirsi l'effetto dell'ultimo esterminio di Vada.
    Dissi
    effetto piuttosto che causa, in vista che la contrada era divenuta inabitabile per malsania senza dubbio provenuta dal vasto padule di acque terrestri e marine e dall'imboschito terreno. – Vedere ROSIGNANO.

    VADA nella Maremma Pisana. – Si aggiunga, a Quell’Articolo quanto appreso: Chi visitò nel 1832 la deserta e malsana pianura fra la Cecina ed il poggio di Rosignano, e torni oggi (nel 1846) a rivedere cotesta contrada, senza bisogno di riandare all’epoca di Cosimo I, non può a meno di non esclamare con me:
    Dunque non tutte le Maremme sono insanabili?
    La metamorfosi quasi dirò prodigiosa che ha subito cotesto già malefico littorale, la riduzione di tanti marrucheti, boschi, e stagnoli pestiferi in ben coltivati poderi abitati da 200 e più famiglie in stato florido e senza duopo di fuggire altrove e statare, scioglie a giudizio mio un gran problema bastante per se solo a dimostrare quanto possano operare mani vive, benefiche e poderose, quando siano coadiuvate da uomini propensi al pubblico bene, in confronto delle mani inerti, e dirò anche quasi morte. La marina di Cecina e di Vada offre allo studioso, al viaggiatore, al geologo, al chimico, all’idraulico ed all’industrioso una scuola pratica, un bel campo di meditazioni, di riflessi gravi e solenni.
    Io non starò qui a ripetere ciò che disse innanzi di me il mio amico Dott. Antonio Salvagnoli in una memoria
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    letta nell’anno scorso (1845) all’I. e R. Accademia di Georgofili trattando del bonificamento della Val di Cecina, quando egli faceva sentire la necessità di dover dividere nelle Maremme Toscane i beni di suolo, ed i latifondi; solamente aggiungerò qui, non già il confronto dello stato desolante e spopolato in cui trovai nel maggio del 1832 cotesta pianura, a confronto di quello ridente e popolato di gente sana che mi si presentò davanti nell’aprile del 1845, indicherò invece pochi cenni statistici, ma autentici, sullo stato attuale delle due tenute di Cecina e di Vada, la prima di regia proprietà, l’altra ad essa contigua presa ad enfiteusi perpetua dalla ricca mensa arcivescovile della diocesi di Pisa. Già dall’Articolo FITTO DI CECINA nel mio dizionario fu annunziata (Volume 2°. pag. 295 e 296) la sorte migliorata di codesta tenuta R. dall’epoca della reggenza Austro Lorenese fino a quell’anno 1836: e fu detto, che dopo riaperta con regia munificenza la nuova strada Emilia che attraversava la Toscana Maremma, sino dal 1834 venne concessa ad enfiteusi perpetua una parte di quella R. Tenuta suddivisa in poderi più o meno estesi sotto la denominazione di Preselle, con obbligo costante agli acquirenti di costruirvi case coloniche, ed altre abitazioni ad arbitrio. Infatti nel breve periodo di due anni erano già in essere 40 case che tosto abitaronsi dai rispettivi coloni e da altri artigiani, in guisa che nel 1836 furono chieste e concedute 30 nuove Preselle nella pianura, onde costruirvi altrettante case da contadini, mentre la parte verso il poggi di Bibbona fu conservata a bosco per fornire alimento alla rinascente magona di Cecina addetta alla R. amministrazione delle fonderie del Ferro e della miniera di Rio nell’Isola dell’Elba. Nuove enfiteusi finalmente della stessa Tenuta furono offerte al pubblico con la
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    notificazione del dicembre 1838, per modoché la R. Possessione di Cecina, senza contare i fondi restati alle RR. Possessioni, fu repartita in N.° 102 allivellazioni, che occupano tutte insieme una estensione di circa saccate 4460 di terreno.
    L’esito favorevole animò il Principe a rivolgere le sue cure alla contigua ed infetta Tenuta arcivescovile di Vada, e pervenne, stante il suo buon volere, a porre cotesta orrida e deserta possessione sulla via dell’immenso miglioramento che già incominciava a manifestarsi nella vicina Tenuta di Cecina. Lo che operando tornava anche a vantaggio della Mensa pisana, la quale ne raddoppiò quasi la relativa annua rendita a questa esente da ogni sinistro: in guisa che essa ne ritrae attualmente e costantemente oltre scudi 5600 degli sc. 3000 che riteneva nei tempi andati.-Ma ciò che più importa è il bene generale che ne ha già risentito cotesta contrada e tutti i paesi limitrofi di Rosignano, Castellina Marittima, Riparbella ecc. ecc. per il bonificamento di una pianura pestifera e contigua a quelle Comunità.
    Cosicché a quella pianura litoranea di Vada, eccettuati i poderi aperti dall’arcivescovo Franceschi nella parte più elevata, pervenuta nel 1839 in potere delle I. E RR. Possessioni, cotesta pianura, io diceva, fu livellata in N.° 127
    Preselle con l’obbligo agli acquirenti di costruirvi case da abitarsi dai contadini, riservandosi il Sovrano 898 saccate, delle 4450 che costituivano tutta la Tenuta, state occupate dai così detti Stagnoli e dal Padule, ad oggetto di bonificarli, oltre una porzione di terra lungo il mare per seminarsi a bosco di pini, con la mira di salvare le nasciture coltivazioni, ed oltre un sufficiente circondario intorno al Forte di Vada per concedersi gratis a chi vorrà fabbricare abitazioni intorno ad una gran piazza attraversata da un quadrivio col fine di creare
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    un nuovo villaggio presso la cala di Vada. Il qual punto fu sempre di qualche considerazione, e che deve rendersi anco più importante a motivo della esigua apertura della strada R. del Litorale che passa di costà, e per la futura colonizzazione a cui farebbe centro.
    Appena pubblicata la notificazione del 17 settembre 1839 che esibiva per concorso l’allivellazione della Tenuta di Vada divisa, come dissi, in 127
    Preselle, tosto sessanta di esse furono chieste ed allivellate, e cinquantasette dipoi: cosicché nell’aprile del 1845 restavano disponibili solo dieci Preselle ritenute d’ordine del Sovrano per farne poi soggetto di collazione di grazia ai migliori possidenti o ai più accurati.
    Mentre nel maggio del 1845 il vescovo di Volterra cresimava nella nuova cura di S. Giuseppe al
    Fitto di Cecina 214 fra impuberi e adulti di quella parrocchia, non trovava minore né meno vegeta e sana la popolazione lungo le grandi strade che attraversavano la Tenuta di Vada, contigua alla sua diocesi, nella quale nel maggio del 1845 si contavano 126 case, allora abitate da 91 famiglie, senza calcolare quelle che appena rese abitabili serviranno in seguito a popolare il nuovo paese di Vada.
    A tanta popolazione occorreva una parrocchia comoda; e questa l’ottimo Principe sino dal 7 settembre del 1842 decretò si facesse corrispondere al bisogno, degna dello scopo e della magnanimità del suo fondatore. – Sorge il tempio di Vada a capo della piazza destinata ad essere fabbricata intorno di case per far corona al nuovo paese, dove passano tre strade che alla medesima piazza convengono. La fronte principale è decorata di un portico sostenuto da otto colonne di travertino di Rosignano, sopra le quali dovranno voltarsi gli archi per sostegno del fastigio. L’interno della chiesa è architettato sulla forma di croce latina, da cui naturalmente si
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    sviluppano le volte e la cupoletta che occultano la tettoja. La superficie interna della medesima è braccia 1080, l’altezza al colmo della cupola nell’introdo so ammonta a braccia 35.
    Si congiungono al braccio corto del tempio due canoniche, le quali chiudono in mezzo, dalla parte del mare, il campanile che dovrà elevarsi fino l’altezza di braccia 55 da terra. – La parca e severa decorazione di tutto il fabbricato è fatta col summentovato, travertino e colla breccia del luogo, l’impiego della quale si giudiziosamente preferito nelle parti più esposte al soffio dei venti marini. Gia le canoniche possono dirsi, tranne il portico di cui pero sono in posto le colonne. – È sperabile che nel futuro anno 1847 sia ricondotto in Vada quel battistero che la sua pieve mantenne per quasi tutti i secoli di Mezzo.
    Finalmente il munificentissimo Principe provveder volle anche tutelare la salute temporale della nuova popolazione, con assegnare alle due Tenute una R. condotta medica con l’annuo stipendio di L. 2100, pari a 300 scudi fiorentini.
    Oltre la grande strada R. Litoranea, che lambisce la marina di Vada per rientrare nella Via Emilia al quadrivio Colle Mezzano, esiste un’altra magnifica via in linea retta che staccasi dal nuovo piazzale, fiancheggiata nella lunghezza di tre miglia da nuova case coloniche e da alberi; e cotesta via sbocca nella ora provinciale
    Emilia al ponte del Tripesce, senza dire di altre vie secondarie, ponticelli, e fossi di scolo, fiancheggiati pur essi da crescenti piante di alto fusto e fruttifere.
    Innanzi pero di lasciar
    Vada giova aggiungere qualche parolina sui provvedimenti idraulici stati di corto adoperati, mercè cui le numerose famiglie che ora vi abitano possono dirsi immuni dalla così detta febbre maremmana, e ciò in vigore dalle operazioni state ivi ordinate per ridurre quella deserta
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    pianura ad una estesa e popolata Cascina Reale. Avvegnachè i banchi di alga, ridossandosi sulla inclinatissima e sottile spiaggia di Vada, formano i pestiferi Stagnoli salsi, che sono ora quasi affatto spariti mediante il bonificamento del torentello Tripesce, cui già da dieci anni fu aperto un nuovo alveo a fine di colmare per recinta i Stagnoli, come tuttavia si prosegue, avendo frattanto la R. amministrazione formato una diga a palizzate con l’alga medesima, onde impedire in tempo di traversia o di alta marea ogni comunicazione decisamente nociva dell’acqua marina con l’acqua terrestre.
    Rispetto al
    Padule, situato pur esso levante della Torre di Vada, presentava una superficie di braccia 1,200,000, ossia di stajate 240, senza contare le sue vaste e pestifere gronde. Cotesto Padule diviso in due bacini, uno appellato il Padule grande, e l’altro più piccolo, il Pozzuolo, essendo stato riconosciuto, che i suoi maggiori fondi erano un braccio circa superiori al pelo delle acque basse del mare, commecchè essi rieschino ad un livello inferiore a quello del mare grosso, previa l’approvazione sovrana del di 11 agosto 1840. Fu ordinato al Soprintendente delle RR. Possessioni di promulgare dentro le acque marine la vecchia foce di tali bacini, e quella fortificata con opportune palizzate, munirla di cateratte mobili dentro solido muro.
    Contemporaneamente i due
    Paduli e i fossi in essi influenti furono allacciati in uno scolo principale, conducendogli al mare mediante un tragitto di braccia 16850 di ampie fosse tute convergenti nello scolo principale, donde provenne il miglioramento locale riscontato anche nella visita dell’aprile 1845.
    Che se venisse pure opportuno di compiere il duplice bonificamento, per colmate e per essiccazione, coll’imporre ai più bassi fondi una discreta qualità di terra, potrebbe ottenersi facilmente, deviando una porzione di acque
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    dal vicino fiume Cecina per mezzo di un fosso colmatore.
    In conclusione, a sentire che in Cecina si sono coltivate 1242 saccate di terra, e che quasi altrettante sono state poste in coltivazione di poderi nella Tenuta di Vada; al vedere quelle pianure ora quasi asciutte e sane, abitate da centinaja di famiglie vegete e colorite, ti senti aprire a nuove speranze il cuore benedice l’opera magnanima mercè la quale in pochi anni si operarono costà tali prodiji, talchè oggi può dirsi assicurato il bonificamento di quella parte di Maremma che fu cotanto deserta, pestilenziale e screditata. Chiuderò cotesto Art. coll’aggiungere, che sotto a tutto il corrente mese di aprile del 1846 si calcola, che sia stata versata nelle nascenti colonie di Cecina e Vada una somma di circa due milioni trecentonovantatremila lire, la maggior parte spesa dai privati, come appresso:

    SPESE FATTE FINORA DAL R. GOVERNO
    NELLE DUE TENUTE DI CECINA E VADA

    In strade, fossi, ponticelli, opere idrauliche, chiese e canonica di Vada,
    Lire 206,000

    SPESE FATTE DAI PRIVATI

    Nella costruzione della case, ed in restauri delle preesistenti,
    Lire 1,175,900
    In dicioccamenti, sterpature e coltivazioni,
    Lire 364,700
    In corredi di bestiami per i poderi,
    Lire 329,994
    In semente, istrumenti rurali, stime morte, ed in immobili per le nuove abitazioni,
    Lire 316,390
    TOTALE
    Lire 2,392,984

    VADA (PADULE DI) nel littorale Toscano. – La più antica memoria e descrizione del padule salso di Vada suddiviso in laghetti comunicanti in mare per piccola fossa con angusta foce difesa da cateratte, la dobbiamo sin dal principio del secolo V a Rutilio Namaziano, allorché, dopo avere egli approdato al porto di Vada, si recò a dormire nella sovrastante villa del senatore C. Albino Cecina, cantando:

    Subiectas villae vacat adspecstare salinas
    Namque hoccensetur nomine salsa palus.
    Qua mare
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    terrenis declive canalibus intrat,
    Multifidosque lacus parvula fossarigat.
    Ast ubi flagrantes admovit Syrias ignes,
    Quum pallent herbae, quum sitit omnis ager.
    Tam cataractarum claustris excluditur aequor.
    Ut fixos latices torrida duret humus.
    Concipiunt aerem nativa coagula Phoebum,
    Et gravis aestivo crusta calore coit.

    A questo stagno marino ed alle sue saline appellano vari istrumenti dei secoli longobardi e carolingi, i di cui vari archetipi si conservano negli archivi arcivescovili di Pisa e di Lucca; i più antico de'quali è quello del 754 quando possedeva parte di coteste saline il nobile Walfredo fondatore del Monastero di S. Pietro a Palazzuolo.
    Anco l'altre membrane di quel secolo dell'Arch. Arciv. di Lucca rammentano le
    saline di Vada, alcune delle quali furono pubblicate dal Muratori nelle sue Ant. M. Aevi.
    All'Articolo ROSIGNANO, Comunità, dissi pure, che rispetto alla migliorata condizione atmosferica della pianura di Vada e delle sovrastanti colline di Rosignano, ciò è dovuto alle aumentate coltivazioni di quel suolo, alle folte boscaglie tagliate ed alle ristrette paduline salse di Vada.
Localizzazione
ID: 4260
N. scheda: 52450
Volume: 5; 6S
Pagina: 616 - 618; 261 - 264
Riferimenti: 1600, 14740, 45650
Toponimo IGM: Vada
Comune: ROSIGNANO MARITTIMO
Provincia: LI
Quadrante IGM: 112-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1618014, 4800918
WGS 1984: 10.45703, 43.35342
UTM (32N): 618077, 4801093
Denominazione: Vada - Padule di Vada
Popolo: (SS. Giovanni e Paolo a Vada annesso a) S. Giovanni a Rosignano
Piviere: (SS. Giovanni e Paolo a Vada annesso a) S. Giovanni a Rosignano
Comunità: Rosignano
Giurisdizione: Rosignano
Diocesi: Pisa
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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