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Vico Pisano, Vico Auserissola, Auseressa - Arno Morto

 

(Vicopisano)

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    VICO PISANO, già Vico Auserissola nel Val d’Arno pisano. – Terra murata con rocca e pieve antica (S. Maria e S. Giovanni) capoluogo di Comunità e di Giurisdizione nella Diocesi e Compartimento di Pisa.
    Trovasi sopra un risalto estremo del Monte Pisano dal lato del suo scirocco e circa cento braccia sopra il livello del mare Mediterraneo, a cavaliere dell’emissario della
    vecchia Seressa, dalla quale probabilmente acquistò il vocabolo di Vico Auserissola, poi semplicemente quello generico di Vico innanzi che vi si aggiungesse lo specifico che conserva tuttora di Vico Pisano.
    Infatti riferiscono a questo
    Vico varie membrane degli Arcivescovi di Pisa e di Lucca, oltre una del capitolo di Arezzo, alcune delle quali furono pubblicate dal Muratori. Spetta alla prima di esse un istrumento del 4 marzo 934 scritto in Pisa, col quale Zanobi vescovo pisano investì il sacerdote Giovanni della pieve di S. Maria e S. Giovanni sita loco et finibus Vicho. – E’ della provenienza medesima un secondo istrumento rogato in Pisa li 8 di ottobre 961, col quale il vescovo Grimaldo diede ad enfiteusi al prete Tachiperto per l’annuo censo di 12 denari cinque poderi con case nei confini ivi designati, i quali si dissero situati nel distretto di Auserissola (Seressa) cioè in loco et finibus Auserissola. – (MURATORI Ant. M. Aevi T. III.)
    Anche una membrana inedita del 1010 esistente nell’Archivio del capitolo di Pisa fu scritta
    in loco, et finibus, ac castello illo qui dicitur Auserissola.
    All’Articolo
    AUSERESSA (Auserissola) citai una pergamena del 30 gennajo 1053 rogata in loco, et finibus Vico Auserissola prope ipso castello, nella quale per avventura è indicata la situazione di Vico Auserissola all’occasione, cioè, di segnalare i
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    confini di un podere posto in monte infra castello illo qui dicitur Vico Auserissola.
    Dell’
    Archivio poi Arcivescovile di Lucca il Muratori estrasse, e nelle Antichità Estensi pubblicò, altri due istrumenti, uno dei quali del 1011, e l’altro del 9 luglio 1017, scritti nella chiesa di S. Maria presso il Castello di Vico poco lungi dall’Arno, dove sono rammentati i luoghi di Anghio, di Ciscano (o Cisano), di Auserissola e della chiesa di S. Maria sul poggio del Castello omonimo vicino al fiume Arno, il tutto stato venduto nel luogo detto Vico Auserissola dal Marchese Adalberto figlio del fu Oberto nipote del fu Marchese Adalberto ad Ugo figlio che fu del conte Ugo.
    Nella stessa contrada del Vico Auserissola possedeva pure dei beni la mensa vescovile di Lucca, siccome apparisce da un placito del dì 8 luglio 1068 tenuto in detta città, dalla contessa Beatrice marchese di Toscana. – (FIORENTINI, Memorie della gran contessa Matilda.)
    Come poi andassero le bisogna di cotesta signoria si può dedurre dai fatti seguenti: quando cioè un altro Marchese Alberto figlio del fu Obizzo (forse il nipote del Marchese Adalberto del 1011) nel 3 febbrajo del 1061, stando in
    Casal Maggiore di Lombardia, donò al Monastero di Marturi sopra Poggibonsi fra gli altri beni quelli posti in Cisano e in Vico nel contado di Pisa; i quali beni poi, mediante atto di transazione del I settembre 1129, rogato in Gasole nella pieve di S.Maria, Rodolfo abate di quella Badia rinunziò a Ruggeri arcivescovo di Pisa per la sua mensa, dove fra i possessi ceduti in cambio vi erano quelli che il Monastero di Marturi possedeva per parte del Marchese Oberto (Alberto) infra castrum de Vico, qui dicitur
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    Auserissola, tam infra, quam et de foris, et in Cisano, tam infra ipsa villam, quam et de foris, et in curte ejus, etc. – (MURATORI, Ant. M. Aevi T. III.)
    Da quell’anno in poi gli Arcivescovi di Pisa avendo acquistato oltre il dominio spirituale anche il temporale sopra cotesto
    Vico e suo distretto, ottennero dall’Imperatore Corrado II, nel 1138, un favorevole privilegio che confermava alla mensa archiepiscopale pisana il Placito e il Fodro del Vico Auserissola, quello di S. Giovanni alla Vena ed altri. Ciò forse diede origine ad una lite fra il comune e consoli di Vico con Villano arcivescovo di Pisa, appellando ai tribunali di questa città. Nella quale i giudici con sentenza del 31 dicembre 1156 decisero che l’Arcivescovo fosse messo al possesso di tutti i diritti dipendenti dal Placito di Vico. La stessa sentenza venne poi corroborata non solo dall’Imperatore Federigo I, allorché con privilegio del 1178 confermò agli Arcivescovi di Pisa il fodro col placito di Vico Auserissola, ma ancora dagli Anziani del governo pisano che promisero difendere alla mensa medesima il possesso temporale del luogo contrastato.
    Ma il Comune di
    Vico non sembrò soddisfatto di cotale misura, tostochè nel 1236 il potestà Uguccio da Caprona ed i consoli di Vico Pisano avendo rinnovato lite a cagione della torre di Vico contro Vitale arcivescovo di Pisa, questi reclamò al Pontefice Gregorio IX, il quale con breve dato in Laterano li 26 ottobre del 1237 commise la decisione della causa all’abate del Monastero di Marturi (Poggibonsi) ed al proposto della pieve di S. Gimignano. – (MATTHEI, Histor. Eccl. Pis. T. I in Append.)
    Che poi il Castello di Vico fosse presidiato dalle truppe della Repubblica di Pisa non ne lascia
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    dubbio il fatto ivi accaduto nel 1275, quando l’infelice conte Ugolino della Gherardesca, un anno dopo essere stato esiliato da Pisa, messosi alla testa di soldatesche addette alla lega guelfa toscana, composta più che altro di milizie de’ Fiorentini e Lucchesi, corse a devastare i confini orientali del contado di Pisa, disfacendo Montecchio e mettendo a ruba il paese intorno a Vico Pisano. Anche meglio lo dichiara lo Statuto di Pisa del 1285, appellato comunemente il Breve del conte Ugolino, nel quale al Lib. IV. rubrica 76, trattandosi dell’uffizio e obblighi del capitano di Vico gli si ordina di far ripulire dagli uomini del suo Comune i barbacani del castello di Vico; lo che serve ancora a dimostrare, che cotesto paese fino d’allora era munito e considerato come luogo di frontiera.
    Il qual castello i Lucchesi tentarono più volte di conquistare sebbene senza effetto, nel 1289, nel 1309 e nel 1323. In quest’ultimo anno specialmente i Vicaresi si dimostrarono coraggiosi e affezionati alla madre patria, quando di notte tempo alcuni fuoriusciti di Pisa misero dentro in Vico le genti di Castruccio Antelminelli con lui stesso alla testa, correndo la mattina seguente per la terra come se fosse già sua; ma i terrazzani appena desti si raccolsero in truppa e cacciarono fuori di casa loro l’oste non senza vergogna del capitano lucchese. Né più felice riescì un nuovo tentativo fatto nel 1327 dallo stesso Castruccio.
    Da tutti questi fatti pertanto si comprende che Vico sino d’allora era un castello molto bene situato e difficile a prendersi di assalto, per essere fabbricato sopra una collina, alla cui base orientale scorreva la
    Seressa, dalla quale, come dissi, Vico prese il distintivo di Auserissola, mentre dal lato di ostro era bagnato dal fiume Arno, che allora
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    entrando nel piano di Vico Pisano scorreva fra Montecchio e Calcinaja, lasciando quest’ultima Terra alla sinistra, e Vico con Montecchio alla destra del fiume.
    Che l’Arno continuasse a correre fra Vico e Calcinaja anche sul terminare del secolo XV lo dichiarava Paolo Giovio nel libro terzo delle sue Istorie, dove diede relazione dell’assedio posto nel 1495 dai Fiorentini al Castello di Vico Pisano, la cui situazione descrisse così:
    Id oppidum collibus adiacet, illuiturque Arno amne, qui in eo loco maxime tortuosus peninsulam efficit, etc. – Vedere CALCINAJA.
    Frattanto, se dobbiamo credere all’Annalista Tronci, il governo degli Anziani, durante la guerra che dopo la morte di Castruccio si accese fra i Fiorentini e i Lucchesi, allorché i primi si recarono ad assediare la capitale dei secondi, ordinò nell’anno 1330 per assicurare maggiormente il castello di
    Vico Pisano che vi si edificasse una rocca.
    Tanto era forte per quei tempi cotesto castello, che nel 1406 nell’assedio posto dai Fiorentini a Pisa, il presedio pisano di Vico poté resistere ad ogni assalto di quell’oste, e solamente dopo 8 mesi di blocco dové per fame nel dì 16 luglio del 1406 rendersi a patti agli assedianti comandati da Maso degli Albizzi, lo chè fu anche il segnale della resa di Pisa.
    Fu allora che i Dieci di Balia di Firenze per atto del 27 luglio 1406 concederono le capitolazioni agli abitanti di
    Vico Pisano, di S. Giovanni alla Vena, di Cucigliana, di Lugliano e di Noce del tenore medesimo di quelle state accordate agli altri Comuni del contado pisano che si resero ai Fiorentini innanzi la caduta della loro madre patria.
    Descrivono gli storici di quel secolo il valore, con cui allora fu combattuto e
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    difeso dagli assediati il castello di Vico Pisano; i quali scrittori, oltre a confermarci che allora l’Arno passava sotto Vico Pisano, ne avvisavano qualmente l’oste fiorentino per offendere il castello predetto mise una piccola galera nel fiume stesso dalla parte di Bientina.
    Arroge a ciò una deliberazione del 15 luglio 1476, con la quale gli
    Ufiziali di Torre, ossia dei beni di ribelli, affittarono ai frati Romitani di Nicosia per l’annuo canone di tre fiorini d’oro il passo della Nave ch’era sul fiume Arno fra Bientina e Vico Pisano in luogo detto Maltraverso. – (ARCH. DIPL. FIOR.Carte di Cestello).
    Frattanto i Fiorentini, qualche tempo dopo essersi impadroniti di Vico Pisano, lo accrebbero di fortificazioni col disegno del famoso architetto Filippo Brunelleschi; ed opera di lui si crede la bella torre merlata che tuttora sporge a guisa di cassero nella parte superiore del castello con le armi della Repubblica Fiorentina scolpite in marmo.
    Ignoro però se questa misura fosse presa dal Comune di Firenze dopochè Niccolò Piccinino nel 1436 era sceso con un esercito dalla Lombardia per liberare Lucca dal secondo assedio de’ Fiorentini, tentando egli in quella scorreria di assalire e di prendere il castello di Vico Pisano; è noto bensì, che gli abitanti suoi, ad esempio dei Pisani, nel 1494 si ribellarono dai Fiorentini, e che nel 1495 uniti ad un presidio di truppe pisane sostennero valorosamente un lungo assedio postovi da Guidobaldo della Rovere duca d’Urbino, in guisa che dopo inutili sforzi quell’oste fu costretta a ritirarsi con vergogna di là. – (P. GIOVII,
    Hisor.Lib.III.) – E’ noto ancora che nel 1496 vi alloggiò l’Imperatore Massimiliano I nel dì medesimo che l’esercito pisano e veneto si levò dall’assedio di Livorno, disperando
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    di riavere quel porto.
    Ciò accadde pochi mesi innanzi che un corpo di truppe pisane e di veneziani, chiamati
    stradiotti sotto il comando di Giovanni Paolo Manfrone, passando sopra un ponte provvisoriamente eretto sul torrente Cilecchio, se ne tornava verso Vico Pisano con grossa preda fatta per le colline di Val d’Era fino quasi sotto il monte di Volterra, allorché fu assalito nel piano di Bientina da dieci squadre di cavalieri fiorentini, e da molti fanti e balestrieri dove con pari valore si combatté senza perdere, né acquistare terreno da nessuna parte.
    Intanto si avanzava a gran passi l’anno 1498 quando la Signoria di Firenze diede solennemente il bastone del generalato nella guerra di Pisa a Paolo Vitelli, a quello stesso che un anno dopo (I ottobre 1499) richiamato per sospetto a Firenze fu nella sala del ballatojo del palazzo de’ Signori barbaramente decapitato.
    Frattanto una delle prime operazioni militari di Paolo Vitelli appena uscito in campagna fu l’occupazione del Villaggio di Buti e del bastione davanti a Vico Pisano, cui poco appresso succedé l’assalto e la conquista del castello stesso di Vico con morte e prigionia di molti
    stradiotti ivi posti alla sua difesa; la quale impresa ebbe in mira di assicurarsi l’acquisto di Pisa, affinché né dalla parte del Val d’Arno né da quella del Monte Pisano quegli abitanti potessero essere in alcun modo soccorsi. Al qual oggetto il Vitelli, dopo essersi insignorito di tutta la Val di Calci, ordinò la costruzione di due bastioni, uno sui poggi che restano sopra S. Giovanni alla Vena, l’altro sopra Vico Pisano, in luogo che si diceva Pietra Dolorosa (forse il poggio ora detto del Castellare). – Vedere PIETRA DOLOROSA.
    Però nell’aprile del 1502 avendo i nemici per tradimento del castellano
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    Antonio Landoni, riacquistato Vico Pisano, al cui comando era stato lasciato Piero de’ marchesi del Monte S. Maria, partito poi di costì infermo, il governo di Firenze dette tosto il bando di ribelli a Puccio Pucci e ad Alessandro Ceffi, questo castellano, e quello commissario di Vico Pisano, perciocchè il Pucci rifuggitosi nella rocca non usò quella guardia che si conveniva, ed il Ceffi sbigottito dalla morte di un connestabile, stato ucciso da un tiro di schioppo, si rese vilmente la sera istessa, salvo l’avere e le persone. E comecchè un corpo di truppe fiorentine nel maggio successivo si recasse sotto Vico Pisano nella speranza di riconquistarlo, ciò non accadde se non che un anno dopo, quando cioè dai Pisani vi erano stati posti a guardia un cento di prezzolati Svizzeri, ai quali fu cosa facile persuadere che se ne uscissero, allettati dalla promessa di paga doppia (14 giugno 1503).
    Da quell’epoca in poi Vico Pisano non escì più di mano dei Fiorentini, i quali conservarono in questo luogo la residenza di uno de’ più antichi commissarj della Repubblica di Pisa, che fino dal secolo XIII portavano il titolo di
    vicarj di Vico e di Piedimonte.
    La pieve di S. Maria e S. Giovanni a Vico, situata fuori del castello, è a tre navate, di un’architettura semigotica con pietre lavorate, ed ornata nella facciata di molti mascheroni goffamente scolpiti. Essa attualmente non conta alcuna parrocchia filiale, sebbene dal catalogo delle chiese della diocesi pisana compilato nel 1277 (1276 a
    stile comune) si rilevi che allora erano comprese nello stesso piviere di vico non meno di sette chiese, cioè I. S. Stefano a Vico; 2. S. Leonardo a Vico; 3 S. Simone a Vico; 4. S. Michele in Arbaula (sic)
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    posta presso la torre sulla sommità del castello di Vico; 5. S. Ilario al Pero; 6. S. Jacopo al Cafaggio; 7. e la canonica di S. Mamiliano a Lupeta.
    Giova poi a schiarire alquanto la storia ecclesiastica di Vico Pisano, rispetto alle chiese di quel pievanato, un testamento rogato in Vico nella casa del testatore, li 24 agosto 1304 (
    stile comune) col quale Benedetto del fu Jacopo di Lotteringo da Vico destinò varj legati, che uno di essi di lire dieci a Frate Lotteringo suo fratello frate Romitano Agostiniano nel convento di S. Salvatore a Vico; altro legato a Nardo figlio del fu Tofani consistente nella metà di un podere posto fuori del castello di Vico in luogo detto campo di S. Maria; più alla Pieve di Vico soldi 20; e soldi 10 alla chiesa di S. Michele a Vico ed altra simile somma alle chiese di S. Simone a Vico; di S. Leonardo e di S. Stefano di Vico; inoltre assegnò soldi 20 alle suore di S. Maria Maddalena a Vico, ed altrettanta somma alla chiesa dei Frati Minori di S. Francesco a Vico; e finalmente soldi 5 alle monache di S. Andrea a Vico. – (ARCH. ARCIV. DI PISA).
    Dalla carta suddetta pertanto risulta qualmente nel principio del secolo XIV esistevano in
    Vico, o nel suo piviere quattro monasteri, che due di suore, uno dei frati Romitani, e l’altro di Francescani Minori.
    Rispetto all’Eremo dei frati Agostiniani di
    S. Salvatore a Vico esso è rammentato nell’imposizione fatta nel 1292 di un numero di cavalli e di pedoni alle chiese della diocesi pisana, e riportata
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    negli Annali del Tronci, mentre le recluse di S. Maria Maddalena a Vico furono riunite alle monache di S. Maria in Pisa, dopo che alle prime lasciò un’elemosina il conte Bonifazio Novello di Donoratico nel suo testamento del 19 luglio 1337 (stile comune).
    In quanto al Monastero di S. Andrea
    a Vico, suppongo essere stato quello di Lupeta, dove esiste tuttora l’antica chiesa posseduta dalle monache di S. Marta di Pisa.
    All’
    Articolo BUTI fu incluso questo monastero di Lupeta nel suo piviere piuttosto che in quello di Vico Pisano, ed all’Articolo LUPETA, io dissi, che cotesta contrada ha dato il nome a due antichissimi monasteri, cioè alle monache di S. Andrea passate in S. Maria a Pisa, ed all’altro di S. Jacopo (al Cafaggio) distante circa 400 passi dal primo; l’ultimo de’ quali fu abitato dai frati Romitani innanzi che passassero in S. Niccola a Pisa. Aggiunsi ancora, qualmente del Monastero di S. Andrea a Lupeta si trova fatta menzione sino dal I marzo 1193 in una pergamena della Primaziale, cui posso aggiungere altra carta del Monastero di S. Maria di Pisa del 30 dicembre 1148, scritta nel castel di Vico, con la quale due coniugi venderono a suor Agnesa badessa del Monastero di S. Andrea alla Selva (Cafaggio di Lupeta) per il prezzo di soldi 180 di denari pisani un pezzo di terra della misura di stioria 6 1/2 posto nei confini di Bientina sopra il fosso di Cilecchio.
    Rispetto poi al priorato di S. Jacopo
    a Lupeta sembra che la sua chiesa corrispondesse a quella della canonica di S. Mamiliano del catalogo delle chiese della diocesi pisana del 1277, deducendo ciò
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    da un resto d’iscrizione esistente in quella facciata, in cui Giovanni Targioni-Tozzetti lesse: X. (cioè il Comune) de Lupeta ornavit h. opus pro eterna vita Mamiliani sacer, pro nostris ora peccatis.
    Che poi cotesta chiesa fosse una cosa medesima con quella di
    S. Mamiliano in Collinis, ossia del priorato di S. Mamiliano del catalogo delle chiese della diocesi di Pisa scritto nel luglio del 1372, lo dichiara un istrumento inedito dell’Arch. Arciv. Pis. del 7 marzo 1266 relativo alla concessione fatta da Federigo arcivescovo di Pisa a don Agostino priore e rettore della chiesa di S. Mamiliano a Lupeta di uno spedale, S. Leonardo di Cerbaja (sopra Vico), posto in luogo detto Rivo Nero con tutti i suoi beni, compresi i pascoli di detta Cerbaja ed un pezzo di terra di pertinenza della mensa arcivescovile situato nei confini di Bientina in luogo detto Ischeto.
    Vico Pisano fu patria di Michele padre di Pietro Lante autore de’duchi Lanti di Roma, e qui nacquero il Cardinal Arrigo Moricotti e Fr. Domenico Cavalca, senza dire che fu monaca del Monastero di S; Maria Maddalena
    a Vico donna Ermengarda Buzzaccherini madre di S. Ranieri, ecc. ecc.

    MOVIMENTO della Popolazione della TERRA DI VICO PISANO a cinque epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici secolari -; numero delle famiglie 134; totale della popolazione 649.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 182; femmine 169; adulti maschi 262, femmine 308; coniugati dei due sessi 142; ecclesiastici secolari 12; numero delle famiglie 206; totale della popolazione 1075.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 219; femmine 155; adulti maschi 196, femmine 183; coniugati dei due sessi 505; ecclesiastici secolari
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    5; numero delle famiglie 243; totale della popolazione 1263.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 280; femmine 200; adulti maschi 221, femmine 213; coniugati dei due sessi 607; ecclesiastici secolari 5; numero delle famiglie 268; totale della popolazione 1526.
    ANNO 1843: Impuberi maschi 248; femmine 328; adulti maschi 140, femmine 198; coniugati dei due sessi 536; ecclesiastici secolari 7; numero delle famiglie 282; totale della popolazione 1457.

    Comunità di Vico Pisano. – Il territorio di questa Comunità occupa una superficie di 16317 quadrati dei quali 729 sono presi da corsi d’acqua e da pubbliche strade. Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 9480 individui; circa 487 abitanti per ogni miglio toscano quadrato di suolo imponibile.
    Confina con 4 Comunità del Granducato e mediante il corso dell’Arno, a partire dal gomito di questo fiume sopra la
    Madonna dell’Acqua fino passato il nuovo ponte che cavalca l’Arno dirimpetto alla bocca di Zambra innoltrandosi sulla destra al di là della pieve di Caprona. Ivi cessa la Comunità di Cascina e sottentra di faccia a ponente-maestrale, ma per breve tragitto, il territorio della Comunità de’ Bagni di S. Giuliano, cui tosto succede quello staccato della Comunità di Pisa, col quale l’altro della Comunità di Vico Pisano voltando direzione a levante entra nella Zambra per arrivare davanti alla Certosa di Calci che lascia fuori girando intorno ad essa dalla parte di ostro e di levante per salire sul poggio detto delle Porte e di là in quello di Semolatico attraversando le sorgenti del Rio magno di Buti finchè nella direzione di settentrione arriva sulle sommità maggiori del Monte-Pisano, chiamata Monte Serra e Taneta. Costà cessa col territorio comunitativo di Pisa quello del Granducato, ed incomincia l’altro della Comunità di Capannoli del Ducato
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    di Lucca, col quale si dirige a grecale, da primo per termini artificiali, poscia per il rio di Corbeta, e quindi per quello del torrente Visona sino a che trova alla sua destra il rio detto del Vallino secco. Ivi voltando direzione da grecale a levante-scirocco passa per le falde del poggio del Guasto finché trova il rio della Valle degli Alberi dove poco sotto arriva alla dogana del Tiglio nel territorio Granducale della Comunità di Bientina. Con quest’ultimo dirigendosi a ostro percorre La Via Lucchese del Tiglio, che lascia a ponente sul rio Pelato, mediante il quale s’incammina a levante verso la dogana e la cateratta della Tura, dove percorre quasi parallela alla Serezza Vecchia il Canale imperiale nella direzione di libeccio fino al ponte detto di Bientina, che attraversa sul Canale medesimo percorrendo di là per breve tragitto a ostro la via detta del Fosso e quindi a libeccio pel fosso di Tabò arriva alla sua cateratta. A questo punto i due territorj entrano ne fosso del Cilecchio avendo dirimpetto a scirocco quello della Comunità di Calcinaja, col quale il nostro arriva al ponte di Cesano dove lascia il fosso predetto ed entra nella via detta pure di Cesano incamminandosi con essa alle cateratte vecchie del Giuntino che trova a ostro scirocco sulla strada Vicarese, finché per il fosso omonimo entra nel fiume Arno dirimpetto al podere di S. Lorenzo.
    Di quì risalendo per breve cammino l’alveo del fiume, lo attraversa per correre lungo la ripa sinistra, da primo nella direzione di ostro, poi di ponente finchè ritrova l’Arno e la
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    Comunità di Cascina sopra la Madonna dell’Acqua.
    Fra le maggiori montuosità di questo territorio havvi la cima del
    Monte-Serra sul Monte Pisano, trovato dal R. mo Pad. Inghirami braccia fiorentine 1568, 9 superiore al livello del mare Mediterraneo, vale a dire circa braccia sei e mezzo più alta del varco della Futa sull’Appennino.
    Contasi fra i maggiori corsi d’acqua I.°il fiume Arno che gli serva di confine per circa otto miglia toscane dal lato di ostro-libeccio; 2.° Il
    Canale Imperiale; 3.° la Seressa; 4.° ed il Cilecchio che lo rasentano dirimpetto a levante, e scirocco mentre la Zambra di Montemagno lo bagna e poscia lo lambisce dirimpetto a maestrale, finché di lassù scendendo dal Monte Serra nella Valle di Buti trova il Rio Magno, uno dei tributari della Seressa.
    Si contano fra le strade rotabili l’antica via provinciale
    Vicarese, due tronchi di strade comunitative che si staccano dalla predetta per condurre a Vico Pisano, una delle quali prese il nomignolo dal Casale di Cesano ed incrocia con l’altra che viene da S. Giovanni alla Vena costituendo sotto Vico Pisano la borgata delle quattro strade.
    Finalmente due altre vie rotabili comunitative da Vico-Pisano si dirigono a Bientina e a Buti.
    Della via provinciale
    Vicarese e di un'altra via denominata Riparotta di Vico fanno menzione gli Statuti Pisani del secolo XIII, i quali obbligavano il capitano di Vico a fare ampliare quest’ultima sino a Vico tanto da passarvi i carri, e ciò a spese della stessa Comunità e del suo capitano.
    Rispetto all’indole fisica del territorio montuoso compreso nella Comunità di Vico Pisano, ne trattarono maestrevolmente Giovanni Targioni Tozzetti nel primo volume de’ suoi Viaggi per
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    la Toscana, e più modernamente il Professor cavaliere Paolo Savi, cui la geologia toscana è debitrice di una mappa geognostica del Monte-Pisano, atta a far conoscere a colpo d’occhio la disposizione e natura de’terreni che cuoprono cotesta montuosità, a partire da Buti fino a Ripafratta. – Vedere MONTE-PISANO.
    Riguardo alla pianura volta a scirocco e levante di Vico Pisano, essa è coperta dai depositi recenti dell’Arno, dall’emissario antico del Lago di Bientina, e di quello moderno appellato
    Canale Imperiale, lungo il quale fino alla declinazione del secolo XVIII si seminarono le fetenti Risaje.
    Dal Movimento della popolazione delle Comunità di Bientina e di Vico-Pisano apparisce, che i suoi abitanti dal 1551 al 1833 si triplicarono, mentre quelli della Comunità contigua di Calcinaja nello stesso periodo sono più che quadruplicati.
    Nella parte superiore a maestrale di Vico-Pisano si apre la così detta
    valle di Lupeta vestita nell’alto come in antico di selve di quercia d’Ischia, cui sottentrano in basso folti oliveti alternati con campi di semente.
    Nel punto più alto esiste la chiesa di S. Andrea stata di padronato delle monache di S. Maria di Pisa, mentre nell’interno dello stesso incavo teatrale fa antica comparsa l’antica chiesa di
    S. Jacopo a Lupeta.
    Dirimpetto poi a libeccio dove il monte declina verso la riva destra dell’Arno, sulla strada di
    Piedimonte, o Vicarese, passato S. Giovanni alla Vena esisteva una chiesuola detta di S. martino al bagno Antico. Il nomignolo le venne da un Bagno stato presso il fiume Arno, del quale faceva menzione lo Statuto pisano del 1285, al Lib. IV, rubrica 28, sotto il vocabolo di bagno della Carrajola. Allora esso era sotto la tutela del Comune di Pisa, talchè il podestà doveva ordinare ai cavatori di pietre
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    delle vicine cave che invece di gettare nell’Arno gli spurghi delle dette cave, dovessero questi portarli nel piano del Bagno situato sopra l’Arno onde meglio conservarlo; finalmente ivi si ordinava di fare quando occorreva il Bagno e la fontana dagli uomini del capitano di Piedimonte, per modo che maschi e femmine vi si potessero comodamente bagnare.
    Anche la storia dell’Ammirato (Lib. XII) all’anno 1363 fece menzione di un fatto d’armi accaduto fra i fiorentini e i pisani presso il
    Bagno alla Vena.
    Nello statuto medesimo del 1285 si ordinò (Lib. IV. rubrica 52) di obbligare gli uomini di S. Giovanni alla Vena e di Ceuli a costruire nel periodo di 4 mesi un ponticino luongo l’Arno che fosse largo almeno
    tre piedi misuratori (forse piedi di Liutprando), per passarvi liberamente gli uomini e le bestie da soma.
    Esso corrisponde a quel ponte chiamato tuttora di Ceuli che cavalca il
    rio Ceuli sulla strada provinciale Vicarese, e perciò da non confondersi, come suppose il Lami, con alcuno dei ponti di materiale che attraversassero il fiume Arno.
    Era bensì riserbato alla nostra età di vedere sulla sezione dell’Arno pisano due grandiosi ponti di materiale innalzati da mano maestra, il primo presso la
    bocca d’Usciana, dirimpetto a Montecchio, l’altro di contro quasi alle cave di Uliveto sullo sbocco in Arno della Zambra di Calci; quello fra le Comunità di Pontedera e di Calcinaja, 14 miglia toscane a levante di Pisa, questo fra la Comunità di Vico Pisano e quella di cascina, sei miglia innanzi di arrivare alla stessa città.
    A quest’ultimo aperto ai passeggeri nel luglio del 1844 gioverà dedicare qualche parola non già per descriverlo, giacché a ciò fu supplito da un valente ingegno nella Rivista di Firenze (8 ottobre 1844),
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    ma per dire che esso è compreso per metà sul lato destro del fiume, nella Comunità di Vico Pisano, là dove il monte omonimo declinando dall’antico diruto fortilizio della Verruca fino alle cave di Uliveto mette quasi i piedi nell’Arno, lasciando al suo maestrale la deliziosa vallecola di Calci sparsa di ville signorili, di acque perenni, e di una grandiosa Reggia anziché un umile convento di Certosini. – Fu costì dove un valente architetto a spese di una società anonima adornò l’Arno di un terzo ponte ch’io chiamerei maraviglia dell’arte, per la sveltezza, la parabola, e l’impostatura di tre grandi archi; dai quali l’ampio letto del fiume resta abbracciato, e sotto cui le acque anche in tempi di piena passano libere e senza alcun sensibile intoppo.
    Dirò in oltre con l’autore dell’articolo testè citato, che gli amatori delle Belle arti debbono gratitudine alla società anonima che ne somministrò i mezzi, perché generosa lasciò al suo autore libero campo, onde facesse più che altro opera monumentale, emettendo a tal’uopo una somma di 36, 000 scudi fiorentini, pari a 252, 000 lire.
    Cotesta opera meritevole di essere qui rammentata e della quale spero do dare con la prossima dispensa il disegno con la veduta pittorica del vicino Monte Pisano e della Valle di Calci eseguita da chiaro paesista, cotesto ponte, io diceva, fu edificato nella maggior parte di pietra lavorata, meno le volte degli archi che sono di mattoni.
    La sua lunghezza, contando le due fiancate con grande scarpa e le sue testate difese da due torrini, arriva a braccia 230.30, nella larghezza di braccia 13.45 comprese le spallette. Due gran piloni della larghezza di braccia 9 e mezzo piantati nel letto dell’Arno, e due testate poste sulle rive del fiume, della lunghezza di braccia 22.66, larghe nel piano stradale braccia 30.70, sono i 4
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    punti di appoggio dei tre archi, ciascuno dei quali con una sorprendente curva ellittica e quasi spianata nel centro misura braccia 47 di corda, e braccia 8.40 di rigoglio. Aggiungasi inoltre che cotesta fabbrica, benché s’inalzi fuori del pelo delle acque magre circa braccia 7 fino all’impostatura delle volte, compresa la gran cornice, e di là fino al piano stradale altre braccia 9, è di un accesso talmente agevole e pianeggiante da non accorgersi chi vi passa sopra di attraversare un fiume reale.
    Nel giugno del 1841 si dette principio a cotesta opera, e nel 10 ottobre del 1843 si chiudevano le volte dei tre archi incominciati soli 10 giorni prima, in guisa che nel 14 luglio 1844 fu aperto ai pedoni e alle vetture, nè la smoderata piena del 3 novembre successivo recò il minimo sconcerto a quel fabbricato novello.
    La vicinanza del Monte-Pisano, e segnatamente delle cave di Uliveto comprese né confini comunitativi di cotesta Terra fornirono materiali opportunissimi a quell’impresa, mentre per il lato economico debbono somministrarlo per primi i numerosi mulini esistenti nella così detta Val di Calci, dove si contano circa 100 di quegli edifizj idraulici con quasi 300 palmenti, la cui macinazione giornaliera, compresi i mesi estivi, si calcola che ammontar possa ad un di presso a sacca 1600 di granaglie, talchè sommerebbe in un anno per lo meno 576, 000 sacca di macinato. Ma ciò che costituisce una non meno importante faccenda in cotesti contorni è l’industria agraria degli abitanti della Comunità di Vico rispetto alla coltura degli ulivi, situati tutti nelle pendici del Monte-Pisano tanto dal lato di ponente come di ostro, di maestrale, e di levante dirimpetto al Lago di Bientina; talchè la manipolazione dell’olio fatto a freddo ha reso celebre in Europa quello di Calci e di Buti al pari dell’olio migliore
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    di Avane e di Lucca.
    La Valle detta di Buti coperta da cima a fondo da uliveti, da castagneti, e da pinete è costituita da una profonda insenatura del Monte-Pisano volta nel lato orientale, in fondo alla quale resta un’angusta pendice a scaleo suddivisa in più ripiani. In questo angusto catino risiede la popolosa Terra di Buti, dove non si vede che una piccola sezione del cielo in mezzo però a fertili piante di ulivi e dirimpetto a tramontana a selve di castagni, mentre la parte più elevata di cotesto valloncello è tuttora rivestita di alberi di pini.
    Continua a risedere in Vico-Pisano un Vicario regio, il quale per la materia di polizia dipende dal Governatore di Pisa. Esso esercita la giurisdizione civile e criminale su questa Comunità e su quella di Bientina, mentre al sua Cancelleria comunitativa abbraccia oltre alle due Comunità suindicate anche quella di Calcinaja.
    L’uffizio di esazione del Registro e l’ingegnere di Circondario sono in Pontedera; la conservazione delle Ipoteche ed il tribunale di Prima istanza in Pisa.

    QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ di VICO PISANO a cinque epoche diverse.

    - nome del luogo: Buti, titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 962, abitanti anno 1745 n° 1598, abitanti anno 1833 n° 3498, abitanti anno 1840 n° 3765, abitanti anno 1843 n° 3888
    - nome del luogo: Caprona (*), titolo della chiesa: S. Giulia (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 155, abitanti anno 1745 n° 195, abitanti anno 1833 n° 319, abitanti anno 1840 n° 316, abitanti anno 1843 n° 320
    - nome del luogo: Cucigliana, titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 117, abitanti anno 1745 n° 305, abitanti anno 1833 n° 475, abitanti anno 1840 n° 490, abitanti anno 1843 n° 476
    - nome
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    del luogo: Lugnano, titolo della chiesa: SS. Quirico e Giulitta (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 217, abitanti anno 1745 n° 258, abitanti anno 1833 n° 440, abitanti anno 1840 n° 430, abitanti anno 1843 n° 429
    - nome del luogo: Monte Magno, titolo della chiesa: S. Maria della Neve (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 522, abitanti anno 1745 n° 644, abitanti anno 1833 n° 755, abitanti anno 1840 n° 767, abitanti anno 1843 n° 814
    - nome del luogo: Nicosia (*), titolo della chiesa: S. Agostino (Prioria), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 170, abitanti anno 1840 n° 176, abitanti anno 1843 n° 213
    - nome del luogo: S. Giovanni alla Vena, titolo della chiesa: S. Giovanni Evangelista (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 493, abitanti anno 1745 n° 772, abitanti anno 1833 n° 1485, abitanti anno 1840 n° 1564, abitanti anno 1843 n° 1533
    - nome del luogo: Uliveto, titolo della chiesa: S. Salvatore (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 169, abitanti anno 1745 n° 421, abitanti anno 1833 n° 801, abitanti anno 1840 n° 826, abitanti anno 1843 n° 968
    - nome del luogo: VICO PISANO, titolo della chiesa: Natività di Maria (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa, abitanti anno 1551 n° 649, abitanti anno 1745 n° 1075, abitanti anno 1833 n° 1263, abitanti anno 1840 n° 1526, abitanti anno 1843 n° 1457

    - Totale abitanti anno 1551: n° 3284
    - Totale abitanti anno 1745: n° 5268

    Annessi provenienti nelle ultime tre epoche dalle parrocchie di Bientina e delle Fornacette comprese in altre Comunità

    - anno 1833: abitanti n° 274
    - anno 1840: abitanti n° 317
    - anno 1843: abitanti n° 332

    - Totale abitanti anno 1833: n° 9480
    -
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    Totale abitanti anno 1840: n° 10177
    - Totale abitanti anno 1843: n° 10430

    N.B.
    Le parrocchie contrassegnate con l’asterisco (*) nelle ultime tre epoche mandavano fuori di questa Comunità una porzione di abitanti detratti dal presente Quadro.

    VICO PISANO Comunità. – Si aggiunga la notizia della strada aggerata che attaccasi ad uno sprone del Monte Pisano a S. Giovanni alla Vena da una parte in comunità di Vico Pisano, e dall’altra parte al poggio di Montecchio passando accosto alla terra di Calcinaja per difendere il paese e la sottostante pianura da qualunque escrescenza dell’Arno ecc.
    Con la dispensa presente del SUPPLEMENTO fu promessa la veduta che qui si da incisa, disegnata da mano maestra, del bel ponte costruito ed aperto nel 1844 a traverso dell’Arno presso la
    Bocca di Zambra.
    Già all’Articolo PONTE NUOVO a BOCCA DI AMBRA, pubblicato fino al 1842 nel mio Dizionario, diceva, essere questo il terzo ponte che stava costruendosi sull’Arno, per opera dello stesso architetto Ridolfo Castinelli, al quale fu posto mano in quel suddetto anno. Esso è situato dirimpetto al monte pittoresco della Verruca, alle cave di Uliveto ed alla popolosa vallecola di Calci. Allorché fu dispensato l’Articolo VICO PISANO era comparso nel Giornale di Commercio a Firenze (31 luglio 1844) una esatta descrizione di cotesto Ponte nuovo.
    A testimonianza di lode di chi la scrisse, dell’architetto che lo costruì, e della società anonima che all’esecuzione con tanta generosità cooperò, ripeto qui con le parole del sig. dott. Rinaldo Ruschi la genuina descrizione che egli sino d’allora ne fece.
    «Tre grandi arcate di sesto semielittico sorgono da quattro piloni di pietra, due dei quali in mezzo all’Arno, e gli altri due nelle fiancate rivestiti da bozze rustiche, le quali danno a questa mole l’aspetto di un solido edifizio. Le
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    pile di mezzo sono anch’esse di pietra lavorata, e tanto in queste come nei due piloni di fiancate è adoperato il calcare cavernoso del vicino monte dalla Verruca, che scavasi alle sue falde presso il paese di Uliveto, pietra (dice il sig. Ruschi) non più usata fra noi dopo le repubblicane torri di Pisa».
    «Una cornice di travertino di Consumano gira intorno alle fiancate inferiormente alle impostature delle volte, sotto cui passano comodamente in tempi di acque basse le barche anche a vele spiegate. Un’eguale cornice hanno pure le due pile di mezzo sotto le volte soltanto».
    «Ma il genio e l’arditezza ti si presenta in grado eminente nelle tre grandi arcate formate da curve semiellittiche, conformi all’incisione qui annessa, di una corda di braccia 47 toscane l’una, ed il di cui semidiametro minore, o saetta, giunge a braccia otto».
    Inoltre vi si avvisa che «coteste curve semiellittiche, non erano mai state adoperate, né anche dell’Ammannato nel suo bellissimo ponte di S. Trinita dentro Firenze, talchè chiunque artista che sia, o dilettante, resta sorpreso della pochissima curvatura e della straordinaria leggerezza di coteste volte».
    «Oltre di che simili curve si rendono piacevoli alla vista per la continuità, che presentano nella loro curvatura e per il piano superiore stradale, pianeggiante in guisa, che non ti sembra di attraversare il largo letto di un fiume reale.»
    «A rendere poi sempre più bella e più svelta la loro forma concorre eziandio una grandiosa gola di travertino, di cui è fabbricata la ghiera delle arcate. Sopra gli squarciacqua di figura triangolare, i quali terminano alle impostature delle volte, sorgono delle soprapile cilindriche coperte da una cuspide sferica a grandi scannellature verticali, le quali vanno quasi a combaciarsi verso la cima».
    «La forma di cotesti rostri affatto nuova, soddisfa benissimo allo scolo delle acque, alla stabilità dell’edifizio ed al genio dell’architetto.
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    Le due facce del ponte sono rivestite di travertino cavato dal poggio delle Paranne nella Comunità di Colle Solvetti, mentre il toro è formato di marmo bianco, che a guisa di cornice ricorre sopra al vertice delle volte e sulle cuspidi, arrestandosi però alle spallette del ponte medesima; lungo le quali ricorre invece un marciapiede molto aggettato di macigno sorretto da dei modiglioni della pietra medesima, e sullo stesso toro, corrispondente al piano stradale, s’innalza il parapetto di marmo del Monte Pisano o de’ Bagni a S. Giuliano».
    «Finalmente a rendere più completo cotesto magnifico edifizio idraulico, alle due testate del ponte sorgono quattro torri di pietra, le quali servono di abitazione agli esattori del pedaggio dal R. Governo concesso alla società edificatrice del ponte; e presso le stesse torri sull’ingresso e l’egresso esistono contigue alle spallette del ponte comodi sedili di marmo per riposo e piacere de’ passeggeri.»
    «Non dirò delle insensibili e lontane montate fiancheggiate di pioppi, mercé cui si accede senza fatica al nuovo ponte che ha una traversa di braccia toscane 232 in piano perfetto, ed al quale si arriva dalla parte di Caprona e di Uliveto, alla sua destra mediante la strada provinciale
    Vicarese o di Piedimonte, mentre dalla parte sinistra dell’Arno vi si perviene per le strade comunitative rotabili delle Corti e di Navacchio, le quali partono dalla vicina R. postale Livornese».
    Tali sono le parti principali, della quale è costituita cotesta fabbrica solida e nel tempo stesso svelta a segno, che la desolatrice alluvione del 3 novembre del 1844 non le recò il minimo danno, ad onta che quel ponte fosse stato terminato nell’estate precedente.
    Infine fra i molti pregj che caratterizzano cotesta produzione delle Belle Arti si annovera quella che, a giudizio dei più, non solo non lascia
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    nulla a desiderare rispetto al suo carattere, ma essa è tale che vedutala a qualche distanza non si può fare a meno di crederla una della più solide e migliori opere idrauliche de’ tempi nostri. – Fu specialmente quest’ultimo riflesso che mi spronò a far disegnare ed incidere il Ponte sull’Arno a Bocca di Zambra, persuaso di fare cosa grata ai miei signori Associati.
    A rendere poi più sicura da qualunque evento in caso di strabocchevoli piene dell’Arno l’umile pianura di Calcinaja, di Bientina e di vico Pisano, mosso dal funesto esempio della piena del 3 novembre 1844, il R. Governo del 1845 deliberò di far costruire nei territorii comunitativi di Calcinaja e di vico Pisano una
    Strada aggerata, ossia Argine Strada, che attestando a levante-scirocco al poggio di Montecchio, si appoggiasse verso ponente-maestro ad uno sprone del Monte Pisano che trova alle cateratte del Canale Imperiale sotto S. Giovanni alla Vena.
    E’ un’opera questa che ci rammenta quel passo di Stradone, la dove disse, che i Romani superavano tutte le altre nazioni in tre generi di pubblici edifizj,
    in strade, cioè in acquedotti ed in anfiteatri, giacchè quest’Argine Strada diritto ed elevato trionfa in mezzo a quella pianura, sopra la quale si alza in molti luoghi 6 e più braccia, della grossezza in cresta di braccia toscane 15, e 30 circa sulla base, onde servire di quasi insormontabile diga e mettere al sicuro dalle più alte escrescenze possibili del vicino Arno le sottostanti e troppo basse pianure delle Comunità di Biotina, Vico pisano e di Calcinaja.
    Cotesto
    Argine Strada è distinto in tre sezioni. La prima che muovesi dal quadrivio di Montecchio e prosegue in linea retta fino all’angolo del campanile di Calcinaja. Essa è della lunghezza di braccia 1310
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    e della lunghezza costante in cresta di braccia toscane 15; otto delle quali ne occupa la massicciata, le altre sette sono divise in due eguali panchine sterrate. Il secondo tratto comincia con leggerissima salita subito usciti dal paese di Calcinaja, e percorre diritto fino al ponte sul fosso del Giuntino, nella lunghezza di braccia toscane 2000. La terza sezione lunga braccia toscane 2100 prosegue dal detto ponte fino a quello sul Canale Imperiale, o della Seressa Nuova presso S. Giovanni alla Vena.
    Con questa opera pertanto si è alzato il livello della nuova strada di tanto, che non solo mette al coperto ed ha provveduto stabilmente alla sicurezza della sottostante pianura per liberarla da qualunque piena maggiore dell’Arno, ma ancora supplisce al comodo pubblico da non lasciare più interrotte le comunicazioni per la già tortuosa e depressa
    Via provinciale Vicarese.
    Né qui si arrestarono i lavori a difesa e miglioramento di cotesta amenissima contrada, poiché il R. Governo si è degnato ordinare di rialzare un altro tratto di quella strada provinciale per un tragitto di circa braccia toscane 3000, a partire dal villaggio di Lugnano fino alla chiesuola di S. Martino al Bagno non molto lungi dalle cave d’Uliveto, il quale tratto trovatasi talmente basso che non solo nelle straordinarie escrescenze dell’Arno, ma esso da ogni benché piccola piena veniva dalle acque del vicino fiume investito, e talvolta sino all’altezza di tre braccia inondato.
    Fu allora che tornato in campo un antico progetto dell’ingegnere ispettore sig. Ridolfo Castinelli, previa una congrua modificazione, sulla fine dell’anno scorso 1845 fu posto mano a quest’altro tronco di
    Argine Strada, la quale non solo fu dirizzata, ma alzata in alcuni punti oltre sei braccia, mentre in altri punti, e
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    precisamente nella così detta Bassata di Noce, è stata sostenuta da un grosso muraglione della lunghezza di braccia 180.
    Tali ed altri simili miglioramenti nel breve giro di 14 mesi furono praticati lungo la ripa destra dell’Arno nella parte forse più ridente, più amena e più ricca di piante e di villaggi fra le pendici meridionali del Monte Pisano.
    In una parola godiamo di poter augurare, che non solo l’
    Argine Strada Vicarese riparerà secondo ogni probabilità per lunghissimo tempo dalle escrescenze i piani delle tre Comunità di Calcinaja, Vico Pisano e di Bientina, ma ancora l’estesissima pianura Lucchese posta a scirocco di quella città,specialmente dopo che sarà terminato un considerevole rialzamento dell’argine del muro, lungo braccia 6200, il quale divide le acque del Lago di Bientina dalle basse terre fra i poggi delle Cerbaje a scirocco ed il Monte Pisano a maestro, quasi a dirimpetto alla cateratta della Tura, dove principia il grande emissario della Seressa Nuova, ossia del Canale Imperiale.
    Rispetto poi al
    Vico Auseressa convertito in Vico detto osa PISANO, oltre quanto dissi al suo Art. aggiungerò la notizia di un istrumento pisano del 16 maggio 1263 (stile comune) relativo ad una permuta di beni posti nei confini di Lupeta con altri effetti situati nei confini di Vico in luogo detto Seressa o Auseressa. – (Arch. Dipl. Fior. Carte del Mon. Di S. Bernardo di Pisa.)
    In fine si aggiunga. – Nel 1833 la Comunità di Vico Pisano contava con gli annessi 9840 Abitanti e nel 1845 ne aveva 10832, cioè:

    Buti,
    Abitanti N.° 4091
    Caprona(
    porzione), Abitanti N.° 363
    Cucigliana,
    Abitanti N.° 487
    S.Giovanni alla Vena,
    Abitanti
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    N.° 1606
    Lugnano,
    Abitanti N.° 423
    Monte Magno,
    Abitanti N.° 805
    Nicosia (
    porzione), Abitanti N.° 220
    Uliveto,
    Abitanti N.° 926
    Vico Pisano,
    Abitanti N.° 1575

    Annessi

    Bientina; dalla comunità di Bientina, Abitanti N.° 60
    Pozzale;
    da quella di Pontedera, Abitanti N.° 276
    TOTALE
    Abitanti N.° 10832

    ARNO MORTO. Fra gli alvei abbandonati dall’Arno se ne contano diversi lungo la sua Valle; due di questi
    Arni morti erano nel vall d’Arno Pisano appresso Settimo e sotto Vico Pisano ( ARCH. DIPL. FIOR. S. Lorenzo alle Rivolte, e S. Marta di Pisa.)

    AUSERESSA (Auserissola). Sotto questi nomi nell’età di mezzo veniva segnalato un Vico e un distretto nel Val d’Arno inferiore fra gli emissari dell’Usciana e delle Seresse.
    Una pergamena della cattedrale Aretina, scritta nel 30 gennajo 1053
    in loco et finibus Vico Auserissola prope ipso Castello, accenna con qualche precisione la sua ubicazione, all’occasione di designare la situazione di un pezzo di terreno posto in finibus in MONTE infra Castello illo qui dicitur Vico Auserissola.
    Dalle memorie superstiti sembra potersi dedurre, che il Vico e contrada di Auseressa fosse di proprietà della Corona o dei Marchesi della Toscana, dai quali venne ceduta, talora ai vescovi di Pisa, altre volte ai vescovi di Lucca, quasi che fosse stato un luogo di controverso confine diocesano.
    Noi per altro troviamo che Alberico vescovo di Pisa disponeva da padrone del Vico
    Auserissola e sue rendite sino dal 975, anno in cui lo accordò ad enfiteusi con altri Vici dei plebanati di Vico Pisano, e di Calcinaja ai figli del Marchese Oberto autore degli Estensi, dei Malaspina, dei Pallavicini e dei Marchesi di
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    Massa, di Livorno e di alcuni Giudici di Cagliari.
    In forza della quale enfiteusi uno di quei discendenti, nel 1061, regalò la sua parte di
    Auseressa, e d’altri luoghi della stessa contrada alla Badia di Poggio Marturi (Poggibonzi), i di cui monaci nel 1130 rinunziarono all’arcivesc. di Pisa lo stesso Vico con altre possessioni di quella e della vicina Valle dell’Era. (MURAT. Ant. M. Aevi, ed Estensi)
    Che tali enfiteusi fossero precarie si deduce da tre istrumenti della Cattedrale di Lucca, dai quali resulta che, nel 1047, il vescovo lucchese esercitava un atto di signoria in
    Auserissola, allorchè ne investiva il nobile Guido; la qual’investitura fu sanzionata nel 1068 dalla contessa Beatrice marchesa di Toscana. (MEMOR. LUCCH. T. II) Dopo tuttociò si sente che il Vico Auserissola era tornato all’antica giurisdizione e dominio degli arcivesovi di Pisa; e segnatamente sotto gli anni 1138, e 1178 lo godevano gli arcivescovi Balduino, e Ubaldo de’Lanfranchi con privilegio dei re d’Italia Corrado II e Federigo I. In grazia de’quali diplomi furono condonati a quei metropolitani i diritti sovrani del Placito e del Fodro sulle corti di Bientina, di Buti e del Vico Ausurissole. (LAMI Memor. Eccl. Flor. – MATTHEI Hist. Eccl. Pis.)
    Se potesse provarsi per vero che la pendenza del piano di Lucca fosse maggiore verso il lago di Sesto, piuttosto che verso il Serchio, e che un ramo antico del Serchio (l’Ozzeri) si scaricasse costà, siccome opinava Lorenzo Albizi, (
    Raccolta degli Scrittori delle Acque T. IV) sarebbe da credersi, che l’emissario del lago di Bientina ripetesse l’etimologia del nome di Seressa o Serezza da Auserissola, quasi piccolo Oseri. – Vedere SEREZZA e LAGO di BIENTINA o di SESTO.
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Localizzazione
ID: 4377
N. scheda: 55410
Volume: 1;5; 6S
Pagina: 148, 170 - 171; 757 - 765; 269 - 272
Riferimenti: 57520
Toponimo IGM: Vicopisano
Comune: VICOPISANO
Provincia: PI
Quadrante IGM: 105-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1627860, 4839720
WGS 1984: 10.58762, 43.70105
UTM (32N): 627924, 4839894
Denominazione: Vico Pisano, Vico Auserissola, Auseressa - Arno Morto
Popolo: S. Maria e S. Giovanni a Vico Pisano
Piviere: S. Maria e S. Giovanni a Vico Pisano
Comunità: Vico Pisano
Giurisdizione: Vico Pisano
Diocesi: Pisa
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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