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Dizionario Geografico Fisico
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Campiglia - Cave di Marmi

 

(Campiglia Marittima - Monte Campiglia Vecchia (a NE))

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    CAMPIGLIA (Campillia) di Maremma in Val di Cornia. Grossa terra murata, con antica rocca e prepositura, capoluogo di Comunità e di Cancelleria, residenza di un Regio Vicario, di un ingegnere di Circondario, nella Diocesi di Massa Marittima, Compartimento di Grosseto, testè di Pisa.
    Giace Campiglia circa 350 braccia sopra il livello del Mediterraneo, sul pendio occidentale del Monte
    Pilli che fa parte della giogana di quelli della Gherardesca, davanti alla Valle della Cornia e al mare di Populonia; le vestigia della qual città trovansi 7 miglia toscane a libeccio; nel grado 28° 16’ 6” di longitudine; 43’ 3’ 8” di latitudine, 10 miglia toscane a settentrione di Piombino, 44 a libeccio di Volterra per la strada rotabile del litorale rimontando la Cecina dal Fitto, 36 miglia toscane per le Valli superiori della Cornia e della stessa Cecina, 24 a ponente di Massa Marittima, 45 a maestro di Grosseto, 50 a ostro di Pisa.
    In quanto all’etimologia di Campiglia, ne sembra più naturale tenersi a quella che può aver suggerito la
    campestre riduzione del Monte di Pilli piuttosto che cangiare con Leandro Alberti il suo nome in Capilia, e convertirla in città abitata dai Pilii compagni di Nestore; etimologia strana al pari di un’altra messa in campo dal capriccio di chi ha immaginato ai nostri giorni che Campiglia fosse il Capitolia, o la rocca della perduta città di Vetulonia. (Viaggio Antiquario per la via Aurelia, Roma 1832)
    Questa Terra che è divenuta la più cospicua, la più animata, la più popolosa di tutta la Maremma Massetana, non era che un piccolo castello feudale, quando uno dei suoi signori, il conte Gherardo di altro Gherardo della Gherardesca, nel 1004 assegnò alla badia di Serena presso Chiusdino, fra
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    le molte sostanze, la metà di quanto aveva nel castello e corte di Campiglia, nella corte di Acquaviva e nel castello di Monte Calvo, (forse la rocca detta ora S. Silvestro).
    Alla quale donazione riferisce una rinunzia fatta, nel 22 gennajo 1158, dall’abate e monaci di Serena a favore di Villano Arcivescovo di Pisa, della metà di tutto ciò che la badia possedeva fra la Cecina e l’Ombrone, a condizione di difendere e cautelare l’altra metà, di cui i monaci medesimi si riservavano l’utile dominio.
    Un secondo individuo della stessa prosapia Gherardesca (il conte Ildebrando figlio di altro Ildebrando), nel 19 giugno 1139, aveva offerto pure alla mensa arcivescovile di Pisa la metà dei beni da esso posseduti nei distretti di
    Biserno, di Vignale, di Campiglia, di Monte S. Lorenzo, luoghi tutti sul confine del Campigliese. (MURAT. Ant. M. Aevi)
    Intorno a quell’età Campiglia accolse fra le sue mura il pontefice Innocenzo II con la sua corte e molti personaggi illustri, mentre dopo il concilio pisano ritornava a Viterbo per la consueta via delle Maremme; e fu presso Campiglia di dove esso spedì una bolla, 5 marzo 1138 (stile pisano) a favore della Primaziale di Pisa. (MATTHAEI,
    Hist. Eccl. Pis.)
    Fra i signori di Campiglia la storia ci ha tramandato il nome di un Uguccione, che fu del numero di quei piccoli dinasti e magnati pisani, i quali nel 1238, inviarono i loro rappresentanti a S. Maria in Monte per un trattato di concordia e di lega fra essi e alcuni popoli della Toscana.
    Successe ad Uguccione nella signoria di Campiglia Alberto di lui figliuolo, che fu pure pievano di quella chiesa, ed erede di
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    uno dei conti Alberti di Monte Rotondo. – Vedere MONTEROTONDO di Val di Cornia.
    Finalmente, nel 1274, una donna (Preziosa) dei Conti di Campiglia si maritò a Veltro dei nobili di Corvaja in Versilia (GUIDON. de CORVAR.
    Cron. Pis.)
    Per quanto i conti di Campiglia esercitassero nei primi secoli dopo il mille una padronanza feudale sopra il paese di cui si tratta, questi al pari di tutti gli altri castelli della Maremma Pisana dipendeva per l’alto dominio e giurisdizione politica dalla Repubblica di Pisa, dominio che fu ai Pisani convalidato mercè privilegi ottenuti da varii imperatori e rè, a cominciare da Federigo I sino a Carlo IV.
    Infatti i reggitori di quella Repubblica sino dal secolo XIII avevano decretato doversi tenere in Campiglia un capitano, un giudice e un notaro con un presidio nella rocca o castello, il quale sino d’allora portava il nome di
    palazzo.
    La qual rocca e palazzo esistenti tuttora nella parte più eminente del paese, caddero, insieme con Campiglia, in potere dei Fiorentini mediante il trattato del 1406 relativo alla prima resa di Pisa e del suo territorio.
    Da quell’epoca in poi i Campigliesi dipesero dal governo di Firenze, contuttoché essi per un momento nutrissero desiderio di reggersi a comune, e di emanciparsi dalla soggezione dei Fiorentini, allora quando (anno 1431) cacciarono la guarnigione dalle loro mura e dalla rocca per mal’accortezza del castellano. (BONINSEGNI,
    Stor. di Firenze.)
    Ma tanto Campiglia, quanto gli altri castelli del volterrano e pisano contado, i quali a detta epoca avevano aperto le porte all’oste milanese comandata dal Piccinino, dovettero ben presto ritornare sotto la Signoria di Firenze; la quale riguardava Campiglia, come una sentinella avanzata, e il punto più meridionale dei suoi dominii nella Maremma Pisana.
    Tentò bensì ogni maniera d’impadronirsi di Campiglia Alfonso di
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    Aragona re di Napoli, quando nel 1447 condusse il suo esercito dal Senese pel Volterrano ad investire questa Terra. Essa però fu dai Fiorentini e dai terrazzani sì bene difesa, che l’Aragonese dovette col suo esercito ritirarsi alle stanze d’inverno per tornare con più ardimento e forze maggiori a tentarne nuovamente l’impresa l’anno dopo.
    Ma la prudenza di Neri di Gino Capponi e di Bernardetto de’Medici Commissarj della Repubblica, e poi la strategica eccellente dei capitani dell’esercito fiorentino, sconcertarono il re Alfonso di sorta, che esso fu costretto levare l’esercito dal campo quasi che rotto, dopo aver lasciato nel piano della Caldana e di Piombino più che 2000 morti, mentre si recava dietro il restante delle truppe inferme.
    Un altro fatto di maggior momento, che fu il preludio dell’ultimo assedio di Pisa, seguì nei contorni di Campiglia nel 17 di agosto del 1505. Io parlo della completa vittoria riportata presso la Torre S. Vincenzo dall’esercito fiorentino capitanato da Ercole Bentivoglio contro le compagnie governate dall’ardito Bartolommeo d’Alviano, il quale tentava ogni mezzo per recarsi da Scarlino a Pisa.
    Chi conosce la topografia dei luoghi del Campigliese farà maggiormente plauso alla forbita quanto esatta descrizione che il Guicciardini ne diede di quella battaglia, e della tattica militare adoperata dal Bentivoglio, onde assalire, tagliare ogni via di salvezza e annichilire l’esercito di quel valoroso generale. (GUICCIARDINI, e AMMIR.
    Istor. Fior.)
    Ma il nemico più micidiale, il flagello più irreparabile fu il contagio che accompagnato dalla carestia disertò Campiglia nei secoli XVI e XVII. Quello comparso nel 1631 fu una vera peste bubbonica, la quale decimò la popolazione al segno che di 646 fu ridotta a 316 abitanti.
    Questa Terra ha due porte castellane e due porticciole. La porta settentrionale, ossia della rocca, ritiene il nome di
    Palazzo, dal sottoposto Pretorio, che
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    Palazzo appellossi sino dal 1284 negli statuti Pisani. La porta meridionale è detta della Chiesa, dalla vicina antica pieve di S. Giovanni. Le due porticciole sono aperte nell’opposta direzione; quella a ponente prende il nome da un profondissimo pozzo, che dicesi del Pozzo lungo, l’altra non ha che il generico di Porticciola.
    Fuori della porta meridionale è la più bella veduta e il passaggio pubblico dei Campigliesi. Ivi esiste l’antica chiesa di S. Giovanni, la quale per grandezza, nobiltà di disegno e per i marmi di cui và incrostata e adorna la sua facciata, non ha tampoco adesso dentro il paese alcun sacro edifizio che possa starle alla pari.
    È di un’architettura gotico-italiana, posteriore anzi chè anteriore al secolo XII.
    Per quanto non vi siano prove che bastino a decidere, pure non è improbabile che costà esistesse la primitiva pieve dei Campigliesi, alla quale voleva forse riferire la bolla diretta nel 1075 dal pontefice Gregorio VII a Guglielmo vescovo di Populonia, là dove si accenna la chiesa di
    S. Giovanni fra il vico Montanino e il Gualdo del Re. (CESARETTI, Mem. di Massa.)
    L’attuale pieve prepositura di S. Lorenzo, non ostante che sia stata nel secolo decorso restaurata, e di un elegante oratorio aumentata, nondimeno è già divenuta insufficiente ad accogliere l’aumentata popolazione, cui non resta spazio da occupare per mancanza di piazza.
    Uno stabilimento di beneficenza che fa decoro a questa Terra è il vasto e ben ventilato ospedale comunitativo situato presso la porta meridionale.
    Se alla nettezza, con cui si tiene questo asilo degl’infermi, corrispondesse quella delle vie tuttora mancanti di fogne e di cloache, non resterebbe ai Campigliesi a desiderare che una qualche piazza più aperta e più spaziosa corredata di pubblica fonte, tanto più che
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    la strada peggiore a scaglioni, per la quale si entrava dalla porta del Palazzo, è stata di recente migliorata.
    Comunità di Campiglia. – Occupa il suo territorio una superficie di (ERRATA: 43601) 33582 quadrati, dai quali sono da detrarre 504 quadrati per conto di strade pubbliche e corsi di acqua.
    Per modo che (
    ERRATA: restano miglia 53 e tre quinti) restano quasi miglia 41 e 1/3 di terreno soggetto alla prediale, con una popolazione fissa di 2141 abitanti, a ragione cioè di (ERRATA: di 40 individui) 52 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
    La figura corografica di questa Comunità presenta un pentagono, al quale si attacca dal lato australe nella direzione di levante un appezzamento rettangolare della lunghezza di circa miglia toscane 2 e 1/2 e della larghezza di un miglio o poco più.
    Termina a occidente con il littorale di Populonia in una linea di 6 miglia toscane, a partire dalla Torre Nuova sul corno occidentale del Porto Baratti sino alla bocca del fosso di Acquaviva, che è mezzo miglio a settentrione della Torre S. Vincenzo. Per la parte continentale Campiglia confina con tre sole Comunità.
    A settentrione ha di fronte per 4 in 5 miglia la Comunità della Gherardesca, quasi sempre mediante il botro d’Acquaviva che oltrepassa sul fianco occidentale di
    Monte Calvi alla linea di confine della Tenuta di Biserno, per dirigersi sulla sommità dello stesso monte al termine dove si toccano le tre Comunità di Campiglia, della Gherardesca e di Suvereto. Con quest’ultima quella di Campiglia, volgendosi da settentrione a levante scende per Monte Calvino e per Monte Pilli, che è un miglio toscano circa a oriente del paese, quindi si dirige nella pianura dopo aver tagliato la strada di Suvereto e di Massa, per poi
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    tragittare il fiume Cornia davanti alla via di Casalappi.
    Dopo un terzo di miglio varcato il fiume, il perimetro territoriale di Campiglia sporge fuori del suo pentagono per oltrepassare verso levante al di là dello scolo della
    Corniaccia sino al termine dei 4 confini del poggio della Selva nuova. Costà piegando a libeccio lascia dopo circa 6 miglia toscane la Comunità di Suvereto, e trova quella di Piombino al botro del Riferrajo. Mediante lo stesso botro ritorna nella Corniaccia un miglio e mezzo a ostro di Casalappi, presso la Casa al piano, sull’antica via Emilia, dove prende la direzione di libeccio sino al fosso di Cosimo o del Fitto. – Costà il territorio di Campiglia forma di fronte al padule di Piombino un angolo ottusissimo, il cui lato occidentale s’incammina rasente la Tenuta di Poggio all’Agnello verso ponente-maestro sino alla sponda australe del Lago di Rimigliano, dove ripiega ad angolo retto per dirigersi verso libeccio alla Torre Nuova sulla spiaggia del mare Toscano.
    Fra i corsi di acqua che attraversano la Comunità di Campiglia havvi il fiume Cornia, al cui alveo da tre anni fu cambiata direzione per introdurre le sue torbe a bonificare il padule di Piombino.
    Il fosso dell’
    Acquaviva, che nasce sul fianco occidentale di Monte Calvi, è il torrente più copioso e di maggior tragitto che rasenta il territorio in questione. Sono di minore importanza i botri di Marchella, e del Frassine, i quali scaturiscono nel poggio stesso di Campiglia: il primo dalla parte di levante scende nel fiume Cornia, l’altro a ponente spaglia nella palustre pianura alla spiaggia detta de’Cavalleggieri.
    Fra quest’ultimo e il fosso
    Acquaviva merita di essere avvertito il piccolo borro, conosciuto col nome
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    de’Prigioni, per rammentare alla posterità il luogo dove fu combattuto, nel 1505, e fatto prigione l’esercito dell’Alviano; siccome il nome conserva de’Cavalleggeri il vicino littorale, dove, racconta il Guicciardini «che dai cavalleggeri dei Fiorentini per la via della marina, delle genti d’arme per la strada maestra (l’Emilia) e dalla fanteria dal lato di sopra per lo bosco, con grand’impeto e senz’alcuna difficoltà l’oste medesima fu rotta, presa e svaligiata».
    Il lago di Rimigliano costituiva il maggior corpo di acqua proveniente dalle incrostanti sorgenti termali di Caldana, che il Gran Duca regnante ha fatto deviare da quel bacino mediante un nuovo emissario, aperto nel 1832, che le scarica nel mare. –
    Vedere LAGO di RIMIGLIANO.
    Fra le strade rotabili primeggia la Regia grossetana, o la nuova Emilia, la quale percorre per circa 9 miglia toscane sul territorio Campigliese, dove cavalca il fiume Cornia sul nuovo magnifico ponte di candido marmo Campigliese. – Staccasi dalla Regia grossetana la strada rotabile che nei contorni della Torre S. Vincenzo per il borro de’
    Marmi e di là per Fucinaja sale a Campiglia, dove pur guida altra strada carreggiabile che parte dalla Regia grossetana a Caldana. Presso a quest’ultimo luogo si riunisce alla nuova l’antica Emilia, e di costà si diramano le vie rotabili per Suvereto, per Massa Marittima, per Populonia e Piombino
    Un largo e rettilineo stradone percorre tutto il littorale Campigliese dalla
    Torre S. Vincenzo alla Torre Nuova, il quale prosegue per Piombino.
    Il poggio più cospicuo della Comunità è il
    Monte Calvi. Esso può dirsi lo sprone meridionale dei monti della Gherardesca. Sul risalto australe di Monte Calvi risiede la Terra di Campiglia, alla quale fanno corona, a maestro il monte S. Silvestro, a grecale Monte Calvino, a levante
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    (ERRATA: Monte Pilli) Monte Pitti, a ponente Monte Valeri, e a ostro la pittoresca e aperta collina della Magona, che stà a cavaliere della strada Regia e della Caldana, sopra la quale oggi figura un Imperiale e Regio riposo.
    L’indole del terreno, la varietà delle rocce e dei filoni metalliferi, che coprono e attraversano i monti summentovati, offrirono oggetto di studio a varj scienziati, fra i quali si è distinto il professor Paolo Savi, sia per la novità, sia per l’importanza delle osservazioni geognostiche da esso lui intraprese nell’anno 1829, e fatte tosto nel Nuovo Giornale Pisano di pubblico diritto.
    Il colle su cui riposa Campiglia è coperto da un’arenaria calcareo-micacea (macigno) in strati alternanti con lo schisto marnoso, cui sottentra dal lato meridionale un terreno terziario, mentre che dalla parte del monte lo stesso macigno a grado a grado cangia di struttura e di aspetto, sino a che si modifica in una calcarea cristallina-lamellare in molti luoghi candida al par di neve. La quale roccia varia nella tessitura, nella grandezza dei suoi cristalli, nella proporzione e numero dei suoi elementi, non che nella tinta, la quale si converte dal grigio al carnicino, al mischio vario-colore e al bianco traslucido.
    Nella gran massa marmorea costituente il Monte Calvi e tutti i poggi che lo avvicinano dal lato della Gherardesca, a partire dalla Madonna di
    Fucinaja, si trovano intersecate altre minori masse cristalline, disposte in filoni, talvolta in globi o nodi metalliferi di varia qualità. Tali sono le masse euritiche nel poggio S. Silvestro; la diorite porfiroide a Fucinaja; le sfere concentriche di anfibolo e d’jenite sotto le rovine della rocca S. Silvestro, alla cava detta del Piombo e alla buca dell’Aquila. I quali ultimi minerali alternano con zone di quarzo, che
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    hanno per nucleo dei solfuri di piombo, di zinco, di ferro e di rame: metalli tutti stati più di una volta oggetto di escavazione. – Vedere MINIERE della TOSCANA.
    Ma la più vistosa, e forse la più antica escavazione nei monti di Campiglia, è probabilmente quella del candido marmo lamellare che appartiene alla gran massa calcarea di Monte Calvi e di tutti quelli che costituiscono la piccola giogana della Gherardesca.
    Non fu il solo Cosimo I quello che fece aprire le cave del marmo Campigliese, mentre l’Opera di S. Maria del Fiore sino dal secolo XV di esso adoperò in tanta copia, che da Campiglia più che da Carrara si estrassero i marmi per incrostare le esterne pareti del tempio di Arnolfo, e per costruire la colossale pergamena sopra la maravigliosa cupola del Brunellesco.
    Il superbo ponte edificato nel 1832 sul fiume Cornia è tutto di marmo estratto dalle cave di Fucinaja, siccome lo sono le spallette di altri minori ponti, i colonnini lungo la nuova strada Regia grossetana, e le colonne migliari superstiti nell’antica via Maremmana o di Emilio Scauro.
    Tale per esempio è un cippo rimasto al luogo detto il Crocino in Val di Tora, e quello vicino al Malandrone in Val di Fine. Se simili colonne appartenessero a quelle che fece porre l’imperatore Antonino lungo la via Aurelia nel suo terzo consolato (anno 140 dell’Era Volgare), noi avremmo in esse un bel documento per assicurare, che a quell’epoca il marmo di Campiglia era conosciuto e adoperato dai Romani in lavori edificatorj. E se tanto fosse, chi non ardirebbe dubitare, che dagli stessi monti derivassero molte di quelle opere di scultura dagli antiquarj battezzate per marmo recato in Italia dalla Grecia?
    Infatti il
    Grechetto di grana grossa offre una tessitura lamellare e tali caratteri fisici, che lo assomigliano a
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    quello di Campiglia, quasi direi, come uovo a uovo.
    Nelle pendici occidentali del poggio di Campiglia alla calcarea semigranosa trovasi subalterna una roccia alluminifera, già scavata per averne allume, e abbandonata al principio del secolo XVI, atteso che il prodotto non rindennizzava delle spese.
    Lo stato agrario della Comunità di Campiglia va prosperando al pari della sua popolazione.
    Quale esso fosse nei secoli trapassati ce lo dissero gli storici, ogni volta che ebbero occasione di far cenno di questa contrada. Macchia continua e di rado interrotta da qualche campo di sementa, era tutto quel più che vegetava nei poggi e nel piano di Campiglia, allorquando vi accamparono gli eserciti di Alfonso di Aragona e della Repubblica Fiorentina. Il quale ultimo di vettovaglie si provvedeva con difficoltà dalle terre circostanti per esser rade e poco abitate, mentre questi e quelli pativano massimamente di vino, poiché in tale epoca non se ne raccoglieva, e l’acque erano cattive. (MACHIAVELLI, AMMIR.
    Istor. Fior.)
    Ora, colui che attraversasse il piano di Campiglia e le pendici del suo poggio, stupirebbe in vedere l’uno e le altre coperte di vigne, di oliveti e di ben coltivati campi mercè la vigilanza e intelligenza dei propietarj Campigliesi, persuasi dell’antico precetto di Columella:
    che chi ama la città non comperi poderi.
    Vedrebbe l’esteso ed ubertoso agro di Campiglia che fa corona a questa Terra, dal lato di scirocco fino a libeccio sementato a grano,
    mais, legumi con vaste campagne adorne di vigneti, disposti a filari appoggiati alle canne nel modo che si pratica dagli Elbani; sebbene alcune moderne piantagioni siano maritate ai loppi all’uso fiorentino; mentre sulle pendici dei colli intorno a Campiglia crescono e fruttificano numerose pinte di olivi ben custodite e governate.
    Tutti i quali prodotti superano di gran lunga il consumo della popolazione, essendochè una sola
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    delle molte fattorie dell’agro Campigliese non suole seminare meno di 4 in 500 sacca di granaglia.
    Così il vino e l’olio che avanza, suole spedirsi, come il frumento, comunemente per la via di mare a Livorno o a Pisa.
    È da ammirarsi, come queste estesissime coltivazioni vengano annualmente eseguite a proprio conto dai possidenti coll’opera dei giornalieri operai e di lavoranti avventizii, che costà si recano periodicamente da varie parti della Toscana e da altre più remote provincie. Molti nuovi poderi sono stati formati, ma pochi ridotti a mezzeria. Sia che lo stato economico e statistico di questa contrada non permetta ancora di eseguire ciò per ogni intorno e in maggiore estensione; o che il proprietario non sia totalmente persuaso del suo maggior tornaconto, stante che la produzione attualmente trovasi superiore al consumo; o che il basso prezzo delle derrate trattenga l’impulso di chi avrebbe intenzione di eseguire ciò, onde moltiplicare le varie raccolte, e rendere più deliziose quelle piagge; fatto stà, che molto terreno è abbandonato alla vegetazione naturale di piante silvestri e di spinosissime marruche.
    Anche dai boschi, i quali rivestono e adombrano tuttora una buona parte del territorio Campigliese, segnatamente dal lato occidentale, e verso settentrione, si ritrae copioso prodotto in carbone, in legna da ardere, in potassa, in scorza e in legname da costruzione; i quali generi condotti alla Torre S. Vincenzo, a Porto Baratti e a Piombino danno origine ad un traffico attivo per Livorno, Genova e Malta. – Anche le pasture sono di gran risorsa ai proprietari di quel suolo, atteso le
    fide di numerose greggi che dall’Appennino toscano e da quello di Parma e di Modena discendono in Maremma.
    Forse tornerebbe miglior conto, se, ad esempio di alcuni possidenti di pascoli, si associasse al semplice lucro delle
    fide quello di entrare a parte
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    della proprietà degli animali componenti le mandre, lo chè renderebbe più sicura la vendita delle pasture, e si potrebbero in tal guisa più facilmente sostituire alle indocili e dannose bestie vaganti, o brade, quelle domestiche. Una nuova industria per la classe indigente è quella di raccogliere la galluzza che si vende in varie parti della Toscana, le corbezzole per estrarne acquavite, le cantaridi, che in certi anni sogliono passare in gran sciami, e i prugnoli di cui abbonda il territorio di Campiglia e quello dei paesi limitrofi.
    Il clima di Campiglia è temperato nell’inverno, ventilato nell’estate, e per se stesso salubre in tutte le stagioni. Che se il suo vasto ospedale molte volte fra il luglio e il settembre si riempie di febbricitanti, questi per lo più acquistano il morbo maremmano nelle subiacenti pianure, dove il fomite della mal’aria che affligge un si bel cielo e tanta parte del littorale Toscano, va rintuzzandosi dalla potente mano di un benefico Principe, intento a preparare alle generazioni future una nuova e più felice Etruria marittima.
    Vi si fanno due fiere, che possono dirsi mercati di bestiami. La prima cade nei giorni 16 e 17 maggio sul prato della chiesa di S. Giovanni fuori di porta meridionale, l’altra (
    ERRATA: nei 27 e 28 di agosto) nei 26 e 27 di agosto nel piano di Caldana sulla strada Regia.
    La Comunità di Campiglia con Motuproprio del 25 dicembre 1833 fu staccata insieme con quelle di Piombino e di Suvereto dal Compartimento di Pisa per assegnarle al Compartimento di Grosseto.
    Esiste in Campiglia una Cancelleria di quarta classe, che serve ancora alle Comunità della Gherardesca, Sassetta e Suvereto. Vi risiede un ingegnere di Circondario, e un Regio Vicario di 5 classe. Quest’ultimo estende la giurisdizione civile alla Comunità di Suvereto e la criminale
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    anche alle Potesterie di Castagneto e di Monteverdi. Esso dipende nei rapporti di polizia dal Commissario Regio di Volterra, dov’è la Conservazione delle Ipoteche, mentre l’ufizio di Esazione del Registro è in Piombino, la Ruota in Pisa.
    La Comunità mantiene un medico, un chirurgo e due maestri di scuola.

    POPOLAZIONE della Comunità e Prepositura di CAMPIGLIA a tre epoche diverse.

    - nell’anno 1551, abitanti n° 887
    - nell’anno 1745,
    abitanti n° 773
    - nell’anno 1833,
    abitanti n° 2141

    CAMPIGLIA DI MAREMMA. – Si aggiunga. – La corte di Acquaviva, compresa nel territorio di Campiglia sino dal novembre del 1022 fu concessa al Monastero di S. Giustiniano di Falesia presso il Porto vecchio di Piombino dai sei figliuoli del conte Teudice della Gherardesca stati fondatori di quella Badia, cui in seguito (nel 1216) fu anche donato il padronato delle chiese di S. Giusto a Castagneto, e di S. Biagio a
    Campiglia con la metà delle corti e castelli (o case torrite) spettanti a quelle chiese. – Vedere PIOMBINO.
    Arroge inoltre che il conte Uguccione di Campiglia, nominalo all' anno 1238, oltre il figlio Alberto che succede a Uguccione pievano commendano di quella chiesa, ebbe altri tre figliuoli, siccome lo da a conoscere una membrana dell' archivio di Piombino, attualmente in quello delle Riformagioni di Firenze.
    È un contratto scritto lì 11 giugno del 1249 (
    stile comune) nella chiesa di S. Stasio (Anastasio) di Campiglia, col quale Bonifazio conte di Campiglia per sé e per i suoi fratelli, cioè, il conte Alberto (pievano) ed i CC. Guglielmo e Uguccione, vendé all'abate del Monastero di Falesia la metà indivisa di un predio con casa, mulino e sue appartenenze posto nel luogo detto tuttora Caldana, mediante il prezzo di lire 260
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    di denari pisani.
    Con altro contratto del 26 gennajo 1249 della stessa provenienza, rogalo in Campiglia, i conti Guiccionello, Sigerio e Gottifredo fratelli e Vignale figlio del fu conte Ubaldo di Campiglia venderono all'abate del monastero di Falesia per lire 103 pisane l'ottava parte dello stesso predio con casa e mulino posto nel luogo di
    Caldana nel Campigliese. Precede di sette giorni un terzo istrumento del 19 gennajo 1249., col quale donna Gadda vedova di Guido conte di Campiglia ed Jacopo suo figlio e mondualdo vendettero per lire 60 di denari pisani all'abate del Monastero di Falesia un' altra ottava parte di quel predio con casa e molino solito situato in Caldana. – (Arch. cit.)
    La cancelleria Comunitativa di Campiglia attualmente comprende le Comunità di Campiglia. di Monteverdi, della Sassetta di Suvereto, le quali Comunità tutte flettano adesso al Compartimento di Grosseto.
    Alla Comunità di Campiglia va rettificata l'estensione del suo territorio, che nel 1833 ascendeva a 33582 quadrati, dei quali 501 spettavano a corsi d'acqua ed a pubbliche strade: cosicché nella popolazione di 2141 persone, che allora vi erano, toccavano repartitamente 52 abitanti pei ogni miglio toscano quadrato di suolo imponibile.
    In conferma poi dei dubbj da me in quell’Articolo esternati io aggiungerò: che nei secoli romani si escavassero i marmi bianchi dai monti di Campiglia, lo dimostra anche un rapporto fatto dagli operai del Duomo di Firenze alla Signoria, scoperte dal fu dott. Gaye in una filza dell'Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore fra il 1425 ed il 1436, in cui fu letto; «Riferiscono i consoli dell'Arte della Lana, operai di S. Maria del Fiore,
    come anticamente in quel di Campiglia furono cavati marmi di diverse ragioni et fini et belli, et che ancora al dì d' oggi se ne potrebbe
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    cavare et avere qualunque quantità, et qualunque grande saldezza bisognasse, facendovisi un poco di spesa; imperocché essendo lunghissimo tempo che non vi si è cavato di tali marmi, essi sono nella superficie loro incotti per ghiacci et altri tempi contrarj, et bisognerebbe per giungere insino al marmo vivo et saldo levare quella superficie et portarla fuor dalla cava. – Rammentano ancora, che le spese del trasporto monterebbero ad un quarto della somma che costano i marmi di Carrara, ma farebbe di bisogno fortificare la Torre S. Vincenzio contro corsari e malfattori.» In seguito di cotesto rapporto nel 18 giugni del 1434 dal magistrato dell'Opera fu de liberato quanto appresso:
    18 Junii 1434;
    Camerarius Opere sol vere teneatur magistros qui ivervnt Campiliam ad faciendum exprimentum marmoris existentis in quibusdam CAVIS ANTIQUIS IBIDEM FACTIS TEMPORE STATUS POPULI ROMANI.
    Quindi soggiungeva il citato Gaye nella sua Opera Volume III del
    Carteggio inedito di Artisti, ecc., essere cosa probabilissima che molti lavori di marmo detti Grechetto sieno di un simile marmo toscano. In ogni caso cotesto documento, soggiunge Gaye, convalida l'opinione dal Repetti esposta nel Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana Volume I pag. 422. Nella stessa Opera l'A. medesimo riporta sotto il numero CCC (Volume II) una lettera di Francesco di Ser Jacopo provveditore di Castello al Duca Cosimo I scritta da Firenze li 27 ottobre del 1556, nella quale da la notizia al Duca delle cave di marmo di Campiglia, dov'era stato mandato un maestro (Michele) scarpellino, il quale riportò quattro saggi diversi di marmi buonissimi, esaminali anche dallo scalpello dell'Ammannato, che gli pajono miracolosi, e ne ha scelto una cava, soggiunge la lettera, che quando paresse a V. E. I. di presente farne cavare quattro pezzi per quattro statue gli mancano
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    alla Fontana, egli con riverenza lo ricorda. Et avendo a cavare bisogneria mandare uomini di qua, che si troverebbero ferramenti, cioè, con mazze, scarpelli e mazzuoli; de' quali parte ne porterebbero con loro et parte se ne potrebbe far fare là. Dice inoltre esso Michele che mancherebbe un carro per condurre alla marina tali marmi da cavarsi ecc.»
    Cosimo I rispose alla stessa lettera, da Firenze 29 ottobre 1556:
    Che si mettino in ordine i ferramenti, si faccia il carro, cavinsi le statue, et si dia ordine a quanto si contiene nel vostro primo capitolo (ivi N.° CCCI).
    Che però innanzi il 1556 il Duca Cosimo si fosse recato a Campiglia per visitare le nuove miniere del Piombo presso la rocca di S. Silvestro a Fucinaja chiaro apparisce dalla stessa lettera di Francesco di Ser Jacopo a Cosimo I nella quale si dice: che il prefato Michele (scarpellino) ha portato seco un saggio di miniera, quale si manda a V. E. I. in un involto, conia polizza dentro che avvisa, essere cavalo quel saggio dalla cava dreto alla torre a S. Silvestro, nel poggio dove V. E. I. vide principiato, che oggi tono più sotto dieci braccia incirca ecc. Bensì Cosimo I tornò a Campiglia a visitare le cave delle miniere di piombo, e quelle di marmo, siccome risulta chiaro da una sua lettera diretta da Campiglia lì 15 febbrajo 1561 (stile comune) Bartolommeo Ammannato (GAYE Oper. cit. Volume III.) – Infine – Nel 1833 la Comunità di Campiglia contava 2141 Abitanti, e nell' anno 1845 ne aveva senza i militari 3057.
Localizzazione
ID: 785
N. scheda: 9660
Volume: 1; 6S
Pagina: 418 - 423; 41 - 43
Riferimenti: 660, 53410
Toponimo IGM: Campiglia Marittima - Monte Campiglia Vecchia (a NE)
Comune: CAMPIGLIA MARITTIMA
Provincia: LI
Quadrante IGM: 119-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1631739, 4768770
WGS 1984: 10.61866, 43.06176
UTM (32N): 631803, 4768944
Denominazione: Campiglia - Cave di Marmi
Popolo: S. Lorenzo a Campiglia
Piviere: S. Lorenzo a Campiglia
Comunità: Campiglia
Giurisdizione: Campiglia
Diocesi: Massa Marittima
Compartimento: (Pisa) Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
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