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Vallombrosa, Valombrosa, Valle Ombrosa - Monte della Vallombrosa

 

(Vallombrosa)

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    VALLOMBROSA, VALOMBROSA e VALLE OMBROSA nel Val d'Arno fiorentino. – Celebre Badia sul monte omonimo, già detto Monte Tabarra, in origine Eremo sotto il titolo di S. Mariai d'Acquabella nel popolo di S. Andrea a Tosi che dista miglia toscane 2 1/2 al suo maestrale, Comunità Giurisdizione e circa 6 miglia toscane a settentrione di Reggello, Diocesi di Fiesole, Compartimento di Firenze, dalla qual città il monastero di Vallombrosa dista circa miglia toscane 18 a levante, un quarto di miglio toscano a scirocco dell' Eremo devoto delle Celle, noto comunemente col vocabolo di Paradisino, e miglia 3 e 1/2 a scirocco del magnifico resedio di Paterno sotto Magnale.
    Non vi è italiano, non viaggiatore di oltremonti, il quale venendo in Firenze per ammirarne le sue bellezze trascuri di recarsi nella calda stagione al romantico monte ed alla Badia di Vallombrosa.
    Il grandioso suo fabbricato, che mette in mezzo alla clausura una
    devota, bella e ricca chiesa, fa contrasto alle cupe foreste ed alle sempre verdi praterie che lo circondano.
    Avvegnaché la natura selvaggia del luogo, la tinta nerastra delle selve di abeti che lo fiancheggiano, alle quali annosi faggi fanno corona, la caduta delle acque spumeggianti del torrente
    Vicano di S. Ellero che romoreggia tra rupi immense di cadenti macigni; l'erba ed i fiori montani che cuoprono i tappeti di quei prati, i colpi delle scuri che abbattendo le antenne naturali degli abeti, interrottamente in quel silenzio rintronano, tuttociò offre a chi contempla la Vallombrosa un aspetto di malinconica solitudine tendente al raccoglimene ed alla meditazione religiosa ed assai confacente per fornire materia di serie riflessioni, siccome le offrì nel secolo XV al divino Ariosto nel suo Orlando Furioso, e più tardi all'inglese poeta Milton nel suo
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    Paradiso perduto.
    Il primo de' quali qualificava fino d' allora la Badia della Vallombrosa

    Ricca e bella, né men religiosa
    E cortese a chiunque vi venia.
    (Canto XXII. Stanza 36.)

    Non starò qui a ripetere, rispetto alla storia primitiva di cotesta Badia, quanto fu detto altrove, e segnatamente agli
    Articoli ALFIANO (S. ELLERO DI) E MAGNALE, ne ciò che disse prima di me l'abate don Fedele Soldani né Francesco Fontani nel suo Viaggio pittorico della Toscana: sivvero aggiungerò, che il primo Eremo di S. Maria d’Aquabella ossia di Vallambrosa, nel 1043 era già stato edificato da S Gio. Gualberto primo istitutore di quella Congregazione monastica, tostochè un pio fiorentino con atto del 27 agosto di quell'anno donò alcuni beni al Monastero di S. Maria d' Aquabella. – (ARCH.DIPL. FIOR. Carte della Vallombrosa).
    Infatti nell' anno 1039, epoca della donazione fatta a S. Gio. Gualberto da Itta badessa del Monastero di S. Ellero, l'Imperatore Corrado I con suo privilegio confermò ai monaci ritirati con S. Gio. Gualberto in Vallombrosa tutti i possessi avuti da esse monache in dono, e fu probabilmente allora che il santo fondatore segnò il luogo per edificare costassù la prima Badia di S. Maria detta poi di Vallombrosa.
    Arroge a ciò un atto pubblico del maggio 1068 scritto nel Monastero di Rosano sull'Arno, col quale il conte Guido di Poppi e la contessa Ermellina sua consorte rinunziarono a S. Gio. Gualberto i loro diritti sul monte Taborra (il monte oggi detto di Secchieta) nel cui fianco occidentale risiede la Badia.
    Alla stessa donazione servì di conferma altra scrittura, rogata in Strumi presso Poppi lì 31 gennajo 1104,
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    mercé cui la contessa Emilia di consenso del suo marito C. Guido confermò la donazione del 1068 fatta dal conte Guido di lei suocero alla felice memoria dell’ abate maggiore Gio. Gualberto nella persona dell'abate e cardinale Bernardo (Uberti) che allora presedeva alla S. Congregazione Vallombrosana, e per esso al di lui rappresentante don Teodorico preposto della Vallombrosa. Alla qual Badia essa donna concedè molti terreni, case e chiese, quas ego (cito le parole dell'istrumento) habere, tenere, et possidere visa sum, vel alii per me, sicut mihi evenerunt per chartalam donationis, et scriptum MORGINCAP curri utraque ripa (Vicani) a MELOSA usque ad FRACTAM jugum Alpis etc.
    omnia in integrum infra circuitum
    istum, sicut fuit recta per curtem de MAGNALE curri ecclesia ibidem posita, et curri cune de PACIANO, quemadmodum ego proprietario nomine habere et tenere videor ex parte jam dicti viri mei etc. – Rogò l'istrumento il notaio Lamberto.
    Né debbo lacere della celebre contessa Matilde munifica benefattrice di questa Badia che arricchì di beni e di privilegi amplissimi concessi alla Congregazione preseduta dal piissimo Card. Bernardo Uberti.
    Accresciuto col fervore religioso il numero de' monaci si pensò a edificare nel secolo XV in Vallombrosa una più vasta clausura con chiesa più decente. Il suo monastero frattanto fu in più tempi e sotto il governo di varj prelati dello stesso Ordine religioso accresciuto, abbellito e nel 1640 decorato di magnifica facciata dal Padre Abate don Averardo Niccolini di Firenze.
    Dissi che la chiesa della Vallombrosa tu abbellita e rifatta nel secolo XV. Al qual secolo ci richiama il bellissimo attico di marmo, trascinio in fondo alla chiesa, il quale fu tatto nell'ottobre del 1487 sotto il governo del Pad. Abate don Filippo Francesco de Metani di Firenze, siccome apparisce da un'apposita e
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    lunga iscrizione.
    Non farò parola né della struttura né delle bellezze della chiesa attuale, la quale trionfa in mezzo del chiostro, essendo essa stata esattamente descritta dall’ autore del
    Piaggio pittorico della Toscana.
    Due buoni secoli dopo la istituzione della Congregazione di Vallombrosa (nel 1255) vennero riuniti a questa Badia i beni di S. Ellero, le cui monache furono traslatate a Firenze, a condizione che l' abate e monaci di Vallombrosa, viventi le recluse state in S. Ellero, dovessero pagarle un vitalizio e conservare l'uso del vecchio loro monastero. Intorno a quel tempo medesimo fu edificato sopra il risalto di una rupe l'Eremo detto delle Celle, più noto attualmente sotto il vocabolo di Paradisino, luogo in ogni tempo santamente frequentato, e nel principio del secolo XIV dal monaco Vallombrosano beato Giovanni da Calignano di Gambassi abitato, sicché dall'Eremo predetto fu poi appellato il B. Giovanni dalle Celle. Il quale beato mostrò nei suoi tersi scritti come assai bene si possono associare santità di costumi, amore per lo studio e purgatezza di lingua italiana nello scrivere. – Vedere CATIGNANO DI GAMBASSI.
    Né debbo passare sotto silenzio aver servito cotesto Eremo di spirituale e spontaneo ritiro a molli altri distinti religiosi della stessa Congregazione Vallombrosana, i quali alla purezza del vivere congiunsero l'amore alle scienze ed alle belle arti, come fu il chiaro botanico (
    ERRATA: Don Buono Faggi) Don Bruno Tozzi, e per ultimo Don Enrico Hugford ripristinatore in Toscana dell'arte della scagliola.
    Ora questo locale per le cure dell' Abate attuale di Vallombrosa don Silvano Gori, e del suo camarlingo don Vitaliano Corelli è stato talmente abbellito, e resone più comodo l'accesso, che di Eremo angusto e di penitenza vedesi ridotto ad un vero
    Paradisino terrestre.
    All’Articolo
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    ABAZIA DI PASSIGNANO fu indicata l’ epoca nella quale il potente abate Ruggieri de'Buondelmonti, dopo avere sul declinare del secolo XIII governato per molti anni la celebre Badia di Passignano, nel 1298 potè salire sul primo gradino della gerarchia Vallombrosana facendosi dichiarare Abate generale di quella Congregazione, e fu esso medesimo, che nel 20 agosto dell'anno 1302 ottenne dalla Signoria di Firenze una provvisione assai favorevole, quella cioè di potere render ragione per mezzo de' suoi visconti o vicarj nei castelli e distretti di Stagnale e di Bistonda, come pure nelle ville di Tosi, di S. Martino a Fagiano e di Catiliano o Caticciano sotto Magnate. Il quale Abate Ruggieri, mentre risedeva nel palazzo del Guarlone sull' Arno dirimpetto alla Badia di S. Salvi, nel 16 agosto 1316, giorno penultimo della di lui vita, dettò il suo testamento col quale rimordendole la coscienza, volle che fossero restituiti alle Badie di Passignano e detta Vallombrosa gli arredi preziosi ed i vasi sacri di argento che egli durante il suo governo si era arbitrariamente approprialo. – Vedere GUARLONE.
    Questa Badia si conservò di secolo in secolo in secolo devota, copiosa di monaci esemplari non meno che cortesi e dotti, fino a che all' invasione delle truppe francesi (anno 1808) ogni ordine monastico fu rovesciato e con esso caddero i primi santuarj della Toscana. Allora il monastero della Vallombrosa (1809) non solo fu vuotato dei migliori oggetti di belle arti, ma venne indiscretamente dilapidato; allora la detta chiesa ricca di sante reliquie, di arredi sacri, di vasi di argento, di tavole di pittori distinti trovossi spogliata; allora la doviziosa e celebre biblioteca di questa Badia copiosa di codici, di rarissime edizioni di libri
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    e di opere pregevoli degli stessi monaci della Vallombrosa furono messe quasi direi a ruba ed in gran parte disperse.
    Finalmente al ritorno del legittimo sovrano in Toscana, anche la Vallombrosa risorse, e si ripopolò di monaci, in guisa che ritornando all'antico splendore essa continua a fiorire all'ombra della pristina disciplina e della valida protezione dell'Augusta Famiglia felicemente regnante.
    Chi poi fosse curioso di conoscere l'epoche diverse della prima fondazione, che alcuni con l'abate Vallombrosano don Fedele Soldani, attribuirono all'anno 1015 anzi che dopo; chi volesse sapere l'epoca dell'approvazione della nuova Congregazione (anno 1055)della soppressione (ottobre 1810) (gennajo 1819) potrà leggere un’ apposita iscrizione in marmo esistente sotto il portico della chiesa di Vallombrosa.

    VALLOMBROSA (MONTE DELLA). – Questo monte di cui fanno parte quelli già denominati
    Tabora e Aquabella si eleva fra il Val d'Arno fiorentino e quello del Casentino avendo alla sua base meridionale il torrente dicano di S. Ellero, a maestro le sorgenti del dicano di Pelago ed il poggio della Croce vecchia di S. Miniato in Alpe col monte della Consuma, mentre dalla parte di scirocco il monte di Secchieta si annesta con i gioghi più occidentali di Pratomagno.
    Passato appena di mezzo miglio il vasto edifizio della Grancia vallombrosana di
    Paterno, di cui si fece parola al suo articolo, dopo avere osteggiato di costà la base australe ed orientale del poggio di Magnale, avendo sotto i piedi la profonda ripa del torrente, si arriva al ponte sul Vicano di S. Ellero. Alla sinistra del quale ha principio la salita del monte della Vallombrosa. Di là il viaggiatore lasciando alla sua destra il povero villaggio di Tosi coperto da una selva di castagni, continua per circa un miglio
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    e mezzo di salita in mezzo ai castagneti, finché fra le colonne delle Croci sottentrano le piante di abeto tramezzate di quando in quando da verdi praterie, dove, presso una vasta peschiera a mezza costa del monte omonimo, ed in un insenatura del Vicano di S. Ellero si erge a guisa di turrita regia alpestre la grandiosa Badia di Vallombrosa. – Due terzi di miglio sopra la Badia gli abeti cominciano ad alternare con le vecchie piante di faggi, le quali dominano più in alto quasi sole fra amene praterie irrigate e mantenute sempre verdi da limpidi ruscelli di acque silvestri.
    Per uno che ami d'occuparsi nella contemplazione della natura, diceva a questo proposito l'abate Fontani, non vi ha forse altro luogo in Toscana, dove nel suo orrido egli la possa ravvisare più attraente e maestosa quanto nel monte della Vallombrosa. Non è qui luogo d'individuare i sorprendenti e variati punti di vista che presentano i contorni della Vallombrosa, non le simetriche disposizioni degli abeti introdottivi dai discepoli di S. Gio. Gualberto; ripeterò bensì ciò che mi disse un vecchio ed esemplare Vallombrosano restato dopo il 1815 per del tempo solo in quel grandioso spogliato monastero: cioè, che egli in mezzo alle spaziose selve di castagni ripiantò i delicati meli di Svezia, i quali semi mezzo secolo innanzi vi recava un monaco di nazione inglese, ma il di cui frutto si era imbastardito; egli mi aggiunse, che mentre fu solo costassù andò propagando per le nude praterie sopra 100,000 abeti; e che per di lui cura fu seminata nei prati alpini una qualità di grano detto
    Andriolo (triticum hibernum spica rubra L.) il quale anche presso la sommità del monte vegeta, granisce e fruttifica assai bene, talché con questo importante cereale i monaci della Vallombrosa suppliscono alle
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    pristine culture dello spetta e della segale, senza dire della copiosa raccolta che da qualche tempo usasi costà dei bulbi di ottime patate, ecc.
    Rispetto al mantenimento di quelle selve lasciò un' utile lavoro il sacerdote Vallombrosano, già camarlingo di Vallombrosa,
    don Antonio Fornaini nel suo Saggio sopra l’ utilità di ben conservare e preservare le foreste, pubblicato in Firenze nel 1825.
Localizzazione
ID: 4306
N. scheda: 53540
Volume: 5
Pagina: 674 - 677
Riferimenti:
Toponimo IGM: Vallombrosa
Comune: REGGELLO
Provincia: FI
Quadrante IGM: 107-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1706020, 4845361
WGS 1984: 11.55902, 43.73421
UTM (32N): 706083, 4845535
Denominazione: Vallombrosa, Valombrosa, Valle Ombrosa - Monte della Vallombrosa
Popolo: S. Andrea a Tosi
Piviere: S. Pietro a Pitiana
Comunità: Reggello
Giurisdizione: Reggello
Diocesi: Fiesole
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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