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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Camporaghena - Alpe di Camporaghena - Appennino Toscano - Anido

 

(Camporaghena - I Groppi di Camporaghena (a NE) - Monte Alto (a NE))

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    CAMPORAGHENA. Casale che ha dato il nome alla parrocchia de’SS. Pietro e Paolo a Camporaghena sul monte omonimo in Val di Magra, nell’antico plebanato di Crespiano, Comunità Giurisdizione e 7 miglia toscane a settentrione di Fivizzano.
    Risiede un miglio sotto il giogo della montagna fra selve e pascoli odorosissimi, irrigati dalle limpide sorgenti della fiumana Tavarone.
    La parrocchia de’SS. Pietro e Paolo a Camporaghena conta 238 abitanti.

    CAMPORAGHENA (ALPE DI) in Val di Magra. È la montagna più alta spettante alla catena centrale dell’Appennino Toscano, la cui elevatezza assoluta ha dato al chiaro astronomo Inghirami braccia 3424,7 sopra il livello del Mediterraneo, equivalenti a 6153 piedi francesi.
    La sua giogaia collegasi a levante-scirocco con l’Alpe di Mommio, a ponente-maestro con quella di Mont’Orsajo. Essa serve di limite dal lato settentrionale alla Comunità di Fivizzano con quella di Castelnuovo de’Monti, e divide la Toscana (
    ERRATA: dal Ducato di Reggio) dai Ducati di Reggio e di Parma.
    Hanno origine nel suo dorso i fiumi Enza e Secchia, mentre dal lato che acquapende nella Magra nascono il Tavarone e il Rosaro.
    Dall’Alpe di Camporaghena, e da quella contigua di Mommio, si diramano in Val di Magra vari contrafforti, i quali estendonsi sino all’alveo dell’Aulella, dove si annestano alli sproni settentrionali dell’Alpe Apuana, e insieme con essi costituiscono i distretti territoriali di Fivizzano e di Casola.
    La pendice meridionale di questa montagna è assai più erta e declive di quello che lo sia nella sua schiena: essendo che da quest’ultimo lati si distende con dolce pendìo verso la Lombardia.
    La neve che nell’inverno cuopre la cima di Camporaghena, sparisce per ordinario nel mese di aprile, ed è raro che rimanga per tutta l’estate in alcuna delle più riposte gole.
    Nell’avvallamento, ossia foce che schiudesi fra il monte di Mommio e quello di Camporaghena, e precisamente fra il poggio di
    Sassalbo
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    e il monte Forame, dove scaturisce il Rosaro, passa la nuova strada militare, il cui poggio è a 2429,2 braccia secondo la misura data dal professor Inghirami, e a 2367,4 presa al varco sull’impiantito della strada.
    È una montagna importante per la storia naturale, sia in riguardo alle sue produzioni vegetabili alpine, sia rapporto alla distribuzione e qualità delle varie rocce e filoni metalliferi di quel terreno. –
    Vedere FIVIZZANO Comunità.

    APPENNINO TOSCANO. Innanzi di descrivere la lunghezza, andamento e struttura della catena montuosa che alla Toscana fa spalliera, bisognerebbe che i geografi una volta per sempre si accordassero fra loro per determinare il confine e designare i punti normali dove comincia e dove termina la giogana spettante alla Toscana regione.
    Avvegnachè gli antichi scrittori trovansi fra loro discordi non tanto su questo rapporto, quanto lo sono eziandio sul confine fra l’Alpe e l’Appennino. Alcuni di loro invece di fare partire l’Appennino dalle Alpi marittime di Nizza e della Provenza, ne fissano il punto di distacco fra Genova e Savona, mentre altri, come Vitruvio, Pomponio Mela e Boccaccia lo incominciano a segnare dai monti di Val di Magra; cioè nell’estrema regione occidentale dell’Etruria.
    Ad ogni evento ho dovuto dal canto mio prendere un partito, ed ho già dichiarato nell’Avvertimento posto in fronte al presente Opera, quali ragioni mi determinavano a comprendere nella Toscana occidentale tutta la Val di Magra, mentre per il lato opposto fu duopo oltrepassare gli antichi confini scendendo la schiena dell’Appennino fino al di là delle sorgenti del Tevere.
    Per tali riflessi io segno l’Appennino Toscano dal crine del monte Gottaro e dalle sorgenti del fiume Vara che è tributario il più occidentale della Magra, proseguendo la giogana sino all’Alpe della Luna, là dove ha origine il fiume Metauro che è il punto più
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    orientale del Gran Ducato. La qual sezione dell’Appennino per una spina più o meno tortuosa da maestro a levante corre una estensione di suolo che oltrepassa 170 miglia toscane, e la di cui posizione geografica trovasi fra i gradi 27° 22’ e 29° 52’ di longitudine e fra i gradi 43° 37’ e 44° 28’ di latitudine.
    – La sua criniera serve geograficamente di confine naturale, dal lato di settentrione fra la Toscana e la Lombardia, e fra quella stessa regione la Romagna e la provincia di Urbino dal lato di grecale. L’altezza maggiore dell’Appennino toscano supera di poco le mille tese, giacchè la cima del Cimone che è il più elevato di tutta la giogana settentrionale appartiene all’opposto dorso dell’Appennino pistojese nella regione lombarda del ducato di Modena.
    Le principali e più eminenti punte spettanti alla spina dell’Appennino toscano, tra quelle di cui è nota l’altezza, sono l’appresso notate, disposte per ordine della loro elevatezza con indicazione della più vicina Comunità.

    Gioghi e Cime dell'Appennino e loro Altezze sopra il livello del mare.

    Camporanghena
    , a Fivizzano: braccia fiorentine 3424,7
    Corno delle Scale, a S. Marcello: braccia fiorentine 3322,5
    Libro aperto o Boscolungo, a Cutigliano: braccia fiorentine 3308,8
    Lago Scaffajolo, a S. Marcello: braccia fiorentine 3166,9
    Mont'Orsajo, a Bagnone: braccia fiorentine 3166,2
    Falterona, a Stia: braccia fiorentine 2825,4
    M. Molinatico, a Pontremoli: braccia fiorentine 2651,3
    (
    ERRATA: Varco della strada Militare) Sommità del Monte al Varco della strada Militare sopra Fivizzano: braccia fiorentine 2429,2
    Varco della strada: braccia fiorentine 2367,37
    Capo d'Arno, a Stia: braccia fiorentine 2320,3
    Alpe della Luna, alla Badia Tedalda: braccia fiorentine 2314
    Sasso di Castro, a Firenzuola: braccia fiorentine 2156,9
    M. Foresto, a Chiusi Casentinese: braccia fiorentine 2139,3
    M. Beni,
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    a Firenzuola: braccia fiorentine 2104,3
    M. Comero, a Bagno di Romagna: braccia fiorentine 2069,1
    M. Carzolano, a Palazzuolo: braccia fiorentine 2012,4
    M. Rotondo, a Zeri in Val di Magra: braccia fiorentine 1984,7
    M. Castel Guerrino, a Firenzuola: braccia fiorentine 1911,8
    Varco della Cisa sopra Pontremoli: braccia fiorentine 1783,3
    Varco della Futa, a Firenzuola: braccia fiorentine 1560,3

    Fisica struttura dell’Appennino. – dalla giogana dell’Appennino donde si separano le acque che finiscono nei due mari, tanto a destra che a sinistra divergono con vario andamento molti contrafforti o ramificazioni, talune delle quali si estendono dal lato della Toscana sino alla spiaggia mediterraneo, e circoscrivono nel loro andamento le Valli della Magra, del Serchio, dell’Arno, della Cecina, dell’Ombrone e quella superiore del Tevere, oltre le vallecole tributarie e quelle che per corto cammino inviano le loro acque direttamente al mare.
    Ben è vero però che non tutte le ondulazioni montuose, dalle quali è coperta la massima parte del continente toscano, appartengono a un’istessa formazione geologica né sempre si collegano immediatamente alla catena centrale dell’
    Italia che Appennin parte in tutta la sua lunghezza.
    Inperocchè, se la giogaia che serve di spina all’Appennino toscano può dirsi quasi uniforme nella sua formazione e nella qualità delle rocce appartenenti per la massima parte ad un terreno di sedimento, inferiore o medio, (il calcareo stratiforme compatto, schisto marnoso, macigno o grés di più varietà) altrettanto diversificano dalla giogana dello stesso Appennino, nell’andamento nella forma e nella qualità delle rocce quei monti che, quasi indipendenti dalla catena superiore, sorgono interrottamente fra i terreni di sedimento inferiore e marino in una direzione da ponente a scirocco, a partire dall’Alpe Apuana sino al promontorio Argentaro. Tali sono i gruppi dell’Alpe suddetta, del Monte Pisano, di quelli di Val di Sterza o della
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    Gherardesca di Campiglia, di Massa marittima, di Pontieri, di Rocca-strada e di Orbetello. A questo sistema si riattaccano a levante i terreni dei vulcani spenti lungo il fiume Fiora, le trachiti del Montamiata e le lave di Radicofani, mentre a ostro si affacciano in mezzo al mare le masse granitiche e serpentinose delle Isole del Giglio e dell’Elba.
    Donde consegue che molte valli della Toscana veggonsi fiancheggiate da due fila di monti di origine diversa: dai sproni cioè che si appoggiano e formano parte immediata della giogana centrale e stratiforme dell’Appennino mentre l’altra fila appartiene ai terreni cristallini e in massa dei gruppi montuosi sopra descritti. La mole gigantesca e più sviluppata di quest’ultimo sistema di monti è quella dell’Alpe Apuana, la di cui più elevata cresta, quella cioè del monte Pisanino, è 3503 braccia sopra il livello del Mediterraneo. –
    Vedere ALPE APUANA.
    Avvi fra le due linee designate un terzo sistema spettante al terreno superiore marino, dal quale trovasi ricoperto il maggior numero di poggi e di colline subappennine, che in molti luoghi si appoggiano e talvolta ricuoprono i fianchi dei monti appartenenti a uno dei due sistemi annunciati. Questo terzo terreno marino costituisce una zona intermedia fra la giogana centrale e i gruppi montuosi del littorale, a partire dalle sorgenti dell’Arbia e dell’Ombrone senese sino a Chiusi e alla base del Montamiata: mentre da Siena rivolgendosi alle fonti dell’Elsa e dell’Era ricopre entrambe le valli sino alla ripa destra del Val d’Arno inferiore, e di là per le colline Pisane sino al mare.
    Io dissi che la struttura e indole dei terreni che costituiscono la catena centrale dell’Appennino appartengono per la maggior parte a rocce sedimentarie e stratiformi; avvegnachè si trovano talvolta anche costà penetrati dei filoni di rocce cristalline e in massa di natura molto analoga a
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    quella dei terreni che predominano nei monti del littorale, e nell’arcipelago toscano.
    Tali sono le masse di gabbro e di serpentina della
    Rocchetta in Val di Vara, quella della stessa specie che si affaccia sul monte Gottaro nella Gordana di Pontremoli, e né monti Livornesi fra la valle Benedetta e il villaggio di Gabbro; le rocce serpentinose al Monte Ferrato e a Cerreto in Val di Bisenzio, all’Impruneta sopra Firenze, al Sasso di Castro, a Monte Beni e alla Maltesca nell’Appennino di Pietramala; a Monte Calvo e ad Erbaja sotto il giogo di Scarperia, ec. Ma il più potente e più esteso filone di simili rocce massive, iniettato fra mezzo alle stratiformi dell’Appennino centrale, si è quello che resta in direzione da libeccio a grecale (direzione comune ad altri filoni di specie siffatta), che si insinuò fra’monti dai quali schiudesi la valle superiore del Tevere, e corre dalla base di Montauto sino a Viamaggio sul dorso settentrionale dell’Alpe della Luna.
    Siffatte rocce racchiudono bene spesso nodi e vene metalliche del genere delle piriti, specialmente di ferro, di rame, di piombo argentifero, di ferro ossidulato, oligisto, carbonato, ec. Le quali sostanze potrebbero fornire (dove ancora nol facciano) un ramo importante d’industria e di ricchezza mineralogica.
    Cave e miniere. – Non esistono marmi di calcareo saccaroide o granoso nella linea interna dell’Appennino. Due cave abbondantissime di gesso trovansi fra i terreni di sedimento inferiore a Sassalbo nell’Alpe di Camporaghena in Val di Magra, e nell’Appennino di Corfino in Val di Serchio. – Mancano nella catena centrale miniere, se non si volessero contare per tale i deboli tentativi fatti a Piteglio in Val di
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    Lima onde scavare l’argento a Montauto in Val Tiberina per avere il rame, e in pochi altri luoghi di minore entità.
    Al contrario doviziosissimi di vene metalliche e di marmi sono i gruppi montuosi che corrono fra il littorale e la catena superiore dell’Appennino, o che si affacciano in mezzo al mare. Noti da lunga età sono i marmi Lunensi, quelli di Campiglia e del Monte Pisano, di Caldana, della Montagnuola di Siena ec.; mentre celebravansi in tempi anche più remoti le inesauribili miniere di ferro dell’Isola dell’Elba, del Campigliese ec., quelle di piombo e di argento della Versiglia, di Montieri e di Massa marittima e di Batignano ec.; le miniere di rame nel Massetano, di Val di Cecina e di Val di Merse, ec. L’Appennino centrale non è molto ricco di acque minerali, se si eccettuino quelle che emergono alla sua base a contatto di terreni non conformi a quelli delle sue rocce predominanti. – V
    edere ACQUE MINERALI. Altronde copiose di acque termali, di sostanze saline, solforose e gasose, sono le colline subappennine coperte di marne conchigliari, e i gruppi dei monti cristallini. L’esterna ossatura delle branche che spinge l’Appennino dal lato dell’Adriatico consiste a preferenza di argilla fissile, di gres calcareo micaceo a strati inclinatissimi, e di rado interrotti dal calcareo appenninico. Le quali rocce vanno gradatamente modificandosi in marna e in argilla cerulea, a proporzione che i monti s’abbassano e s’accostano alla pianura. Le diramazione dell’Appennino che guardano il Mediterraneo sono generalmente composte di calcareo stratiforme color grigio o azzurrognolo retato da vene spatiche; la qual roccia alterna, ma più spesso è ricoperta dall’arenaria micacea, o macigno, e dallo schisto calcareo marnoso, detto fra noi galestro. I luoghi più depressi lungo le valli non di rado sono coperti da profondi banchi di
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    ciottoli e di ghiaja, e da selve di piante monocotiledoni, convertite in antracite o lignite.
    Quest’ultimo fenomeno si affaccia più frequentemente alla base de’monti traversati o coperti da rocce massicce e cristallizzate; e più che altrove negli estremi lembi occidentali e orientali dell’Alpe Apuana, cioè, a Caniparola e presso Castelnuovo di Garfagnana; alle spalle dei monti della Gherardesca, a Sasso Fortino presso le masse serpentinose di Rocca Tederighi ec.
    Se a tale fenomeno si aggiunge quello delle sostanze fossili abbondanti nei terreni, intorno ai quali emersero i monti massivi costituenti la catena subalterna fra l’Appennino e il Mediterraneo; se si vuole calcolare che, sopra questi monti si trovano impronte di conchiglie, i di cui molluschi vivono tuttora nei nostri mari, non sarà fuori di ragione il dedurre da tutto ciò che, i gruppi dei monti massivi, o filoni dello stesso genere, che trovansi penetrati fra i terreni stratiformi della Toscana, emergessero dalle viscere del suolo dopo che una parte dell’antico letto del mare erasi sollevata dalle acque, e quindi il terreno rimasto a secco, rivestito di selve e abitato da terrestri animali.
    Ma non è questo il luogo, né io debbo occuparmi di geologiche congetture, bastando al mio assunto un rapido cenno sulla fisica struttura de’gruppi montuosi che spettano al territorio Toscano.
    Fra i fenomeni naturali più rimarchevoli dei nostri monti, sono
    i fuochi gasosi nell’Appennino di Pietramala, i Lagoni o Fumacchi ricchi di acido borico in Val di Cecina e Val di Cornia, fra Massa e Volterra. – Vedere PIETRAMALA e LAGONI.
    Il dorso dell’Appennino, benchè di forma pianeggiante anzi che acuta, non presenta alcuna estesa dimensione che possa meritare il nome di
    pianoro, siccome scarsi di numero e di assai piccola estensione sono i laghetti che incontransi nel lato settentrionale di cotesta regione.
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    Là dove hanno umile principio alcuni fiumi di Lombardia trovasi sul monte Orsajo il lago Santo, da cui nasce il fiume Parma; sull’Alpe di Camporaghena, il lago verde e lago Squincio, donde ha il primo alimento il fiume Enza; nell’Alpe di Mommio il lago di Cerreto dell’Alpe da cui parte la Secchia, mentre nell’opposto lato il tortuoso laghetto del silvestre Rosaro dona le sue limpide vene insieme col nome al fiume di Fivizzano. Nella schiena dell’Alpe di Barga partono i primi rivi del fiume Scoltenna, da un piccolo lagoncello chiamato anch’esso Santo: e finalmente dal Corno alle Scale sotto al profondo lago Scafajolo filtrano i ruscelletti che fluiscono nel torrente Dardagna, tributario dello Scoltenna prenominato, e il torrente Volata tributario del fiume Lima.
    Sebbene la schiena dell’Appennino toscano possa dirsi quasi costantemente la linea di separazione delle acque, havvi però qualche caso costà, come nei Pirenei e in altre catene di monti, dove si veggono le sorgenti di un fiume, qual’è nel nostro caso il Reno di Bologna, partire dal fianco meridionale dell’Appennino di Pistoja, e farsi strada fra le gole de’monti più depressi sino all’opposta pendice.
    Quasi tutte le valli subalterne alla catena dell’Appennino, tanto dal lato della Toscana, quanto dal lato della Lombardia e di Romagna, corrono per lo più in una linea trasversale alla giogana, meno quelle superiori del Serchio, della Sieve, e del Santerno.
    Il Serchio sul fianco destro è incassato dall’Alpe Apuana; mentre la Sieve e il Santerno sono costretti a correre per lungo tratto fra la catena centrale e le ramificazioni che la fiancheggiano a destra in linea perpendicolare, poi parallela. Una di esse, che si prolunga sino alla Valle superiore dell’Arno, fra la città d’Arezzo e il Casentino, obbliga questo
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    ultimo fiume, dopo trenta miglia di cammino, a invergere il suo corso ripiegandosi ad angolo acuto in direzione quasi contraria al primo andamento.
    Le ramificazioni principali dell’Appennino toscano sono quelle che si staccano da Montepiano e dalla Falterona.
    La prima scende in linea perpendicolare fra la valle del Bisenzio e della Sieve sino a che per la Calvana, giunta a Monte Morello, corre alle spalle di Fiesole nella direzione di ponente a levante al luogo dove chiude dal lato destro la valle della Sieve, e quindi si abbassa presso alla foce dove questo fiume si scarica nell’Arno.
    Presso alla qual foce termina il così detto monte Fiesole, le di cui branche astrali varcato l’Arno si riattaccano a monte Scalari e a tutti quelli che separano la Valle di sopra a Firenze dal Chianti sino alle sorgenti dell’Ombrone senese.
    Ma il maggior gruppo, che io chiamerei il nodo centrale, si è quello a cui si collegano le varie ramificazioni dell’Appennino Casentinese sopra l’Eremo di Camaldoli al giogo denominato
    Bastione. Fra le sorgenti dell’Arno e del Bidente alzasi il poggio a Scali, dalla cui cima Ariosto vide i due mari, e più all’occidente il monte della Falterona che spinge i suoi rami in Val di Sieve, e per la Consuma, Vallombrosa e Pratomagno s’incontra sino quasi alle porte di Arezzo. All’opposto lato dalla cima del Trivio si stacca una raggiera di contrafforti diretta a ostro per l’Alvernia, l’Alpe di Catenaja e i monti Cortonesi, segregando le acque del Tevere da quelle dell’Arno e delle Chiane. Dallo stesso bastione del Trivio diramansi verso settentrione il Monte Comero, verso greco il Monte Coronaro e quello delle Balze, i quali di là per Monte Feltro, e l’Alpe della Luna si avanzano nei monti di Urbino
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    e nell’Appennino di Gubbio.
    Passaggi dell’Appennino. La sezione dell’Appennino toscano, il cui crine è fiancheggiato da contrafforti talvolta ad esso paralleli, offre generalmente i varchi e i punti di passaggio meno elevati che nel restante della giogana. È altresì vero che nel primo caso fa duopo attraversare più di un giogo innanzi di superare quello della catena centrale.
    Molti sono i punti di passaggio praticabili a cavallo in tutte le stagioni, eccettuati i giorni più rigidi dell’inverno a cagione della neve. A un numero più ristretto si limitano le strade regie, e le vie maestre rotabili esistenti, o che sono attualmente in costruzione.
    Tra i varchi più frequentati per le bestie da soma si contano: la strada dell’Alpe di San Pellegrino resa praticabile anche nell’inverno dagli spalatori delle nevi; la strada dal Saltello sopra Barga; il passo dell’Ospitaletto sopra Sillano che si riunisce alla via militare di Fivizzano presso Castelnuovo dei Monti:impraticabili entrambi nella stagione invernale; la via di Fanano che passa il giogo sopra Cutigliano a ponente del lago Scafajolo nell’Appennino pistojese; il varco della Sambuca lungo il Reno di Bologna; quello fra Montepiano e Barigazza nell’Appennino di Vernio; la strada antica del giogo di Scarperia nella Val di Sieve; la via Faentina o di Marradi, che attraversa il giogo di Casaglia alle sorgenti del Lamone; la strada Forlivese che sormonta l’Alpe di S. Godenzo per scendere a S. Benedetto lungo il Montone; la strada di Bagno in Romagna, che rimonta il torrente Corsalone nel Casentino fra Camaldoli e l’Alvernia; quella dell’Alvernia che passa il giogo del Bastione presso alle sorgenti del Savio, e le strade di Viamaggio e di Monte Casale che varcano l’Alpe della Luna per passare dalla Valle Tiberina in quelle della Marecchia e del Metauro. – Non dirò delle vie traverse di minore conto praticate dagli
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    Appenninigeni; su i quali varchi furono erette a soccorso dei pellegrini quelle tante ospitaliere stazioni, di cui si trovano memorie nelle carte del medio evo, e nella rimembranza di molti luoghi che tuttora conservano il nome di Spedale, Spedaletto, Spedalaccio, ec.
    Si contano fra le vie regie e rotabili, la strada della Cisa sopra Pontremoli; la nuova via militare che da Fivizzano passa l’Appennino al varco fra l’Alpe di Camporaghena e quella di Mommio, la strada Lucchese di Monte Fegatesi che sormonta il giogo detto delle Tre Potenze, e di là seguita il corso del fiume Scoltenna; la strada Modanese che da Pistoja sale a Bosco lungo; finalmente la grande strada postale da Firenze a Bologna, la quale passa l’Appennino alla Futa e alla Radicosa.
    Una nuova grandiosa strada carrozzabile sta ora costruendosi sull’Alpe di S. Godenzo e di S. Benedetto per condurre da Firenze a Forlì.
    I passi dell’Appennino toscano più celebri e più frequentati dagli antichi sono, quello della Cisa o di Pontremoli, la qual via nell’età di mezzo chiamavasi
    Francesca o Romea e che io ritengo potesse essere una continuazione della Via di Emilio Scauro (Vedere Antologia di Firenze Volume VIII anno 1822); la via che dalla Val di Sieve conduceva per lo Stale e Barigazza a Bologna, sulle tracce probabilmente della Via Cassia, dalla quale si distaccava l’altro tronco per dirigersi lungo il fiume Lamone nell’Emilia.
    In fatti in questi tre passaggi si trovano i punti più depressi della giogana Appenninica; essendochè il varco della
    Cisa sopra Pontremoli non supera le 1783 braccia, pari a tese 534, sopra il livello del mare; il passo dello Stale, oggi della Futa, non è più che a 1560 braccia, o 467
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    tese: e il varco della via Faentina nell’Appennino di Casaglia cinque braccia ancora più basso di quello della Futa.
    Vegetabili maggiori dell’Appennino – L’aspetto dell’Appennino in generale è monotono, eprivo di creste scoscese e prominenti guglie, di ghiacciaje naturali e di quelle profonde lame che rendono cotanto pittoresca l’Alpe Apuana, quale può dirsi una miniatura delle Alpi Elvetiche. Per pochi mesi dell’anno, e qualche volta per pochi giorni, si ferma stabilmente la neve nell’Appennino toscano, massimamente nella faccia meridionale. La sua giogana è rimasta in gran parte disadorna di quelle selve di faggi e di abeti che un dì la rivestono, e difendevano le sottoposte valli dalle tempestose bufere e dalle ruinose alluvioni.
    La giogana dell’Appennino che conserva tuttora in Toscana la sua criniera vestita di selve, può dirsi residuata a quella di Boscolungo nella montagna di Pistoja, di Castel Guerrino e Casaglia fra i fiumi Santerno e Lamone, oltre la macchia della Faggiola, dalla Falterona all’eremo di Camaldoli, che è la regina delle foreste appenniniche, la sede più costante e meglio regimentata delle grandiose abetine, lo spettacolo della vegetazione più rigogliosa e più imponente che offrir possano i monti toscani.
    Nella parte più elevata e meno impraticabile dell’Appennino esistono i migliori pascoli naturali, e molte piante officinali alpine barbicano fra i macigni. Il castagno è l’albero che più generalmente alligna a mezza costa della montagna e sui contrafforti che di là si distendono nelle valli. Esso è quello che fornisce col suo frutto quasi il giornaliero alimento a una gran parte dei suoi abitanti unitamente alle patate e alle poche granaglie che colà si raccolgono. I ramosi boschi delle querci, de’cerri e de’lecci che rivestivano le pendici meridionali dell’Appennino, oggi rari e mozzi appariscono nel già selvoso Mugello: in luogo dei quali subentrò il melo, il susino, il noce, e
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    sotto ad essi il pino, il cipresso, il gelso, l’olivo e la vite.
    La vigna però sembra che nei secoli trascorsi si coltivasse con più impegno che oggidì dagli Appenninigeni, sia nella provincia del Mugello, sia in quella del Casentino. E quel che è da notarsi, per ragione del clima si è, di trovare in molti luoghi la vite e anche l’ulivo, nei secoli intorno al mille, sull’Appennino della Garfagnana, in quello della Falterona e sotto Camaldoli, dove lo stato attuale dell’atmosfera non può più permettere a simili piante siffatto domicilio.
    Animali maggiori domestici, e salvatici dell’Appennino – Mancano né monti toscani quelle ricche praterie che adornano le valli delle Alpi, e rendono assai ubertosi i pascoli della Svizzera, e molto produttiva la loro pastorizia.
    Le piccole mandre che vivono in estate nei sterili sassosi prati che trovansi sul dorso e sui fianchi del nostro Appennino, vanno a refocillarsi in inverno nelle più pingui maremme.
    Pochissimi sono i pascoli artificiali recentemente praticati nell’Appennino del Mugello, dove con ottimo metodo vanno prosperando nuove cascine, il di cui frutto è già divenuto una delle migliori risorse dell’Appennino di Firenzuola e dello Stale.
    Fra gli animali domestici utili all’industria alpestre contansi in varie parti montuose gli animali neri e i copiosi pollai di tacchini. – A questi ultimi non che alle pecore spesse volte danno la caccia, e fanno la guerra le volpi, i lupi e le faine, mentre i castagni sono danneggiati dai scojattoli e dai ghiri.
    Gli orsi, che ebbero sede nella parte più alpestre, sono stati da gran tempo espulsi ed estinti nell’Appennino toscano, restandovi più libere le timide lepri, nel tempo che i cinghiali e caprioli vanno tuttora vagando nei boschi delle maremme.
    Fra gli uccelli di rapina si trovano stanziati nell’Appennino di Camporaghena e nell’Alpe Apuana l’aquila reale e il gracchio (
    Pyrrhocorax
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    Alpinus); e nelle altre parti della giogana i falchi, i corvi, gli sparvieri, i gufi, gli allocchi ec.
    Antichi popoli dell’Appennino toscano. – Mancano notizie e testimonianze di scrittori autorevoli per sapere quali furono i popoli aborigeni che occuparono la giogana dell’Appennino tra le sorgenti della Magra e quelle del Tevere; e sino a qual punto si estendesse costà la dimora degli Etruschi prima che vi si propagassero i Liguri con varie loro confederazioni, vinti poscia, ed espulsi di qua dall’armi romane. Imperocchè dalla nuda e passeggera esposizione di quanto ne scrissero Dionisio di Alicarnasso, Polibio, Tito Livio, Strabone, e per incidenza Cornelio Nepote e Cicerone, a stento si può arguire che i monti alla destra dell’Arno, dall’origine di questo fiume sino alla foce, erano abitati da’Liguri, coi quali confinavano sul dorso dell’Appennino di Romagna gli Umbri Sarsinati. Il paese degli Etruschi terminava, al dire di Strabone, a piè dell’Appennino in una regione bassa e campestre; siccome quello dei Galli Cispadani non s’innoltrava molto verso la schiena della catena, dove tenevano la loro sede varie razze Ligustiche o gli Umbri della Tribù Sapinia. – Consentaneo a tale divisamento mostrossi T. Livio in più occasioni, sia quando disse, che il pretore dell’Etruria P. Porcio Leca, nell’anno di Roma 559, conduceva le sue legioni a Pisa, «ut ab tergo Liguribus esset» (lib.XXXIII, 43); sia allorché avvertì (lib.XXXV), che il console L. Cornelio Merula, partendo da Roma, condusse l’esercito nel paese dei Boi, rasentando i confini estremi dei Liguri. Lo che giova eziandio a interpretare, per quali cause usasse tanta riserva il console Q. Minucio, allorché (anno di Roma 569), andando contro i Liguri che assediavano Pisa, si mosse da Arezzo in ordine di battaglia “inde quadrato agmine ad Pisas duxit.» (lib.XXXV, 2)
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    Per la stessa ragione Cicerone, parlando degli accampamenti di Catilina a Fiesole, li disse situati sul confine dell’Etruria «in Hetruriae faucibus collocata.» (Catilina 1.)
    Che se non lascia più dubbio il passaggio d’Annibale per il toscano Appennino, escluso quello del Lucchese e della Lunigiana: il primo perché Lucca era stata munita dal console Sempronio; il secondo perché Annibale avrebbe dovuto passare lungo il mare, che al dire di Polibio vide la prima volta sulle rive dell’Adriatico dopo la vittoria del Trasimeno; se dopo tutto ciò devesi convenire, che tale traversa non potè aver luogo altrove fuori che per la montagna di Pistoja o per l’Appennino del Mugello, è fuori di dubbio, volendo credere a Cornelio Nepote, che qua pure vi dominassero i Liguri «
    inde per Ligures Apenninum transiit petens Hetruriam» (Vit. Hannib. §. VI.)
    È noto che i popoli della Liguria, divisi fra molte associazioni o tribù, vivevano come gli antichi Germani per vici sparsi fra le rupi e nei luoghi di difficile accesso. Tali furono gli
    Apuani, i quali dai monti di Pontremoli si estendevano sino forse al paese de’Friniati. Questi dalla provincia detta tuttora del Frignano, e dalla destra del fiume Scoltenna sembra che signoreggiassero sino alle pendici meridionali dell’Appennino di Garfagnana e di Barga (MURAT. Ant. M. Aevi. Diss XXI). La quale razza di Liguri fu respinta dall’Appennino toscano dal console C. Flaminio, l’anno di Roma 563. (Liv. lib.XXXIX, 2.) – Diedero forse meno occasione di far dire di loro i Liguri Magelli, da cui molti riconoscono la derivazione della provincia chiamata poscia da Procopio Μουχιαλλιω, e quindi Mugello; se anche non volle riferire a questi Tito Livio al libro XXXIII, allorché il console L. Furio Purpureo condusse le sue legioni dalla Tribù
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    Sapinia nel paese dei Boi presso al castello Mutilo (forse Modigliana), di dove retrocedè per tema di esser messo in mezzo, da un lato dai Galli e dall’altro dai Liguri del vicino Appennino.
    In quanto all’epoche e governi posteriori alla Romana Repubblica i confini che tuttora conservano alcune Diocesi transappennine ci fanno avvertiti che, sino dai tempi della decadenza del Romano Impero la criniera medesima servì di limite geografico fra la Toscana, l’Esarcato e la Pentacoli innanzi che la Repubblica fiorentina estendesse la sua giurisdizione fino alle porte di Forlì e di Sarsina: l’ultima delle quali ebbe nome, oppure lo diede agli Umbri Sarsinati. –
    Vedere BAGNO in Romagna e GALEATA.

    ANIDO (Mons Anidus). Montagna dei Liguri Apuani rammentata da T. Livio all’occasione di un senato-consulto che decretò (anno di R. 570) l’espatriazione di quei fieri ed infesti montanari dall’antica sede dei loro maggiori con ordine di traslocarli nel Sannio. – Sarebbe opera perduta il tentare di rintracciare dopo venti secoli, a quale fra i monti dell’Appennino di Lunigiana, o suoi limitrofi, riferire volesse lo storico Romano. Il Cluverio sospettò che fosse questo monte alle sorgenti della Magra, altri lo credè situato nell’Alpe Apuana, sebbene quest’ultima opinione sia stata validamente combattuta dall’autore delle Ricerche istoriche sulla provincia della Garfagnana, il quale piuttosto si accostò al sentimento espresso dal Bardetti nella sua opera, Della lingua de’primi abitatori d’Italia (pag.145) dicendo, che “ i monti Anido erano facilmente quegli altissimi dove ha principio il fiume Enza, cioè sulla schiena dell’Appennino di Camporaghena sopra Fivizzano, ne’quali presso il Magini (tavola XVI), si vede ancora il casale di Neda, mutato poi in Aneta.”
Localizzazione
ID: 818
N. scheda: 10010
Volume: 1
Pagina: 91, 95 - 101, 432 - 433
Riferimenti:
Toponimo IGM: Camporaghena - I Groppi di Camporaghena (a NE) - Monte Alto (a NE)
Comune: COMANO
Provincia: MS
Quadrante IGM: 096-4
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1593400, 4906216
WGS 1984: 10.17178, 44.30477
UTM (32N): 593464, 4906391
Denominazione: Camporaghena - Alpe di Camporaghena - Appennino Toscano - Anido
Popolo: SS. Pietro e Paolo a Camporanghena
Piviere: S. Maria Assunta a Crespiano
Comunità: Fivizzano
Giurisdizione: Fivizzano
Diocesi: (Luni - Sarzana) Pontremoli
Compartimento: Pisa
Stato: Granducato di Toscana
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