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Volterra - Vescovati della Toscana (Volterra) - Zecche Diverse (Volterra)

 

(Volterra)

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    VOLTERRA ( Volaterrae ) . – Città antichissima ed una delle 12 capitali dell' Etruria media, stata in seguito romano municipio, poscia colonia militare, più tardi sede di un vescovo cattolico e di un castaldo politico Longobardo, finalmente capoluogo di distretto e di Comunità con giurisdizione civile e politica nel Compartimento di Firenze.
    Fu Volterra la città più occidentale fra quelle dell' Etruria centrale, allorché Luni e Lucca erano de' Liguri, Pisa de' Greci; che conta un recinto di mura ciclopiche il più vasto ed il meglio conservalo che in tutte le altre città capitali dell'antica Etruria.
    Siede sulla cima pianeggiante alquanto curva di un monte che si alza sopra tutti i colli vicini fino a braccia 935 sul livello del mare Mediterraneo; di facile difesa; ma di difficile e tortuosissimo accesso cui si uniscono ne' suoi fianchi dal lato di settentrione, di maestrale e di levante poggi o colline marnose e frastagliale dalle acque della fiumana Era che le scorre sotto da settentrione a libeccio mentre dal lato di ostro e di scirocco la base del monte di Volterra è lambita dal fiume Cecina che gli bagna i piedi 5 in 6 miglia toscane più abbasso.
    Parlò della situazione di Volterra uno de' vecchi scrittori della Grecia, Strabone, nella sua geografia; e uno de' più giovani di Toscana, l' ingegnere Carlo Martelli, in una statistica agraria e industriale di detta città; alle opere dei quali rinvierò il lettore.
    Frattanto a maggior comodo repartirò il presente articolo in cinque periodi per consacrare il primo a Volterra Etrusca; il secondo a Volterra Romana ; il terzo a Volterra sotto il Dominio straniero, il quarto a Volterra Repubblicana, ed il quinto a Volterra Granducale.

    I. Volterra Etrusca

    Quale fosse lo stato di Volterra innanzi che sorgesse Roma, in tanta distanza di secoli e fra molte opinioni contraddittorie difficile sarebbe
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    a ben distinguere; e solo mi farò lecito asseverare, che Volterra dové precedere molte altre città della nostra Etruria.
    Contuttoché peraltro la sua origine sia incerta, la sua lingua ed i suoi libri siano da lunghi secoli perduti, l'epoca del di lei splendore non deve considerarsi anteriore ai tempi decisamente istorici.
    Il qual vero si manifesta nei suoi numerosi sepolcreti, nelle iscrizioni, statue, bassori-lievi, ornamenti, ed in molte divinità dette etrusche, per quanto comuni a quelle delle Grecia, divinità i di cui simulacri nella scoperta di quegli ipogei per avventura si ritrovano.
    Ma lasciando le oscurità delle induzioni ed attenendoci ai fatti più notorii, pochi senza dubbio negheranno a Volterra l’onoree di una delle 12 città capitali dell'Etruria media, e niuno io credo sarà per dubitare della sua potenza e popolazione antica quante volte si dia a contemplare il vasto recinto delle sue colossali mura ciclopiche, due terzi maggiore del cerchio attuale, e quante volte esaminare voglia l’ antico suo contado, a partire cioè dalla Val di Merse sino a Meleto sull'Elsa, e dal fiume Fine sino a Populonia lungo il mare; senza dire dei nobili vetustissimi monumenti d'arte, senza rammentare i molti sepolcreti che ad ogni passo nei suburbii di Volterra si scavano, e senza aggiungerei che alla fatal giornata con tanto furore nell’ anno 444 U. C fra i Romani e i Toscani presso il Lago Vadimone combattuta, è fama che gli Etruschi fossero comandati da un loro Lucumone Elio Volterno o Volterrano, per cui è dà concludere, che quella disfatta abbattè oltremodo la sua potenza ed antica grandezza, mutando l’ usata prosperità dell'Etrusca fortuna. – (T. LIVII, Decad. I.Lib. IX )
    Quindi è che ogni altra azione bellicosa posteriore finì sempre con la peggio de' Toscani, comecché con sommo valore ed ostinatezza una giornata campale i Volterrani dodici anni dopo (456 U. C.) sostenessero. Il qual fatto conferma, che a quell'ora i Romani erano di già penetrati nelle parti più
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    Occidentali dell'Etruria, talché la battaglia data nell'anno 47 o 474 di Roma dal console Tiberio Coruncanio dimostra abbastanza che gli Etruschi non erano più in grado di misurarsi con i vincitori.

    II. VOLTERRA ROMANA

    Dopo che la città di Volterra fu costretta di aprire le porte ai vittoriosi conquistatori, il governo di Roma per un tratto di quella politica che lo fece signore della maggior parte del mondo allora conosciuto, concedè ai Volterrani il diritto di cittadinanza ascrivendoli ad una delle romane tribù ( la Sabatina ) con facoltà di darsi leggi statutarie e magistrature proprie.
    Infatti Volterra era un municipio romano quando i suoi abitanti nella guerra civile fra Mario e Silla seguitavano le parli dei primo, sicché nella rovina di lui furono accolti dentro la loro città gli avanzi del vinto e disperso partito Mariano.
    Il generoso coraggio in quella circostanza dai Volterrani mostrato col tentare di far fronte essi soli in Toscana felice dittatore, ed il costante ardire di arrestare per due anni sotto le loro mura le vittoriose falangi Sillane indica bastantemente quanto i Volterrani antichi tenessero in pregio il diritto dell' ospitalità, e quanto poco paventassero le vendette di chi allora fu assoluto padrone di Roma e di quella Repubblica.
    Che se al compire di 24 lune gli assediali dovettero capitolare nell' accettare una militare colonia ; se poco dopo si andò pubblicando la legge agraria che doveva togliere ai Volterrani ed agli antichi Aretini gran parte dei loro beni per darli a de' furibondi soldati, con tuttociò le colonie Sillane non li ottennero, stantechè la divisione de' possessi fu prolungata in guisa che 30 anni dopo, appena nominato dittatore G. Cesare, in grazia del sommo oratore romano, fu dato ordine di liberare l'agro volterrano e quello aretino dell'obbligo di repartire i predj degli abitanti indigeni ai Sillani
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    coloni.

    Avvegnaché non solamente fa fallo conoscere ciò da Cicerone nelle sue lettere ad Attico ( Lib. I. Epist. 16), ed in quelle Familiari ( Lib. XIII. Epist. 4. e 5) dirette a Q. Valerio Orca legato e propretore in Toscana per Giulio Cesare, ma più di tutto onorevole per i Volterrani fu quel passo dell' Orazione pro Domo sua ad Pontifices, allorché Cicerone qualificava i Volterrani non solo cittadini, ma ottimi cittadini: ho dieque Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives fruuntur nobiscum simul hac civitate. – Se però gli ottimi cittadini di Volterra in grazia di cotanto eloquente patrocinatore ed in vigore degli ordini da G. Cesare dati ad Orca suo legato, furono esentati dall' obbligo di suddividere con gente straniera e poco amica i loro possessi; se il senatore C. Cursio di Volterra per l'amicizia e le cure di Cicerone ( Famil. Lib. XIII ) ottenne dal legalo stesso la restituzione intiera de' suoi beni nella propria patria, i Volterrani però dovettero vedere taglieggiati e divisi i loro effetti, quando a 28 colonie militari furono assegnati in Italia a danno degli antichi possessori tanti terreni che potessero saziare l'avidità di 32 legioni, onde ricompensare il valore e la fedeltà dei vincitori nei campi di Azio.
    Fu allora che l'agro Volterrano al pari del Lunense e del Fiesolano (ora Fioren tino ) ecc, venne assegnato loro secondo la legge Giulia. Il qual fatto dové accadere fra l'anno 724 ed il 728 di Roma, corrispondente agli anni 30 e 26 avanti G. C. Infatti al 726 U. C. ci richiama un'iscrizione votiva ad Ottaviano Triumviro posta dai co loni militari di Luni. Arroge a ciò il Mar mo Anciriano da cui si
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    scuopre, che nell' anno 724 di Roma sotto il quarto consolato di Ottaviano, e nel 740, sotto i consoli Gneo Cornelio Lentulo e M. Licinio Crasso, a più di 200,000 legionarj furono assegnati moltissimi predj, o pubblici o tolti ai municipj d'Italia. Donde ne conseguita, che la deduzione della seconda colonia Volterrana, ossia Triumvirale, fosse tra quelle designate dal governo di Ottaviano Augusto fra l'anno 724 ed il 740 di Roma. – Vedere Luni, Volume II, pag. 939 e 940.
    Sul qual proposito, aggiunge Balbo nel libro de Coloniis, etc. che quei predj erano stati consegnati molto tempo innanzi ai soldati romani con diritto ereditario.
    Dalla stessa opera abbiamo la notizia, che dal divo Augusto ( con la legge Giulia ) fu repartita ai legionarj una gran parte dei campi e delle selve lungo la Via Aurelia ( vecchia e nuova ) , dove si determinarono i confini di ciascuna Centuria con appositi termini di legno, finché, sotto l'impero di Trajano (governando la Toscana Adriano) ai termini di legno furono sostituiti quelli di pietra. – Vedere Pisa, Volume IV. pag. 303.
    Peraltro Volterra con tulio che dovesse concedere una parte del suo territorio verso il littorale alle legioni dei Triumviri, non cessò essa di perdere il diritto di municipio. In prova di che, oltre le iscrizioni superstiti di cittadini volterrani addetti alta tribù Sa batina dopo la deduzione delle due colonie, sillana e triumvirale, infiniti esempi potrei citare, senza stare a ripetere quanto si disse all’ Articolo Lucca ( Volume II, pag. 822), con la differenza che la città di Lucca fu municipio e colonia però di diritto romano, quella di Pisa municipio e due volte colonia ,
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    una di diritto latino, l’altra militare, l’ultima delle quali fu appellata Colonia Julia Obsequens , egualmente che le doppie colonie sillane e trumvirali dedotte ad Arezzo di dissero Fidens e Juliens , mentre non si fecero distinzioni fra colonia sillana e triumvirale di Volterra, siccome non lo fu di quella di Fiesole, sebbene l’ultima prendesse il nome di colonia Fiorentina , donde poi ebbe origine la metropoli della Toscana.
    Ridotta più tardi Volterra suddita di Roma imperiale, non è da dubitare che il suo popolo non soggiacesse agli ordini e leggi che un senato in apparenza, gl’imperatori in sostanza, imponevano ai sottoposti in quel vasto impero.
    Infatti sotto il governo dell’Imperatore Tiberio, o del suo successore, furono istituiti in Volterra i Seviri Augustali , ad uno de’ quali fu eretta in cotesta città la statua di marmo, che monca si vede in un subborgo della città, e nella cui base ai tempi di Ciriaco Anconitano (verso l’anno 1440) leggevasi il nome del Seviro Augustale , cui era stata innalzata. – Vedere Giusto e Stefano (SS.) extra moenia di Volterra.
    Un fatto per altro merita di essere avvisato a onore grandissimo di Volterra, quello cioè di essere in questo secondo periodo derivati di là diversi uomini celebri. Fra i primi de’ quali conterò un A. Cecina seniore , qualificato di Cicerone per uomo forte e chiaro, quello stesso ch’era stato principe degli Auguri in Volterra, di dove poi dovè fuggire per avere seguitato il partito di Pompeo contro G. Cesare; ed era forse quel Cecina padre di un altro A. Cecina giuniore stato condiscepolo ed amicissimo di Cicerone, a commendatizia del quale fu scritta la lettera 8 del Lib. VI delle Familiari a T. Furfano
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    proconsole in Toscana. Citerò fra i molti antichi nobili della stessa prosapia quel C. Cecina Volterrano signore di quadrighe, il quale al dire di Plinio ( Histor. Nat. Lib. X. Cap. 24.) da Roma inviava l’avviso di qualche vittoria agli amici di Volterra col dare il volo ad alcune rondini reduci ai loro nidi. Ma il più noto di tutti divenne quel Decio Albino Cecina , cui riferiscono due iscrizioni edite dal Grutero ( pag. CCLXXXVI 7. E CCLXXXVII 2. ) una delle quali dedicata agli augusti Onorie e Teodosio , e l’altra ad Arcadio trionfatore , nel tempo che lo stesso Cecina era prefetto di Roma, e che possedeva nel territorio di Vada una grandiosa villa descritta da C. Rutilio Namanziano che vi pernottò, quando da Roma ritornava in Francia sua patria. Era forse il figlio o lo stesso D. Albino Cecina , console nell’anno 444 con l’Imp. Teodosio la 18.ma volta.
    Finalmente nel primo secolo dell’E. V. Volterra diede al mondo cristiano un S. Lino secondo Pontefice succeduto a S. Pietro, allora quando fioriva in Roma un severo poeta volterrano, A. Persio Flacco , satirico rinomato, il quale figurava in tempi assai tristi come quelli di Nerone.

    III. VOLTERRA SOTTO IL DOMINIO STRANIERO

    Un chiarissimo scrittore oltramontano discorrendo delle cause della decadenza del R. impero, asseriva (ed il nostro Pignotti ripeteva) «che se si dovesse cercare nelle storie tutte del genere umano l’epoca in cui una parte assai numerosa di gente viveva meno infelice, converrebbe ricorrere al primo secolo del romano impero, nel quale, sebbene regnassero un Tiberio, un Caligola ed un Nerone, con tuttociò la massa de’ sudditi godeva i vantaggi delle savie leggi di quella repubblica imperiale».
    Risponderanno i loro contraddittori a cotesta forse troppo assoluta proposizione; in quanto a me basterà di aggiungere, che l’impero
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    di Roma decadde sempre più dopo chè fu trasportata la sua sede a Costantinopoli, tantochè gl’Imperatori dopo aver lottato per più secoli, ora contro i barbari, e spesso contro la religione di Cristo, sotto l’Impero di Arcadio e di Onorio l’Italia si vide inondata da un’immensa caterva di genti mosse dal settentrione di Europa e comandata da un re barbarissimo, (anno 406 di G. C.). La qual caterva, sebbene poco dopo dal greco generale Stilicone fosse uccisa e dispersa, pure insegnò ad altri barbari la via per scendere nell’Italia; e ciò poco innanzi che gli Affricani condotti da Genserico (anno 455) dalla parte del mare nelle Toscane maremma, recassero anche al distretto volterrano danni non piccoli, fino a chè la finale rovina dell’impero occidentale era riservata ad Odoacre primo re degli Eruli (anno 476 di G. C.), cui dopo 13 sottentrarono i Goti nuovi barbari con il loro capo, il re Teodorico. – Vaglia però il vero, che nel lungo suo dominio, Teodorico seppe affezionarsi i popoli vinti col rispettare la religione cristiana, col richiamare in uso le leggi e le magistrature del passato impero e col far risorgere il commercio e le arti, fra le quali la madre di tutte, l’agricoltura.
    Regnò Teodorico in Italia dal 493 fino al 526 dell’Era volgare; e se con esso non si estinse il regno de’ Goti, si estinse però la sua gloria, mentre 27 anni dopo, espulsi dai greci eserciti i Goti d’Italia, furono questi ben presto rimpiazzati da gente anche più feroce condotta di Allemagna fra noi nel 568 da un loro re oltramontano.
    I più degli storici convengono, che tutto il restante del secolo VI riescì calamitosissimo per l’Italia fatta preda de’ Longobardi; talché vi è ragione di concludere, che in quel primo periodo anche ai Volterrani fosse tolta una parte del loro territorio che possedevano fra le Maremme di Vada e la Val di Cornia, quando cioè il fiume Fine
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    cessò di servire di limite fra il contado pisano e volterrano, ed allorché la Val di Cornia fu messa a ferro e fuoco da uno dei primi loro duchi, Gumarit , innanzi che una parte della stessa valle fosse riunita alla lista ducale del governo di Lucca. – Vedere Cornino ( Subdominio ).
    Però le prime dignità politiche ed ecclesiastiche continuarono a darsi di preferenza anche nei secoli VII e VIII ai magnati di origine Longobarda.
    Infatti nel 737 Walprando vescovo di Lucca nasceva da Walpredo duca della stessa città, al quale succedè il vescovo Peredeo figlio del dovizioso Pertualdo possessore di molti beni nel territorio di Lucca, nelle pisane, rosellane e sanesi Maremme. Nel 754 il Longobardo pisano abate Walfredo fondò la celebre Badia di Palazzuolo presso Monteverdi, quando forse l’abate lucchese Ilprando incominciava ad accrescere nella Maremma di Grosseto e rendere potente la dinastia dei conti Aldobrandeschi di Soana.
    Che poi nel secondo secolo del regno Longobardo d’Italia Volterra fosse governata da un castaldo politico per conto di quei re non ne lascia dubbio l’iscrizione dell’antico tempio dei SS. Giusto e Clemente innalzato da Talchi, illustre castaldo al tempo del re Cuniperto e del vescovo Gaudenziano , vale a dire fra l’anno 688 e il 700 di G. C. Inoltre concorre a dimostrarlo un istrumento dell’ Arch. Arciv. di Lucca edito nel Vol. IV P.I. delle Memorie lucchesi .
    E’ un atto di donazione rogato nella città di Volterra, sotto di 25 maggio del 782, (anno ottavo di Carlo Magno re de’ Longobardi in Italia) col quale Ramingo figlio del fu Rodoino castaldo di Volterra offrì alla chiesa di S. Regolo in Gualdo, posta nella Val di Cornia, i beni che egli possedeva indivisi con altri cinque fratelli, beni tutti situati presso il fiume Cornia. Al quale contratto dopo la
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    firma del donatario seguono quelle di cinque testimoni volterrani, e del notaro Benedetto che rogò l’atto.
    Due anni innanzi ( gennaio del 780 ) in altro rogito, pubblicato dal Brunetti nel suo Codice Diplomatico, si rammenta un mercante di Villamagna presso Volterra : ed in un istrumento dell’anno 793 si fa menzione di un cittadino volterrano abitante in Orticassio , le quali reclute furono soppresse nel 1808. – (P. P. Pizzetti, Antichità Toscane T. II cap. 12.)
    Non è mio scopo indagare, se, durante il periodo Longobardo in Italia Volterra perdesse i diritti di municipio, tostochè ingegni chiarissimi all’età nostra, fra i quali merita di essere citato il celebre Carlo Troja ch’io chiamerei per la sua vasta erudizione, se non per una troppo tenace opinione, il Muratori del secolo XIX, tostochè cotali ingegni hanno instituito sopra simili indagini studj assai scabrosi nella lusinga di scuoprire la condizione civile degl’Italiani vinti dai Longobardi.
    Mi unirò bensì al parere del segretario fiorentino allorchè diceva: qualmente i Longobardi dal regno di Rotari in poi non erano più forestieri che di nome in Italia, quantunque la storia ricordi la rabbia di Astolfo penultimo loro re, quando si recò con numeroso esercito a cingere di assedio, sebbene inutilmente, l’eterna città di Roma.
    Comecchè le maggiori persecuzioni dei Longobardi contro i vinti Romani non oltrepassino appena il secolo VII, comecchè in molte città della Toscana, come in Siena, Populonia, Luni, Firenze e Fiesole s’incontri in quella età nella serie dei loro vescovi una gran lacuna, per latro non potrebbe sostenersi con sicurezza la cosa medesima durante il regno di Rotari, e segnatamente sotto re Cuniperto, chiamato il Pio , tostochè allora in Toscana si fondavano chiese e monasteri dai privati, dai primi uffiziali del regno e dalli stessi re Longobardi.
    Tale era quel Mon. di S. Donato in Asso edificato dopo il 702 dal re Ariperto II ; tale fu
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    il Mon. Di S. Eugenio presso Siena fondato nel 730 dal castaldo sanese Wanefrido . Tale ancora è la chiesa di S. Giusto innalzata verso la fine del secolo VII sotto il regno di Cuniberto in Volterra dal castaldo Alchis , mentre era vescovo di detta città Gaudenziano successore di Marciano, ecc.
    Terminati i re Longobardi con la prigionia del re Desiderio (anno 774) non terminò il nome del loro regno in Italia, rimpiazzato dal vincitore Carlo Magno che a se’ ed alla sua discendenza volle aggiungere col titolo di re de’ Franchi quello de’ Longobardi.
    Da quel tempo pertanto incomincia per l’Italia un’altra specie di colonie militari, ad oggetto di ricompensare un vistoso numero di signori francesi discesi alla coda degli eserciti, oppure col fine di affezionarsi i capi del clero in molte città vescovili della nostra penisola.
    Fu allora che prese piede maggiore l’uso, o piuttosto abuso, di ricompensare quegli uffiziali accordando loro in commenda ricche abbazie, molti stabilimenti pii, oppure assegnando loro in feudo città, terre e castelli con più o meno vasti distretti.
    Aperta una volta, sotto altro titolo cotesta strada, l’usurpazione si convertì in uso, talchè i benefizi ecclesiastici, come i feudi secolari divennero di diritto dei re, ed oggetto dell’avidità dei loro cortigiani, dei favoriti, e per fino delle donne. (Ab. Barsocchini, Memor. Lucch. Vol. V. P. II nel Discorso preliminare ).
    Volterra fu tra le prime città della Toscana a riconoscere il dominio supremo di Carlo Magno. Ciò è dimostrato anche da una membrana dell’archivio segreto del Comune di Volterra scritta nel primo anno del regno Longobardo di Carlo Magno, carta citata dal Cecina nelle sue Notizie istoriche di Volterra a pag. 6. La cui mensa vescovile per concessione del re Lodovico Pio e di Lotario I ricevè la conferma dei già ottenuti diplomi del padre e dell’avo.
    Ma chi comparisce più largo di concessioni temporali ai vescovi di Volterra
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    fu il marchese Adalberto quando governava la Toscana a nome, ora di uno, ora di altro re, Franco Provenzale, o di origine Tedesca , quando egli, nel settembre dell’anno 896 donava ad Alboino vescovo di Volterra ed alla sua cattedrale (non saprei dire se a titolo di precaria, o se i perpetuo) varie castella della sua diocesi, fra le quali si nominano Berignone, Casole, Montieri , ecc. Della qual notizia però non esistendo scrittura autentica o sincrona dobbiamo darla con molta riserva per crederla vera.  – – (Ammir. Dei Vesc. di Arezzo, Fiesole e Volterra ).
    Autentico bensì è il documento del 30 agosto 929 col quale Ugo re d’Italia fece dono ad Adelardo vescovo di questa città del Monte della Torre presso San Gimignano; ed egualmente genuino è l’altro diploma concesso dall’Imperatore Ottone I a favore di Pietro vescovo di Volterra e della sua cattedrale dato nel Castello di Vada li 2 dicembre anno 967.  – –(Ammir. Oper. cit. e Murat. Ant. M. Aevi ).
    Il qual diploma ci sembra importante, tanto dal lato geografico, come per la parte politica, giacchè, rispetto al primo, si dichiara il Castello di Vada no più nel territorio volterrano , sivvero nel contado pisano ; mentre per la parte politica esso da’ a conoscere che ai tempi di Ottone I, si conferiva ai vescovi di Volterra oltre l’autorità ecclesiastica anco civile sopra alcuni paesi ed abitanti della diocesi loro. Il qual vero si rende più manifesto nel privilegio testè annunziato, mercé cui Ottone I, alle preci di Pietro vescovo di Volterra confermò quanto avevano alla stessa mensa già conferito i re Berengario, Carlomanno e Lottario II tanto rapporto ai beni enfiteutici come rispetto ai servi spettanti alla mensa volterrana.
    Da quel diploma inoltre si viene a conoscere che, fino allora in Volterra i suoi vescovi non
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    ebbero titolo i conti , ossia governatori civili, siccome avvenne sotto il regno de’ Carolingi a varie altre città dell’Italia Longobarda.
    All’Art. Monte Voltrajo citai un placito tenuto lì 12 giugno del 967 nel palazzo del Vescovo Pietro di Volterra dal Marchese Oberto conte del sacro Palazzo alla presenza dello stesso Imperatore Ottone I e di molti cortigiani.
    Fu poi il medesimo vescovo generoso verso il clero della sua cattedrale, a favore del quale nel 974 con istrumento del 23 ottobre, rogato da uno di quei preti canonici, donò al capitolo volterrano molti terreni posti nelle pendici estreme meridionali del poggio di Volterra presso le Moje , o Saline regie .
    Anche nel 991 furono donati allo stesso clero dal March. Ugo salico altri beni con una corte posta in San Gimignano.
    Successore di Pietro fu il vescovo Benedetto, il quale nel 1007 fece una grandiosa permuta di beni e di giuspadronati di chiese con il giovane conte Ildebrando figlio del fu C. Ridolfo di Roselle e con la vedova C. Gisla sua madre. Ad istanza poi dello stesso vescovo, l’Imperatore Arrigo I, detto il Santo , con diploma del 1015 pubblicato presso Pisa confermò alla cattedrale e capitolo de’ canonici di Volterra le antiche sue prerogative; titoli e benefizj.
    Tutti i documenti qui sopra citati, e moltissimi altri che per brevità si tralasciano danno ragione di concludere, che la città di Volterra col suo distretto fino al secolo XI almeno dipendeva nel politico e nel civile dai re dell’Italia Longobarda, o dai loro governatori, conti e marchesi.
    Che sino a detta età Volterra fosse governata dai conti secolari, e non dai suoi prelati, lo dichiara un diploma dell’Imperatore Arrigo II, del 17 giugno 1052, a favore del clero volterrano, col quale ad istanza di Guido vescovo di detta diocesi, che si lamentava del conte e degli altri ministri pubblici rispetto al
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    gravoso modo che essi tenevano verso il suo clero e loro servi nell’esazioni dei diritti reali, concedè al detto vescovo ed ai suoi successori, non che al clero, ogni esenzione civile dai conti (donde ebbero origine le immunità ecclesiastiche ) accordando il diritto a quei prelati di richiamare a se’ le cause a ciò relative, e di definire le liti mediante il duello.
    Lo stesso supremo potere fu continuato ai successori del Vescovo Guido fino alla pace di Costanza.
    Correva l’anno 990 quando governava la marca della Toscana il gran conte Ugo salico, nel tempo che era conte di Volterra, oppure del suo territorio, un Tedice figlio del fu conte Gherardo, siccome apparisce da un documento del 25 luglio di detto anno indicato dal Cecina nelle sue notizie istoriche di Volterra ( pag. 14 nota 1.)
    Infatti troviamo nel 1078, 2 febbrajo, che si fermò in Volterra nel borgo di Marculi fuori della Postierla di S. Andrea la gran contessa Matilde con tutto il suo seguito per pubblicare costà un placito a favore del vescovo e chiesa volterrana, cui confermò le pievi di Molli, di Pernina e di S. Giusto a Balli con più tutte le loro giurisdizioni, beni e appartenenze.
    Ora, soggiungo io, se fuori della Postierla di Marculi presso la chiesa di S. Andrea ed il Monastero di Olivetani, ora Seminario vescovile, esisteva un borgo che prendeva il nome da quella antica Porta, doveva esistere sempre l’antico giro delle mura etrusche ristretto molto tempo dopo.

    IV. VOLTERRA REPUBBLICANA

    Ho detto di già che il potere imperiale continuò generalmente a mantenersi in vigore in Toscana fino alla pace conclusa in Costanza (anno 1183) fra l’Imperatore Federigo I da una e le città della Lombardia con i loro fautori dall’altra parte.
    I primi segni di emancipazione dagl’Imperatori Alemanni accaddero in molte città della Toscana sulla fine del
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    secolo XII quando sedeva sulla cattedra di Volterra il potente vescovo Ildebrando Pannocchieschi, che ottenne dall’Imperatore e dal re d’Italia Arrigo VI il titolo di principe lasciato poi ai vescovi suoi successori con varii luoghi e castelli della diocesi volterrana.  – – Uno di quei diplomi lo aveva già ottenuto il Vescovo Galgano de’ Pannocchieschi dall’Imperatore Federigo I nell’anno della pace di Costanza, quando gli assegnò non solo il governo della sua chiesa, ma quello ancora della città di Volterra e di molti altri luoghi, previo l’onere di dovere corrispondere all’Impero un’annua responsione feudale.
    Non meno di 70 fra ville, castelli e terre, porzione per intiero, alcune per metà ed altre per una terza o quarta parte, furono date in feudo al vescovo Ildebrando con privilegio del 26 agosto 1186, non escluso il governo della stessa città con tutte le giurisdizioni sovrane. Imperocchè in quel diploma fu rilasciato al vescovo la giurisdizione sovrana quam nos civitate praedicta ( Volterrae ) habemus, et idem episcopus a nobis tenet etc. oltre il diritto di eleggere i consoli di detta città, quelli di San Gimignano, di Casole e di Monte Voltrajo.
    Da tutto ciò si può concludere, che il vescovo Ildebrando dal 1186 in poi faceva le funzioni, se non di sovrano, al certo di vicario imperiale sopra Volterra e suo contado.
    La potenza e politica di questo principe mitrato si manifesta più che mai nel diploma del 1189, 16 agosto dato in Voutsbourg , quando il re d’Italia Arrigo VI concedeva allo stesso prelato ed ai vescovi suoi successori a titolo di feudo la zecca di Volterra con l’obbligo di un’annua retribuzione al regio erario di sei marche di argento al peso di Colonia. – Vedere qui appresso Zecca di Volterra .
    Anche il legato imperiale in Toscana Enrico Testa, stando nel Borgo S. Genesio, a dì 21 marzo del 1190 prese a
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    mutuo dal suddetto principe e Vescovo Ildebrando per servizio dell’Impero mille marche d’argento assegnando in compenso al prelato stesso tutte le rendite regie della città di Lucca, quelle di Galleno, di Cappiano, di Fucecchio, di Massa-Piscatoria, di Orentano, di San Miniato e del Borgo S. Genesio con una parte del pedaggio di Castel-Fiorentino, tutto quello del Castello di Poggibonsi e del Borgo di Gena, le rendite del Castello e corte di Catignano, il tributo di 70 marche che dovevano pagare annualmente i Sanesi, oltre il pedaggio delle porte di quelle città, rilasciando al vescovo medesimo il censo annuo che egli pagava all’Impero per le miniere di argento di Montieri oltre la zecca e il fodro fino all’estinzione del debito delle mille marche da esso lui somministrate.
    Dell’importanza politica di cotesto vescovo fa fede la parte che egli prese nel 1200 con i Fiorentini alla guerra di Semifonte, ed il trovarlo anche nel marzo del 1205 in qualità di capo della lega guelfa di Toscana presedere in San Quirico un solenne giudicato con l’assistenza dei rappresentanti delle città di Firenze, di Lucca, di Siena, di Perugia e di Arezzo; lo che induce a supporre che il vescovo Ildebrando si regolasse a seconda dei tempi, ora ghibellino ed amicissimo degl’Imperatori Federigo I e Arrigo VI, ed ora guelfo importuno alla parte imperiale. – Vedere San Quirico in Val d’Orcia.
    Frattanto i cittadini di Volterra non sembra che soffrissero in pace il doppio dominio spirituale e temporale del loro vescovo, dal quale tentarono ogni sforzo per emanciparsi.
    Le membrane appartenute a questa Comunità, ora nell’ Arch. Dipl. Fior. fanno amplissima fede di tale verità, mentre una di esse del 3 maggio 1196 (vivente il suo vescovo e principe Ildebrando) rammenta i consoli e consiglieri della città di Volterra da una parte, ed i signori e consiglieri del Comune di Montignoso dall’altra parte, i quali, senza il permesso
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    né del principe Ildebrando né dell’Imperatore Arrigo VI, elessero i respettivi sindaci per terminare le differenze insorte fra quelle Comunità a cagione di confini territoriali, e della respettiva giurisdizione.
    Inoltre un’altra membrana del 15 luglio 1197 ricorda Uberto Panzi , o Parigi , potestà del Comune di Volterra nell’atto di ricevere da alcuni signori della Pietra il (oggi la Pietrina ) castello predetto a nome del Comune della città, senza interpellare, né prendere licenza dal vescovo principe.
    Infatti nel 14 dicembre 1198 altri signori della Pietra giuravano nelle mani di un sindaco del Comune di Volterra di osservare l’accomandigia del castello della Pietra sottoposto da uno di quei nobili alla stessa città.
    Anche nel 7 marzo del 1199 ( stile comune ) altri signori ( i Cavalcanti ) donarono in perpetuo al Comune di Volterra rappresentato dai suoi consoli, una loro corte posta nel piviere di Villamagna con tutta la giurisdizione che se gli competeva. ( loc. cit. )
    A quell’anno pertanto riferiscono li statuti comunitativi di Volterra, statuti che si conservavano con molti altri posteriori in quell’archivio pubblico. Sicchè alla fine del secolo XII si può asserire quasi con certezza che la città di Volterra si reggesse a Comune.
    Sempre più frequenti sono gli atti di sottomissione e obbedienza giurata sull’esordio del secolo XIII ai reggitori di questa città da molti castelli, villaggi, signori e magnati del suo contado.
    All’ Articolo Castelnuovo di Val di Cecina citai un istrumento del 2 agosto 1212, col quale i nobili e popolo di Castelnuovo di Cecina si posero sotto la protezione del Comune di Volterra con facoltà a questo di eleggervi i consoli, e di esercitarvi ogni giurisdizione, a condizione di essere da lui difesi.
    Discorrendo poi di Ghizzano fu indicato ivi un atto pubblico della stessa provenienza, col quale il C. Rainaldo del fu C. Alberto signore di Monterotondo nell’11 maggio del 1213 vendè al
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    Comune di Volterra per lire mille di moneta volterrana (nota bene) ciò che gli apparteneva nel castello e territorio di Castelnuovo di Cecina . Il quale atto fu convalidato dal giuramento del conte predetto prestato a Gallo potestà di Volterra, a nome anche de’ Lambardi di Castelnuovo, di mantenere cioè la pace col Comune di questa città; ed in niuno degli atti di sopra rammentati si ricorda il potere politico dei vescovi volterrani su detta città.
    Ma ciò che toglie ogni dubbio sul cessato dominio temporale dei mitrati di Volterra, è lo statuto fatto da quel Comune nell'anno 1207, nel quale vi è prescritto il modo del giuramento da prestarsi dai podestà e dai consoli ad onore di Dio, de' Santi, della città e Comune di Volterra, senza farsi alcuna parola de' suoi vescovi. – (A. Cecina, Oper. cit. pag. 24).
    Lo stesso A. Cecina dimostrò, qualmente da quelli statuti appariva il metodo governativo della loro città, tostochè i Volterrani eleggevano liberamente il podestà ed i consoli senza approvazione di alcuno, e che ai medesimi veniva affidata la difesa e polizia della stessa città e suo contado.
    Ma succeduto al vescovo Ildebrando (fra il 1211 e il 1212) Pagano Pannocchieschi di lui nipote, promosso a quella dignità dall'arcidiaconato di Volterra, e pretendendo egli di riacquistare quel dominio che non aveva potuto ottenere il suo predecessore, incontrò degli ostacoli forti dalla parte del popolo, talchè il Comune di Volterra, per liberarsi dalle censure fulminate contro dal prenominato Pagano, dové appellarsi al Pontefice Innocenzio III. Ma ad onta di ripetuti invii e giudicati il vescovo Pagano non volle cedere alle sue pretensioni fino a che poco prima di morire, nel 7 agosto dell'anno 1239; alle preci di molti amici egli s'indusse ad assolvere i Volterrani tutti dall'interdetto.
    La morte del Vescovo Pagano sembra ridestasse l'idea nell'Imperatore Federigo II di riacquistare la supremazia sopra Volterra
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    ed il suo territorio. Infatti quel sovrano, mentre era negli accampamenti davanti a Viterbo, con atto del 4 novembre 1243 affittò per due anni, mediante lo sborso di lire 11000, ad un mercante fiorentino le miniere d'argento di Montieri, insieme con i proventi dei pedaggi che pagavano all'erario regio i Comuni di San Miniato, quelli della Val di Nievole, di Valle Ariana e di Val di Lima. – Vedere San Gimignano.
    Finalmente lo prova un privilegio del 16 marzo del 1246 scritto nella pieve di Monte Voltrajo, col quale Federigo d'Antiochia vicario generale in Toscana per l'Imperatore Federigo II liberò per tre anni il Comune di Monte Voltrajo dagli oneri dovuti alla corte imperiale, eccetto la facoltà di nominare il podestà proprio, la cui elezione era riservata all'Imperatore o al suo rappresentante.
    Accadeva tutto ciò nell'epoca in cui i Volterrani, al pari di molte città, erano divisi fra loro di opinioni politico-religiose insorte fra l'Imperatore Federigo II ed il Pontefice Innocenzio IV, quando fatta l'elezione di Ranieri degli Ubertini in vescovo di Volterra (circa il 1240), il maggior numero de' suoi abitanti seguitava il partito del Papa, mentre molti altri cittadini avevano giurato fedeltà all'Imperatore Federigo II. – (Cecina, Notizie ecc. pag. 44).
    Ma due lustri dopo (1250) essendo mancato all'impero di Federigo II, il Comune di Monte Voltrajo, per rogito del 15 maggio 1252, rinunziò ai governanti di Volterra il diritto di eleggere il loro potestà, sottomettendosi alla signoria e dominio di questa città, a condizione di avere la cittadinanza volterrana.
    Infatti gli storici toscani si accordano nel dire che, morto Federigo II (13 dicembre 1250), i Volterrani riprendessero la facoltà di eleggersi il giusdicente; il primo de' quali fu Winigi Arzocchi di Siena che nelle carte di quel Comune s'intitola podestà senza la giunta poco innanzi praticata, ch'esso era tale per la grazia dell'Imperatore . Infatti nel 1252 accadde una nuova riformata
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    negli statuti del Comune di Volterra, mentre si esercitava l'uffizio di podestà e insieme di capitano del popolo il conte Alberto Segalari, quando appunto i Volterrani propendevano a sostegno del partito imperiale favorito in Toscana dal vicario re Manfredi di Napoli. – Frattanto la Signoria di Firenze decisamente guelfa non era tranquilla a tante dimostrazioni di città toscane in favore di un re ghibellinissimo, per cui nel 1253 mosse la sua oste, prima contro Pistoja che si teneva a parte ghibellina, e l'anno dopo per la stessa ragione contro i Comuni di Siena, di Volterra e di Pisa.
    » Avvenne pertanto (scriveva uno storico contemporaneo) ai Fiorentini una improvvisa vittoria, tostochè i Volterrani veggendo l'oste presso alle loro mura, con gran furore tutta la buona gente della città uscì fuori alla battaglia, e senza ordine o capitaneria aspramente assalì quella de' Fiorentini, la quale vigorosamente sostenne l'impeto, tantochè i cavalieri con l'aiuto dei fanti respinsero al poggio i Volterrani, onde questi si misero in fuga; ed entrando in Volterra i Fiorentini mischiati con i Volterrani, combattendo con loro, senza gran contrasto si misono dentro, per modo che ingrossando sempre più l'oste prese le fortezze e le porte che guarnì di sue genti. Quindi arrivate dentro altre truppe fiorentine corsono la città senza alcun contrasto. – (Ricordano Malespini, Storie Fior. cap. 155).
    Intorno a cotesta epoca pertanto due grandi opere monumentali si innalzavano in Volterra, nel tempo che Nicola Pisano architettava e faceva più vasta la cattedrale, voglio dire del più ristretto giro delle mura urbane e del grandioso palazzo del Comune, ossia de' Priori, incominciato nel 1208 compito nell'anno 1257, mentre vi era podestà la seconda volta Bonaccorso di Bellincione Adimari di Firenze; sulle quali opere tornerò più a basso a far parola.
    Ma la battaglia di Montaperto (settembre 1260) rianimò anche in Volterra il partito imperiale che a vicenda favorito o scacciato faceva figurare ora la parte guelfa ed ora la ghibellina.
    Raffreddossi
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    alquanto il partito guelfo che dominò in Volterra dopo la morte del re Manfredi (anno 1266) nel tempo che quello de' ghibellini sperava un nuovo trionfo dall'Imperatore Arrigo VII disceso nel 1312 con un esercito in Italia. Sennonchè a cotesto partito mostrossi decisamente avverso l'eletto vescovo Ranieri, e niente amica la Signoria di Firenze; la quale rilasciò sopra i Volterrani le rappresaglie, mentre Arrigo VII nel 1313 dichiarava il vescovo Ranieri de' Belforti decaduto da tutti i privilegi e feudi imperiali.
    Non starò a ripetere qui ciò che più specialmente dissi all'Articolo San Gimignano, rispetto alle guerre cittadine più volte fra i Volterrani e i San Gimignanesi battagliate, dirò bensì, che i XII difensori di Volterra, accaduta la morte di Arrigo VII, entrarono nella taglia guelfa, e mandarono la loro tangente di soldati al campo de' Fiorentini in Val di Nievole. Dopo però la vittoria da Uguccione della Faggiuola nel 29 agosto 1315 sopra l'esercito fiorentino riportata, i Volterrani ravvicinaronsi ai Pisani, dai quali ottennero nel 21 maggio del 1316, un trattato di tregua, preliminare di quella pace che l'anno dopo ebbe effetto per la mediazione di Roberto re di Napoli.
    Ma poiché il governo di Volterra tornò ad avvicinarsi ai Pisani aderenti di Lodovico il Bavaro e nemico acerrimo de' Fiorentini, questi interruppero ogni sorta di relazione con questa città.
    Frattanto nel 1340 questa città dové essere spettatrice di tragedie cittadine, quando Ottaviano Belforti nel dì 8 settembre di quell'anno, si levò a rumore con tutti i Volterrani suoi aderenti e seguaci danno della parte popolare, della quale si era fatto capo il vescovo Rainuccio Allegretti zio del Belforti. Questo ultimo però essendo per soccombere alle forze maggiori, fu costretto salvarsi nel suo Castello di Berignone, cedendo al nipote il libero dominio di Volterra. Il quale esso ritenne fino a che vi sottentrò quello del Duca d'Atene che i Volterrani (25 dicembre 1342) ad esempio de' Fiorentini nominarono in loro signore, imitandoli anche
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    dopo cacciato quel tiranno da Firenze, tostochè costrinsero i suoi uffiziali a lasciare in libertà Volterra. Allora i Volterrani riformarono il governo politico e militare con altri statuti, a tenore de' quali il magistrato de' suoi consiglieri di 110 fu ridotto alla metà; e allora fu soppressa la carica di capitano del popolo, e si deliberò, che la nuova fortezza eretta in Volterra per ordine del Duca d'Atene fosse data a custodire a quelli della famiglia Belforti, con la clausola che uno della stessa casa risiedesse costantemente fra i sei capi reggitori del Comune stesso. Le quali cose si mantennero senza interruzione alcuna dall'anno 1344 al 1361.
    Ma che il governo di Volterra, dopo le ultime riforme del 1344, non fosse tornato a parte guelfa, ed invece che propendesse nel contrario partito, sembrano manifestarlo i fatti seguenti: 1.° di avere i Volterrani consegnato al partito ghibellino de' Belforti la rocca, e deciso, che uno di essi sedesse costantemente fra i reggitori del Comune; 2.° di avere nel 1349 accettato in casa loro il C. Gherardo della Gherardesca ed i signori della Rocca stati cacciati da Pisa come complici dell'uccisione di Ranieri conte di Donoratico; 3.° di aver essi prestato giuramento di obbedienza all'Imperatore Carlo IV nel tre marzo del 1355 senza volere il consiglio de' Fiorentini. – (Matt. Villani, Cronic. Lib. IV , c. 63); 4.° e per la cordiale accoglienza fatta allorchè quell'Imperatore (22 maggio 1355) si recò a Volterra; 5.° di avere ottenuto da Carlo V un diploma nel giorno predetto innanzi di partire da Pisa il nipote del tiranno Ottaviano Belforti, cioè Filippo vescovo di Volterra, con piena facoltà di poter nominare gli uffiziali della prima magistratura in questa città e nei principali paesi della sua diocesi; comecchè coteste generose concessioni, rinnovate nel 14 giugno del 1364 a favore del vescovo Pietro Corsini di lui successore, non fossero più efficaci di quelle concedute al vescovo principe Ildebrando Pannocchieschi da Federigo I e
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    da Arrigo VI.
    Io non saprei pertanto decidere, se fu il timore d’irritare di troppo i Fiorentini, ossia l’apparizione in Toscana della compagnia del conte Lando, o piuttosto l’esempio tristo di Siena, che diede motivo al governo di Volterra di ravvicinarsi alla politica della Repubblica Fiorentina, per cui entrò di nuovo in lega con i Comuni di parte guelfa della Toscana; siccome avvenne nel gennaio del 1356, ( stile comune ).
    Quindi i Sanesi imitando i Volterrani ed altri popoli della Toscana, nel giugno di quell’anno furono accolti dai Fiorentini nella stessa lega con promessa di essere difesi ed ajutati. – (Matt. VIllani, Cronic. Lib. VI cap. 40).
    Che poi la casa fosse Belforti tornata in grazia de’ Fiorentini, si può dedurre dal soccorso che Volterra inviò nel settembre 1359 all’esercito che il Comune di Firenze teneva sotto Bibbiena assediata, e dall’ambasciata che i reggitori di Firenze, di Lucca e di Siena mandarono a Volterra per pacificare la consorteria de’ Belforti, le cui controversie si raccontarono da Matteo Villani nella sua Cronica ( Lib. X cap. 67) in questi termini: «Messer Francesco de’ Belforti tenea la forte rocca di Monte Voltrajo sopra il ciglio di Volterra, mentre Messer Bocchino di Ottaviano suo consorto era signore della città. Il quale ultimo cupido di aumentare sua tirannia con solleciti agguati cercava di torre a Messer Francesco la rocca di Monte Voltrajo; e dopo anche la morte di quest’ultimo non lasciava stare i figliuoli di lui in Volterra».
    Ecco perché il Comune di Firenze s’interpose tra loro e li ridusse a concordia, obbligando le parti ad una penale nel caso che guastassero la pace stabilita, mallevadoria di quella pace la Signoria di Firenze.
    «Ma in una sommossa cittadinesca di Volterra, alla cui stessa testa erasi posto colui che con segreta licenza di Bocchino Belforti aveva ucciso dormendo un volterrano amico dei figliuoli di Messer Francesco, in quel
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    rumore restarono morti alquanti figliuoli di detto messere ed altri imprigionati per ordine del tiranno Bocchino contro i patti, dei quali la Signoria di Firenze era sempre mallevadrice. Ma veggendo ad onta degli ambasciadori a tal uopo mandati a Volterra, Messer Bocchino non rilasciava quei figli in libertà, il Comune di Firenze comandò, che una mano di armati si recasse a Monte Voltrajo per fornire un valido presidio di quella rocca de’ figli di Messer Francesco Belforti, minacciando di guerra il tiranno se non faceva sollecita ammenda».
    » Fu allora (seguita Villani) che Messer Bocchino trattò di dare la Signoria di Volterra ai Pisani per 32000 fiorini d’oro.
    Quando il popolo di Volterra ebbe sentore di ciò, tutto di un volere prese l’armi (5 settembre 1361) correndo prima a cacciar di città le truppe pisane, poi al palagio del tiranno, che pose in carcere con la sua famiglia; quindi furon mandati a Firenze ambasciadori per avere un capitano di guardia, e a Siena per un podestà. – I Fiorentini, che in Volterra avevano inviato il capitano, ottennero pochi giorni dopo dal popolo la custodia del cassero e di promettere a quella Signoria, che i Volterrani non avrebbero eletto a loro podestà, né altri uffiziali minori, persona alcuna che fosse meno di 30 miglia toscane lungi da Volterra, eccettuandone però i cittadini fiorentini e quelli della famiglia Ceccioni di San Miniato. Quindi elessero in gonfaloniere per sei mesi Migliore Guadagni cittadino popolare di Firenze, e Lodovico dei Ceccioni di San Miniato in podestà, con ordine che si ponessero guardie alle contrade non solo dentro le mura nuove, ma ancora sulle mura vecchie di Volterra .
    Ecco, se non m’inganno, la prima epoca della sottomissione piena della città e Comune di Volterra ai Fiorentini, cui quei governanti avevano ceduto la loro rocca.
    Nuove riforme nel marzo del 1365 e nel luglio del 1368 furono fatte alli statuti del Comune di Volterra, ordinandosi in
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    quelli: che il magistrato dei XII difensori si riducesse al numero di IX, e che questo dovesse chiamarsi il magistrato del popolo e fosse da eleggersi tre per ciascun Terziere della città. Fu inoltre deliberato, che tutti quelli della famiglia Belforti si cancellassero dal numero de’ popolani, e che fossero inscritti nel Libro bianco . All’occasione poi della riforma del luglio 1368 fu decretato, che Messer Jacopo degli Ottaviani di Firenze e messer Sinibaldo di Vanni di Pistoja fossero confermati, il primo in capitano del popolo, il secondo in podestà; quindi fu rinnovata per altri 10 anni la custodia ai Fiorentini della rocca di Porta Selci con le antiche condizioni. Arroge a ciò qualmente che i Volterrani andarono sempre più tarpandosi la propria libertà, tostochè quel governo nell’ottobre del 1370 acconsentì di spogliarsi della custodia della città col permettere, che le chiavi delle porte stessero nelle mani del capitano del popolo per tutto il tempo che al Comune di Firenze fosse appartenuto la custodia della rocca di Volterra.
    Intanto il popolo doveva sopportare di male animo che i Fiorentini avessero preso sotto la loro giurisdizione il castello e uomini di Monte Castelli in Val di Cecina, per cui dietro il parere di 5 giureconsulti fiorentini, pronunziato il 10 luglio 1381, i Volterrani ne riottennero il dominio; quindi nel 22 settembre dello stesso anno furono rinnovati i patti fra i Fiorentini ed il Comune di Volterra sopra la custodia del suo cassero per un altro decennio.
    Scriveva il giovine Ammirato, che ciò accadeva nel dicembre 1383 conforme all’istanza precedentemente fatta al Comune di Firenze dai Volterrani, cui aggiunge A. Cecina: essere già stato manifestato agli ambasciatori Volterrani a Firenze il desiderio, che per il tempo successivo non si eleggesse più il capitano sopra una quaderna di cittadini fiorentini nominati dalla Signoria, ma bensì che quell’elezione si facesse a sorte, dondechè lo stesso Cecina conclude: che i Fiorentini non contenti di avere la
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    custodia della loro città, vollero eziandio la libera elezione del capitano e del castellano del cassero: le quali cose furono dai Volterrani nel 30 dicembre 1385 accordate, oltre la facoltà amplissima alla Signoria di Firenze di potere correggere tutti quelli statuti del Comune di Volterra che si trovassero contrarj all’ultimo accordo ed all’onore del capitano del popolo, al quale magistrato apparteneva il diritto di fare ne’ consigli le proposizioni dei pubblici affari.
    Finalmente da una delle ultime riforme degli statuti comunitativi di Volterra fatta nel 1411, risulta, che il distretto volterrano di allora si componeva di 33 minori comuni, non compresovi il capoluogo della città.
    Dissi, che una delle ultime riforme statutarie del Comune di Volterra ebbe luogo nel 1411, stantechè d’allora in poi ad onta degli slanci di vitalità che di tratto in tratto dava il suo popolo, esso fu costretto a suo dispetto restar ligio al governo fiorentino.
    Ma l’epoca forse più solenne segnalata dalla storia politica di questa città accadde nel 1427 quando i Fiorentini vi volevano introdurre il nuovo sistema catastale. La quale novità turbò moltissimo gli animi di quei cittadini, perché creduta contraria ai patti che il Comune di Volterra aveva stabilito con la Signoria di Firenze.
    Per modochè i Volterrani ricusando di eseguire i comandi dati dal capitano del popolo, nel dì 28 giugno dell’anno 1427 inviarono ambasciatori a Firenze per tentare di conservarsi illesi da quella misura. Tutto però fu inutile, la Signoria di Firenze comandò, che i 18 ambasciadori volterrani, i quali si trovavano allora in quella città, fossero arrestati. Dopo molti mesi di prigionia quei delegati, con la mira di liberarsi dalla carcere, nel dicembre del 1428 consegnarono alla Signoria i libri dell’ estimo del distretto di Volterra. Ma appena costoro tornarono in patria, il popolo si sollevò contro i Fiorentini, e Giusto Landini, uno degli ambasciadori reduci dalle prigioni di Firenze (nel 23 ottobre 1429) fattosi capo della rivolta, corse al palazzo e
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    alla fortezza, cacciandone il capitano ed il castellano dei Fiorentini, ed in seguito impadronendosi della rocca di Monte Voltrajo .
    Tali incidenti conturbarono forte gli animi della Signoria, la quale tosto creò il magistrato dei Dieci di Balia, destinando fra essi due commissarj Rinaldo degli Albizzi, e Palla Strozzi a dirigere l’impresa di quella guerra. I quali commissarj dopo aver radunato le genti d’armi, ne affidarono il comando a Niccolò Fortebraccio, che alla testa di quelle marciò a Volterra.
    Frattanto il Landini capo della sollevazione, comecchè sperasse che per la forte sua posizione Volterra potesse essere in grado di resistere per qualche tempo, nondimeno aveva chiesto d’ajuto i Sanesi ed i Lucchesi, né dagli uni né dagli altri cavò alcun frutto, quando a un tratto la rovina gli venne da quel lato che doveva temere meno. Aveva il magistrato del Comune di Volterra a un tratto deciso di dare la morte a Giusto Landini, siccome avvenne nel dì 7 novembre dell’anno 1429 (vale a dire 16 giorni dopo la rivolta) appena entrato nel Palazzo de’ Priori, per ordine de’ quali ancora spirante fu gettato dalle finestre sulla piazza, gridando: Viva il buono stato della città, e l’amicizia del Comune di Firenze . Giunto l’avviso al governo della ricuperazione di Volterra, la Signoria considerando essere quella la terza volta che cotesta città poteva dirsi soggiogata dalle armi de’ Fiorentini, passando ai voti, vinse il partito più severo; per cui fu deliberato: che i Volterrani non potessero più in alcun modo eleggere il loro potestà, la cui giurisdizione fu d’allora in poi riunita nella persona del capitano del popolo, ch’era di nomina assoluta della Signoria di Firenze, e che oltre l’antica rocca, o cassero alla Porta a Selci, si dovesse fabbricare colà una fortezza di nuovo, siccome fu poi eseguito, con aggiungere diversi ordini relativi all’adempimento del castaldo.
    Fin qui l’Ammirato, cui il Cecina aggiunse: che nell’anno 1431, a dì 30 ottobre, il Comune
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    di Volterra riottenne dalla Repubblica Fiorentina piena restituzione de’ suoi diritti, ritornando nello stato in cui era avanti di quelle turbolenze. – Grandi per latro furono le calamità, alle quali i Volterrani si trovarono esposti innanzi la ripristinazione de’ loro privilegi municipali, per aver essi ricusato di chinare il capo alle deliberazioni de’ Fiorentini. Una delle quali calamità era stata portata dalle truppe condotte in Toscana da Niccolò Piccinino per favorire i Lucchesi (aprile e maggio del 1431), altroché s’impadronirono di molte castella del contado volterrano. Ma la fede ed il buon animo appunto dal popolo di Volterra in quell’occasione verso il Comune di Firenze dimostrato, diede un grande impulso a questo per adottare la riformagione preindicata, e presa sulla fine d’ottobre dalla Signoria della Repubblica Fiorentina in favore del Comune di Volterra. – (Cecina, Op. cit. pag. 222 in nota e segg. )
    In grazia di ciò i Volterrani si mantennero, non solo in armonia con i Fiorentini, ma ancora tranquilli fra loro, fino a che Alfonso di Aragona re di Napoli, nel 1447, avendo mosso guerra al Comune di Firenze, danneggiò a più potere il territorio volterrano, mettendo a sacco la Terra delle Pomarance con altri castelli. In vista di ciò la Signoria di Firenze con provvisione del 23 dicembre 1449, ad istanza dei Volterrani, esentò il loro Comune per cinque anni dal pagamento della tassa annua di mille fiorini, cui era stato di prima obbligato. Inoltre dalla stessa provvisione si rileva, che allora le maggiori rendite del Comune volterrano si ritraevano dal sale , dal zolfo , dal vitriolo e dall’ allume delle sue miniere.
    Ventiquattro anni dopo il passaggio ostile dell’esercito napoletano, i Volterrani dovettero soffrire una sventura di assai più trista conseguenza; allorchè nel 1471 insorsero nella città delle civili discordie cagionate dall’appalto di varie miniere d’allume, a condizioni credute tropo favorevoli agli appaltatori e lesive alla comune libertà.
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    /> Gli storici più imparziali volterrani convengono in cotesta massima: che i magistrati al pari del popolo di Volterra procederono in quest’affare ad atti di positivo disprezzo verso la Repubblica Fiorentina stimolando questa a ricorrere a modi che dovevano riparare al violato suo decoro ed alla vilipesa autorità del capitano da essi nominato. Ogni accordo essendo riescito vano, fu posto l’affare nelle mani di Lorenzo de’ Medici divenuto l’arbitro della repubblica. Allora il magistrato civico di Volterra accorgendosi che si prendevano in Firenze delle misure forti contro la loro città, risolve di abbracciare il partito della difesa contro l’oste de’ Fiorentini, i quali mandarono a Volterra un esercito di 10000 fanti e di 2000 cavalli il comando del capitan generale Federigo Duca di Monte Feltro e di Urbino.
    Occupò primieramente l’esercito fiorentino i paesi del contado volterrano, quindi alla metà di maggio del 1472 si accampò nelle pendici del monte di Volterra; sicchè dopo inutili proposizioni di resa che avevano sin dal principio insinuato ai magistrati di ubbidire ai comandi della Signoria di Firenze, convennero segretamente con il Duca d’Urbino che in una notte determinata eglino avrebbero fatto in modo di lasciare aperta una delle porte di Volterra, purchè fosse salvato l’onore delle donne e la città dal saccheggio.
    Innanzi l’alba infatti del 18 giugno 1472 entrò in Volterra per la Porta a Selci l’esercito fiorentino, massacrando cittadini, incendiando e saccheggiando le loro case senza punto curare i patti poco innanzi stipulati.
    Alle calamità de’ privati tennero dietro quelle del pubblico, oltre l’esilio dato a 76 cittadini più animosi, oltre l’abbandono volontario dalla patria di molti notabili de’ più ricchi e più autorevoli, che rifugiaronsi in varie città d’Italia, il municipio di Volterra venne privato di molte dignità e di considerevoli rendite.
    Fu tolto al medesimo il palazzo dei Priori, che la Signoria di Firenze assegnò a residenza del capitano del popolo; e fu allora che i pascoli ed i boschi comunali, le miniere
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    del Sale , del Zolfo , del Vetriolo e dell’ Allume , dalla Comunità di Volterra fino ad allora godute, vennero inscritte fra le regalie del Comune di Firenze, il quale poco dopo le allivellò alla città di Volterra, rinnovando il fitto fino al 1530, epoca in cui cotesto livello fu reso perpetuo. Quindi furono eletti i magistrati che a nome della Repubblica Fiorentina dovevano governare Volterra ed i paesi del suo contado, riferendosi ai più moderni statuti del 1474 rispetto alla procedura e decisione delle cause civili.
    Per tenere poi in freno per tratto successivo i Volterrani, si estese il perimetro dell’antica fortezza, facendo atterrare il palagio de’ Belforti, presso cui furono costituiti i pivellini della fortezza nuova, e nel loro centro innalzata la celebre torre rotonda nominata il Mastio con più carceri segrete a vari ordini, le più basse, e più nascose delle quali ebbero probabilmente a primi ospiti nel 1478, alcuni dei capi della congiura de’ Pazzi, quando appunto cessò di esercitare il primo uffizio triennale di castellano di quella rocca il capitan Scheramuccia di Santa Croce.
    Inoltre la Signoria di Firenze per contratto del dì 8 gennaio 1482 alienò al Comune di Volterra i pascoli e tenimenti, dei quali dieci anni innanzi la loro città era stata privata, mentre sette anni dopo (18 dicembre 1488) dalla stessa Signoria fu deliberato di esentare gli abitanti della città di Volterra da tutte le gravezze reali, personali, e misti che per l’avvenire fossero state imposte; mossa a ciò dalla povertà in cui erano ridotti i suoi abitanti per i danni sofferti nell’ultima guerra, e per la naturale sterilità del suolo . – (A. Cecina, Oper. cit )
    Ma la parte della storia moderna che più onora il Comune di Volterra è, se non m’inganno, quella dimostrata dal magistrato de’ priori e dal consiglio generale di Volterra, allorché presso ala vigilia del
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    sacco famoso di Prato, e della cacciata da Firenze del gonfaloniere perpetuo Pier Soderini, i Volterrani con provvisione del 12 agosto 1512 deliberavano doversi spedire a Firenze ambasciatori con l’incarico di offerire a quella Signoria tutte le sostanze de’ Volterrani per i bisogni di quella guerra, in guisa che tre giorni innanzi che accadesse il sacco di Prato (16 agosto 1512) furono eletti otto cittadini volterrani con la facoltà di esibire a quei reggitori quanto fosse stato di vantaggio ai Fiorentini.
    Che se quella guerra riescì del tutto contraria ai voti della repubblica fiorentina; se in seguito cambiandosi del tutto in Firenze il governo e cacciando di seggio l’imbecille gonfaloniere perpetuo; se i Medici furono di nuovo restituiti e raccolti nella loro patria, Volterra non cambiò per questo la sua generosa offerta a favore della Signoria nuova: dalla quale con lettera del 6 settembre 1512, essendo invitati i Volterrani a fornire ad imprestito per un mese quella quantità di denaro che potevano, il magistrato civico con provvisione del 12 di detto mese decretò, che senza altro indugio si dovessero somministrare quanti denari si trovavano nelle casse del Comune; oltre i 150 soldati che Volterra ad istanza della Signoria di Firenze inviò sotto il comando del connestabile Benedetto di Meo Roberto Minucci.
    Tante cordiali dimostrazioni pertanto non potevano mancare di fruttare alla città di Volterra benefizi importantissimi, tostochè un anno dopo, nell’ottobre del 1513, i Volterrani ricuperarono in gran parte le perdute dignità, mediante provvisioni e decreti di esenzioni che la Signoria di Firenze gli accordò, e che in varj tempi furono al Comune di Volterra confermati. Dalle quali concessioni si rileva, che l’antico contado o distretto di Volterra era stato abolito fino dall’anno 1474, epoca di una delle estreme riforme de’ suoi statuti; a tenore de’ quali non fu ripristinato il vicariato di Val di Cecina, mentre in luogo suo doveva eleggersi un podestà fra i cittadini fiorentini residente in Volterra.
    Uno degli ultimi avvenimenti storici
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    relativi a Volterra repubblicana accadde nel 1530, in tempo dell’assedio di Firenze, quando i Volterrani si dichiararono dal partito Mediceo. Seguiterò brevemente il racconto lasciatoci da Benedetto Varchi e dal Guicciardini nella storia d’Italia ( Lib. XX ), e ripetuto dall’Ammirato ( Stor. Fior. Lib. XXX .) dicendo, che i Volterrani per la violenza usata loro da Giovanni Covoni di Firenze, che con 4 compagnie n’era venuto a Volterra, ed ingannevolmente era penetrato nella città e corso al palazzo de’ Priori con l’uccisione di alcune guardie volterrane. Allora il popolo irritato da simili violenze corse all’armi, barricando li sblocchi nelle strade, e carcando le finestre delle case di sassi; sicchè quelle compagnie col loro capitano Covoni in breve ora furono dal tumulto popolare vituperosamente cacciate di palazzo e di città. In conseguenza di ciò i Volterrani vedendosi vicini ad un mal partito mandarono a Bologna per darsi a Clemente VII, supplicandolo a provvederli di artiglieria grossa per poter abbattere la fortezza di Volterra, dalla quale erano del continuo tormentati.
    La perdita pertanto di cotesta importante città incresceva assai al commissario di guerra Francesco Ferruccio, il quale trovandosi al presidio di Empoli avvisò i Dieci di Balìa ch’egli volentieri si recherebbe a Volterra innanzi che gli affari si voltassero in peggio. Piacque l’avviso del Ferruccio, e inviatigli circa 2000 fanti e150 cavalli, con queste genti si diresse tosto a Volterra.
    Non ressero i suoi abitanti lunga pezza all’assalto feroce del Ferruccio, sicchè egli appena entrato nella fortezza, temendo che a Volterra giungesse soccorso, fece assalire da diverse bande la città. Allora combattessi ferocissimamente da una parte e dall’altra infino alla mezzanotte non potendo, né gli assalitori, né gli assaliti portarsi con maggior virtù di quella che mostrarono. Ma fatto dal Ferruccio metter fuoco alle case più vicine alla fortezza, tra lo strepito delle fiamme, i pianti delle donne e le grida dei combattenti, pareva che la terra rovinasse.
    Perirono in quella zuffa, dice l’Ammirato, d’ambedue
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    le parti non meno di 300 uomini, e più che altrettanti furono i feriti. – L’ingresso del Ferruccio in Volterra avvenne nel 26 aprile del 1530, in modo che la mattina seguente la città ardendo quasi da ogni parte, si dette al nemico, il quale guadagno i 5 pezzi di artiglieria ottenuti da Clemente VII, dopo che erano di un giorno da Genova arrivati. Dondechè il Ferruccio attese con molte estorsioni a cavare argenti dalle chiese e denari dai cittadini.  – – Accrescendosi sempre più il numero de’ suoi soldati, meditava di far rivoltare San Gimignano e Colle ad oggetto d’interrompere le vettovaglie che per quella via si recavano da Siena all’esercito assediante Firenze. Ma essendo opportunamente sopraggiunto in quelle bande il capitano calabrese Fabrizio Maramaldo con circa 2500 fanti non pagati, questi si recò con le sue genti ad accamparsi nel sobborgo di Volterra fuori della porta San Francesco – Fu allora che il Maramaldo con troppa arroganza avendo fatto intendere per un tamburino al Ferruccio, che incontinente, se non voleva essere tagliato a pezzi, gli rendesse Volterra, il Ferruccio mostrando d’ogni altra cosa tener più conto che di tali minacce, fece tosto impiccare il misero tamburino. In tale occasione, a dì 9 di maggio, si fece una grossa scaramuccia fuori le mura, dove restarono morti di quelli di dentro un 150, e sopra 200 delle truppe di fuori; inoltre passarono dalla parte del Ferruccio circa 200 fanti calabresi per mancanza di paghe. – (Ammir. Stor. Fior. Lib. XXX .)
    Intanto l’oste spagnola sotto il comando del marchese del Vasto, presa Empoli, s’incamminava alla ricuperazione di Volterra, tanto più che Maramaldo insisteva a domandare artiglieria per espugnarla, poiché con le mine non gli era riescito di ritrarre alcun buon effetto.
    » Maravigliossi, dirò con l’Ammirato, il marchese della fortezza del sito, poiché la città, oltre esser posta sulla cima del monte, non aveva all’esterno che cinque vie, disposte a guisa di cinque
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    dita di una mano aperta, per offenderla, restando fra mezzo alle stesse vie valli profonde e dirupate; talchè il marchese, preso consiglio col Maramaldo, pose ad alloggiare le sue genti fuori del Portone presso la chiesa di S. Andrea, dove il monte è meno disagevole. Ma uscendo improvvisamente il Ferruccio a infestare gli Spagnuoli occupati in attendarsi, avrebbe loro dato assai che fare, se dal Maramaldo non fossero stati in tempo soccorsi. Che sebbene non meno di quattro assalti si dassero dagli Spagnoli e dai Calabresi alla città, sebbene una larga breccia nelle mura fosse stata aperta fra l’orto delle monache di S. Lino e la Porta Fiorentina, a tutto riparava l’accortezza e valore del Ferruccio, che a tutto provvedeva, e da per tutto compariva: talchè il marchese fu forzato ad abbandonare l’impresa incominciata.
    Nella qual zuffa apparve chiaro in quel d’ il valore di Angelo Bastardo di antica origine volterrano, avendo egli più volte rimesso la battaglia con mirabile valore. – (Ammir. Oper. e Lib. cit. )
    Frattanto stringevasi maggiormente l’assedio intorno a Firenze dove non entrava più vettovaglia da parte alcuna, con tuttoché la strettezza del vivere non diminuisse negli assediati l’ostinazione della difesa. Ma essendosi recato il Ferruccio per ordine de’ Dieci da Volterra a Pisa, ed essendo riescito vano al Maramaldo di arrestarlo; raccoglieva il Ferruccio in Pisa quanti più fanti poteva, sicchè tutta la speranza de’ Fiorentini era ridotta alla venuta sua per liberare la città assediata. Quindi egli avendo lasciato Pisa, si perdé poco dopo a Cavinana con la vita del Ferruccio consolo Firenze, ma ancora Volterra repubblicana.

    V . VOLTERRA GRANDUCALE

    L’ultima sventura di questa città terminò con la repubblica fiorentina, mentre il principio del governo assoluto di Firenze parve piuttosto favorevole ai Volterrani, stantechè appena sottomessa la metropoli alle armi pontefice e imperiali, innanzi che Alessandro de’ Medici fosse dichiarato capo politico di quello stato col titolo di Duca, i
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    Volterrani nel 10 settembre del 1530 ottennero da quel governo provvisorio la conferma perpetua dei privilegi nel 3 giugno del 1551 furono loro dal Duca Cosimo I confermati.
    Ma nell’anno della caduta di Firenze i Volterrani erano stati afflitti da un’altra sciagura pubblica, come fu quella della orribile pestilenza che dopo la guerra ed i molti stenti falcidiò quella popolazione riducendolo a pochi abitanti.
    Non era appena creato Alessandro de’ Medici Duca di Firenze che fu ordinata una coscrizione militare nel contado e dominio fiorentino di 10000 fanti; alla quale perciò fu ascritta la gioventù superstite di Volterra, sotto nome di Bande , coll’accordare a quelle milizie alcuni privilegi, due fra gli altri si contavano quelli di potere portare le armi e pagare meno gravezze.
    Alla qual epoca la stessa città era suddivisa in tre quartieri, ed i cinque contrade, come al tempo della repubblica, nel modo che apparisce da una statistica ordinata nel 1551 da Cosimo I, nella quale si noveravano in Volterra e nelle sue Pendici o sobborghi le seguenti famiglie ed abitanti.

    NOME DEI QUARTIERI DENTRO LA CITTA’ E DELLE CONTRADE O SUBBORGHI FUORI DELLE MURA  e NUMERO DELLE FAMIGLIE E DEGLI ABITANTI NELL’ANNO 1551

    Popolazione e famiglie della città di Volterra nell’anno 1551

    - Nel Quartiere del Borgo
    n° delle famiglie: 194
    n° degli abitanti: 940
    - Nel Quartiere della Piazza
    n° delle famiglie: 77
    n° degli abitanti: 391
    - Nel Quartiere di S. Michele
    n° delle famiglie: 142
    n° degli abitanti: 677

    - TOTALE  dentro la città
    n° delle famiglie: 413
    n° degli abitanti: 2008

    Popolazione e famiglie fuori delle mura di Volterra nell’anno 1551

    1. Contrada di Porta a Selci e Pian di Castello
    n° delle famiglie: 104
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    /> n° degli abitanti: 518
    2. Contrada di Piazza e di S. Alessandro
    n° delle famiglie: 65
    n° degli abitanti: 398
    3. Contrada di S. Giusto e di Pratomarzio
    n° delle famiglie: 81
    n° degli abitanti: 455
    4. Contrada di S. Michele fuori le mura
    n° delle famiglie: 101
    n° degli abitanti: 450
    5. Contrada di Monte Gradoni e di altre Pendici
    n° delle famiglie: 118
    n° degli abitanti: 569

    - TOTALE  fuori di città
    n° delle famiglie: 469
    n° degli abitanti: 2390

    - SOMMANO  in tutti
    n° delle famiglie: 882
    n° degli abitanti: 4398

    Cotesta popolazione della città e sobborghi di Volterra all’anno 1551 potrà servire di misura onde mitigare il danno che molti vissuti assai dopo attribuirono alla peste del 1550 accaduta in questa città, talchè stando ad un ragguaglio scritto dal volterrano Cammillo Incontri sembrerebbe, che a detta epoca Volterra fosse rimasta quasi vuota di abitatori .
    Peraltro dalla relazione che fece nel 1579 al Granduca Francesco I sullo stato di questa città, Giovanni di Alessandro Rondinelli, inviato Commissario a Volterra, si comprende, che la sua popolazione era diminuita assai, specialmente di famiglie nobili. Ma una di quelle che non spatriò, né si e spenta, ha reso celebre il casato Inghirami più che pel Curzio de’ Scariffi per quell’Jacopo ammiraglio delle galere sotto il Granduca Ferdinando I che con esito felice nel 1607 sorprese la città di Bona nido di pirati.
    Per tornare però al’epoca del secondo Duca di Firenze, giova indicare, che Cosimo I con suo motuproprio del 26 novembre 1547, non ostante le antecedenti sospensioni, confermò a questa città le esenzioni della Repubblica Fiorentina accordata al suo capitanato che poi restituì nel primitivo perimetro con altro diploma del 21 marzo 1548 ( stile comune ), mentre rispetto alle
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    decime solite pagarsi dai canonici di Volterra é da consultarsi una memoria del segretario Pagnini nell’ Archivio delle Riformagioni di Firenze.
    Nel 1567 il Granduca Cosimo I inviò a Volterra con suprema autorità i nobili fiorentini Donato Tornabuoni e Giovanni Accaiajoli, affinché prendessero nota del raccolto delle granaglie che produceva annualmente il territorio volterrano, onde su quello stabilire una tassa costante.
    Sotto il governo de’ primi Granduchi, oltre l’elezione in Vescovo di Volterra di Guido Serguidi volterrano (anno 1574) oltre il suo parente Antonio Serguidi creato ministro del Granduca Francesco I, furono chiamati alla corte di Toscana Belisario Vinta che divenne direttore di quel gabinetto sotto Ferdinando I, nipote di altro giureconsulto, Francesco Vinta, che fu presidente della Pratica Segreta sotto Cosimo I, del quale Granduca era stato segretario di legazione in Roma l’infelice Francesco Babbi pure di Volterra.
    Ma gli uomini volterrani più segnalati dall’istoria figurarono sino dai tempi della repubblicana, come un Raffaello Maffei , un Zacchia Zacchi , un Aldo Mannucci , ecc . mentre molti si resero celebri sotto il Granducato della Casa Austro-Lorena felicemente regnante, tra i quali citerò per tutti l’economista segretario Mario Guarnacci , e lo storiografo Riguccio Galluzzi , al quale fanno corona onorifica gli storici A. Cecina , l’ Ab. Giachi e Gius. Maria Del Bava .
    Passerò sotto silenzio una più lunga lista di uomini distinti che Volterra ha dato in tutti i secoli al mondo cristiano, militare, forense, storico, ed artistico, a partire da S. Lino sino a al vivente vescovo Gaetano Incontri e all’arcivescovo Ferdinando Minucci, poiché una copiosa nota biografica di chiari uomini volterrani fu da altri prima di me pubblicata.
    Quali poi fossero le Contrade interne, e quali e quanti subborghi della città di Volterra all’epoca del Granduca Leopoldo I lo dichiara il suo motuproprio del 15
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    maggio 1779, col quale ordinò il nuovo regolamento amministrativo di questa Comunità, composta allora di 8 contrade e di 19 pendici , cui furono uniti altri due comunelli già privilegiati, quelli cioé di Monte Miccioli , e di Spedaletto .

    ANTICHITA’ SPARSE IN VOLTERRA
    E NEI SUOI SUBURBJ

    Le maggior parte di coloro che capitano in Volterra, vi é richiamata o dalle sue antiche quisquiglie, o dalle straordinarie sue produzioni naturali. Spettano alle antichità le mura etrusche in gran parte esistenti, la sua bella Porta all’Arco sotto la chiesa cattedrale, il museo civico, ricco di urne cinerarie, di vasellami, e di altri preziosi oggetti di arti e di manifattura antica, la piscina etrusca ecc. ecc. Appartengono alle straordinarie sue produzioni naturali, gli alabastri, le copiose saline, e le vicine miniere di rame riattivate, oltre la scoperta preziosa e la raccolta prodigiosa di acido borico nei Lagoni volterrani.
    Entrano poi fra gli edifizj del medio evo il suo battistero, la chiesa cattedrale, il palazzo del Comune, quello del Pretorio, ecc. Sarò più breve a parlare degli stabilimenti più moderni, fra i quali primeggia il Moschio presso la fortezza che attualmente va riducendosi ad un grandioso stabilimento penale. Potrà in conseguenza formare un oggetto di utile ed istruttiva curiosità la visita di Volterra, del vicino Montecatini, dei Lagoni di acido borico presso Monte Cerboli, delle regie Saline ( Moje ) e della variata collezione di fossili che forniscono i terreni intorno a Volterra – Avendo questa città una Guida pel forestiero che vi capita, passerò sotto silenzio molti altri oggetti importanti che la riguardano.
    Mura etrusche di Volterra . – Le mura etrusche di cui esistono tuttora avanzi grandiosi intorno a Volterra furono innalzate in un perimetro irregolare sopra burroni di difficile accesso, e, costruite di massi smisurati e senza cemento insieme collegati, i quali non cedono in magnificenza
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    a qualsiasi altro monumento, mentre la loro mole giunge talora alla grossezza di otto braccia.
    Le interruzioni di coteste antiche mura non permette oggidì rintracciare il suo andamento preciso, sebbene il Gori, il Guarnacci ed altri antiquarj tentassero d’indicarlo. Né anche si può sapere, quali e quante fossero le porte dell’etrusca città; e solo si conosce che dalla Porta all’Arco alla Porta a Selci le antiche mura salivano da ostro a grecale verso il luogo detto poi il Castello , per cui la Porta a Selci nel medioevo Porta Maggiore e Porta del pian di Castello appellossi. Di costà le mura etrusche girando, a quel che sembra da grecale a maestrale arrivavano alla chiesa attuale di S. Andrea, dove esisteva una Postierla denominata Marcoli , e di costì esse scendevano nella vallecola di Docciola per risalire poi ad un’antica porta d’ordine etrusco (forse la Porta d’Ercole dell’Ammirato) poco lungi dal così detto Portone . Di là attraversando orride balze arrivavano dietro la chiesa attuale di S. Giusto; e quindi piegando da settentrione-grecale a ponente e poi a libeccio, siccome apparisce dagli avanzi delle medesime, avvicinandosi alla torre di S. Marco, dove probabilmente fu un’altra porta della città.
    Dalla torre predetta di S. Marco dirigendosi a libeccio, e rasentando a occidente la contrada del Pratomarzio , le mura etrusche tornano a fare magnifica mostra sotto il soppresso monastero di S. Chiara, già di S. Benedetto in Orticassio ; di là dal quale s’incontra un’antica porta, o Postierla , chiusa. Continuando il giro antico le mura cambiavano direzione da libeccio a scirocco per dirigersi alla così detta Fonte di S. Stefano , nel quale luogo si scuoprono gl’indizi di un’altra porta della città (forse la Porta S. Felice , e de’ Saracini ), finché per
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    l’andamento stesso delle moderne mura costruite sulle antiche si giunge alla Porta all’Arco .
    Cotest’ultima che serve ancora di porta alle mura presenti della città si conserva tuttora intatta con doppi archi, uno de’ quali interno, l’altro esterno, ed entrambi formati di quelle pietre smisurate di panchina che nelle antiche mura etrusche di Volterra possono osservarsi. Furono esse descritte dal proposto Gori che ne diede anco il rame nella sua opera sotto il titolo di Museo Etrusco , quando già il Marchese Scipione Maffei, aveva avvisato agli archeologi: non vi essere monumento più illustre e più espressivo di questo per indicare il decoro e splendore dell’antica maestà Toscana .
    Giro delle mura etrusche a confronto delle attuali di Volterra . Le mura etrusche di Volterra abbracciavano una periferia, che sebbene irregolare e interrotta, si mostra tre volte più estesa del cerchio più moderno. Ho già detto, che quest’ultimo cerchio non fu opera dell’Imperatore Ottone I, cui molti attribuiscono il restauro delle vecchie mura ciclopiche, né sembra che lo sia stato di altre genti barbare, come altri sospettarono.
    Che però a ragione il chiarissimo Giovanni Targioni Tozzetti diceva, che il recinto di cotesta città era stato ristretto in tempi più moderni. Dimostrano tutto ciò diversi istrumenti sincroni, fra i quali rammenterò per primo un compromesso fatto nel dicembre del 1279 tra i cittadini di parte guelfa e quelli di ghibellina, dove si rammentano case e torri di Guelfi distrutte dai Ghibellini in tempo della loro ribellione (fra il 1260 e il 1266); le quali torri e case si dicono situate fra i muri nuovi della città . – (Cecina, Oper. cit. pag. 61).
    Non solo però nel 1279, ma un decennio innanzi, vale a dire, tre anni dopo la vittoria riportata dai Guelfi nei campi di Benevento, le mura del recinto attuale di Volterra erano già innalzate. Serve di appoggio a tal verità un istrumento
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    del 4 novembre 1269 riportato dal Giachi nelle sue Ricerche sullo stato antico e moderno di Volterra (Appendice pag. 86.), nel quale si tratta di muri vecchi e nuovi presso la Porta e Selci, ossia del Pian di Castello , detta anche la Porta Maggiore della città.
    Sarebbe decisa la questione circa l’epoca precisa di coteste mura, se fosse vero che alcune carte appartenenti (dice l’autore della Guida di Volterra) all’anno 1260 facessero conoscere che in detta epoca furono somministrati denari ad imprestito al Comune di Volterra per la nuova costruzione delle sue mura . La qual cosa è confermata, prosegue l’Autore della Guida, dal vedersi anteriormente al predetto anno 1260 nei pubblici contratti compresa dentro la città la contrada di S. Stefano di Pratomarzio , e quella di S. Marco , due borgate che nei tempi successivi si trovano indicate distintamente fuori dalle mura di Volterra. – Infine gli statuti comunitativi del secolo XIV citano spesso i muri nuovi ed i muri vecchi di questa città. – (Cecina, Oper. cit. pag. 165 in nota ; Giachi, Append. pag. 90).
    Attualmente le mura di Volterra contano cinque Porte. 1. Porta a Selci . 2. Porta a Docciola . 3. Porta Fiorentina . 4. Porta S. Francesco ; e 5 Porta all’Arco .
    Piscina detta Etrusca
    . – In poca distanza dalla cortina meridionale del Maschio di Volterra, nel piazzale più elevato della città, presso gli avanzi delle fondamenta del palazzo de’ Belforti, un tempo arbitri, o vescovi di questa città, esiste un ingresso per scendere mediante una scala mobile nel cisternone, chiamato Piscina Etrusca , ed in seguito il Castello , termine romano atto ad indicare una conserva di acqua
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    cui dagli antichi cotesta Piscina sembra che fosse desinata.
    E un ampio edifizio lungo braccia 37, largo braccia 25, le cui pareti con i sei pilastri e le volte che questi sorreggono, sono fabbricate a massello di grosse pietre squadrate di panchina. Le volte sono alte dal pavimento braccia sedici; gli architravi sopra i pilastri che le sostengono sono orizzontali e piano mediante grossi pezzi squadrati dell’istessa pietra congegnati insieme in forma conica. Nel centro della volta di cotesta Piscina scorgesi una grande apertura profonda, attualmente chiusa ed in altri punti della stesa volta diversi fori ed aperture minori per dove sembra che entrare dovesse l’acqua nel cisternone, o castello , innanzi di repartirla alle fonti pubbliche della città.
    Terme antiche . – Gli avanzi delle Terme volterrane furono scoperti nel 1761 dal zelante archeologo Mons. Mario Guarnacci all’occasione di una escavazione ch’egli ordinò a poca distanza dalla così detta Porta, o postierla chiusa di S. Felice , presso le mure esterne che corrono fra la Porta S. Francesco e la Porta all’Arco. Il bel mosaico consistente di piccoli pezzi di pasta coloriti e disposti a disegno, esistito in quelle terme, fu collocato nel pavimento di una stanza del museo civico di Volterra, dove attualmente si trova. Basta per tutti a dichiarare coteste terme opera del secolo secondo dell’E. V. l’avanzo di una iscrizione ridotta a due monosillabi ivi trovata …CO….AUG.
    Erano esse formate di sei stanze, fra le quali fu riscontrato l’ ipocausto oltre i vestigj di due bagni con frammenti di colonne e di alcuni fregj di marmo.
    Battistero . – Scendendo agli edifizj più cospicui del medio-evo si presenta per primo il tempio del Battista, di figura ottangolare, a similitudine di molti altri battisteri antichi, situato come quelli dirimpetto alla facciata della chiesa cattedrale.
    Sebbene di cotesto Battistero non restino memorie anteriori al secolo X, e che la sua
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    seconda restaurazione scenda all’anno 1283, io non dubito che la sua prima epoca non rimonti all’istituzione della Diocesi volterrana. – Vedere l’Articolo seguente Diocesi di Volterra.
    La notizia pertanto più antica del primo battistero de’ Volterrani conservasi in un istrumento del capitolo maggiore dell’anno 989, col quale l’arcidiacono della cattedrale diede ad enfiteusi a Pietro di lui padre tutto ciò che apparteneva alla chiesa di S. Ottaviano ed al capitolo della cattedrale per conto della pieve di S. Giovanni posta presso il Duomo e la sua canonica . – Inoltre il giuspadronato dello stesso capitolo sopra il battistero maggiore è dimostrato da un altro documento dell’anno 995, col quale Pietro vescovo di Volterra col consenso de’ suoi canonici trasferì il giuspadronato della chiesa del Battista in altre persone con l’ottenere di fare uffiziare il tempio stesso da otto preti.
    Fino all’anno 1578 cotesto tempio di Volterra conservò il titolo di pieve maggiore della Diocesi. – (Giachi, Oper, cit. T. 2° pag. 143 e seg. )
    Fra le opere di Belle arti meritevoli di osservazione contasi costì una tavola di Nicola Cercignani, detto il Pomarance , che la dipingeva nel 1591; havvi l’antico battistero di marmo lavorato in figure nel 1502, di Andrea da S. Savino, ed un grandioso ciborio in marmo bianco statutario con graziosi ornati, figure in rilievo e ad alto rilievo, il quale servì all’altar maggiore della cattedrale, opera del celebre Mino da Fiesole.
    Cattedrale . – La prima cattedrale di Volterra più non esiste. Senza far conto della tradizione popolare che suppone il primitivo Duomo esistito nel luogo del Castello davanti al Maschio , dove si veggono tuttora i fondamenti del grandioso palazzo de’ Belforti, dirò che tutti i documenti superstiti, fra i quali quello del 989 citato all’Articolo Battistero , tendono a dimostrare, che dove è tuttora fosse sempre esistito l’antico Duomo.
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    – Esso fu consacrato nel 20 maggio 1211 dal Pontefice Calisto II, ampliato nel 1254 dal noto artista Nicola Pisano, e finalmente restaurato ed abbellito nel 1843 della pietà de’ Volterrani sotto la direzione degl’ingegneri Mazzei e Solaini.
    In grazia degli appunti favoritimi ricorderò ai lettori, qualmente delle antiche sostruzioni scoperte nell’eseguire gli ultimi restauri, parve ai nominati ingegneri di avere trovato dentro l’area attuale del Duomo indizj meno che dubbj di due chiese state edificate in tempi ed a livelli diversi; e si è anche dubitato, che il coro e la crociata fossero di una costruzione posteriore. Checchè ne sia, nel rifare nel 1842 i fondamenti del presbiterio si trovarono le tracce di un semicerchio smaltato in mosaico a colori molto simile a quello delle tre navate ch’era stato trovato sotto al pavimento attuale.
    Se pertanto Nicola Pisano non mostrò tutto lo sfoggio del suo ingegno ancorché architettava questo tempio aumentandolo fino a 22 colonne nelle navate ed erigendo il presbiterio, egli peraltro ne trasse il miglio partito che potè adornandolo anche esternamente con molta semplicità.
    Assai più tardi, cioè, nel 1574, si eseguirono sotto il vescovo Guido Serguidi altri abbellimenti, fa i quali i capitelli corinti a stucco, lavorati da Leonardo Ricciarelli nipote del celebre Daniello.
    La soffitta della maggior navata e della crociata fu eseguita da Francesco Cipriani più conosciuto col nome di Francesco da Volterra, finché nel 1842 mediante pie elargizioni, delle quali è stato largo il vescovo attuale, Mons. Gius. Gaetano Incontri, fu incaricato l’ingegnere di Circondario Mazzeo Mazzei a dirigere il grandioso restauro di tutta la cattedrale, mentre al Solaini fu data la direzione del presbiterio che fece eseguire il prelodato vescovo a tutte sue spese.
    Questo tempio è una galleria, stante le molte tavole che lo adornano state dipinte in gran parte da artisti volterrani, fra le quali opere di arti non è da tacersi l’altar maggiore di marmo fatto erigere nel 1831 dall’Arcivescovo di Pisa Ranieri
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    Agliata, stato vescovo di Volterra, né il cenotafio dell’Arcivescovo di Firenze Gaetano Incontri volterrano di benedetta memoria, di cui il di lui nipote, il vescovo attuale di Volterra, ha voluto per opera dello scultore Costoli di Firenze perpetuare l’effige nel tempio maggiore della sua patria.
    Palazzo pubblico, e Pretorio . – Sono le due fabbriche civiche le più cospicue che si alzano una di contro all’altra con due eminenti torri nella piazza maggiore .
    Della costruzione della prima si hanno memorie certe in una iscrizione posta sulla porta d’ingresso, cioè, dell’anno 1275, mentre era podestà di Volterra la seconda volta Bonaccorso di Bellincione Adimari di Firenze. In origine cotesto palazzo servì di residenza agli Anziani, o Difensori del popolo, i quali più tardi presero e conservarono tuttora il titolo di Priori preseduti dal Gonfaloniere della città.
    Non può dirsi lo stesso della fabbrica del Pretorio, comecchè sia da credersi opera anch’essa dello stesso secolo XIII, tostochè incominciarono ad abitarlo i podestà ed i capitani del popolo; il qual ultimo magistrato non fu introdotto in Volterra prima del 1255.
    Attualmente il palazzo Pretorio va restaurandosi ed ampliando di comodi per renderlo capace alla residenza di qualsiasi magistratura giuridica con sale di udienza, cancelliere, carceri ed altri uffizj.
    La pittura rappresentante la Giustizia che Daniello Ricciarelli dipinse a fresco con altre figure nel salone di cotesto palazzo, è stata di corto trasportata egregiamente in tela e colloca nella sala delle adunanze del palazzo pubblico, o comunitativo.
    Fortezza . – Il locale è circondato di grosse muraglie, con piazzale in mezzo della figura di un parallelogramma. A settentrione del piazzale esiste il cassero comunemente chiamato la Femmina , innalzato nel 1343 presso la porta a Selci per ordine del Duca d’Atene, mentre il così detto Maschio che chiude il parallelogramma dal lato d’ostro, fu ordinato nel 1474 da Lorenzo de’ medici detto il Magnifico,
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    stato pur esso signore ed arbitro della Repubblica Fiorentina.
    Nell’interno della Fortezza esistono gli stabilimenti penali e correzionali delle case di forza e di detensione , per i quali stanno eseguendosi grandiosi lavori onde ridurre il locale ai sistemi del medio isolamento. – la casa di detensione che ha già un numero d’oltre 50 celle ed uno corrispondente di laboratorj, trovasi dentro il recinto chiuso, nel centro del quale erigesi il Maschio , di cui solamente le carceri superiori servono al temporario isolamento di disciplina; e nella casa di forza è già costruito un egual numero di celle che dovrà portarsi a quello ben più elevato di circa 300, col necessario corredo dei laboratorj ed officine per l’esercizio di varj mestieri in quella famiglia di reclusi.
    Museo civico . – E’ una raccolta di antichità etrusche e romane stata riunita nel quartiere terreno del palazzo pubblico.
    « Non sa cosa sia etrusca antichità figurata (diceva il veronese Marchese Maffei) chi non è stato a Volterra» .
    Cotesto museo ebbe il suo principio nel 1731. Più tardi il magistrato civico fece acquisto di varie urne cinerarie di alabastro scoperte nelle pendici settentrionali della città. Ma chi lo rese ricchissimo fu Monsignor Mario Guarnacci, il qual e nel 1761 donò al pubblico la sua copiosa raccolta di estesissimi scavi fatti intorno e lungi dalla città. In tal maniera nel giro di 30 anni ebbe principio ed incremento cotesta ricca collezione di oggetti etruschi e romani, tanto scritti, come figurati, capace essa solo di richiamare in Volterra gli eruditi forestieri e nazionali, e della quale può leggersi una succinta descrizione nell’opera del Giachi, nel Museo Etrusco del Gori, e nella Guida di Volterra.
    Però cotesta città innanzi lo stabilimento del museo civico presentava per le piazze e per le strade testimonianze visibili di molte iscrizioni e monumenti antichi senza i
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    già rammentati, molti de’ quali furono indicati al P. Leandro Alberti dall’antiquario volterrano Zacchia Zacchio, dall’Alberti stesso nella sua Descrizione dell’Italia annunziati.
    Istituzione pubblica . – Fa parte della istruzione una buona liberia aperta al pubblico due giorni della settimana nel palazzo civico di Volterra, donata essa pure da Monsignor Mario Guarnacci che le assegnò un annuo legato sufficiente a mantenere bibliotecario, custodi, ed anco per aumentarla di libri utili all’istruzione. – Essa è composta di circa 12000 volumi, fra i quali molti codici e alcune pergamene.
    Collegio di S. Michele de’ PP. Scolopj . – Spettava direttamente all’istruzione pubblica la misura presa dai rappresentanti del Comune di Volterra, allorché nel 6 maggio del 1360 deliberarono eleggere di anno in anno un maestro pubblico di grammatica e di rettorica, siccome fecero nella persona di Don Pietro del fu Francesco di Citerna, il quale fu anche rieletto alla stessa cattedra per un anno nel 1369. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Volterra ).
    Più tardi (anno 1711) la canonica di S. Michele venne assegnata ai PP. Scolopj per erigerla in un ateneo, dove la gioventù volterrana riceve l’istruzione gratuita nella calligrafia, aritmetica e rettorica. In seguito vi furono aggiunte altre scuole superiori, oltre quelle del disegno e degli esercizj cavallereschi per un convitto di alcuni toscani ed esteri che trovasi ivi aperto.  – – Finalmente nel palazzo civico sono state stabilite di corto due scuole pubbliche, una di disegno e l’altra di musica.
    Seminario a S. Andrea in Postierla . – Era pur questa una delle pievi presso le mura etrusche posta a levante della città, nel cui borgo la contessa Matilde nel febbrajo del 1078 celebrò un placito a favore della mensa volterrana, oltre un contratto meno antico del 1170, col quale fu donato un pezzo di terra alla pieve di S. Andrea in Postierla . – (Giachi , Oper. cit. Vol. II. )
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    /> Nel 1339 fu edificato presso cotesta chiesa un claustro grandioso per abitarsi dai monaci Olivetani, i quali vi restarono fino al 1783. Dopo la loro soppressione quella grandiosa fabbrica fu destinata ad uso del seminario vescovile, dove dal 1802 si ricevono a convitto e vi s’insegnano la lingua latina ed altre scuole a circa 40 chierici convittori.
    Accademie de’ Riuniti e de’ Sepolti . – Questi due stabilimenti letterarj potrebbero servire di appendice all’istruzione pubblica, se l’Accademie de’ Sepolti e de’ Riuniti , si riunissero più spesso e si dassero alla luce qualche buona lezione.
    Chiesa de’ SS. Giusto e Clemente ne’ subborghi . – Era quella la chiesa più antica del subborgo di Porta S. Francesco innanzi che la vecchia fosse assorbita dalle voragini delle balze, per timore delle quali fu abbandonata e profanata nel 1778 anco la vicina chiesa parrocchiale di S. Marco, trasportandone la cura nella più distante badia di S. Giusto de’ Camaldolensi.
    L’antica chiesa de’ SS. Giusto e Clemente era stata edificata verso il 690, quando sotto il vescovo Gaudenziano la fondò il Longobardo Alchis castaldo di Volterra, siccome leggesi i un marmo affisso alle pareti del coro del moderno tempio stato eretto nel 1628 in luogo dal primo alquanto distante e più elevato col disegno di Giovanni Coccapani e con i mezzi forniti dal Comune di Volterra che per voto del popolo tiene i due santi titolari a protettori della città.
    Cotesto magnifico tempio è vasto e ad una sola navata sfogata al segno che il chiarissimo astronomo Pad. Gen. Cav. Gio. Inghirami volle lasciare un contrassegno del suo affetto alla patria con stabilire nel di lei pavimento uno de’ pochi gnomoni che contano alcune delle primarie città dell’Italia.
    Nello stesso subborgo presso cotesto tempio esiste la piazzetta di Pratomarzio , detta anche di S. Stefano dagli avanzi di una vetusta chiesa
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    stata collegiata e prioria innanzi che fosse soppressa e riunita alla cura della chiesa precedente.
    Spedale di S. Maria Maddalena . – Esso esisteva fino dal secolo XII in Via Nuova , ora palazzo Lisci, cui inseguito gli furono uniti i beni di altri quattro minori spedali della città e di quelli dei contorni. Più tardi fu traslato nella Via del Campanile , e finalmente ridotto nel 1790 nella forma attuale sotto la tutela del Principe e l’amministrazione del Comune.
    Anche i fratelli della Compagnia della Misericordia, stata eretta in Volterra sul principio del secolo XVII, adempiscono con zelo alle opere di carità verso i loro simili, imitando fedelmente l’esempio della madre delle Misericordie di Firenze.
    Zecca e Monete di Volterra . – Senza fare gran conto di un documento del 1158 (salvo errore di data) citato di corto dal Dott. Antonio Fabroni nella sua Lezione delle Monete di Arezzo pubblicata nel Vol. I degli Atti dell’I. e R. Accademia Aretina di scienze e lettere, non vi ha dubbio che Volterra contava la sua zecca molti anni innanzi che il re Arrigo VI concedesse cotesta regalia (anno 1189) ad Ildebrando Pannocchieschi vescovo e signore di questa città.
    Dobbiamo al volterrano Pagnini la notizia più antica della Zecca volterrana mercé l’indicazione di due atti, del I giugno 1169 e del 9 gennaio 1175, nei quali si contratta in lire e a moneta di Volterra . – ( Opera della Decima. Vol. 1. Pag. 253 e seg. )
    Sono probabilmente quelle lire volterrane vecchie che erano in corso anche nel 1196, siccome rilevasi da un rogito scritto lì 3 maggio di detto anno sulla confinazione tra il distretto di Montignoso ed il Comune di Volterra con la penale reciproca di 330 lire volterrane vecchie . – ( Ivi , e Arch. Dipl. Fior. Carte
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    della Com. di Volterra
    ).
    Inoltre il Pagnini Opera cit. Vol. 1 . Pag. 255 e seg. ) rammenta più atti di vendita fatti in Volterra nel 1204, 1206, 1213, 1220, 1228, 1231, 1234, ecc. nei quali tutti si contratta a moneta volterrana .
    Il Muratori nelle sue Ant. M. Aevi , trattando della Dissert. XXVII delle Zecche d’Italia , dice che non potè avere sott’occhio alcuna moneta di Volterra, e solo ne inferì l’esistenza della sua Zecca da un breve del Pontefice Gregorio IX scritto in Rieti li 5 novembre 1231, dove si parla del censo annuo di cento lire di moneta volterrana da pagarsi da Marcellino vescovo di Ascoli alla Camera Apostolica.
    Sul qual proposito Guid’Antonio Zannetti nella sua Nuova raccolta delle Monete e Zecche d’Italia (T. III.) aggiunge: che le monete di Volterra avevano in Fermo un giro grandissimo e per nulla inferiore a quelle di Ravenna e di Ancona.
    All’Art. poi Ghizzano citai un istrumento inedito dell’11 maggio 1213 relativo alle vendita di Castelnuovo in Val di Cecina fatta dal conte Rinaldo di Monterotondo figlio del fu conte Alberto per lire mille di moneta volterrana . Così in altro istrumento archetipo del 14 giugno 1217 i nobili della Rocca di Monte Voltrajo venderono tutto ciò che ivi possedevano per lire 120 di moneta di Volterra .
    Anche due atti del 15 novembre 1233, e del 26 gennaio 1235 trattano della vendita di una porzione di beni fatta dai signori di Monte Voltrajo al Comune di Volterra per lire cento cadauno di moneta volterrana , mentre un terzo nobile del 31 gennaio del 1235 rinunziò al Comune di Volterra tutto il dominio che aveva nel predetto castello per lire 50 moneta volterrana . – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Volterra
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    .)
    Finalmente il Pagnini nell’opera sopra citata (T. I pag. 253) riporta il capitolo XXVII della parte seconda degli Statuti di Volterra compilati nel 1252, dove trattasi De moneta facienda , nel quale si legge: che se i vescovi di Volterra vorranno fare moneta , i suoi zecchieri debbano essere assistiti da tre buonomini, nominati dal podestà del Comune, il quale ogni anno nel mese di febbraio dovrà intimare il consiglio generale pro moneta facienda in civitate Vulterrane, vel in districtu , nel modo che verrà da quel consiglio stabilito.
    Che valore poi avessero le monete volterrane, si può dedurre da un atto del 1213 dell’Archivio episcopale di Volterra indicato dal Pagnini ( Oper. e loc. cit. ) in cui si tratta di cambiare una marca di ottima argento contro soldi cento , ossiano lire cinque di denari volterrani .
    Non dirò di qual peso e qual bontà fossero coteste lire nei secoli XIII e XIV, dirò bensì che la moneta di Volterra era accettata in corso non solamente nelle Marche, in Romagna, ecc. ma per tutta la Toscana. Citerò ad esempio un atto del 3 settembre 1298 riguardante il versamento fatto in Firenze dai collettori delle decime ecclesiastiche spettanti alle chiese delle diocesi fiorentina e fiesolana, a cagione della guerra di Sicilia, dove fra le varie monete allora in corso e da quei collettori apostolici ricevute, furonvi lire 6. 13. 6. di moneta volterrana . – (Arch. Dipl. Fior., Carte della Badia di Passignano ).
    Rispetto al corso ed alla lega di alcune monete erose fatte battere dal vescovo di Volterra Ranieri de’ Belforti nella sua zecca di Berignone, lo dichiara fra gli altri da un documento di quell’ Archivio Vescovile riportato dai Pagnini nella sopra citata opera Della Decima ( T. I. pag. 256).
    È un ordine
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    emanato dal cassero vescovile di Berignone 23 agosto del 1315, col quale il vescovo Ranieri dei Belforti di Volterra dava licenza a diversi socj zecchieri di poter coniare moneta con l’impronta da una parte del vescovo parato in pontificale e intorno la leggenda Episcopus Rainerius ; e dall’altra parte con una croce, e nel suo contorno dalla stessa parte le lettere De Vulterra . Aggiungesi nello stesso ordine: che la moneta da coniarsi debba contenere sette once di argento e 5 di lega per ogni libbra a peso fiorentino, e che sia innanzi saggiata e approvato dal saggiatore vescovile. Che se accadesse che quella moneta fosse trovata di minor peso e di meno quantità dell’argento prescritto, si debba rifondere per ridurla del peso e bontà voluta dal detto ordine.
    Rispetto alla valuta dei soldi volterrani il nominato Pagnini riporta ivi il sunto di una ricevuta rilasciata nel 1335 dal vescovo Ranieri de’ Belforti ad un sindaco della Badia di Morrona che gli pagò soldi 45 di denari usuali pisani, equivalenti a soldi 15 di moneta volterrana, che il detto monastero doveva di annuo censo a quella mensa vescovile.
    Che vi fossero in quel tempo monete erose e di argento quasi puro lo dà a conosce il credito che nel secolo XIII ebbe all’estero il credito che nel secolo XIII ebbe all’estero la lira di Volterra. Che poi il diritto di batter moneta passasse dal Comune volterrano di sopra citati, ai quali fia da aggiungere quanto scrisse della stessa città sotto l’anno 1315, 28 ottobre, quando i difensori della libertà di Volterra firmarono nuovi capitoli di convenzione con gli appaltatori della zecca volterrana, la cui moneta doveva portare l’impronta da una parte del vescovo e dall’altra parte della croce, nella guisa stessa prescritta due mesi innanzi (23 agosto 1315) dal vescovo Ranieri de’ Belforti. Arroge che in quel medesimo anno fu proibito il corso delle monete coniate allora dai Cortonesi, mentre nel
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    1321 la Repubblica Fiorentina con provvisione di quella Signoria proibì i fiorini d’oro stati tosati, le monete di Perugia, di Cortona, di Lucca, e quelle che il vescovo Ranieri di Volterra faceva battere nel suo castel di Berignone, ecc. – (Vettori , Del Fiorino d’Oro ). Cotesta provvisione ci richiama per avventura alle convenzioni stabilite nel 23 agosto 1315 dal vescovo Ranieri de’ Belforti con una società di monettieri, cui accordava facoltà di battere moneta in Berignone di sette once di argento e cinque di lega per ogni libbra.
    Infatti dopo la metà del secolo XIV non si rammentano più, ch’io sappia, né le monete, né la zecca di Volterra, comecchè i piccioli neri , probabilmente per concessione dai vescovi volterrani accordata agli abati del Monastero di S. Galgano, si fossero, non saprei quando, copiati in quella grandiosa Badia di Montesiepi. – Vedere ABBAZIA DI S. GALGANO.

    MOVIMENTO della Popolazione della CITTA’ DI VOLTERRA e de’SUOI SUBBORGHI a cinque epoche diverse, divisa per famiglie (1).

    ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 872; totale della popolazione 4397.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 629; femmine 451; adulti maschi 751, femmine 936; coniugati dei due sessi 1248; ecclesiastici dei due sessi 229; numero delle famiglie 834; totale della popolazione 4241.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 689; femmine 629; adulti maschi 752, femmine 840; coniugati dei due sessi 1524; ecclesiastici dei due sessi 154; numero delle famiglie 886; totale della popolazione 4590.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 746; femmine 688; adulti maschi 939, femmine 983; coniugati dei due sessi 1629; ecclesiastici dei due sessi 146; numero delle famiglie 936; totale della popolazione 5131.
    ANNO 1843: Impuberi maschi 544; femmine 541; adulti maschi 773, femmine 818; coniugati dei due sessi 1327; ecclesiastici dei due sessi 147;
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    numero delle famiglie 806; totale della popolazione 4150.

    (1) N.B. La popolazione del 1843 è limitata alle sole mura interne della città. Nelle quattro epoche precedenti è compresa anche una parte de’suoi subborghi.

    comunità di Volterra. – Il territorio spettante a questa Comunità occupa una superficie di 82782 quadrati agrarj, dei quali 4992 quadrati Sono presi da corsi d’acqua e da pubbliche strade.
    Nel 1833 vi abitavano 10207 individui a proporzione di circa 105 anime per ogni miglia toscane quadrate di suolo imponibile.
    Confina con nove Comunità del Granducato. – Mediante il fiume Cecina, che rimonta a ostro-scirocco dalla confluenza del torrente Cortolla fino allo sbocco del torrente Pavone ha di fronte a territorj delle Comunità di Pomarance e di Castelnuovo di Cecina. Dirimpetto a scirocco-levante mediante termini artificiali e in parte lungo il torrente Sellato fronteggia con la Comunità di Casole, di cui sottentra a grecale la Comunità di Colle sempre per mezzo di termini artificiali, finché dal Monte Miccioli succede di faccia a settentrione il territorio comunitativo di S. Gimignano.
    Dopo sottentra a confine, prima dirimpetto a settentrione, poi a maestrale la Comunità di Montajone, con la quale la nostra dopo aver corso una linea artificiale, entra nel torrente Capriggine , che poi attraversa la strada comunitativa mulattiera, denominata fiorentina, sale verso le sorgenti del borro di Capituzzi per varcare un poggetto, sul cui fianco occidentale nasce il torrente Roglio . Costì viene a confine dirimpetto a ponente maestrale la Comunità di Peccioli, con la quale si accompagna la nostra mediante il Roglio sino in Era, quasi dirimpetto allo sbocco in Era del torrente Ragone. Cotesto ultimo torrente di fronte a ponente serve di confine al territorio comunitativo di Volterra con quello di Lajatico, sino a tanto che entrambi entrano in un influente sinistro del Ragone , col
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    quale salgono nella via che da Orciatico guida a Monte Catini. Ivi sottentra lungo la detta via per breve tragitto quest’ultima Comunità, dapprimo di fronte a libeccio poscia a ostro mediante il torrente Rugone finché allo sbocco in esso del botro di Macchialunga lo abbandona per voltar faccia di nuovo a libeccio mediante il corso retrogrado di quest’ultimo botro, poi per quello della Loggia . Costì i territori delle due Comunità prendendo la direzione di grecale corrono, parte per termini artificiali, parte mediante tronchi di borri, per arrivare sul poggio, al di là del quale i due territorj scendono dirimpetto a ostro alla foce della Trossa nel fiume Cecina che insieme per breve tragitto rimontano fino a che nella ripa sinistra ritorna di fronte allo sbocco del torrente Cortolla la Comunità delle Pomarance.
    Fra le montuosità maggiori di questo territorio niuna supera quella su cui siede regina la città di Volterra, della quale nel principio del presente Art. fu indicata l’elevatezza presa dalla spianata del Maschio , vale a dire circa 40 braccia più bassa della cima di quella che fu segnalata braccia 975 sopra il livello del mare Mediterraneo.
    La seconda montuosità per ordine di altezza è sul Monte Miccioli, che presa dalla sommità della torraccia corrisponde a braccia 882 sopra il mare, dalle quali detratte circa 32 braccia della torre restano braccia 850.
    La prominenza de’ colli di Villamagna posti a maestrale di Volterra ed a libeccio di Monte Miccioli trovasi molto inferiore a quelle due testè indicate.
    All’Articolo VIE si disse quali e quante strade regie e provinciali passano per il territorio, o che guidano direttamente a Volterra, la quale Comunità manca sempre di strade comunitative rotabili; in guisa che innanzi il 1769, per testimonianza dell’Abate Giachi, in Volterra non comparivano vetture né barrocci, quando oggidì colle sole strade regie e provinciali è stata tracciata una
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    buona rete intorno a questa città, talchè se la situazione fosse meno elevata o di meno tortuoso accesso, assai minori cose ai Volterrani resterebbero a desiderare.
    Molti sono i corsi di acqua che attraversano questo territorio, il maggiore ed il più molesto di tutti è quello dell’impetuoso fiume Cecina; di minor mole sono le due Ere , viva e morta , che nascono nella Comunità di Volterra e che si aumentano per via con i tributi di varj torrenti e botri fra i quali il Capriggine ed il Fregione a destra, l’ Arpino ed il Ragone a sinistra, mentre il Foci e la Zambra al suo scirocco fluiscono nella Cecina.
    Rispetto alla struttura e qualità fisiche del terreno che riveste la montagna sopra la quale riposa la città di Volterra con le sue pendici, esso può limitarsi a due qualità diverse di rocce terziarie; la parte superiore e più abitata da viventi e da piante di alto fusto consiste quasi tutta di un tufo siliceo calcare di tinta rubiginosa, talvolta bianco-rossastra, che quando è più compatto i Volterrani appellare sogliono Panchina , ed allora prende l’aspetto di una minuta Lumachella che prestasi ai lavori di scalpello per soglie, stipiti, colonne, e per massi squadrati di mole grandiosa al pari di quelli che dopo una lunga serie di secoli restarono quasi intatti nelle sue mura ciclopiche, e precisamente intorno alla così detta Porta all’Arco .
    Cotesta roccia tufacea racchiudente molti avanzi di corpi organici marini serve di cappello ai fianchi superiori della montagna di Volterra formata da un’altra roccia terziaria più antica, di tinta grigio cerulea, consistente quasi per intiero di un’argilla calcare alquanto più ricca della precedente in crostacei marini univalvi e bivalvi, quasi tutti calcinati, ed anco frantumati. La stessa roccia costà, come in tutte le valli e valloni
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    circostanti, chiamasi volgarmente Biancana , o Mattajone , mentre scientificamente dal chiarissimo Brocchi fu classata fra le Marne cerulee conchigliari subappennine della Toscana .
    La debole compattezza, la frequenza, larghezza e profondità de’ suoi spacchi nell’arida stagione fa sì, che i monti ed i colli di marna conchigliare trovansi spesse volte soggetti a scoscendimenti rovinosi; e se mi fosse permesso dalla Crusca, direi anche a valanghe terrose . In vista di che fia da addebitarsi a simile terreno il tortuoso cammino che debbono praticare le vetture lungo la criniera di simili frastagliate montuosità cavernose; per cui i Volterrani al pari de’ Sanesi, Montepulcianesi e di altre popolazioni abitatrici in terreni consimili dovettero abbandonare una cultura, che forse inutilmente oggidì qualche agronomo lombardo va tentando di ripristinare. Tale si mostrava pochi anni fa il dottor Aicardo Castiglioni autore di un opuscolo pubblicato nel 1829 in Milano sotto il titolo di Monografia dello Zafferano , dove si provò a dimostrare la convenienza della coltivazione dello zafferano in Lombardia, incoraggiando di ogni maniera i suoi Lombardi lettori a coltivare di proposito cotesta pianta per proprio tornaconto e per comune pubblica utilità.
    Inoltre si aprirono in cotesta marna cerulea fra le altre le famose balze di S. Giusto fuori di Volterra, balze che sogliono inspirare sorpresa ed orrore in coloro che visitano cotesta città, al vedere profondare quasi a picco una montuosità, la quale, per dire il vero, in dette voragini mostra il taglio geologico più aperto e più elevato di quanti altri se ne conosca nella Toscana.
    Consimili, sebbene meno profonde, sono le balze presso Pratomarzio , più vicine all’antiche mura etrusche, e per le quali i Volterrani furono costretti a ricostruire più indentro la loro chiesa di S. Giusto, e le monache di S. Chiara in S. Giovanni in Orticassio di fuggire dai contorni di S.
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    Stefano extra moenia , dove quelle chiese erano state anticamente edificate.
    Il Chiarissimo Marchese Cosimo Ridolfi a proposito delle balze di Volterra esternava l’opinione che quelle rovine potrebbero arrestarsi, e che i metodi per giungere a tale effetto non dovrebbero esser molto dissimili da quelli che regolano la pratica delle colmate di monte, in guisa che il terreno delle balze volterrane sarebbe in tal guisa per servire la produzione, o almeno potrebbe rivestirsi si piante pratensi e boschive. ( Giornale Agrario Toscano. Vol. X. Pag. 483.)
    Ma la Marna cerulea che serve di letto al tufo siliceo calcare se da un canto obbliga gl’ ingegneri a stare in guardia sulle località soggette a franare, somministra dall’altro canto una qualche ricompensa nelle rocce subalterne che nelle viscere nasconde. Tali sono dal lato specialmente di settentrione gli alabastri ( solfato di calce ) di Spicchiaiola e di Ulignano, tali i depositi di travertino ( carbonato di calce concrezionata ) di Pignano; mentre dal lato opposto della montagna sotto la calce solfata alabastrina scaturiscono lungo la Cecina le copiose Moje Regie , mediante numerosi pozzi di acqua salsa delle saline nuove e vecchie .
    Può dare un’idea più esatta della geologia di cotesta porzione di terreno comunitativo il taglio del suolo attraversato nel 1832 dalla trivella nell’eseguire il foro artesiano presso le indicate saline regie sino alla profondità di braccia 84 e 3 quarti, del cui lavoro offrì al pubblico un distinto prospetto l’ingegnere Carlo Martelli nel suo opuscolo pubblicato nel 1843 sotto il titolo di Agricoltura , Industria e saline Volterrane , opera della quale dovrò io in appresso giovarmi.
    Da quel taglio pertanto risulta, che la roccia di Mattajone lungo la Cecina riveste costantemente il terreno a piè della montagna di Volterra, il qual Mattajone
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    è bene spesso misto alla calce solfata. Al salgemma, ed infine anche dal petrolio, o da altre materie combustibili alterato.
    Alla base poi settentrionale della montagna di Volterra, fra le prime scaturigini dell’ Era viva e dell’ Era morta , fra Pugnano e Volterra, circa 3miglia toscane a levante di questa città, fra mezzo al Mattajone , all’ Alabastro ed al Travertino , è costà dove sporge isolato il conico Monte Voltrajo coperto di rocce di gabbro e di serperntino di colore rubiginoso; vestito in gran parte di boschi; le quali rocce spettano ai terreni terziarj ofiolitici descritti dal Prof. Paolo Savi nelle sue Memorie per servire allo studio della costituzione fisica della Toscana ; rocce delle quali il territorio volterrano offrì al geologo pisano grandi esempi. Uno di essi egli osservò (pag. 3 e segg.) dentro i confini comunitativi di Volterra nel torrente Zambra a scirocco della città, dove trovava una varietà di roccia terziaria ofiolitica in frammenti collegati da un cemento calcare argilloso, che servì di pietra da costruzione nelle pigne del vicino ponte sospeso costruito attraverso della Cecina.
    In quanto poi all’agricoltura di questa montagna fu già osservato da un agronomo distinto ora defunto, che uscendo da Volterra per scendere sulla Cecina si veggono intorno alla città terreni di coltura piuttosto raffinata a viti e ulivi, e dei campi suddivisi fra un grandissimo numero di coltivatori mezzaiuoli, che lavorano con la zappa quei luoghi , la cui piccolezza peraltro non permette loro di potervi mantenere un numero sufficiente di bestiame da frutto e da lavoro.
    È sulla sommità del monte, vale a dire nel tufo siliceo conchigliare qui sopra descritto, è costà per un raggio più o meno esteso di circa un miglio, dove vedesi da ogni parte lussureggiante la campagna di Volterra; cosicchè la roccia tufacea estendendosi a maggior distanza che altrove dalla
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    parte di settentrione, ne conseguita che più prospera mostrasi la coltivazione nella convalle dell’Era superiore anziché in quella della Cecina che guarda a mezzodì.
    Avvegnachè il lato meridionale del monte sterile per la qualità del terreno, essendovi abbondantissimo il Mattajone ; comunque in cotesta ingrata terra l’uomo soglia prodigare i suoi sudori coltivandola; talchè la maggior parte di coteste piagge marnose, o trovasi coperta da sodaglie, e è tenuta a pastura invernale, mentre nell’estiva stagione non comparisce un filo d’erba fuori di quelle lande deserte e nude, le quali offrono alla vista l’idea di un fondo abbandonato dal mare sparso d’immense gibbosità.
    Grande per conseguenza è la parte incolta e soda del territorio comunitativo di Volterra, poiché, secondo i calcoli del citato Martelli, tutta insieme sommerebbe miglia toscane 46 quadre. Altra non piccola estensione suol essere occupata da boschi d’ogni specie per circa miglia toscane quadre 25, ossiano quadrati 19272, de’ quali soltanto quadrati 213 sono coperti da castagneti.
    I corsi d’acqua e le strade pubbliche esenti dall’impostazione fondiaria prendono, come si disse, quadrati 4992, equivalenti a poco più di 6 miglia toscane e 1/2 di superficie territoriale esente dall’imposizione fondiaria.
    Forse il calcolo estratto dal catasto di Volterra potrà essere modificato, segnatamente per ciò che riguarda le praterie naturali ed artificiali , dalle quali le api succiano qual nettare che fornisce il delicato e bianco miele volterrano, mentre le pecore nell’inverno si pascono costa di erbette saporite che vegetano nel Mattaione capaci di fornire un cacio eccellente al pari di quello delle crete sanesi.
    D’altronde poco apparisce l’agiatezza de’ campagnoli, non prospero l’allevamento del filugello, non avanzata quanto potrebbe essere la pastorizia, troppo scarsa di bestiame la terra da lavoro, per difetto, come dissi, dei piccoli appezzamenti di predj, mentre tutto il suolo imponibile di cotesta Comunità è diviso in 757 proprietarj, fra i quali le sole Mani Morte ne possiedono miglia toscane 17 e un quarto quadre, ed
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    un maggior numero ancora le famiglie nobili volterrane stabilite in Firenze, o altrove.
    Rispetto ai prodotti manifatturati della Comunità di Volterra un’estesa descrizione ne fu data dal prenominato Carlo Martelli nell’opuscolo di sopra lodato; e dirò con lui, che a due si riducono le principali manifatture proprie di cotesta Comunità, oltre a quella recentissima sebbene minore del ramajo; cioè, ai lavori dell’alabastro ed alla fabbricazione del sale comune delle sue Moje . È altresì vero che quest’ultima manifattura sino dal principio del secolo attuale è divenuta esclusivamente di proprietà regia.
    In quanto alle manifatture di alabastro, che esse principiassero costà al tempo degli Etruschi, non ne lasciano dubbio i numerosi ipogei del civico museo; ma coteste manifatture in seguito per molti secoli cessarono e solamente si torna a ritrovare urne storiate ed alcune statue scolpite nella pietra tufacea di grana fine ( lumachella ) sulla fine del sec. XV e nel successivo.
    Uno sviluppo assai maggiore nell’arte degli alabastri volterrani si è mostrato da mezzo secolo in qua, specialmente in vasi, colonnini, tavole a colori ed in lavori di ornato, che ognora vanno raffinandosi mercè gli studj del disegno producendo un ramo di commercio per gli artisti di questa città.
    Dallo specchio della manifattura degli alabastri di Volterra, preso dal citato scrittore all’anno 1840, si rileva, che otto sono le località, comprese nelle pendici di Volterra dove esistono le cave principali dell’alabastro, ed ivi si aggiunge, che 141 erano in quell’anno i lavoratori, e che a lire 79830 calcolavasi il capitale sborsato.
    Delle saline volterrane, cui lo stesso A. dedica un apposito capitolo, si disse all’Articolo Moje Volterrane, quanto basta ad un Dizionario, meno qualche aggiunta e correzione da farsi nel Supplemento , specialmente dove fu scritto, che la loro memoria più remota si attribuiva ad un diploma di Arrigo I dato presso Pisa nel 1015, mentre le Moje regie presso il fiume Cecina sono rammentate in
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    un istrumento del 924 dell’Archivio capitolare di Volterra, pubblicato dal Muratori nelle sue Anti. M. Aevi .
    Rimarchevolissima poi è la quantità e candidezza del sale comune che quelle saline annualmente forniscono, sufficienti esse sole di supplire al consumo di tutto il territorio riunito del Granducato.
    I dati raccolti dal sig. Martelli sul confronto del consumo progressivo di cotesto sale in Toscana sono importantissimi per la statistica del Granducato, poiché

    Avanti l’anno 1788 il suo consumo era di Libb.  9,020,688
    Nell’anno 1790 di      Libb .11,429,505
    Nell’anno 1820 di Libb .15,730,000
    Nell’anno 1830 di      Libb .19,081,000
    Nell’anno 1840 di      Libb .22,559,000

    La quantità di legna da ardere che attualmente consumasi in cotesto stabilimento è di circa 23,000,000 di libbre per ogni anno.
    Gl’impiegati hanno quartieri convenienti anche per le loro famiglie, ai di cui figli di ambo i sessi si dà un’istruzione primaria sufficiente al loro grado ed età. – In una parola cotesta officina, sia per l’ordine, come per la vastità e bellezza del suo fabbricato che ognora si aumenta, sia ancora per lo stato prosperoso dei manifattori, può contarsi per uno degli stabilimenti regj più importanti e meritevole della visita di chi ama conoscere la parte industriale e più produttiva del territorio Granducale, cui fanno bella appendice le ricche vicine miniere di rame di Monte Catini, ed i lagoni di copiosissimo acido borico presso Monte Cerboli, poche miglia toscane al di là delle Pomarance.
    La Comunità di Volterra mantiene due medici e tre chirurghi.
    Vi si pratica un mercato settimanale nel giorno di sabato, e vi hanno luogo due fiere annue, la prima nel 16 agosto per concessione sovrana da ora innanzi si accoppierà l’altra nel piazzale della fortezza per la vendita a prezzi fissi dei panni e di altri generi lavorati da quei prigionieri.
    Risiede in Volterra, oltre il vescovo
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    per la giurisdizione ecclesiastica, un commissario regio per la politica e la polizia, mentre pel lato amministrativo ed economico risiede in Volterra un cancelliere comunitativo, un ingegnere di circondario, un esattore dell’uffizio del registro ed un conservatore delle ipoteche. – I tribunali collegiali sono in Firenze.

    QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ di VOLTERRA a cinque epoche diverse.
               
    - nome del luogo: S. Alessandro ne’Borghi, titolo della chiesa: S. Alessandro (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 398, abitanti anno 1745 n° 608, abitanti anno 1833 n° 645, abitanti anno 1840 n° 638, abitanti anno 1843 n° 644
    - nome del luogo: Badia di S. Giusto già S. Marco ne’Borghi, titolo della chiesa: S. Giusto (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 504, abitanti anno 1745 n° 616, abitanti anno 1833 n° 211, abitanti anno 1840 n° 208, abitanti anno 1843 n° 222
    - nome del luogo: Buriano (*), titolo della chiesa: S. Niccolò (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 98, abitanti anno 1745 n° 129, abitanti anno 1833 n° 225, abitanti anno 1840 n° 140, abitanti anno 1843 n° 179
    - nome del luogo: S. Cipriano di Villamagna, titolo della chiesa: S. Cipriano (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 233, abitanti anno 1745 n° 222, abitanti anno 1833 n° 436, abitanti anno 1840 n° 459, abitanti anno 1843 n° 448
    - nome del luogo: S. Girolamo a Porta S. Francesco, titolo della chiesa: S. Girolamo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 955 (con SS. Giusto e Clemente), abitanti anno 1745 n° 364, abitanti anno 1833 n° 362, abitanti anno 1840 n° 413, abitanti anno 1843 n° 358
    - nome del luogo: S. Giusto già in S. Stefano ne’Borghi, titolo della chiesa: SS. Giusto e Clemente (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 955 (con S. Girolamo), abitanti anno 1745 n° 646, abitanti
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    anno 1833 n° 872, abitanti anno 1840 n° 989, abitanti anno 1843 n° 1009
    - nome del luogo: Mazzolla (*), titolo della chiesa: S. Lorenzo (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 164, abitanti anno 1745 n° 239, abitanti anno 1833 n° 434, abitanti anno 1840 n° 393, abitanti anno 1843 n° 396
    - nome del luogo: Miemo (2), titolo della chiesa: S. Andrea (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 131, abitanti anno 1745 n° 49, abitanti anno 1833 n° 102, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° -
    - nome del luogo: Nera (*), titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 91, abitanti anno 1745 n° 242, abitanti anno 1833 n° 225, abitanti anno 1840 n° 260, abitanti anno 1843 n° 243
    - nome del luogo: Pignano (*), titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° 195, abitanti anno 1833 n° 199, abitanti anno 1840 n° 192, abitanti anno 1843 n° 215
    - nome del luogo: Ponzano, titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 89, abitanti anno 1745 n° 112, abitanti anno 1833 n° 149, abitanti anno 1840 n° 146, abitanti anno 1843 n° 167
    - nome del luogo: Roncolla, titolo della chiesa: S. Martino (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 150, abitanti anno 1745 n° 200, abitanti anno 1833 n° 351, abitanti anno 1840 n° 364, abitanti anno 1843 n° 355
    - nome del luogo: alle Saline, titolo della chiesa: S. Leopoldo (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 50, abitanti anno 1745 n° 39, abitanti anno 1833 n° 336, abitanti anno 1840 n° 401, abitanti anno 1843 n° 375
    - nome del luogo: Senzano (*), titolo della chiesa: SS. Ippolito e Cassiano (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551
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    n° 84, abitanti anno 1745 n° 45, abitanti anno 1833 n° 101, abitanti anno 1840 n° 129, abitanti anno 1843 n° 118
    - nome del luogo: Spicchiajola, titolo della chiesa: S. Jacopo (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° 165, abitanti anno 1833 n° 226, abitanti anno 1840 n° 266, abitanti anno 1843 n° 270
    - nome del luogo: Ulignano, titolo della chiesa: S. Pietro (Prioria), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 126, abitanti anno 1745 n° 159, abitanti anno 1833 n° 180, abitanti anno 1840 n° 200, abitanti anno 1843 n° 196
    - nome del luogo: Villamagna, titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 314, abitanti anno 1745 n° 356, abitanti anno 1833 n° 525, abitanti anno 1840 n° 589, abitanti anno 1843 n° 593
    - nome del luogo: VOLTERRA, titolo della chiesa: S. Maria (Cattedrale), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 940, abitanti anno 1745 n° 1005, abitanti anno 1833 n° 2091, abitanti anno 1840 n° 2236, abitanti anno 1843 n° 2345
    - nome del luogo: VOLTERRA, titolo della chiesa: S. Michele (Prioria) (1), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 1127, abitanti anno 1745 n° 963, abitanti anno 1833 n° 1264, abitanti anno 1840 n° 1330, abitanti anno 1843 n° 1447
    - nome del luogo: VOLTERRA, titolo della chiesa: S. Pietro a Selci in S. Agostino (Prioria) (1), diocesi cui appartiene: Volterra, abitanti anno 1551 n° 1086, abitanti anno 1745 n° 1059, abitanti anno 1833 n° 1236, abitanti anno 1840 n° 1565, abitanti anno 1843 n° 1450

    - Totale abitanti anno 1551: n° 6540
    - Totale abitanti anno 1745: n° 7413
    - Totale abitanti anno 1833: n° 10170
    - Totale abitanti anno 1840: n° 10918
    - Totale abitanti anno 1843: n° 11030

    (*) Si defalcano dalle parrocchie segnate con l’asterisco nelle ultime tre epoche
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    />
    - anno 1833: abitanti n° 378
    - anno 1840: abitanti n° 118
    - anno 1843: abitanti n° 133

    - RESTANO abitanti anno 1833: n° 9792
    - RESTANO abitanti anno 1840: n° 10800
    - RESTANO abitanti anno 1843: n° 10897

    Altronde entravano in questa Comunità di Volterra dalle Comunità limitrofe nelle suddette ultime tre epoche

    - anno 1833: abitanti n° 415
    - anno 1840: abitanti n° 296
    - anno 1843: abitanti n° 292

    - TOTALE abitanti anno 1833: n° 10207
    - TOTALE abitanti anno 1840: n° 11096
    - TOTALE abitanti anno 1843: n° 11189

    N.B. Le due parrocchie di città contrassegnate di nota (1) abbracciano una popolazione anche fuori di città esclusa l’ultima epoca dal quadro del MOVIMENTO. La parrocchia di Miemo segnata di nota (2) nelle ultime due epoche spettava alla Comunità di Montecatini in Val di Cecina.

    DIOCESI DI VOLTERRA. – Comecché sia da credere che cotesta città abbracciasse la fede di G. Cristo, forse ad esortazione di S. Romolo discepolo di S. Pietro; comecché essa abbia dato ai mondo cattolico il secondo pontefice romano in S. Lino, con tutto ciò non conosciamo finora vescovo di Volterra più antico di quell' Eucaristio che sedeva nella cattedra volterrana intorno all'anno 492 dell'Era cristiana, mentre in Roma cuopriva quella di S. Pietro il Pontefice Gelasio I.
    Non starò a ripetere la serie cronologica di cotesti prelati, cui l'Ab. Giachi nell'Opera stata più volte qui citata, e pubblicata nel 1786 e 1796, vi ha consacrato un intiero capitolo (T. II cap. 3), talché non resta da aggiungere a quel catalogo di 66 prelati che l'attuale monsignor Giuseppe Gaetano Incontri fatto vescovo di Volterra nel 6 ottobre dell'anno 1806.
    La Diocesi volterrana è
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    una delle sei del Granducato non suffraganea di alcuna metropoli, e perciò immediatamente soggetta alla S. Sede.
    L' antico suo perimetro fu in qualche modo segnalalo da una delle bolle del Pontefice Alessandro III diretta li 21 aprile del 1179 a Ugone vescovo di Volterra, nel tempo che egli assisteva in Roma al terzo concilio lateranense. Nella qual bolla sono rammentati fra i confini di essa Diocesi, dal lato di maestrale la Badia di Carigi sotto Montefoscoli, dove si toccava con l'antica Diocesi di Lucca. Dal lato poi di ponente essa abbracciava i paesi di Chianni e di Rivalto a contatto con la Diocesi di Pisa; dirimpetto a ostro e scirocco comprendeva le pievi di Parantino e di Bibbona sulla Cecina fino ai mare e di là per la Val di Sterza sino a Castiglion Bernardi e Monte Rotondo, passato il fiume Cornia , avendo a contatto l'antica Diocesi di Populonia, ora di Massa Marittima. Dirimpetto poi a levante oltrepassava, come oltrepassa tuttora i paesi di Monticiano e di Luriano sulla Parma dove si tocca con la Diocesi di Roselle, ossia di Grosseto; mentre a grecale cotesta Diocesi occupava gran parte della Montagnuola e del Monte Viaggio avendo a confine la Diocesi di Siena.
    Che se la giurisdizione politica dopo la caduta de' R. Impero si uniformava, come è supponibile, a quella già stabilita dalle diocesi ecclesiastiche, bisogna credere che il contado di Volteraa all’epoca dell' invasione gotici; e longobarda fosse uno de' più estesi della Toscana.
    Quindi l’abate Giachi nell’Opera sua, ragionando su questi principj, si mostrava persuaso, che la giurisdizione de' castaldi politici di Volterra dovesse estendersi nel territorio appartenuto per molti secoli alla sua Diocesi ecclesiastica.
    In realtà niuna cattedrale antica della Toscana contava nel secolo XI un capitolo cotanto numeroso come fu quello di 40 canonici (fra i quali 5 dignitarj) che ebbe fa chiesa maggiore di Volterra.
    Ho più
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    volte citato un sinodo del 10 novembre 1356, tenuto in Volterra dal suo vescovo Filippo Belforti, ed il cui originale si conserva nella biblioteca pubblica di delta città. Dal qual sinodo apparisce, che cotesta Diocesi sino da quell’epoca repartita in Sesti come appresso: Il I° Sesto detto di Città contava allora 54 chiese,compresavi la cattedrale, tre pievi ( Negra, Pi gnano e Villamagna ) con 7 monasteri, e 8 spedaletti. II.° Sesto di Val d' Elsa, comprendeva no chiese, fra le quali sei pievi ( S. Gimignano, Cellori, Montajone, Gam bassi e Cofano ) 7 monasteri e 12 spedaletti. III.° Sesto di Val d' Era abbracciava 75 chiese, fra le quali 14 pievi ( Tojano, Montagnoso, Castel Falfì, Pino, Monte Foscoli, Peccioli, Fabbrica, Pava, Laj atico, Orcialico, Morrona , Chiarini , Rivolto e Strido ) con tre monasteri e selle spedaletti. IV.° Sesto delle Valli di Ce cina e Marina comprendeva 55 chiese, fra le quali otto pievi, 4 monasteri e 12 spedaletti. V.° Sesto di Val di Strove contava 74 chiese, delle quali 8 erano pievi ( Casole, Mentano, Scuola, Molli, Monti e Malcavoli, Pernina, S. Giusto a Balli e Pieve a Castello ) con tre monasteri e tre spedali. L' ultimo Sesto di Montagna abbracciava 90 chiese, comprese 11 plebane ( Rocca Sillana, Morba, Radicandoli, Tocchi, Chiusdino, Luriano, Gerfalco, Montieri, Prato, Commessano e Sorciano ) con due monasteri e 12 spedaletti.
    N. B. Le pievi di S. Alberto, poi detto S. Marziale a Colle e de' SS. Giovanni e Faustino, poi di S, Ippolito d' Elsa, fino dal 1356 erano esenti dal diocesano, ed immediatamente soggette alla S. Sede. Le quali pievi, ora riunite
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    alla cattedrale di Colle, contavano 28 chiese succursali, fra le quali tre badie e due spedali. – Totale della Diocesi di Volterra all' anno 1356 chiese 480 compresa la cattedrale di Volterra con 51 pievi, 29 monasteri, e 56 piccoli spedali. Nel 1745 tutte le parrocchie della Diocesi di Volterra erano ridotte a 143, e nel 1833 e 1843 al numero di 111 cure con 9 conventi, fra i quali una badia, un monastero di monache e due conservatorj (in Volter ra e a Montajone ) .
    Al sinodo diocesano del 1356 serve di appoggio il diploma dell' Imperatore Carlo IV diretto nel 1355 allo stesso vescovo Filippo, in cui si descrive la diocesi di Volterra per mezzo dell'enumerazione di tutte le terre e castelli allora in essa compresi.
    Il più esteso smembramento di questa Diocesi, (non conoscendosi uno antichissimo quando il distretto di Vada fu dato alla mensa vescovile di Pisa) non è più vetusto del 1592, nella quale epoca il Pontefice Clemente VIII con bolla del 5 giugno di detto anno eresse la chiesa di Colle in cattedrale staccando affatto dal suo antico diocesano non solo le due pievi Nullius di Colle e de' SS. Giovanni e Ippolito d' Elsa, ma smembrando da quella di Volterra i pivieri di Scola di Castello , di Mentano , di Balli , di Molli e di Pernina , oltre alcune altre chiese parrocchiali appartenute a diverse pievi della Diocesi stessa. In tutte parrocchie N.° 80.
    Il secondo smembramento accadde nel 1782 per bolla del Pontefice Pio VI del 18 Settembre, allorché separò dal vescovado di Volterra, per assegnarlo a quello di Colle, l'esteso piviere della collegiata di San Gimignano con varie parrocchie già appartenute alla pieve di Cellori, queste e quelle in numero di 53 chiese, delle quali 26 erano parrocchie con tutti i monasteri
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    de’ due sessi, conservatorj, ospedali, e mansioni dipendenti. Totale N.° 133 delle chiese parrocchiali staccate dalla cattedrale di Volterra dopo il sinodo del 1356.
    Attualmente la Diocesi volterrana conta 111 parrocchie, 57 delle quali sono battesimali, sebbene 14 sole sieno antiche chiese plebane. Inoltre si contano N° 9 g fra monasteri, conservatorj e conventi di regolari de' due sessi.
    II seminario vescovile eretto verso il 1640 dal Vescovo Niccolo Sacchetti, sistemalo nel 1686 e poscia traslatato nel principio del secolo attuale (1801) nel soppresso monastero degli Olivetani di S. Andrea a Porta Marcali, o in Postierla , serve di tirocinio all'istruzione morale e letteraria di una 4o.na di giovinetti di varj paesi che sogliono iniziarsi al chiericato.
    Il capitolo attuale della cattedrale di Volterra si compone di 15 canonici con 4 dignità e di 25 cappellani, oltre un numero equivalente di chierici.
    Fra i suoi vescovi più illustri si affaccia per primo Ildebrando Pannocchieschi che fu anche il più potente principe della città di Volterra e di una gran parte della Diocesi. Citerò Filippo Belforti figlio di Mess. Ottaviano, nolo per il suo carteggio letterario, e per il sinodo che celebrò nel novembre del 1356. Rammenterò il vescovo Card. Francesco Soderini noto politico per la tutela ad esso affidata di Giuliano e Ippolito de' Medici. Finalmente non è da passare sotto silenzio il penultimo vescovo Ranieri Alliata, il quale, innanzi di presedere la Primaziale pisana, si distinse in Volterra per bontà e per molte altre sue virtù che va imitando l' attuale successore.
    Nel 1551, anzi all' epoca del sinodo del 1356 la Diocesi di Volterra contava nei 6 Sesti, oltre la cattedrale col suo battistero 50 pievi, non comprese le due battesimali esenti di S. Marziale, già S. Alberto di Colle e quella di S. Giovanni e S. Ippolito d’ Elsa, oltre un numero maggiore di cure.
    Nel 1745, benché la stessa Diocesi avesse
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    ceduto alla nuova cattedrale di Colle 80 parrocchie, delle quali sei battesimali, ciò non ostante le restavano tra vecchie e nuove pievi N.° 50 con altre 86 chiese per la maggior parie parrocchiali.
    Nel 1833 dalla Diocesi di Volterra essendo stato staccato fino dal 1782 il vasto pievanale di S. Gimignano, esistente in due pievi che una collegiata, oltre 24 chiese parrocchiali, ciò non dimeno erano restate alfa Diocesi medesima 57 Pievi tra antiche e moderne e altre 54 chiese parrocchiali, in tutte 111 parrocchie.

    QUADRO SINOTTICO delle Pievi e Cure della DIOCESI DI VOLTERRA ripartito negli antichi Sesti con la loro popolazione a cinque epoche diverse (A)

    SESTO I. CITTA’ DI VOLTERRA E PENDICI

    Nome della Pieve: VOLTERRA (città) e PENDICI

    - titolo della chiesa e del luogo: Cattedrale S. Maria con un annesso, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 1005, abitanti anno 1833: n° 2091, abitanti anno 1840: n° 2236, abitanti anno 1843: n° 2345
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Pietro in Selci (ora in S. Agostino), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 1059, abitanti anno 1833: n° 1236, abitanti anno 1840: n° 1565, abitanti anno 1843: n° 1450
    - titolo della chiesa e del luogo: Canonica di S. Stefano extra moenia (ora in S. Giusto), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 636, abitanti anno 1833: n° 872, abitanti anno 1840: n° 989, abitanti anno 1843: n° 1009
    - titolo della chiesa e del luogo: Canonica di S. Michele (ora de’PP. Scolopi), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 963, abitanti anno 1833: n° 1264, abitanti anno 1840: n° 1330, abitanti anno 1843: n° 1447
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Alessandro ne’Subborghi, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 608, abitanti anno 1833: n° 645, abitanti anno
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    1840: n° 638, abitanti anno 1843: n° 644
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Marco (ora nella Badia di S. Giusto), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 616, abitanti anno 1833: n° 211, abitanti anno 1840: n° 208, abitanti anno 1843: n° 222
    - titolo della chiesa e del luogo: Chiese di Monterodolfo e di Monteterzi riunite (ora in S. Martino a Roncolla), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 200, abitanti anno 1833: n° 351, abitanti anno 1840: n° 364, abitanti anno 1843: n° 355

    Nome della Pieve: Pieve di Nera

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 242, abitanti anno 1833: n° 225, abitanti anno 1840: n° 260, abitanti anno 1843: n° 243
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Ottaviano Oltr’Era  (ridotto ad oratorio nel 1560), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° -, abitanti anno 1840: n° -, abitanti anno 1843: n° -

    Nome della Pieve: Pieve di Villamagna

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve con un annesso), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 356, abitanti anno 1833: n° 525, abitanti anno 1840: n° 589, abitanti anno 1843: n° 593
    - titolo della chiesa e del luogo: Mazzolla, S. Lorenzo; abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 239, abitanti anno 1833: n° 434, abitanti anno 1840: n° 393, abitanti anno 1843: n° 396
    - titolo della chiesa e del luogo: Faltugnano, S. Pietro (in S. Leopoldo alle Saline) con due annessi; abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 39, abitanti anno 1833: n° 336, abitanti anno 1840: n° 401, abitanti anno 1843: n° 375
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Cipriano
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    a Villamagna con tre annessi, S. Lorenzo; abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 356, abitanti anno 1833: n° 525, abitanti anno 1840: n° 589, abitanti anno 1843: n° 593

    Nome della Pieve: Pieve di Pignano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Bartolommeo (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 195, abitanti anno 1833: n° 199, abitanti anno 1840: n° 192, abitanti anno 1843: n° 215
    - titolo della chiesa e del luogo: Camporbiano, S. Martino; abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 111, abitanti anno 1833: n° 214, abitanti anno 1840: n° 247, abitanti anno 1843: n° 243
    - titolo della chiesa e del luogo: Spicchiajola, SS. Jacopo e Cristofano (con un annesso); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 165, abitanti anno 1833: n° 226, abitanti anno 1840: n° 266, abitanti anno 1843: n° 270
    - titolo della chiesa e del luogo: Senzano, SS. Ippolito e Cassiano (con un annesso); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 45, abitanti anno 1833: n° 101, abitanti anno 1840: n° 129, abitanti anno 1843: n° 118
    - titolo della chiesa e del luogo: Ulignano, S. Pietro (con un anneso); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 159, abitanti anno 1833: n° 180, abitanti anno 1840: n° 200, abitanti anno 1843: n° 196

    - Totale popolazione anno 1551 del Sesto I (Città di Volterra e Pendici): n° 16197

    SESTO II. VAL D’ELSA E VAL D’EVOLA

    Nome della Pieve: Pieve di San Gimignano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Gimignano (Pieve Collegiata con l’annesso di S. Maria a Oliveto*), abitanti anno 1551: n° 2097, abitanti anno 1745: n° 1396, abitanti anno 1833: n° 2260, abitanti anno 1840: n° 1921, abitanti anno 1843: n° 1819
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Andrea (con l’annesso di
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    Monte Gompoli)*, abitanti anno 1551: n° 32 (S. Andrea) e n° 50 (Monte Gompoli), abitanti anno 1745: n° 61, abitanti anno 1833: n° 73, abitanti anno 1840: n° 86, abitanti anno 1843: n° 87
    - titolo della chiesa e del luogo: Montaguto, S. Lorenzo (Prepositura con gli annessi di Monte Cortesi, o S. Bartolommeo a Monti, di Renzano e di Viano)*, abitanti anno 1551: n° 60 (S. Lorenzo), n° 36 (Monte Cortesi) e n° 38 (Renzano e Viano), abitanti anno 1745: n° 62 (S. Lorenzo), n° 43 (Monte Cortesi) e n° 34 (Renzano e Viano), abitanti anno 1833: n° 248, abitanti anno 1840: n° 235, abitanti anno 1843: n° 235
    - titolo della chiesa e del luogo: Castelvecchio, S. Frediano*, abitanti anno 1551: n° 61, abitanti anno 1745: n° 63, abitanti anno 1833: n° -, abitanti anno 1840: n° -, abitanti anno 1843: n° -
    - titolo della chiesa e del luogo: Barbiano, SS. Lucia e Giusto*, abitanti anno 1551: n° 106, abitanti anno 1745: n° 109, abitanti anno 1833: n° 159, abitanti anno 1840: n° 163, abitanti anno 1843: n° 153
    - titolo della chiesa e del luogo: Barbiano, S. Maria Assunta*, abitanti anno 1551: n° 55, abitanti anno 1745: n° 96, abitanti anno 1833: n° 203, abitanti anno 1840: n° 220, abitanti anno 1843: n° 217
    - titolo della chiesa e del luogo: Bibbiano, S. Niccolò*, abitanti anno 1551: n° 61, abitanti anno 1745: n° 57, abitanti anno 1833: n° 69, abitanti anno 1840: n° 102, abitanti anno 1843: n° 109
    - titolo della chiesa e del luogo: Ranza, S. Michele (con un annesso)*, abitanti anno 1551: n° 74, abitanti anno 1745: n° 70, abitanti anno 1833: n° 110, abitanti anno 1840: n° 97, abitanti anno 1843: n° 113
    - titolo della chiesa e del luogo: Racciano, S. Ippolito (con gli annessi di Sovestro e Gamboccio )*, abitanti anno 1551: n° 80 (Racciano)
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    e n° 161 (Sovestro e Gamboccio), abitanti anno 1745: n° 48 (Racciano) e n° 199 (Sovestro e Gamboccio), abitanti anno 1833: n° 167, abitanti anno 1840: n° 135, abitanti anno 1843: n° 191
    - titolo della chiesa e del luogo: Casale, S. Michele (ora in S. Gimignano)*, abitanti anno 1551: n° 122, abitanti anno 1745: n° 105, abitanti anno 1833: n° 163, abitanti anno 1840: n° 459, abitanti anno 1843: n° 459
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Lucia a S. Benedetto (con un annesso)*, abitanti anno 1551: n° 109, abitanti anno 1745: n° 115, abitanti anno 1833: n° 165, abitanti anno 1840: n° 194, abitanti anno 1843: n° 194
    - titolo della chiesa e del luogo: Larniano, S. Martino (con l’annesso di Guinzano)*, abitanti anno 1551: n° 118 (Lariano) e n° 38 (Guinzano), abitanti anno 1745: n° 217, abitanti anno 1833: n° 315, abitanti anno 1840: n° 298, abitanti anno 1843: n° 335
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Eusebio alla Canonica*, abitanti anno 1551: n° 146, abitanti anno 1745: n° 196, abitanti anno 1833: n° 325, abitanti anno 1840: n° 330, abitanti anno 1843: n° 272
    - titolo della chiesa e del luogo: Cortennano, S. Iacopo (con l’annesso di Pietrafitta)*, abitanti anno 1551: n° 58 (Cortennano) e n° 98 (Pietrafitta), abitanti anno 1745: n° 122, abitanti anno 1833: n° 206, abitanti anno 1840: n° 230, abitanti anno 1843: n° 245
    - titolo della chiesa e del luogo: Cusona, S. Biagio*, abitanti anno 1551: n° 134, abitanti anno 1745: n° 149, abitanti anno 1833: n° 232, abitanti anno 1840: n° 257, abitanti anno 1843: n° 254
    - titolo della chiesa e del luogo: Fulignano, S. Lorenzo (con un annesso)*, abitanti anno 1551: n° 101, abitanti anno 1745: n° 116, abitanti anno 1833: n° 267, abitanti anno 1840: n° 302, abitanti anno 1843: n° 232
    - titolo della chiesa e del luogo: Libbiano, S. Pietro*,
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    abitanti anno 1551: n° 86, abitanti anno 1745: n° 98, abitanti anno 1833: n° 128, abitanti anno 1840: n° 151, abitanti anno 1843: n° 146
    - titolo della chiesa e del luogo: Castello di S. Gimignano, S. Cristina*, abitanti anno 1551: n° 87, abitanti anno 1745: n° 58, abitanti anno 1833: n° 291, abitanti anno 1840: n° 316, abitanti anno 1843: n° 303
    - titolo della chiesa e del luogo: Strada, S. Michele con un annesso*, abitanti anno 1551: n° 161, abitanti anno 1745: n° 221, abitanti anno 1833: n° 292, abitanti anno 1840: n° 328, abitanti anno 1843: n° 312
    - titolo della chiesa e del luogo: Villa Castelli, S. Maria con un annesso*, abitanti anno 1551: n° 63, abitanti anno 1745: n° 127, abitanti anno 1833: n° 230, abitanti anno 1840: n° 238, abitanti anno 1843: n° 256

    Nome della Pieve: Pieve di Celloli o Cellori

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve Arcipretura con l’annesso di Colle Muscoli)*, abitanti anno 1551: n° 39 (Celloli) e n° 72 (Colle Muscoli), abitanti anno 1745: n° 163, abitanti anno 1833: n° 232, abitanti anno 1840: n° 241, abitanti anno 1843: n° 221
    - titolo della chiesa e del luogo: Ulignano, S. Bartolommeo*, abitanti anno 1551: n° 40, abitanti anno 1745: n° 85, abitanti anno 1833: n° 174, abitanti anno 1840: n° 181, abitanti anno 1843: n° 182
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Donato a S. Donato extra muros *, abitanti anno 1551: n° 90, abitanti anno 1745: n° 88, abitanti anno 1833: n° 151, abitanti anno 1840: n° 142, abitanti anno 1843: n° 157

    Nome della Pieve: Pieve di Pancone (nuova, già sotto Cellori)

    - titolo della chiesa e del luogo: Pancone,  S. Maria (con un annesso)*, abitanti anno 1551: n° 175, abitanti anno 1745: n° 101, abitanti anno 1833: n° 167, abitanti anno
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    1840: n° 183, abitanti anno 1843: n° 186

    Nome della Pieve: Pieve di S. Maria a Chianni

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve), abitanti anno 1551: n° 477 (con S. Jacopo a Gambassi), abitanti anno 1745: n° 301, abitanti anno 1833: n° 500, abitanti anno 1840: n° 559, abitanti anno 1843: n° 652
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Jacopo a Gambassi, abitanti anno 1551: n° 477 (con S. Maria Assunta), abitanti anno 1745: n° 196, abitanti anno 1833: n° 574, abitanti anno 1840: n° 742, abitanti anno 1843: n° 740
    - titolo della chiesa e del luogo: Varna, S. Giovanni Evangelista, abitanti anno 1551: n° 141, abitanti anno 1745: n° 214, abitanti anno 1833: n° 377, abitanti anno 1840: n° 462, abitanti anno 1843: n° 454
    - titolo della chiesa e del luogo: Catignano, S. Martino (con l’annesso di Agreste), abitanti anno 1551: n° 76 (Catignano) e n° 58 (Agreste), abitanti anno 1745: n° 84, abitanti anno 1833: n° 229, abitanti anno 1840: n° 258, abitanti anno 1843: n° 258
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Pietro a Cerreto o alla Badia (con due annessi), abitanti anno 1551: n° 254, abitanti anno 1745: n° 161, abitanti anno 1833: n° 192, abitanti anno 1840: n° 200, abitanti anno 1843: n° 218

    Nome della Pieve: Pieve di Montajone

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Regolo (Pieve), abitanti anno 1551: n° 1077, abitanti anno 1745: n° 986, abitanti anno 1833: n° 1123, abitanti anno 1840: n° 1246, abitanti anno 1843: n° 1215
    - titolo della chiesa e del luogo: Gavignalla, S. Andrea, abitanti anno 1551: n° 60, abitanti anno 1745: n° 42, abitanti anno 1833: n° 182, abitanti anno 1840: n° 206, abitanti anno 1843: n° 223
    - titolo della chiesa e del luogo: Pillo, S. Martino (con un annesso), abitanti anno 1551: n°
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    41, abitanti anno 1745: n° 112, abitanti anno 1833: n° 173, abitanti anno 1840: n° 169, abitanti anno 1843: n° 172
    - titolo della chiesa e del luogo: Figline, S. Antonio, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 26, abitanti anno 1833: n° 241, abitanti anno 1840: n° 260, abitanti anno 1843: n° 273

    Nome della Pieve: Pieve di Cojano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Pietro (Pieve), abitanti anno 1551: n° 140, abitanti anno 1745: n° 163, abitanti anno 1833: n° 292, abitanti anno 1840: n° 317, abitanti anno 1843: n° 300
    - titolo della chiesa e del luogo: Castelnuovo di Val d’Elsa, S. Maria (con un annesso), abitanti anno 1551: n° 351, abitanti anno 1745: n° 598, abitanti anno 1833: n° 836, abitanti anno 1840: n° 957, abitanti anno 1843: n° 985
    - titolo della chiesa e del luogo: Lungotono, S. Maria (con un annesso), abitanti anno 1551: n° 241, abitanti anno 1745: n° 628, abitanti anno 1833: n° 1049, abitanti anno 1840: n° 1054, abitanti anno 1843: n° 1072

    Nome della Pieve: Pieve di Castel Falfi in Val d’Evola

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Floriano (Pieve con due annessi), abitanti anno 1551: n° 315, abitanti anno 1745: n° 237, abitanti anno 1833: n° 468, abitanti anno 1840: n° 469, abitanti anno 1843: n° 453
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Bartolommeo a S. Stefano, abitanti anno 1551: n° 105, abitanti anno 1745: n° 124, abitanti anno 1833: n° 198, abitanti anno 1840: n° 225, abitanti anno 1843: n° 238
    - titolo della chiesa e del luogo: Sughera, S. Pietro, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 128, abitanti anno 1833: n° 244, abitanti anno 1840: n° 257, abitanti anno 1843: n° 253
    - titolo della chiesa e del luogo: Jano e Camporena, SS. Pietro e Filippo, abitanti anno
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    1551: n° 371, abitanti anno 1745: n° 231, abitanti anno 1833: n° 244, abitanti anno 1840: n° 534, abitanti anno 1843: n° 583
    - titolo della chiesa e del luogo: Vignale, S. Bartolommeo, abitanti anno 1551: n° 375, abitanti anno 1745: n° 140, abitanti anno 1833: n° 169, abitanti anno 1840: n° 205, abitanti anno 1843: n° 207
    - titolo della chiesa e del luogo: Tonda, S. Niccolò, abitanti anno 1551: n° 290, abitanti anno 1745: n° 128, abitanti anno 1833: n° 281, abitanti anno 1840: n° 333, abitanti anno 1843: n° 274
    - titolo della chiesa e del luogo: Mura, S. Stefano, abitanti anno 1551: n° 105, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 189, abitanti anno 1840: n° 211, abitanti anno 1843: n° 210
    - titolo della chiesa e del luogo: Barbialla, S. Giovanni Evangelista (con l’annesso di Melicciano), abitanti anno 1551: n° 264 (Barbialla) e n° 41 (Melicciano), abitanti anno 1745: n° 328 (Barbialla) e n° 34 (Melicciano), abitanti anno 1833: n° 360, abitanti anno 1840: n° 363, abitanti anno 1843: n° 347

    Nome della Pieve: Pieve di Montignoso

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Frediano (Pieve), abitanti anno 1551: n° 369, abitanti anno 1745: n° 326, abitanti anno 1833: n° 344, abitanti anno 1840: n° 354, abitanti anno 1843: n° 384

    SESTO III. DI VAL DI CECINA E DI MARINA

    Nome della Pieve: Pieve di Pomarance

    - titolo della chiesa e del luogo: Pomarance, S. Giovanni Battista (Arcipretura con varj annessi), abitanti anno 1551: n° 1230, abitanti anno 1745: n° 870, abitanti anno 1833: n° 1811, abitanti anno 1840: n° 2066, abitanti anno 1843: n° 2088
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Dalmazio a S. Dalmazio, abitanti anno 1551: n° 358, abitanti anno 1745: n° 310, abitanti anno 1833: n° 430, abitanti anno 1840: n° 448, abitanti anno 1843: n° 440
    - titolo
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    della chiesa e del luogo: Monte Gemoli, S. Bartolommeo; abitanti anno 1551: n° 248, abitanti anno 1745: n° 205, abitanti anno 1833: n° 265, abitanti anno 1840: n° 347, abitanti anno 1843: n° 337

    Nome della Pieve: Pieve di Micciano

    - titolo della chiesa e del luogo: Macciano con Roveta, S. Michele (Pieve), abitanti anno 1551: n° 143, abitanti anno 1745: n° 204, abitanti anno 1833: n° 245, abitanti anno 1840: n° 271, abitanti anno 1843: n° 263
    - titolo della chiesa e del luogo: Libbiano, SS. Simone e Giuda, abitanti anno 1551: n° 202, abitanti anno 1745: n° 166, abitanti anno 1833: n° 240, abitanti anno 1840: n° 253, abitanti anno 1843: n° 262

    Nome della Pieve: Pieve di Monte Catini in Val di Cecina (già di Gabbreto)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Biagio (Pieve con varj annessi), abitanti anno 1551: n° 737, abitanti anno 1745: n° 576, abitanti anno 1833: n° 1396, abitanti anno 1840: n° 1606, abitanti anno 1843: n° 1641
    - titolo della chiesa e del luogo: Miemo, S. Andrea, abitanti anno 1551: n° 131, abitanti anno 1745: n° 49, abitanti anno 1833: n° 98, abitanti anno 1840: n° 144, abitanti anno 1843: n° 182

    Nome della Pieve: Pieve di Parentino (ora in Querceto)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1551: n° 439, abitanti anno 1745: n° 179, abitanti anno 1833: n° 401, abitanti anno 1840: n° 438, abitanti anno 1843: n° 465

    Nome della Pieve: Pieve di Gello o di Casaglia

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Lorenzo (Pieve), abitanti anno 1551: n° 154, abitanti anno 1745: n° 175, abitanti anno 1833: n° 181, abitanti anno 1840: n° 251, abitanti anno 1843: n° 248
    - titolo della chiesa e del luogo: Buriano, S. Niccolò, abitanti anno 1551: n° 133, abitanti
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    anno 1745: n° 129, abitanti anno 1833: n° 152, abitanti anno 1840: n° 140, abitanti anno 1843: n° 179

    Nome della Pieve: Pieve di Sassa già di Caselle

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Martino (Pieve), abitanti anno 1551: n° 110, abitanti anno 1745: n° 212, abitanti anno 1833: n° 428, abitanti anno 1840: n° 431, abitanti anno 1843: n° 482

    Nome della Pieve: Pieve di Casale

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Andrea (Pieve con due annessi), abitanti anno 1551: n° 245, abitanti anno 1745: n° 315, abitanti anno 1833: n° 817, abitanti anno 1840: n° 884, abitanti anno 1843: n° 893

    Nome della Pieve: Pieve di Casal Giustri in Monte Scudajo

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve), abitanti anno 1551: n° 616, abitanti anno 1745: n° 404, abitanti anno 1833: n° 930, abitanti anno 1840: n° 1017, abitanti anno 1843: n° 1016
    - titolo della chiesa e del luogo: Guardistallo, SS. Agata e Lorenzo (Prepositura), abitanti anno 1551: n° 428, abitanti anno 1745: n° 415, abitanti anno 1833: n° 1140, abitanti anno 1840: n° 1367, abitanti anno 1843: n° 1380

    Nome della Pieve: Pieve di Bibbona

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Ilario (Pieve), abitanti anno 1551: n° 506, abitanti anno 1745: n° 312, abitanti anno 1833: n° 658, abitanti anno 1840: n° 850, abitanti anno 1843: n° 926

    Fitto di Cecina (Rettoria moderna)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giuseppe (Rettoria), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 156, abitanti anno 1840: n° 582, abitanti anno 1843: n° 815

    Nome della Pieve: Casaglia (già Pieve, ora Rettoria)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Rettoria), abitanti anno 1551: n° 76, abitanti anno 1745: n° 73, abitanti
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    anno 1833: n° 164, abitanti anno 1840: n° 206, abitanti anno 1843: n° 243

    SESTO IV. DI VAL D’ERA

    Nome della Pieve: Pieve del Pino (ora in Gizzano)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Germano (Pieve con un annesso), abitanti anno 1551: n° 404, abitanti anno 1745: n° 353, abitanti anno 1833: n° 444, abitanti anno 1840: n° 513, abitanti anno 1843: n° 534
    - titolo della chiesa e del luogo: Libbiano, S. Pietro; abitanti anno 1551: n° 202, abitanti anno 1745: n° 120, abitanti anno 1833: n° 275, abitanti anno 1840: n° 261, abitanti anno 1843: n° 269

    Nome della Pieve: Pieve di Montefoscoli

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve con due annessi), abitanti anno 1551: n° 534, abitanti anno 1745: n° 494, abitanti anno 1833: n° 1224, abitanti anno 1840: n° 1274, abitanti anno 1843: n° 1279

    Nome della Pieve: Pieve di Tojano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1551: n° 199, abitanti anno 1745: n° 358, abitanti anno 1833: n° 506, abitanti anno 1840: n° 533, abitanti anno 1843: n° 530

    Nome della Pieve: Pieve di Peccioli

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Verano (Prepositura con due annessi), abitanti anno 1551: n° 935, abitanti anno 1745: n° 1271, abitanti anno 1833: n° 2301, abitanti anno 1840: n° 2480, abitanti anno 1843: n° 2482

    Nome della Pieve: Pieve di Fabbrica

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria e S. Giovanni Battista (Pieve con annessi), abitanti anno 1551: n° 490, abitanti anno 1745: n° 427, abitanti anno 1833: n° 768, abitanti anno 1840: n° 884, abitanti anno 1843: n° 904
    - titolo della chiesa e del luogo: Montecchio, S. Lucia; abitanti anno 1551: n° 143, abitanti anno 1745: n° 162, abitanti anno 1833: n°
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    207, abitanti anno 1840: n° 245, abitanti anno 1843: n° 253
    - titolo della chiesa e del luogo: Legoli, S. Giusto; abitanti anno 1551: n° 476, abitanti anno 1745: n° 423, abitanti anno 1833: n° 658, abitanti anno 1840: n° 769, abitanti anno 1843: n° 735

    Nome della Pieve: Pieve di Pava in Terricciuola

    - titolo della chiesa e del luogo: Terricciuola (Pieve arcipretura con due annessi), abitanti anno 1551: n° 493, abitanti anno 1745: n° 703, abitanti anno 1833: n° 1232, abitanti anno 1840: n° 1527, abitanti anno 1843: n° 1320
    - titolo della chiesa e del luogo: Morrona, S. Bartolommeo; abitanti anno 1551: n° 152, abitanti anno 1745: n° 249, abitanti anno 1833: n° 273, abitanti anno 1840: n° 524, abitanti anno 1843: n° 528

    Nome della Pieve: Pieve di Lajatico

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Leonardo (Pieve), abitanti anno 1551: n° 449, abitanti anno 1745: n° 473, abitanti anno 1833: n° 839, abitanti anno 1840: n° 1005, abitanti anno 1843: n° 1054

    Nome della Pieve: Pieve di Orciatico

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Michele (Pieve Arcipretura con annessi), abitanti anno 1551: n° 228, abitanti anno 1745: n° 465, abitanti anno 1833: n° 687, abitanti anno 1840: n° 626, abitanti anno 1843: n° 636
    - titolo della chiesa e del luogo: Cedri, S. Giorgio, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 108, abitanti anno 1833: n° 156, abitanti anno 1840: n° 357, abitanti anno 1843: n° 338

    Nome della Pieve: Pieve di Chianni

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Donato (Pieve), abitanti anno 1551: n° 644, abitanti anno 1745: n° 651, abitanti anno 1833: n° 1552, abitanti anno 1840: n° 1700, abitanti anno 1843: n° 1852

    Nome della Pieve: Pieve di Rivalto

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Fabiano e Sebastiano
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    (Pieve), abitanti anno 1551: n° 400, abitanti anno 1745: n° 348, abitanti anno 1833: n° 444, abitanti anno 1840: n° 514, abitanti anno 1843: n° 550

    Nome della Pieve: Pieve di Strido (soppressa)

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (ora semplice cappella), abitanti anno 1551: n° 141, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° -, abitanti anno 1840: n° -, abitanti anno 1843: n° -

    SESTO V. DETTO DI MONTAGNA E DI VAL DI CORNIA

    Nome della Pieve: Pieve di Rocca a Sillano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Bartolommeo (Pieve), abitanti anno 1551: n° 200, abitanti anno 1745: n° 121, abitanti anno 1833: n° 169, abitanti anno 1840: n° 177, abitanti anno 1843: n° 183

    Nome della Pieve: Pieve di Monte Castelli

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Jacopo e Filippo (Pieve con annessi), abitanti anno 1551: n° 583, abitanti anno 1745: n° 388, abitanti anno 1833: n° 699, abitanti anno 1840: n° 722, abitanti anno 1843: n° 700

    Nome della Pieve: Pieve di Castelnuovo di Val di Cecina

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Salvadore (Pieve Arcipretura), abitanti anno 1551: n° 928, abitanti anno 1745: n° 698, abitanti anno 1833: n° 1439, abitanti anno 1840: n° 1561, abitanti anno 1843: n° 1593

    Nome della Pieve: Pieve d’Elci

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Niccolò (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 179, abitanti anno 1833: n° 174, abitanti anno 1840: n° 166, abitanti anno 1843: n° 178

    Nome della Pieve: Pieve d’Anqua

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Rufo e Bartolommeo (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 344, abitanti anno 1833: n° 362, abitanti anno 1840: n° 330, abitanti anno 1843: n° 312
    - titolo della
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    chiesa e del luogo: Montalbano, S. Lorenzo (Cura); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 227, abitanti anno 1833: n° 251, abitanti anno 1840: n° 246, abitanti anno 1843: n° 265

    Nome della Pieve: Pieve di Fosini

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Niccolò e Donato (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 283, abitanti anno 1833: n° 258, abitanti anno 1840: n° 257, abitanti anno 1843: n° 237

    Nome della Pieve: Pieve a Morba in Montecerboli

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Cerbone a Montecerboli (Pieve con un annesso), abitanti anno 1551: n° 264, abitanti anno 1745: n° 146, abitanti anno 1833: n° 277, abitanti anno 1840: n° 397, abitanti anno 1843: n° 327
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Michele a S. Ippolito, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 129, abitanti anno 1840: n° 135, abitanti anno 1843: n° 159

    Nome della Pieve: Pieve già di Comessano ora in Castel del Sasso

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Bartolommeo in Castel del Sasso (Pieve con un annesso), abitanti anno 1551: n° 282, abitanti anno 1745: n° 178, abitanti anno 1833: n° 557, abitanti anno 1840: n° 674, abitanti anno 1843: n° 716

    Nome della Pieve: Pieve di Monterotondo

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Lorenzo (Pieve Prepositura con un annesso), abitanti anno 1551: n° 547, abitanti anno 1745: n° 412, abitanti anno 1833: n° 1335, abitanti anno 1840: n° 1455, abitanti anno 1843: n° 1655
    - titolo della chiesa e del luogo: Leccia, S. Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1551: n° 137, abitanti anno 1745: n° 53, abitanti anno 1833: n° 172, abitanti anno 1840: n° 209, abitanti anno 1843: n° 203

    Nome della Pieve: Pieve di Serazzano

    - titolo della
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    chiesa e del luogo: S. Donato (Pieve), abitanti anno 1551: n° 209, abitanti anno 1745: n° 250, abitanti anno 1833: n° 460, abitanti anno 1840: n° 463, abitanti anno 1843: n° 441

    Nome della Pieve: Pieve di Lustignano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Martino (Pieve), abitanti anno 1551: n° 178, abitanti anno 1745: n° 69, abitanti anno 1833: n° 217, abitanti anno 1840: n° 269, abitanti anno 1843: n° 262

    Nome della Pieve: Pieve di Prata

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve), abitanti anno 1551: n° 581, abitanti anno 1745: n° 537, abitanti anno 1833: n° 1532, abitanti anno 1840: n° 1344, abitanti anno 1843: n° 1311

    Nome della Pieve: Pieve di Sorciano in Montingegnoli

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Sisto (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 112, abitanti anno 1833: n° 204, abitanti anno 1840: n° 220, abitanti anno 1843: n° 202

    Nome della Pieve: Pieve di Montalcinello

    - titolo della chiesa e del luogo: S. magno (Pieve), abitanti anno 1551: n° 300, abitanti anno 1745: n° 221, abitanti anno 1833: n° 496, abitanti anno 1840: n° 548, abitanti anno 1843: n° 489

    Nome della Pieve: Pieve di Gerfalco

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Biagio (Pieve), abitanti anno 1551: n° 800, abitanti anno 1745: n° 413, abitanti anno 1833: n° 748, abitanti anno 1840: n° 773, abitanti anno 1843: n° 810

    Nome della Pieve: Pieve di Montieri

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Michele e Paolo (Pieve Arcipretura con varj annessi), abitanti anno 1551: n° 710, abitanti anno 1745: n° 580, abitanti anno 1833: n° 983, abitanti anno 1840: n° 1072, abitanti anno 1843: n° 1015

    Nome della Pieve: Pieve di Radicondoli

    - titolo della chiesa e del luogo:
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    SS. Simone e Giuda (Collegiata con varj annessi), abitanti anno 1551: n° 710, abitanti anno 1745: n° 815, abitanti anno 1833: n° 1215, abitanti anno 1840: n° 1313, abitanti anno 1843: n° 1337

    Nome della Pieve: Pieve di Belforte

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria (Pieve con un annesso), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 542, abitanti anno 1833: n° 635, abitanti anno 1840: n° 687, abitanti anno 1843: n° 705
    - titolo della chiesa e del luogo: Travale, SS. Michele e Silvestro (Rettoria con varj annessi); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 323, abitanti anno 1833: n° 451, abitanti anno 1840: n° 487, abitanti anno 1843: n° 552
    - titolo della chiesa e del luogo: Monte Guidi, SS. Andrea e Lorenzo (Cura con due annessi); abitanti anno 1551: n° 400, abitanti anno 1745: n° 254, abitanti anno 1833: n° 371, abitanti anno 1840: n° 405, abitanti anno 1843: n° 385

    Nome della Pieve: Pieve di Casole

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve Collegiata), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 760, abitanti anno 1833: n° 1113, abitanti anno 1840: n° 1290, abitanti anno 1843: n° 1295
    - titolo della chiesa e del luogo: Lucciana, SS. Giusto e Lucia (Cura), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 56, abitanti anno 1833: n° 61, abitanti anno 1840: n° 77, abitanti anno 1843: n° 73
    - titolo della chiesa e del luogo: Selva e Cotorniano, SS. Pietro e Paolo (Cura); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 159, abitanti anno 1833: n° 189, abitanti anno 1840: n° 242, abitanti anno 1843: n° 242
    - titolo della chiesa e del luogo: Pesciano e Berignone, S. Michele (Rettoria); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 177, abitanti anno 1833: n° 244, abitanti anno 1840: n°
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    279, abitanti anno 1843: n° 284

    Nome della Pieve: Pieve di Marmoraja

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria (Pieve con varj annessi)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 275, abitanti anno 1833: n° 266, abitanti anno 1840: n° 367, abitanti anno 1843: n° 360
    - titolo della chiesa e del luogo: Gallena, S. Pietro (Cura)*; abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 92, abitanti anno 1833: n° 113, abitanti anno 1840: n° 123, abitanti anno 1843: n° 133

    Nome della Pieve: Pieve di Pernina

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 274, abitanti anno 1833: n° 277, abitanti anno 1840: n° 248, abitanti anno 1843: n° 282
    - titolo della chiesa e del luogo: Pietralata e Vergene, S. Giovanni Evangelista (Cura)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 120, abitanti anno 1833: n° 131, abitanti anno 1840: n° 143, abitanti anno 1843: n° 154

    Nome della Pieve: Pieve di Mensano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 463, abitanti anno 1833: n° 489, abitanti anno 1840: n° 445, abitanti anno 1843: n° 416

    Nome della Pieve: Pieve a Scuola

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 146, abitanti anno 1833: n° 201, abitanti anno 1840: n° 237, abitanti anno 1843: n° 220
    - titolo della chiesa e del luogo: Querceto d’Elsa, S. Donato (Rettoria); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 179, abitanti anno 1833: n° 231, abitanti anno 1840: n° 353, abitanti anno 1843: n° 246

    Nome della Pieve: Pieve a Molli

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve)*,
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    abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 184, abitanti anno 1833: n° 178, abitanti anno 1840: n° 159, abitanti anno 1843: n° 181
    - titolo della chiesa e del luogo: Simignano e Radi di Montagna, S. Magno (Cura)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 175, abitanti anno 1833: n° 124, abitanti anno 1840: n° 237, abitanti anno 1843: n° 264

    Nome della Pieve: Pieve a Balli

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Giusto e Clemente (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 267, abitanti anno 1833: n° 277, abitanti anno 1840: n° 266, abitanti anno 1843: n° 272
    - titolo della chiesa e del luogo: Ancajano, S. Bartolommeo (Cura)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 328, abitanti anno 1833: n° 406, abitanti anno 1840: n° 426, abitanti anno 1843: n° 434

    Nome della Pieve: Pieve di Chiusdino

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Michele (Pieve Prepositura), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 587, abitanti anno 1833: n° 889, abitanti anno 1840: n° 903, abitanti anno 1843: n° 961
    - titolo della chiesa e del luogo: Castelletto Mascagni, S. Lorenzo (Cura), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 120, abitanti anno 1833: n° 375, abitanti anno 1840: n° 383, abitanti anno 1843: n° 358

    Nome della Pieve: Pieve di Monti e Malcavolo in Frosini

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 403, abitanti anno 1833: n° 637, abitanti anno 1840: n° 417, abitanti anno 1843: n° 386
    - titolo della chiesa e del luogo: Monte Siepi, S. Galgano a S. Galgano (Rettoria); abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 236, abitanti anno 1840: n° 274, abitanti anno 1843: n° 256
    - titolo
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    della chiesa e del luogo: Tonni, S. Bartolommeo, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 85, abitanti anno 1833: n° 148, abitanti anno 1840: n° 152, abitanti anno 1843: n° 136

    Nome della Pieve: Pieve di Ciciano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 160, abitanti anno 1833: n° 378, abitanti anno 1840: n° 350, abitanti anno 1843: n° 334

    Nome della Pieve: Pieve di Luriano

    - titolo della chiesa e del luogo: Luriano (Pieve con varj annessi), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 168, abitanti anno 1833: n° 245, abitanti anno 1840: n° 315, abitanti anno 1843: n° 280

    Nome della Pieve: Pieve di Monticiano

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Giusto e Clemente (Arcipretura), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 495, abitanti anno 1833: n° 1031, abitanti anno 1840: n° 1057, abitanti anno 1843: n° 996

    Nome della Pieve: Pieve di Tocchi

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria Assunta (Pieve), abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 101, abitanti anno 1833: n° 157, abitanti anno 1840: n° 165, abitanti anno 1843: n° 148

    SESTO VI. DI VAL DI STROVE

    Nome della Pieve: Pieve di Castello con Galognano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Giovanni Battista (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° 39, abitanti anno 1745: n° 202, abitanti anno 1833: n° 186, abitanti anno 1840: n° 181, abitanti anno 1843: n° 190

    Nome della Pieve: Pieve di Staggia

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° 465, abitanti anno 1745: n° 375, abitanti anno 1833: n° 633, abitanti anno 1840: n° 672, abitanti anno 1843: n° 689

    Nome della Pieve: Pieve dell’Abbadia a
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    Isola

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Salvatore e S. Cirillo (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 322, abitanti anno 1833: n° 314, abitanti anno 1840: n° 338, abitanti anno 1843: n° 313
    - titolo della chiesa e del luogo: Strofe, S. Martino*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 206, abitanti anno 1833: n° 323, abitanti anno 1840: n° 309, abitanti anno 1843: n° 320

    Nome della Pieve: Pieve di Val di Strofe o a Scorgiano

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Flora (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° 339, abitanti anno 1833: n° 403, abitanti anno 1840: n° 330, abitanti anno 1843: n° 331
    - titolo della chiesa e del luogo: Scarna, S. Andrea (ora in Onci)*; abitanti anno 1551: n° 146, abitanti anno 1745: n° 378, abitanti anno 1833: n° 315, abitanti anno 1840: n° 298, abitanti anno 1843: n° 309
    - titolo della chiesa e del luogo: Lano e Corti, SS. Martino e Lorenzo*; abitanti anno 1551: n° 157, abitanti anno 1745: n° 95, abitanti anno 1833: n° 119, abitanti anno 1840: n° 131, abitanti anno 1843: n° 106
    - titolo della chiesa e del luogo: Mensanello, S. Maria*; abitanti anno 1551: n° 125, abitanti anno 1745: n° 87, abitanti anno 1833: n° 181, abitanti anno 1840: n° 186, abitanti anno 1843: n° 163
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Antonio del Bosco*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 455, abitanti anno 1840: n° 478, abitanti anno 1843: n° 473

    Nome della Pieve: Pievi Nullius di Colle e di S. Faustino a Elsa

    - titolo della chiesa e del luogo: SS. Giovanni e Faustino a Elsa in S. Maria a Conèo (già Badia ed ora Pieve)*, abitanti anno 1551: n°
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    83, abitanti anno 1745: n° 214, abitanti anno 1833: n° 143, abitanti anno 1840: n° 139, abitanti anno 1843: n° 135
    - titolo della chiesa e del luogo: Campiglia, S. Bartolommeo*; abitanti anno 1551: n° 154, abitanti anno 1745: n° 183, abitanti anno 1833: n° 243, abitanti anno 1840: n° 261, abitanti anno 1843: n° 265
    - titolo della chiesa e del luogo: Borgatello, S. Michele (con due annessi)*; abitanti anno 1551: n° 270, abitanti anno 1745: n° 229, abitanti anno 1833: n° 306, abitanti anno 1840: n° 308, abitanti anno 1843: n° 319
    - titolo della chiesa e del luogo: Colle Basso, S. Jacopo (con varj annessi)*; abitanti anno 1551: n° 624, abitanti anno 1745: n° 541, abitanti anno 1833: n° 672, abitanti anno 1840: n° 650, abitanti anno 1843: n° 666
    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria alla Canonica (già in Castel dell’Abate a Colle)*; abitanti anno 1551: n° 104, abitanti anno 1745: n° 197, abitanti anno 1833: n° 288, abitanti anno 1840: n° 321, abitanti anno 1843: n° 277

    Nome della Pieve: Pieve della Badia a Spugna

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Maria (Pieve)*, abitanti anno 1551: n° -, abitanti anno 1745: n° -, abitanti anno 1833: n° 312, abitanti anno 1840: n° 363, abitanti anno 1843: n° 388
    - titolo della chiesa e del luogo: Quartaja e Partena, SS. Jacopo e Filippo*, abitanti anno 1551: n° 147, abitanti anno 1745: n° 164, abitanti anno 1833: n° 291, abitanti anno 1840: n° 275, abitanti anno 1843: n° 228

    CATTEDRALE DI COLLE

    - titolo della chiesa e del luogo: S. Marziale a Elsa (Cattedrale con due cure succursali)*, abitanti anno 1551: n° 2607, abitanti anno 1745: n° 1402, abitanti anno 1833: n° 1589, abitanti anno 1840: n° 2102, abitanti anno 1843: n° 2120
    - titolo della chiesa e del luogo: Streda, S. Andrea di Colle
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    o alle Grazie*; abitanti anno 1551: n° 51, abitanti anno 1745: n° 188, abitanti anno 1833: n° 208, abitanti anno 1840: n° 302, abitanti anno 1843: n° 315
    - titolo della chiesa e del luogo: Collalto e Paurano, SS. Anna e Biagio*; abitanti anno 1551: n° 200, abitanti anno 1745: n° 162, abitanti anno 1833: n° 237, abitanti anno 1840: n° 251, abitanti anno 1843: n° 244

    - TOTALE popolazione anno 1551: abitanti n° 49643
    - TOTALE popolazione anno 1745: abitanti n° 45792
    - TOTALE popolazione anno 1833: abitanti n° 74553
    - TOTALE popolazione anno 1840: abitanti n° 82013
    - TOTALE popolazione anno 1843: abitanti n° 82626

    (A) N.B. Tutte le chiese parrocchiali contrassegnate da un asterisco * appartengono attualmente alla Diocesi di Colle. A quelle parrocchie comprese nello Stato nuovo di Siena, per le ragioni dette altrove, manca la popolazione del 1551.

    VOLTERRA città. Al suo luogo si corregga (VOLUME V. pag. 818) che il deposito dell’ arcivescovo Gaetano Incontri fu eretto a spese del clero volterrano, e che il seminario di S. Andrea a Postierla (ivi pag. 829) fu ridotto a convitto nel 1789, dove ora si trovano circa 60 convittori.
    Infine si aggiunga. – Nel 1833 la Comunità di Volterra contava 10207 Abitanti e nel 1845 aveva 11491 individui; cioè:

    S. Alessandro, Abitanti N .° 635
    Badia di S. Giusto, Abitanti N .° 235
    Buriano ( porzione ), Abitanti N .° 154
    S. Cipriano, Abitanti N .° 466
    S. Girolamo ( extra moenia ), Abitanti N .° 412
    SS. Giusto e Clemente ( extra moenia ), Abitanti N .° 1034
    Mazzolla, Abitanti N .° 374
    Nera (Pieve) ( porzione ), Abitanti N .° 229
    Pignano ( porzione ), Abitanti N .° 211
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    /> Ponzano, Abitanti N .° 172
    Roncolla, Abitanti N .° 352
    Saline, Abitanti N .° 350
    Senzano ( porzione ), Abitanti N .° 70
    Spicchiamola, Abitanti N .° 279
    Ulignano, Abitanti N .°  190
    Villamagna (Pieve), Abitanti N .° 611
    VOLTERRA (Cattedrale), Abitanti N .° 2437
    Idem (S. Michele), Abitanti N .° 1445
    Idem (S. Pietro in S. Agostino), Abitanti N .°  1557

    Annessi

    Monte Catini di Cecina; dalla comunità di Monte Catini , Abitanti N .° 77
    Orciatico; da quelle di Lajatico , Abitanti N .° 201
    TOTALE Abitanti N˚ 11491


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di
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    Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l’amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.

    ZECCHE DIVERSE della Toscana. – Le Zecche più antiche della Toscana sono quelle di Lucca, di Pisa e di Firenze. Le prime due incominciarono a coniare lire, soldi e denari di argento e di oro fino dai tempi Longobardi, quella però di Firenze fu posteriore allo stabilimento della sua repubblica. Ignazio Orsini, per lasciare di tanti altri scrittori, ha occupato un intiero libro per riportare i vari conj col nome de' zecchieri sotto la repubblica fiorentina, a partire dal
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    1252, epoca in cui Firenze cominciò a battere la buona moneta del fiorino d’ oro. Infatti debbesi ai Fiorentini la gloria di essere stati i primi a ristabilire in Italia il conio delle monete pure di oro abbandonato per lungo tempo dalle altre città. Di epoca quasi contemporanea, ma sul declinare del secolo XII sono le Zecche delle città di Siena, di Volterra e di Arezzo, cui succederono le lire Cortones.i Tratto con criterio delle prime il Sig. Giuseppe Porri in un bel Saggio sulla Zecca sanese pubblicato nel 1844; disertò sulle seconde il ch. Pagnini nella sua Opera della Decima, e discorsero della terza il Cav. Guazzesi e di recente il Dott. Antonio Fabroni, mentre versò sulle monete di Cortona il cortonese Alticozzi in un capitolo della sua Lettera apologetica al libro dell’ antico Dominio del Vescovo di Areno in Cortona.
    Di breve durata fu la Zecca di Massa Marittima, e dubbie mi sembrano le monete attribuite alle città di Pistoja e di Chiusi.
    Le Zecche più recenti della Toscana sono quelle de' marchesi Malaspina di Fosdinovo e de' marchesi Cybo Malaspina di Massa di Carrara, la prima instituita o piuttosto ripristinata nel 1666, ed ora soppressa; la seconda aperta in Massa nel 1550, e tuttora esistente al pari di quelle di Lucca, di Firenze e di Pisa, l' ultima delle quali trovasi riunita alla Zecca di Firenze. Tutte le altre sono state da lunga mano inibite, oppure soppresse.
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Localizzazione
ID: 4453
N. scheda: 56460
Volume: 5; 6S
Pagina: 705, 799 - 835, 838 - 839; 277
Riferimenti: 19591
Toponimo IGM: Volterra
Comune: VOLTERRA
Provincia: PI
Quadrante IGM: 112-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1650560, 4807127
WGS 1984: 10.86016, 43.40348
UTM (32N): 650624, 4807302
Denominazione: Volterra - Vescovati della Toscana (Volterra) - Zecche Diverse (Volterra)
Popolo: S. Maria a Volterra
Piviere: S. Maria a Volterra
Comunità: Volterra
Giurisdizione: Volterra
Diocesi: Volterra
Compartimento: Firenze
Stato: Granducato di Toscana
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